Preghiera mistica del nostro padre tra i santi Simeone,
Invocazione allo Spirito Santo da chi lo ha conosciuto.
Vieni, vera luce.
Vieni, vita eterna.
Vieni, mistero nascosto.
Vieni, tesoro senza nome.
Vieni, realtà ineffabile.
Vieni, faccia incomprensibile.
Vieni, esultanza eterna.
Vieni, luce incancellabile.
Vieni, sicura aspettativa di tutti coloro che saranno salvati.
Vieni, risveglio di coloro che dormono.
Vieni, risurrezione dei morti.
Vieni, Potente che crea sempre, che ricrea e che trasforma tutte le cose con la sua sola volontà.
Vieni, invisibile, impalpabile e in ogni modo intangibile.
Vieni, tu che rimani sempre immutabile e che ad ogni ora sei tutto mutato, e vieni a noi che giaciamo negli inferi, tu che sei al di sopra di tutti i cieli.
Vieni, nome amatissimo e più volte ripetuto, di cui a noi è assolutamente interdetto esprimerne l’essere o conoscerne la natura.
Vieni, gioia eterna.
Vieni, corona imperitura.
Vieni, porpora del nostro grande Dio e Re.
Vieni, cingolo cristallino incastonato di gemme.
Vieni, sandalo inaccessibile.
Vieni, veste reale.
Vieni, destra veramente sovrana!
Vieni, tu che l’anima mia miserabile ha desiderato e desidera.
Vieni, il Solo al solo, perché sono solo, come vedi!
Vieni, Tu che mi hai separato da tutto e mi hai fatto solitario sulla terra. Vieni, tu che sei diventato Tu-stesso desiderio in me e che mi hai fatto desiderare Te, l’assolutamente inaccessibile.
Vieni, mio respiro e mia vita.
Vieni consolazione della mia anima abbattuta.
Vieni, mia gioia, mia gloria, e delizia senza fine.
Io ti rendo grazie per essere divenuto con me un solo spirito, senza confusione, senza mutamento, senza trasformazione, Tu il Dio sopra ogni cosa, e perché tu stesso sei diventato per me il tutto in tutto, cibo assolutamente inesprimibile, e perfettamente gratuito, che senza fine deborda incessantemente dalle labbra della mia anima, e sgorga alla fonte del mio cuore, veste sfolgorante che consuma i demoni, purificazione che mi bagna mediante lacrime incorruttibili e sante che la Tua presenza dona a coloro che visiti.
Io ti rendo grazie perché sei diventato per me una luce inestinguibile e un sole senza tramonto; Tu che non hai dove nasconderti, che riempi l’universo della tua gloria. Poiché tu non sei mai stato nascosto a nessuno, ma noi sempre ci nascondiamo a te, rifiutando di venire a te. Perché dove ti nasconderesti, tu che in nessun luogo hai un luogo di riposo? Perché dovresti nasconderti, tu che non ti ritiri da uno solo tra gli esseri, che non ne rifiuti nemmeno uno?
Vieni, dunque, o Maestro, oggi pianta in me la tua tenda, rendimi tua casa e dimora, continuamente e inseparabilmente, fino alla fine, in me, tuo schiavo, o Buono, e che anche, alla mia dipartita da questo mondo, e dopo la mia dipartita, mi ritrovi in Te, o Buono, e regnerò con Te, Dio che sei sopra ogni cosa!
Rimani, Signore, e non lasciarmi solo, perché quando i miei nemici verranno, cercando sempre di divorare la mia anima, quando ti troveranno in me, fuggiranno del tutto, in rotta, impotenti contro di me, vedentoTi più potente di tutto, intronizzato nella casa della mia umile anima.
Si, Maestro, quando ti sei ricordato di me, quando ero nel mondo, nel pieno della mia ignoranza, e tu stesso mi hai scelto, mi hai separato dal mondo e mi hai posto davanti alla tua gloria, ugualmente, adesso, tienimi dentro, sempre ritto e immobile nella tua dimora dentro di me. Perché io cadavere, guardandoti continuamente, viva; e tenendoti, io, povero salariato, sarò sempre ricco, anche più ricco di tutti i re; e mangiandoti e bevendoti, e ogni ora essendo rivestito di te, mi godrò i tuoi santi e indicibili beni: poiché tu sei ogni bene, ogni gloria e ogni godimento, e a Te si addice la gloria, santa, consustanziale e vivificante Trinità, Te che venerano, che confessano, che adorano e che servono, nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, tutti i fedeli, ora e sempre nei secoli dei secoli.
Amen.
MOSE’ L’ETIOPE
MOSE’ L’ETIOPE – Padre del deserto
La Storia Lausiaca
19, 1. Un uomo chiamato Mosè, di origine etiopica e di pelle nera, faceva da domestico a un funzionario. A causa di una grave tendenza al male e di molte ruberie il suo padrone lo scacciò: si diceva addirittura che si spingesse sino ad uccidere. Devo necessariamente esporre le opere della sua malvagità, per manifestare la santità della sua conversione. Si raccontava dunque che era a capo di una banda di ladroni; fra le sue imprese banditesche spicca questo episodio: serbava rancore verso un pastore che con i suoi cani l’aveva ostacolato in una azione. 2. Deciso ad ucciderlo, si mette a percorrere la zona in cui egli teneva lo stabbio delle pecore. Gli fu detto che si trovava al di là del Nilo; il fiume era in piena e si estendeva per quasi un miglio, ma Mosè, serrata fra i denti la daga e avvolta al capo la tunica, nuotando riuscì in tal modo a raggiungere l’altra riva. Or dunque, mentre costui attraversava a nuoto il fiume, il pastore trovò modo di sfuggirgli, seppellendosi nella sabbia. Uccise allora i quattro migliori arieti, li legò con una fune e riattraversò a nuoto. 3. Giunto in un piccolo cortile li scuoiò, e mangiate le carni migliori vendette le pelli in cambio di vino, e dopo avere bevuto un saite (come a dire ben diciotto sestieri italici) se ne andò lontano cinquanta miglia, là dove aveva la sua banda.
Questo grande peccatore tardivamente fu toccato dal pentimento in seguito a un qualche rovescio; si consacrò alla vita dell’eremo e così intensamente si accostò alla pratica della penitenza da indurre a riconoscere apertamente il Cristo persino colui che condivideva la sua colpa, quel demone che era stato complice dei suoi misfatti sin dalla giovinezza!. Per esempio, si racconta che dei ladri fecero irruzione una volta nella sua cella mentre era seduto, ignorando chi fosse. Erano quattro; 4. ed egli li legò tutti assieme e caricatili sulle spalle come un sacco di paglia li portò alla chiesa dei suoi confratelli dicendo: «Poiché non mi è consentito fare del male a nessuno, che cosa volete che si faccia di costoro?». Allora essi si confessarono colpevoli e, avendo saputo che si trattava di quel Mosè tanto famoso un tempo fra i ladroni, glorificarono Dio e rinunziarono anch’essi al mondo imitando il suo cambiamento. Questo fu il loro pensiero: «Se costui, così forte e valente nelle imprese ladresche, ha potuto sentire il timore di Dio, perché noi rimandiamo la salvezza?».
5. Questo Mosè fu assalito dai demoni che lo spingevano alla sua [antica] consuetudine di sfrenata lussuria; com’egli raccontava, fu tentato fino al punto da venir quasi sviato dal suo proposito. Perciò raggiunse il grande Isidoro, l’abitatore della Scete, e gli raccontò la guerra che conduceva. Isidoro gli disse: «Non addolorarti: è la tua iniziazione, e per questo ti hanno assalito con più violenza cercando di sfruttare la tua antica abitudine. 6. Come il cane di una macelleria non se ne allontana a causa dell’abitudine, ma se il negozio viene chiuso, e nessuno gli dà nulla, non si avvicina più, così sarà per te: se saprai resistere, il demonio scoraggiato dovrà allontanarsi da te». Dunque egli ritornò indietro e da quel momento si dedicò più intensamente all’ascesi, astenendosi specialmente dai cibi: non mangiava nulla, tranne pane secco nella misura di dodici once, e ciò mentre realizzava una grande quantità di lavoro e portava a compimento cinquanta preghiere. Ebbene, pur avendo macerato il suo miserabile corpo, continuava a bruciare, e a essere perseguitato da cattivi sogni. 7. Consultò allora un altro santo e gli chiese: «Che cosa devo fare? I sogni della mia anima mi ottenebrano la mente, seguendo il suo abituale istinto di lussuria». E quegli rispose: «Tu non hai liberato la tua mente dal fantasticare su questi temi: ecco perché sei assoggettato a questo tormento. [Rifugiati nella veglia, prega rimanendo digiuno e presto ne sarai liberato]». Udita anche questa esortazione si ritirò, e nella sua cella si ripromise di non dormire per tutta la notte e di non piegare il ginocchio. 8. Rimasto sei anni nella cella, tutte le notti stava in piedi in mezzo alla cella e pregava, senza chiudere gli occhi; ma non riuscì ad averla vinta. Allora s’impose un’altra disciplina: usciva di notte e se ne andava nelle celle dei vecchi e degli asceti più progrediti, e prendendo di nascosto le loro brocche le riempiva d’acqua. Infatti, essi hanno l’acqua lontana, chi due miglia, chi cinque migliaia, chi mezzo miglio. 9. Or dunque una notte il demonio lo spiò e, perduta la pazienza, lo colpì alle reni con un bastone mentre si chinava sul pozzo, e lo lasciò come morto, inacapace di avvertire che cosa avesse subito e da parte di chi. Il giorno seguente, un tale venuto ad attingere acqua lo trovò a giacere lì, e ne diede notizia a Isidoro, il presbitero della Scete. Questi lo prese e lo portò nella chiesa; per un anno stette male, e a stento il suo corpo e la sua anima ripresero forza. 10. Il grande Isidoro gli disse dunque: «Cessa di contendere con i demoni, Mosè, e non insultarli; c’è un limite anche per il coraggio che si esprime nell’ascesi».
Ed egli rispose: «Non potrò cessare finché non cesseranno le visioni prodotte dai demoni». E l’altro disse: «In nome di Gesù Cristo, i tuoi sogni sono cessati; prendi dunque con fiducia la comunione: sei stato oppresso in questo modo per il tuo bene, perché non ti vantassi di aver vinto una passione.» 11. Se ne ritornò quindi nella cella. Interrogato di nuovo da Isidoro dopo circa due mesi, disse di non avere più provato nessuna tentazione. Egli fu giudicato degno di ricevere il carisma contro i demoni, al punto che temeva il demonio meno di quanto noi temiamo le mosche. Questa fu la vita di Mosè l’Etiope: anch’egli annoverato fra i padri, come uno dei grandi. Morì dunque a settantacinque anni nella Scete, dopo essere divenuto presbitero; lasciò anche settanta discepoli.
Apoftegmata
ἀποφθέγματα τῶν ἁγίων γερόντων
1. Un giorno il padre Mosè fu fortemente tentato di fornicazione e, poiché non riusciva più a resistere in cella, andò a manifestarlo al padre Isidoro, e l’anziano [ 36 ] gli consigliò di ritornare nella sua cella. Ma egli non accettò e diceva: «Non ci riesco, padre». Questi allora lo prese con sé, lo condusse sul tetto e gli disse: «Guarda verso occidente». Guardò, e vide una moltitudine innumerevole di demoni, che si agitavano e rumoreggiavano in assetto di guerra. «Guarda anche a oriente – gli disse poi il padre Isidoro –, questi sono gli inviati di Dio in aiuto dei santi. A occidente ci sono coloro che ci fanno guerra; ma quelli che sono con noi sono più numerosi» [ 37 ]. Così il padre Mosè, ringraziando Dio, prese coraggio, e ritornò nella sua cella (281bc; PJ XVIII, 12).
2. Un giorno peccò un fratello a Scete; e i padri, radunatisi, mandarono a chiamare il padre Mosè. Ma, poiché egli non voleva venire, il presbitero gli mandò a dire: «Vieni, la gente ti aspetta!». Egli allora si mosse e venne, portando sulle spalle una cesta forata piena di sabbia. Gli andarono incontro dei fratelli e gli chiesero: «Padre, cos’è mai questo?». Disse loro l’anziano: «Sono i miei peccati che scorrono via dietro di me senza che io li veda. E oggi sono venuto qui, per giudicare i peccati degli altri». A queste parole non dissero nulla al fratello, e gli perdonarono (281d-284a; PJ IX, 4).
3. Una volta in cui si teneva un raduno a Scete, i padri disprezzarono il padre Mosè, per metterlo alla prova. Dissero: «Perché anche questo etiope s’intromette in mezzo a noi?». A queste parole egli rimase in silenzio. Dopo che se ne furono andati, qualcuno gli chiese: «Padre, non ti sei turbato?». «Sì – dice loro – mi sono turbato, ma non ho detto nulla [ 38 ]» (PJ XVI, 7).
4. Del padre Mosè, raccontavano che, quando divenne chierico e gli imposero l’efod [ 39 ], l’arcivescovo gli disse: «Ecco, padre Mosè, sei diventato tutto bianco». Ed egli: «L’esterno forse, signor papa, ma l’interno?». Per metterlo alla prova, l’arcivescovo disse ai chierici: «Quando il padre Mosè entra nel santuario, cacciatelo e quindi seguitelo per udire ciò che dice». L’anziano entrò nel santuario, ed essi lo insultarono e lo cacciarono dicendo: «Va’ fuori, etiope!». Egli uscì dicendo a se stesso: «Ben ti sta, o moro dalla pelle color di terra! Dato che non sei un uomo, perché vuoi andare in mezzo agli uomini?» (284ab; PJ XV, 29).
5. Un giorno fu dato ordine ai monaci di Scete di digiunare per quella settimana. E accadde che dall’Egitto [ 40 ] venissero dei fratelli in visita al padre Mosè, ed egli fece per loro un po’ di brodo. Vedendo il fumo, i vicini dissero ai chierici: «Ecco, il padre Mosè ha infranto il precetto e si è fatto un brodo». Essi dissero: «Ne parleremo con lui quando verrà». Quando giunse il sabato, i chierici, vedendo il nobile atteggiamento del padre Mosè, gli dissero di fronte a tutti: «Padre Mosè, hai infranto il precetto degli uomini, ma hai custodito quello di Dio» (284bc; PJ XIII, 4).
6. Un fratello si recò a Scete dal padre Mosè per chiedergli una parola. L’anziano gli disse: «Va’, rimani nella tua cella, e la tua cella ti insegnerà ogni cosa» [ 41 ] (PJ II, 9).
7. Il padre Mosè disse: «Un uomo che fugge agli uomini assomiglia a una vite matura; ma quello che rimane in mezzo agli uomini è come uva acerba» (284c-285a).
8. Il magistrato sentì parlare del padre Mosè e andò a Scete per vederlo; ma alcuni avvisarono l’anziano, ed egli fuggì verso la palude. Quelli lo incontrarono per strada e gli chiesero: «Dicci, anziano: dov’è la cella del padre Mosè?». Egli chiese loro: «Cosa volete da lui? È uno stolto!». Quando giunse alla chiesa, il magistrato disse ai chierici: «Poiché ho sentito parlare molto del padre Mosè, sono venuto per vederlo [ 42 ]; ma abbiamo incontrato ora un anziano in cammino verso l’Egitto, e gli abbiamo chiesto: – Dov’è la cella del padre Mosè?, e ci ha detto: – Che volete da lui? È uno stolto! [ 43 ]». A queste parole i chierici si rattristarono e chiesero: «Com’era l’anziano che ha parlato in tal modo contro quel santo?». Risposero: «Era un anziano vestito con vecchi indumenti, alto e scuro di pelle». Ed essi: «Ma questi è il padre Mosè! Vi ha risposto così perché non voleva incontrarsi con voi!». Il magistrato se ne andò molto edificato (285ab; PJ VIII, 10).
9. A Scete il padre Mosè soleva dire: «Se custodiamo i precetti dei nostri padri, vi garantisco davanti a Dio che i barbari non verranno qui; ma se non li custodiamo, questo luogo sarà devastato» [ 44 ] (PJ XVIII, 13).
10. Il padre Mosè disse un giorno ai fratelli, che erano seduti attorno a lui: «Ecco, oggi verranno i barbari a Scete. Alzatevi e fuggite!». Gli dicono: «Ma tu non fuggi, padre?». Dice loro: «Aspetto da tanti anni questo giorno perché si adempia la parola di Cristo Signore che ha detto: Tutti quelli che prenderanno la spada, periranno di spada [ 45 ]». Essi dissero: «Nemmeno noi fuggiremo, ma moriremo con te!». Ed egli: «Questo non mi riguarda; consideri ognuno da sé come comportarsi». Erano sette fratelli; e disse loro: «Ecco, i barbari sono vicini alla porta». Entrarono e li uccisero. Uno di essi fuggì spaventato dietro a un mucchio di corde, e vide sette corone scendere a incoronarli (285bc; PJ XVIII, 14).
11. Un fratello interrogò il padre Mosè: «Vedo davanti a me ciò che devo compiere, ma non ci riesco». Gli disse: «Se non diventi morto come coloro che sono sepolti [ 46 ], non puoi venirne a capo».
12. Il padre Poemen raccontò di un fratello che chiese al padre Mosè in che modo si diviene morti al prossimo. L’anziano gli disse: «Se l’uomo non si pone nel cuore di essere già da tre giorni [ 47 ] nella tomba, non giunge a questo stato» (285d; PJ X, 63).
13. A Scete dicevano che un giorno il padre Mosè, andando a Petra, si stancò molto lungo la strada. E disse fra sé: «Come potrò qui raccogliere l’acqua per me?». E venne a lui una voce che disse [ 48 ]: «Entra e non preoccuparti». Entrò allora e incontrò alcuni padri. Ma aveva soltanto una piccola brocca d’acqua. Preparò un po’ di lenticchie e così la consumò tutta. L’anziano, angustiato, entrava e usciva [ 49 ] da quella cella pregando Dio. Ed ecco che una nube, carica di pioggia, venne su Petra e riempì tutti i suoi otri. Chiedono quindi all’anziano: «Perché entravi e uscivi?». Ed egli dice loro: «Ho intentato causa a Dio con queste parole: – Ecco, tu mi hai portato qui e io non ho acqua da dar da bere ai tuoi servi. Per questo entravo e uscivo, pregando Dio finché egli ce l’ha mandata» (285d-288a).
Sette capitoli che il padre Mosè inviò al padre Poemen [ 50 ]
Colui che li metterà in pratica sfuggirà a ogni castigo e vivrà nella pace, sia che viva nel deserto sia in mezzo a dei fratelli.
1 (14). Bisogna che l’uomo sia morto al suo prossimo, per non giudicarlo in nulla (288b).
2 (15). Prima di uscire dal corpo, l’uomo deve rendersi morto a ogni azione malvagia, così da non fare male a nessuno.
3 (16). Se l’uomo non conserva nel cuore il pensiero di essere peccatore, Dio non lo esaudisce. Disse il fratello: «Che cosa significa avere nel cuore il pensiero di essere peccatore?». Dice l’anziano: «Significa che chi porta il peso dei propri peccati non guarda quelli del prossimo».
4 (17). Se l’azione non concorda con la preghiera, l’uomo si affatica invano [ 51 ]. Disse il fratello: «Che cosa significa l’accordo dell’azione con la preghiera?». Dice l’anziano: «Significa non commettere più quei peccati per i quali preghiamo [ 52 ]. Infatti, quando l’uomo ha rinunciato alle proprie volontà, Dio si riconcilia con lui e accoglie la sua preghiera». (18) E il fratello chiese: «Che cosa aiuta l’uomo in ogni sua fatica?». Gli dice l’anziano: «È Dio che aiuta; sta scritto infatti: Dio è nostro rifugio e nostra forza, aiuto nelle tribolazioni che sopravvengono con violenza [ 53 ]» (288bc).
5 (18). Disse il fratello: «A cosa servono i digiuni e le veglie dell’uomo?». Dice a lui l’anziano: «Servono a umiliare l’anima. Sta scritto infatti: Guarda la mia umiliazione e la mia fatica, e perdona tutte le mie colpe [ 54 ]. Se l’anima produce questi frutti, per essi il Signore si impietosisce su di lei».
6 (18). «Che cosa bisogna fare – chiese il fratello – al sopraggiungere di ogni tentazione e di ogni pensiero suggerito dal nemico?». Gli dice l’anziano: «Bisogna piangere di fronte alla bontà di Dio perché ci aiuti; e troveremo presto la quiete, se la nostra invocazione sarà compiuta con conoscenza [ 55 ]. Sta scritto infatti: Il Signore è il mio aiuto e non temerò quel che può farmi l’uomo [ 56 ]».
7 (18). Il fratello chiese: «Se un uomo colpisce il suo servo per una colpa da lui commessa, cosa deve dire il servo?». L’anziano rispose: «Se è un servo buono, dirà: – Abbi pietà, ho peccato». «Non dirà nient’altro?». Dice l’anziano: «No. Dal momento in cui prende su di sé il rimprovero e dice: – Ho peccato, il suo padrone ha subito pietà di lui. Conclusione di tutto questo è: non giudicare il prossimo. Infatti, quando la mano del Signore uccise ogni primogenito in terra d’Egitto, non rimase casa in cui non vi fosse un morto» [ 57 ]. Dice a lui il fratello: «Che cosa significa questo?». «Significa – dice l’anziano – che, se prestiamo attenzione a guardare i nostri peccati, non vediamo quelli del prossimo. Sarebbe follia se un uomo che ha in casa il proprio morto, lo lasciasse, per andare a piangere quello del prossimo. Morire al prossimo significa che tu porti i tuoi peccati e non ti preoccupi di nessuno, se questo è buono, o quest’altro cattivo. Non fare del male a nessuno, e non pensare contro alcuno nulla di male nel tuo cuore. Non disprezzare chi commette il male, non accondiscendere a chi fa del male al suo prossimo [ 58 ] e non gioire con chi fa del male al suo prossimo. Non dire male di nessuno; di’ invece: – Il Signore conosce ogni uomo [ 59 ]. Non essere complice di chi fa maldicenza, non rallegrarti di ciò che egli dice, ma non odiare chi parla male del prossimo [ 60 ]. Questo è non giudicare. Non avere ostilità verso nessuno, non conservare inimicizia nel tuo cuore e non odiare chi nutre inimicizia contro il suo prossimo. La pace è questo. In tutto ciò consolati con il pensiero: la fatica dura breve tempo e il riposo per sempre, grazie al Verbo di Dio. Amen» (288c-289c).
San Silvano dell’Athos: La conoscenza di Dio
San Silvano dell’Athos: La conoscenza di Dio
Perché uno conosca il Signore non ha bisogno di essere ricco o sapiente, ma deve essere obbediente, sobrio, avere uno spirito umile e amare il prossimo. Il Signore amerà una simile anima, ed Egli stesso le si rivelerà e le insegnerà il divino amore e l’umiltà, e le darà tutto ciò che è necessario per trovare riposo in Dio.
Per quanto noi possiamo essere sapienti, tuttavia è impossibile conoscere il Signore, se non vivremo secondo i suoi comandamenti, perché il Signore si conosce non per mezzo della scienza, ma per opera dello Spirito Santo. Molti filosofi e sapienti giunsero fino alla fede nell’esistenza di Dio.
Anche noi monaci meditiamo la legge di Dio giorno e notte, ma non tutti, nonostante questo, hanno conosciuto Dio sebbene abbiano fede. Altro è credere che Dio esista, altro è conoscere Dio.
E’ un mistero: ci sono anime che hanno conosciuto Dio; ci sono anime che non hanno conosciuto Dio, ma credono; ma ce ne sono anche altre che non solo non hanno conosciuto Dio, ma neppure credono; e fra queste ci sono anche sapienti ed intellettuali.
L’incredulità proviene dall’orgoglio. L’uomo orgoglioso pretende di conoscere tutto con la sua propria mente e scienza, ma la conoscenza di Dio gli rimane inaccessibile, perché Dio si conosce solo mediante la rivelazione dello Spirito Santo. Il Signore si rivela alle anime umili. Il Signore mostra alle anime umili le sue opere, incomprensibili alla nostra mente. Con la nostra intelligenza umana non ci è possibile che la conoscenza delle cose terrene, e anche questo in modo parziale, mentre Dio e tutte le realtà celesti si conoscono per mezzo dello Spirito Santo.
Alcuni si affaticano tutta la vita ad imparare che cosa c’è in cielo, nel sole o nella luna o altrove; ma in questo non si trova alcun vantaggio per l’anima. Se invece ci sforzassimo di conoscere che cosa c’è dentro il cuore umano, ecco che allora vedremo nell’anima del Santo il Regno dei cieli e nell’anima del peccatore tenebra ed inferno. […]
Chi ha conosciuto il Signore per mezzo dello Spirito Santo diventa simile al Signore, perché, come disse Giovanni il Teologo: “Saremo simili a lui perché lo vedremo come è”, e contempleremo la sua gloria.
San Filarete l’Ortolano (1020-1070) – 8 Aprile
INTRODUZIONE
“L’umile e sconosciuto Santo Contadino, Uomo meraviglioso, parlava da giusto e ciò che diceva era frutto di ponderata riflessione, “L’uomo non deve insuperbirsi” non deve affannarsi per le cose del mondo. Attaccarsi alle cose materiali porta inesorabilmente l’essere umano al nichilismo, alla totale negazione di ogni valore morale. Il paradosso della felicità è che mai si raggiunge affannandosi a cercarla per se stessi, ma facilmente portandola sempre con sé per donarla disinteressatamente a chiunque si incontri. San Filarete, suscitando gioia inaspettata, donava il frutto del suo orto al primo che incontrava senza neanche sapere chi fosse. E’ questo il contenuto del suo sublime messaggio; la felicità è implicitamente in noi solo quando comprenderemo che essa è reciproca. Misero è colui che la sottrae agli altri, perché, nello stesso istante, la si sta togliendo a se stessi”.1
FESTA
L’8 Aprile, memoria del nostro santo padre Filarete l’Ortolano, di Seminara in Calabria. Il bios greco si trova nei codici, Mess. Gr. 20 (ff 3-14). Neapol. II, A, 26 e Palerm. II, E, 11, (f 409). La sua ufficiatura si trova nel Vat. Gr. 1538 (ff 264-265)
VITA
San Filarete l’Ortolano ha origini siciliane. Alcuni biografi cattolici e una minoranza di ortodossi sostengono che fosse originario della città di Palermo. Altri sostengono che sia originario della Val Demone, territorio ricompreso tra la provincia montuosa di Messina, Caronia e Catania. Con la conquista dei Franchi, la latinità cattolica attivò ogni strumento per cancellare la memoria della tradizione greco-ortodossa e di fatti il ricordo di questo umile santo ci è pervenuto grazie a un solo manoscritto, bios, del 1308 (Mess. Gr 29, ff. 3\14). Questo bios è opera d’un certo Nilo, monaco nello stesso Monastero in cui Filarete praticò la sua ascesi, ma a lui successivo. Molto probabilmente non lo conobbe personalmente nonostante la sua stessa dichiarazione.
Secondo il monaco Nilo, Filarete nacque intorno al 1020 e fu battezzato con il nome di Filippo, in omaggio al grande esorcista di Agira, detto appunto “scacciaspiriti”.
La sua vita nella Sicilia islamica non dovette essere funestata da persecuzioni di stampo religioso anche se, al compimento dei suoi diciotto anni, un avvenimento lo porto ad emigrare. L’imperatore di Costantinopoli Michele IV Paflagone (1034-1041) con l’aiuto del generale macedone Giorgio Maniace cercò di liberare la Sicilia dal giogo musulmano, operazione che terminò con la vittoria temporanea di Troina del 1040. A causa di questa guerra, pare che Filippo dovette trasferirsi prima a Reggio Calabria e poi a Sinopoli, dove a 25 anni divenne monaco presso la valle delle Saline, ricadente nel territorio dell’attuale Seminara (RC). Questa era una zona dove il monachesimo era diffuso ed aveva una lunga tradizione. Qui il santo ricevette l’ordinazione monastica ad opera dell’igumeno Oreste del Sacro Imperiale monastero delle Saline, fondato da Sant’Elia il Giovane nell’880, originario di Enna, a cui appunto l’imperatore Leone IV il Sapiente gli conferì il titolo “imperiale”. Con la tonsura monastica, Filippo prese il nome di Filarete, che secondo la tradizione latina significa “pescatore”, mentre secondo quella greca significa “amante della virtù”.
“Oreste che lo istruì nelle regole e lo preparò alla vita ascetica, vedendo che il giovane ‘si distingueva in modo straordinario per l’obbedienza, per la pazienza, per la grande fortezza e per tutte le altre forme di virtù’ gli affidò ‘ogni sorta di servizio’. Compiuto il tempo del noviziato fu fatto entrare come ‘commilitone e compagno di lotta’ nella ‘santa comunità dei fratelli’, venne rivestito dell’abito angelico […]. Per meglio esercitarsi nelle lotte spirituali, che sono ‘come la luce che nasce dalle tenebre’, rinunciò ad indossare la tunica, decise di camminare a piedi scalzi e ‘ per una settimana intera a talvolta anche per due, si asteneva dal prendere cibo’. Suo modello di vita religiosa era Elia il Giovane e ‘cercava con tutto il cuore di seguire le sue orme, era felice di ascoltare la narrazione delle sue buone azioni, e avere sempre tra le mani il libro che parlava di lui. Dall’igumeno Oreste fu incaricato di prendersi cura dei buoi e dei cavalli del monastero e si trasferì in una modesta ‘dimora di pastore’. I mandriani al servizio dei monaci si nutrivano di ‘formaggio, latte e burro’ e ‘gustavano un po’ di tutto’, ma Filarete ‘soddisfaceva alle necessità del corpo solo col pane ed alcune erbe’, consuetudine che ‘mantenne per tutta la vita’.1
Di fatto condivideva la vita dei pastori vivendo in maggiori ristrettezze ed ascesi. Li guidava nella vita spirituale e godeva del silenzio della sua occupazione sostenendo i poveri e curando i malati.
“Richiamato al monastero dopo anni di vita trascorsi in solitudine, fu incaricato dall’igumeno di dissodare una boscaglia. In essa si costruì una capanna e rese coltivabile il terreno affinché producesse gli ortaggi utili alla comunità. Anche nello svolgimento della nuova mansione, Filarete continuò a praticare la preghiera e la penitenza. Mangiava ogni giorno all’ora nona e si nutriva di erbe selvatiche bollite, rifiutando di servirsi delle verdure da lui coltivate e dei frutti che abbondavano nel giardino. Beveva acqua e solo ogni tanto assaggiava del vino, mangiava del pesce quando non poteva farne a meno e cedeva ad altri, come aveva fatto quand’era pastore, il cacio, il latte e il burro. La veste che indossava sul nudo corpo era di paglia intrecciata come quella usata per fare i panieri e il mantello era intessuto con rozza canapa. Dormiva sul suola sopra rami coperti di fieno, aveva per cuscino una pietra rivestita di paglia ed erano pure di paglia il velo che gli copriva il capo e i calzari”3
Filarete non ebbe fama di erudito e nel monastero ricoprì sempre cariche molto umili. Dicevamo che fu pastore e soprattutto agricoltore. Da qui il nome di ‘Ortolano’ che lo contraddistingue nel calendario. Pastori e contadini furono i suoi principali interlocutori. Persone povere che aiutava con le verdure che coltivava e con parole di edificazione. Coltivava un appezzamento di terreno del Monastero avendo sempre addosso una pesante catena a ricordo della schiavità del peccato. Filarete era instancabile nella coltivazione e la sua perizia gli permetteva di donare parte dei raccolti alle persone del territorio particolarmente povere soprattutto “negli anni di durissima carestia provocata dalle continue razzie dei Normanni che nel 1059 occuperanno Reggio, iniziando poi la lenta ma graduale conquista della Sicilia. Ciò, del resto, rispecchia gli accordi stabiliti fra il pontefice Niccolò II e Roberto il Guiscardo, capo dei predoni francofoni: la legittimazione papale delle conquiste passate, presenti e future, nel Mezzogiorno e in Sicilia, in cambio dell’imposizione forzosa del rito latino in quelle regioni; e poco importa se il vescovo romano non dispone della minima autorità giuridica per imporre un ricatto del genere, essendo i Meridionali sudditi dell’Impero Romano di Costantinopoli, ma, si sa, la Storia viene sovente riscritta dai vincitori. Filarete muore negli anni ’70 dell’XI secolo, mentre già i Normanni stanno provvedendo a sradicare il culto greco-ortodosso dalla Calabria a favore di quello latino-papista, favorendo la fondazione di abbazie benedettine nel territorio reggino, una delle quali, quella di Sant’Eufemia d’Aspromonte, si vedrà presto assegnata la proprietà del Monastero Imperiale delle Saline, in seguito intitolato ad Elia il Giovane ed allo stesso Filarete, la cui sede principale si trova oggi a Seminara di Palmi”4.
Ritornando al nostro Filarete, si recava al monastero per la liturgia e per ritirare quel poco di pane e sale che spesso per dimenticanza non gli veniva consegnato. Era così ritirato che seguiva la liturgia in un angolo della chiesa passando il resto del tempo nella sua cella sul terreno assegnatogli, al punto che molti monaci neanche se ne ricordavano. L’ascesi di Filarete, come tradizione dei monaci greco calabri, si basò inoltre in lunghe veglie ed estenuanti digiuni, spesso si nutriva solo di erbe bollite. Non era uso lamentarsi mai per le vicissitudini della vita che accoglieva con spirito di ringraziamento al Signore.
“Come accade spesso in Italia, chi lavora senza lamentarsi, invece di essere elogiato, viene trattato da scemo: Filarete non sfuggì a tale sorte. Infatti, quando egli si ammalò gravemente, i confratelli lo portarono nel monastero e fattolo distendere sul letto lo lasciarono riposare, credendo che avesse energie sufficienti per poter vivere, per cui lo privarono della necessaria assistenza ed il santo morì abbandonato e solo, così come condusse la sua vita. Il giorno seguente i confratelli gli celebrarono il funerale frettoloso, senza tener conto del profumo che emanava il suo corpo. Solo alla sua morte si accorsero di lui per una serie di miracoli che avvenivano sulla sua tomba. Seguendo il bios, una donna affetta da cecità, a seguito di una grave emorragia cerebrale, si recò sulla tomba ad implorare l’aiuto di Sant’Elia il Giovane, fondatore del monastero, che era estremamente vivo nella devozione dei fedeli a causa dei suoi innumerevoli miracoli, per ricevere un’intercessione. In una visione gli apparve il santo che gli disse di rivolgersi alla tomba di San Filarete, che era in grado di guarirla. La donna chiese ai concittadini del santo, ma molti risposero di non conoscerlo e, quindi, si recò presso il monastero chiedendo di potersi recare sulla sua tomba, ma i monaci, provarono a cacciarla a male parole”5.
Ma la donna era irremovibile per la visione e le parole riferitele da Sant’Elia. Alla fine ad un monaco venne in mente che l’unico Filarete del convento fosse l’ortolano morto un paio d’anni prima, per cui, con molto scetticismo, accompagno la signora cieca a pregare sulla sua tomba. Qui avvenne il miracolo e la cieca riacquistò la vista.
Altri miracoli si susseguirono aumentando enormemente la popolarità del Santo rimasto anonimo in vita. “La fama del prodigio si diffuse nei paesi e nelle città vicine e ‘anche da lontano accorse a quella santa e veneranda tomba una moltitudine di gente afflitta da ogni sorta di malattie e di sofferenze e ciascuno straordinariamente e incredibilmente otteneva la guarigione”. Dal sepolcro si levava “un soave profumo di unguento”. Nel luogo, sulle fondamenta di un precedente edificio sacro, fu costruito “un bellissimo oratorio” che venne dedicato al Santo. Anche le sue vesti lacere, che dopo la morte erano state appese a un legno e dimenticate, furono trovate intatte e da esse si effondeva un gradevole profumo. Le vesti “furono sminuzzate in piccoli pezzi e distribuite per essere usate quali rimedi salutari in tutte le malattie e infermità”. Il bios di San Filarete si chiude con un invito alla “intera comunità dei Calabresi” a celebrare con letizia la festa del Santo, a recarsi alla sua tomba innalzando a Dio canti di ringraziamemo e sforzandosi di imitarne le virtu’.
“Nel 1133 il monastero venne ricostruito sulle rovine dell’originario e dedicato ai Santi Elia e Filarete. Però, si assistette ad un fenomeno curioso, in quanto la devozione di San Filarete si sviluppò enormemente al punto che il monastero venne successivamente conosciuto unicamente con il nome del santo ortolano, facendo così vivere alla sua ombra quello del fondatore ovvero Sant’Elia. Risulta essere un paradosso in quanto l’umile ortolano era estremamente devoto del santo fondatore, al punto da portare sempre con sé il libro della sua vita”6.
“Dopo l’abbandono del monastero di Sant’Elia il Giovane alle Saline a causa delle incursioni dei Saraceni le spoglie del Santo furono trasferite nelle vicinanze di Seminara nel monastero denominato Sant’Elia Nuovo, al quale in seguito fu aggiunto il titolo di San Filarete. Nel 1345 fu scritto un inno in lingua greca in onore del Santo. In esso, i fedeli raccolti intorno all’urna pregano San Filarete affinché scenda nel suo tempio. Il monastero fu visitato nel 1457 da Chalkeopoulos e nel 1551 da Marcello Terracina, archimandrita del monastero di San Pietro d’Arena. In esso abitavano il priore e cinque monaci, ma i beni erano stati assegnati in commenda. In seguito si perdette la memoria della sepoltura del Santo. I resti venerati furono rinvenuti il 22 febbraio 1693 dopo il terremoto che 1’11 dello stesso mese aveva distrutto il monastero. I particolari del ritrovamento furono descritti dal notaio Domenico Guardata il 25 aprile di quell’anno. Il vescovo di Mileto Domenico Antonio Bernardini il 24 ottobre 1697 eseguì la ricognizione delle spoglie venerate. Il terremoto del 5 febbraio 1783 causò la distruzione del monastero e la morte di sette religiosi. Dopo il terremoto i beni furono incamerati dalla Cassa Sacra e il monastero non fu più ricostruito. Nel 1709 alcune reliquie furono donate alla chiesa palermitana di San Basilio, da dove in seguito furono trasferite nella cattedrale. Nella basilica della Madonna dei Poveri a Seminara è custodito un avambraccio del Santo in un reliquiario proveniente dal monastero ed eseguito dall’orafo Luigi De Sanguini. Pure dal monastero fu trasferito nel santuario il cranio del santo rinchiuso in un reliquario d’argento probabile lavoro di un orafo messinese eseguito nel 1717”.7
Ben presto però, con l’avvento della dominazione normanna e la latinizzazione, la sua memoria scemò progressivamente come per tutti i santi italo-greci. Solo con il Cardinale Giannettino Doria ci fù una circoscritta svolta. Il presule volle rilanciare l’orgoglio civico di Palermo, città sempre più marginale nei domini spagnoli, in un recupero della tradizione greca e normanna. Iniziò il culto di Santa Rosalia fino ad allora sconosciuta ai più e incrementò la conoscenza di altri santi palermitani come si riteneva essere Filarete.
“Dopo la distruzione del suo convento nel grande terremoto del 1693, l’abate Generale dell’ordine basiliano di Palermo, Pietro Minniti, chiese la restituzione delle reliquie del santo affinché tornassero nella terra natia, cosa concessa da Clemente IX. La traslazione, con destinazione la cattedrale di Palermo fu celebrata con solenni suppliche il 14 gennaio del 1703. Ed in tale data fu inscritta la celebrazione nel martirologio romano. La festa della traslazione fu celebrata sino al 1929, mentre quella del santo fino al 1958, anno in cui la sua festa fu definitivamente cancellata dal calendario liturgico romano”8.
In foto, il monastero dei Santi Elia di Enna e Filarete a Seminara.
Ma le vie del Signore sono infinite. La memoria dei Santi Elia il Giovane e Filarete l’ortolano era destinata a ritornare e rimanere in questa terra di Calabria. Lo scrittore e medico Santo Gioffré, appassionato studioso di Barlaam di Seminara, donò intorno al 2000 un suo uliveto, per far costruire dopo secoli la più grande chiesa ortodossa dell’Italia meridionale, dedicata proprio a Elia il Giovane e Filarete, associata a un monastero femminile ortodosso. Sua Santità Bartolomeo I Patriarca Ecumenico di Costantinopoli ha benedetto la sua prima pietra nel 2001 e il cantiere è andato avanti per un anno e mezzo. Lo stesso donatore ricorda:
“Sono passati 20 anni da quella mattina quando Sua Santità, il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, posò la prima pietra di quella che poi sarebbe divenuta la Chiesa Greco-Ortodossa dei Santi Elia e Filarete, a Seminara. Erano trascorsi 800 anni dall’ultima volta che era stata costruita una chiesa di rito greco, prima che gli Angioni bandissero la liturgia ortodossa dalla Calabria. Bartolomeo I, che porta tra i suoi titoli anche quello di Despota di Costantinopoli, cioè, ultimo dei successori non solo della cattedra Patriarcale ma, anche, del Trono degli Imperatori di Bisanzio, mi guardò con una stizza d’incredulità quando m’indicarono come colui che aveva voluto donare il terreno. Chiese di potermi parlare in privato. Il Patriarca si esprimeva perfettamente in italiano. Ci appartammo sotto l’albero spoglio di un vecchissimo fico bianco, nato insieme a mio padre, perché era stato piantato nel 1921. Mi chiese se io fossi di religione ortodossa e il motivo della donazione al Patriarcato. Risposi, con posato ritegno, che io non sono credente e che la mia decisione, in una terra dove nessuno regala niente a nessuno, nasceva, innanzi tutto, per motivi culturali e, poi, perché il mondo dell’emigrazione ortodossa, allora molto numeroso a Seminara e nei dintorni, potesse contare su un luogo, sicuro, di culto. Sorrise il Patriarca quando mi sentì aggiungere: -“Santità, il vero motivo, se vogliamo, è la speranza di veder revocare la scomunica, per eresia, pronunciata nel giugno del 1342, a Santa Sophia, a Costantinopoli, contro il mio antico compaesano, il Teologo- Astronomo e Letterato Barlaam”-. Il Patriarca, uomo di raffinatissima cultura e di spiccata intelligenza, mi guardò e, sorridendo, rispose: -“Dottore, per togliere la scomunica a Barlaam, la Chiesa Ortodossa dovrebbe indire sette Concili… lasciamo le cose così e ricordiamo Barlaam, nella Sua città natale, come grande Intellettuale, letterato e umanista. […]
L’input di donare la terra dove costruire la chiesa, era giunto a seguito una discussione tenuta con due monaci Ortodossi, presso il Monastero di San Giovanni Therestis, a Bivongi, il 17 agosto del 2000, ricorrenza di Sant’Elia. Quel giorno, nella mia veste di assessore provinciale alla Cultura, mi recai a Bivongi e intrattenni, tra i vari incontri, colloqui con Padre Nilo e il monaco athonita Cosmas. Nacque una piacevole disputa culturale e storica che finì con una sfida: se qualcuno avesse ceduto un terreno, a Seminara, la Chiesa Ortodossa sarebbe rinata.
Sembrava, come succede in questi casi, una normale discussione tra persone amanti dei luoghi e della loro storia, destinata a non aver seguito. Invece, presi sul serio quella sfida. In fondo, fin da ragazzino, il solo guardare i ruderi del monastero francescano dentro cui ero nato, mi faceva sognare le epoche e il desiderio di vederli riviverle. Sognavo l’Oriente e l’Occidente, perché lì erano nati Barlaam e Leonzio Pilato. Lì erano stati Consalvo da Cordova, Calo V, Tommaso Campanella e Bernardino Telesio. Il mio sogno era mettermi in un posto e scorgere l’Oriente, rappresentato da una Chiesa Ortodossa e dal mondo che stava attorno alla figura del Barlaam e l’Occidente, attraverso la Chiesa Cattolica di Sant’Antonio, lì presente da sempre e dove io fui battezzato. Chiesa che conserva la più importante simbologia Cattolica, in Calabria, del primo 500: lo stemma marmoreo di Isabella di Castiglia e di Ferdinando il Cattolico. Decisi che sarei stato io a donare quel terreno al Patriarcato Ecumenico per far sorgere la chiesa. Mi adoperai a dare inizio all’edificazione e in questo progetto sono stato coadiuvato dal prof. Aurelio Misiti, allora assessore regionale ai LL Pubblici. In quattro anni, contro ogni aspettativa e scetticismo, la chiesa fu costruita. Tra le mura di quella chiesa, hanno ripreso a vivere mattoni e tegole, cotte nelle antichissime, oramai inesistenti, fornaci del paese e che io ho trasportato, da solo, dalle case di campagna di una Seminara che non esiste più. Case e tuguri dove avevano abitato contadini e pastori, oramai emigrati da 70 anni e che si stavano usurando per il tempo ingrato. Finita la chiesa, ebbi la fortuna d’incontrare un grande iconografo che si era innamorato del posto: Vasileios Koutsoura, che poi divenne Protopresbitero e trascorse 9 mesi della sua vita, sdraiato a faccia in su, ad affrescare tutte le pareti, secondo i canoni teologici Ortodossi. Ne venne fuori un capolavoro, godimento per ogni occhio. Non finì la cosa. Ero conscio che la chiesa non potesse rimanere solitaria in mezzo al nulla. Doveva essere custodita e protetta. E poi, io dovevo realizzare, ancora, il mio sogno…
Difronte alla chiesa si trovava una casa, anticamente dimora dei miei avi che erano stati al servizio di una potente famiglia feudale, quella dei Marzano. Casa ormai invasa da siepi e ortiche, Esistevano le mura esterne, i pavimenti in tavola e le pareti di canne impastate con il gesso. La restaurai nel migliore dei modi e la donai, anch’essa, al Patriarcato che la destinò a monastero”.9
Il bios di san Filarete è stato scritto dal monaco Nilo del monastero delle Saline, che si dice contemporaneo del Santo ed è anche biografo di san Nicodemo. La vita è contenuta nel Codice Messinese Greco 29, ff. 3-14, 115, 130, nel Codice Napo-letano II, A, 26, ff. 329-346 e nel Codice Palermitano II, E, II, L 409. La Acolutia è nel Vaticano Greco 1538, ff. 264-265. Nel Codice E, g, I di Grottafer-rata è contenuto il “Syntomon” pubblicato da G. SCHIRÒ, Quattro inni per Santi calabresi dimenticati, in Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, XV (1946), pp. 22-23.
U.MARTINO, Nilo. Vita di san Filarete di Seminara (testo greco con traduzione italiana), Reggio Calabria 1993.
G. MARAFIOTI, Cronache e antichità di Calabria, Padova 1601.
GAETANI, Vitae Sanctorum Siculorum, vol. II, Palermo 1657, pp. 112-127
A. MONGITORE, Vita di San Filareto confessore, Palermo 1703
Acta Sactorum, 8 aprile, Antverpiae 1675, p. 753.
A. BASILE, Il monastero di Sant’Elia Nuovo e di San Filareto presso Seminara, in Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, XV (1944), pp. 143-157, 261-267
E. Russo, San Filarete di Calabria, in Enciclopedia Cattolica, vol. V, Firenze 1950, col. 1290 D. FANGARI, Il monastero di San Filareto in Seminara, in Brutium, XXX (1951);
F. Russo, San Filarete di Calabria, in Bibliotheca Sactorum, vol. V, Ro-ma 1964, coll. 680-682.
N. FERRANTE, Il monastero di Sant’Elianovo e Filareto in Seminara, in Historica, XXXII (1979), pp. 189-199; IDEM, Santi italogreci, Reggio Calabria 1999 (V ed.), pp. 331 -337.
M. H. LAURENT – A. GUILLOU, Le “Libere Visitationis” d’Athanase Chalkeopoulos, Città del Vaticano 1960, pp. 109-112, 295.
SALMO 1 – traduzione dalla LXX e commentario patristico
1 Beato l’uomo che non partecipa all’assemblea degli empi, e non permane nella via dei peccatori e non siede sulla cattedra pestilenziale, 2 ma la sua volontà è nella legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte. 3 Sarà come albero piantato presso corsi d’acqua, che al tempo giusto dona il suo frutto e le sue foglie non cadranno e tutto quello che fa prospererà. 4 Non così gli empi, non così, ma come pula che è spazzata dal vento dalla faccia della terra; 5 perciò non (ri)sorgeranno gli empi nel giudizio né i peccatori nell’assemblea dei giusti, 6 poiché il Signore conosce il cammino dei giusti, mentre la via degli empi perirà.
NOTE:
1 Questo termine ἀναστήσονται – da ἀνίστημι – è usato nei vangeli e dai primi cristiani per descrivere la risurrezione di Gesù. Il versetto 4 ed il versetto 5 potrebbero essere stati letti come profezia del giudizio, ovvero, che gli empi sono rimossi dalla faccia della terra. Nel versetto 1.4b la LXX dice degli empi, ἀλλ᾽ ἢ ὡς ὁ χνοῦς, ὃν ἐκριπτεῖ ὁ ἄνεμος ἀπὸ προσώπου τῆς γῆς. La LXX aggiunge una frase che non troviamo nel Testo Masoretico – TM -, “…dalla faccia della terra (ἀπὸ προσώπου τῆς γῆς).” Quindi gli empi sono come la pula spazzata via dal vento (come dice anche il TM) dalla faccia della terra (che va oltre il TM). Ricordiamo che gli apostoli e le prime comunità cristiane leggevano e citavano la traduzione greca della Bibbia detta dei Settanta. Il testo della LXX è ancora quello di riferimento delle chiese ortodosse mentre il protestantesimo ed il cattolicesimo considerarono più fedele all’originale il testo Masoretico adottato dalle comunità ebraiche.
“L’espressione non risorgeranno gli empi nel giudizio, vuol dire che gli empi risorgeranno per andare incontro piuttosto che al loro giudizio alla loro condanna, in quanto non avendo Dio bisogno di istruire un lungo processo, gli empi avranno la pena che si meritano al momento stesso della risurrezione”. Cirillo di Gerusalemme, Le catechesi 18, 14
TESTI PATRISTICI
Basilio di Cesarea, Omelie sui Salmi, l, 5-6
“Quello che le fondamenta rappresentano per una casa, la catena per una nave, e il cuore per un corpo vivente, questo breve proemio rappresenta per l’intero edificio dei Salmi. Infatti il salmista aveva l’intenzione di esortare a sopportare le angosce, grondanti di sudore e di fatica. Con questo proemio ha mostrato a coloro che lottano per la pietà il fine beato, affinché nella speranza dei beni futuri noi sopportiamo i dolori della vita senza paura”.
“È distintamente e primieramente beato ciò che è veramente buono, e questo è Dio. Così anche: Paolo, quando vuole menzionare Cristo, dice: Nel nome del Van gelo del Dio beato, il Salvatore nostro Gesù Cristo (cf. 1 Tm 11 e Tt 2, 13). È allora veramente beato ciò che è bene di per sé, verso cui tutti si rivolge, a cui tutto tende, di una natura immutabile; colui che ha una dignità sovrana, una vita impassibile, un’esistenza senza dolore, in cui non esiste alterazione, cui non si addice alcun mutamento, una fonte sgorgante, una carità eccelsa, un tesoro inesauribile. Purtroppo uomini ignoranti, legati al fattore esteriore delle cose, non conoscendo la natura del vero bene, spesso stimano tanto cose di nessun valore, con riferimento per esempio alla ricchezza, alla salute, alla vita esteriore. Nessuno di questi però è un vero beato per propria natura; non solo perché è in grado di mutarsi facilmente nel suo opposto, ma perché soprattutto non può rendere buono chi lo possiede. Chi infatti può essere reso giusto dalla ricchezza? Chi saggio dalla salute? Accade piuttosto il contrario: ciascuno di questi beni può divenire, nelle mani di chi ne fa un cattivò uso, uno strumento di peccato. Beato allora colui che possiede dei beni veramente degni di stima, che gode di beni che non possono essergli portati via”.
Gregorio di Nissa, Sui titoli dei Salmi 1, 1
La felicità è il fine della vita virtuosa. Infatti tutto ciò che si compie con sollecitudine ha un preciso rapporto con un oggetto determinato; e come l’arte medica mira alla salute e il fine dell’agricoltura è di procacciare i mezzi di sussistenza, così anche l’acquisizione della virtù mira allo scopo per cui chi vive coerentemente ad essa sia felice. Questa è la somma e il fine di tutto ciò che si concepisce secondo il bene. La natura divina potrebbe essere detta a buon diritto incarnare in senso vero e proprio quello che è insito e pensato in questo elevato concetto. In questo modo il grande Paolo definisce Dio, ponendo la beatitudine al primo posto fra tutti gli attributi teologici, esprimendosi con queste parole in una delle sue lettere: Il beato e solo potente, il re dei re e signore dei signori: che unico possiede l’immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessun uomo vide né può vedere, a cui vanno eterno onore e potenza (1 Tm 6, 15-16). Tutti questi alti concetti riguardo al divino; almeno secondo il mio ragionamento, sono per così dire la definizione della felicità. Infatti, se ad uno fosse chiesta la natura della beatitudine, non darebbe risposta empia se, seguendo la voce di Paolo, dicesse che può essere definita felicità in senso proprio e primario quella natura che è al di sopra del tutto, mentre la felicità propria dell’uomo è quella che in certa misura si genera e si definisce per partecipazione a ciò che è realmente essere, che è appunto la natura del partecipato. L’assimilazione a Dio è così la definizione della felicità umana.
Clemente Alessandrino, Gli stromati, 2, 15,68
Il consiglio dei malvagi indicherebbe i teatri e i tribunali, o meglio, l’ossequio alle potenze rovinose del male e l’associazione alle loro opere.
Agostino di Ippona, Esposizioni sui Salmi 1,1
Beato l’uomo che non va secondo il consiglio degli empi: queste parole vanno riferite a Nostro Signore Gesù Cristo, cioè all’Uomo del Signore. Beato l’uomo che non va secondo il consiglio degli empi, come l’uomo terrestre il quale acconsentì alla donna ingannata dal serpente, trasgredendo in tal modo ai precetti divini. E nella via dei peccatori non si ferma: poiché se Cristo è realmente passato per la via dei peccatori, nascendo come i peccatoti, non vi si è fermato dato che non lo hanno trattenuto le lusinghe del mondo. È sulla cattedra di pestilenza non si siede: ossia non ha ambito per superbia un regno terreno. Giustamente la superbia è definita cattedra di pestilenza, in quanto non vi è quasi nessuno alieno dalla passione del potere e che non aspiri a una gloria umana: e la pestilenza non è dal canto suo che una malattia largamente diffusa e che coinvolge tutti, o quasi tutti. Tuttavia, in senso più pertinente, si può intendere con cattedra della pestilenza anche una dottrina perniciosa, il cui insegnamento si diffonde come un tumore maligno. È poi degna di considerazione la successione delle parole: va; si ferma, si siede. L’uomo se ne è andato quando si è allontanato da Dio; si è fermato quando si è compiaciuto nel peccato; si è seduto quando, appesantito dalla sua superbia, non ha più saputo tornare indietro, se non fosse stato liberato da colui che noti è andato secondo il consiglio degli empi, non si è fermato sulla via dei peccatori, non si è seduto sulla cattedra della pestilenza.
Cesario di Arles, Sermoni 75, 3
Quando cantiamo Benedetto colui che medita sulla legge del Signore giorno e notte, rifiutiamo ogni altra occupazione inutile, i giochi, le conversazioni oziose ed empie, come il veleno del diavolo. Frequentemente leggiamo e rileggiamo le divine lezioni, oppure, se non possiamo leggere da soli, spesso e attentamente ascoltiamo gli altri leggerle.
Giovanni Damasceno, La fede ortodossa 4, 17
L’anima irrigata dalla divina scrittura s’impingua e dà un frutto maturo, cioè la retta fede, ed è ornata da foglie sempreverdi, e cioè le azioni gradite a Dio: infatti dalle Sante Scritture siamo ammaestrati all’azione virtuosa e alla pura contemplazione.
Girolamo, Omelie sui Salmi 1, 3
Quest’ albero produce due cose: frutti e foglie. Il frutto è il significato che si nasconde nelle Scritture; le foglie le parole pure e semplici. Il frutto è nel significato, le foglie nelle parole. Chiunque perciò legga le Sacre Scritture, leggendo al modo dei Giudei, si ferma alle foglie; se invece scava nel suo significato profondo, ne raccoglie i frutti.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulle statue 8, 4
Come la pula è esposta ai soffi del vento e facilmente può essere raccolta e spazzata via, così è anche il peccatore trascinato dalla tentazione. Infatti, se un peccatore è in guerra con se stesso, quale speranza di salvezza egli possiede, visto che la sua stessa coscienza diviene il nemico più pericoloso?
Agostino, Esposizioni sui Salmi 1, 6
Perché conosce il Signore la via dei giusti. Così come si dice che la medicina conosce la salute, ma non le malattie, e tuttavia anche le malattie si conoscono per mezzo dell’arte medica, allo stesso modo si può dire che il Signore conosce la via dei giusti e non quella degli empi. Non che il Signore ignori cosa alcuna anche se dice ai peccatori: Non vi conosco (Mt 7, 23); e vengono poi le parole ma la via degli empi va in-malora, ed è come se si dicesse: il Signore non conosce la via degli empi; ma più efficacemente viene affermato che essere ignorati dal Signore è perire, ed essere conosciuti da Dio è permanere, poiché alla conoscenza di Dio attiene l’essere, così come all’ignoranza il non essere. Dice infatti il ·Signore: Io sono Colui che è e Colui che è mi ha mandato (Es 3, 14).
Cirillo di Gerusalemme, Le catechesi 18, 14
“L’espressione non risorgeranno gli empi nel giudizio, vuol dire che gli empi risorgeranno per andare incontro piuttosto che al loro giudizio alla loro condanna, in quanto non avendo Dio bisogno di istruire un lungo processo, gli empi avranno la pena che si meritano al momento stesso della risurrezione”.
Discepolo di Antonio il Grande che, alla morte di quest’ultimo, prima di diventare Vescovo, pare che passò a dirigere la colonia di monaci di Pispir. Non ci sono dati certissimi ed il dubitativo lo mettiamo perché all’epoca in Egitto il nome Ammonas era abbastanza diffuso. A lui sono state attribuite 14 lettere che rappresentano un’ottima fonte – una delle più importanti dopo gli Apoftegmi – per conoscere il monachesimo primitivo fiorito nel deserto egiziano.
La nostra traduzione e la numerazione sono basate sul testo siriaco tradotto in francese e spagnolo:
Lettres des Pères du désert. Ammonas, Macaire, Arsène, Sérapion de Thmuis, Abbaye de Bellefontaine 1985, pp. 3-54 , publicada por D. Bernard Outtier y D. Lucien Regnault (monjes de Solesmes) in (Spiritualité orientale, nº 42)
Cuadernos Monásticos n. 113 (1995), Introducción a las Cartas de Ammonas
La traduzione del testo greco è disponibile in italiano nel volume: R. Cherubini, Conoscere Dio, Lettere ed altri scritti di Ammonas, Urbaniana University Press, 2011.
Lettera I1[Salute]
1. Prima ditutto, carissimi fratelli, prego per la vostra salute spirituale. Perché le cose visibili sono temporanee, ma le cose invisibili sono eterne (2 Cor 4,18). Ora vedo che il vostro corpo è spirituale e pieno di vita2. Ora, se il corpo ha la vita, Dio gli darà un’eredità3. e sarà considerato erede di Dio. Dio gli pagherà la ricompensa per tutto il suo lavoro, perché ha avuto cura di conservare in vita tutto il suo frutto, per essere considerato erede di Dio. Ora sono felice per voi e per il vostro corpo, perché è pieno di vita. D’altra parte, colui il cui corpo è morto non sarà considerato erede di Dio; inoltre, Dio lo accusa quando parla per mezzo del profeta, in questi termini: Grida forte, non fermarti, alza la voce come una tromba! Fai conoscere al mio popolo i suoi peccati e alla casa di Giacobbe le sue iniquità! Mi cercano giorno dopo giorno e vogliono avvicinarsi a Dio, dicendo: “E allora? Abbiamo digiunato e tu non l’hai visto. Abbiamo umiliato la nostra anima e tu non lo sapevi» (Is 58,1-3).
Ecco cosa risponde loro: Perché nei giorni del loro digiuno si sono trovati a fare la propria volontà, e opprimono tutti i loro operai e maltrattano i loro nemici; digiuni per citare in giudizio e combattere. Non è così che la tua voce sarà ascoltata in alto oggi! Questo non è il digiuno che ho scelto, dice il Signore; Ora puoi chinare il collo come un asino e sdraiarti su sacco e cenere, ma non chiamarlo digiuno accettabile (Is 58,3-5). Questo è un corpo morto4; Per questo il Signore non li ascolta quando pregano Dio, ma, al contrario, li accusa. E inoltre, riguardo a questi, nel Vangelo si dice: Se la luce che è in te è tenebra, quante tenebre ci saranno! (Mt 6,23). Il profeta aggiunge severamente su di loro: Tutta la sua giustizia è come il lino macchiato di una donna (Is 64,6). Quindi ora è un corpo morto. 2. Ma voi, carissimi fratelli, non avete nulla in comune con quel cadavere, perché il vostro corpo è pieno di vita. Prego Dio per voi, perché vegli su di voi, che il vostro corpo non cambi, ma anzi cresca con voi e cresca in grazia e gioia, nell’amore fraterno e nell’amore per i poveri, nei buoni costumi e in tutti i frutti della giustizia, finché non lasceremo questa vita e ci ricevano in quella magione5 dove non c’è tristezza, né pensiero cattivo, né malattia, né tribolazione, ma gioia e felicità6 gloria e luce eterna, paradiso e frutto che non passa; e che arriviamo7 alle dimore degli angeli e all’assemblea dei primogeniti, i cui nomi sono scritti nei cieli (Eb 12,22-23), e a tutte le promesse di cui non possiamo parlare ora. 3. Vi ho scritto queste cose per amor vostro, affinché i vostri cuori si rafforzino. Ci sono ancora molte (altre) cose che vorrei scrivervi, però da un’opportunità al saggio, ed egli diverrà più saggio (Pr 9,9). Possa Dio preservarti da questo mondo malvagio, affinché tu possa essere sano nel corpo, nello spirito e nell’anima; ti dia intelligenza in tutto (2 Tm 2,7), perché tu sia libero dall’errore di questo tempo.
Comportatevi bene nel Signore, miei carissimi fratelli. Ogni corpo morto viene all’uomo per amore della vanagloria e dei piaceri8.
NOTE:
1 È conservato solo in siriano (n. 1), georgiano (n. 13, inedito), arabo (con n. 15) e armeno (con n. 2).
2 Il testo siriaco porta corpo, mentre il georgiano, l’arabo e l’armeno leggono frutti.lettura corpo è la “lectio difficilior”, prediletta da D. Outtier e D. Regnault. Deve essere inteso come «il rinnovamento dello stesso corpo per opera dello Spirito Santo, anticipazione della condizione risorta» (Lettres, p. 17, nota 1).
3 Antonio, Epistola 5,4.
4 Quello che segue, fino alla fine del paragrafo, manca alla versione siriaca.
5 Il siriaco recita: “Dio ci riceva ciascuno in quella magione”.
6 Antonio, Epistola 4,12.
7 Siriaco: “E possa Egli riceverci.”
8 Georgiano, arabo e armeno portano: “E dai piaceri del corpo”.
Lettera II9[Forza]
1. A coloro che sono cari nel Signore, un gioioso saluto!
Se uno ama il Signore con tutto il suo cuore e con tutta la sua anima (Dt 6,5; Mt 22,37), e rimane nel timore con tutte le sue forze10, il timore produrrà il pianto, e le lacrime gli daranno la sua felicità. La gioia produrrà forza e, attraverso di essa, l’anima porterà frutto in ogni cosa. E Dio, vedendo che il suo frutto è così bello, lo riceve come un profumo gradevole. In tutte queste cose si rallegrerà Dio in lei [=l’anima] con i suoi angeli11; e le darà un guardiano che la custodirà in tutte le sue vie (Sal 90,11) per condurla al luogo di riposo12, affinché Satana non la governi. Perché quando il diavolo vede il guardiano, cioè la forza che è intorno all’anima, fugge e non osa avvicinarsi all’uomo, temendo la forza che è intorno a lui. Per questo, amatissimi nel Signore, voi che la mia anima ama, so che siete amici di Dio. Acquisite, dunque, questa forza per voi stessi, affinché Satana vi tema e possiate agire con saggezza in tutte le vostre azioni. Così la dolcezza della grazia verrà su di te e farà crescere il tuo frutto13. Perché la dolcezza della grazia spirituale è più dolce del miele e del favo (Sal 18,11), e pochi14 monaci e vergini hanno conosciuto questa grande dolcezza della grazia15, tranne pochi in certi luoghi, perché non hanno ricevuto la forza divina16. Non hanno coltivato quella forza, e perciò il Signore non gliela ha data; perché a tutti coloro che la coltivano, Dio la dona. Dio non ha riguardo per le persone (At 10,34), ma la dona di generazione in generazione a coloro che la coltivano.
2. Ora, carissimi, so che siete amici di Dio e che, dal momento in cui siete venuti a quest’opera [=vita monastica], amate Dio con tutto il vostro cuore, con la sincerità dei vostri cuori. Acquisite dunque quella forza divina, per trascorrere tutta la vostra vita nella libertà, nella gioia e nella felicità17, affinché l’opera di Dio18 si renda facile per voi. E quella forza che è data all’uomo quaggiù, lo farà riposare, finché non avrà superato tutte le potenze dell’aria (Ef 2,2). Poiché nell’aria ci sono potenze che ostacolano il cammino degli uomini e non vogliono che salgano verso Dio19. Perciò ora preghiamo Dio incessantemente, affinché queste potenze non ci impediscano di ascendere verso Dio, perché finché i giusti hanno con sé la forza divina, nessuno può ostacolarli. Affinché quella forza dimori nell’uomo, ecco come coltivarla20: disprezzare tutti gli oltraggi e gli onori umani, odiare tutti i vantaggi di questo mondo che sono considerati preziosi21 e tutti i piaceri del corpo, purificare il cuore da tutti i pensieri impuri e da tutta la vuota saggezza di questo mondo, e chiedere (forza) giorno e notte, con lacrime e digiuni. E Dio, che è buono, non tarderà a darteli, e quando ve li avrà dati, trascorrerete tutto il tempo della vostra vita in pace e tranquillità; troverete la libertà davanti a Dio ed Egli esaudirà tutte le vostre richieste, come sta scritto (Sal 36,4; Mt 21,22)22.
Ci sono tante altre cose che vorrei scriverti, ma questo poco vi ho scritto per il grande amore che ho per voi. Con tutto il cuore siate buoni nel Signore, onorevoli fratelli, amici di Dio23
NOTE:
9 È conservato in Siriaco (n. 2), georgiano (n. 1), greco (n. 2) e arabo (n. 9).
10Siriaco e arabo: “E con tutte le sue forze acquista paura”.
11 Vedi Lc 15,10; Antonio, Epistola 3,1.
12 Il Siriaco dice: “Finché non sia entrato nel luogo della vita”. L’inizio di questa lettera è conservato in copto, in una raccolta di Apothegms: Annales du Musée Guimet, t. 25, pag. 25 (Lettres, p. 19, nota 2).
13 Siriaco: “La dolcezza di Dio, per quanto è possibile, produrrà forza in te.” Greco: “Affinché la dolcezza della grazia progredisca e faccia crescere il suo frutto”.
14 Greco: “La maggior parte”.
15 Siriaco: “Dolcezza della divinità”; Arabo: “Dolcezza dell’amore divino”.
16 Greco: “Perché non hanno ricevuto la forza celeste”.
17 Siriaco: “In modo che tu possa lavorare in ogni momento con facilità e gioia.” Il greco omette “gioia e letizia”.
18 Siriaco: “Tutta l’opera di Dio”.
19 Cfr Atanasio di Alessandria, Vita di Antonio 65.
20 Siriaco: “L’effetto dell’opera divina”; Georgiano: “Le sue opere”.
21 Il siriaco e l’arabo omettono “che sono considerati preziosi”.
22 Il greco continua con la lettera 3, che è la 4 del siriaco. “Se dopo averlo ricevuto, il fervore divino si allontana e ci abbandona, domandatelo di nuovo e tornerà. Infatti il fervore divino è come fuoco e trasforma il freddo nella propria stessa potenza. Se vedete il vostro cuore ad un certo momento appesantito, mettete la vostra anima davanti a voi ed esaminatela mentalmente con un santo ragionamento, così che per forza si scalderà di nuovo e brucerà in Dio. Il profeta Davide stesso, quando vide il suo cuore appesantito disse: Ho versato la mia anima su di me (Sal 41,5), ho ricorsato i giorni passati e ho meditato su tutte le tue opere (Sal 142,5), e così via. In questo modo ha fatto si che il suo cuore si riscaldasse di nuovo ed ha ricevuto la dolcezza del Santissimo Spirito”
23 “Onorevoli fratelli, amici di Dio”, è la lezione del georgiano; Siriaco: “In ogni opera dell’amore di Dio”.
Lettera III 24 [Umiltà]
Agli onoratissimi fratelli nel Signore, un gioioso saluto!25
1. Vi scrivo questa lettera come grandi amici di Dio, che lo cercano con tutto il cuore. È a loro, infatti, che Dio ascolta quando pregano, li benedice in tutto ed esaudisce tutte le richieste della loro anima quando lo invocano. Ma in quanto a coloro che si accostano a Lui, non con tutto il cuore, ma dubitando e compiendo le loro opere per essere glorificati dagli uomini (Mt 6,2), Dio non ascolta le loro richieste, ma anzi si adira con loro, perché sta scritto: Dio disperderà le ossa di coloro che cercano di piacere agli uomini (Sal 52,6)26. 2. Vedi come Dio è adirato con le loro opere e non esaudisce nessuna delle loro richieste; anzi, li resiste, poiché fanno le loro opere non con fede, ma secondo l’uomo. Per questo la forza divina non abita in loro, sono malati in tutte le opere che compiono. Per questo non conoscono la potenza della grazia, né la sua facilità né la sua gioia, ma la loro anima è ostacolata in tutte le sue opere come da un peso. Tale è la maggioranza dei monaci27, non hanno ricevuto la forza della grazia che anima l’anima, la dispone alla gioia e le dona ogni giorno quella gioia che fa ardere il suo cuore in Dio28. Perché quello che fanno, lo fanno secondo l’uomo; così la grazia non è scesa su di loro. La forza di Dio, infatti, odia chi opera per piacere agli uomini29.
3. Perciò, diletti, che amate la mia anima e i cui frutti sono presi in considerazione da Dio, combattete in tutte le vostre opere lo spirito di vanagloria per vincerla in tutto. In modo che tutto il tuo corpo sia gradevole e rimanga vivo con il Creatore, e che tu riceva la forza della grazia, che supera tutte queste cose. Sono convinto, fratelli, che fate di tutto per questo, resistendo allo spirito di vanagloria e combattendolo sempre. Per questo il vostro corpo ha vita. Perché quello spirito maligno si manifesta davanti all’uomo in ogni opera di giustizia che l’uomo inizia, vuole corromperne il frutto e renderlo inutile, per non permettere30 che gli uomini compiano l’opera della giustizia secondo Dio. In effetti, questo spirito malvagio combatte coloro che vogliono essere fedeli. Se alcuni sono lodati dagli uomini come fedeli o umili o misericordiosi, immediatamente questo spirito malvagio si impegna contro di loro; e certamente è vittorioso, dissolve e distrugge i loro corpi31, perché li incita a compiere le loro azioni virtuose con la preoccupazione di piacere agli uomini e così perde i loro corpi32. Finché gli uomini credono di avere qualcosa, davanti a Dio non hanno nulla33. Per questo Dio non dà loro forza, ma li lascia vuoti, poiché non ha trovato i loro corpi pronti per essere saziati, e li priva della grandissima dolcezza della grazia.
4. Ma voi, carissimi, combattete contro lo spirito di vanagloria e pregate sempre, per vincerlo in tutto; affinché la grazia di Dio sia sempre con voi. Chiederò a Dio, nella sua bontà, di darvi questa forza e questa grazia34 in ogni momento, perché niente è più eccellente di questo35. Se vedi il fervore divino allontanarsi e abbandonarti, chiedilo ancora e ti tornerà. Perché quel fervore è come un fuoco che cambia il freddo nella sua stessa natura. Se vedi il tuo cuore improvvisamente addormentato in certi momenti, poni la tua anima davanti a te, sottoponila alla prova di un pio interrogatorio, e così, necessariamente, sarà di nuovo calda e infiammata in Dio. Perché anche il profeta Davide, vedendo la sua anima travolta dal dolore, parlò così: Ho riversato l’anima su me stesso (Sal 41,6), ho ricordato i tempi antichi, ho meditato tutte le tue opere, ho disteso verso di te le mie mani L’anima mia, come terra arida, sospirò per te (Sal 142,5-6). Così agì Davide quando sentì il suo cuore sopraffatto e freddo, finché non restituì il calore e ricevette la dolcezza della grazia divina36.
Notte e giorno osservava e supplicava. Fai anche tu questo, amatissimo, e crescerai e Dio ti rivelerà i suoi grandi misteri.
Il Signore ti conservi irreprensibile e sano nell’anima, nello spirito e nel corpo, finché non ti conduca alla sua propria dimora37 con i tuoi padri38 che hanno combattuto bene e hanno terminato la loro corsa in Cristo, al quale sia la gloria nei secoli dei secoli.
NOTE:
24 Questa epistola può essere letta nelle versioni siriaca (n. 3), georgiana (n. 2), greca (n. 6), araba (n. 10).
25 Questo saluto manca in siriaco e arabo. In greco si legge solo: “Saluti”.
26 Nell’Epistola Arsenio (nº 68) si trova la stessa citazione biblica (tutto il versetto); vedere Lettere, pag. 112.
27 Siriaco e arabo aggiungono: “Del nostro tempo”.
28 Siriaco: “La dolcezza che rende il cuore ardente per Dio.”
29 Greco: “Fa le sue azioni per rispetto umano”.
30 Siriaco aggiunge: “Per quanto può.”
31Siriaco: “Ma come fa a distruggere (i loro corpi) e sottometterli in modo che perdano il loro modo di vivere e la loro virtù? Quando li incita…”
32 Siriaco: “Quando pensano di possedere qualcosa dall’uomo.”
33Da “prima”, questa frase manca in siriaco.
34Invece di forza e grazia, il siriano porta “gioia”.
35Questo pezzo da “Ma voi” a “eccellente” manca dal greco.
36Da: “Se vedi…”, la traduzione corrisponde all’epistola 2,3 del testo greco. Questa versione non include la citazione dal versetto 6 del Sal 142; e termina dicendo: “Così il suo cuore si infiammò di nuovo e ricevette la dolcezza dello Spirito santissimo”. Ciò che segue non si trova in greco.
37Il siriaco aggiunge: “Nel regno”.
38Il siriaco conclude così: “Che hanno posto fine alla loro vita per sempre. Amen”.
NOTE:
39N. 4 in siriaco e georgiano, n. 3 in greco e n. 11 in arabo.
40 Questo saluto manca in siriano.
41Gal 4.28 .
42Cfr. l’ Apotegma, dalla serie alfabetica, Pastor 52; PG 65.333.
43Il siriaco porta: “E l’illuminazione degli occhi”.
44Siriaco: “figli adottivi”; vedere Rm 8.15.
45“Né uomo né diavolo” non si legge in georgiano e nemmeno in greco.
46Greco: “Conoscerlo”.
47Siriaco: “Affinché conoscano le ricchezze dell’eredità dei santi.
48Siriaco: “Possa questa discrezione essere definitivamente radicata in te.”
49Il siriaco e l’arabo leggono: “tuo padre”, invece di “umile”.
50Greco: “Pochi numerosi benedetti da Dio”.
51Greco: “Dal menzionare tra voi il nome di un monaco…”.
52Siriaco: “Dalla comunità.”
Lettera V 53 [Paternità spirituale]
All’amato nel Signore.
1. Tu sai che l’amore di Dio esige l’amore del prossimo incessantemente. Ora, il prossimo è colui che è stato chiamato alla vocazione celeste. Il servo di Dio prega notte e giorno per il prossimo, come per se stesso. E poiché sei anche il mio prossimo, ti ricordo notte e giorno nelle mie preghiere, affinché la tua fede cresca e tu acquisisca maggiore forza54. Lo faccio per voi, perché in Dio siete considerati figli. Timoteo era considerato un figlio da Paolo, e gli scrisse quanto segue: Ti ricordo notte e giorno nelle mie preghiere e desidero vederti. Ricordo le tue lacrime e sono pieno di gioia, perché ricordo la fede sincera che hai55 (2 Tm 1,3-5). 2. Ora, mio carissimo, come fece Paolo con Timoteo, anche il mio cuore desidera vederti, ricordando i tuoi gemiti e il dolore del tuo cuore.
Ma so che anche tu vuoi vedermi e che è molto redditizio per te. Paolo, infatti, ha detto: voglio andare a vederli, per dare loro qualche grazia spirituale che li rafforzi (Rm 1,11). Perciò, sebbene siano molto istruiti dallo Spirito Santo, se vado a visitarli, li affermerò molto con la dottrina dello stesso Spirito, e farò loro conoscere anche altre cose che non posso scrivere loro con lettera.
Comportati bene nel Signore, nello Spirito di bontà.
NOTE:
53È conservato in siriaco (n. 5), georgiano (n. 5) e arabo (n. 12).
54Cfr. Lettera 2 di Ammonas.
55Siriaco: “Libero dal rispetto delle persone”.
Lettera VI56 [La paternità spirituale. Preghiera per i vostri figli]
1. Notte e giorno prego perché cresca in voi la forza di Dio e vi riveli i grandi misteri della divinità, dei quali non posso parlare con la mia lingua, perché sono grandi; non sono di questo mondo e si rivelano solo a coloro il cui cuore è purificato da ogni macchia e da ogni vanità di questo mondo; coloro che hanno preso la loro croce e che insieme a questo si odiano e sono stati obbedienti a Dio in tutto. In questi dimora la divinità e lei nutre la sua anima. Infatti, come gli alberi non crescono se non sono raggiunti dalla forza dell’acqua, così l’anima non può crescere se non riceve la gioia celeste. E tra coloro che la ricevono, ve ne sono alcuni ai quali Dio rivela i misteri celesti, mostra loro il loro posto57, mentre sono ancora nel corpo, ed esaudisce tutte le loro richieste.
2. Ecco dunque la mia preghiera notte e giorno: che tu raggiunga quel grado e che tu conosca le infinite ricchezze di Cristo (Ef 3,8), poiché sono pochi quelli che sono stati resi perfetti. E sono coloro per i quali sono stati preparati i troni, affinché siedano con Gesù per giudicare gli uomini58. Perché in ogni generazione ci sono uomini giunti a quella misura, per giudicare ciascuno della sua generazione59. Questo è ciò che ti chiedo incessantemente in virtù dell’amore che ho per te. Il beato Paolo disse a coloro che amava: Io voglio dare loro non solo il vangelo di Cristo, ma anche la nostra vita, perché ci sono diventati molto cari (1Ts 2,8 ). Ho mandato a te mio figlio, finché Dio non mi conceda di venire corporalmente a te, per aiutarti a progredire ancora di più. Perché quando i genitori ricevono figli, Dio è in mezzo a loro da entrambe le parti.
Resta in pace e comportati bene nel Signore.
NOTE:
56È conservato solo in siriaco (n. 6), georgiano (n. 6) e arabo (n. 13).
57 Nel senso di dimore celesti.
58 Siriaco: “A chi sono le grandi promesse del Figlio; ricevono grazie e aiutano gli uomini”.
59 Siriaco: “E ciascuno di questi è un esempio per la sua generazione, affinché colui che è considerato perfetto sia un esempio per gli uomini”.
Lettera VII60[Il carisma dei Padri]
1. All’amato nel Signore, che ha una parte nel Regno dei cieli. Allo stesso modo in cui cerchi Dio imitando tuo padre61, credo che anche tu riceverai le stesse promesse, perché sei stato annoverato nel numero dei suoi figli. Perché i figli ereditano la benedizione dei genitori62, imitando il loro zelo. Per questo il beato Giacobbe, imitando in tutta la pietà63 dai suoi genitori ricevette da loro la benedizione; e quando fu benedetto dai genitori, vide subito alzarsi la scala e salire e scendere gli angeli (Gn 22,1-12). Ora, dal momento in cui alcuni sono benedetti dai genitori e vedono le forze divine, nulla può disturbarli. Perché il beato Paolo quando vide quelle stesse forze divine, rimase impassibile64 e gridò dicendo: «Chi mi separerà dall’amore di Cristo?65La spada, la fame, la nudità? Ma né angeli né principati né potenze, né altezza né profondità, né altra creatura potrà separarmi dall’amore di Dio?».66 (Rm 8,35-39).
2. Ora dunque, mio caro, preghiamo incessantemente notte e giorno affinché le benedizioni dei nostri padri e le mie67 vengano a te; e così le forze degli angeli restino con te68, affinché tu trascorra il resto dei tuoi giorni con tutta la gioia del cuore. Se, infatti, qualcuno raggiunge quel grado, la gioia di Dio sarà sempre con lui, e allora farà tutto senza fatica. Perché sta scritto: La luce dei giusti non si spegne mai, ma la luce degli empi si spegnerà (Pr 13,9)69. Chiedo anche che dovunque io vada, venga anche tu70, e lo faccio per la tua obbedienza. Quando il Signore vide l’obbedienza dei suoi discepoli71, pregò per loro il Padre dicendo: «Perché dove sono io siano anche questi, perché hanno ascoltato le mie parole» (Gv 17,24 ). E chiede ancora che siano preservati dal Maligno (Gv 17,15), fino a raggiungere il luogo di riposo. Anch’io prego e chiedo allo stesso Signore che siate preservati dal Maligno fino al vostro arrivo nel luogo del riposo di Dio, e che otteniate la benedizione. Giacobbe infatti dopo la scala vide il capo degli angeli faccia a faccia (Gn 28,12), (poi) combatté con l’angelo e lo sconfisse (Gn 32,24-29). Dio ha fatto questo per benedirlo ancora di più.
Dio, che servo fin dalla mia giovinezza, ti benedica (ancora di più)72, e tu, mio prediletto, comportati bene.
NOTE:
60È conservato in siriano (n. 7), georgiano (n. 7) e arabo (n. 14).
61Siriano: “Ai loro padri nella fede”.
62Siriaco: “I figli ricevono la benedizione dei genitori…”
63Siriaco: “La misericordia di Dio”.
64Siriaco: “E’ stato reso incapace di passione.”
65Cfr Vita di Antonio 8 e 35.
66Georgiano: “Dall’amore di Cristo”; Arabo: “Dall’amore di Dio nel Signore nostro Gesù Cristo”. Viene adottata la lettura siriaca.
67 Siriaco: “Le benedizioni dei miei padri…” 68 Siriaco: “Gli eserciti degli angeli si rallegreranno di te in ogni cosa”. 69 Il testo siriaco omette la seconda parte della citazione dei Proverbi (“ma la luce dei malvagi…”). 70Siraco: “Chiedo che anche tu possa raggiungere la magione della vita.” 71Siriaco: “Verso di Lui”. 72Da qui alla fine, disperso nel siriaco.
Lettera VIII 73[Il carisma che abbiamo ricevuto dai nostri padri]
All’amato nel Signore.
1. Ti scrivo come a figlio carissimo, perché i genitori carnali amano più i figli che gli somigliano. Vedo anche te (così), perché tu progredisci imitando me; e chiedo a Dio che ciò che ha dato a me, tuo padre74, lo dia anche a te. Prego che75 possa comunicarti gli altri misteri che non mi è possibile scriverti per lettera. Siate forti nella pace della misericordia del Padre, affinché il carisma che hanno ricevuto i vostri padri, lo riceviate anche voi76. Se volete riceverlo77, dedicatevi all’opera del corpo e all’opera del cuore, rivolgete i vostri pensieri al cielo notte e giorno, chiedete con tutto il cuore lo Spirito di fuoco78, e vi sarà dato. Perché quello stesso Spirito si ha con Elia il Tesbita, con Eliseo e gli altri profeti. Ma guarda che pensieri di dubbio non si insinuano nel tuo cuore, dicendo: “Chi può riceverlo?” Non permettere che ci entrino79, ma chiedi con retta intenzione e riceverai. 2. Io stesso, tuo padre, prego per te80, perché tu riceva lo Spirito, perché so che hai dato la vita per riceverlo81. Chi lo coltiva di generazione in generazione lo riceverà, e questo Spirito abita nei retti di cuore. Ti assicuro82 che cerchi Dio con cuore retto. Quando riceverai quello Spirito, Egli ti rivelerà tutti i misteri celesti. Perché ti rivelerà molte cose che non posso scrivere su carta. Allora sarai libero da ogni paura, una gioia celeste ti circonderà e ti sentirai come se fossi già stato portato nel regno (dei cieli), mentre sei ancora nel corpo. Non avrai più bisogno di pregare per te stesso, ma solo per il prossimo83. Perché Mosè, dopo aver ricevuto lo Spirito, pregò per il popolo, dicendo: «Se lo distruggi, cancellami dal libro dei viventi» (Es 32,32). Vedi quale preoccupazione che hanno dovuto pregare per gli altri, quando avevano raggiunto quel grado? Anche molti altri raggiunsero quel grado e pregarono per gli altri.
3. Di tutto questo non posso scriverti ora, ma tu sei saggio e capirai tutto. Quando verrò a visitarti, ti spiegherò più approfonditamente lo Spirito di fuoco84, come deve essere realizzato e ti mostrerò tutte le ricchezze che ora non posso affidare alla carta.
Comportati bene in quello Spirito di fuoco85, progredisci e affermati di giorno in giorno.
NOTE:
73È conservato in siriaco (n. 8); georgiano, con n. 8-9; parzialmente in greco con n. 4; e in arabo col numero 8.
74Siriaco: “Ai nostri benedetti genitori.”
75Siriaco aggiunge: “Posso farti visita in modo che…”
76 Seguiamo la lettura siriaca. Il georgiano è ben diverso: “Sii forte nella pace di quel grande fuoco che ha acceso tuo padre, perché anche tu possa accenderlo”.
77Georgiano: “Coprilo”. Qui inizia il testo greco (comma 8 della lettera IV), che recita: «Se vuoi acquistare la grazia spirituale…»
78Il siriaco porta “Spirito Santo”.
79Greco (lettera IV,9): “Non lasciarti dominare da questi pensieri…”
80Il greco omette “per te”; mentre il georgiano porta: “Prego sempre per te”.
81Il siriaco dice letteralmente: “Hanno rinunciato all’anima…” La frase manca in greco e georgiano.
82 Letteralmente: “Vi attesto…”
83Ciò che segue manca nel greco che pone qui la conclusione della lettera: “Gloria al buon Dio, che favorisce con tali misteri coloro che lo servono con sincerità; a Lui gloria eterna. Amen”.
84Siriaco: “Spirito di allegria”.
85 “Della vita”, porta il siriano.
NOTE:
86 Siriano: “In una grande tentazione”.
87 Siriaco: “Lo scettro del peccatore non rimarrà nella porzione del giusto” (Sal 124,3).
88Siriaco: “Ho aspettato, ho pregato, ero forte e il mio Signore mi ha liberato”. Georgiano: “Ho sopportato la volontà di Dio nella speranza e nella preghiera, e mi ha salvato”.
89Dal siriano manca “Sopportatele”.
90“tutte” manca dalla versione siriaca.
91“grande” manca anche al siriano.
92Il greco aggiunge: “E Giacobbe e Giobbe e molti altri furono tentati…”
93Siriaco: “E l’atleta è apparso come il vincitore”.
94Greco: “Allora, quindi, è al giusto che sopraggiunge la comparsa delle tentazioni”.
95Il siriaco recita: “Non sono scelti (o: autenticati)”; e il georgiano: “Non sono saldi nella fede”.
96Dynamin (“virtutem”). Cfr 2 Tim 3.5. Questa stessa citazione è usata da sant’Antonio nelle sue Lettere, III,3; V,4; VI,3
97Apoftegma Antonio 5; HP 65.77.
98Letterale: “pesante”.
99 Il siriaco e il greco aggiungono: “senza movimento”.
100 Georgiano: “Amare”.
101 Siriano: “Sono ciechi ai loro occhi”.
102 Il siriaco dice: «Della tentazione dell’anima dell’uomo che è progredita, e che discende dal grado di perfezione spirituale…».
103 Il georgiano e il greco aggiungono: “Elia”.
104 Siriaco: “Primo grado” (o: ordine).
105 Citazione dall’opera apocrifa chiamata Ascensione di Isaia, VIII,21. Il siriano aggiunge: “Rispetto a questo” (= il secondo cielo).
106 Il siriaco recita: “Al più alto grado di perfezione”.
107 Il siriaco legge ancora: “Al più alto grado di perfezione”. Nel testo greco manca quanto segue nel finale della frase.
108 “Uomini”, dice il siriano.
109 Siriaco: “Al palazzo della vita.”
Lettera X 110[La tentazione è segno di progresso]
1. Lo Spirito soffia dove vuole (Gv 3,8). Soffia sulle anime pure e rette, e se gli obbediscono, dà loro, all’inizio 111, timore e fervore. Quando ha piantato questo in loro, fa loro odiare tutte le cose di questo mondo112, siano oro, argento, ornamenti; che si tratti di padre, madre, moglie o figlio. E l’opera di Dio rende l’uomo più dolce del miele e del favo (Sal 18,10), sia che si tratti dell’opera di digiuni, veglie, solitudine o elemosina. Tutto ciò è113 di Dio gli sembra dolce114, e gli insegna tutto (Gv 14,26).
2. Quando gli ha insegnato tutto, allora concede all’uomo115 di essere tentato. Da quel momento in poi, tutto ciò che prima era dolce per lui diventa pesante. Ecco perché molti, quando sono tentati, rimangono nello sconforto116 e diventano carnali. Sono quelli di cui dice l’Apostolo: Tu cominciasti con lo spirito e ora finisci con la carne; patirono tutto ciò invano (Gal 3,3-4).
3. Se l’uomo resiste a Satana117 nella prima tentazione, e la vince, Dio gli concede un fervore stabile, calmo e indisturbato118. Perché il primo fervore è agitato e instabile119, mentre il secondo fervore è migliore. Questo genera la visione delle cose spirituali e gli fa fare molta strada120 con implacabile pazienza. Come una nave con un buon vento è spinta forte dai suoi due remi e percorre una grande distanza, così che i marinai sono allegri e riposano, così il secondo fervore concede ampio riposo. 4. Ora dunque, figli miei prediletti, acquistate il secondo fervore per essere saldi in tutto. Perché il fervore divino estirpa tutte le passioni (che vengono) dalle seduzioni, distrugge la vetustà del vecchio uomo e fa diventare l’uomo il tempio di Dio, come sta scritto: Io abiterò e camminerò in essi (2 Cor 6,16). 5. Se vuoi che torni a te il fervore che è andato via, ecco cosa deve fare l’uomo: faccia un patto con Dio121 e dica davanti a lui: “Perdonami per ciò che ho fatto con negligenza, non sarò più disobbediente”. E quell’uomo non cammini più come vuole122, per soddisfare la propria volontà fisicamente o spiritualmente, ma perché i suoi pensieri siano vigili davanti a Dio notte e giorno, e che pianga in ogni momento davanti a Dio addolorandosi, rimproverandosi e dicendo: «Come sei stato (così) negligente fino ad ora e sterile ogni giorno?” Si ricordi tutti i tormenti e il regno eterno, rimproverandosi e dicendo: “Dio ti ha gratificato di tutto questo onore e sei negligente! Il mondo intero ti ha soggiogato e sei negligente! Quando qualcuno si accusa così notte e giorno e a tutte le ore, il fervore di Dio ritorna in quell’uomo, e il secondo fervore è migliore del primo.
6. Il beato Davide quando vede arrivare lo sconforto123 dice: “Ho ricordato gli anni eterni, ho meditato e ricordato i giorni dell’eternità, ho meditato su tutte le tue opere, ho meditato sulle opere delle tue mani. Ho alzato le mani verso di te. L’anima mia ha sete di te come terra asciutta» (Sal 76,6; 142,5-6)124. E dice anche Isaia: «Quando avrai di nuovo gemito, allora sarai salvato e tornerai come eri» (Is 30,15).
NOTE:
110È conservato in siriaco (n. 10b), georgiano (n. 12), greco (n. 8), armeno (n. 1) ed etiope (n. 1). I traduttori francesi (Lettres, p. 12), danno questa epistola numero 10b, nel testo siriaco, poiché la lettera precedente (che sarebbe quindi IX e Xa) copre la prima parte di quella attuale (paragrafi 1, completo, e 2, fino alla citazione dal Vangelo di Gv, escluso).
111 “All’inizio”: aggiunge il siriaco.
112 Il siriaco suona un po’ più radicale: “Il mondo intero”.
113 Siriaco: “Tutto ciò che è fatto per Dio”; Georgiano: “Ogni volontà di Dio”.
114 Passaggio citato in copto, sotto il nome di Antonio, dal Besa; CSCO 157, pag. 100 e CSCO 158, pag. 96-97 (Lettres, p. 35).
115 “All’uomo”, aggiunge il siriaco.
116 Siriaco: “Pesantezza”; vedere Lettera IX, 4-5
117 Non si legge “Satana” in siriaco.
118 Siriaco: “Pacifico, saggio (razionale) e paziente”; georgiano: “Tranquillo e una pazienza senza turbamento”; Etiope: “fermo, costante e senza turbamento”; Armeno: “fermo e una pazienza senza turbamento”.
119Siriaco: “Senza saggezza.”
120Siriaco: “Ingaggia una grande battaglia.”
121 Siriaco: “E ho gridato con il dolore nel cuore.”
122 Il georgiano porta: “nel riposo del corpo”, invece di “a sua volontà”.
123Siriaco: “La pesantezza.”
124 Il siriano omette l’aggettivo “asciutta” (o arida).
Lettera XI125 [Discernere la volontà di Dio. Stabilità]
Ai carissimi nel Signore.
1. Voi sapete che quando la vita dell’uomo cambia e lui inizia anche una nuova vita gradita a Dio e superiore alla precedente, cambia anche il suo nome. Perché, infatti, quando i nostri santi padri andavano avanti nella perfezione cambiava anche il loro nome e ad essi si aggiungeva un nome nuovo, scritto sulle tavole del cielo. Quando Sara progredì gli disse: Non ti chiamerai più Sara, ma Sarra (Gn 17,15), e Abram fu chiamato Abraham;; Isac, Isaac e Giacobbe, Israele; Saulo, Paolo; e Simone, Cefa, poiché le loro vite sono state cambiate e sono diventati più perfetti che prima. Per questo, anche voi siete cresciuti in Dio ed è necessario che i vostri nomi siano cambiati a causa del vostro progresso secondo Dio. Orbene, carissimi nel Signore, che amo di tutto cuore, io cerco il vostro profitto come il mio, perché mi siete stati dati come figli secondo Dio126.
Ho sentito dire che la tentazione li preme, e temo che derivi da una loro colpa: perché ho sentito che vogliono lasciare il loro posto127, e mi sono rattristato, anche se è passato molto tempo da quando mi sono sentito preso dalla tristezza. Perché so benissimo che se ora lasciate il vostro posto, non farete alcun progresso, perché non è la volontà di Dio. Se farete questo e ve ne andrete per vostra stessa decisione, Dio non vi aiuterà né uscirà con voi, e temo che cadrete in una moltitudine di mali. Se seguiamo la nostra volontà, Dio non ci manderà la sua forza, che fa prosperare tutte le vie degli uomini. Se un uomo fa qualcosa pensando che piace a Dio128, mentre ci mescola la sua volontà129, Dio non lo aiuta e il cuore dell’uomo è triste e senza forza in tutto ciò che intraprende. Perché i fedeli si sbagliano, lasciandosi catturare dall’illusione del progresso spirituale. All’inizio, Eva non fu ingannata se non con il pretesto del bene e del progresso. Infatti, avendo udito: Sarete come dèi (Gen 3,5), non ha fatto discernimento della voce di colui che gli parlava130, ha trasgredito il comandamento di Dio e non solo non ha ricevuto il bene, ma è anche caduta sotto la maledizione.
2. Salomone dice nei Proverbi: Ci sono modi che sembrano buoni agli uomini, e conducono negli abissi dell’Ades (Pr 14,12). Dice questo di coloro che non comprendono la volontà di Dio, ma seguono la propria volontà. Coloro che seguono la propria volontà131 e non comprendono la volontà di Dio132, ricevono da Satana, dapprima, un fervore simile alla gioia, ma che non è gioia; e poi porta tristezza e vergogna. Chi invece segue la volontà di Dio prova un grande dolore all’inizio e alla fine trova riposo e gioia. Quindi non fare niente133 finché non vengo a trovarti per parlarti.
3. Ci sono tre volontà che accompagnano costantemente l’uomo, ma pochi monaci le conoscono, tranne quelli che sono diventati perfetti; l’Apostolo dice di loro: Il cibo solido è per i perfetti, per coloro che attraverso la pratica134hanno i sensi allenati a discernere il bene e il male (Eb 5,14). Quali sono queste tre volontà? Una è quella suggerita dal Nemico; l’altra è quella che sgorga nel cuore dell’uomo; e la terza è quella che Dio semina nell’uomo. Ma di queste tre, Dio accetta solo la suo.
4. Esaminatevi dunque: quale di queste tre vi spinge a lasciare il vostro posto? Non partite prima che io vi visiti. Perché conosco la volontà di Dio in questa (materia)135 meglio di te. È difficile, infatti, conoscere in ogni momento la volontà di Dio136. Perché se l’uomo non rinuncia a tutte le sue volontà e si sottomette ai suoi padri secondo lo Spirito, non può comprendere la volontà di Dio. Anche se l’avesse capito, gli mancherebbe la forza per portarlo a termine.137
5. È cosa grande conoscere la volontà di Dio, ma è più grande adempierla. Giacobbe aveva quei punti di forza perché obbediva ai suoi genitori. Quando gli dissero: «Va’ in Mesopotamia, insieme a Labano» (Gn 27,43; 28,2), lui prontamente obbedì, sebbene non volesse lasciare i suoi genitori. Ma poiché ha obbedito, ha ereditato la benedizione dei suoi genitori138. E io, vostro padre, se prima non avessi obbedito ai miei genitori spirituali, Dio non mi avrebbe rivelato la sua volontà. Infatti sta scritto: La benedizione dei padri stabilisce la casa dei figli (Si 3,11). E poiché ho sopportati molti travagli nel deserto e sul monte139, chiedendo a Dio notte e giorno, finché Dio mi abbia rivelato la sua volontà; ora anche voi ascoltate vostro padre per ottenere riposo e progresso.
6. Ho sentito che dici: “Nostro padre non conosce il nostro dolore”, e: “Giacobbe fuggì da Esaù”; ma sappiamo che non è scappato ma è stato inviato dai genitori140. Quindi imita Giacobbe e aspetta che tuo padre ti mandi e ti benedica quando te ne vai, affinché Dio ti faccia prosperare. Comportatevi bene nel Signore, miei cari.
NOTE:
125 Si conserva in siriaco (n. 11), georgiano (n. 10), greco (n. 5) e arabo (n. 20).
126 In siriaco e arabo manca questa prima parte del paragrafo. 127 Cfr. l’Apotegma Ammonas 1. 128 Siriaco: “Questo è da Dio”; Greco: “Se un uomo fa qualcosa per se stesso”; Arabo: “Questa è la volontà del Signore”. 129 Questa frase è omessa in greco e arabo. 130 Siriaco e arabo: “Quello che gli è stato detto”. 131 Questa frase non è né nel greco né nel georgiano né nell’arabo.
132 Questo non compare nel georgiano e arabo. 133 Il siriaco aggiunge: «Per sua propria volontà». 134 Il siriaco legge: A causa della sua coscienza. 135 Siriaco: “Su di te.” 136 “In ogni momento” non si legge in siriaco. 137 Greco: “Quando l’avrà capito, allora chiederà a Dio la forza per poterlo fare”. 138 “Dei suoi genitori” mancante in greco.
139 Cfr. apotegma Ammonas 9; Vita di Antonio 11, 12, 14, 41, ecc.: “l’associazione” deserto-montagna (Lettres, p. 38). 140 Il testo greco è piuttosto confuso su questa parte.
Lettera XII 141[Solitudine]
1. Agli amati nel Signore, un gioioso saluto!142
Miei carissimi fratelli, sapete anche voi che dopo la caduta, l’anima non può conoscere Dio143, se non si allontana dagli uomini e da ogni distrazione. Perché allora potrà vedere l’attacco dei nemici che la combattono; ma quando vede il nemico combattere contro di lei e trionfa sui suoi attacchi, che di tanto in tanto le vengono addosso, allora lo Spirito di Dio dimorerà in lei e tutto il suo dolore si trasformerà in gioia ed esultanza. Se viene sconfitto di nuovo in combattimento, allora gli vengono la tristezza, il disgusto e molte altre varie afflizioni144.
2. Perciò i Santi Padri145 vivevano solitari in luoghi deserti: Elia il Tesbita, Giovanni Battista e gli altri Padri. Non pensate che fu quando furono in mezzo agli uomini che i giusti progredirono, insieme a loro, nella virtù146, ma piuttosto che prima vivevano in grande solitudine, per far abitare in loro la potenza di Dio147. Allora Dio li mandò in mezzo agli uomini, quando già possedevano le virtù, a servire per l’edificazione degli uomini148 e curare le loro malattie, poiché erano i dottori delle anime e potevano curare le loro malattie 149. Per questo dunque, strappati dalla solitudine, furono mandati agli uomini; ma non furono mandati finché tutte le loro malattie non fossero guarite. È impossibile, infatti, che Dio li mandi a servire per l’edificazione degli uomini se sono ancora malati. Ma coloro che se ne vanno prima di essere perfetti, se ne vanno per volontà propria e non per volontà di Dio. E Dio dice di questi: «Io non li ho mandati, ma sono corsi» (Ger 23,21), ecc. Per questo non possono né custodire se stessi né servire l’edificazione di un’altra anima.
3. Al contrario, coloro che sono inviati da Dio non vogliono abbandonare la solitudine150, perché sanno che è grazie ad essa che hanno acquisito la forza divina; ma per non disobbedire al loro Creatore, escono a servire per l’edificazione degli altri, imitando il Signore, perché il Padre ha mandato dal cielo il suo vero Figlio perché guarisse tutte le debolezze e tutte le malattie degli uomini151. Sta scritto: Ha preso le nostre debolezze e ha portato le nostre malattie (Is 53,4). Per questo tutti i santi che vanno dagli uomini per guarirli, imitano in tutto il Creatore, per diventare degni di farsi figli adottivi di Dio e per vivere, anche loro, come il Padre e il Figlio, nei secoli dei secoli152.
4. Ecco, diletti, vi ho mostrato la forza153 della solitudine, come guarisce in tutti gli aspetti154 e come piace a Dio155. Ecco perché ho scritto loro per essere forti in ciò che intraprendono. Sappilo, è attraverso la solitudine che i santi progredirono e la forza divina abitò in loro, facendo loro conoscere i misteri celesti, e fu così che cacciarono tutta la vetustà di questo mondo. Chi vi scrive ha raggiunto anche quella meta lungo lo stesso cammino.
5. Siriaco Molti sono i monaci del nostro tempo che non hanno saputo perseverare in solitudine, perché non hanno potuto vincere la loro volontà. Per questo vivono sempre tra gli uomini, non potendo rinunciare, fuggire dalla compagnia degli uomini e impegnarsi in combattimento. Rinunciando alla solitudine, si accontentano di confortarsi con i loro simili per tutta la vita. Per questo non raggiungono la dolcezza divina né abita in loro la forza divina. Perché quando si presenta loro quella forza, li trova a cercare la loro felicità nel mondo presente e nelle passioni dell’anima e del corpo. E non può discendere su di loro. L’amore per il denaro, la vanagloria, tutte le altre malattie e distrazioni dell’anima impediscono alla forza divina di discendere su di loro.
5. Greco La maggior parte non hanno potuto progredire in questo, perché sono rimasti in mezzo agli uomini e non sono riusciti, per questo, a vincere tutte le loro volontà. Non hanno voluto, infatti, superarsi fino a sfuggire alle distrazioni provocate dagli uomini, ma restano distratti l’uno con l’altro. Perciò non hanno conosciuto la dolcezza di Dio e non sono stati giudicati degni di far dimorare in loro la sua forza e di conferire loro il carattere celeste. Così, la forza di Dio non abita in loro, poiché sono monopolizzati dalle cose di questo mondo, arresi alle passioni dell’anima, alle glorie umane e alle volontà del vecchio uomo. È così che Dio ci testimonia ciò che deve accadere.
6. Rafforzatevi, quindi, in quello che fate. Perché chi abbandona la solitudine non può vincere la propria volontà né prevalere nella lotta che si fa contro il proprio avversario. Per questo non hanno più la forza di Dio che abita in loro. Non si sofferma su coloro che servono le loro passioni156. Però avete vinto le passioni e la forza di Dio verrà da sola a voi157.
Comportati bene nello Spirito Santo.
NOTE:
141 È conservato nel siriaco (n. 12), georgiano (n. 3), greco (n. 1), arabo (n. 18), armeno (n. 3) ed etiope (n. 2).
142 Questo saluto manca in greco.
143 Il greco aggiunge: “a seconda dei casi” (o: è necessario). Altre versioni aggiungono: “Facilmente”.
144 Il greco porta un testo un po’ diverso: “Durante quelle lotte, ti infliggeranno afflizioni e dolori con molti altri vari guai, ma non temere, perché non prevarranno contro chi vive nella solitudine”.
145 Greco: “I nostri santi padri”; Georgiani ed etiopi aggiungono: “I primi santi padri”.
146 La traduzione segue il testo greco, la versione siriaca sembra un po’ più cupa: “Non considerare che erano giusti perché facevano opere di giustizia dimorando tra gli uomini…”.
147 “Se vuoi che la forza di Dio scenda su di te, ama il digiuno e fuggi dagli uomini”; Lettera di Arsenio, 32 (Lettres, p. 41).
148 Il testo siriaco dice: “Essere dispensatori di Dio”; si segue la lettura del georgiano, del greco e dell’armeno.
149 Cfr Vita di Antonio 87: Antonio “medico di tutto l’Egitto” (Lettres, p. 41).
150 Vita di Antonio 85.
151 Cfr. le Lettere di S. Antonio: III, 2; IV,2-3; V,2; VI,2.
152 Da “imitare il Signore” alla fine di questo paragrafo, il testo manca in georgiano, greco, armeno ed etiope.
153 georgiano e armeno: “Il frutto”; Etiope: “I frutti”.
154 Lettura siriaca, che manca in georgiano, greco, armeno ed etiope.
155 Quanto segue, fino alla fine del paragrafo, non si trova in georgiano, greco, armeno ed etiope.
156 Tale è il testo delle versioni georgiana, greca, armena ed etiope. Il siriaco recita: “Perché coloro che abbandonano la solitudine non possono vincere le loro volontà né prevalere nel combattimento che si fa contro il loro avversario, poiché sono soggetti alle loro passioni”. Invece di “passioni”, il georgiano porta: “Chi fa la propria volontà”; e l’etiope: “Che siano soggetti alla legge dei loro membri”.
157 Siriano: “Lui è con te”; Etiope aggiunge: “E abiterà in te”.
Lettera XIII158 [Lo Spirito di penitenza e lo Spirito Santo]
1. Carissimi nel Signore, vi saluto nello Spirito di dolcezza, che è pacifico e profuma le anime159 dei giusti. Questo Spirito viene solo alle anime totalmente purificate dalla vecchiaia, perché è santo e non può entrare nell’anima impura (Sap 1,4-5)160. 2. Nostro Signore l’ha dato agli apostoli solo dopo che si sono purificati. Per questo ha detto loro: «Se vado, vi manderò il consolatore, lo Spirito di verità, ed Egli vi farà conoscere ogni cosa» (Gv 16,7.13). Perché questo Spirito, da Abele ed Enoc fino ad oggi, è dato alle anime dei giusti che sono totalmente purificate. Ma quello che raggiunge le altre anime non è quello, ma lo Spirito di penitenza161; arriva alle altre anime per chiamarle tutte alla purificazione dalla loro impurità. E quando li ha totalmente purificati, li consegna162 allo Spirito Santo, affinché incessantemente diffonda su di loro un soave profumo, come disse Levi: «Chi ha conosciuto il profumo dello Spirito se non coloro nei quali abita?».163. Pochi sono favoriti anche dallo Spirito di penitenza, ma lo Spirito di verità, di generazione in generazione, abita a malapena solo in poche anime.
3. Come una perla preziosa non si trova in ogni casa, ma talvolta solo nei palazzi reali164, così questo Spirito si trova solo nelle anime dei giusti divenuti perfetti. Dal momento in cui Levi fu gratificato con Lui, offrì un grande ringraziamento a Dio e disse: «Ti canto, Signore, perché mi hai dato lo Spirito che dai ai tuoi servi»165. E tutti i giusti ai quali era stato mandato resero un grande ringraziamento a Dio. Perché è la perla di cui parla il vangelo, comprata da colui che ha venduto tutti i suoi averi (Mt 13,46). Ebbene, è il tesoro nascosto in un campo, che un uomo trovò e per il quale fu molto felice (Mt 13,44). Alle anime in cui abita, rivela grandi misteri; per loro la notte è come il giorno. Ecco, io ti ho fatto conoscere l’azione di quello Spirito. 4. Voglio166 far loro sapere che dal giorno in cui li ho lasciati, Dio mi ha fatto prosperare in ogni cosa, finché sono venuto al mio posto. E quando sono nella mia solitudine, Egli rende il mio cammino ancora più prospero167 e mi aiuta, segretamente o apertamente. E avrei voluto che tu mi fossi vicino per le rivelazioni che mi furono date168, perché ogni giorno ne concede nuove (rivelazioni)169.
5. Quindi voglio che tu sappia qual è la tentazione. Sai che la tentazione non viene sull’uomo se non ha ricevuto lo Spirito. Quando ha ricevuto lo Spirito, viene consegnato al diavolo per essere tentato. Ma chi lo consegna se non lo Spirito di Dio? Perché è impossibile che il diavolo tenti un credente, se Dio non lo libera.
6. Infatti, nostro Signore prendendo la carne è diventato per noi un esempio in tutto. Quando fu170 battezzato, lo Spirito Santo scese su di lui in forma di colomba (Mt 3,16), perché lo Spirito lo condusse nel deserto171 per essere tentato (Mt 4,1), e il diavolo non poteva fare nulla contro di Lui. Ma la potenza dello Spirito, dopo le tentazioni, aggiunge ai santi un’altra grandezza e una forza maggiore172.
È necessario che tu conosca173 la mia tentazione, che mi ha reso simile a nostro Signore. Quando discese dal cielo vide un’atmosfera diversa, tenebrosa, e di nuovo mentre stava per scendere nell’Ade, vide un’aria più densa e disse: “Ora l’anima mia è turbata” (Gv 12,27). Allo stesso modo io, in modo simile, ho subito recentemente questa tentazione che mi turbava da tutte le parti174. Tuttavia, ho lodato Dio, che servo con tutto il cuore fin dalla mia giovinezza e al quale obbedisco, sia in onore che in umiliazione. Mi ha portato fuori da quell’ariatenebrosa e mi ha riportato alla prima altezza. E penso che questa tentazione sia l’ultima175.
7. Quando il beato Giuseppe sopportò l’ultima tentazione in carcere (Gn 29,20), fu più afflitto anche da tutte le altre tentazioni. Ma dopo la prigione, che è l’immagine dell’Ade, ricevette tutti gli onori, perché divenne re (Gn 41,40). Da quel momento in poi la tentazione non lo tentò più. Ti ho fatto conoscere quali tentazioni ho incontrato e come sono ora176.
8. Dopo aver scritto questa lettera mi è venuta in mente la parola scritta in Ezechiele, che presenta l’immagine delle anime divenute perfette. Vide una creatura vivente sul fiume Chobar, che aveva quattro facce, quattro piedi e quattro ali. Un volto di cherubino, uno di uomo, uno di aquila e uno di toro (Ez 1,1-10). Il volto dei Cherubini è lo Spirito di Dio, che riposa in un’anima e la dispone a lodare con voce soave e bella177. E quando vuole, scende ed edifica gli uomini, poi assume il volto di un uomo. E quella del toro, è quando l’anima fedele è in combattimento: lo Spirito di Dio l’aiuta e le dà la forza di un toro, perché possa incornare il diavolo. E l’aquila, perché l’aquila vola più in alto di tutti gli altri uccelli. E quando l’anima dell’uomo vola in alto, lo Spirito Santo viene ad essa, insegnandole a stare in alto e ad essere vicino a Dio.
9. Ti ho fatto sapere poco di questo essere. Ma se pregate e lo visitate, entrerò nella Betel, che è la casa di Dio (Gn 28,19), e adempirò i miei voti (Sal 65,13), quelli che le mie labbra hanno promesso178. Allora ti parlerò più chiaramente179 su questo180.
10. Betel, infatti, significa la casa di Dio (Gn 28,19). Dio combatte, dunque, per la casa su cui è invocato il suo nome. E fu Ezechiele a vedere quell’essere vivente.
Salutate tutti coloro che sono stati associati al lavoro e al sudore dei padri nella tentazione, come dice altrove Giovanni: «Dio è glorificato dal sudore dell’anima»181. Così, per il seme di sudore che semina, l’anima è associata a Dio. E anche quelli sono legati alla sua messe, poiché sta scritto: Se soffriamo con lui, vivremo con lui (Rm 8,17), ecc. Il Signore disse anche ai suoi discepoli: «Voi avete sofferto con me nelle mie tentazioni, io stabilirò con voi un contratto regale, come il Padre mi ha promesso che vi sareste seduti alla mia mensa» (Lc 22,29), ecc.
11. Vedo che coloro che condividono le fatiche condividono anche il resto, e chi partecipa all’umiliazione, partecipa ugualmente all’onore. Sta scritto, infatti, nei Padri: «Il figlio buono eredita la primogenitura e le benedizioni paterne»182. È così con ciò che seminiamo. Sono i semi di Dio e i buoni figli che ereditano il diritto di primogenitura e le nostre benedizioni. Quando sarò via, al mio posto, l’arrivo dei frutti mi ricorderà questi raccolti.
Ma tu, da buon maestro, esortali con cura. Dio ti conceda di lasciare questa dimora183 lasciando un buon raccolto! Perché sappiamo che sei un buon padre e un ottimo educatore. Tuttavia, vi ricordo che è a causa di questo raccolto che Dio vi ha lasciato in questa dimora.
Comportatevi bene nel Signore, nello Spirito dolce e pacifico che abita le anime dei giusti.
NOTE:
158 È conservato in siriaco (n. 13), georgiano (n. 11), greco (n. 7) e arabo (n. 19). 159 Invece di quanto segue (fino alla “vecchiaia”), il siriaco porta: “Di coloro che sono completamente purificati dalle loro passioni”.
160 Cfr Lettere di S. Antonio, VII.
161 Anche sant’Antonio nelle sue Lettere (I,2 e 4) parla di spirito di penitenza o di conversione (Lettres, p. 45).
162 È la lezione del georgiano; Il greco e l’arabo leggono: “trasmette”; il siriaco: “conduce” (o: guida).
163 Citazione non identificata.
164 Dice solo il greco: “Come una perla di gran prezzo…”.
165 Citazione non identificata.
166 Questo paragrafo manca del tutto nella versione greca.
167 Seguo il testo siriaco.
168 Georgiano: “Fai loro sapere quante rivelazioni ci sono”; Arabo: “Affinché io vi faccia conoscere tutto ciò che lo Spirito Santo mi ha rivelato in ogni momento”.
169 georgiano: “Poiché di giorno in giorno avranno una gioia ancora più grande”; L’arabo omette questa frase.
170 Questa prima parte, fino a qui, manca nel georgiano.
171 Il siriaco aggiunge: “E lo consegnò a Satana…”
172 Al siriaco manca “E una forza maggiore”.
173 È la lettura georgiana; dispersa nel siriaco. L’arabo porta: “Carissimi figli, vorrei che mi foste vicino perché sapeste…”
174 Il testo greco omette “è necessario” fino a qui.
175 Tutta quest’ultima parte è diversa nel greco: «In ogni cosa, dunque, lodiamo Dio e rendiamolo grazie, sia in onore che in umiliazione, perché Egli ci ha tratto da quell’aria oscura e ci ha restaurati nella nostra prima altezza. Quindi quanto segue non esiste nella versione greca curata da F. Nau.
176 Georgiano: “Ecco, ti ho fatto conoscere la grandezza delle tentazioni che ho sopportato”.
177 La versione francese in questa parte sembra seguire la versione georgiana; il testo siriaco è piuttosto vario: “Una faccia del Cherubino era quella di un leone, una di uomo, una di aquila e una di toro (Ez 1,1-10). Ora, la faccia leonina di Cherubino, che cos’è? Infatti, quando lo Spirito di Dio si posa sull’anima di un uomo, gli dona la forza di Dio, lo incoraggia fortemente e gli insegna un canto con una voce dolce e bella.
178 Il siriaco dice: “Entreranno alla Betel e lì adempiremo i nostri voti e offriremo i nostri sacrifici di pace, che le nostre labbra hanno promesso”.
179 È la lettura georgiana. Il siriaco porta: “Per quanto possibile, vi diamo la spiegazione…”.
180 Qui il georgiano sembra finire, aggiungendo solo il saluto: “Sii forte in Cristo e comportati bene”.
181 Citazione non identificata.
182 Citazione non identificata.
183 Il siriaco dice: “Questo mondo”.
Lettera XIV 184 [Giustizia] 1. Ecco la lettera che tuo padre ti ha scritto; questa è l’eredità dei padri giusti185, che lasciano in eredità giustizia ai loro figli186. I genitori secondo la carne lasciano l’oro e l’argento in eredità ai loro figli; però i giusti187 lasciano questo ai loro figli: la giustizia188. I patriarchi erano ricchissimi d’oro e d’argento e, prossimi alla morte, non diedero loro alcun ordine, se non per quanto riguarda la giustizia, poiché essa rimane per sempre. 2. L’oro e l’argento sono corruttibili (1P 1,18), appartengono alla misera scorta di questo breve tempo. Ma la giustizia appartiene alla dimora in alto e rimane con l’uomo per sempre. Perché l’eredità che danno loro i genitori è giustizia189. 3. Comportati bene nel Signore e nella buona volontà della giustizia che Dio ti dona giorno dopo giorno, fino alla tua partenza da quaggiù.
NOTE: 184 È conservato solo nel siriaco (n. 14) e nell’arabo (n. 19). 185 L’arabo porta “spirituale”. 186 Arabo: “La benedizione”. 187 Arabo: “Padri spirituali”. 188 Arabo: “La benedizione”. 189 Arabo: “La benedizione”.
PADRI DEL DESERTO: AMMONAS (Ammone) – Introduzione
Discepolo di Antonio il Grande che, alla morte di quest’ultimo, prima di diventare Vescovo, pare che passò a dirigere la colonia di monaci di Pispir. Non ci sono dati certissimi ed il dubitativo lo mettiamo perché all’epoca in Egitto il nome Ammonas era abbastanza diffuso. A lui sono state attribuite 14 lettere che rappresentano un’ottima fonte – una delle più importanti dopo gli Apoftegmi – per conoscere il monachesimo primitivo fiorito nel deserto egiziano.
Alcune brevi note biografiche possono essere tracciate esaminando gli scritti che ci sono pervenuti a suo nome. Abbracciò la vita monastica in gioventù (XIII,6)1, svolse «molti lavori nel deserto e sui monti» (XI,5); fu discepolo di sant’Antonio e come sia diventato anche un padre spirituale. Nelle lettere, infatti, si rivolge autorevolmente ai suoi corrispondenti, chiamandoli “figli carissimi” (IV,1). Visse per qualche tempo con i suoi discepoli, ma poi li lasciò per vivere in maggiore solitudine: «Voglio che tu sappia che dal giorno in cui ti ho lasciato, Dio mi ha fatto prosperare in ogni cosa, fino a quando sono venuto al mio posto. E quando sono solo, Egli rende il mio cammino ancora più prospero e mi aiuta, segretamente o apertamente». (XIII,4). Questo non gli ha impedito di continuare a mantenere uno stretto rapporto con loro e, a quanto pare, li visitava periodicamente: “ … Se vado a visitarli, li affermerò molto con la dottrina dello stesso Spirito, e farò conoscere loro anche altre cose che non posso scrivere loro per lettera» (V,2).
L’ Historia Monachorum e gli Apotegmi della serie alfabetica attribuita ad Ammonas Offrono alcune informazioni che consentono di confermare e ampliare i dati sulla vita dell’autore delle lettere:
– fu discepolo di Antonio (Ammonas 7 e 8; Historia Monachorum 15);
– visse 14 anni nel deserto di Scete nell’ascesi (Ammonas 3);
– dovette subire varie prove, per un tempo abbastanza lungo, nei deserti (Ammonas 9);
– Alla morte di sant’Antonio, gli succedette alla guida della comunità da lui diretta a Pispir, sulla sponda destra del fiume Nilo, nel basso Egitto (cfr Historia Monachorum 15);
– si distinse per la sua grande gentilezza, tranquillità e dolcezza (Ammona 6, 8 e 10);
– ad un certo momento, che non possiamo precisare, lasciò il suo posto, a capo della comunità semianacoretica del Pispir, venendo succeduto in quel ministero da un certo Pityrion (cfr Historia Monachorum 15); forse è a lui che si rivolge nella lettera XIII.
– fu nominato vescovo.
– Non conosciamo la data precisa della morte di Ammonas. Dobbiamo comunque porla sicuramente prima della stesura dell’Historia Monachorum, cioè alla fine del IV secolo (396?). Ammonas quindi visse, molto presumibilmente, nella seconda metà del IV secolo.
La Chiesa greca lo ricorda il 26 gennaio e il sabato prima del cinquantesimo (dedicato agli “asceti”). La Menologia della Chiesa siriana lo celebra il 10 giugno.
GLI APOFTEGMI (detti)
APPUNTI STORIA: 774 d.C. Franchi, Stato Pontificio, Bisanzio in Calabria
LE CONSEGUENZE DELLA CONQUISTA FRANCA
Tratto da A. Barbero, Carlo Magno, Un padre dell’Europa
a) La nascita dello Stato Pontificio
Già prima della resa di Desiderio, Carlo era così sicuro del fatto suo che poté lasciare l’assedio di Pavia per andare a festeggiare la Pasqua del 774 a Roma, che visitava per la prima volta. Accolto da papa Adriano con gli onori, a dire il vero abbastanza moderati, spettanti all’esarca di Ravenna e al patrizio dei Romani, Carlo salì in ginocchio gli scalini di San Pietro, baciandoli uno per uno, a conferma della poderosa potenza sacrale che risiedeva, ai suoi occhi, in quel luogo di cui s’era fatto protettore. Ma il momento più importante del soggiorno romano furono i negoziati fra il re e il papa, sul cui effettivo andamento siamo tuttora in dubbio, anche per le discordanze fra i cronisti di parte franca e di parte pontificia. Certamente i due rinnovarono il patto di amicizia stretto vent’anni prima fra Pipino e Stefano II; inoltre, Adriano chiese a Carlo di confermare una promessa scritta che suo padre aveva firmato in quell’occasione. Questo documento venne letto al re, che secondo i cronisti pontifici accettò di sottoscriverlo; esso allargava a dismisura i territori governati direttamente dal papa, la cosiddetta «repubblica di San Pietro», riconoscendogli la sovranità su gran parte d’Italia, mentre ai Franchi restavano soltanto l’arco alpino e la pianura padana fino a Pavia, e a Bisanzio la Calabria, la Sicilia e la Sardegna.
Questo racconto ha sollevato più d’un dubbio fra gli storici, poco persuasi che Carlo, e prima di lui Pipino, abbiano potuto assumere un impegno così grave. Ma anche ammettendo che si debba prestar fede alla versione pontificia, bisogna pensare che l’incontro fra Carlo e Adriano avvenne quando la guerra contro i Longobardi era ancora in corso, Desiderio resisteva in Pavia assediata e gli assetti futuri della Penisola erano tutti da decidere; sicché non ci si deve sorprendere se, quando ebbe assunto personalmente la corona di re dei Longobardi, Carlo preferì ripensarci. Quel che è certo è che si guardò bene dall’attuare un impegno che, se preso alla lettera, avrebbe significato la dissoluzione del suo nuovo regno: l’autorità del papa venne riconosciuta soltanto sull’antico ducato di Roma, accresciuto della Sabina, e sui territori già bizantini dell’Esarcato e della Pentapoli, collegati da una striscia di territorio appenninico. La «repubblica di San Pietro», alla cui costruzione i pontefici avevano lavorato fin dall’inizio dell’VIII secolo, assumeva così il profilo più o meno definitivo di quello Stato Pontificio i cui ultimi avanzi crolleranno solo mille anni dopo, sotto il cannone di Porta Pia.
“IL CAMMINO DI UN PELLEGRINO” E IL VESCOVO IGNAZIO (BRIANCHANINOV) INSEGNAMENTO SULLA PREGHIERA
Basandosi sull’eredità di sant’Ignazio del Caucaso, Alexey Ilyich Osipov, il noto professore dell’Accademia teologica di Mosca, riflette sulle questioni delle pratiche spirituali nelle tradizioni cristiane orientali e occidentali, nonché sul posto del libro ‘Racconti di un pellegrino russo’ nella vita spirituale cristiana.
Ieromonaco Adrian (Pashin): Alexey Ilyich, il tuo opuscolo sulla preghiera di Gesù è stato pubblicato di recente. Cosa ti ha spinto ad affrontare questo argomento esclusivamente (come potrebbe sembrare) monastico?
Alexey Ilyich Osipov: Il fatto è che sono stato invitato a tenere una conferenza in Italia, nel famoso monastero di Bose, dove ogni anno si tengono conferenze su vari argomenti. Sono invitati rappresentanti di diverse Chiese, non solo della Chiesa cattolica, ma anche delle Chiese ortodosse e persino protestanti. Era il settembre 2004. L’argomento della conferenza era la preghiera e, credo, anche la preghiera di Gesù, ma non ricordo con certezza. Come è venuto fuori il tema del mio intervento? Il Rettore di uno dei Pontifici Istituti di Roma ha visitato la nostra Accademia circa vent’anni fa. Durante il suo discorso in sala conferenze ha detto, in particolare, che i monaci cattolici sono attualmente molto interessati alle pratiche di meditazione indù e ai Racconti di un pellegrino, dove viene esposto un insegnamento del tutto peculiare sulla preghiera di Gesù. Per questo ho deciso di scrivere una relazione sul tema: “L’insegnamento sulla preghiera di Gesù secondo il vescovo Ignazio (Brianchaninov) e i Racconti di un pellegrino”. Ho pensato che l’argomento sarebbe stato di interesse sia per i cattolici che per me perché avevo letto i Racconti di un pellegrino che avevo 16 o 17 anni e all’epoca mi aveva lasciato un’impressione di grande ispirazione. Ricordo di aver provato a praticare la Preghiera di Gesù per un giorno o due, usando il metodo del Pellegrino – non potevo farlo ancora per molto; più tardi, quando ho iniziato a lavorare sul mio discorso, ho capito che era stata una fortuna. Ho tenuto il mio discorso alla conferenza. Gli ortodossi hanno mostrato interesse mentre il pubblico cattolico lo ha ricevuto in silenzio. Tuttavia, uno dei famosi (non lo nominerò) studiosi secolari di San Pietroburgo (non un teologo), partecipante regolare a tutte le conferenze di Bose, ha espresso il suo dispiacere per il mio intervento. Il talk è stato poi tradotto in italiano e pubblicato sia in Italia che in Russia. Questo è lo sfondo in cui è maturato il libro.
Hierom. Adrian: Quindi sembra che The Way of a Pilgrim, un libro di un autore sconosciuto che è piuttosto popolare qui in Russia, sia noto anche all’estero?
AI Osipov: Non è semplicemente noto all’estero, ma, come ha detto quel cancelliere, i monasteri cattolici vi prestano molta attenzione. Viene letto, studiato, seguito come guida.
Hierom. Adrian: Perché pensi che i cattolici siano così interessati al libro?
AI Osipov: Ecco come stanno le cose. In primo luogo, il Pellegrino ha raggiunto l’incessante Preghiera di Gesù e ha raggiunto speciali stati dell’anima e del corpo a una velocità sorprendente – in poche settimane, beh, forse in pochi mesi, mentre il Vescovo Ignazio scrive che secondo l’insegnamento del Santo Padri “ci vogliono molti anni”. Il Pellegrino afferma che quando all’inizio l’anziano gli diede l’obbedienza di dire tremila preghiere al giorno, sentì che la preghiera diventava facile e desiderabile in soli due giorni. Dopodiché, l’anziano gli ordinò di dire seimila preghiere e, dopo soli dieci giorni, dodicimila. E “terminava facilmente le dodicimila preghiere la sera presto” e “in circa tre settimane . . . Ho cominciato a sentire. . . quel piacere ribolliva nel mio cuore… e io stesso mi trasformai in estasi. [AZJ] ha raggiunto lo stesso stato nello stesso modo fulmineo – in meno di una settimana (!); iniziò a seguire il metodo mostratogli dal Pellegrino. “In circa cinque giorni ho iniziato a sentire un calore intenso e… . . cominciavo a vedere la luce di tanto in tanto. . . a volte, quando entrava nel suo cuore nella sua immaginazione, era come se la fiamma potente di una candela accesa si accendesse di dolcezza nel suo cuore e, saltandogli fuori dalla gola, lo illuminasse; alla luce di quella fiamma poteva vedere anche cose lontane.
Un metodo così facile e veloce, rispetto alla rigorosa impresa della lotta con le passioni intrapresa per molti anni dai Santi Padri, è molto allettante per tutti coloro che vorrebbero evitare la via «senza pene, senza guadagni».
Il secondo e non meno stimolante motivo di interesse per questo libro è la vanità e l’orgoglio che attirano le persone a raggiungere immediatamente stati elevati, senza compiere i passi preliminari del viaggio spirituale. Queste passioni trasformano un asceta in un sognatore ad occhi aperti, con conseguenze abbastanza logiche e spesso terribili per la sua vita.
Il Vescovo Ignazio caratterizza molto chiaramente tali aspirazioni degli asceti cattolici: “Sono subito attirati e attirano i loro lettori ad altezze inaccessibili al novizio, diventano essi stessi presuntuosi e rendono gli altri presuntuosi. Un sogno acceso, spesso frenetico, sostituisce tutto ciò che è spirituale per loro: non hanno idea della vera spiritualità. Considerano questo sogno come grazia. «Li riconoscerete dai loro frutti» (Mt 7,16) disse il Salvatore. Sappiamo tutti fin troppo bene attraverso quali crimini, torrenti di sangue e comportamenti decisamente anticristiani i fanatici occidentali hanno espresso il loro brutto modo di pensare, il loro brutto sentimento del cuore”.
Queste sono le ragioni nascoste dell’interesse per I Racconti .
Hierom. Adrian: Pensi che un modo così rapido sia pericoloso?
AI Osipov: In questo caso non voglio assolutamente parlare per me, perché non ho alcuna esperienza in materia. La mia comprensione si basa sullo studio teorico dei Santi Padri della vita ascetica e, soprattutto, sugli scritti del santo Vescovo Ignazio (Brianchaninov).
Perché mi sono rivolto in particolare alle sue opere? Come è noto, i resoconti orali e scritti di lui da parte di tutti gli Anziani di Optina e di molti altri pii asceti russi non sono semplicemente positivi, ma piuttosto, direi, sono pieni di ammirazione. Parlavano e scrivevano di lui come di un vero maestro che aveva una profonda comprensione della vita spirituale e nei suoi scritti esponeva il cammino dei Santi Padri. Citerò le loro affermazioni. San Macario di Optina lo definì “una grande mente”. San Barsanufio di Optina scrisse: “Quando leggo i suoi scritti, mi meraviglio della sua mente veramente angelica, della sua comprensione sorprendentemente profonda delle Sacre Scritture. Per qualche ragione, sono particolarmente favorevole ai suoi scritti; in qualche modo hanno un appello speciale per il mio cuore e la mia mente, illuminandolo di una luce veramente evangelica”. “Il quinto volume degli scritti del Vescovo Ignazio contiene l’insegnamento dei Santi Padri applicato al monachesimo moderno e insegna come devono essere letti gli scritti dei Santi Padri. Il Vescovo Ignazio aveva una visione profonda ed era, a questo riguardo, probabilmente anche più profondo del Vescovo Teofane [il Recluso – AZJ]. La sua parola ha un potente effetto sull’anima perché procede dall’esperienza. L’abate Nikon (Vorobyev) esprime lo stesso pensiero cinquant’anni dopo: “Come gli sono grato per i suoi scritti! Non capirlo e non apprezzarlo significa non capire nulla della vita spirituale. Oserei dire che gli scritti del vescovo Teofane (possa il santo Vladyka perdonarmi) sono opere di uno scolaro paragonate a quelle di un professore: gli scritti del vescovo Ignazio (Brianchaninov). San Nikon (Belyaev) di Optina definì l’opera del vescovo Ignazio “l’ABC della vita spirituale” – la teneva in così alta considerazione. E sono gli scritti di Sant’Ignazio che tutti gli altri Anziani di Optina raccomandarono di studiare, in particolare il suo insegnamento sulla preghiera, vera guida alla vita spirituale.
Troviamo parole notevoli sul vescovo Ignazio negli scritti della badessa Arsenia (Sebryakova): “L’ho letto con grande piacere, con conforto ed edificazione della mia anima. Le parole dello stesso Vladyka mi sono care”. Giovanni di Valaam si riferisce al vescovo Ignazio e offre il consiglio del vescovo ai suoi figli spirituali come il più autorevole per i nostri tempi. (A questo proposito, vorrei sottolineare tra parentesi che qualsiasi predicatore o scrittore della Chiesa che, parlando di vita spirituale nei suoi scritti, non si rivolga agli scritti di Sant’Ignazio, dà una chiara testimonianza di «di quale spirito è” [Lc 9,55 – AZJ] Tuttavia, il ricorso a quelle opere non è di per sé indice della spiritualità dello scrittore). Quindi, tenendo conto di questa moltitudine di indubbie testimonianze spirituali, ho deciso di confrontare l’insegnamento sulla preghiera di Gesù ne I Raccinti di un pellegrino con quello del vescovo Ignazio.
Hierom. Adrian: È necessaria una guida nella pratica della preghiera di Gesù; senza di essa, come scrivi, possiamo cadere nell’illusione spirituale (prelest). Ma cosa dobbiamo fare oggi, quando, nelle parole del Vescovo Ignazio (e voi siete d’accordo con loro), la guida spirituale e la paternità spirituale sono diventate così scarse? Come possiamo allora imparare a pregare correttamente?
AI Osipov: Prima di tutto, vorrei ricordarti ancora una volta che quando si tratta dei miei consigli sull’attenta pratica della Preghiera di Gesù, non parlo da me stesso. È noto che gli Anziani di Optina davano questo consiglio a chi aveva più zelo che buonsenso perché, come scrive sant’Isacco di Siria, «Tutto è reso bello dalla moderazione. Anche qualcosa considerato bello diventerà dannoso se fatto senza moderazione”. A questo punto le persone che non capiscono le condizioni richieste per praticare la Preghiera di Gesù e che hanno lo scopo sbagliato nel praticarla, generalmente cadono nella presunzione, nell’illusione spirituale e nell’orgoglio. Il vescovo Ignazio avanza la stessa idea. Quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento nei confronti della preghiera di Gesù oggigiorno? Dipende da chi la pratica.
Per quanto riguarda i maestri portatori di spirito, il vescovo Ignazio ha dato quel nome a coloro che avevano realizzato l’incessante preghiera di Gesù data da Dio, raggiunto il distacco e ricevuto da Dio il raro dono di vedere nell’anima umana. Tali insegnanti potrebbero davvero evidenziare quelle passioni nascoste e le loro cause che le persone non potevano vedere in se stesse. Tuttavia, parlando del suo tempo, il vescovo Ignazio ha pronunciato parole estremamente offensive per coloro che si consideravano padri spirituali: “Non abbiamo insegnanti ispirati da Dio!” E non lo ha detto semplicemente, lo ha detto con un punto esclamativo. E conosceva abbastanza bene lo stato del monachesimo del suo tempo.
Tuttavia, in assenza di consiglieri ispirati da Dio, il vescovo Ignazio offre alcuni consigli molto importanti a coloro che cercano la vita spirituale.
Il primo consiglio è di lasciarsi guidare soprattutto dagli scritti e dall’esperienza di quegli antichi Padri e asceti russi che davano consigli a persone dello stesso livello spirituale del cristiano moderno. Naturalmente a questi scritti vanno aggiunte tutte le opere dello stesso Vescovo Ignazio, poiché egli perseguì la sua vocazione monastica e scrisse in un periodo spiritualmente molto simile a quello moderno – ecco perché è il miglior consigliere spirituale del nostro tempo .
Il secondo consiglio è di consultare coloro che sono del nostro stesso spirito, che cercano sinceramente la vita spirituale, studiano e conoscono gli scritti dei Santi Padri e, cosa molto importante, hanno il dono del discernimento. Rispetto all’ultima condizione (il discernimento), il vescovo Ignazio avverte che vi erano anche santi che avevano raggiunto stati spirituali elevati, ma, non possedendo il dono del discernimento, talvolta offrivano consigli che danneggiavano gravemente l’anima. Monsignor Ignazio cita a questo proposito il pensiero dei santi Macario il Grande e Isacco il Siro: “San Macario il Grande diceva che . . . ci sono anime che, divenute partecipi della grazia divina. . . allo stesso tempo dimorano come nell’infanzia, a causa della mancanza di esperienza reale. . . in uno stato che è molto insoddisfacente per la vera lotta ascetica”. Hanno un detto su tali anziani nei monasteri – “santi ma non abili” – e si prendono cura di consultarli. . . per evitare di affidarti frettolosamente e sconsideratamente alla guida di tali anziani. Sant’Isacco il Siro dice addirittura che un tale anziano «non è degno di essere chiamato santo». È con tale cura, si scopre, che dovremmo avvicinarci alla scelta di coloro che possiamo consultare.
Ecco perché nel nostro tempo le persone che vogliono imparare a pregare e vivere rettamente, senza delusioni spirituali, devono studiare gli scritti del Vescovo Ignazio molto meticolosamente, poiché conosceva molto bene l’insegnamento dei Padri e seguiva la via della preghiera in modo esperienziale. Ma, naturalmente, se riusciamo a trovare una persona esperta, comprensiva e ragionevole, dovremmo anche chiedere il suo consiglio. Tuttavia, dovremmo consultarlo come consulteremmo gli amici, non come leader di una setta “ortodossa” assolutista che richiede obbedienza incondizionata. Data l’assenza di maestri oggi ispirati da Dio, non si può parlare di obbedienza completa anche nei monasteri; e quanto alla vita nel mondo, tale obbedienza non è mai esistita, tranne forse nel rapporto tra falsi padri spirituali e falsi figli spirituali, soprattutto false figlie spirituali. È vero, però, che dobbiamo distinguere tra l’obbedienza nelle questioni amministrative (secondo il grado), che è utile per la vita spirituale, e l’obbedienza spirituale, che il vescovo Ignazio chiama grande atto monastico.
Scrisse: “Invano desideri essere completamente obbediente a un insegnante esperto. Questo tipo di lotta ascetica non è stata concessa ai nostri tempi. È assente non solo tra i cristiani che vivono nel mondo, ma anche nei monasteri”.
“E molti pensavano che stessero operando in obbedienza, ma in realtà si è scoperto che avevano assecondato i propri capricci e si erano lasciati trasportare dal loro zelo. Felice è l’uomo che nella sua vecchiaia avrà il tempo di versare una lacrima pentita sulle passioni della sua giovinezza. Il Signore ha detto dei capi ciechi e di quelli da loro condotti: «E se il cieco guida il cieco, entrambi cadranno nel fosso» (Mt 15,14).
Hierom. Adrian: Tuttavia, alcuni potrebbero obiettare che ai tempi del vescovo Ignatius (Brianchaninov) c’erano gli anziani di Optina e ora ci sono parecchi padri spirituali e anziani che sono stimati tra la gente. Molti cercano la loro guida spirituale e sono disposti a consegnare completamente la loro volontà nelle loro mani. Le persone semplici non possono fare lo stesso adesso?
AI Osipov: Secondo l’insegnamento dei Santi Padri, dovremmo esercitare molta cautela in questa materia. Lo avvertono tutti i santi, a cominciare dai tempi antichi, quando fiorirono gli asceti. Per esempio, san Giovanni Cassiano da Roma scriveva nel V secolo: «È utile rivelare ai padri il nostro pensiero; non a chiunque si trovi lì, però, ma piuttosto agli anziani spirituali che hanno discernimento, che sono anziani non solo a causa dell’età dei loro corpi e dei capelli grigi. Molti, essendo stati attratti dall’apparenza della vecchiaia e avendo espresso i loro pensieri [a tali anziani – AZJ], sono stati danneggiati invece di ricevere un rimedio”. E guarda con quanta enfasi San Giovanni della Scala (sec. VI) ne parla: «Quando noi… desideriamo… affidare la nostra salvezza ad un altro, allora, anche prima di intraprendere questa strada, se abbiamo solo un po’ di perspicacia e discernimento, dobbiamo studiare, provare e mettere questa guida alla prova, per così dire. Dobbiamo farlo per non procurarci un semplice vogatore invece di un timoniere, invece di un medico – un malato, invece di un uomo spassionato – uno posseduto dalle passioni, invece di un rifugio – un abisso, – così, per evitare di trovare la nostra distruzione pronta per noi” (La scala. Sermone 4, cap. 6). Il vescovo Theophan (Govorov) era solito mettere in guardia: “Nel determinare chi diventerà [il nostro padre spirituale – AO], dovremmo esercitare molta cautela e usare un giudizio rigoroso, per evitare di fare del male invece del bene, per evitare di provocare devastazione invece di fare un lavoro costruttivo”.
Ma come predicevano gli antichi Padri e ripetevano costantemente i Padri degli ultimi giorni, la Chiesa sta assistendo al processo per cui gli insegnanti stanno diventando scarsi: gli insegnanti che possono vedere nell’anima e possono realizzare ciò che San Serafino di Sarov chiamava acquisire lo Spirito di Dio. Chiaramente, secondo le stesse parole del vescovo Ignazio, tali maestri erano già scomparsi ai suoi tempi.
Se torniamo ora agli anziani di Optina, sono pienamente d’accordo con il vescovo Ignatius su questo tema. Ciò è evidente dall’alta stima in cui tenevano il suo insegnamento e dalla ua guida spirituale. Nessuno di loro indicherebbe in questo modo qualcun altro, il suo predecessore o padre spirituale: «Non è p. Macario, p. Ambrose, o p. Barsanuphius, o… un maestro ispirato da Dio?». Essi infatti comprendevano bene il senso delle parole dell’apostolo Paolo: «Una è la gloria del sole, un’altra la gloria della luna e un’altra quella delle stelle: perché una stella differisce dall’altra in gloria» (1 Cor 15: 41). Quindi, anche se stiamo parlando di persone spirituali e persino sante, comprendiamo comunque che un uomo spirituale differisce da un altro in gloria.
La ricerca di persone spirituali è del tutto naturale e comprensibile. Ma quando quella ricerca si trasforma in miti creatori, quando spesso sacerdoti piuttosto dubbiosi vengono costituiti come anziani, o quando alcuni padri spirituali iniziano a comportarsi come se fossero anziani, allora arrivano i guai. Monsignor Ignatius ha detto di loro in modo molto enfatico e preciso: “Quegli anziani che accettano su di sé il ruolo [di anziano – AO]. . . (se possiamo usare quella parola sgradevole ‘ruolo’) . . . sono essenzialmente attori che distruggono l’anima e i più tristi tra i comici. Che quegli anziani che assumono su di sé il ruolo degli antichi Anziani, privi dei loro doni spirituali, sappiano che la loro stessa intenzione, i loro stessi pensieri e nozioni di questo grande atto monastico – l’obbedienza – sono falsi; il loro stesso modo di pensare, la loro mentalità e la loro conoscenza sono l’autoillusione e l’illusione spirituale demoniaca”. Sfortunatamente, la gente comune non ha una comprensione di questo. Vogliono un anziano, un chiaroveggente di natura, un taumaturgo, un guaritore, si inseriranno nel gregge come pecore senza alcun discernimento verso chiunque sia loro menzionato. Da qui derivano tante disgrazie, sia di ordine spirituale che di vita quotidiana.
Ho incontrato persone le cui vite sono state completamente rovinate dopo aver creduto in un falso anziano. Approfittando della sua autorità morale, un tale anziano dà letteralmente l’ordine – scusate, “dà una benedizione” – a coloro che si avvicinano a lui di compiere passi così decisi che ne rovinano il corpo e l’anima. Egli “dà una benedizione” per cambiare casa, per abbandonare i buoni lavori, precipitando così la famiglia nella più assoluta povertà e provocando la disintegrazione dei rapporti familiari. Egli “le dà una benedizione” per vendere il suo appartamento e i suoi beni ed entrare in un monastero. Quando tra un anno ne viene licenziata, invece di aiutarla, l’anziano le dice: avresti dovuto pensarci tu, ora vai dove vuoi. Conosco una famiglia la cui madre ha ricevuto “una benedizione” da un anziano per assegnare tutte le sue giovani figlie e il figlio ai monasteri. Il figlio divenne uno ieromonaco, ma poi tre anni dopo si sposò. La stessa cosa accadde alle figlie e solo una delle quattro rimase monaca; gli altri, dopo aver vissuto in convento, si sono sposati.
Perché parlo di questo? Innanzitutto, per mostrare fino a che punto possono spingersi la fiducia indiscriminata dei semplici credenti, così come la cecità spirituale e l’insensibilità morale degli stessi “anziani”: essi continuano a credere e a dare queste benedizioni anche dopo aver assistito alle loro catastrofiche conseguenze. È ovvio che un anziano chiaroveggente non avrebbe potuto benedire un atto che avrebbe portato allo svincolo e al licenziamento dal monachesimo. E se non è chiaroveggente ma continua comunque a incoraggiare tali atti, allora qual è il livello morale (o lo stato psichico) di quell’ “anziano”?! A questa seria domanda risponde Sant’Ignazio: “La vanità e la presunzione amano insegnare e dare indicazioni. Non si preoccupano della qualità dei loro consigli! Non gli viene in mente che potrebbero infliggere una ferita incurabile al loro prossimo con il loro consiglio incongruo. Il novizio inesperto accetta i loro consigli con credulità acritica, con eccitazione in carne e ossa! Desiderano il successo, indipendentemente dalla sua qualità e dalla sua origine! Devono impressionare il novizio e farne il loro suddito morale! Desiderano la lode dell’uomo! Desiderano la reputazione di santi, anziani e insegnanti intelligenti e chiaroveggenti! Devono soddisfare la loro insaziabile vanità, il loro orgoglio!”
Questo è esattamente ciò che i Padri chiamavano illusione spirituale (prelest). E l’illusione spirituale è l’illusione che porta a disturbi mentali.
Quindi ai nostri giorni dovremmo affrontare il rapporto con un anziano con estrema cautela, seguendo la saggia regola comandata dai nostri grandi vescovi sant’Ignazio e san Teofane: vivere di consiglio, non di obbedienza. Il Vescovo Ignazio ci esorta ad ascoltare san Nilo di Sora, vissuto nel XV secolo e che già allora comandava: «Oggi, vista l’estrema scarsità di guide spirituali, un’asceta praticante la preghiera deve essere guidata esclusivamente dal Sacre Scritture e dagli scritti dei Padri”. E san Pimen il Grande ci ha comandato di allontanarci subito da un anziano che si è rivelato dannoso per l’anima». Altrimenti, «la fede nell’uomo, – dice il vescovo Ignazio, – porta a un frenetico fanatismo».
Il vescovo Ignazio scrive che il consiglio non implica l’obbligo di seguirlo. Se vedi qualcosa di strano, poco chiaro o contraddittorio nel consiglio, allora hai il pieno diritto morale di rivolgerti a qualcun altro, di dissentire o di rivolgerti ai Santi Padri. E se un padre spirituale è veramente intelligente e umile, ringrazierebbe anche suo figlio spirituale per aver agito correttamente e disobbedendogli. «In nessun modo – scrive il vescovo Ignazio – fate il male con l’obbedienza, anche se vi capita di soffrire qualche tribolazione per dispiacere a qualcuno e per essere saldi. Consulta padri e fratelli virtuosi e intelligenti, ma segui i loro consigli con la massima cura e discrezione. Non lasciarti trasportare dalla prima impressione che ti fanno i loro consigli!”
Ai nostri tempi dovremmo vivere di consiglio, non di obbedienza. A questo proposito il Vescovo Ignazio risponde alla più diffusa contro argomentazione: “Si obietteranno: la fede di chi compie un’obbedienza può sostituire l’inadeguatezza dell’anziano. Questo è falso: il credere alla verità salva, mentre il credere alla menzogna e l’illusione demoniaca distrugge, secondo l’insegnamento dell’Apostolo» (2Ts 2,10-12). [Qui, il Vescovo Ignazio parafrasa le parole di Paolo “E con ogni ingannevolezza dell’ingiustizia in quelli che muoiono; perché non hanno ricevuto l’amore della verità, per essere salvati. E per questo Dio manderà loro una forte illusione, affinché credano a una menzogna; affinché fossero dannati tutti coloro che non credevano alla verità, ma si compiacevano dell’ingiustizia” – AZJ] Cristo disse ai suoi discepoli: «D’ora in poi non vi chiamo servi . . . ma vi ho chiamati amici» (Gv 15,15). Gli amici possono ricevere ordini? Non credo.
Hierom. Adrian: Un’altra domanda. Perché alcune persone collegano la preghiera di Gesù ad altre pratiche, ad esempio ai mantra e alla meditazione indù e buddisti? Molte persone non capiscono la differenza tra quelle pratiche ascetiche e la preghiera noetica di Gesù, la preghiera cristiana.
AI Osipov: Se rivolgiamo la nostra attenzione all’essenziale, i tipi di meditazione di cui parli sono riflessioni, discussioni interne. Non portano con sé la condizione principale per la preghiera: il pentimento. Il pentimento è supplica. Supplica per cosa? Per la nostra peccaminosità, la nostra inadeguatezza, la nostra incapacità di vivere come comanda il Vangelo. La preghiera, come scrive il vescovo Ignazio, va recitata con attenzione, timore reverenziale e sentita contrizione. Queste cose non sono richieste dalla meditazione. La meditazione, lo ripeto, è una riflessione concentrata su una grande varietà di argomenti: teologici, quotidiani, spirituali e morali, di ogni genere.
Esiste un atto molto importante e vitale nella pratica cristiana: la contemplazione di Dio. Tuttavia, questo differisce anche dai suddetti tipi di meditazione. Questa contemplazione delle questioni della fede e della vita cristiana va di pari passo con l’umiltà, la corretta preghiera e la riverente sottomissione interiore della nostra possibile comprensione di qualsiasi questione alla volontà di Dio.
Questa è la cosa principale che distingue la preghiera e la contemplazione di Dio dalla meditazione.
Ora per la seconda cosa. Passando ai mantra, entriamo nell’ambito di un insegnamento che è decisamente, potremmo dire, diverso da quello cristiano o, più esattamente, ortodosso. I mantra, in qualche modo esteriormente somiglianti alle preghiere o piuttosto alle preghiere incantatrici, sono di natura completamente diversa. Intrinsecamente implicano la fede nell’efficacia delle stesse parole pronunciate, spesso indipendentemente dalla comprensione del loro significato. Lo vediamo nella pratica indù, ad esempio, nel Japa mantra, che invita le persone a ripetere il nome di un dio il più spesso e il più rapidamente possibile, poiché il nome stesso purifica l’uomo e lo porta allo stato di Samadhi. I mantra, se lo si desidera, sono uno degli elementi della magia e sono usati nei riti delle religioni misteriche pagane.
Un’idea simile è stata promossa dagli adoratori di nomi russi. Tuttavia, non è il Nome di Dio in sé che santifica. Il Nome di Dio è simile a un’icona: è un collegamento per rivolgere le nostre preghiere all’Archetipo. E la purificazione umana si compie non mediante il Nome stesso, ma mediante la retta preghiera dove in essa è pronunciato il nome di Dio, come insegnavano i Santi Padri. Quando la preghiera viene ripetuta meccanicamente, quante più volte e il più rapidamente possibile, allora «non è affatto preghiera. È pratica morta! È inutile, dannosa per l’anima e offensivo a Dio”, ha scritto il vescovo Ignatius (Brianchaninov).
Anche oggi possiamo vedere questa tendenza a intendere la preghiera come un mantra. Vengono pubblicati libri che raccomandano di recitare la preghiera di Gesù – “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me” – un numero enorme di volte (14.400 preghiere in una volta!) fin dall’inizio. Consigliano di dirlo molto, molto velocemente: 3.600 preghiere all’ora, cioè una preghiera al secondo (“la sua lingua, come un motorino, ripeteva senza sosta la breve preghiera di Gesù”). Questa pratica è assolutamente contraria all’esperienza dei Santi Padri, che dice che dobbiamo dire qualsiasi preghiera, inclusa la Preghiera di Gesù, senza fretta, prestando attenzione alle parole della preghiera, con timore reverenziale e un sentimento di pentimento.
Hierom. Adrian: In Occidente c’è un’opinione secondo cui il divieto di usare l’immaginazione nella preghiera che esiste nell’Ortodossia, in Oriente, è solo a causa della maggiore emotività degli orientali, e in Occidente, dove le persone sono presumibilmente meno emotive, tale immaginazione non è pericolosa.
AI Osipov: Questa è autogiustificazione. Guarda gli spagnoli, i portoghesi, gli italiani: quelle persone sono così focose che devi stare costantemente all’erta. Non è stato in Italia che le stimmate sono emerse per la prima volta nella storia del cristianesimo, con Francesco d’Assisi? Non è affatto l’emotività che conta. La ragione per cui il cattolicesimo protegge così ardentemente la possibilità e persino il bisogno di immaginazione è ben diversa. La psicologia, lo yoga e l’esperienza ascetica cattolica testimoniano in modo convincente il fatto che sviluppare l’immaginazione e concentrarsi costantemente sulle immagini mentali è un modo efficace per le persone di raggiungere stati speciali esaltati molto facilmente. Ad esempio, compassione per Cristo (сompassio)– una conquista ascetica dello stesso Francesco – consistette nell’immaginare mentalmente e nel tentare di entrare in empatia con le sofferenze di Cristo e il suo amore per il mondo intero, nonché con le sofferenze e le esperienze della Madre di Dio e degli altri santi.
Quando gli asceti immaginano sognanti scene di amore, sofferenza, ecc., i loro nervi e la loro psiche si eccitano molto, la loro immaginazione si infiamma e di conseguenza si verificano allucinazioni e apparizioni demoniache. Tali asceti sviluppano un’altissima opinione di se stessi come pieni della grazia divina e vicini a Cristo e ai santi. Gli asceti occidentali considerano quegli stati dati da Dio. Ma non c’è né Dio, né la grazia in questo fenomeno. Scrive il Vescovo Ignazio: “I Santi Padri vietano rigorosamente di usare la facilità dell’immaginazione; ci comandano di mantenere la mente senza forma, non sigillata da nulla di materiale”. “Durante la preghiera, dobbiamo avere la mente senza forma e prestare particolare attenzione a mantenerla tale, rifiutando tutte le immagini fantasticate attraverso la facilità dell’immaginazione. . . Le immagini, se consentite dalla mente in preghiera, diventerà una cortina impenetrabile, un muro tra la mente e Dio”. Al contrario, avverte, “gli spiriti caduti cercano di incitare la nostra immaginazione”. “Sangue e nervi, – ha scritto, – sono attivati da molte passioni: rabbia, cupidigia, lussuria e vanità. Queste ultime due passioni infiammano enormemente il sangue degli asceti che intraprendono le loro lotte illegalmente e li trasformano in fanatici deliranti.
Il vescovo Ignazio racconta di un impiegato d’ufficio di San Pietroburgo che cadde in un’illusione spirituale e tentò il suicidio: “Si è scoperto che l’impiegato aveva usato l’immagine della preghiera descritta da san Simeone; aveva infiammato la sua immaginazione e il suo sangue, il che rende l’uomo abbastanza capace di digiunare rigorosamente e di vigilare. . . L’impiegato aveva visto la luce con i suoi occhi corporei, profumo e calore che aveva sentito altrettanto tangibilmente”.
“I cristiani occidentali si sono sforzati di ravvivare i loro sentimenti, sangue e immaginazione; ci riuscirono presto e presto raggiunsero lo stato di delusione e di frenesia spirituale, che chiamarono santità. Tutte le loro visioni provengono da quel regno. I cristiani orientali e tutti i figli della Chiesa universale camminano verso la santità e la purezza in un modo che è esattamente l’opposto di quello sopra menzionato: sottomettendo i loro sentimenti, sangue, immaginazione e persino ‘le loro opinioni’.
Il motivo principale della triste situazione degli asceti occidentali è che hanno smesso di seguire la guida dei Padri asceti della Chiesa antica e hanno iniziato a vivere secondo la propria comprensione, riproducendo “film” nella loro immaginazione e adorando le immagini in essi contenute. Hanno sostituito fantasie d’amore per Cristo alla lotta contro le passioni.
Vorrei citare qui un breve passo da La storia di un’anima , libro di una grande santa cattolica, dottore della loro Chiesa, Teresa di Lisieux (sec. 19), affinché sia chiaro ciò di cui stiamo parlando: era davvero un abbraccio d’amore. Mi sono sentito amato e ho detto: “Ti amo e mi do a te per sempre”. Gesù non mi chiese nulla e non pretese alcun sacrificio; Lui e la piccola Teresa da tempo si conoscevano e si capivano. Quel giorno il nostro incontro è stato più di un semplice riconoscimento, è stato un connubio perfetto. Non eravamo più due. Teresa era scomparsa come una goccia d’acqua persa nell’immensità dell’oceano. [Capitolo 4. “Prima Comunione e Cresima” – AZJ ]. Questo tipo di “amore” non ha bisogno di commenti.
Tale “spiritualità” è molto contagiosa, si conforma ai gusti del “vecchio”, alla sua ricerca della dolcezza spirituale, alla sua vanità, al suo orgoglio. Sfortunatamente, anche il Pellegrino dei Racconti ha seguito questo facile sentiero, attirando via con sé cristiani inesperti che cercavano il piacere spirituale. A questo proposito il suo consiglio che segue è abbastanza rivelatore: “Con la tua immaginazione, trova il punto in cui si trova il tuo cuore, sotto il tuo capezzolo sinistro (la nostra sottolineatura – А.О.), e fissa lì la tua attenzione. Mentre il Vescovo Ignazio avverte: “Chi si sforza di attivare e riscaldare la parte inferiore del cuore, attiva la forza della lussuria…” Questo è uno dei motivi per cui Teofane ha scritto: “Non guardare nel libro – I Racconti. Ci sono consigli in esso che non ti fanno bene e possono sfociare in un’illusione spirituale.
Hierom. Adrian: Grazie mille per l’intervista e per averci parlato del tuo libretto, Alexey Ilyich. Il nostro sito web “Bogoslov.ru” ti augura l’aiuto divino nel tuo lavoro di insegnamento e teologia. Attendiamo con impazienza i tuoi nuovi libri.
Intervista dello ieromonaco Adrian (Pashin)
Padre Gabriel (Bunge): Non si può imparare a pregare seduti su una poltrona calda
Un noto teologo, lo ieromonaco Gabriel Bunge, rilascia raramente interviste. Conduce una vita da eremita in un piccolo skete in Svizzera, non usa mai Internet e l’unico mezzo di comunicazione con lui è il telefono. Quest’ultimo funge da segreteria telefonica in una stanza lontana. Se vuoi parlare con lui, devi lasciare un messaggio con l’ora in cui tornerai a telefonare, e se Padre Gabriel è pronto a parlare, sarà vicino al telefono all’ora da te indicata. Siamo stati fortunati a non subire questa complessa operazione perché abbiamo incontrato padre Gabriel a Mosca. Il 27 agosto si convertì all’Ortodossia dal cattolicesimo.
Nella nostra conversazione, padre Gabriel ci ha parlato dei motivi della sua decisione, delle principali differenze tra Valaam e la Svizzera e di molte altre cose.
“Siamo comnsiderati strani”
D: Se qualcuno passa da una tradizione cristiana all’altra, deve significare che sente che gli manca qualcosa di vitale nella sua vita spirituale…
R: Sì. E se questa persona ha settant’anni, come me, questo passo non può essere definito frettoloso, vero?
D: No, non può. Ma cosa ti è mancato, essendo un monaco con una così grande esperienza spirituale?
R: Devo parlare non di una decisione, ma di tutto il percorso della vita con la sua logica interiore: a un certo punto accade un evento che veniva preparato da tutta la vita.
Come tutti i giovani, stavo cercando la mia strada nella vita, per così dire. Sono entrato all’Università di Bonn e ho iniziato a studiare filosofia e teologia comparata. Non molto tempo prima, avevo visitato la Grecia e trascorso due mesi sull’isola di Lesbo. Fu lì che vidi per la prima volta un vero monaco anziano ortodosso. A quel tempo, ero già interiormente attratto dal monachesimo e avevo letto della letteratura ortodossa, comprese le fonti russe. Quell’anziano mi ha stupito. Divenne l’incarnazione del monaco che avevo incontrato prima solo nei libri. Improvvisamente, ho visto davanti a me una vita monastica che fin dall’inizio mi è sembrata autentica, vera, la più vicina alla pratica dei primi monaci cristiani. Dopodiché, sono stato in contatto con quell’anziano per tutta la vita. Così ho ottenuto un ideale di vita monastica.
Quando sono tornato in Germania, sono entrato nell’Ordine di San Benedetto: sembrava essere il più vicino alle mie aspirazioni. La struttura dell’Ordine stesso ricorda quella della Chiesa paleocristiana. Nell’Ordine non esiste un sistema verticale di subordinazione, ogni comunità esiste da sola. Ciò che garantisce l’unità di queste comunità è la tradizione e la Chiesa: il Typicon. Cioè, non l’ordine giuridico, ma l’ideale spirituale. A proposito, in questo senso penso che siano i benedettini, di tutti i credenti occidentali, quelli che sono pronti a capire più acutamente i credenti ortodossi. Ma ancora il mio Padre spirituale ed io ci rendemmo conto molto presto che con la mia passione per il monachesimo orientale e l’amore per il cristianesimo orientale in generale, non ero al mio posto in questo Ordine. Così l’abate, uomo anziano ed esperto che ancora onoro, decise di trasferirmi in un piccolo monastero in Belgio, e non senza rimpianti. Ho trascorso 18 anni lì, ho acquisito una grande esperienza e da lì, con una benedizione, sono andato allo skete in Svizzera. Tutti questi trasferimenti furono causati da un motivo: il tentativo di progredire verso un’autentica vita monastica, come avveniva con i primi cristiani. Come quello che ho visto con i cristiani orientali. Il passo più recente su questa via è stata la conversione all’Ortodossia.
D: Perché hai deciso di adottarla? Si può amare l’Ortodossia con tutto il cuore e rimanere all’interno del cattolicesimo tradizionale. Ci sono molti esempi simili in Occidente.
R: Sì, molte persone che sono attratte dall’Ortodossia rimangono all’interno della Chiesa cattolica. E questo è normale. Nella maggior parte delle cattedrali occidentali ci sono icone ortodosse. In Italia ci sono scuole professionali di pittura di icone insegnate da specialisti russi e altri. Sempre più credenti in Europa sono oggi interessati agli inni bizantini. Anche i tradizionalisti della Chiesa cattolica hanno scoperto il canto bizantino. Naturalmente non li usano durante il servizio divino in chiesa, ma fuori dalla chiesa, ad esempio, ai concerti. La letteratura ortodossa viene tradotta in tutte le lingue europee e i libri vengono pubblicati nelle maggiori case editrici cattoliche. Insomma, in Occidente, non hanno davvero perso il gusto per tutto ciò che è autentico, cristiano, che la tradizione orientale ha conservato. Ma ahimè, non cambia nulla nella vita reale delle persone e della società nel suo complesso. L’interesse per l’Ortodossia è più culturale. E quelle povere persone come me che hanno un interesse spirituale per l’Ortodossia, sono lasciate in minoranza. Siamo considerati strani; raramente siamo capiti.
“Semplicemente per sapere da dove viene tutto”
D: Come teologo, lei ha parlato spesso del problema della separazione tra Occidente e Oriente. Possiamo dire che la sua conversione all’Ortodossia è il risultato della sua meditazione su questo argomento?
R: Quando ero in Grecia e ho iniziato a rivolgermi al cristianesimo orientale, ho cominciato a percepire molto dolorosamente lo scisma tra Oriente e Occidente. Ha smesso di essere una teoria astratta o una trama in un libro di storia della Chiesa, ma piuttosto qualcosa che stava influenzando direttamente la mia vita spirituale. Questo è il motivo per cui la conversione all’Ortodossia ha iniziato a sembrare un passo molto logico. In gioventù, speravo sinceramente che fosse possibile l’unione del cristianesimo occidentale e orientale. Aspettavo che accadesse con tutto il cuore. E avevo delle ragioni per crederci. Al Concilio Vaticano II erano presenti osservatori della Chiesa ortodossa russa, tra cui l’attuale metropolita di San Pietroburgo e Ladoga, Vladimir (Kotlyarov). A quel tempo il metropolita Nikodim (Rotov) era molto attivo negli affari internazionali. E molte persone pensavano che le due Chiese si stessero avvicinando e alla fine si sarebbero incontrate a un certo punto. Era il mio sogno che stava diventando sempre più reale. Ma mentre crescevo e imparavo alcune cose più in profondità, ho smesso di credere nella possibilità della riconciliazione di due Chiese in termini di servizi divini e unità istituzionale. Cosa dovevo fare? Potevo solo continuare a cercare questa unità da solo, individualmente, ripristinandola in un’anima separata, la mia. Non potevo fare di più. Ho solo seguito la mia coscienza e sono arrivato all’Ortodossia.
D: Non è un’opinione troppo radicale?
R: Mentre ero ancora in Grecia, essendo cattolico, mi sono reso conto che era l’Occidente a separarsi dall’Oriente, non viceversa. In quel momento per me era impensabile. Avevo bisogno di tempo per capirlo e accettarlo. Non posso incolpare nessuno, certo che non posso! Stiamo parlando di un intero grande processo storico e non possiamo dire che questa o quella persona sia la causa di questo. Ma i fatti restano fatti: quello che oggi chiamiamo cristianesimo occidentale è nato come una catena di rotture con l’Oriente. Queste rotture furono la riforma gregoriana, seguita dalla separazione delle chiese nell’XI secolo, poi la Riforma nel XV secolo e infine il Concilio Vaticano II nel XX secolo. Questo è, sicuramente, uno schema molto approssimativo, ma penso che nel complesso sia corretto.
D: Tuttavia, si ritiene che la catena di queste rotture sia un normale processo storico perché qualsiasi fenomeno (e la Chiesa cristiana non fa eccezione) attraversa le sue fasi di sviluppo. Qual è la tragedia in questo?
R: La tragedia è nelle persone. In una situazione di eventi radicali e rivoluzionari compaiono sempre persone che iniziano a dividere la vita in “prima” e “dopo”. Vogliono iniziare a contare solo da questo nuovo punto come se tutto quello che è successo prima non avesse senso. Quando i futuri protestanti proclamarono la Riforma, non credo che sapessero che avrebbe portato alla separazione della Chiesa occidentale in due grandi campi. Non se ne sono accorti, hanno semplicemente agito. E cominciarono a dividere chi li circondava in sani – coloro che accettarono la Riforma – e malati, i seguaci del Papa.
Inoltre, la storia si ripete: lo stesso sta accadendo ora intorno al Concilio Vaticano II all’interno della Chiesa cattolica romana. Ci sono persone che non hanno accettato le sue decisioni e persone che lo considerano una sorta di punto di partenza. E tutti ragionano in questo modo. Un semplice esempio: se in una conversazione qualcuno menziona ‘concilio’ senza ulteriori dettagli, tutti automaticamente danno per scontato che si tratti del Concilio Vaticano II.
D: Qual è la tua opinione sugli umori liberali moderni tra i cattolici?
R: Sono molto contento di avere l’opportunità di rivolgermi al pubblico russo e di dire che non si dovrebbero ridurre tutti i cattolici a un livello. Tra loro ci sono quelli che vorrebbero essere più laici, più liberali. Non significa che siano criminali, è solo il loro punto di vista sulla vita. Ce ne sono altri, quelli che si dedicano completamente alla tradizione. Non li chiamerei tradizionalisti, perché la tradizione in sé non è così importante per loro. Questo non è un folklore antico che bisogna nutrire artificialmente e tenere a galla. No! La tradizione è per loro ciò che in ogni epoca ha assicurato e assicura tuttora il contatto personale vivo con Cristo, il vivere quotidiano nelle mani di Dio. Come disse Giovanni il Teologo: “Ciò che abbiamo visto e udito ve lo dichiariamo, affinché anche voi possiate essere in comunione con noi; e in verità la nostra comunione è con il Padre” se non l’avessero scritto e non l’avessero trasmesso, non ci sarebbe stato il Nuovo Testamento. Vuol dire che non ci sarebbe stato niente…
D: E quale dovrebbe essere, in questo caso, il nostro atteggiamento verso chi non è molto dedito alla tradizione?
R: Non dovremmo picchiarli e ovviamente non dovremmo cacciarli fuori dalla Chiesa. Ogni persona merita la misericordia cristiana. Se io, essendo ortodosso, vedessi un cattolico in una chiesa ortodossa, vorrei avvicinarmi a lui e dirgli apertamente, dolcemente e confidenzialmente: “Ascolta, fratello, ti potrebbe interessare sapere che all’inizio ci siamo tutti segnati in questo modo: da destra a sinistra. Ora tutto è cambiato. No, non ti sto chiamando a riconsiderare tutta la tua vita e correre verso la Chiesa ortodossa. Voglio solo che tu sappia da dove vengono le cose”.
Valam
D: E perché ha scelto la Chiesa ortodossa russa?
A: Penso che il fattore chiave in tali decisioni siano le persone che ti circondano. Quando i miei conoscenti, i vescovi russi di San Pietroburgo, hanno appreso che stavo adottando l’Ortodossia, hanno detto: “Non siamo affatto sorpresi! Sei sempre stato con noi. Ma ora avremo una comunione più stretta, sacra – in un unico Calice.” Conosco da molto tempo il metropolita Hilarion, attuale capo del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca. Ci siamo incontrati per la prima volta nel 1994 quando era uno ieromonaco. Lo considero un mio buon amico e apprezzo questa amicizia.
Il gerarca Hilarion, se vuoi, è una delle persone più competenti e informate che abbia mai incontrato. In realtà è diventato per me l’unica persona a cui potevo rivolgermi con la mia richiesta, che conosceva me, le mie convinzioni e la mia situazione. E che, come ne ero certo, era pronto a rispondere. Ed è quello che è successo.
D: In che modo ti aiuterà a raggiungere il tuo ideale di vita spirituale?
A: Tu vuoi la profezia da me, ma io non sono un profeta. Non so nello specifico cosa accadrà dopo. Vivremo semplicemente. Anche adesso ho già trovato in Russia molte cose che mi interessano.
Ad esempio, ho visitato Valaam. Sapete, in Occidente se un credente è attratto da una vita nel più assoluto isolamento monastico, in realtà non ha nessun posto dove andare.
Gli eremi come sono in Russia, non esistono in Occidente. Questa forma di vita sembra essere già obsoleta. Come monaco sono costantemente alla ricerca del massimo isolamento, persino della solitudine. A Valaam, ho sentito che era tutto lì.
D: Non c’è abbastanza solitudine nel tuo skete in Svizzera? Valaam è anche un luogo affollato, i pellegrini vi vengono regolarmente.
R: La Svizzera è un paese piccolo e densamente popolato. Lo skete è circondato da una foresta, ma in 15 minuti a piedi c’è un villaggio con circa un centinaio di persone che vivono lì. A Valaam è molto più tranquillo. Sì, certo, ci sono molte persone lì. Ma il luogo stesso, come ho sentito, è isolato dal resto del mondo. Forse è così perché è un’isola, o forse è per altri motivi non geografici.
Mi sembra che tutto questo possa dar luogo a questo desiderabile stato di clausura nel cuore di tutti coloro che vi si recano.
D: È più difficile in Europa?
A: In parole povere, possiamo dire che in Occidente non esiste del tutto. L’autentica tradizione monastica in Occidente è stata praticamente soffocata nel corso della rivoluzione borghese francese nel 1789. Sono fermamente convinto che le conseguenze di questa rivoluzione per l’Europa non furono meno pesanti delle conseguenze della rivoluzione del 1917 e dei 70 anni del potere ateo per la Russia. In Francia dopo quei sanguinosi eventi il monachesimo dovette essere restaurato quasi da zero. I sacerdoti comuni, non i monaci, dovevano eseguire questo. Non c’era nessun altro. In Russia il monachesimo è sopravvissuto nonostante tutti gli shock e gli orrori. Sì, è successo a livello di individui particolari, cioè gli anziani. Ma esistevano! E hanno mantenuto la tradizione spirituale e l’autentica vita monastica. Mi sembra che in tutto ciò che riguarda la vita monastica, la Russia non doveva ricominciare da zero. Questo è il motivo per cui mi dispiace sentire i russi dire a volte “abbiamo avuto tutto distrutto, la Chiesa è stata soppressa, ecc.” Voglio sempre rispondere: “Secondo me, avete tutto, nuovi martiri e confessori, monaci anziani”. E sono tutti vicini, allunga il braccio. Solo tu devi allungarlo, prendere questa ricchezza e usarla in pratica, per così dire, nella tua vita. Ho spesso l’impressione che la maggior parte delle persone in Russia non apprezzi questo. Oppure semplicemente non capiscono che questo è prezioso.
D: Perché, secondo te, succede così?
R: Parlando di problemi, le persone si concentrano sulle difficoltà materiali, a volte esterne, che i monasteri e la Chiesa devono affrontare oggigiorno. Sì, c’è molto da ricostruire. Ma questa è solo la parte tecnica, per così dire, solo le pareti e i tetti. Inutile dire che la gente si lamenta: tetti e muri costano, e dove si possono trovare soldi… Ma se andiamo mentalmente sopra il tetto – anche con i buchi – vedremo che le mura non sono la cosa principale, è più importante con che tipo di cuore si entra nelle mura. Il proverbio russo dice: “La chiesa non è nei tronchi ma nelle costole”. E questa è la cosa più importante, questa tradizione spirituale, che è ancora all’interno dei russi. Gli anziani monastici e i nuovi martiri hanno preservato tutto questo per noi. A volte le persone discutono: “Ma ci sono così pochi anziani ora, la maggior parte di loro è già morta. Non c’è nessuno che ci insegni.” Rispondo sempre: “Se non hai un anziano vivente a cui insegnarti, rivolgiti al defunto. Hai la sua agiografia, i suoi testi, i suoi insegnamenti. Leggili e correla con la tua vita. Non intendo dire che non ho mai incontrato persone in Russia che conoscano e apprezzino questa conoscenza. Ci sono molte, molte persone che lo fanno e la mia visita a Valaam lo ha dimostrato.
Salta in acqua
D: Cosa deve cambiare ora nella tua vita quotidiana dopo la conversione?
R: Certo, ci sono cose che non possono che cambiare. Essendo diventato un membro della Chiesa ortodossa russa ma vivendo ancora in Svizzera, mi sottometto all’arcivescovo Innokenty di Korsun. I miei rapporti con la Chiesa cattolica non possono, naturalmente, rimanere gli stessi.
D: Quale reazione ti aspetti dai tuoi figli spirituali? Devono essere tutti cattolici…
A: In primo luogo, fortunatamente ho a che fare con persone comprensive e sono sicuro che rispetteranno la mia decisione. E in secondo luogo, non ho mai tenuto segrete le mie opinioni e convinzioni. Tutti i miei figli spirituali hanno saputo che il mio ideale di cristianesimo è in Oriente. Non credo che saranno così sorpresi. Non avevo detto loro nulla in anticipo per evitare discussioni inutili. Ma non credo che accadrà nulla di straordinario. Credo che la tradizione dei discorsi spirituali per i quali venivano i miei figli rimarrà, non ho motivo per fermarla. Infine, le persone con cui comunico regolarmente condividono più o meno il mio ideale spirituale; altrimenti non sarebbero venuti.
D: E i servizi divini?
R: Certo, d’ora in poi non potrò amministrare la comunione ai cattolici. Ma anche prima lo facevo molto di rado: lo skete è lontano dal grande mondo, il territorio è tenuto chiuso, anche i servizi sono privati, la cappella è piccola – per dieci persone al massimo. Solo a Natale e Pasqua apriamo le porte a tutti coloro che vogliono unirsi a noi.
D: Se potessi e volessi dare ai contemporanei un consiglio molto breve sull’organizzazione della loro vita di preghiera, cosa diresti?
A: Se vuoi imparare a nuotare, salta in acqua. Solo così puoi imparare. Solo chi prega sentirà il senso, il gusto e la gioia della preghiera. Non puoi imparare a pregare seduto in una grande poltrona calda. Se sei pronto a inginocchiarti, a pentirti sinceramente, ad alzare gli occhi e le mani al Cielo, allora molte cose ti saranno rivelate. Naturalmente puoi leggere molti libri, ascoltare lezioni, parlare con le persone: anche questi sono importanti e aiutano a capirne di più. Ma qual è il valore di tutte queste cose se non si fanno passi concreti dopo? Se non iniziamo a pregare? Penso che tu debba capire anche questo. Ovviamente, stai ponendo questa domanda dalla posizione di uno che non crede…
D: Esattamente. La nostra rivista è per coloro che dubitano.
A: Non c’è niente di sbagliato nei dubbi, sono anche utili. Non bisogna cercarli, però. Ma se compaiono, si deve semplicemente ricordare che tutti noi abbiamo la possibilità di sentire: “Porta il tuo dito e guarda le mie mani; e stendi la tua mano e mettila nel mio fianco: e non essere incredulo, ma credente” (Giovanni 20:27).