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CURINGA: IL MONASTERO E IL PLATANO

Nel periodo magno-greco la polis di Curinga si chiamava Laconia, posta tra le città greche di Hipponion e Temesa. L’antico nome probabilmente richiamava quello della corrispondente regione greca oggi denominata Peloponneso (sudorientale). In effetti molti dei toponimi esistenti in questa zona ed in tutta la Calabria sono di chiara derivazione ellenistica.

Di particolare rilievo storico ed archeologico il Monastero di S. Elia, edificio risalente all’anno mille che è situato nella frazione Corda che si affaccia sul Golfo di S. Eufemia.

Il complesso architettonico comprende i resti del “Sancta Sanctorum”, un vano a pianta quadrata chiuso da una cupola in buono stato di conservazione.

Sono anche visibili i resti della navata e dell’antico cenobio. Il monastero, eretto da monaci provenienti dall’Oriente, era costituito dalla Chiesa munita di una notevole abside sormontata da una cupola in pietra, con evidenti richiami all’architettura armena. Nell’interno dell’abside, alla base della cupola, esiste un fregio a carattere curvilineo. Più in basso, tra il quadrato e il cilindro si trova una fascia di blocchi di pietra arenaria scolpita con un bellissimo motivo “a treccia”, con nastro concavo a “bottone” convesso. Gli scavi del 1991 hanno permesso di individuare all’interno del complesso la cella del priore, il corridoio centrale e il cellare. Tra gli altri locali è venuta alla luce, al piano terra, la Cappella di S. Elia. [https://www.comune.curinga.cz.it/novita/la-storia-di-curinga/]

Secondo alcuni studi, mentre il monastero ascenderebbe all’anno 1000 d.C., la cupola risulterebbe più tardiva e forse costruita intorno al 1600 così come testimonia la treccia decorativa al suo interno e lo stemma dei Caracciolo e Loffredo, apposto sull’arco che collegava l’antica chiesa rettangolare di cui oggi rimangono solo le creste dei muri perimetrali.

Dall’analisi strutturale eseguita sulle murature del complesso monastico, sembra sia possibile tuttavia riconoscere almeno cinque distinte fasi di vita, la più antica delle quali risalirebbe presumibilmente a epoca pre-normanna. (vedi documento sotto pubblicato)

Vista aerea su Google Maps

Legato a questo luogo monastico è la storia del Platano millenario. Il platano orientale è un grande albero deciduo originario del Mediterraneo orientale e dell’Asia occidentale, con areale esteso sino all’Afghanistan. In Italia è spontaneo in Sicilia e nell’Italia meridionale. L’esemplare che si trova a Curinga è alto 31,5 metri, largo oltre 12 metri, con una cavità nel tronco ampia più di 3 metri. Questo maestoso albero vanta una storia di oltre mille anni, ma le sue radici potrebbero risalire a tempi più antichi. L’ipotesi più accreditata e che sia stato piantato proprio da qualche monaco proveniente dall’Oriente quando giunse in Calabria nel IX secolo, appartenente allo stesso gruppo che edificò le prime fondamenta dell’eremo poi divenuto monastero. Per secoli, il platano è stato luogo di incontro per contadini e pastori, oltre che luogo di riparo contro le intemperie e nascondiglio per i briganti. Infatti, grazie al suo tronco completamente cavo, al suo interno possono raggrupparsi fino a dieci persone.

Benché già i greci contribuirono alla sua diffusione in Italia del Sud, come raccontano fonti antiche, la specie potrebbe essere giunta in Italia in tempi precedenti, paleointrodotta dall’uomo o senza necessariamente il vettore uomo, come specie trans-jonica e anfi-adriatica, al pari di tantissime altre specie viventi che connotano i regni del vivente del sud Italia, nelle varie vicissitudini geologiche e climatiche del passato, nelle quali si ebbero anche periodi con il livello del mare molto più basso dell’attuale e l’emersione conseguente di maggiori ponti di terra tra Balcani e Penisola italiana. (FONTE WEB)

Distribuzione del Platano Orientale

ALTRI DOCUMENTI





Archivio di Stato di Reggio Calabria: San Filarete, ritrovamento e miracoli

SAN FILARETE, RITROVAMENTO E MIRACOLI

Testimonianza dall’Archivio di Stato di Reggio del nostro Padre tra i Santi, Filareto l’Ortolano di Seminara. La dizione asceta basiliano è ovviamente non corretta e postuma. Non esiste e non è mai esistito un ‘ordine basiliano’ in Oriente. Denominazione che sorse nel momento in cui, con la conquista normanna delle terre del Sud Italia, si volle normalizzare la presenza dell’Ortodossia in Calabria sotto il papismo. Questi Santi erano semplicemente l’espressione dell’ascetismo calabro ortodosso di lingua greca, ascetismo indigeno, ben radicato e tradizionale nella nostra regione tanto da avere una rinomata area monastica tra Calabria e Basilicata denominata Mercurion.

Per le preghiere del nostro Santo Padre Filareto l’Ortolano, Signore Gesù Cristo, Dio nostro, abbi pietà di noi e salvaci!


Giovedì 22 Febbraio 2024 [1] [2]

La facciata interna della copertina del protocollo, che è in pergamena, porta attaccato un foglio sul quale è incollata una stampa, che riproduce l’immagine del Santo, di circa 17x13cm, e la seguente didascalia:

«S. Filaretus Monachus Ordinis Sancti Basilii Magni vite austeritate, ac miraculorum gloria clarus, cuius sacrum Corpus Seminariae in Monasterio eiusdem Ordinis summa veneratione colitur eiusque festiva dies 6 Aprilis solemniter celebratur. Sup[eriorum] permis [su]»

Al di sopra della stampa, di mano del notaio, è scritto «S. Filereto, protettore della fedelissima Città di Seminara ritrovato il suo corpo nell’anno 1693 a 17 febraro, nel Monas[te]ro in campagna di detto Santo per il terrimuto successo che abisso’ la Sicilia»

Al di sotto della stampa sempre di mano del notaio vi è scritto «S. Fileretus, ora pro me»

L’immagine del santo, in atteggiamento austero, come si vede nella foto, con la mano sinistra sul cuore e la destra protesa in avanti, si staglia sul fondo di un paesaggio collinare, con a sinistra un borgo e a destra un corso d’acqua da cui emerge a metà, ignudo, un uomo in atteggiamento orante.

L’indice sopraricordato non è completo, in quanto riporta la foliazione di 11 atti, mentre il protocollo ne contiene 14, per complessive 26 pagine; abbraccia un periodo di tempo assai ristretto, dal 22 febbraio al 20 aprile, con i primi 12; del 13 giugno è il penultimo atto ; del 26 dicembre l’ultimo. Il notaio enucleò detti atti dal resto dei contratti e degli altri rogiti fatti nell’anno e li contraddistinse con una croce. Tra questi i più importanti sono i primi due, che riguardano il ritrovamento del corpo del santo e le prove del luogo dove era sepolto, mentre gli altri sono attestazioni di miracoli seguiti al ritrovamento.

Il primo, di cui oggi sono 331 anni dal rogito, è ornato con una croce dorata cartacea incollata, di 4,5×3,5 cm, sovrapposta a margine. Nel f. 23 v. e 24 v. rispettivamente le due note:

1) « detto glorioso Santo Filereto se ne mori nel secolo duodecimo idest l’an[n]o 1170 mentre nel secolo undecimo fu la destrutione di tauriana replublica da cui originem habuit Seminaria» [1]

2) « a 24 ottobre 1697. Si fece la confrunta con li reliquie del braccio tiene la Città di Seminara con la presenza di due fisici dottor Romano et dottor Minni, et coram delegatis e si videro esserne giusti, stante la mancansa come nel istru[men]to presente verum quelli della città sono quattro ossi di braccia due maggiore e due minore e quelli del monas[te]rio furno otto in tutto ossa maiuscoli a benché nel instrumento si dice sette, fu per errore allora, stante che erano rotti alcuni d’essi. Il tutto anche fu con mia presenza. Notar Guardata»


NOTE (nostre, non incluse nel post dell’Archivio di Stato):

[1] Fonte delle immagini: ASRC/SP, Fondo notarile Notaio D. M. Guardata, busta 738, vol. 6908

[2] Post apparso sulla pagina facebook dell’Archivio di Stato di Reggio Calabria in data 22 Febbraio 2024

[2] Tauriana o Taureana (Taurianum in latino, Ταυρανία in greco) fu una città magnogreca, dell’antico territorio Italia e che in epoca remota si estendeva a capoluogo del versante tirrenico fino a comprendere gli attuali territori di Taureana e Palmi. Le sue rovine sono state localizzate nel territorio di Palmi. Il nome della città deriva da quello del populus italico che la fondò, i tauriani. La città italica, che sorgeva sulla riva sud del fiume Metauros (probabilmente il Petrace), segnava il confine del territorio di Région (Reggio Calabria) sul versante tirrenico nord-occidentale, oltre cui iniziava quello di Locri Epizefiri. Successivamente romana e poi bizantina, Tauriana venne distrutta dai saraceni nella metà del X secolo. Gran parte dei rinvenimenti archeologici costituiscono il Parco Archeologico dei Tauriani (Fonte: Wikipedia)




Didaché: La dottrina dei dodici Apostoli

INTRODUZIONE

La Tradizione della Chiesa è l’insegnamento orale che dal Dio-Uomo è passato attraverso gli Apostoli giongendo fino a noi. Una parte di questa Tradizione è stata scritta nei testi che conosciamo come Nuovo Testamento. Un’altra parte della Tradizione ci è pervenuta negli scritti sub-apostolici, che normalmente hanno avuto una genesi molto antica, alcune volte coeva alla scrittura del Nuovo Testamento, e provenienti dalla penna di coloro che conobbero direttamente gli Apostoli e ne ascoltarono fisicamente la predicazione. Risalgono alla fine del I secolo e alla prima metà del II secolo, quegli scritti oramai conosciuti e catalogati col nome di collettivo di “Padri Apostolici”. Tale etichetta è abbastanza recente essendo stato il primo ad usarla J. B. Cotelier nellìetà moderna. Questo studioso si riferiva precisamente alle lettere di Barnaba, Clemente Romano, Ignazio di Antiochia, Policarpo di Smirne ed al Pastore d’Erma. Solo successivamente furono ritrovate e ripubblicate e quindi inserite nel corpus sub-apostolico i frammenti di Papia di Gerapoli, l’epistola ‘a Diogneto’ e la Didaché.

Quando i Padri Apostolici scrivevano, come abbiamo detto, non era ancora completo tutto il Nuovo Testamento. Con molta probabilità la Didachè è più antica dell’Apocalisse e del quarto Vangelo di San Giovanni il Teologo. Il testo della Didaché è sia un testo catechetico che liturgico. Da essa possiamo conoscere la pulsante dottrina apostolica che era stata diffusa nelle antiche comunità cristiane con le rubriche liturgiche utilizzate per i principali sacramenti. La Dottrina dei dodici Apostoli si può considerare il più venerando ed antico catechismo cristiano, essendo stata scritta solo una sessantina di anni dopo la morte di Cristo. Citazioni di questo scritto si possano trovare infatti già nella Lettera di Barnaba che si ritiene essere stata scritta verso l’anno 97 dell’era cristiana. L’autore è anonimo ed alcuni studiosi pensano sia possibile che attinga alla stessa fonte Q dei vangeli sinottici, spingendosi quindi a datarla addirittura alla metà del I secolo. A prescindere dalla critica testuale, la Didaché, che è stata ‘riscoperta’ integralmente solo nella seconda metà del 1800, era comunque conosciuta perché citata da tanti Padri della Chiesa.

La Didachè è infatti citata da Erma (circa 150 d.C.) nel Pastore, da Clemente Alessandrino (145-216 d.C.), da Origene (185-255 d.C.), da Eusebio, da Atanasio Vescovo di Alessandria che la consiglierà per la lettura a tutti i catecumeni.

Nel 1873 in un codice greco di Costantinopoli (ora conservato a Gerusalemme) il Metropolita Filoteo Bryennios ne scoprì un manoscritto risalente all’anno 1056. In seguito se ne trovarono frammenti in papiri del IV sec., nonché una versione in georgiano fatta sul testo greco nell’anno 430 da un vescovo di nome Geremia.

La Didaché è un testo importantissimo anche perché dimostra come le parti fondamentali della dottrina e i fondamenti della liturgia erano già codificati quando non erano ancora passati cinquant’anni dacché il «Logos si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». (Gv 1,14)

I sacramenti del Battesimo, dell’Eucarestia e della Penitenza sono descritti nel loro significato teologico e nelle loro espressioni liturgiche del tutto simili a quelle ancora oggi in uso nella Chiesa Ortodossa. 

1. Ci sono due vie, una della vita e una della morte, ma c’è una grande differenza tra le due vie. La via della vita, dunque, è questa:

Primo: amerai Dio che ti ha creato.

Secondo: ama il tuo prossimo come te stesso e non fare a un altro ciò che non vorresti fosse fatto a te.

E di questi detti l’insegnamento è questo: benedite coloro che vi maledicono, pregate per i vostri nemici e digiunate per coloro che vi perseguitano. Perché quale merito c’è nell’amare coloro che vi amano? I Gentili non fanno lo stesso? Ma amate coloro che vi odiano e non avrete nemici.

Astieniti dalle concupiscenze carnali e mondane. Se qualcuno ti colpisce sulla guancia destra, porgigli anche l’altra e sarai perfetto. Se qualcuno ti impone [di camminare] per un miglio, accompagnalo per due. Se qualcuno ti prende il mantello, dagli anche la tunica. Se qualcuno ti toglie ciò che è tuo, non chiederglielo indietro, perché infatti non potrai. Date a chiunque vi chiede e non chiedete indietro; perché il Padre vuole che a tutti siano date le benedizioni [doni gratuiti]. Beato è chi dona secondo il comandamento, perché è senza colpa. Guai a chi riceve; perché se uno riceve essendo nel bisogno, è senza colpa, ma chi riceve non avendo bisogno pagherà la pena, perché ha ricevuto senza motivo. Ed entrato in prigione, sarà interrogato riguardo alle cose che ha fatto, e non uscirà di lì finché non avrà restituito fino all’ultimo centesimo. E anche a questo riguardo è stato detto: La vostra elemosina sudi nelle vostre mani, finché non saprai a chi devi dare.

2. Secondo comandamento della dottrina.

Non commetterai omicidio,

non commetterai adulterio,

non commetterai pederastia,

non commetterai fornicazione,

non ruberai,

non praticherai la magia,

non praticherai la stregoneria,

non ucciderai un bambino mediante l’aborto né lo ucciderai alla nascita,

non desidererai le cose del tuo prossimo,

non giurerai, non farai falsa testimonianza, non dirai male di nessuno, non serberai rancore,

non sarai doppio di animo né doppio nella parola, perché essere ambigui in ciò che si dice è un laccio di morte. Le tue parole non saranno false, né vuote, ma adempiute con i fatti.

Non sarai avido, né rapace, né ipocrita, né malvagio, né altezzoso.

Non avrai cattivi pensieri contro il tuo prossimo. Non odierai nessuno; ma alcuni li riprenderai e per altri pregherai e altri ancora amerai più della tua stessa vita.

3. Figlio mio, fuggi ogni male e da ogni cosa che gli sia simile. Non essere incline all’ira, perché l’ira porta all’omicidio. Non essere né geloso, né litigioso, né irascibile, perché da tutto ciò nascono gli omicidi. Figlio mio, non essere lussurioso, poiché la lussuria porta alla fornicazione. Non fare chiacchiere oscene, né avere uno sguardo malizioso, perché da tutto questo nascono gli adulteri. Figlio mio, non essere un osservatore di presagi, poiché ciò porta all’idolatria. Non essere né un incantatore, né un astrologo, né un superstizioso, né essere disposto ad occuparti di queste cose, perché da tutte queste nasce l’idolatria. Figlio mio, non essere bugiardo, poiché la menzogna porta al furto. Non essere né avido di denaro né vanaglorioso, perché da tutto ciò nascono i furti. Figlio mio, non essere mormoratore, poiché ciò apre la strada alla blasfemia. Non essere né arrogante né malvagio, perché da tutto ciò nascono le bestemmie.

Sii piuttosto mite, perché i miti erediteranno la terra. Sii longanime, pietoso, sincero, gentile e buono e trema sempre per le parole che hai udito. Non ti esaltare, né dare eccessiva fiducia alla tua anima. La tua anima non si unirà ai superbi, ma ti legherai con i giusti e gli umili. Accetta come bene qualunque cosa ti accada, sapendo che senza Dio nulla accade.

4. Figlio mio, ricordati notte e giorno di colui che ti predica la parola di Dio e onoralo come fai con il Signore. Perché dovunque si pronuncino i comandamenti del Signore, lì è il Signore. E cerca ogni giorno i volti dei santi, per poter riposare sulle loro parole. Non lavorare alla divisione, ma porta piuttosto alla pace coloro che litigano. Giudica con rettitudine e non guardare alle persone nel rimproverare le trasgressioni. Non sarete indecisi se farlo o meno. Non essere svelto a tendere le mani per ricevere e a tenerle ritratte per dare. Se hai qualcosa dal lavoro delle tue mani darai in espiazione dei tuoi peccati. Non esitare nel dare, né essere lamentoso quando dai; poiché conoscerai chi è il buon elargitore del tuo salario. Non allontanarti da chi è nel bisogno; condividi piuttosto tutte le cose con il tuo fratello e non dire che sono tue. Se infatti siete partecipi delle cose immortali, quanto più delle cose mortali? Non alzare la mano su tuo figlio o tua figlia; piuttosto, insegna loro il timore di Dio fin dalla giovinezza. Nella tua amarezza, non comandare nulla al tuo schiavo o alla tua serva, che sperano nello stesso Dio, affinché rimangano nel timore di Dio che è sopra entrambi; poiché Egli non viene a chiamare secondo l’apparenza esteriore, ma coloro che lo Spirito ha preparato. E voi servi sarete soggetti ai vostri padroni come immagine di Dio, con modestia e timore. Odierai ogni ipocrisia e tutto ciò che non piace al Signore. Non abbandonare in alcun modo i comandamenti del Signore; conserva invece ciò che hai ricevuto, senza aggiungere né togliere nulla. Nella Chiesa riconoscerai le tue trasgressioni e non ti avvicinerai alla preghiera con cattiva coscienza. Questa è la via della vita.

5. E la via della morte è questa: prima di tutto è cattiva e maledetta: omicidi, adulteri, lussuria, fornicazione, furti, idolatrie, arti magiche, stregonerie, stupri, false testimonianze, ipocrisia, doppiezza, inganno, superbia, depravazione, ostinazione, avidità, turpiloquio, gelosia, eccessiva fiducia, altezzosità, vanagloria. Persecutori del bene, che odiano la verità, amano la menzogna, non conoscono la ricompensa per la giustizia, non si attaccano al bene né al giusto giudizio, attenti non a ciò che è bene, ma a ciò che è male; da cui sono lontane la mansuetudine e la perseveranza, che amano le vanità, cercano la vendetta, non hanno pietà del povero, non si adoperano per gli afflitti, non conoscono Colui che li ha creati, assassini dei figli, distruttori dell’opera di Dio, incuranti dei bisognosi, affliggono chi è nell’afflizione, avvocati dei ricchi e giudici ingiusti dei poveri, peccatori totali. Liberatevi, figli, da tutto questo.

6. Badate a che nessuno vi faccia deviare da questa via della dottrina, poiché vi insegnerebbe ciò che Dio non è. Perché se sarete capaci di sopportare tutto il giogo del Signore, sarete perfetti, ma, se non potete farlo, fate quello che potete. Quanto al cibo, sopportate ciò che potete, ma astenetevi assolutamente da ciò che viene sacrificato agli idoli, poiché è il culto degli dèi morti.

7. Riguardo al battesimo, battezza in questo modo: Dopo aver detto prima tutte queste cose, battezza nel nome del Padre e del Figlio e del Santo Spirito in acqua viva. Ma se non hai acqua viva, battezza in altra acqua, e se non puoi farlo nell’acqua fredda, fallo in quella calda. Ma se non hai né l’uno né l’altro, versa tre volte l’acqua sul capo, nel nome del Padre e del Figlio e del Santo Spirito. Ma prima del battesimo digiuni il battezzatore, il battezzato e chiunque altro può: ordinerai ai battezzati di digiunare uno o due giorni prima.

8. I vostri digiuni non siano con gli ipocriti, perché digiunano il secondo e il quinto giorno della settimana. Piuttosto digiunate il quarto giorno e la Parasceve (venerdì). Non pregate come gli ipocriti, ma piuttosto come ha comandato il Signore nel suo Vangelo, così:

«Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo Regno. Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano (sovraessenziale), e rimetti a noi il nostro debito come anche noi lo rimettiamo ai nostri debitori. E non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal maligno; perché tua è la potenza e la gloria nei secoli..»

Pregate così tre volte al giorno.

9. Ora, riguardo all’Eucaristia, ringraziate così.

Innanzitutto, riguardo alla coppa:

“Ti ringraziamo, Padre nostro, per la santa vite di Davide tuo servo, che ci hai fatto conoscere per mezzo di Gesù tuo servo; a te la gloria nei secoli..”

E riguardo al pane spezzato:

“Ti ringraziamo, Padre nostro, per la vita e la conoscenza che ci hai fatto conoscere per mezzo di Gesù tuo servo; a te la gloria nei secoli. Come questo pane spezzato fu sparso sui colli e, raccolto, divenne uno, così sia raccolta la tua Chiesa dalle estremità della terra nel tuo regno; poiché Tua è la gloria e la potenza per mezzo di Gesù Cristo nei secoli..”

Nessuno mangi o beva della vostra Eucaristia, se non è stato battezzato nel nome del Signore; Infatti anche a questo riguardo il Signore ha detto: “Non date ciò che è santo ai cani”.

10. Poi dopo, quando sarete sazi, ringraziate così:

“Ti ringraziamo, Padre santo, per il tuo santo nome di cui hai fatto tabernacolo i nostri cuori, e per la conoscenza, la fede e l’immortalità, che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo servo; a te la gloria nei secoli. Tu, Signore onnipotente, hai creato tutte le cose per amore del tuo nome; Hai dato cibo e bevanda agli uomini in godimento, affinché ti rendessero grazie, ma a noi hai dato gratuitamente il cibo e la bevanda spirituale e la vita eterna per mezzo del tuo servo. Prima di tutto ti ringraziamo perché sei potente: a te la gloria nei secoli. Ricordati, Signore, della tua Chiesa, per liberarla da ogni male e renderla perfetta nel tuo amore, e raccoglierla dai quattro venti, santificata per il regno che Tu le hai preparato: poiché tua è la potenza e la gloria nei secoli. Venga la grazia e passi questo mondo. Osanna al Dio di Davide! Se qualcuno è santo, venga; se non lo è, si converta. Maranatha. Amin”.

Ma permettete ai profeti di rendere grazie come desiderano.

11. Chiunque, dunque, viene e vi insegna tutte queste cose così come sono state dette prima, accoglietelo. Ma se il maestro stesso cambia, insegnando un’altra dottrina per distruggere questa, non ascoltatelo. Ma se insegna in modo da aumentare la giustizia e la conoscenza del Signore, accoglietelo come il Signore. Ora, riguardo agli apostoli e ai profeti agite secondo il decreto del Vangelo. Ogni apostolo che viene a voi sia accolto come il Signore. Ma non resterà più di un giorno; o due giorni, se ce n’è bisogno. Se rimane tre giorni, è un falso profeta. E quando l’apostolo se ne va, non prenda altro che il pane sufficiente al viaggio. Se chiede soldi è un falso profeta. E tu non metterai alla prova né giudicherai ogni profeta che parla nello Spirito, poiché ogni peccato sarà perdonato, ma questo peccato non sarà perdonato. Ma non chiunque parla nello Spirito è profeta, ma solo se mantiene le vie del Signore. Perciò dalle loro vie si riconoscerà il falso profeta dal vero profeta. Ogni profeta che ordina un pasto nello Spirito non lo mangia, a meno che non sia davvero un falso profeta. E ogni profeta che insegna la verità, ma non fa ciò che insegna, è un falso profeta. E ogni profeta, che si sia dimostrato veritiero, operando per il mistero della Chiesa nel mondo, senza tuttavia insegnare agli altri a fare ciò che fa lui stesso, non sarà giudicato tra voi, poiché presso Dio ha il suo giudizio; poiché così facevano anche gli antichi profeti. Ma a chiunque dica nello Spirito: ‘Dammi del denaro’ o qualche altra cosa, non gli darete ascolto. Ma se vi dice di dare per gli altri che sono nel bisogno, nessuno lo giudichi.

12. Accogliete chiunque viene nel nome del Signore, e poi mettetelo alla prova per riconoscerlo: perché avrete intendimento per quanto concerne la destra e la sinistra. Se colui che viene è un viandante, aiutatelo per quanto potete, ma non resterà con voi più di due o tre giorni, se necessario. Ma se vuole restare tra di voi ed è un artigiano, lavori e mangi. Ma se, secondo la vostra comprensione, non ha alcun mestiere, badate che, come cristiano, non viva tra voi in ozio. Ma se non vuole farlo, è un mercante di Cristo. Badate di tenerti lontano da costoro.

13. Ogni vero profeta che vuole vivere in mezzo a voi è degno del suo sostegno. Così anche il vero dottore è egli stesso degno, come l’operaio, del suo salario. Prenderai dunque ogni primizia dei prodotti del torchio e dell’aia, dei buoi e delle pecore e la darai ai profeti, perché essi sono i tuoi sommi sacerdoti. Ma se non hai un profeta, dallo ai poveri. Se fai il pane, prendine le primizie e dona secondo il comanda-mento. Così anche quando apri un vaso di vino o di olio, prendi la primizia e dallo ai profeti; e anche del denaro, del vestito e di ogni cosa, prendi le primizie, come ti sembrerà bene, e dà secondo il comandamento.

14. Nel giorno del Signore riunitevi, spezzate il pane e rendete grazie dopo aver confessato le vostre trasgressioni, affinché il vostro sacrificio sia puro. Ma nessuno che è in contrasto con il suo prossimo si unisca a voi, finché non si sia riconciliato, affinché il vostro sacrificio non venga profanato. Poiché questo è ciò che è stato detto dal Signore: «In ogni luogo e in ogni tempo offritemi un sacrificio puro, perché io sono un re grande, dice il Signore, e il mio nome è mirabile tra le nazioni».

15. Nominatevi dunque vescovi e diaconi degni del Signore, uomini miti, non amanti del denaro, veritieri e provati; poiché anch’essi vi rendono il servizio di profeti e di maestri. Non disprezzarli dunque, perché sono tra voi onorati insieme ai profeti e ai dottori. E rimproveratevi a vicenda, non con ira, ma in pace, come dice il Vangelo. Ma a chiunque agisce male contro un altro, nessuno parli e non venga ascoltato in nulla da voi finché non si sia pentito. Le vostre preghiere, le elemosine e tutte le vostre azioni fatele così come avete letto nel Vangelo di nostro Signore.

16. Fate molta attenzione per il bene della vostra vita. Non si spengano le vostre lampade, né si sciolgano i vostri fianchi; ma state pronti, perché non sapete l’ora in cui il nostro Signore verrà. Ma riunitevi spesso, cercando ciò che conviene alle vostre anime: perché tutto il tempo vissuto nella fede non vi gioverà, se non sarete trovati perfetti nell’ultimo tempo. Poiché negli ultimi giorni si moltiplicheranno i falsi profeti e i corruttori, le pecore si muteranno in lupi e l’amore si muterà in odio. Poiché quando l’iniquità aumenterà, si odieranno, si perseguite-ranno e si tradiranno a vicenda, e allora apparirà l’ingannatore del mondo come Figlio di Dio, e farà segni e prodigi, e la terra sarà consegnata nelle sue mani, e commetterà azioni inique, cose che non si sono mai verificate fin dal principio del mondo. Allora il genere umano sarà avvolto nel fuoco della prova, e molti saranno fatti inciampare e periranno; ma coloro che perseverano nella loro fede saranno salvati dalla stessa maledizione. E allora appariranno i segni della verità: prima il segno dell’espansione nel cielo, poi il segno del suono della tromba. E in terzo luogo, la risurrezione dei morti, ma non di tutti, ma come è detto: “Il Signore verrà e tutti i suoi santi con lui”. Allora il mondo vedrà il Signore venire sulle nuvole del cielo.




01 Febbraio

01 Febbraio – 19 Gennaio secondo l’antico calendario della Chiesa

 1. VENERABILE MACARIO IL GRANDE

San Macario il Grande era un egiziano e uno dei contemporanei più giovani di Sant’Antonio il grande. Suo padre era un prete. Per obbedienza ai suoi genitori, Macario si sposò. Tuttavia, sua moglie morì poco dopo e lui si ritirò nel deserto dove trascorse sessant’anni nel lavoro e nella lotta, sia internamente che esternamente, per il Regno dei Cieli. Riuscì così tanto a purificare la sua mente dai pensieri malvagi e il suo cuore che Dio gli concesse l’abbondante dono di operare miracoli tanto da far risorgere persino i morti dalle tombe. La sua umiltà stupiva sia gli uomini che i demoni. Un demone una volta gli disse: “C’è una sola cosa in cui non riesco a vincerti. Non è il digiuno, perché non mangio nulla. Non sono le veglie, perché non dormo mai”. “Ma cos’è?” chiese Macario. “La tua umiltà” rispose il demone. Macario diceva spesso a Pafnuzio, suo discepolo: “Non giudicare nessuno e sarai salvato”. Macario visse fino a novantasette anni. Nove giorni prima della sua morte, Sant’Antonio e San Pacomio gli apparvero dall’altro mondo e lo informarono che sarebbe morto entro nove giorni, cosa che accadde. Inoltre, prima della sua morte, Macario ebbe una visione in cui un cherubino gli rivelò il beato mondo celeste, lodò il suo impegno e la sua virtù e gli disse che era stato mandato per portare la sua anima nel Regno dei Cieli. Morì nell’anno 390 d.C.

2. VENERABILE MARCARIO D’ALESSANDRIA

Macario nacque ad Alessandria e, dapprima, fu venditore di frutta. Fu battezzato a quarant’anni e appena battezzato si ritirò subito per condurre una vita ascetica. All’inizio, insieme a Macario il Grande, era un discepolo di Sant’Antonio. Successivamente divenne abate del monastero chiamato Celle, situato tra Nitria e Scete. Era un po’ più giovane di Macario il Grande e visse anche più a lungo. Visse fino a più di cento anni. Tormentato dalle tentazioni demoniache, soprattutto dalla tentazione della vanità, umiliò se stesso con le fatiche più rigorose e con la preghiera incessante, elevando costantemente la sua mente verso Dio. Una volta un fratello lo vide riempire un cesto di sabbia, portarlo in salita e svuotarlo. Stupito, il fratello gli chiese: “Cosa stai facendo?” Macario rispose: “Sto tormentando il mio aguzzino”, cioè il diavolo. Morì nell’anno 393 d.C.

3. SAN ARSENIO, VESCOVO DI CORFÙ

Arsenio ha ampliato e strutturato il Rito del Sacramento della Santa Unzione [Unzione con Olio] nella sua forma attuale. Morì nell’anno 959 d.C. Le sue reliquie riposano nella chiesa cattedrale di Corfù.

4. SAN MARCO, ARCIVESCOVO DI EFESO

Marco era famoso per la sua coraggiosa difesa dell’Ortodossia al Concilio di Firenze (1439 d.C.) nonostante l’imperatore e il Papa. Morì pacificamente nell’anno 1452 d.C. Sul letto di morte, Marco implorò Gregorio, suo discepolo, e più tardi il glorioso Patriarca Gennadio, di stare attenti alle insidie ​​dell’Occidente e di difendere l’Ortodossia.

5. IL BEATO TEODORO, “FOLLE PER CRISTO” DI NOVGOROD

Prima di morire, Teodoro correva su e giù per le strade gridando a tutti: “Addio, vado lontano!” Morì nell’anno 1392 d.C.

Inno di lode

SAN MACARIO IL GRANDE

In Egitto, nel deserto
regnava il Grande amato
tra i semplici monaci,
come nel regno dei santi.
San Macario era
tra loro come un cherubino.
In ogni buona azione
era un esempio per i monaci.
Macario si ammalò:
per lui, un monaco andò a cercare fragole,
andò, le trovò e le portò
per lenire il dolore del suo anziano.

Macario non voleva prenderne parte,
disse: “C’è un fratello più malato.
Portagliele; questo dono è
più necessario a quel fratello”.

Il secondo fratello malato pianse e
disse al portatore del dono: “Perdonami!
Ma il mio vicino è più bisognoso
di questa carità di me”.

Il portatore del dono portò via il dono
e lo diede a quel vicino,
questo lo diede a un terzo
e quello a un quarto; tutto in ordine.
Di cella in cella,
e di fratello in fratello,
fino all’ultimo che con le fragole
andò alla porta di Macario!

“Ecco, Padre, sei malato!”
Macario cominciò a piangere,
vedendo questo meraviglioso amore fraterno –
né voleva mangiarne.
Le versò sulla sabbia calda,
e rese grazie a Dio,
che il deserto morto e arido,
per amore, divenne il Paradiso.

Un fratello ama più suo fratello
che se stesso:
“O Signore, il dono è questo,
il dono dell’amore, il dono di Te!”

Riflessione

Gli esempi di miti che sopportano gli assalti come quelli che troviamo nei Santi Padri sono semplicemente sorprendenti. Tornando una volta dal sentiero della sua cella, Macario il Grande vide un certo ladro rimuovere le sue cose dalla sua cella e caricarle su un asino. Macario non gli disse nulla ma cominciò ad aiutarlo a caricare comodamente tutte le cose sull’asino, dicendo tra sé: «Non abbiamo portato nulla al mondo» (1 Timoteo 6,7). Un altro anziano, quando i ladri gli rubarono tutto dalla cella, si guardò intorno, notò che non avevano preso un fagotto con del denaro che era nascosto da qualche parte, e subito prese questo fagotto, chiamò i ladri e diede loro anche quello. Ancora una volta, un terzo anziano si imbatté nei ladri mentre stavano derubando la sua cella e gridò loro: “Presto, affrettatevi prima che arrivino i fratelli, affinché non mi impediscano di adempiere i comandamenti di Cristo”. «A chi prende ciò che è tuo, non chiederlo indietro» (S. Luca 6,30).

Contemplazione

Contemplare il Signore Gesù come Sale della terra:

1. Come Sale che dà sapore a questa vita in generale;

2. Come il Sale che preserva dalla putrefazione l’umanità, la quale altrimenti sarebbe totalmente putrefatta da un capo all’altro della sua storia;

3. Come il sale della mia vita.

Omelia

Sulla vittoria sul mondo

«Nel mondo avrete tribolazioni, ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo» (San Giovanni 16,33).

Il Solo e l’Unico, il Conquistatore del Mondo, con queste parole insegna ai Suoi seguaci a non aver paura del mondo. In effetti, il mondo appare molto forte; tuttavia, Colui che ha creato il mondo non è forse più forte del mondo? Il mondo è molto spaventoso per chi non sa che Dio governa il mondo e che ha l’autorità di mantenerlo in esistenza finché vuole e di riportarlo nella non-esistenza ogni volta che vuole. Ma, per chi lo sa, il mondo non fa paura.

Rispetto a Cristo Signore, questo mondo è come un tessuto intrecciato della stessa debolezza; mentre in Cristo Signore non c’è una sola debolezza. Per chi non lo sa, il mondo fa paura e chi lo sa, non ha paura del mondo. Il mondo ci ha prestato un corpo e per questo vuole acquisire la nostra anima. Come può il mondo sopraffarci se ci ergiamo come soldati del Conquistatore del mondo?

Il Conquistatore del mondo ci dà le armi per la battaglia. Con il suo esempio, ci insegna come combatterlo, rivela il nemico nascosto, ci mostra la via dell’attacco e della ritirata, ci tiene con la sua mano, ci protegge sotto la sua ala protettrice, ci nutre con il suo corpo vivificante e altro ancora. ci incoraggia gridando: “Fatevi coraggio!” Fratelli, cosa potrà fare allora il mondo quando la sua sconfitta sarà suggellata dalla vittoria di Cristo?

O Signore, Conquistatore del mondo e il nostro comandante vittorioso, sii sempre vicino a noi affinché non ci spaventiamo e guidaci, affinché possiamo essere sempre vicini a Te nel cuore, nella mente e nell’anima.




25 Gennaio

25 Gennaio – 12 Gennaio secondo l’antico calendario della Chiesa

  1. LA SANTA MARTIRE TATIANA

Tatiana era una donna romana i cui genitori erano di grande nobiltà. Era cristiana e diaconessa della Chiesa. Dopo la morte dell’imperatore Eliogabalo, a Roma regnava l’imperatore Alessandro, la cui madre Mamea era cristiana. L’imperatore stesso era esitante e indeciso nella fede, poiché teneva nel suo palazzo statue di Cristo, Apollo, Abramo e Orfeo. I suoi principali assistenti perseguitavano i cristiani senza che l’imperatore glielo ordinasse. Quando portarono fuori la vergine Tatiana per torturarla, ella pregò Dio per i suoi aguzzini. Ed ecco che i loro occhi si aprirono e videro quattro angeli intorno alla martire. Vedendo ciò, otto di loro credettero in Cristo e per questo furono torturati e uccisi. Gli aguzzini continuarono a torturare Santa Tatiana. La frustarono, le tagliarono parti del corpo e la raschiarono con i ferri. Così, tutta sfigurata e insanguinata, la sera stessa Tatiana fu gettata nella prigione, in modo che il giorno dopo potessero ricominciare con altre torture. Ma Dio mandò i suoi angeli nella prigione per incoraggiarla e per guarire le sue ferite, così che ogni mattina Tatiana si presentava agli aguzzini completamente guarita. La gettarono davanti a un leone, ma il leone si affezionò a lei e non le fece alcun male. Le tagliarono i capelli, pensando, secondo il loro ragionamento pagano, che nei suoi capelli si nascondesse qualche stregoneria o qualche potere magico. Infine, Tatiana e suo padre furono entrambi decapitati. Così, Tatiana concluse la sua vita terrena intorno all’anno 225 d.C., e questa vergine eroica, che aveva il corpo fragile di una donna ma uno spirito robusto e valoroso, fu incoronata con la corona immortale della gloria.

  1. IL SANTO MARTIRE PIETRO APSELAMO

Pietro nacque a Eleuteropoli, in Palestina. In gioventù, Pietro soffrì per la fede di Cristo nel 311 d.C., durante il regno dell’imperatore Massimiano. Dopo molte torture, fu condannato a morte. All’udire la sentenza di morte, esclamò con gioia: “Questo è il mio unico desiderio: morire per il mio Dio!”. Pietro fu crocifisso come il Signore e spirò sulla croce.

  1. FESTA DELL’ICONA DI NOSTRA SIGNORA CHE ALLATTA IL CRISTO BAMBINO [MLEKOPITATELNICA]

Questo è il nome dell’icona della Tuttasanta Theotokos che il santo serbo Sava [Sabas] portò dal monastero di San Saba il Santificato, vicino a Gerusalemme. Così si è avverata la profezia pronunciata da San Saba il Santificato, circa ottocento anni prima, secondo cui sarebbe arrivato un certo sacerdote serbo di nome Sava [Sabas] e gli sarebbero stati consegnati questa icona e il suo pastorale. Quando San Sava il Serbo visitò il Monastero di San Sabas il Santificato, i monaci ricordarono la profezia del fondatore del loro monastero e donarono a Sava il Serbo questa icona e questo pastorale. Questa icona [Mlekopitatelnica] fu posta a destra delle Porte Reali sull’iconastasi, nell’eremo di Sava [Isposnica-Casa del Silenzio] a Karyes [Monte Athos] e il pastorale fu posto in una cella adiacente detta “Paterica”.

  1. LA VENERABILE MADRE TEODORA

Teodora era una gloriosa monaca e maestra delle monache di Alessandria. “Come gli alberi hanno bisogno dell’inverno e della neve per dare i loro frutti, così le prove e le tentazioni sono necessarie per la nostra vita”, diceva questa santa donna. Morì serenamente all’inizio del V secolo.

Inno di lode
SANTA TATIANA

Ti affliggi per la giovinezza del tuo corpo, oh, sii ragionevole!
La giovinezza passa, vale la pena di affliggersi; giudicate voi!
C’è solo una giovinezza, la giovinezza nell’eternità,
Questa è la vera giovinezza, la giovinezza senza invecchiamento,
Vale la pena di chiederla e di versare lacrime per essa,
Anche se si deve pagare con la morte del corpo.
Tatiana acquistò il costoso con il meno costoso.
Per la polvere e l’acqua, il vino divino;
Per il corpo che invecchia, l’eterna giovinezza
E per poche lacrime, la gioia cherubica.
Promessa sposa di Cristo, il Re Immortale,
è rimasta fedele al suo Promesso Sposo;
Con la forza di uno spirito puro, ha sconfitto le tentazioni
e sopportò coraggiosamente spaventose torture.
Intorno a lei si sentivano passi angelici;
Come un panno stropicciato, il suo corpo si liberò,
e un’anima libera da legami terreni
fu innalzata al banchetto di nozze nel Regno senza lacrime.

Riflessione
Non c’è onore o vocazione più grande sulla terra che essere un cristiano. Quando il giudice-torturatore Sevirus chiese al giovane Pietro Apselamo: “Di che stirpe sei?”. Pietro rispose: “Sono un cristiano”. Il giudice gli chiese inoltre: “In che grado sei?”. Al che Pietro rispose: “Non c’è rango più grande o migliore di quello di essere un cristiano”. Padre Giovanni di Kronstadt scrive: “Il mondo intero non è che una ragnatela in confronto all’anima umana cristiana”. Il cristiano è un vaso di terracotta in cui viene riversata la potenza e la luce divina. Questo vaso sarà posto sul trono reale d’oro o sarà abbassato nella buia capanna del mendicante; anche così il suo valore non sarà né ingrandito né diminuito. L’oro non ha forse lo stesso valore sia che sia avvolto in un fazzoletto di seta che in una foglia di cavolo?

Contemplazione
Contemplare la mitezza del Signore Gesù:

  1. La sua mitezza riguardo alla sua vita nascosta a Nazareth fino all’età di trent’anni;
  2. La sua mitezza nel trattare con i malati e con i peccatori;
  3. La sua mitezza nel trattare con Giuda il traditore e con i giudici ingiusti.

Omelia
Su come l’uomo sia il più caro a Dio e Dio all’uomo

“Non sono io infatti a volere ciò che è vostro, ma voi” (1 Corinzi 12,14).

Con queste parole, che potevano essere pronunciate solo dall’ardente amore apostolico verso il prossimo, si esprime l’essenza del rapporto del cristiano verso Dio e di Dio verso il cristiano. L’amore di Dio potrebbe benissimo dire: “Tu, o cristiano, digiuni per amor mio; per amor mio distribuisci elemosine; per amor mio elevi preghiere di cuore; per amor mio costruisci chiese; per amor mio offri sacrifici e compi molte altre buone azioni. Tutto questo è buono e mi è gradito, ma voi siete più preziosi di tutto questo. Alla fine, non cerco nulla di tutto questo, piuttosto cerco te, solo te”.

L’amore di un cristiano potrebbe benissimo dire:

“O Signore, tu mi hai dato la salute e questo è un bene. Tu accendi la luce, permetti alla pioggia di cadere, rinfreschi l’aria con il tuo tuono e questo è bene. Tu doni ricchezza, saggezza, molti anni, prole e molte altre cose buone che metti generosamente sulla tavola di questa vita. Tutto questo è buono e troppo buono. Ricevo tutto questo con gratitudine. Ma, alla fine, questo è solo l’orlo della Sua veste. In definitiva, non cerco nulla di tutto ciò, ma Tu, o Signore, Tu solo cerco”.

Fratelli, non è Dio quello che si vede con gli occhi fisici, né l’uomo quello che si vede con gli occhi fisici. Ciò che si vede in tutta la natura è solo qualcosa di Dio; e ciò che si vede nell’abito fisico è solo qualcosa dell’uomo. Fratelli, Dio è l’Amore che il cielo abbassa sulla terra; fratelli, l’uomo è l’amore che innalza la terra al cielo.

O Signore, amante degli uomini, creatore e onnipotente, prendi sempre più dimora in noi con il tuo Spirito vivificante, perché possiamo vivere; perché possiamo essere vivi nel tuo regno senza morte.

A Te sia gloria e grazie sempre. Amen.




L’Anziano Giuseppe Vatopedinos (II)

dell’Anziano Ephraim, Igumeno del Monastero di Vatopedi

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Sebbene il beato anziano Giuseppe fosse uno straordinario esicasta, considerava la virtù dell’obbedienza il fondamento del monaco. Ecco perché ha disciplinato il suo discepolo in un modo che ad alcuni può sembrare troppo duro, per ottenere lo spirito e i frutti della vera obbedienza. Egli stesso esclamò ed esortava i suoi figli: “O beata obbedienza – e ancora obbedienza – a te appartengono senza dubbio gli scettri. Figlio mio, noi ed il vecchio Arsenio, per gustare questi beni celesti, spargemmo molto sangue nella lotta. Tu solo se sarai diligente nell’obbedienza godrai di uguale grazia con noi. Obbedite figli miei con tutta l’anima. Non c’è altra via più facile e più alta di questa”. Il beato Anziano considerava «veramente grande il mistero dell’obbedienza». Scrive nella sua lettera: “L’obbedienza o la disobbedienza non si fermano all’Anziano, ma attraverso lui egli guarda a Dio… Con altrettanto amore deve guardare all’Anziano come se vedesse un tipo di Cristo”.

Il nostro anziano Giuseppe era molto abile nel lavoro manuale. Costruì la nuova cella del suo Anziano alla piccola Sant’Anna, si impegnò a fare qualsiasi costruzione necessaria per la manutenzione di quel luogo. Una mattina avrebbe costruito una stufa per il grande Anziano, perché ormai il freddo di quell’inverno era diventato insopportabile e l’Anziano era anche molto debole. Ma per qualche inspiegabile motivo tutto andava al contrario, c’era una forte energia demoniaca. Allora il nostro Anziano andò dal grande Anziano per chiedergli cosa stesse succedendo. E gli riferì la cosa: Appena mi ha visto agitato, si è messo a ridere. “Anziano, ho detto, cosa sta succedendo qui? E perché stamattina mi hai detto come una profezia: ‘se finisci? Ma tu sai che per me questo lavoro era un gioco da ragazzi”. “Come hai concluso che fosse”, disse ridacchiando. “tentazione o energia maligna”. “Ecco cos’era”, rispose. E ascolta per conoscere ciò che a te sembra un mistero. La sera, durante la mia preghiera, quando avevo finito e volevo riposare, vidi Satana, che minacciava di portare ostacoli e tentazioni al compimento del lavoro che avevi progettato. Allora dissi al nostro Cristo: “Signore mio, non ostacolarlo, affinché possa dimostrargli che ti amo e che sopporterò il freddo finché lo permetterai”. E questa è stata la ragione, figlio mio, per cui tutto questo è stato fatto, affinché non avessi presto il calore, come Tu avresti voluto preparare per me”.

Il sabato di Lazzaro del 1948, padre Sofronio divenne monaco megaloschema e fu ribattezzato Giuseppe. Ricevette il nome del suo Anziano come onore e benedizione speciale. Il grande Anziano stesso confessò del suo neo-ordinato e omonimo discepolo che era “pieno di Grazia” in quanto “lottatore nell’obbedienza”. Padre Ephraim Katounakiotis celebrò la cerimonia come cappellano. Dopo che il beato anziano Giuseppe l’Esicasta si addormento, il Padre Efraim diventò il nostro gheronda Giuseppe e un amore spirituale inesprimibile univa i due asceti sotto la stessa paternità spirituale.

L’anziano Giuseppe l’Esicasta confidava le sue alte esperienze spirituali al suo discepolo per rafforzarlo spiritualmente e non farsi scoraggiare nella sua lotta. Così gli raccontò della visita ricevuta dalla Santa Theotokos nella cappella di Timios Prodromos nella piccola Sant’Anna, quando era molto depresso a causa di varie tentazioni esterne e calunnie. La Theotokos stessa gli apparve e gli disse: “Non ti avevo detto di porre la tua speranza in me? Perché ti scoraggi? Ecco, prendi Cristo!”. E allora Cristo, il divino Bambino, lo accarezzò tre volte sulla fronte e sul capo e lo riempì di incomparabile fragranza e gioia spirituale. Un’altra volta gli disse di aver visto con la visione della sua anima, come in un televisore, Padre Atanasio che veniva dal Santo Monastero di San Paolo al luogo della loro ascesi. Gli descrisse anche nei dettagli la teoria, le visioni divine rivelategli dalla Grazia di Dio, come la città di Dio, il cielo, il paradiso, ecc.

Diventare sottomessi a un anziano come l’anziano Giuseppe l’Esicasta non era un compito facile. Molti ci hanno provato, hanno fallito e se ne sono andati. Per questo motivo, all’inizio l’anziano non voleva accettare p. Sofronio. Ma una volta accettato, dopo le informazioni divine di cui sopra, fu esigente nei confronti del suo discepolo. E questo, naturalmente, non per motivi egoistici, ma sempre per il beneficio e il progresso spirituale del suo figlio spirituale. Lo educava con severità e con amore, con rimproveri e con ammonizioni. Gli praticava le incisioni necessarie per purificare il suo cuore dalle passioni, affinché potesse iniziare a sperimentare la Grazia di Dio, la santificazione.

Il nostro anziano Giuseppe visse per dodici anni come discepolo dell’esicasta Giuseppe. Nella Piccola Sant’Anna ha vissuto per sei anni. Le condizioni di vita lì erano molto dure e gli orari molto rigidi, nonostante tutti i problemi di salute che erano anche pericolosi per la sua stessa vita, poiché aveva emorragie gastriche ed altre emorragie, tuttavia il giovane monaco mantenne la fede e non si ritirò, lasciando anche la sua salute alla paterna Provvidenza di Dio, seguendo l’esempio del suo Anziano, che vedeva tutto con la fede e non con la ragione. Quando iniziò l’emottisi del nostro Anziano, allora il grande Anziano disse: “Arsenio, è finita. Dobbiamo andarcene. Se anche Giuseppe è malato, cosa faremo qui dentro?”. Charalambos era un sacerdote, il Padre Ephraim era malato, il vecchio Arsenio aveva 70 anni, ora avevano un problema di manutenzione, chi avrebbe svolto i compiti quotidiani, visto che il nostro anziano Giuseppe era quello che li svolgeva?

Nel settembre del 1953, in una notte di luna, presero le loro poche cose e scesero a Nea Skiti in alcune capanne isolate intorno alla torre della chiesa. Lì a Nea Skiti il nostro anziano Giuseppe per un anno, dal maggio 1957 al maggio 1958, servì anche come Dikaios [1]. Già prima della morte del grande Anziano, aveva acquisito una ricchezza spirituale che, per il suo grande amore, diffondeva a chi aveva bisogno di consigli e consolazione. Ci sono lettere di quel periodo che mostrano la grande altezza dell’esperienza spirituale del monaco sottomesso Giuseppe, mentre la sua teologia non derivava da conoscenze accademiche, che peraltro non aveva, ma era la sua esperienza personale.

Quando l’anziano Giuseppe l’Esicasta si ammalò di insufficienza cardiaca nel gennaio 1959, il nostro anziano prese l’iniziativa di curarlo. In una lettera scrive: “Senza consultarlo, perché non me lo permetteva, ho pregato con padre Ephraim e abbiamo portato subito un medico da fuori e, grazie a Dio, sembra che abbiamo vinto la battaglia. Il medico era un bravo scienziato e la diagnosi ha avuto successo. Ora stiamo facendo il trattamento con la prescrizione e i risultati sono buoni. La malattia è del cuore ed è in forma avanzata, ma speriamo di ottenere buoni risultati dove tutto sembrava perduto”.

Infine, l’anziano Giuseppe l’Esicasta si spense il giorno della Dormizione della Vergine Maria, da lui tanto venerata, il 15 agosto 1959, all’età di 62 anni. Dall’ottobre 1959, motivato dai figli spirituali del grande Anziano, il nostro Anziano iniziò a scrivere la sua vita e nel 1963 aveva completato la prima biografia in forma epistolare.

Si stima che più di 1000 monaci e monache discendano direttamente dalla “radice” dell’anziano Giuseppe l’Esicasta. Poiché aveva previsto questo, l’anziano non permise ai suoi seguaci di vivere insieme dopo la sua morte, ma li separò, cosa insolita, ovviamente, nell’ordine athonita. Prevedeva che sarebbero diventati igumeni e gheronda di grandi comunità. Quando si trovava nelle grotte della piccola Sant’Anna, aveva ricevuto la visita di Giovanni Bitsios di Ouranoupolis, nel momento in cui l’anziano aveva acquisito i suoi tre subordinati, l’anziano Giuseppe Vatopedinos, l’anziano Efraim Philotheitis e l’anziano Charalambos Dionysiatis. Il signor Bitsios chiese all’anziano se questi tre giovani monaci facessero parte del suo seguito e l’anziano Giuseppe rispose profeticamente: “Vedi questi ferri di cavallo, Giovanni? Verrà il tempo in cui questi piccoli cavalli riempiranno il Monte Athos di monaci”. Questa profezia si è avverata per Grazia di Dio, nonostante le condizioni e le circostanze logicamente avverse e impossibili. L’anziano Giuseppe l’Esicasta inizialmente era con gli zeloti, ma dopo una visione apocalittica e una voce divina che gli disse che “la Chiesa vivente è nel Patriarcato Ecumenico”, tornò alla comunione con la Chiesa canonica nonostante la guerra e le calunnie ricevute dagli zeloti. Tutto era diretto dalla Divina Provvidenza.

Il fatto che l’obbedienza e il silenzio vadano di pari passo nelle odierne comunità del Monte Athos, che ci sia questo binomio tra obbedienza e silenzio, pensiamo sia dovuto principalmente al beato anziano Giuseppe l’Esicasta e ai suoi seguaci. Il nostro anziano Giuseppe ha ricevuto come autentico sottomesso lo spirito sottomesso e contemplativo del beato anziano Giuseppe l’Esicasta. Anche noi abbiamo ricevuto questo spirito dal nostro defunto anziano Giuseppe e stiamo cercando, con i nostri umili sforzi, di conservarlo e trasmetterlo ai posteri.

NOTA:

[1] Nelle Skiti non c’è la figura dell’Igumeno ma del Dikaios che è un responsabile che è eletto pro tempore dagli altri asceti. Si occupa della Chiesa centrale dove si riuniscono per la Domenica e le grandi feste.




L’Anziano Giuseppe Vatopedinos (I)

dell’Anziano Ephraim, Igumeno del Monastero di Vatopedi

Il venerabile Giuseppe Vatopedinos fece la sua professione all’età di 16 anni, nell’estate del 1937, nel Santo Monastero di Stavrovouni a Cipro. Il motivo del suo ritiro fu il seguente evento. Dopo aver visto un film comico, sentì un grande vuoto esistenziale e una profonda avversione per il mondo. Si trovava da solo su una collina della città di Paphos in quell’ora serale, quando improvvisamente in una luce soprannaturale apparve la figura amorevole e pacifica del Signore.

Cristo stesso gli apparve e gli disse: “È per questo che ho creato l’uomo? L’uomo è immortale”. Dopo questa visione prese la decisione di rinnegare la vita mondana e di farsi monaco. Nella sua cella solitaria prese il nome di Sofronio e visse nel monastero per circa 10 anni. In occasione della questione del calendario che aveva diviso il monastero in due campi, ma essenzialmente guidato dalla provvidenza di Dio e su sollecitazione e benedizione del padre spirituale del monastero, padre Kyprianos, si diresse verso il Monte Athos per una vita spirituale più elevata.

All’inizio del 1947 fu temporaneamente ospitato nel santuario ascetico della Divina Ascensione sotto il Kyriakon della Skete di Agia Anna dal venerabile anziano Nicodemo e dal suo seguito di sei persone. Il gruppo ascetico si impegnava in lavori di falegnameria. La provvidenza di Dio fece in modo che, quando l’anziano Giuseppe l’esicasta ebbe bisogno di una porta di legno per la cappella, che era dedicata al Santo Battista, ne ordinò la costruzione alla squadra dove P. Sofronios alloggiava temporaneamente, ad Agia Anna.

L’anziano Giuseppe l’Esicasta a quel tempo riposava ad Agia Anna Minore con il suo co-praticante Padre Arsenios e Padre Athanasios, suo fratello nella carne, nelle ripide grotte del deserto. Era particolarmente rispettato dai devoti monaci athoniti come maestro di silenzio e di preghiera, come maestro dello stato monastico. Padre Sofronio rimase talmente colpito dalla forma e dalle parole dell’anziano Giuseppe che il giorno dopo chiese all’anziano di prenderlo nel suo seguito, ma l’anziano rifiutò. L’insistenza dell’allora giovane Sofronio convinse il Santo Anziano a promettergli che avrebbe prima pregato e poi sarebbe tornato il giorno dopo per dargli una risposta, che alla fine fu positiva. In seguito si seppe quale rivelazione venne al venerabile Anziano per convincerlo ad accettare il giovane Sofronio come suo primo subordinato. Vide un uccellino che volava e si sedeva sulla sua spalla e, mentre l’anziano lo guardava stupito, questo uccellino aprì la bocca e invece di cantare cominciò a teologizzare. In questo modo Dio gli comunicò che il giovane Sofronio sarebbe maturato spiritualmente sotto la sua guida, sarebbe diventato un vaso della Grazia di Dio e avrebbe ricevuto il dono della teologia.

Si adeguò subito al nuovo stile di vita degli anziani, che era appunto contemplativo. Dalla mattina a mezzogiorno lavoravano per vivere, di regola non potevano prolungare il loro ministero oltre l’ora stabilita di mezzogiorno, poi i vespri con il komboschini – tutti soli – o anche un po’ di lettura. Seguiva il pranzo, o meglio la cena, che terminava alle nove ora bizantina (cioè verso le tre o le quattro del pomeriggio), quindi ricevevano la benedizione dell’anziano e andavano a dormire brevemente. Dopo il riposo si preparavano, se c’era bisogno di qualcosa per il giorno successivo, e poi vegliavano pregando ciascuno nella propria cella fino a mezzanotte. Se avevano la Messa, era dopo mezzanotte; altrimenti facevano un momento di studio spirituale. Poi c’era il momento della comunicazione dei pensieri. Il nostro anziano Giuseppe ci ha raccontato questo: “Così restavamo da soli e dopo la mezzanotte o anche prima andavo dall’anziano, la cui capanna era più lontana da noi, e gli dicevo i miei pensieri e tutto quello che mi succedeva, lui mi rispondeva spiritualmente con tutto quello che era utile per la mia correzione e vita spirituale. Abbiamo mantenuto questa regola e l’hanno mantenuta anche gli altri fratelli quando siamo diventati più numerosi. Ma prima di allora l’anziano non accettava nessuno, e questo, come mi disse, lo mantenne fin dall’inizio”.

Vicino all’anziano Giuseppe, p. Sofronio imparò empiricamente che il monachesimo non è altro che trovare in questa vita un segno del regno dei cieli: l’esperienza della Grazia divina. Egli ha sottolineato di non aver mai dimenticato quei giorni e l’entusiasmo generato da questo stile di vita spirituale che ha rapidamente elevato gli atleti a un alto stato spirituale.

Il desiderio di padre Sofronio era la sua formazione spirituale da un anziano esperto nella vita esicasta, era particolarmente interessato all’acquisizione dell’orazione mentale. «Quando andai, fin dal primo giorno – racconta – l’Anziano mi spiegò dettagliatamente il senso della vita spirituale. In particolare, ha cercato di spiegare il tema della Grazia, che è il fattore principale che deve preoccuparci, perché senza di essa l’uomo non può realizzare nulla. A poco a poco “afferrai” il senso delle sue parole, perché mi avvalevo dell’aiuto di studi e consigli precedenti, ma praticamente ignoravo il modo e il tipo di questo atto. Un pomeriggio, pieno di ilarità e di gioia, l’anziano Giuseppe gli disse: “Vai e stasera ti manderò un “pacchetto” e vedrai quanto è dolce il nostro Gesù”. Dopo essersi riposato, come sempre, iniziò la veglia e si preparò, secondo il suo consiglio, a pregare, concentrando quanto più poteva la mente. Quanto al “pacchetto”, se n’era completamente dimenticato.

Lui stesso scrive di questa esperienza nel libro che scrisse sull’Anziano Giuseppe l’Esicasta: “Non ricordo come cominciò, ma so bene che una volta cominciato non ebbi il tempo di pronunciare il nome del nostro Cristo molte volte che il mio cuore era pieno di amore per Dio. All’improvviso si moltiplicò così tanto che non pregai più, ma mi meravigliai con stupore per questa effusione d’amore. Volevo abbracciare e adorare tutta la gente e tutta la creazione e nello stesso tempo pensavo così umilmente che mi sentivo sotto tutti il creato. Ma la pienezza e la fiamma del mio amore era verso il nostro Cristo, che sentivo presente, ma non potevo vederlo, per correre ai suoi piedi pieni di grazia e chiedergli come fa a infiammare così i cuori e a rimanere nascosto e sconosciuto. Ho avuto, allora, una sottile informazione che questa è la Grazia dello Spirito Santo e questo è il Regno dei Cieli, che Nostro Signore dice essere dentro di noi e ho detto: “lasciami restare, mio ​​Signore, non ho bisogno di nient’altro”. Ciò durò per un bel po’ di tempo e lentamente ritornai al mio primo stato. Aspettavo con ansia, con impazienza, il momento giusto per andare dall’Anziano per chiedergli cosa fosse successo e come fosse successo. Era il 20 agosto e splendeva la luna. Corsi e lo trovai fuori dalla sua cella che camminava nel suo piccolo cortile. Appena mi vide, cominciò a sorridere e prima che mi confidassi con lui, mi disse: “Hai visto quanto è dolce il nostro Cristo? Capisci ora praticamente quello che continui a chiedere? Ora affrettati a fare di questa grazia la tua proprietà e a non lasciartene derubare per negligenza”

L’anziano Giuseppe l’Esicasta aveva raggiunto il livello di essere in possesso della Grazia divina e di poterla trasmettere ai suoi discepoli. L’anziano Ephraim di Katounaki confessò che “non si poteva mai avere abbastanza della Grazia che l’anziano ti dava”. Qualcosa di insolito, impossibile anche per molti anziani contemplativi. Qualcosa che dimostra la massima fierezza davanti a Dio e rivela l’autentica, vera paternità spirituale in tutto il suo splendore. L’anziano che possiede ricchezze spirituali le consegna al discepoli, e quest’ultimo riceve questa eredità divina nel timore di Dio, affinché la conservi e la trasmetta a sua volta ai posteri. Questa è la quintessenza della tradizione athonita.

Dio ha sigillato le parole dell’anziano Giuseppe l’Esicasta nel suo buon subordinato. Il nostro anziano Giuseppe ce ne ha parlato. Inoltre, in quelle cose in cui esitava e tuttavia cedeva, per evitare che sorgesse una lite o una lotta da parte nostra, incontrammo così tanti ostacoli che era impossibile portarle a termine senza eccessivi sforzi e problemi”.

L’anziano Giuseppe si prese sempre cura spiritualmente dei suoi figli, non perse l’occasione di insegnare loro la carità, l’abnegazione, l’umiltà, l’obbedienza, il silenzio, la preghiera mentale e la quiete. In un’occasione mandò padre Sofronio carico di un sacco di grano da Mikra Agia Anna al Santo Monastero di Esfigmenou per macinarlo e riportarlo senza parlare per strada, senza mangiare o restare da nessuna parte. In totale avrebbe camminato almeno 16 ore. I padri lo servirono e insieme alla farina gli donarono un sacchetto di pesce salato per la benedizione dell’Anziano. Quando tornò al loro eremo, l’anziano Giuseppe gli disse: “Ho una lettera per la Lavra. Siediti, mangia e vai subito a prenderla. Il nostro Anziano compì senza riluttanza questo martirio. Altre otto ore di cammino.

Tuttavia, il nostro anziano Giuseppe testimonia i frutti di questa obbedienza e di questa sapienza: “Di notte andavamo a dire la nostra preghiera. Non avevamo il tempo di fare la nostra croce e di dire l’introduzione “Adoriamo” che subito la mente era presa. La mente era presa e così per quasi due ore non c’era più, non sentivamo la legge di gravità. E lentamente questa situazione si è ripresentata. E quello è stato il frutto di questo piccolo amore e prontezza per la fatica, non possiamo mentire. Questa è la realtà. Non ragioniamo… Quanta nostalgia ho di quei giorni, in cui abbiamo sopportato tanto esercizio di obbedienza e di abnegazione e il Signore «ha riversato il torrente della sua misericordia» sulla nostra anima umile! Con quanta ansia aspettavo di sentire il comando dell’Anziano e mi precipitavo avanti con tutta la mia ansia, senza mai alcun giudizio, dubbio, commento, timidezza, il “se” o il “forse”! Non esagero quando dico che per molti giorni e mesi ero costantemente pieno di sudore, senza provare alcun disagio o ansia per questo, poiché molte volte anche la legge di gravità era impercettibile, perché tutto era integrato e alleviato dalla testimonianza della grazia, dell’obbedienza e dell’abnegazione; abbiamo sentito costantemente il profumo della risurrezione e dell’eternità».

Testo originale in greco




IL MONACHESIMO A MATERA IN BASILICATA

“Le grotte della Murgia materana sono state l’habitat ideale per i monaci eremiti che le hanno abitate nei secoli. Sono circa 155 ad oggi le chiese rupestri presenti tra la città e il circondario: cripte, monasteri, basiliche ipogee, santuari, testimonianze preziosissime di questa presenza.

È durante l’Alto Medioevo che la Basilicata diventa base ideale del monachesimo. Lontani dalla chiesa istituzionale e improntati sulla ricerca introspettiva dell’uomo, i monaci trovarono nelle grotte della Murgia un luogo sicuro dalle persecuzioni dell’iconoclastia, e anche un interessante modo per isolarsi nella preghiera e condurre una vita ascetica. Queste grotte, scavate nella roccia tufacea, sono testimonianze della comunità di monaci benedettini e bizantini nelle quali vivevano e pregavano. Nel tempo si sono intrecciati gli stili e alcune grotte e Chiese rupestri di impostazione architettonica latina, presentano elementi bizantini e viceversa, contaminandosi a vicenda.

Nella loro vita semplice ed essenziale, i monaci hanno impreziosito questi ambienti lasciando ai posteri testimonianze artistiche di grande pregio: i cicli cristologici, l’iconografia mariana, gli apostoli, l’Arcangelo Michele, i santi orientali e occidentali, elementi scultorei, altari, i luoghi delle penitenze, i giacigli utilizzati per dormire.

Tra le varie chiese rupestri, spicca per i suoi affreschi del X secolo ben conservati, la Cripta del Peccato Originale, che ripropone alcune scene della Genesi.

Il fenomeno del monachesimo proseguì per molti secoli, addirittura fino al Rinascimento. Dopodiché la gran parte delle chiese venne utilizzata per altri scopi: ricovero per animali, cantine e altro ancora”.

NOTA: foto da un nostro recente viaggio a Matera




L’ANTICRISTO STA ARRIVANDO IN GEORGIA

dell’Archimandrita Lazar (Abashidze)

Nella nostra Chiesa, i fedeli e anche una parte del clero predicano l’avvicinarsi di una “illuminazione” o rinascita religiosa. Dicono che sta arrivando un momento luminoso per i cristiani, che negli ultimi tempi apocalittici l’anticristo regnerà in tutto il mondo, ma non entrerà mai in Georgia, ecc.

Per quanto forse rapiti da questi sogni piacevoli e dolci, preoccupati di riordinare esteriormente chiese e luoghi di ispirazione (in attesa di quell’epoca meravigliosa), un gran numero di clero e laici nemmeno se ne accorgono (o forse non vogliono accorgersene), come lo spirito dell’anticristo sta entrando in Georgia e affondando radici più profonde nelle anime delle persone, iniziando il suo regno in tutti gli strati della vita.

Ad esempio, nelle scuole vengono introdotti programmi di “educazione sessuale”, mentre vengono cancellati i corsi di storia nazionale: enormi somme di denaro affluiscono in Georgia, dal seno stesso di Satana in Europa, per introdurre questi programmi!

Cosa significa questo? Chiunque studi attentamente questo progetto chiamato “educazione sessuale”, o guardi i nuovi libri di testo, vedrà chiaramente il desiderio del loro creatore: che un bambino fin dai primi anni inizi ad apprendere ogni sorta di depravazione sessuale. Il loro obiettivo è trasformare la ricerca del piacere lussurioso nello scopo principale della vita.

Sta iniziando una terribile e crudele persecuzione contro la coscienza umana, i valori morali e la spiritualità.

Ma perché i politici mondiali ne hanno bisogno? Perché non badano a spese, spendono ingenti somme di denaro per comprare la coscienza sia dei genitori che dei figli?

Perché ora, in tutto il mondo, è in corso un lavoro attivo per aprire la strada all’anticristo, e a capo di tutti questi programmi ci sono gli stessi poteri oscuri.

Ritengono della massima importanza preparare una sorta di ordine mondiale generale; cioè, preparare le persone ad avere tutti gli stessi interessi, tutti gli stessi desideri, tutti gli stessi impulsi, perché solo allora sarà possibile introdurre un leader mondiale e avere il controllo su tutta l’umanità. Solo allora il diavolo potrà realizzare il suo antico sogno: che tutta l’umanità lo adori come il signore dio.

Per fare ciò devono cancellare tutto dalle persone: l’individualità, il pensiero elevato e una vita comune di idee e spiritualità.

Un immorale che non conosce la propria patria, che non conosce l’esperienza e le ricchezze spirituali dei suoi antenati, che non cerca altro che piaceri passeggeri, che vive solo per il presente: questo è il miglior materiale possibile per creare masse che possano essere soggetti passivamente all’opinione comune a favore del nuovo ordine mondiale.

Una persona che si lascia controllare rigorosamente, che non ha idee, non ha anima. Sarà pronto a liberarsi di tutte queste cose per amore della libertà da tutto: dalla sua coscienza, dalla vergogna, dalle restrizioni morali. Sarà pronto a pagare per la libertà, a peccare per amore dei diritti, a compiacere la carne con i benefici di questo “paradiso terrestre” e a godersi le comodità materiali tecnologiche senza sentire alcun rimorso di coscienza.

Con tutto ciò si presuppone che questa persona debba rimanere religiosa: l’anticristo desidera che gli uomini si inchinino e non solo davanti a un uomo di talento, ma davanti alla divinità.

Dietro di lui ci sono gli spiriti delle tenebre, che ardono di sete di adorazione divina.

Ma questa religiosità deve essere laica (libera da qualsiasi influenza da parte della Chiesa), non conoscendo alcuna Verità, ma solo un surrogato mistico che somigli vagamente alla verità.

Quindi, per creare questa nuova società, sono necessari tre fattori: religiosità ecumenica (religione senza grazia), immoralità (una persona che ha perso la coscienza), e una rottura con il legame tra lui e la sua precedente cultura morale e spirituale (una società senza storia).

Il terzo fattore è necessario perché il sentimento nazionale, spesso ricevuto dagli antenati, arricchisce l’uomo con la vera saggezza, gli insegna a ritornare ai suoi padri e a seguire quei valori spiritualmente elevati e morali che essi hanno sempre apprezzato. Ma questo solido fondamento – la base della saggezza e della moralità – deve essere distrutto.

Così una persona comincia ad assomigliare ad una foglia strappata dalle sue stesse radici, che volteggia nelle acque turbolente e fangose ​​insieme a migliaia di altri come lui giù nell’abisso oscuro.

Se questo programma verrà accettato nelle nostre scuole, i georgiani verranno bruciati alla radice dalle fiamme dell’inferno!

Tra pochi decenni, in Georgia si imboccherà la strada di Sodoma e Gomorra, e senza dubbio finirà per condividerne il destino. Non è un caso che cerchino di nutrire i più piccoli con questo semplice veleno, per avvelenare le loro anime. Stanno scommettendo seriamente sulla nuova generazione.

Ora tutto dipende da noi; e la cosa più terrificante è che le persone tacciono. I sacerdoti e il clero tacciono e solo raramente si sente una voce di avvertimento. Se non gridano al pericolo imminente, se non protestano, se non incitano i cristiani a combattere questo male, se non riportano alla ragione con leggi severe coloro che hanno apostatato da Cristo, allora la porta sarà spalancata e il tappeto srotolato affinché l’anticristo entri in Georgia.

Il timore di Dio è l’inizio della saggezza (Sal 110). E la liberazione dalla paura è l’inizio della follia di massa!

Archimandrita Lazar (Abashidze)
FONTE: Pravoslavie.ru

13/04/2016




San Giovanni Damasceno: L’incarnazione del Verbo

Pertanto l’uomo soggiacque all’invidia del diavolo: infatti il demonio invidioso e odiatore del bene, caduto in basso a causa della sua ribellione, non sopportava che noi ottenessimo i beni di sopra, e perciò egli il mentitore adescò il misero con la speranza della divinità; e avendolo innalzato all’altezza della sua sollevazione, lo menò giù verso l’abisso di caduta simile al suo.

Dunque in questo modo l’uomo era stato abbindolato dall’assalto dell’iniziatore del male e non aveva custodito il comando del Creatore, si era denudato della grazia, si era spogliato della confidenza in Dio, si era rivestito della scabrosità di una vita miserevole (questo indicano infatti le foglie di fico), si era cinto della condizione di morte, ossia della mortalità e della grossezza della carne (infatti questo indica il vestimento delle pelli morte), era stato bandito dal paradiso secondo il giusto giudizio di Dio, era stato condannato alla morte ed era stato assoggettato alla corruzione. Ma il Compassionevole, che gli aveva dato l’essere e gli aveva donato il ben-essere, non lo trascurò e anzi in un primo tempo lo ammaestrò e lo chiamò alla conversione in molti modi: con il gemito e il tremore, con il diluvio dell’acqua e la quasi totale rovina di tutta la stirpe, con la confusione e la divisione delle lingue, con la tutela degli angeli e con l’incendio delle città, con teofanie attraverso figure, con guerre, con vittorie, con sconfitte, con segni e con portenti, con varie potenze, con la legge, con i profeti. E attraverso queste cose lo scopo era la rimozione del peccato – che si era diffuso in molti modi, aveva asservito l’uomo e aveva ammassato sulla vita ogni specie di malvagità – e il ritorno dell’uomo al ben-essere.

D’altra parte, poiché a causa del peccato la morte era entrata nel mondo rovinando la vita umana come un animale selvaggio e feroce, di conseguenza era necessario che colui che si accingeva a riscattarla fosse senza peccato e non soggetto alla morte a causa di esso.

Ma anche era necessario che la natura fosse rinforzata e rinnovata e che con l’esempio concreto fosse indicata e insegnata la strada della vita, che allontana dalla corruzione e conduce alla vita eterna: e perciò infine fu mostrato il grande mare dell’amore per l’uomo. Infatti lo stesso Creatore e Signore assume su di sé la lotta per la creatura da lui plasmata e diventa maestro con i fatti; e poiché il nemico inganna l’uomo con la speranza della divinità, ora viene ingannato con il dispiegamento della carne e contemporaneamente è mostrata la bontà, la sapienza, la giustizia e la potenza di Dio. È mostrata la bontà, perché egli non trascurò la debolezza della sua propria creatura, ma ebbe compassione di essa che era caduta e le stese la mano. È mostrata la giustizia, perché – dopo che l’uomo era stato sconfitto – egli non fece che un altro vincesse il tiranno, e non strappò l’uomo alla morte con la violenza, ma egli, il Buono e il Giusto, rese di nuovo vincitore colui che la morte aveva prima asservito attraverso il peccato, e salvò – cosa impossibile – il simile con il simile. Ed è mostrata la sapienza, poiché trovò la più conveniente soluzione dell’impossibilità: infatti con il beneplacito di Dio Padre il Figlio unigenito Verbo di Dio e Dio, che è nel seno di Dio Padre, consustanziale al Padre e al Santo Spirito, precedente al tempo, senza principio, che era in principio ed era presso Dio Padre ed era Dio, pur sussistendo nella forma di Dio abbassò i cieli e discese: e cioè, abbassando senza abbassamento la sua inabbassabile altezza, discende presso i suoi servi con una discesa indicibile e incomprensibile (infatti la sua discesa mostra proprio questo) e, pur essendo Dio perfetto, diventa uomo perfetto e compie la cosa più nuova di tutte le cose nuove, l’unica cosa nuova sotto il sole, attraverso cui si manifesta l’infinita potenza di Dio. Infatti che cosa può essere più grande del fatto che Dio diventa uomo? Senza mutamento il Verbo si fece carne dallo Spirito Santo e dalla santa semprevergine Maria Madre di Dio: e diventa mediatore fra Dio e gli uomini, non per volontà, o per desiderio o per congiunzione di un uomo, e neanche per una generazione compiuta col piacere, essendo stato concepito nel seno immacolato della Vergine per opera dello Spirito Santo e secondo la prima nascita di Adamo. E si fa obbediente al Padre per sanare la nostra disobbedienza con l’aggiunta di ciò che è simile a noi e proviene da noi, essendo diventato per noi modello dell’obbedienza senza cui non è possibile ottenere la salvezza. Infatti l’angelo del Signore fu mandato alla santa Vergine, discendente dalla tribù di Davide: «È noto infatti che il Signore nostro è germogliato da Giuda», «e di questa tribù nessuno si accostò all’altare», come dice il divino Apostolo (e intorno a ciò diremo poi più accuratamente). E portando a lei l’annunzio disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». Ella fu turbata dal discorso, e l’angelo disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio, e genererai un figlio e lo chiamerai Gesù. Infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Perciò anche il nome «Gesù» significa «salvatore». E poiché ella dubitava: «Come ciò mi avverrà? Poiché non conosco uomo», l’angelo di nuovo le disse: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su di te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà da te sarà santo e chiamato Figlio di Dio». Ed ella a lui: «Ecco la serva del Signore: avvenga a me secondo la tua parola».

Quindi, dopo il consenso della santa Vergine lo Spirito Santo venne su di lei secondo la parola del Signore che l’angelo aveva proferito, purificandola, fornendole una facoltà ricevitrice della divinità del Verbo e, insieme, anche generatrice. E allora la Sapienza e la Potenza in sé sussistente di Dio Altissimo, il Figlio di Dio consustanziale al Padre, stese la sua ombra su di lei, a guisa di seme divino, e dal sangue casto e purissimo di lei si costituì una carne animata da un’anima razionale e intelligente, primizia della nostra massa: non mediante un seme ma per creazione per mezzo del Santo Spirito, e non completandosi la forma per aggiunte poco alla volta ma essendosi compiuta in una sola volta. Lo stesso Verbo di Dio fece da ipostasi alla carne: infatti il Verbo di Dio non si unì a una carne precedentemente sussistente per se stessa ma, avendo preso dimora nel seno della santa Vergine senza esserne circoscritto, fece sussistere nella sua propria ipostasi dal sangue casto della semprevergine una carne animata da un’anima razionale e intelligente, e assunse la primizia della nostra massa, egli stesso il Verbo diventando ipostasi per la carne. Cosicché questa contemporaneamente fu carne e contemporaneamente carne di Dio Verbo, contemporaneamente carne animata, razionale e intelligente e contemporaneamente carne animata, razionale e intelligente di Dio Verbo.

Perciò noi non diciamo un uomo diventato Dio, ma un Dio diventato uomo. Infatti Colui che per natura era Dio completo, il medesimo diventò uomo completo, non essendosi mutato nella sua natura né avendo realizzato illusoriamente il suo piano, ma essendosi unito secondo l’ipostasi alla carne che egli aveva assunto dalla santa Vergine – animata di ragione e di intelligenza e avente in lui il suo essere: senza confusione, senza cambiamento e senza divisione, senza mutare la natura della sua divinità nella sostanza della carne oppure la sostanza della sua carne nella natura della sua divinità, e anche senza costituire una sola natura composta insieme dalla sua natura divina e dalla natura umana che egli aveva assunto.

In realtà, le nature si unirono l’una con l’altra senza mutamento e senza alterazione, senza che la natura divina si allontanasse dalla sua propria semplicità e senza che la natura umana si mutasse in quella della divinità o indietreggiasse alla non-esistenza, e senza che dalle due nascesse una sola natura composta. Infatti la natura composta non può risultare consustanziale né all’una né all’altra fra quelle da cui essa è stata costituita, perché da cose diverse ne sorge un’altra diversa: come, ad es., il corpo – che è composto dai quattro elementi – non può essere detto consustanziale al fuoco né è chiamato fuoco, e neanche è detto aria, o acqua, o terra, e non è consustanziale ad alcuna di queste. E quindi se, conformemente agli eretici, dopo l’unione il Cristo fosse risultato di una sola natura composta, di conseguenza si sarebbe mutato da natura semplice in natura composta, e non sarebbe più consustanziale al Padre – che è di natura semplice – e neanche a sua madre (giacché questa non è composta da divinità e umanità): inoltre non sarebbe nella divinità e neanche nell’umanità, e non sarebbe chiamato né Dio né uomo ma soltanto Cristo: e la parola «Cristo» non sarebbe nome della persona ma dell’unica natura conforme alla loro opinione. Invece noi insegniamo che il Cristo non è di una sola natura composta e non è derivante da cose diverse che diventano un’altra cosa – come dall’anima e dal corpo l’uomo, oppure come il corpo dai quattro elementi –, ma è derivante da cose diverse le medesime: infatti proclamiamo che, composto dalla divinità
dall’umanità, egli il medesimo è ed è detto Dio perfetto e uomo perfetto, da due e in due nature. Diciamo il nome «Cristo» come proprio dell’ipostasi, ma non lo diciamo unilateralmente bensì come significante delle due nature. Infatti egli stesso unse se stesso: come Dio, ungendo il corpo con la sua divinità, ma essendo unto in quanto uomo: infatti egli è questo e quello. E l’unzione dell’umanità fu la divinità. Infatti se il Cristo fosse consustanziale al Padre essendo di una sola natura composta, allora anche il Padre sarebbe composto, e consustanziale alla carne: il che è assurdo e colmo di ogni bestemmia. D’altra parte, come una sola natura sarebbe capace di accogliere opposte differenze essenziali? Come è possibile che una stessa natura sia nel medesimo tempo creata e increata, mortale e immortale, circoscritta e incircoscritta? Inoltre se – affermando Cristo di una sola natura – la dicono semplice, allora o lo riconoscono soltanto Dio, e introducono la sua in-umanizzazione come un’illusione, oppure lo riconoscono semplice uomo, conformemente a Nestorio. E dove starebbe «ciò che è perfetto in divinità» e «ciò che è perfetto in umanità»? E se dicono che dopo l’unione il Cristo è di una sola natura composta, in quale momento diranno che egli è di due nature? Infatti è chiaro a chiunque che prima dell’unione Cristo sarebbe stato di una sola natura. In effetti questo è ciò che produce l’errore agli eretici, e cioè il dire che la natura e l’ipostasi sono la medesima cosa. Poiché noi diciamo che una è la natura degli uomini, bisogna sapere che noi non lo diciamo pensando alla definizione dell’anima e del corpo: infatti sarebbe impossibile dire che l’anima e il corpo, confrontati fra loro, sono di un’unica natura. Ma poiché le ipostasi degli uomini – che sono moltissime – ricevono tutte la medesima definizione della natura (infatti esse sono composte tutte di anima e di corpo, e tutte partecipano della natura dell’anima e posseggono la sostanza del corpo), diciamo una sola natura per la comune specie delle moltissime e differenti ipostasi, mentre è chiaro che a sua volta ogni ipostasi porta con sé due nature e si compie in due nature, cioè quella dell’anima e quella del corpo. Invece, in riguardo a nostro Signore Gesù Cristo non è possibile pensare a una specie comune. Infatti non ci fu, né c’è, né mai ci sarà un altro Cristo di divinità e di umanità, egli che è il medesimo, Dio perfetto e uomo perfetto in divinità e in umanità. E quindi non è possibile dire una sola natura in riguardo al Signore nostro Gesù Cristo. Perciò diciamo che l’unione è avvenuta da due nature perfette, quella divina e quella umana: non per impastamento, o per confusione, o per mescolanza, come dissero Dioscoro scacciato da Dio, Eutiche, Severo e la loro empia compagnia; e neanche facciale, oppure relativa, o per dignità, o per identità di volontà, o per uguaglianza di onore, o per omonimia, o secondo il beneplacito, come dissero Nestorio odioso a Dio, Teodoro di Mopsuestia e la loro diabolica adunanza; ma invece per composizione e cioè secondo l’ipostasi, senza mutamenti, senza confusione, senza divisione e senza separazione. E confessiamo una sola ipostasi dell’incarnato Figlio di Dio in due nature che sono perfette, dicendo la medesima ipostasi della sua divinità e della sua umanità e proclamando che le due nature sono conservate in lui dopo l’unione: non ponendole ciascuna per sé e a parte, ma unite fra loro in una sola ipostasi composta. Infatti diciamo essenziale l’unione, e cioè vera e non per apparenza; e inoltre «essenziale» non come se le due nature compissero una sola natura composta, ma perché esse sono unite veramente tra di loro nell’unica ipostasi composta del Figlio di Dio. E anche definiamo che
la loro differenza essenziale è conservata integra: infatti ciò che era stato creato rimase creato e l’increato rimase increato, il mortale rimase mortale e l’immortale rimase immortale, il circoscritto rimase circoscritto e l’incircoscritto rimase incircoscritto, il visibile rimase visibile e l’invisibile rimase invisibile: «l’uno risplende con i miracoli, l’altro soccombe alle violenze». Il Verbo si appropria le cose umane (infatti è suo tutto ciò che è della sua santa carne) e partecipa alla carne ciò che è suo proprio, secondo il principio dello scambio – attraverso la compenetrazione delle parti fra di loro e attraverso l’unione secondo l’ipostasi – e proprio perché era uno e il medesimo Colui che «operava» le cose divine e le cose umane «in ciascuna forma secondo la comunanza reciproca». Perciò anche il Signore della gloria è detto essere stato crocifisso, benché la sua natura non soffrisse, e il Figlio dell’uomo è confessato essere nel cielo prima della passione, come disse proprio il Signore. Infatti era uno e il medesimo il Signore della gloria e colui che per natura e realmente nacque «Figlio dell’uomo», e cioè uomo: e noi riconosciamo i miracoli e le sofferenze, anche se secondo un operava miracoli e secondo l’altro egli il medesimo sottostava alle sofferenze. Infatti sappiamo che, come una sola è la sua ipostasi, d’altra parte è anche conservata integra la differenza essenziale delle nature. E come si conserverebbe integra la differenza, se non si conservassero integre le cose che hanno la differenza fra loro? Infatti la differenza è
differenza di cose che differiscono. E quindi seguendo il principio essenziale per il quale le nature del Cristo differiscono fra loro – e cioè il principio relativo alla sostanza – noi diciamo che egli partecipa con gli estremi: secondo la divinità, con il Padre e con lo Spirito; secondo l’umanità con la madre e con tutti gli uomini: giacché il medesimo è consustanziale secondo la divinità con il Padre e con lo Spirito, e secondo l’umanità con la madre e con tutti gli uomini. Ma d’altra parte, seguendo il principio per il quale le sue nature si uniscono noi diciamo che egli differisce sia dal Padre e dallo Spirito, sia dalla madre e dagli altri uomini: infatti le sue nature si uniscono per l’ipostasi, avendo esse un’unica ipostasi composta, secondo la quale egli differisce sia dal Padre e dallo Spirito sia dalla madre e da noi.

San Giovanni Damasceno, la Fede Ortodossa, Libro III, cap. I-II-III