“La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione”: THE ORTHODOX WORD – 1965 – Vol. 1, No. 1, p. 21

THE ORTHODOX WORD

1965 – Vol. 1, No. 1

Gennaio – Febbraio

Pubblicato con la benedizione di sua eminenza John Maximovich, Arcivescovo dell’America Occidentale e San Francisco, Chiesa Ortodossa Russa Fuori dalla Russia.

Editori: Eugine Rose, M.A, & Gleg Podmoshensky, B. Th.

Pagina 21-31

Illustrazione della prima pagina del n.1 della rivista, Nuova Cattedrale Ortodossa Russa in San Francisco (non completata).

“La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione”

                             “D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata” (Luca 1,48)

                                                                                                                                      

Nessun aspetto della pratica ortodossa è maggiormente radicato e più saldamente stabilito come quello della venerazione delle icone. Una delle feste più importanti dell’anno liturgico, quella del Trionfo dell’Ortodossia che si celebra la prima domenica del Grande Digiuno di Quaresima, fu istituita a seguito della restaurazione delle immagini dopo il periodo iconoclasta. È doveroso ricordare, a questo proposito, come l’opera più degna di nota del Settimo Concilio Ecumenico fu quella di giustificare, teologicamente, la venerazione delle icone. Ciononostante, ancora oggi continuano ad esistere molte idee sbagliate sulla venerazione delle icone. In particolar modo, esse si riscontrano tra i non ortodossi e, in ragione di ciò, è doveroso spendere alcune parole su questo tema, prima di dedicare la nostra attenzione all’icona della Santissima Madre di Dio.

L’accusa più grave, ma anche la più comune, scagliata contro la venerazione ortodossa delle icone, è che questa pratica possa essere etichettata come “idolatria” (analogamente alla venerazione delle reliquie dei Santi, con la quale è intimamente legata) e che, come tale, possa essere una perversione spirituale, portando il cristianesimo ad una deriva materialista.

Una tale visione non è nient’altro che il risultato di una idea sbagliata del cristianesimo, in quanto affonda le sue radici in un’incapacità di comprendere a fondo la Rivelazione Cristiana.

Il fondamento della venerazione delle icone va ricercato nell’Incarnazione del Figlio di Dio, che è la fonte stessa della fede cristiana.

Il kontákion che cantiamo la Domenica del Trionfo dell’Ortodossia indica proprio questo:

L’incircoscrivibile Verbo del Padre, incarnandosi da te, Theotokos, è stato circoscritto, e, riportata all’antica forma l’immagine deturpata, l’ha fusa con la Divina Bellezza…”

Proprio perché Dio ha preso la forma umana, riportando così questa forma alla sua originaria somiglianza con Sé, che noi veneriamo le immagini di Nostro Signore, della Sua Santissima Madre, dei Santi, nei quali l’Immagine Divina è stata restaurata.

La venerazione delle icone è una diretta conseguenza dell’Incarnazione, così ci istruisce sul significato della Incarnazione stessa.

La salvezza è arrivata nel mondo; Dio ci ha fornito i mezzi conformi al nostro umile stato per poter tornare a Lui.

La sapienza della Chiesa è stata evidente nella sua insistenza sulla disciplina del corpo e dell’anima; la nostra religione non è una di quelle fatte di idee e di astrazioni, ma di pratica e di lavoro duro.

Il corpo, che a causa della sua debolezza molte volte può sviarci dalle nostre intenzioni nobili e migliori, deve essere anch’esso corretto e istruito al fine di piacere a Dio e non a sé stesso.

Questa è una delle motivazioni dei nostri digiuni, delle nostre prostrazioni, del nostro segno della croce e della venerazione delle icone e delle reliquie.

Questi sono alcuni principi che stanno a fondamento della venerazione delle icone, e la pratica ortodossa è in perfetto accordo con essi. Nessun ortodosso credente si è mai reso colpevole di idolatria, o di confondere una tavola di legno per Dio; neppure c’è mai stata confusione sul significato della venerazione per la Theotokos e per i Santi.

Come dice San Giovanni Damasceno: “Noi adoriamo ciò che è rappresentato e non la materia; allo stesso modo non veneriamo la materia con la quale sono costruiti i Vangeli o la Croce, ma ciò che essi rappresentano”.

Riguardo alla Theotokos, lo stesso Santo continua: “l’onore che Le tributiamo è legato a Colui che da Lei si è incarnato”; e riguardo ai Santi: “l’onore dato al migliore dei propri compagni di servizio è una prova di amore nei confronti del Signore comune[1]

Ogni icona ortodossa che è stata correttamente benedetta diviene un mezzo di grazia; oltre a questo viene riservato un posto particolare a quelle icone che sono diventate note a causa di loro miracoli.

La maggior parte delle icone miracolose sono della Madre di Dio e, per questo, vi è una ragione particolare. Poiché Lei è il “vaso” scelto per l’Incarnazione del Signore, occupa, comprensibilmente, un posto importante nel culto cristiano.

Come indica il kontákion della Domenica dell’Ortodossia, è grazie alla nascita della TuttaPura che il Dio senza forma ha potuto assumere una forma atta ad essere rappresentata. Questi elementi teologici sono confermati nell’esperienza ortodossa, in quanto è stata la Theotokos ad aver aiutato e protetto il popolo ortodosso, mostrando la sua misericordia in momenti critici per individui e intere comunità cristiane. In particolare, attraverso miracoli operati in connessione con le sue sante immagini.

I miracoli che ci accingiamo a descrivere in questo e nei seguenti numeri di “Orthodox Word” possono risultare francamente incredibili a molti non ortodossi e, senza ombra di dubbio, saremo criticati nel nostro accettarli in modo semplice.

C’è, però, una ragione per la nostra semplicità.

Noi, indegni come siamo e vivendo in questo modo nella meno cristiana di tutte le epoche, abbiamo visto molti miracoli; pertanto, avendo assistito con i nostri occhi, non abbiamo motivo di mettere in dubbio ciò che viene raccontato dai Santi Padri, i quali sono vissuti prima di noi.

Durante i nostri giorni alcune icone sono diventate, per miracolo, più luminose, come nuove, oppure hanno versato alcune lacrime e, in loro presenza, si sono verificate guarigioni.

Senza dubbio nessuno che abbia visto lacrime scendere lungo le guance della Theotokos, in una delle icone piangenti dei nostri giorni, e abbia conosciuto il sincero pentimento al quale tutto ciò porta, può sinceramente dubitare che i miracoli accadano e che abbiano uno speciale significato per noi.

Il continuo verificarsi di questi miracoli, tra di noi, è un segno tangibile della presenza del Santo Spirito nella Chiesa Ortodossa.

Lo scetticismo e la critica aperta che contraddistinguono l’atteggiamento di molti non ortodossi nei confronti dei miracoli, i quali si concludono nel tentativo di spiegarli, è dovuto, molto probabilmente, alla mancanza di esperienza.

Questo poiché, al di fuori della Chiesa Ortodossa, i miracoli sono diventati così rari e inusuali da sembrare strani e fenomenali. Per i cristiani ortodossi i miracoli sono divenuti, se non comuni, quantomeno qualcosa di familiare e comprensibile; essi sono una parte importante della normale vita spirituale del credente devoto.

L’abbondanza della Grazia divina che si è manifestata attraverso l’intercessione della Santissima Theotokos ha dato origine ad una molteplicità di icone-tipo, ognuna della quali rappresenta un esempio o un aspetto del Suo aiuto e della Sua protezione all’umanità peccatrice.

Questi tipi di icone traggono il nome dal luogo della loro rivelazione o dai miracoli (come, ad esempio, le icone di Vladimir e di Kazan), o da frasi, di norma tratte da un Inno Akathistos[2] o da altri servizi in onore della Theotokos, le quali descrivono la funzione o il significato di una particolare icona (l’icona che verrà descritta in seguito sarà “La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione”). Le varie icone sono distinte da dettagli come la posizione del Bambino, l’inclinazione della testa, la direzione dello sguardo della Madre e del Bambino, i gesti delle mani. Per di più, oltre a questi tipi-base, vi sono copie che differiscono dall’originale solo per dettagli minuti; queste copie divengono, sovente, conosciute come miracolose a pieno titolo.

Considerando tutto ciò complessivamente, possiamo affermare che lo studio delle icone della Theotokos diventa una scienza in sé. Una scienza, se si può dire, della Grazia di Dio.

Il nostro scopo sarà quello di dare, in questi brevi articoli, un’introduzione a questa scienza, ponendo enfasi sulla storia e sul significato pratico di ciascuna icona.    

L’origine dell’icona della Theotokos conosciuta con questo nome è incerta.

Non è possibile sapere se essa, così come molte altre icone russe, derivi da un prototipo bizantino; in ogni caso era già conosciuta nella Russia di Kiev.

Quella che, almeno apparentemente, era l’icona più antica di questo tipo si trovava nei pressi del Monastero della Grotte a Kiev (Kyevo Pečers’ka Lavra), precisamente nella Chiesa dell’ospedale che fu fondata nel 1106 da San Nikola Svyatosha (il Santo), pronipote di Yaroslav il Saggio. È probabile che la suddetta icona sia stata posta lì dallo stesso santo.

Secondo una antica tradizione, questa icona fu protagonista di guarigioni miracolose in tempi antichi. Si narra che un guardiano, per un certo periodo di tempo, vide una signora entrare più volte in un ospedale durante le ore notturne. Lo stesso guardiano notò che, dopo ogni visita della signora, alcuni pazienti venivano guariti. Rimasto sorpreso da questi fatti, il guardiano domandò ai pazienti chi fosse la signora in questione; questi risposero che la signora era una persona a loro sconosciuta e che, chiestole il nome, ella avrebbe risposto loro: “Io sono la gioia di coloro che sono nell’afflizione”.

Così una notte il guardiano seguì la signora in una delle sue visite, presso la cella di un monaco morente. Giunto presso la cella, il guardiano notò che sul muro, sopra il letto del monaco malato, vi era l’icona della Theotokos e così capì la vera identità della signora. Questo monaco fu poi guarito come gli altri malati.

Altre icone miracolose “La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione” esistevano prima del XVIII secolo e questo nome divenne come un polo di attrazione per tutti coloro che soffrivano di ogni genere di malattia o di afflizione.

Successivamente all’anno 1522, una delle più antiche icone di questo tipo si trovava nella città di Vologda e occupava un posto importante in ogni processione della comunità cristiana ortodossa del posto.

Un’altra icona a Tsarkoe Selo era nota per recare guarigione ai malati mentali; una ulteriore si trovava a Pskov per la guarigione di coloro che avevano patologie oculari; una a Tver per aiuti miracolosi portati durante una epidemia di colera; una a Tobolsk per la protezione dei pescatori e dei mercanti. A Perm vi si trovava un monastero dedicato all’icona.

La principale festa dell’icona, che si celebra il 24 ottobre, fu istituita nel 1648 in occasione di una guarigione miracolosa approntata da una icona di Mosca. Una sorella del Patriarca di Mosca Ioakim, di nome Evfimia, ebbe una ferita piuttosto profonda al costato. Nonostante fosse in attesa della morte, rimase salda nella speranza di un aiuto da Dio e, grazie alle sue preghiere ferventi alla Theotokos, sentì una voce dirle:

Evfimia, perché non ti rivolgi, nel tuo stato di sofferenza, a Colei che guarisce tutto?”

Ma dove posso trovare un guaritore di questo tipo?

La mia immagine si trova nella Chiesa della Trasfigurazione di Mio Figlio, essa è chiamataLa gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione” …chiama un sacerdote di questa Chiesa con l’immagine e dopo che avrà celebrato un Moleben[3] con la benedizione dell’acqua, tu troverai la salute. E successivamente non dimenticare la Mia misericordia nei tuoi confronti, confessala per la gloria del Mio nome”.

Tutto questo venne fatto come da indicazione della voce che Evfimia udì, e lei venne effettivamente guarita il 24 ottobre, data in cui questa icona ha iniziato ad essere commemorata da allora.

Recentemente, la notorietà dell’icona “La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione” è dovuta ai miracoli compiuti da un’altra icona situata vicino San Pietroburgo, in una cappella non distante ad una fabbrica di vetro. Il 23 luglio 1888, durante un temporale, un fulmine cadde sulla cappella, bruciando tutto ciò che conteneva. Molte icone andarono perdute, ad eccezione dell’icona “La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione”. A causa del disastro l’icona scivolò a terra e il volto della Theotokos, che era diventato scuro a causa del fumo e della fuliggine, divenne improvvisamente pieno di luce. Vicino all’icona vi era una cassetta per le elemosine la quale, rompendosi, fece cadere dodici piccole monete. Queste si attaccarono in qualche modo al volto dell’icona della Madre di Dio e nelle copie successive di questa icona sono sempre raffigurate. La notizia della miracolosa preservazione dell’icona e del suo rinnovamento si diffuse in tutta la capitale tanto che, fin dalle prime luci dell’alba del giorno successivo, la cappella bruciata fu circondata da molte persone stupefatte dalla manifesta misericordia Divina.

Al mezzogiorno fu poi celebrato un Moleben dinanzi all’icona e, mentre la notizia si diffondeva in tutta la Russia, un numero sempre crescente di visitatori si recò a pregare sul luogo, dove si verificarono numerose guarigioni. L’imperatore Alessandro III, dopo aver venerato l’icona miracolosa, donò una parte di terreno per poter erigere una Chiesa in pietra ad essa dedicata. Questa Chiesa fu consacrata nel 1898. L’icona è commemorata dalla Chiesa nella data del suo rinnovamento, il 23 luglio.

I vari tipi dell’icona “la gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione” hanno in comune alcune caratteristiche di base. La Theotokos è sempre raffigurata interamente, alcune volte con il Bambino tra le braccia, altre volte senza. Sotto la Sua figura si trovano persone afflitte da vari dolori e malattie che domandano il Suo aiuto. Oltre a queste caratteristiche comuni, i vari tipi prevedono una varietà nella rappresentazione dei dettagli che non si trova in altre icone della Theotokos.

Questo si può spiegare, in parte, a causa della complessità dell’icona stessa; ma, come vedremo tra poco, tutto ciò è dovuto principalmente alle diverse interpretazioni di un identico soggetto.

La stupenda icona raffigurata nella pagina seguente si trova nella Cattedrale di San Francisco, la quale è dedicata proprio a “La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione”. Questa icona è eseguita in uno stile perfettamente tradizionale e fa ampio uso del linguaggio simbolico dell’iconografia esprimendo, così, il pieno significato dell’icona con una grande economia di mezzi.

La Theotokos è qui rappresentata, come anche nell’icona di San Pietroburgo, senza il Bambino e con le braccia aperte come nella celebre icona della Protezione (Pokrov). Nella mano destra, la Theotokos, tiene uno scettro che rappresenta la sovranità; questo oggetto è rappresentato solo in poche altre icone, in particolare in quella della “Theotokos Regnante”[4].

Altre icone de “La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione” non presentano lo scettro, ma esprimono lo stesso significato tramite l’uso di una corona posta sopra la testa della Madre di Dio. Il significato è chiaro: Ella è la Regina del cielo, intronizzata nella gloria. Il cielo è qui rappresentato non da nuvole naturalistiche come si possono trovare in alcuni versioni moderne, bensì dallo sfondo dorato e da un’altra caratteristica, probabilmente la più sorprendente: i fiori.

Questi non sono fiori terreni, sono i fiori di un mondo diverso, di una creazione totalmente nuova: sono i fiori del Paradiso. Anche in un dettaglio come questo, l’iconografia sacra innalza la nostra mente al di sopra delle cose di questo mondo e ci regala un’anticipazione della realtà del Regno dei Cieli.

La Theotokos, sebbene in Paradiso, continua ad essere vicina agli uomini: il simbolismo dell’iconografia permette di esprimere questi due eventi in modo simultaneo. Anziché essere lontana dal mondo, sopra le nuvole, Lei si trova in mezzo ad esso, immediatamente accessibile a coloro che La cercano.

Viene così manifestato che la Porta del Paradiso è vicina e in alcuni momenti – come nel caso dei miracoli operati per l’intercessione della Theotokos – gli uomini sono davvero toccati dalla grazia Divina e intravedono, anche solo per un momento, il Paradiso stesso. Da entrambe le parti le persone sofferenti fanno appello alla misericordia della Theotokos.

I testi scritti con caratteri slavi sugli stendardi sono le richieste di diversi gruppi di afflitti affinché Lei sia il loro sostegno per la vecchiaia, il vestito e il calore per quanti sono nudi, la guarigione di quanti sono nella malattia, la gioia dei tristi, l’intercessione degli offesi, il nutrimento di quanti hanno fame, la compagna dei viaggiatori.

A queste, come ad altre richieste, la Theotokos risponde inviando angeli per donare conforto e guarigione. Lei stessa, con la mano sinistra, accorda il nutrimento celeste in risposta alla petizione: “sfamaci con il pane della Tua misericordia”.

Nella parte alta dell’icona possiamo vedere il sole, a sinistra, e la luna, a destra. Questo motivo appare alcune volte nelle icone della Crocifissione, ma raramente in quelle della Theotokos. Qui sta a simboleggiare, probabilmente, l’universalità della Sua sovranità e il potere della Sua intercessione.

Nella parte centrale, sempre in alto, si trova il Salvatore che ha il ruolo di Pantocratore, Sovrano di tutto: Colui al Quale la Theotokos deve la Sua sovranità.

L’origine e la storia di questa icona sono, purtroppo, quasi del tutto avvolte nel mistero. Molto probabilmente rimase in Unione Sovietica fin dopo la Seconda Guerra Mondiale, da qui, in qualche modo, fu trasferita a Parigi. Qui, durante una mostra, fu acquistata da un americano, finendo per trovare la strada per San Francisco. In un negozio di antiquariato fu acquistata da alcuni membri della parrocchia e donata alla chiesa cattedrale. Dai segni presenti sull’icona è possibile capire che essa è stata racchiusa per molto tempo in una riza di metallo, come molte altre icone di valore. Fu poi spogliata della riza quando ancora era in Unione Sovietica.

Essa è ovviamente piuttosto antica; fatto affermato da esperti che hanno potuto esaminarla a San Francisco. Una stima ragionevole della sua data la collocherebbe probabilmente nel XVI o XVII secolo. Da quanto detto, oltreché dalla finezza dell’icona stessa, si può supporre che essa fosse una delle immagini più note nella Russia prerivoluzionaria. Purtroppo, non siamo in grado di fare affermazioni ulteriori.

La cattedrale di San Francisco, dedicata a questa icona, può essere considerata un esempio vivente del suo significato. Fondata nel 1927 da un gruppo di fedeli appartenenti alla Chiesa Ortodossa Russa fuori dalla Russia, i quali desideravano di rimanere nel Sinodo canonico e rifiutavano lo scisma della Metropolia americana, essa iniziò la sua esistenza nel dolore e nelle difficoltà in quanto unica parrocchia fedele in America.

Da quel momento in poi ha vissuto intensamente ogni sofferenza del popolo russo in esilio, così come altre macchinazioni escogitate dal diavolo per la divisione dei fedeli.

Attraverso tutte le sue prove è rimasta fedele alla Chiesa Ortodossa Russa canonica all’estero. Dio ha ricompensato questa fedeltà con una moltitudine di gioie spirituali, tra le quali anche la costruzione della nuova e magnifica cattedrale, rappresentata su questo numero di “The Orthodox Word”, la quale è diventata la più grande parrocchia della Chiesa Ortodossa Russa fuori dalla Russia. Questa si erge come testimonianza della continuità ininterrotta della fede ortodossa piantata, per la prima volta nel Nuovo Mondo, da Padre Herman dell’Alaska.

L’esperienza di questa parrocchia si ripete nella vita di ogni cristiano ortodosso che comprende, attraverso la propria esistenza, le parole del nostro Salvatore: “Voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia” (Giovanni 16,20).

Questa vita ci è stata data come prova, e nella prova c’è senza dubbio dolore e tribolazione, ma lo scopo della vita umana è la gioia che attende coloro che superano questa prova.

Questa gioia la possiamo sperimentare già in questa vita tramite le tribolazioni, se queste sono affrontate con fede cristiana e con l’ausilio della grazia Divina donataci nei sacramenti e per l’intercessione della Theotokos e dei Santi. Questo è, per noi, un’anticipazione della gioia senza fine che ci attende nella vita dopo la morte.

Il Signore della vita fu crocifisso e sepolto, ma risuscitò dalla morte e aprì a tutti le porte della vita eterna. “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!” (Giovanni 16,33).

Nella Resurrezione del nostro Salvatore si trova la garanzia della nostra eterna gioia; e nell’intercessione della Sua Santissima Madre abbiamo il mezzo più sicuro per avvicinarci, al di fuori dei sacramenti stessi, a questa gioia imperitura.

Lei è un ricorso sempre pronto durante le nostre prove, una misericordiosa donatrice di benedizioni e di gioia anche quando la speranza sembra terminata. Possa il tropario della Sua icona essere la nostra preghiera:

Gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione affrettati, ti preghiamo, e salva i Tuoi servi”.

Eugene Rose


[1] Sulla Fede Ortodossa, IV, 6.

[2] Nota di redazione Teandrico non presente nell’articolo originale:  «Akathistos» si chiama per antonomasia quell’inno liturgico della Chiesa bizantina del secolo V dedicato alla Theotokos, che divenne poi modello di molte altre composizioni liturgiche antiche e recenti. «Aka­thistos» non è il titolo originario, ma una nota rubrivcale: «non seduti», perché tradizionalmente si canta «stando in piedi», manifestando così una particolare importanza e devozione come accade quando ascolta il Vangelo o si recita il Padre nostro.

[3] Nota di redazione Teandrico non presente nell’articolo originale:  Un moleben (slavo ecclesiastico, in greco paraklisis), è un servizio di preghiera di supplica in onore di nostro Signore Gesù Cristo, della Theotokos o di un Santo o di un Martire. È un servizio di tradizione slava ma che si richiama al servizio della Paraklisis. Un moleben è solitamente celebrato da un sacerdote ordinato, ma anche un laico può fare un moleben, sebbene in un’altra forma.

[4] Per un resoconto in inglese di questa icona, vedi Orthodox Life (publ. da Holy Trinity Monastery, Jordanville, New York), 1963, n. 4.





P. Seraphim Rose: CRISTIANI E NON CRISTIANI ADORANO LO STESSO DIO?

“Ebrei e islamici, così come i cristiani…. queste tre varietà di identico monoteismo, parlano con il linguaggio più autentico e antico, con voci audaci e sicure. Perché il nome dello stesso Dio, invece di generare un’opposizione inconciliabile, non dovrebbe portare al rispetto reciproco, alla comprensione e alla coesistenza pacifica? La menzione di un solo e medesimo Dio, di un solo e medesimo Padre, senza i pregiudizi della controversia teologica, non potrebbe forse condurci con positività a un giorno in cui scopriremo con evidenza quanto con difficoltà che siamo figli di un solo e medesimo Padre e che siamo tutti fratelli?”.
(Papa Paolo VI, La Croix, 11 agosto 1970)

Giovedì 2 aprile 1970, a Ginevra, ebbe luogo un grande evento religioso. In occasione della seconda conferenza dell’“Associazione delle Religioni Unite”, i rappresentanti di dieci grandi religioni furono invitati a riunirsi nella Cattedrale di San Pietro. Questa “preghiera comune” si basava sulla seguente motivazione. Vediamo ora se questa formulazione è valida alla luce di San Pietro. Se consideriamo la verità di questo versetto alla luce della Scrittura.

Per spiegare meglio la questione, ci limiteremo a tre religioni che, in sequenza storica, sono in relazione tra loro nel seguente ordine: ebraismo, cristianesimo, islam. Queste tre religioni hanno un’origine comune come adoratori del Dio di Abramo. È opinione diffusa che, nella misura in cui i loro seguaci si considerano il seme di Abramo (gli ebrei e i musulmani nella carne, i cristiani nello spirito), il Dio per tutti loro è il Dio di Abramo e che le tre religioni adorano (ciascuna a modo suo, naturalmente) lo stesso Dio! Questo Dio comune è la base per l’unità e la “comprensione reciproca” su cui si possono stabilire “relazioni fraterne”, come sottolinea il grande Rabbino Dr. Shafran, parafrasando il salmo: “Oh, quanto è bello vedere i fratelli seduti insieme…” (cfr. Sal 132,1).

In questa linea di pensiero, la nozione di Gesù Cristo come Dio e Uomo, Figlio eterno del Padre senza inizio, la sua incarnazione, la sua croce, la sua gloriosa risurrezione e la sua seconda e grandiosa venuta diventano dettagli secondari che non possono impedire il “gemellaggio” con coloro che lo considerano un “semplice profeta” (secondo il Corano) o un “figlio di una prostituta” (secondo il Talmud)! Ragionando in questo modo, metteremmo sullo stesso piano Gesù di Nazareth e Maometto. Non so quale cristiano degno di essere chiamato tale sia capace di far entrare nella sua mente pensieri del genere.

Si potrebbe dire che queste tre religioni, avendo fatto molta strada nel loro sviluppo, potrebbero giungere a un consenso sul fatto che Gesù Cristo è una persona eccezionale e che è stato mandato da Dio. Ma per noi cristiani, se Gesù Cristo non è Dio, allora non possiamo accettarlo né come “profeta” né come “inviato da Dio”, ma solo come il più grande impostore, che si è dichiarato “Figlio di Dio” e quindi si è equiparato a Dio! (Mc 14,61-62). A livello sovraconfessionale, l’approccio ecumenico a questo problema riconosce come vera in egual misura la dottrina cristiana del Dio triplice e il monoteismo dell’ebraismo, dell’islam, dell’antico eretico Sabellio, dei moderni antitrinitari e probabilmente delle sette degli Illuminati. Non si potrebbe quindi parlare di Tre Persone in un’unica Divinità, ma di una Persona distinta che, secondo l’opinione di alcuni, non cambia, e secondo altri cambia con successo “maschera” (Padre-Figlio-Spirito)! E dopo tutto questo, qualcuno continuerà a insistere che si tratta dello “stesso Dio”!
Qualcuno potrebbe ingenuamente dire che “nonostante tutto queste religioni hanno un punto in comune perché tutte e tre professano Dio Padre”! Secondo la Santa Fede Ortodossa questo è ridicolo. Noi diamo sempre “gloria alla Santa, Unica, Vivificante e Indissolubile Trinità”. Come potremmo separare il Padre dal Figlio quando Gesù Cristo dice: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). Chiunque neghi il Figlio non ha il Padre (1 Gv 2, 23).

Ma anche se accettiamo che tutte e tre le religioni chiamino Dio Padre, per chi è veramente Padre? Per gli ebrei e i musulmani è il Padre degli uomini nella creazione, mentre per noi cristiani è innanzitutto, prima della creazione del mondo (Gv 17,24), il Padre del nostro Signore Gesù Cristo (Ef 1,3) e, attraverso Cristo, è nostro Padre perché ci ha adottati (Ef 1,4-5), nella redenzione. Cosa c’è dunque in comune tra la paternità divina del cristianesimo e quella delle altre religioni?
Altri obietteranno che “sia gli Ebrei attraverso Isacco che gli Agariti (musulmani) attraverso Agar sono discendenti del vero adoratore di Dio, Abramo”. Su questo punto, però, è opportuno chiarire alcuni punti. Abramo adorava proprio la SS. Trinità, e non il Dio primitivo e impersonale delle religioni monoteiste. In San Paolo, il Signore apparve ad Abramo nel bosco di Mamre, mentre egli sedeva alla porta della sua tenda nel calore del giorno. Alzò gli occhi e guardò: ed ecco che tre uomini stavano in piedi di fronte a lui. Quando li vide, corse loro incontro dalla porta della sua tenda, si prostrò davanti a loro e disse: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo…» (Gn 18,1-3). In quale forma Abramo onorò Dio? In una forma impersonale o nella forma della Trinità divina? Noi cristiani ortodossi onoriamo questa manifestazione veterotestamentaria della Santa Trinità nella festa di Pentecoste. In questo giorno, decoriamo i nostri templi con rami che simboleggiano le antiche querce e ci inchiniamo davanti all’icona dei Tre Angeli proprio come fece Abramo, il nostro antenato! La nostra discendenza secondo la carne da Abramo rimarrebbe irrilevante se non fossimo rinati alla sua fede attraverso l’acqua del Battesimo. La fede di Abramo era la fede in Gesù Cristo, come dichiara il Signore stesso: «Abramo, tuo padre, si rallegrò nel vedere il mio giorno, vide e si rallegrò» (Gv 8,56). Tale era anche la fede del re profeta Davide, che sentì il Padre parlare dal cielo al suo Figlio unigenito: «Il Signore disse al mio Signore» (Sal 109,1; At 2,34). La stessa fede fu condivisa dai tre giovani nella fornace ardente, che furono salvati dal Figlio di Dio (Dn 3,92), e dal santo profeta Daniele, al quale furono rivelate in visione le due nature di Gesù Cristo nel mistero dell’incarnazione, quando il Figlio dell’uomo andò verso l’Antico dei giorni (Dn 7,13). È per questo che il Signore si rivolse al seme di Abramo, biologicamente innegabile, con le parole: se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo (Gv 8,39), e queste “opere” consistono nel credere in Colui che Egli ha mandato (Gv 6,29).

Chi sono i figli di Abramo? I figli di Isacco secondo la carne o i figli di Agar l’egiziana; Isacco o Ismaele? Vediamo cosa dice la Scrittura. Le promesse furono fatte ad Abramo e alla sua discendenza. Non è detto “e alla discendenza”, come a molti, ma come a uno solo: “e alla tua discendenza”, che è Cristo (Gal 3,16). Ma se siete di Cristo, allora siete la discendenza di Abramo e siete eredi secondo la promessa (Gal 3,29). Pertanto, solo attraverso Gesù Cristo Abramo è diventato padre di molte nazioni (Gen 17,5; Rm 4,17). Dopo tali promesse e assicurazioni, ha importanza la discendenza carnale da Abramo? La discendenza di Abramo è costituita da coloro che professano Cristo, i figli di Cristo. Secondo San Paolo, il seme o discendenza di Abramo è la discendenza di Cristo. Il seme o discendente di Abramo è Isacco, ma solo come tipo di Gesù Cristo. A differenza di Ismaele, figlio della schiava Agar (Gen 16,11), Isacco nacque in “libertà”, in modo soprannaturale da una madre sterile e in età avanzata, a dispetto delle leggi della natura, proprio come il nostro Salvatore nacque miracolosamente da una vergine. Isacco salì sul Monte Moriah portando la legna per il fuoco sacrificale, proprio come Gesù salì sul Calvario portando sulle spalle la croce sacrificale. Un angelo ha liberato Isacco dalla morte e un angelo ha anche rimosso la pietra dalla tomba per mostrare che il Cristo risorto non era più lì. In un momento di preghiera, Isacco incontrò Rebecca nel campo e la portò nella tenda di sua madre, Sara, proprio come Gesù Cristo incontrerà la sua Chiesa sulle nuvole per portarla nelle schiere celesti, la Nuova Gerusalemme, la patria più desiderabile.

No! I cristiani e i non cristiani non adorano lo stesso Dio! La conoscenza del Padre è possibile solo attraverso il Figlio – nessuno viene al Padre se non per mezzo di me; chi ha visto me ha visto il Padre (Gv 14,6-9). Il nostro Dio è il Dio incarnato, che abbiamo visto con i nostri occhi… e che le nostre mani hanno toccato (1 Gv 1,1). “L’immateriale diventa materiale per la nostra salvezza”, dice San Giovanni. Ma quando si è rivelato agli ebrei e ai musulmani di oggi? Su quali basi possiamo supporre che essi conoscano Dio? Se hanno una conoscenza di Dio al di fuori di Gesù Cristo, allora la sua incarnazione, morte e risurrezione sono state vane!
Secondo le parole di Cristo, non hanno ancora raggiunto il Padre. Hanno alcune idee sul Padre, ma queste idee non contengono la piena rivelazione di Dio data agli uomini attraverso Gesù Cristo. Per noi cristiani, Dio è incomprensibile, inconcepibile, indescrivibile e immateriale, come dice San Paolo. San Basilio il Grande afferma: “Per la nostra salvezza, è diventato (nella misura in cui siamo in unione con Lui) comprensibile, descrivibile e materiale attraverso il mistero dell’incarnazione di Suo Figlio. Gloria a Lui nei secoli dei secoli. Amen!”. Ecco perché San Cipriano di Cartagine afferma che per colui al quale la Chiesa non è Madre, Dio non è nemmeno Padre!

Che Dio ci preservi dall’apostasia e dalla venuta dell’Anticristo, i cui segni di avvicinamento aumentano ogni giorno di più. Che ci preservi da grandi mali che anche gli eletti non saranno in grado di sopportare senza la Sua grazia. E che Dio ci conservi nel “piccolo gregge”, “scelto secondo l’elezione della grazia”, affinché, come Abramo, possiamo godere della luce divina, attraverso le preghiere della Beata Vergine Maria e Madre di Dio, di tutte le potenze celesti, testimoni e profeti, martiri, gerarchi, evangelisti e confessori che sono rimasti fedeli fino alla morte, versando il loro sangue per Cristo, e dalle preghiere di coloro che ci hanno rigenerato attraverso il Vangelo di Gesù Cristo e l’acqua del Battesimo. Noi siamo i loro figli e, pur essendo deboli, peccatori e indegni, non tenderemo le nostre mani al dio di un altro! Amin!”.

Ieromonaco Seraphim Rose di Platina




THE ORTHODOX WORD, 1965 – Vol. 1, No. 1, pp. 17-20

THE ORTHODOX WORD

1965 – Vol. 1, No. 1

Gennaio – Febbraio

Pubblicato con la benedizione di sua eminenza John Maximovich, Arcivescovo dell’America Occidentale e San Francisco, Chiesa Ortodossa Russa Fuori dalla Russia.

Editori: Eugine Rose, M.A, & Gleg Podmoshensky, B. Th.

Pagina 17

«Andate dunque, e insegnate ad ogni nazione, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e del Santo Spirito, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo»

Mt 28,18-20

THE ORTHODOX WORD ha una sola ragione d’esistenza: predicare le verità della Cristianità Ortodossa e, così facendo, riunire coloro che la pensano allo stesso modo per offrire una testimonianza unitaria di queste verità. Si rivolge agli Ortodossi di tutte le nazionalità, ai convertiti alla fede ortodossa e a coloro che, al di fuori della Chiesa, desiderano conoscere meglio la sua fede e la sua pratica.

I redattori sono pienamente consapevoli della loro totale inadeguatezza a realizzare le intenzioni esposte. Nessun uomo, o gruppo di uomini, può parlare a nome della Chiesa di Cristo. È tuttavia possibile parlare dall’interno della Chiesa, in conformità con la tradizione Ortodossa, ed è questo che cercheremo di fare.

I redattori sono membri della Chiesa Ortodossa Russa Fuori dalla Russia e obbedienti al Sinodo di questa Chiesa; ma tra i nostri collaboratori ci saranno anche membri di altre Chiese Ortodosse che si preoccupano di preservare la verità e la tradizione Ortodossa nella loro pienezza. All’esterno, è vero, le Chiese Ortodosse presentano al mondo un fronte diviso. Le circostanze storiche, fin da prima della caduta di Costantinopoli nel XV secolo, hanno dettato lo sviluppo di Chiese Ortodosse nazionali in relativo isolamento l’una dall’altra; e nel XX secolo le idee moderniste e la capitolazione ai governi comunisti hanno causato la divisione all’interno di alcune Chiese Ortodosse e fatto deviare molti dal cammino di fedeltà a nostro Signore.

Ma in tutti i paesi Ortodossi, oggi, c’è almeno un residuo fedele di credenti pronti a testimoniare la loro fede senza compromessi di fronte al mondo contemporaneo, fino ad arrivare a condividere il martirio che molti dei nostri fratelli Ortodossi hanno subito in questo secolo.

Tra questi credenti esiste un’unità che è del tutto indipendente da conferenze internazionali o panortodosse; è l’unità di tutti coloro che credono e confessano correttamente l’Ortodossia. La Chiesa ortodossa di Cristo è una e indivisibile in tutti i suoi membri che sono rimasti fedeli alla verità che ogni Chiesa locale possiede fin dalla sua fondazione.

È apparso relativamente poco materiale attendibile che riguarda la Chiesa Ortodossa in inglese, mentre in diverse lingue ortodosse tradizionali – in particolare il greco e il russo – c’è un vero e proprio tesoro di testi che attendono di essere tradotti. Uno degli scopi di questa rivista sarà quello di iniziare ad aprire questo tesoro e distribuire le sue ricchezze a coloro che ne sono affamati. Dopo tutto, la funzione propria di un tesoro non è quella di rimanere inattivo in una cassaforte chiusa, ma di essere utilizzato; i tesori della Santa Ortodossia sono soprattutto un patrimonio attuale il cui valore può essere meglio dimostrato nella vita dei cristiani contemporanei.

Tra i più importanti tesori Ortodossi ci sono le vite dei santi, che ci danno esempi di una vera vita in Cristo. Le vite dei santi recenti non sono meno istruttive, a questo proposito, di quelle dei primi santi; e l’inclusione di entrambe in The Orthodox World dovrebbe servire a sottolineare il fatto che la vita cristiana non è diventata antiquata nel mondo contemporaneo e allo stesso tempo non è cambiata affatto nel corso dei secoli.

Anche il XX secolo ha avuto i suoi santi: uno dei più grandi santi Russi è morto nel 1908, e i martiri di questo secolo sono probabilmente più numerosi di quelli dell’intera epoca dei martiri della Chiesa primitiva.

Un altro prezioso tesoro Ortodosso è costituito dagli scritti dei Santi e dei Padri della Chiesa, sia sui problemi pratici della vita cristiana, sia su argomenti più generali come la dottrina Ortodossa, i sacramenti, la storia della Chiesa, le funzioni religiose e le principali festività dell’anno ecclesiastico. Un’altra fonte di ricchezza spirituale per i cristiani Ortodossi sono le icone di nostro Signore, della Sua Santissima Madre, dei santi e delle feste. È previsto che almeno una di queste venga riprodotta in ogni numero, insieme a una spiegazione del suo significato e a un resoconto della sua storia e dei suoi miracoli.

Questa sarà dunque la funzione principale di The Orthodox Word: rendere più accessibili alcune delle fonti fondamentali della fede Ortodossa. In alcuni casi si tratterà di saggi esplicativi o introduttivi, in modo da rendere accessibile ai lettori contemporanei materiale che potrebbe essere facilmente frainteso da chi non conosce a fondo la vita e il pensiero della Chiesa. Inoltre, il periodico presenterà informazioni sugli avvenimenti contemporanei nel mondo ortodosso. L’Ortodossia, non c’è bisogno di dirlo, fa ormai “notizia”.

La dispersione in Occidente di Ortodossi di ogni nazionalità, l’aumento dei convertiti all’Ortodossia in Europa occidentale e in America, lo stato della Chiesa sofferente dietro la cortina di ferro, gli incontri a livello ufficiale e personale con i cattolici romani e i protestanti, come ad esempio nel Concilio Vaticano e nel Consiglio Mondiale delle Chiese, ed eventi critici all’interno dello stesso mondo Ortodosso — tutti questi e altri fattori si combinano per attirare l’attenzione di un mondo occidentale che, fino a poco tempo fa, aveva praticamente ignorato l’esistenza della Chiesa Ortodossa per secoli, o l’aveva considerata al massimo come una parte “fossilizzata” dell’Oriente.

Ma se l’Ortodossia è diventata “notiziabile”, non tutte le notizie su di lei sono state positive. La posizione dell’Ortodossia nel mondo, le sue relazioni con le altre Chiese, e anche le relazioni delle Chiese Ortodosse tra di loro, sono piuttosto complicate e devono essere viste criticamente e interpretate in modo sano alla luce della verità e della tradizione Ortodossa, con l’intenzione di rimanere assolutamente fedeli a queste, sia nello spirito che nella lettera. I redattori di The Orthodox Word cercheranno, a loro modo, di adempiere a questo solenne dovere.

Speriamo sempre di essere guidati dalla consapevolezza che governa la vita di tutti i fedeli cristiani Ortodossi, una consapevolezza che nessuna complicazione temporanea dovrebbe cancellare. La Chiesa Ortodossa non è solo una Chiesa tra le tante, non è solo “la quarta maggior fede”, ma è l’unica vera Chiesa di nostro Signore Gesù Cristo, alla quale tutti gli uomini sono chiamati e contro la quale «le porte degli inferi non prevarranno» (Mt 16, 18). Essa non è solo una delle tante notizie, ma l’unico contenitore dell’intero mistero della creazione di Dio e del suo piano per l’umanità.

È quindi con uno scopo essenzialmente missionario che questa rivista è stata avviata. Per questo il nostro patrono e protettore celeste è il Padre Herman dell’Alaska, uno dei primi missionari Ortodossi nel continente Americano ed esempio nella vita di ascesi, preghiera e fedeltà ai comandamenti di nostro Signore a cui ogni cristiano, secondo le sue forze, è chiamato. È nell’ottica di lavoro collettivo di una fratellanza nel nome di Padre Herman che presentiamo questa rivista, con un accorato appello ad altri che con lo stesso spirito possano unirsi a noi, con articoli e traduzioni, con commenti e soprattutto con la preghiera, affinché questo lavoro possa essere, con la benedizione di Dio, di aiuto all’Unica Chiesa, Santa, Cattolica e Apostolica di nostro Signore Gesù Cristo.

La redazione




DIADOCO

L’anima non può desiderare di separarsi dal corpo, se la sua disposizione non è di totale indifferenza per questa stessa aria. Tutti i sensi del corpo, infatti, si oppongono alla fede perché essi si realizzano nelle realtà presenti, mentre essa promette soltanto la magnificenza dei beni futuri. Conviene dunque che colui che pratica la xenitia e la lotta ascetica non pensi più ad alberi ombrosi dai bei rami, o a fonti dalle belle acque, a prati variopinti, a case eleganti, a soggiorni in famiglia, né si ricordi di eventuali pubblici onori ricevuti, ma usi delle cose necessarie rendendo grazie, e consideri la vita come una strada straniera, sprovvista di ogni risorsa per la carne. Poiché così. la nostra mente si troverà alle strette e noi la volgeremo tutta sulle tracce della vita eterna . La vista, il gusto e gli altri sensi dissipano la memoria del cuore. quando ce ne serviamo oltre misura. […] Perciò, difficilmente poi l’intelletto umano può ricordarsi di Dio o dei suoi comandamenti. Noi dunque, volgendo lo sguardo al profondo del nostro cuore con un incessante ricordo di Dio, passiamo come ciechi attraverso questa vita seduttrice.




Vita del Santo Padre John Maximovic, di Shanghai e San Francisco

La nostra anziana monaca, Madre Augusta, ha scritto quanto segue in risposta alla nostra richiesta:

Perdonate il disturbo, per molto tempo non ho preso la decisione di scrivervi del nostro vescovo John di Shanghai. Ma poiché sono nell’età in cui potrei morire presto, non voglio portare nella tomba ciò che il Signore mi ha mostrato per edificare. Il vescovo Giovanni aveva grande fede.

Nel 1939 ho mandato mia figlia in Italia da mio marito. Mio marito l’ha incontrata su un battello a vapore e l’ha portata dai suoi genitori, hanno vissuto insieme 11 giorni, poi gli hanno ordinato di andare in Africa. Quando se n’è andato, i suoi genitori hanno detto a mia figlia di lasciare la loro casa. Non conoscendo la lingua (aveva solo 17 anni), mi scrisse delle lettere disperate. Ho pregato molto, sono passati due mesi, ho sofferto molto, sono andata al tempio di Shanghai ogni giorno, ma la mia fede ha iniziato a vacillare. Poi ho deciso di non andare più in chiesa, ma di andare da persone che conosco, così non mi sono affrettata ad alzarmi prima. Stavo camminando davanti al tempio e ho sentito cantare dentro. Sono entrata. Il vescovo John era ministrante. L’altare è stato aperto. Il vescovo disse la preghiera: “Prendete, questo è il mio corpo”… “e così è il mio sangue…  rinunciando ai peccati”, e poi si mise in ginocchio e fece un profondo inchino fino a terra. In quel momento vidi la coppa con i doni santi scoperti e come dopo le parole del Vescovo, un fuoco scendeva dall’alto nella coppa. La forma del fuoco sembrava come un tulipano, ma di dimensioni più grandi. Mai in vita mia avrei pensato di poter assistere effettivamente alla santificazione dei Doni Santi dall’inestinguibile fuoco del Divino. In questo momento, la mia fede si è riaccesa. Il Signore mi ha mostrato la grande fede del vescovo John, e mi sono vergognata della mia piccola anima. Penso che si possa aggiungere questo alla biografia del vescovo. Per favore, scrivetela meglio di me e metta la firma come meglio vi pare. Perdona e benedici.

Madre Augusta

Monastero in onore dell’icona di Vladimir della Madre di Dio

1967, San Francisco, California, Stati Uniti

* * *

L’arcivescovo John Maximovic nacque il 4 giugno 1896. in Russia meridionale, il villaggio di Adamovka, governatorato di Charkiv. Al suo santo battesimo, fu chiamato Michele, in onore del Santo Arcangelo Michele. Anche nella sua infanzia, si distingueva per la sua profonda devozione religiosa, stando di notte in preghiera, raccogliendo diligentemente icone e libri di chiesa. Soprattutto amava leggere la vita dei santi. Il piccolo Michael amava i santi con tutto il suo cuore, era impregnato del loro spirito e cominciò a vivere come loro. La vita santa e giusta del bambino ha fatto una forte impressione sulla sua governante francese e lei adottò l’Ortodossia.

Negli anni successivi alla rivoluzione bolscevica, Michail si trovava a Belgrado, dove si iscrisse alla facoltà di teologia dell’Università locale. Nel 1926 fu tonsurato dal metropolita Antonio (Hrapovitski) monaco con il nome John, in onore del suo lontano parente Giovanni (Massimovich) Tobolski. A quel tempo, il vescovo Nikolai (Velimirovich), arcivescovo di Ohrid, il serbo Zlatoust, diede tale valutazione al giovane ieromonaco: “Se vuoi vedere un santo vivente, vai a Bitola da padre John.”

Padre John pregava costantemente, digiunava, serviva la Divina Liturgia ogni giorno e prendeva la comunione. Aveva una tempra eccezionale – dal giorno della sua tonsura monastica non dormiva a letto. A volte fu trovato mentre sonnecchiava davanti alle icone. Ispirò la sua fratellanza con alti ideali cristiani perché la gente vedeva quanto fosse straordinario il suo pastore. La sua mansuetudine e umiltà ricordavano ciò che si raccontava nella vita dei grandi eremiti e degli asceti. Padre John era un raro guerriero della preghiera. Si immergeva così tanto nei testi delle preghiere, come se parlasse direttamente al Signore, alla Vergine Santissima, agli angeli e ai santi. Raccontava gli eventi del Vangelo come se stessero accadendo in quel momento, davanti ai suoi occhi.

Nel 1934, lo Ieromonaco John fu fatto Arcivescovo e poi inviato a Shanghai, dove all’epoca c’era una grande diaspora russa. Secondo il metropolita Antonio, l’arcivescovo John era “uno specchio di rigidità ascetica e rigore nel nostro tempo di generale rilassamento spirituale”. Il giovane vescovo amava visitare i malati e lo faceva quotidianamente, confessandosi e facendo la comunione. Se le condizioni del paziente erano gravi, il Vescovo si rivolgeva più spesso a lui e pregava a lungo vicino al suo letto. Numerosi casi di guarigione sono noti a causa delle preghiere di san John Maximovic.

Con l’arrivo dei comunisti in Cina, i russi dovettero nuovamente fuggire, soprattutto attraverso le Filippine. Nel 1949, sull’isola di Tubabao, più di cinquemila russi sfollati dalla Cina vivevano nel campo dell’Organizzazione Internazionale dei Rifugiati. L’isola era sulla via dei tifoni stagionali che attraversavano questo settore dell’Oceano Pacifico. Nei 27 mesi successivi alla costruzione del campo, solo una volta c’è stata la minaccia di un uragano, ma poi lo stesso ha sorprendentemente cambiato direzione e ha superato l’isola. Quando un russo condivideva con la gente del posto la sua paura dei tifoni, lo rassicuravano che non aveva nulla di cui preoccuparsi perché “il tuo santo benedice il tuo accampamento ogni notte nelle quattro direzioni.”

Quando il campo era già stato evacuato, una terribile tempesta si rovesciò sull’isola abbattendo tutte le strutture.

San John si prendeva cura della sua comunità e fece per lei anche l’impossibile. Andò da solo a Washington per organizzare il trasferimento dei suoi poveri con il passaporto in America. Con le sue preghiere è avvenuto un miracolo – anche le leggi americane sono state modificate e la maggior parte del campo sull’isola di Tubabao – oltre 3.000 persone hanno ricevuto asilo politico negli Stati Uniti e il resto in Australia.

Nel 1951 l’arcivescovo John fu nominato arcivescovo regnante dell’Esarcato dell’Europa occidentale della Chiesa ortodossa russa all’estero. In Europa e poi a San Francisco dal 1962, il suo lavoro missionario, basato sulla preghiera incessante e sulla purezza degli insegnamenti ortodossi, ha dato frutti abbondanti. La gloria del Vescovo si è diffusa sia tra le confessioni ortodosse che cristiane e non cristiane. In una chiesa cattolica a Parigi, il prete locale ha cercato di ispirare i giovani con le parole: “State cercando prove e dite che oggi non ci sono miracoli o santi.” Perché darvi prove di teoria quando potete vedere con i vostri occhi San John camminare per le strade di Parigi? “La gente conosceva il vescovo John in tutto il mondo e lo venerava molto. A Parigi, l’addetto della stazione ferroviaria, che attendeva il suo arrivo, ha impedito al treno di partire senza “Arcivescovo russo”. Molti ospedali europei sapevano di questo Vescovo, che poteva venire a pregare per i moribondi tutta la notte. Chiedetegli di pregare accanto al capezzale dei malati gravi – anche se fossi cattolico, protestante, ortodosso o di altre confessioni, perché quando il vescovo John pregava, Dio è stato sempre misericordioso.

I bambini, nonostante la consueta severità del Vescovo, gli erano assolutamente devoti. Ci sono molte storie toccanti di come il Beato John sapesse in modo incomprensibile dove si trovava un bambino malato e in qualsiasi momento – giorno o notte, andava per confortarlo o guarirlo. Il Vescovo ricevette rivelazioni da Dio e salvò molte persone da problemi imminenti e talvolta apparve a coloro a cui era particolarmente necessario, anche se in quel momento era molto lontano e tale trasferimento era fisicamente impossibile.

Il vescovo John ha predetto la sua morte. Il 2 luglio 1966, durante la sua visita arcipastorale a Seattle con la miracolosa icona della Madre di Dio, a 70 anni, davanti al più grande santuario della Chiesa russa d’oltremare, il grande giusto passò al Signore.

Il dolore riempì i cuori di molte persone in tutto il mondo. Dopo la morte del vescovo, un prete ortodosso olandese scrisse con il cuore spezzato: “Non ho più e non avrò mai un padre spirituale che mi chiami a mezzanotte per dirmi: ‘Ora vai a dormire.’ Avrai ciò per cui preghi.”

Il servizio funebre è durato quattro giorni. I vescovi che conducevano il servizio non riuscivano a contenere i loro singhiozzi, lacrime che scendevano sul loro volto, innumerevoli candele accese intorno. Ma il Vescovo non ha lasciato i suoi figli in lutto. Presto iniziarono ad accadere miracoli intorno alla sua tomba ed era già chiaro a tutti che non stavano partecipando a un funerale, ma alla scoperta delle reliquie di un nuovo santo.

Così, 28 anni dopo la sua morte, l’arcivescovo John Maximovic, di Shanghai e San Francisco, è stato canonizzato come santo. I suoi resti immortali riposano nella Chiesa Cattedrale della Santa Vergine – la Gioia di tutti a San Francisco e sono fonte di aiuto e guarigione. Il tempo ha dimostrato che San John è un rapido intercessore e aiutante di tutti coloro che sono nel dolore e lo pregano con fede e speranza.

Santo Padre John, operatore di miracoli meravigliosi, prega Dio per noi!

San John Maximovic disse: “Negli ultimi anni il male e l’eresia si saranno diffuse tanto che i fedeli non troveranno un sacerdote e un pastore che li proteggano dall’errore e che li consigli nella salvezza. allora i fedeli non potranno ricevere istruzioni sicure dagli uomini, ma la loro guida saranno i testi dei Santi Padri. Specialmente in questo momento, ogni credente sarà responsabile di tutto l’equipaggio della Chiesa.”




NUTRITI DAI SANTI PADRI: LEZIONI DALLA VITA E DALLE OPERE DI P. SERAPHIM ROSE

In occasione del trentesimo anniversario del riposo di P. Seraphim Rose, il 2 settembre 2012, centinaia di fedeli pellegrini si sono riuniti nel monastero di St. Herman a Platina, in California, per ricordare P. Seraphim e offrire preghiere sia per lui che da lui. I fedeli riuniti erano un microcosmo del grande mondo ortodosso, con pellegrini che rappresentavano, tra gli altri, le tradizioni ortodosse russa, greca, serba, rumena, bulgara e georgiana. Durante il fine settimana sono stati offerti diversi discorsi commoventi da parte di coloro che hanno conosciuto personalmente P. Seraphim e di coloro la cui vita è stata influenzata dalla testimonianza della sua vita e delle sue opere.

Sua Grazia Sua Eccellenza Arcivescovo Daniil (Nikolov), Vicario della Diocesi Ortodossa Orientale Bulgara di Stati Uniti, Canada e Australia, ha parlato dopo la Liturgia del sabato mattina alla vigilia dell’anniversario del riposo di Padre Seraphim, ricordando quanto sia stato importante e influente per i giovani bulgari che sono tornati alla Chiesa dopo la caduta del comunismo nei primi anni ’90 e quanto apprezzasse le critiche penetranti di Padre Seraphim alla menzogna della nostra epoca moderna. Il giorno seguente sono stati offerti alcuni ricordi personali di P. Seraphim, davanti ai quali P. Damasceno (Christensen), che ora è l’igumeno del monastero di Sant’Ermanno, ha offerto una riflessione sul diario spirituale di Padre Seraphim recentemente scoperto, evidenziando la sua implacabilità nella lotta contro il peccato e la sua enfasi nel nutrirsi degli scritti dei Santi Padri. P. Damasceno fu introdotto dall’allora igumeno P. Hilarion.

Sua Eccellenza V. Daniil (Nikolov), Vicario della Diocesi Ortodossa Orientale Bulgara di USA, Canada e Australia (ndr oggi Patriarca di Bulgaria):

In questi giorni della festa della Dormizione della santa Madre di Dio, veniamo qui in questo luogo santo per venerare e onorare un’altra dormizione, quella dello ieromonaco Seraphim Rose, sempre memorabile. La santa Madre di Dio ha partorito per tutti noi suo Figlio e Dio nostro Salvatore, ed è benedetta da tutte le generazioni. Anche P. Seraphim ha contribuito alla mia vita e a quella di tutti noi qui, e a quella di molte altre persone, e noi veniamo qui per dare il dovuto amore e per ricevere la sua benedizione. Quando stavo muovendo i miei primi passi nella Chiesa a metà degli anni ’90 del secolo scorso, negli anni dopo il comunismo, padre Seraphim era molto popolare tra i nuovi convertiti bulgari che entravano nella Chiesa per la prima volta. È stato molto insolito e sorprendente sentire da questo luogo, dove fiorisce la cultura occidentale, qualcuno che ha una visione sobria e che ci mette in guardia dai pericoli di questa società dei consumi, e che educa i nostri figli in modo tale che diventino piccoli principi e re, nei cui cuori le passioni sono radicate fin dalla prima infanzia. E tutto questo non da un punto di vista psicologico, ma dal punto di vista ortodosso: il mondo moderno rende la vita cristiana più difficile ed è così pericoloso per la salvezza delle nostre anime. Egli era la presenza stessa di Cristo.

Più tardi, quando abbiamo saputo come aveva formato la Confraternita di Sant’Herman dell’Alaska con Padre Herman, e hanno iniziato a pubblicare la rivista La Parola Ortodossa con la missione e la benedizione di San Giovanni Maksimovic, e siamo cresciuti nella fede davanti ai suoi occhi, e abbiamo appreso come erano venuti qui e avevano iniziato questo monastero, portando l’acqua su per la collina, e così via, lui e P. Herman e tutti i fratelli che sono venuti a vivere qui sono diventati esempi per noi. Ora possiamo vedere che è riuscito a dissipare la menzogna degli spiriti di questo mondo e a mostrare che la società occidentale è avvelenata da idee pericolose che fin dall’inizio rendono impossibile la vita cristiana […] Nelle sue opere è riuscito a portare così chiaramente a tutti una difesa della verità della nostra fede e a vincere quello spirito che ha catturato la maggior parte delle persone che vivono qui.

Nessuno lo aveva fatto prima, specialmente per quanto riguarda l’evoluzionismo, portando avanti l’insegnamento dei Padri in modo così dettagliato e rendendolo così chiaro che le persone che lo avrebbero letto non sarebbero state influenzate da questo falso spirito. Dopodiché abbiamo sentito che non era sufficiente dipingere le sue icone e illuminare le nostre menti con le sue opere, ma avevamo anche bisogno di ricevere la sua benedizione, e di chiedergli di aiutare coloro che difendono la fede ortodossa, e di portare l’insegnamento e le parole di P. Seraphim a tutti i nostri amici e a tutte le persone. Sono grato e felice di poter venire qui per la prima volta per partecipare alla celebrazione di questi giorni della Dormizione della Santa Madre di Dio. Da molto tempo desideravo venire qui, alla sua tomba, per vedere, toccare, venerare e ricevere la sua benedizione. Possa Dio con le Sue misericordie, e credo con le preghiere di Padre Seraphim, benedire tutti noi, e rafforzarci nella nostra lotta per andare per la nostra strada in questo mondo temporale come è andato Padre Seraphim, e per ricevere, come credo che abbia ricevuto, la corona della vita.

* * *

P. Hilarion: Siamo grati a Dio che tutti voi siete venuti a mostrare il vostro amore e il vostro rispetto per P. Seraphim. Crediamo che questo sia un evento significativo non solo per il nostro monastero e per tutti noi qui oggi, ma anche per tutta la Chiesa, in onore di un uomo giusto come P. Seraphim, che ha combattuto la buona battaglia e crediamo che gli sia stato concesso il Regno dei Cieli. Stiamo dando gloria a Dio e alla Sua Chiesa perché è Cristo e la Sua Chiesa che ha salvato, redento e santificato Padre Seraphim e tutti i santi e i giusti. Possa Cristo nostro Dio inviare la sua grazia sul nostro raduno di oggi, e aiutarci lungo il cammino che Padre Serafino ha percorso prima. Ora P. Damasceno dirà qualche parola.

P. Damasceno: Nel nome del Padre, del Figlio e del Santo Spirito. Amin.

Eminenza, Vostra Grazia, fratelli del clero, fratelli e sorelle in Cristo, siano rese grazie a Dio che ci ha condotti fino ad oggi. Come ha detto l’igumeno Hilarion, siamo fortunati ad avervi tutti con noi in questo giorno molto importante nella vita del nostro monastero e nella vita della Chiesa. Siamo particolarmente onorati di aver celebrato oggi la Divina Liturgia gerarchica con Sua Eminenza Hilarion e Sua Grazia Daniil. Non è la prima volta che Sua Eminenza ci incontra. Hilarion è venuto qui quando Padre Seraphim era vivo. A quel tempo Hilarion era un laico. Non è nemmeno la prima volta che partecipa a un evento in onore di P. Seraphim. Nella diocesi australiana, dove è arcivescovo da molti anni, si sono tenute conferenze annuali in onore di padre Seraphim per far conoscere e promuovere la sua eredità spirituale e Sua Eminenza ha partecipato a molte di queste. Siamo profondamente grati che quest’anno Lei possa essere qui con noi, Eminenza, e condividere i suoi ricordi di P. Seraphim.

Siamo anche molto grati che Sua Grazia il Vescovo Daniil sia con noi. È il vicario del nostro buon amico Met. Joseph, che è qui da diversi anniversari dal riposo di P. Seraphim. In occasione del venticinquesimo anniversario ha tenuto un discorso molto commovente in cui ha parlato di ciò che P. Seraphim ha significato personalmente per lui, e ha detto che P. Seraphim ha cambiato la sua vita attraverso il suo esempio di una vita interamente donata a Cristo, e ha parlato di come questo esempio sia stato reso ancora più forte dal fatto che P. Seraphim non è nato in una famiglia ortodossa o cresciuto in un paese ortodosso. Ora, Vostra Grazia, Vescovo Daniil mentre partecipate e portate avanti le opere pastorali del Met. Joseph qui in America, sia tra i bulgari che tra le nuove generazioni di convertiti, siamo molto contenti che tu abbia stabilito questa connessione spirituale con il nostro monastero in questo giorno così importante.

Per quelli di voi che non erano qui ieri mattina, il Vescovo Daniil ha tenuto un sermone molto commovente sul significato di P. Seraphim per i nostri tempi e il suo messaggio, dove in realtà, come direbbe lo stesso P. Seraphim, “ha colto il punto”, portando a casa il messaggio di P. Seraphim come uno che ha visto la menzogna dei nostri tempi, identificandola per noi in modo che potessimo liberarci da quella menzogna e vedere i sottili inganni da cui siamo tutti influenzati, in modo che possiamo aderire più pienamente e in modo più puro alla Verità, che è Cristo e la sua Chiesa.

Abbiamo anche molti altri vecchi amici e benefattori che ci visitano. Il nostro caro amico Archimandrita Luka è venuto dal Montenegro, in Serbia, dove era abate del monastero di Sretenje che è la sede dell’antico metropolitinato di quella regione, ed è ora l’igumeno di due monasteri in Montenegro. È stato a lungo un grande veneratore di P. Seraphim e nel monastero di Setenje ha dedicato una kellia in onore di P. Seraphim.

Abbiamo anche l’igumeno Sava della Repubblica di Georgia. È l’igumeno di un nuovo monastero negli Stati Uniti, a Wilkes-Barre, Pennsylvania, dedicato a San Davit il Costruttore

Abbiamo scoperto, circa tre anni fa, alcuni scritti personali di P. Seraphim, tra cui una specie di diario confessionale del 1974-1976 in cui P. Serafino annotava i suoi pensieri e le sue inclinazioni peccaminose e le sue lotte spirituali contro di essi. Da questo diario si evince chiaramente che lo tenne per aiutarlo a tagliare tutto ciò che nella sua vita gli impediva di avvicinarsi a Dio. È anche chiaro che non intendeva pubblicarlo, quindi non condividerò qui il suo contenuto specifico, ma ci sono alcune citazioni nell’ultima edizione della sua biografia, Padre Seraphim Rose: la sua vita e le sue opere.

Oggi condividerò due delle cose principali che ho imparato da ciò che ha scritto, che credo possano essere di beneficio per tutti noi qui mentre ci sforziamo di guardare più a fondo nella vita di quest’uomo giusto dei nostri tempi, Padre Seraphim, e di applicare le lezioni della sua vita alle nostre vite di cristiani ortodossi. La cosa più ovvia che si deduce è che P. Seraphim era implacabile nella sua lotta spirituale contro i peccati e le passioni. Vigilava rigorosamente su se stesso, custodendo scrupolosamente la sua purezza davanti a Dio ed essendo responsabile davanti a Lui di ogni cosa. Considerava anche una breve indulgenza in un pensiero peccaminoso come totalmente inaccettabile e indegna di un cristiano. Era impegnato in una battaglia cosciente per sradicare il male in se stesso e avvicinarsi sempre di più a Dio nell’amore. Allo stesso tempo, anche se progrediva costantemente sulla via della santità in Cristo, non pensava mai molto a se stesso, ma solo accusava se stesso.

La seconda cosa che si nota nel suo diario è che, scrivendo su come si dovrebbe intraprendere la lotta di cui sopra, ha spesso sottolineato la lettura degli scritti dei Santi Padre insieme alla Preghiera di Gesù e ad altre forme di preghiera. Scrisse di “un’occupazione costante con i Santi Padri per evitare l’ozio della mente” e di “fare la guerra riempiendo la mente con i Santi Padri”. Questo può sembrare un consiglio piuttosto banale per se stesso, ma si noti che non si limitò a dire a se stesso: “Leggi di più spiritualmente”, ma piuttosto di riempire la sua mente specificamente con gli scritti dei Santi Padri. I libri di autori moderni che non sono Santi Padri hanno il loro posto e possono essere di beneficio, ma Padre Seraphim, per la sua vita spirituale, per la sua sopravvivenza di cristiano ortodosso, è andato prima di tutto alle fonti primarie, ai Padri stessi. Molte volte Padre Seraphim ha parlato e scritto della necessità per i cristiani ortodossi di andare alla fonte dell’insegnamento cristiano, la Sacra Scrittura e i Santi Padri, al fine di trovare la guida sicura al vero cristianesimo e alla salvezza. Ha detto che dobbiamo venire ai Padri non come studiosi e nemmeno come semplici studenti, ma proprio come discepoli, come figli e figlie dei Padri.

Nel piccolo diario vediamo P. Seraphim che applica a se stesso questo consiglio e suggerimento. Padre Seraphim era un asceta, un podvizhnik. Le sue conquiste fisiche ascetiche potrebbero non essere fonte di grande meraviglia se paragonate a quelle dei tempi precedenti, ma considerando che era un convertito all’Ortodossia del XX secolo, potrebbero davvero essere considerate notevoli. Ma P. Seraphim non era solo un asceta nel corpo – ogni ascetismo se è veramente cristiano è di tutto l’uomo – corpo e anima, mente e cuore. Padre Seraphim, come scrisse in una lettera ancor prima di venire qui, crocifisse la sua mente, e diede tutto se stesso a Cristo, portando le sue croci in segno di gratitudine e di gioia per poter essere rifatto a somiglianza di Cristo, e man mano che progrediva su quel cammino trovò gli scritti dei Santi Padri non solo importanti, ma necessari. Nel processo di riempirsi con i Santi Padri ha sviluppato un rapporto personale molto reale e profondo con loro. Da loro ricevette parole di vita. Da loro ha ricevuto il pensiero della Chiesa, che è il pensiero di Cristo. Li ha pregati come Padri viventi ed è stato personalmente istruito, nutrito, addestrato e guidato da loro. Per lui i santi erano certamente esempi da seguire, ma molto di più, erano parte integrante, essenziale, viva della sua vita quotidiana.

Dipendeva da loro, e di tutti loro non c’era nessuno più vicino a lui, nessuno da cui dipendeva di più, di un Santo Padre che aveva conosciuto sia prima che dopo il suo riposo: cioè San Giovanni di Shanghai e San Francisco. Ha scritto in un punto che “si aspetta che Vladika John ci dica cosa fare”. E come sappiamo da alcuni incontri miracolosi tra P. Seraphim e Vladika Giovanni dopo il riposo di quest’ultimo, San Giovanni ha soddisfatto quell’aspettativa.

Mentre riflettiamo sul motivo per cui Padre Seraphim è diventato così ampiamente amato e riverito dopo il suo riposo, perché i suoi scritti hanno avuto un impatto così profondamente positivo sulla Chiesa ortodossa in tutto il mondo, anche se era un semplice americano moderno e un californiano, penso che abbiamo una chiave per la risposta a questa domanda proprio nel suo diario spirituale sopra menzionato. Gli scritti di P. Seraphim sono nati dalla sua vita. La sua autentica presentazione dell’insegnamento patristico all’uomo moderno è nata dalla sua lotta ascetica contro le passioni. Era intransigente con se stesso nella sua vita spirituale ed era intransigente allo stesso tempo nella sua adesione all’insegnamento patristico ortodosso, senza mai annacquarlo per renderlo appetibile alla mentalità moderna. Padre Seraphim non ha mai pubblicato nulla sulla sua personale lotta spirituale, ma le sue parole stampate che coprono una moltitudine di argomenti, che toccano la vita delle persone ogni giorno, respirano quella lotta. Anime che cercano la verità pura di Cristo nel seno della nostra Chiesa, nel seno di Padre Seraphim, uno che ha combattuto la buona battaglia e che è finito vittorioso per grazia di Cristo.

Ci si può allora chiedere: nel rapporto di P. Seraphim con i Padri, nel suo riempirsi la mente di loro e diventare loro discepoli, alla fine è diventato uno con loro e quindi uno di loro? Ognuno può rispondere a questa domanda da sé e un giorno, se sarà volontà di Dio, deciderà la Chiesa nel suo insieme. Ma per quanto mi riguarda, come uno che ha conosciuto personalmente Padre Seraphim, per un tempo che mi è sembrato troppo breve ma per il quale sono profondamente grato a Dio, e come uno che ha studiato la sua vita e i suoi scritti per molti anni, sia pubblicati che personali, direi che la risposta è “sì”. Come ha detto al suo funerale il padre confessore di P. Seraphim di Seattle, uno dei padri confessori di P. Seraphim, ora possiamo chiedere l’aiuto di P. Seraphim dal Cielo, così come P. Seraphim ha cercato l’aiuto di tanti Santi Padri prima di lui e, soprattutto, di Vladika Giovanni.

Nell’Epistola di oggi, che abbiamo letto per provvidenza di Dio sulla tomba di P. Seraphim, abbiamo ascoltato parole che mi hanno veramente colpito, come provenienti da P. Seraphim a noi, sono le parole di San Paolo. 1 Corinzi 16: Vegliate, rimanete saldi nella fede, comportatevi da uomini, siate forti. Questo è qualcosa che sappiamo che P. Seraphim ha fatto e qualcosa che ha sempre insegnato: stare in piedi e guardare i segni dei tempi. È più tardi di quanto pensi. Rimanete saldi nella fede e non permettete a nulla di allontanarvi dalla vera fede che Cristo ci ha dato nella Sua Chiesa e siate forti in Cristo. La frase successiva è: Fate tutte le vostre cose con carità e Padre Serafino ha fatto questo. Ha detto la verità, ha aiutato le persone a rimanere salde nella fede, e ha fatto tutto in carità e man mano che cresceva nella carità e nell’amore nella sua vita di cristiano ortodosso, e soprattutto come pastore, quell’amore emerge ancora più forte. San Paolo conclude: Se qualcuno non ama il Signore Gesù Cristo, sia anatema. Maranatha. Padre Seraphim è stato molto audace in questo, come Sua Grazia il Vescovo Daniil ha menzionato ieri, scoprendo la menzogna dei nostri tempi moderni, mostrandoci che la credenza che assorbiamo con i nostri tempi, questa visione del mondo e questo modo di pensare, non è né di Cristo né proviene da coloro che amano Cristo. Viene dal maligno e dall’uomo caduto. Padre Seraphim ci ha chiesto di essere consapevoli di queste cose in modo da poter fare una rottura e avere veramente la mente di Cristo. Anatema significa tagliare, e nella vita e nell’insegnamento di P. Seraphim ci ha insegnato come fare quel taglio.

La grazia di nostro Signore Gesù Cristo sia con voi. Il mio amore sia con tutti voi in Cristo Gesù. Amen. Credo che tutti noi siamo venuti per mostrare il nostro amore per Padre Seraphim, venendo alla sua tomba, pregando per lui, onorando la sua memoria, e allo stesso tempo lui sta dimostrando il suo amore per noi. Ha dimostrato il suo amore per noi durante tutta la storia della nostra fratellanza, proprio nei momenti difficili. Grazie alle preghiere di Sant’Herman, di Vladika Giovanni, di Padre Seraphim, della Santissima Theotokos e di tutti i santi siamo stati liberati da ogni tipo di tentazione e prova e Dio ci ha condotti fino ad oggi. Sentiamo l’amore di P. Seraphim molto profondamente per noi in questo monastero e crediamo che P. Seraphim abbia questo amore per tutti noi. Durante la sua vita era così preoccupato di portare il suo prossimo alla vera Chiesa e dopo il suo riposo attraverso le sue preghiere molti sono venuti alla Chiesa, e oggi sta esprimendo e mostrando quell’amore, e la grazia che abbiamo sperimentato da Dio in questo giorno arriva in parte attraverso le preghiere di Padre Seraphim per noi. Egli ci sta dicendo: “Il mio amore sia con tutti voi”. Questo amore non è semplicemente quello di P. Seraphim, ma il suo amore e la grazia che dona è l’amore di Cristo che viene attraverso P. Seraphim, come da tutti i santi. Oggi, mentre celebriamo la memoria di P. Seraphim, possiamo veramente apprezzare i doni che Cristo ci ha dato attraverso P. Seraphim e, allo stesso tempo, apprezzare veramente l’amore di Cristo per noi e l’amore del Suo umile servo P. Seraphim per noi. Amin.

09/03/2016

Fonte: Nurtured by the Holy Fathers: Lessons from the life and works of Fr. Seraphim Rose / OrthoChristian.Com




Padre Justin Pârvu: La preghiera del cuore sarà la nostra unica salvezza


– E come dobbiamo pregare? In ospedale, a Cluj, mi avete detto che vi dispiaceva di non aver esortato la gente a pregare di più, di non aver insegnato loro a pregare.

– È molto importante sapere come pregare. Molte volte anche noi monaci, stiamo nei monasteri e non preghiamo, ci sembra semplicemente di pregare. Non basta andare in chiesa, alle funzioni e stare lì [con il corpo] come se avessi fatto il tuo dovere, per obbligo. Dobbiamo insistere sul lavoro interiore. Invano diciamo tante preghiere con la bocca o con la mente, se non approfondiamo, se non viviamo ciò che preghiamo.

Adesso anche i laici devono approfondire la preghiera del cuore, perché sarà la nostra unica salvezza – la preghiera del cuore.

Perché nel cuore c’è la radice di tutte le passioni ed è lì che dobbiamo lavorare.

Finora andava bene essere più superficiali, ma per i tempi a venire non sarà sufficiente.

Se non avremo una preghiera che punge il cuore [che parta dal più profondo del cuore], non resisteremo a tutti gli attacchi psicologici, perché hanno metodi invisibili per rieducare la mente.

 Oggi mi sembra che l’indifferenza sia il peccato peggiore.

Non sentiamo più nulla quando preghiamo, non abbiamo lacrime di pentimento.

Verranno tempi in cui solo coloro che saranno sensibili alla grazia di Dio saranno in grado di distinguere il bene dal male.

Con la mente umana sarà impossibile distinguere tra il bene e il male.

Ci saranno grandi inganni e solamente la grazia di Dio potrà liberarci da essi.

Perciò pregate, pregate per non cadere nella tentazione dell’inganno!

Perché solo attraverso la preghiera possiamo ricevere la grazia di Dio. Se non preghiamo e perseveriamo nella nostra pigrizia e negligenza senza pentimento, allora è possibile perdere l’istinto del ravvedimento. Che Dio ci impedisca di perdere l’istinto del ravvedimento!

– Ma non c’è il rischio che in queste ristrettezze e sullo sfondo di una grande povertà gli uomini si facciano prendere dal panico e si sollevino gli uni contro gli altri e così non esista più la buona volontà cristiana?

– Ebbene, proprio per questo avremo bisogno di imparare la preghiera interiore, per poterci controllare in queste situazioni e non perdere la grazia di Dio. Questo è ciò che cercano: l’instaurazione dell’anarchia, affinché l’odio e la divisione tra le persone prendano il sopravvento, anche tra i cristiani.

[…]

– In conclusione, vorremmo che ci raccontaste come avete superato il peso della malattia e allo stesso tempo una parola di incoraggiamento per i cristiani che attraversano gravi malattie e sofferenze fisiche.

– Desidero ringraziare ancora tutti coloro che hanno pregato per la mia indegnità e impotenza e che la Madre di Dio ricompensi la preghiera e lo sforzo di tutti.

Ma sappi che le malattie e le difficoltà sono sempre la conseguenza del peccato, da cima a fondo.

Ognuno è punito da Dio secondo la responsabilità che ha, piccola o grande che sia.

Ero nel letto all’ospedale a Cluj e pensavo: quale sarà la causa della mia sofferenza, visto che il Signore non vuole rialzarmi affatto?

E la causa ero solo io, i miei peccati. E quando ho realizzato che soffrivo di questa malattia a causa dei miei peccati, allora Dio mi ha sollevato.

 Il mio orgoglio è la causa della malattia.

 Ora Dio mi ha dato anche questa zoppia alla gamba destra – e questo ha una ragione: perché prima camminavo con superbia.

Pensavo che tutto il mondo fosse mio, e io fossi il centro del mondo.

Ma ecco, non sono altro che erba secca. Diamo allora gloria a Dio nella malattia, perché attraverso la malattia impariamo l’umiltà, la gentilezza, la pazienza ed è così che riceviamo la salvezza.

Tutte queste cose [che ci capitano] sono per la nostra umiltà e salvezza. Senza umiltà non possiamo salvarci.

(dalla rivista Atitudini, n. 11 )

FONTE: Mănăstirea Petru Vodă – https://manastirea.petru-voda.ro/2017/02/23/parintele-justin-parvu-rugaciunea-din-inima-va-fi-singura-noastra-izbavire/




ll Patriarca di Gerusalemme durante la Divina Liturgia della Domenica della Samaritana:

ll Patriarca di Gerusalemme ha pronunciato il seguente sermone prima della Santa Comunione durante la Divina Liturgia della Domenica della Samaritana:

«Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chiunque beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; ma l’acqua che io gli darò sarà in lui una fonte d’acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,13-14)

Carissimi Fratelli in Cristo,

stimati cristiani e pellegrini,

La Grazia dello Spirito Santo ci ha riuniti tutti oggi in questo luogo santo del Pozzo del Patriarca Giacobbe, per celebrare la festa della Samaritana, del Santo martire Foteini.

Nel successivo dialogo con la Samaritana, Gesù le dice: «L’acqua che io gli darò sarà in lui una fonte d’acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,14). Interpretando queste parole del Signore, san Cirillo d’Alessandria dice: dobbiamo sapere che il Salvatore qui chiama “acqua” la Grazia del Santo Spirito. Se qualcuno diventa partecipe di questa Grazia, allora avrà la provvista della conoscenza divina proveniente da Lui stesso, in modo che non abbia più bisogno dell’ammonizione degli altri. Saranno invece sufficientemente capaci di esortare/incoraggiare con facilità coloro che hanno sete della parola divina e celeste. Questi furono i Santi, i profeti e gli Apostoli durante la loro vita terrena, ma anche gli eredi del loro servizio/ministero, di cui è scritto: “Perciò con gioia attingerete acqua alle fonti della salvezza” (Isaia 12, 3).

Interpretando nuovamente le parole del profeta Isaia, san Cirillo dice: «Egli chiama l’acqua parola vivificante di Dio, mentre chiama le sorgenti i Santi Apostoli, Evangelisti e Profeti. Salvezza Egli chiama Cristo. Infatti, per la potenza illuminante del Santo Spirito i Santi Profeti, Apostoli ed Evangelisti hanno scritto le Sacre Scritture. Le Sacre Scritture sono quelle che alimentano la fede salvifica in Cristo mediante la loro conoscenza, come dice Paolo al suo discepolo Timoteo: «E che fin da bambino hai conosciuto le sante Scritture, le quali possono darti la sapienza per la salvezza mediante la fede che è in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura è data per ispirazione di Dio ed è utile per insegnare, per rimproverare, per correggere, per istruire nella giustizia: affinché l’uomo di Dio possa essere perfetto, completamente fornito per tutte le buone opere». (2 Tim 3, 15-17)

In altre parole, l’acqua che Cristo offrì alla Samaritana era il dono del Santo Spirito, che conduce l’uomo dal cuore puro alla sua divinità, cioè alla vita eterna. «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio», dice il Signore (Matteo 5,8).

È interessante notare che Gesù nel dialogo con la Samaritana, da un lato, insegna che «Dio è Spirito e coloro che lo adorano in Spirito e Verità lo adorano» (Gv 4,24), dall’altro quando la Samaritana dice: «So che viene il cosiddetto Cristo; quando verrà, ci annuncerà ogni cosa (Gv 4,25), perché è il Messia», le rivela «Io che ti parlo sono lui» (Gv 4,26).

Commentando le parole di Gesù sopra riportate, san Teofilatto dice: Molti rendono culto spirituale a Dio, cioè con la mente, ma sono fuori dalla verità redentrice. Lo dice il Santo Padre della Chiesa perché la purezza della vita e la correttezza delle dottrine costituiscono il culto vero e salvifico di Dio.

E San Cirillo di Alessandria dice: Cristo non si rivela semplicemente e solo alle anime non istruite e completamente sprovvedute (come la Samaritana), ma in quelle anime risplende e si fa vedere, che si sono preparate a imparare qualcosa e in loro è nata la fede e “verso la conoscenza più perfetta si affrettano”, cioè si affrettano a imparare i misteri più perfetti. Questo è esattamente ciò per cui si distingue la Samaritana, nella ricerca della conoscenza della fede più perfetta, che si distingue in introduttiva e completa.

San Cirillo d’Alessandria commenta: «Cristo interrompe il dialogo con la Samaritana, quando i suoi discepoli si avvicinarono e si meravigliarono che parlasse con quella donna», (Gv 4,27) [Così Cristo tace, dice la Scrittura. Avendo piantato nella Samaritana la calda scintilla della fede, Cristo permette che, nel corso del tempo, questa scintilla si trasformi in una grande fiamma. Ecco come dovrete comprendere ciò che Egli disse: «Io sono venuto ad accendere un fuoco sulla terra; e che mi resta da desiderare, se già è acceso? (Luca 12,49)

Questa scintilla divina e calda, impiantata nel cuore innocente della Samaritana, fece di lei una grande martire e apostola del Vangelo di Cristo, per questo la nostra Santa Chiesa la onora particolarmente nella propria patria, la Samaria, come l’innografa : “Sei venuto a Samaria, mio Salvatore, Tu, Signore onnipotente, e parlando con una donna, l’hai supplicata di avere dell’acqua, Tu che per gli Ebrei facevi scaturire acqua fresca da una roccia di pietra; e l’hai portata alla fede in Te, e ora gode della vita nei cieli per sempre”. (Mattutino, Exaposteilarion).

Va notato che questa “scintilla calda della parola di vita” unse i discepoli di Cristo come “cristiani”, come riporta l’evangelista Luca nel libro degli Atti degli Apostoli: “Allora Barnaba partì per Tarso, per cercare Saulo: E quando lo ebbe trovato, lo condusse ad Antiochia. E avvenne che per un anno intero si riunirono con la Chiesa e insegnarono a molte persone. E i discepoli furono chiamati per la prima volta cristiani ad Antiochia” (At 11, 25-26).

Con questo nome, i primi chiamati cristiani esprimevano l’aspettativa di ereditare il Regno del Signore nei cieli; di diventare “eredi di Dio” e “coeredi di Cristo” (Rm 8,17). Questo nome fu adottato e onorato dalla Samaritana con il suo sangue di martire, che nacque come co-erede di Cristo, “colui che disse alla gente: ‘Guardate, venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto’” (cfr. Gv 4,28-29).

Anche noi, miei cari fratelli, abbiamo ricevuto questa inestimabile eredità, cioè il nome “cristiano”, al momento del nostro battesimo, essendo stati incorporati al corpo della Chiesa. Tuttavia, questo nome implica conformità al nostro modo di vivere simile a Cristo. «Che cosa? non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi, che avete da Dio, e non siete vostri? Poiché siete stati comprati a caro prezzo» (1 Cor 6,19-20), predica san Paolo. Infatti, non apparteniamo più a noi stessi, perché siamo stati comprati con il santo Sangue del nostro Cristo Salvatore Crocifisso e Risorto. Ora siamo membra del Corpo mistico di Cristo, cioè della Sua Chiesa.

Noi, miei amati, che oggi onoriamo la memoria della santa Samaritana, imploriamo con lei il Signore misericordioso, dicendo: “Concedimi l’acqua della fede, e riceverò le acque della fonte del battesimo, con straordinaria gioia e redenzione. O datore di vita, Signore, gloria a te” (Vespri, stichera, 9).

Cristo è risorto!




Le diaconesse nella Chiesa primitiva erano simili alle donne mirofore

Fonte: Orthochristian.com, 23 maggio 2024

Cristo è risorto dai morti, con la morte ha vinto la morte e a chi giace nei sepolcri ha elargito la vita.

Oggi [domenica scorsa], seconda domenica dopo Pasqua, ricordiamo le Mirofore, le quali, come ci dicono le Sacre Scritture, si dedicarono al servizio del Signore Gesù Cristo. Lo seguirono, lo servirono e servirono i suoi discepoli.

Dopo che Dio creò Adamo e gli concesse l’autorità, creò Eva affinché fosse un aiuto per Adamo. Pertanto, Dio ha assegnato un servizio all’uomo e un altro servizio alla donna, in modo che si completassero a vicenda. La Chiesa ha seguito quest’ordine che Dio ha determinato per la sua creazione. Tuttavia, ai nostri giorni, stiamo assistendo ad un’inversione di questo ordine e a una distorsione del sistema che Dio ha stabilito fin dall’inizio della creazione.

Oggi assistiamo a una spinta verso il sacerdozio femminile negli ambienti ecclesiali, sia da parte del clero che dei laici. Recentemente abbiamo sentito parlare dell’ordinazione di una diaconessa nella Chiesa ortodossa dello Zimbabwe, che è sotto il Patriarcato di Alessandria. Questa diaconessa partecipa al servizio liturgico, legge le petizioni e amministra ai fedeli il corpo e il sangue del nostro Signore Gesù Cristo. Va notato che le diaconesse nella Chiesa primitiva erano simili alle donne mirofore, e il loro servizio era limitato ad assistere i vescovi nel battesimo delle donne e ungerle con il santo crisma, in modo che il vescovo non toccasse il corpo della donna. A quel tempo, molti convertiti al cristianesimo erano adulti. Tuttavia, man mano che il cristianesimo si diffuse più ampiamente all’interno dell’impero, la necessità di questo servizio diminuì, poiché il battesimo dei bambini divenne più comune di quello degli adulti. A quel punto nella Chiesa cessò l’ordinazione delle diaconesse.

Ora all’interno della Chiesa si promuovono strane pratiche che non hanno mai fatto parte della sua storia o tradizione. Tali ordinazioni sono innovazioni che equivalgono a un’eresia. Sentiamo voci che chiedono l’uguaglianza tra uomini e donne, come se la Chiesa avesse fatto un torto alle donne assegnando loro un ruolo specifico! Assistiamo a un’inversione di ruoli, a un’inversione di servizio. Dio, come ho detto all’inizio, ha assegnato a ciascuno il proprio ruolo, ma ora ognuno cerca di assumere il ruolo dell’altro. Assistiamo anche a una significativa promozione dell’omosessualità, del transgenderismo e dell’ordinazione delle donne da parte di chierici e laici ortodossi.

Vescovi e sacerdoti sono nominati da Dio servitori della sua parola e amministratori della Tradizione della Chiesa. Qualsiasi vescovo, sacerdote o laico che tradisce questa fiducia e distorce la fede della Chiesa e la Sacra Tradizione è un servitore di satana, non di Cristo. Non esiste una via di mezzo nel cristianesimo. Cristo disse: “O siete con me o con il diavolo”. Chiunque distorce la fede e la Tradizione e dissacra i santi sacramenti, come ha fatto il vescovo ortodosso dell’arcidiocesi americana sotto il Patriarcato ecumenico che ha battezzato i bambini adottati da una coppia dello stesso sesso, è un servitore di satana e un profanatore dei misteri della Chiesa.

Questo è ciò che sta accadendo ai nostri giorni e ci si aspetta che ne succedano ancora. Leggiamo nella Bibbia di un periodo di apostasia. Questa apostasia è un allontanamento dalla vera fede in Gesù Cristo, il vero Dio, e la promozione di un Cristo distorto. Quei vescovi e sacerdoti che promuovono un Cristo distorto sono servitori dei governanti di quest’epoca, servitori di un nuovo ordine mondiale che cerca di cambiare l’intero ordine della creazione, e servitori dello spirito dell’epoca che vuole modernizzare la Chiesa, la Chiesa celeste di Cristo, e trasformarla in un’istituzione mondana non diversa dalle altre istituzioni, organizzazioni e partiti mondani.

La Chiesa deve rimanere fedele a tutto ciò che ha ricevuto da Cristo, proprio come le Mirofore che non si discostarono dall’obbedienza di Cristo e non innovarono, ma servirono il Signore e i suoi Apostoli con tutte le loro forze. Gli Apostoli di Cristo predicarono e amministrarono i sacramenti, divenendo fondamento per la diffusione della Chiesa di Cristo.

Ognuno di noi deve confrontarsi con questo spirito mondano e satanico che cerca di distruggere tutta la Tradizione della Chiesa e i fondamenti della fede. Oggi assistiamo ad un pericoloso allontanamento dalla fede. Ancora più pericoloso è il silenzio. Qualsiasi vescovo ortodosso che tace su quanto sta accadendo è complice di questo atto. La missione primaria di un vescovo è preservare la fede, e se rimane in silenzio, è, volenti o nolenti, complice di questo tradimento. Coloro che vengono nominati custodi della fede diventano profanatori della fede e dei misteri della Chiesa, celebrando tutto ciò che contraddice la sacra Tradizione della Chiesa e diventando mercenari dello spirito del tempo.

Tutti coloro che contribuiscono a ciò non conoscono né vivono secondo la Tradizione. Vogliono una Chiesa che accetti tutte le eresie e le trasformazioni di questa epoca. Diventano così figli di uno spirito satanico e servitori di satana, che cerca di indebolire la Chiesa di Cristo per imporre il suo governo e la sua legge in questo mondo.

La Chiesa è rafforzata dalla sua fede e dalla conservazione della santa Tradizione. È così che rimane fedele a Cristo e si confronta con i governanti di quest’epoca. Ma se permetterà alle eresie di entrare e distruggere la fede, le porte dell’inferno lo supereranno. Questo è ciò che desiderano Satana e i suoi agenti, da parte di vescovi, sacerdoti e laici che hanno ceduto allo spirito del tempo.

Non lasciatevi influenzare da tutte queste cose derivanti dalla logica umana, che richiede solo un amore falso. Il vero amore è in Cristo ed è il frutto della vera fede in lui. Chi non crede in Gesù Cristo può amare solo se stesso. Chi ama Cristo sarà fedele a lui, ai suoi comandamenti e alla Tradizione della Chiesa. È così che amiamo Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, sottomettendo la nostra volontà alla volontà di Cristo e diventando servitori fedeli.




Teodoro Studita: un’epistola dogmatica sulle sante icone

Lettera 380, A Naucrazio

San Teodoro Studita, Icone, Iconoclastia, Istituto Patristico Pappas

Teodoro Studita ( 759 – + 11 novembre 826), un monaco e teologo, igumeno del monastero di Stoudios a Costantinopoli. Nato da una famiglia benestante e socialmente inserita, il padre era un funzionario del tesoro imperiale, la madre era di famiglia senatoria e una sua cugina divenne la seconda moglie di Costantino VI (sed. 780-797). Seguendo il suo esempio, la maggior parte dei membri della sua famiglia divennero monaci e monache. Sotto la sua direzione, il monastero di Stoudios divenne un importante centro di cambiamento sociale e culturale. L’obiettivo di Teodoro era quello di liberare la vita monastica dall’influenza e dal controllo del governo. Zelante oppositore dell’iconoclastia, trascorse più di quindici anni in esilio, in gran parte per la sua difesa delle sante icone, e gli fu conferito il titolo di Confessore della Fede. Fu anche uno scrittore prolifico. Tra le sue opere ci sono tre Confutazioni degli Iconoclasti; una Piccola e Grande Catechesi; più di una dozzina di omelie su feste e santi vari; un’orazione funebre per sua madre; e una celebre Omelia pasquale che incorpora l’Omelia pasquale di San Giovanni Crisostomo. Scrisse anche numerosi canoni e regolamenti riguardanti la vita monastica, e un gran numero di poesie, inni e canoni, compreso il primo canone del Theotokarion, oltre a più di 500 lettere, molte delle quali sono importanti trattati teologici. Le sue ultime parole furono: “Mantieni incrollabile la tua fede e pura la tua vita”.

La lettera tradotta di seguito, Lettera 380: A Naukratios , è datata all’818, quando Teodoro era esiliato in Anatolia. [1] Il monaco Naucrazio fu discepolo di Teodoro e futuro successore; all’epoca era l’amministratore (οἰκονόμος) del Monastero di Studios. Insieme alla lettera 57 (a suo zio Platone), la lettera 380 è per molti versi un epitome della teologia dell’icona di Teodoro. [2]

Mi rallegro di te, fratello mio Naucrazio, perché sei veramente il figlio della mia gioia, il che significa che hai sofferto per Cristo, perché cosa potrebbe esserci di più gioioso e glorioso di questo? A imitazione di Cristo sei stato flagellato; sei stato trascinato da una cella all’altra; e fosti consegnato nelle mani dell’empio Giovanni, [3] col quale anch’io dovetti contendere. E sebbene ti abbia attaccato con veemenza, tu non hai indebolito o annacquato le tue convinzioni, ma al contrario hai resistito a quell’uomo stolto e gli hai risposto con un severo rimprovero, che mi ha fatto rallegrare molto e mi ha riempito di letizia. Possa il Signore continuare ad aiutarti in qualunque cosa ti accada nei giorni a venire! Mi hai informato che, durante il tuo interrogatorio, e nei loro sforzi per indebolire le icone sacre, hanno portato avanti argomenti di Asterio, [4] Epifanio, [5] e Teodoto. [6] Ritengo quindi necessario confutare questi argomenti, anche se ciò estenderebbe la lunghezza della mia lettera.

Secondo Asterio, “Non si deve rappresentare un’immagine di Cristo, poiché l’unica umiliazione della sua incarnazione, che egli accettò di subire volontariamente per il nostro bene, era sufficiente; dovresti invece portare spiritualmente nella tua anima la Parola incorporea”. [7] Ci si chiede, però, perché egli si oppone a fare un’immagine di Cristo, dicendo che «è stata sufficiente la prima umiliazione della sua incarnazione», come se si trattasse di un fatto inglorioso e unico accaduto nel passato, e Cristo voleva evitare una seconda rappresentazione (cioè in un’icona) della sua umiliazione. Ma come potrebbe essere ingloriosa l’incarnazione del Verbo è stata volontaria, dal momento che tutto ciò che è volontario è glorioso e non ha nulla della mancanza di gloria che si trova in ciò che è involontario? Se così non è, e l’icona di Cristo è, come dice lui, una “seconda” umiliazione, come potrebbe essere “seconda” se l’immagine ci mostra proprio la somiglianza della prima umiliazione?

E come potrebbe evitare di ripudiare il ricordo della passione di Cristo, che il racconto scritto offre al nostro udito, se denigra il ricordo visivo in quanto replica dell’evento? Poiché vedere e udire sono capacità uguali, ciascuna operante in congiunzione con l’altra, come ha dichiarato la bocca divina, Basilio il Grande. Consideriamo, ad esempio, che una seconda immagine dell’unica croce è un’altra croce, il che è vero anche per il Vangelo. E poiché entrambi vengono riprodotti e copiati continuamente, ci sono innumerevoli croci e innumerevoli Vangeli, e non semplicemente uno! Allo stesso tempo, esiste solo una croce e non un’altra, anche se riprodotta migliaia di volte. E il Vangelo è uno solo, e non un altro, anche se ne esistono innumerevoli copie. E Cristo è uno, non due o più, anche se, allo stesso modo, la sua forma è riprodotta in innumerevoli immagini. Quando Cristo è raffigurato in un’icona, è come se fosse descritto nella Scrittura, e il nostro udito non è mai sazio del suo suono; né i nostri occhi potranno mai riempirsi di vederlo, perché stiamo ascoltando e vedendo Dio che si è fatto uomo; l’Eterno apparso sulla terra come bambino; Colui che sostiene l’universo bevendo il latte di sua madre; Colui che non può essere contenuto essendo contenuto tra le sue braccia; Colui che è al di là della divinità e tuttavia si è fatto uomo; la Profondità della Saggezza immersa nell’acqua del battesimo, facendo le cose che sono proprie sia a Dio che all’uomo, benché sia ​​al di là di ogni essenza ed essere; il Signore della gloria inchiodato alla croce; la vita del mondo sepolta e risorta; Colui che l’universo non può contenere, assunto in cielo come uomo.

Il confuso Asterio smetta dunque di vietare e di argomentare contro la rappresentazione salvifica di Cristo in queste due forme (cioè immagini e parole), cioè smetta di pensare che la gloria del Signore sia disonorevole, [8] e che la sua umiliazione volontaria era invece involontaria. E cessi inoltre di porsi in opposizione a Basilio Magno, la cui voce – che è la voce di Dio – comanda quanto segue: “Sia raffigurato in un’icona Cristo, che presiede alle nostre lotte”. [9] E si escluda dalla compagnia dei santi anche ciò che Asterio afferma, insieme a ciò che cerca di negare, poiché sono ugualmente illogici e assurdi: “Dovresti portare spiritualmente nella tua anima il Verbo incorporeo”. Che follia è questa? Quale bocca di santo ha mai detto che il Verbo era incorporeo dopo essersi fatto carne? Sebbene l’apostolo Paolo non abbia continuato a chiamare Cristo “carne”, non ha detto che la Parola è ora incorporea. Secondo Gregorio il Teologo, le parole: «Anche se una volta consideravamo Cristo secondo la carne, non lo facciamo più» (2 Cor 5,16), significano che non consideriamo più Cristo soggetto a passioni carnali come le nostre, anche se prive di peccato. E altrove Gregorio dice: «non più secondo la “carne”, ma nemmeno “incorporeo”». [10] Pertanto, chiunque affermi che dopo l’Incarnazione il Verbo è “senza corpo”, contraddice non solo questi due Padri, ma tutti i santi e teofori Padri e maestri della Chiesa.

È stato così dimostrato che un’affermazione illogica segue naturalmente da un’altra. Dopo aver rovesciato le loro bugie, quindi, procediamo a presentare la verità. Come potresti riuscire a farlo? Raffigurando Cristo in un’immagine ovunque sia necessario, e farlo facendolo dimorare nel tuo cuore, affinché quando lo leggi in un libro o lo vedi in un’immagine, sarà conosciuto attraverso questi due sensi e illuminerà la tua mente in duplice modo. In questo modo, Colui che hai conosciuto e sentito attraverso il tuo senso dell’udito, arriverai anche a vedere e conoscere con i tuoi occhi. Infatti, quando viene udito e visto in questo modo, Dio non può che essere glorificato, e l’uomo pio non può che essere mosso a compunzione – e cosa potrebbe esserci di più salvifico di questo, e cosa può avvicinare l’uomo a Dio? Noi dunque, che non siamo nulla e senza valore, comprendiamo la Verità in questo modo, anche se alcuni dei nostri santi Padri prima di noi hanno tentato di spiegare la questione in un altro modo.

Dopo aver trattato le opinioni di Asterio, quali sono le opinioni di Epifanio? [11] «Vostra Reverenza capirà», dice, «se è giusto che noi rappresentiamo Dio con i colori». [12] Ma guarda questo spacciatore di menzogne! Non ha detto “Cristo” – al quale ci riferiamo quando parliamo della possibilità di circoscrizione (in un’immagine), e che affermiamo allo stesso tempo fuori circoscrizione, poiché qui si tratta di indicare ciascuno delle sue due nature – ma dice che noi facciamo “raffigurazioni di Dio “, spogliando il Signore della sua natura umana (alla maniera dei manichei) e proponendo un Dio nudo – e lo dice per convincere l’ascoltatore con l’assurdità della proposizione. E infatti è veramente insensato e irrazionale parlare di un “Dio visibile”, poiché la Scrittura dice che «Dio nessuno lo ha mai visto». E in quanto è Dio e visibile, il Figlio unigenito «lo ha fatto conoscere» (Gv 1,18). Ma è ovvio che un Dio nudo di umanità non è mai stato visto da nessuno, ma poiché l’Unigenito non è nudo di umanità dopo essersi fatto carne, ne consegue che è visibile e può essere visto. E così, il Santo Apostolo proclama: «Dio apparve nella carne, fu confermato dallo Spirito, fu visto dagli angeli, fu annunziato fra le nazioni, fu creduto in tutto il mondo e fu assunto nella gloria» (1 Tm 3,16). Ad ogni dichiarazione in comune va applicata l’espressione “nella carne”, perché la prima formula è una sorta di fondamento non solo di quanto segue, ma di tutte le proprietà umane assunte nell’Incarnazione. Quindi, come Dio «apparve» nella carne, così avvenne di tutte le altre cose appena menzionate (perché senza essere «nella carne» non poteva apparire né essere assunto), così anche nella carne si nutriva di latte, cresceva in età, camminava su due piedi, sudava agonizzante e parlava con la lingua, insieme ad ogni altra attività di questo genere.

Se dunque stanno così le cose e se una delle proprietà del corpo è la circoscrizione, è evidente che Dio è circoscritto nella carne, o mediante l’uso dei colori, o mediante qualche altro mezzo. Questo perché, per necessità, entrambe queste due cose devono essere vere. Se egli «è apparso nella carne», allora necessariamente deve anche essere circoscritto, perché ciascuno è tratto concomitante e corrispondente dell’altro. Se dunque la seconda non è vera, allora non lo è nemmeno la prima. Ma se è vera la prima, lo è anche la seconda. Pertanto, coerentemente sia con la Sacra Scrittura che con il pensiero logico, sarebbe insensato non ammettere che Dio possa essere raffigurato nella carne, per il semplice motivo che Egli è stato visto nella carne. Altrove questo impetuoso disgraziato dice: “Ho sentito che alcuni ordinano ad altri di rappresentare in immagini anche l’inafferrabile Figlio di Dio, cosa che è terrificante anche solo a sentirla”. [13] Ma quale persona, dotata anche di una piccola parte di intelligenza, non riderebbe di un’affermazione così ridicola? Non ha mai letto dove dice: «Arrestarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna», il sommo sacerdote? (Gv 18,12) O dove dice: «Presero il corpo di Gesù e lo avvolsero con bende di lino e con aromi»? (Gv 19,40). Non professa che Gesù è Dio? Se è Dio, come mai l’inafferrabile è stato arrestato e legato, se non era nella carne, proprio come ci ha insegnato il saggio Paolo? Lasciamo dunque che quest’uomo illuso trattenga la sua bocca dall’infierire con follia contro Cristo.

Certo, se dovesse venire a sua attenzione che abbiamo un Dio che viene mangiato (cioè nell’Eucaristia), immagino che non solo tremerebbe di terrore, ma si straccerebbe le vesti, non potendo sopportare ciò che ha. sentito. Ma cosa dice Cristo? «Chi mangia me vivrà per me» (Gv 6,57). Naturalmente non c’è altro modo per mangiarlo che nella carne. Questo perché Cristo, che è allo stesso tempo perfetto Dio e perfetto uomo, può essere nominato e identificato da ciascuna delle due nature di cui è composto, e può essere chiamato sia Dio che uomo, letteralmente e in senso stretto di ciascuna parola, senza che la particolarità dell’una o dell’altra venga sminuita o confusa nella sua singolare ed unica ipostasi. E testimone delle mie parole è Dio Verbo stesso, che in un luogo dice: «Perché cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità?» (Gv 8,40) (anche se chi diceva questo era il Dio immortale), e in un altro: «Perché mi accusi di bestemmia perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”?» (Gv 10,36) (anche se colui che disse questo era anche il Figlio dell’uomo). Ne consegue che quando attribuiamo i nomi propri ad una sola delle nature, non togliamo assolutamente nulla a Cristo.

Poiché ora possiamo mettere da parte anche le parole di quest’uomo, vediamo qual è l’argomentazione di Teodoto? [14] Ecco le sue stesse parole:

Per quanto riguarda le forme esteriori dei santi, non abbiamo ricevuto la tradizione di raffigurarli in icone fatte di colori materiali, ma piuttosto ci è stato insegnato a ricevere le loro virtù come immagini viventi attraverso ciò che ci è stato detto su di loro nei libri e a lasciarci ispirare da uno zelo come il loro. Ma coloro che hanno collocato tali immagini ci dicano quale beneficio ne traggono, o a quale tipo di contemplazione spirituale li eleva il ricordo di tali forme. Ma è abbastanza ovvio che questi espedienti sono inutili e sono l’invenzione di un inganno diabolico. [15]

A dire il vero, il punto di partenza per la riflessione (vale a dire, negli scritti e nelle vite dei santi) non è di per sé degno di condanna, anche se è inteso a prepararci alle cose assurde e insensate che seguono, dal momento che molti di questi maestri sacri considerano le descrizioni verbali più necessarie delle rappresentazioni visive, senza ovviamente condannare queste ultime. Eppure alcuni insegnano il contrario. Quindi i due hanno in realtà lo stesso valore, come dice Basilio Magno: “Infatti le cose che la parola scritta descrive attraverso l’udito, le stesse cose vengono espresse silenziosamente dall’immagine attraverso l’imitazione”. [16] E non tutti sono artisti, come non tutti sono scrittori; ma a ciascuno Dio ha dato una misura di grazia.

Dopo aver ascoltato ciò che dice San Basilio, lo stolto ripeta: “Coloro che hanno collocato tali immagini, ci dicano quale beneficio ne traggono, o a quale tipo di contemplazione spirituale li eleva il ricordo di tali immagini”. Ora quest’uomo avventato e insolente può rispondere da solo: quale beneficio spirituale e quale visione sacra non possiamo ottenere attraverso le sante icone? Perché, se è natura di ogni immagine essere imitazione dell’archetipo – come dice Gregorio il Teologo [17] – e se, inoltre, l’archetipo si manifesta nella sua immagine – secondo il saggio Dionisio [18] – ne deriva che è del tutto evidente che dall’imitazione, con questo intendo, dall’icona, scaturisce un grande beneficio spirituale, e attraverso l’imitazione ci eleviamo ancora di più alla contemplazione spirituale del prototipo. A testimoniare la verità delle mie parole è lo stesso divino Basilio, il quale dice: “L’onore reso all’immagine ascende [19] all’archetipo”. [20] Se essa “ascende”, allora è appena il caso di dire che discende anche all’immagine dall’archetipo, e quindi nemmeno una persona di intelligenza limitata potrebbe dire che onorare l’icona è senza alcun beneficio, o che la l’imitazione non porta l’impronta né la forma di ciò che imita, sicché ciascuna è presente nell’altra, secondo il divino Dionisio. [21] Cosa potrebbe esserci di più benefico o di più efficace nel sollevarci attraverso l’anagogia di questo? Questo perché l’icona è l’impressione di una visione che si è vista con i propri occhi, non dissimile dalla luce simile della luna – se posso usare un esempio familiare tratto dalla nostra esperienza – in relazione alla luce del sole. Perché se questo non è ciò che l’icona è, allora di che beneficio era per gli antichi la Tenda della Testimonianza, che era un’imitazione delle realtà celesti? [22] Infatti in esso erano contenuti, tra le altre cose, i cherubini gloriosi, che sovrastavano l’altare della propiziazione, cioè immagini realizzate con sembianze antropomorfe. Tutte queste cose avevano una funzione anagogica ed erano allegorie del culto nello spirito (cfr Gv 4,23). Ma secondo la vuota teoria di quest’uomo, anche la forma della croce non ci è assolutamente di alcun beneficio; non ci giova a nulla la forma della lancia, o la forma della spugna, perché sono tutte imitazioni (anche se non sono antropomorfe); e non giovano neppure le altre immagini sensibili, che – per parlare alla maniera di Dionisio – ci sono state tramandate e che anagogicamente ci elevano, per quanto ciò ci è possibile, alla contemplazione delle realtà intelligibili.

Dopo viene l’immaginazione (phantasia), che è una delle cinque potenze dell’anima. [23] L’immaginazione stessa può essere considerata una sorta di immagine, poiché entrambe sono somiglianze. [24] Ne consegue dunque che l’immagine non è priva di utilità, poiché è come la potenza dell’immaginazione. E se la prima è senza beneficio, allora la seconda deve essere di beneficio ancora minore e non avrebbe senso averla come parte della nostra natura. E se fosse senza beneficio, sarebbe parimenti senza beneficio tutto ciò che gli corrisponde, intendo la facoltà del sentimento, dell’opinione, del pensiero logico e dell’intelletto. Così, un’indagine razionale della natura mostra, per induzione, che la persona che denigra l’immagine, cioè l’immaginazione, è essa stessa priva di intelletto. Ma ammiro il potere dell’immaginazione per un motivo diverso. Alcuni raccontano che una donna, la quale, al momento del concepimento, immaginò un etiope, successivamente diede alla luce un etiope. [25] Così avvenne al patriarca Giacobbe, quando tolse strisce di corteccia dai rami, affinché le pecore che nascevano dal gregge prendessero le loro macchie e strisce bianche per l’impressione visiva che ne derivava. (Gen 30,38), e – oh, che meraviglia! – ciò che era immaginato nella mente produceva risultati reali e visibili. [26]

Ma torniamo al punto, cioè alla sua affermazione: “Coloro che propongono tali forme ci dicano quale beneficio ne traggono, o a quale contemplazione spirituale sono innalzati dal loro ricordo”. E chi, si potrebbe chiedere a quest’uomo noioso e faticoso, dopo aver osservato con attenzione e chiarezza le raffigurazioni di varie forme, è in grado di allontanarsene senza che il suo intelletto sia pieno da ogni parte della loro somiglianza e impronta? Se le immagini sono ammirevoli, allora le impressioni saranno ottime, ma se sono vergognose, lo saranno anche le riflessioni, e così accade spesso che, anche quando non usciamo di casa, siamo mossi a compunzione da una o subiamo una caduta a causa dell’altra. E non è forse vero che le immagini viste di notte nei sogni possono farci sentire felici o tristi? E se questo è vero nei sogni, quanto più lo è nel caso delle immagini – belle o brutte – viste da svegli? E questo bravissimo ometto non ha mai letto che per mezzo di “copie” e di “ombre” gli uomini dell’Antico Testamento adoravano le realtà celesti? E cosa erano quelle cose se non immagini? E non era attraverso queste immagini che essi venivano condotti alla contemplazione delle realtà celesti? E, per parlare alla maniera di Davide, «l’uomo che segue i suoi malvagi disegni». (Sal 37,7)? E non sei tu stesso, o iconoclasta, un’immagine di Dio? Non sei nato secondo la somiglianza paterna? Non puoi essere raffigurato su una tavola di legno? Oppure solo tu non puoi essere raffigurato, come se non fossi un essere umano ma una sorta di mostro, ed è per questo che pensi la stessa cosa dei santi?

Ma affinché il mio discorso possa trovare ulteriore conferma, e non semplicemente dogmatizzarsi sulla base delle nostre stesse argomentazioni, permettetemi ora di portare avanti quei fari luminosi dell’oikoumene , che risponderanno essi stessi alle vostre domande.

Gregorio di Nissa: “Molte volte ho visto dipinta un’icona della sofferenza (cioè quella di Isacco in Gen 22,9) e non mi sono allontanato dalla sua visione senza versare lacrime, perché l’arte mi ha chiaramente riportato alla vista l’evento storico .” [27]

Giovanni Crisostomo: “Amo anche l’immagine di cera, perché è piena di pietà. Perché ho visto un angelo in un’icona che sconfiggeva schiere di barbari. Ho visto orde di barbari calpestate e ho visto Davide dichiarare con verità: «Signore, tu cancellerai la loro immagine dalla città» (Sal 72,20)». [28]

Cirillo d’Alessandria: “In un dipinto su un muro, ho visto una giovane fanciulla martire, e mi sono commosso fino alle lacrime.” [29]

Gregorio il Teologo: “Quando una cortigiana vide Polemone [30] affacciarsi da un’immagine, subito si allontanò, sconvolta dalla vista (era infatti un’immagine veneranda) e rimase svergognata dal ritratto come se fosse vivo .” [31]

Basilio Magno: “Alzatevi, o eminenti pittori di imprese di combattimento, e glorificate con la vostra abilità l’immagine del generale a cui non ho reso giustizia. Illumina l’incoronato con i colori della tua saggezza, perché l’ho raffigurato troppo debolmente con le mie parole. Possa io andarmene sconfitto dalla tua descrizione delle imprese del martire. Possa io gioire di essere stato sconfitto oggi da questa vittoria del tuo talento superiore. Possa io vedere la lotta della sua mano con il fuoco da te descritta in modo più accurato; potrei vedere il lottatore raffigurato nella tua immagine in modo più luminoso. Piangano ancora una volta i demoni, colpiti dalla prodezza del martire che tu hai reso visibile. Possa la mano, bruciata ma vittoriosa, essere nuovamente mostrata davanti a loro”. [32]

Vedi come quello aggiunge l’immagine dipinta al testo scritto, e come l’esperienza visiva del primo è così grande da far gemere i demoni? Vedi come l’altro chiama un’icona “venerabile”, così che avesse la capacità di portare una cortigiana alla castità? O come mai l’altro non se ne sia andato senza lacrime agli occhi dopo aver visto l’immagine dipinta di un martire che subisce il martirio? O ancora, come un altro dice che l’immagine di cera è amata, poiché in essa ha visto l’archetipo? Oppure colui che li segue, come non ha potuto trattenersi dal piangere alla vista dell’immagine, come se avesse visto l’evento reale? Vedi tutti i vantaggi? Considera per un momento tutti i vantaggi. E poiché ti chiedi quale sia il vantaggio, non ascoltare ciò che dice questo o quell’individuo di poca o nessuna importanza, ma coloro che hanno parlato nello spirito di Dio e la cui voce tuonava attraverso la terra, e vieni alla giusta conclusione, brillante dogmatico! Tu cioè che hai detto: “È evidente che questi artifici sono inutili e che si tratta di un’invenzione di un inganno diabolico”. A queste parole è tempo di gridare con forza: «Stupitene, cieli» (Ger 2,12), che le sacre dottrine dei Padri teologi siano state calunniate come “inutili artifici” e “ingannevoli invenzioni del diavolo”. Ma non è così, o più grande degli ingannatori, anzi tutta la tua appariscente eloquenza si è rivolta contro di te.

Poiché siamo ormai giunti alla fine del nostro argomento, c’è una cosa, fratello, che desidero che tu sappia: qualunque passaggio o testo di prova portato dagli iconoclasti è chiaramente tratto dagli scritti degli eretici (perché la verità non cresce insieme alle falsità, come la zizzania col grano). E se citano passaggi dei Santi Padri, invariabilmente li distorcono e li interpretano male secondo il loro modo di pensare ottenebrato; mentre quei passaggi che identificano l’icona di Cristo con gli idoli dei pagani sono del tutto bizzarri ed estranei alla fede. Non bisogna mai accettare acriticamente ciò che dicono, né entrare in dialogo con gli eretici, cosa contraria al consiglio apostolico. Per quanto riguarda ciò che ci aspetta, possa tu trovare la salvezza, mio caro figlio, e prega affinché anch’io possa essere salvato.


NOTE:

[1] Sull’esilio di Teodoro, vedi lettera 48.

[2] Per il testo della lettera si veda George Fatouros, Theodori Studitae Epistulae , vol. 1 (Corpus Fontium Historiae Byzantinae, Serie Berolinensis 31) (Berlino: De Gruyter, 1991), 511-19.

[3] Giovanni il Grammatico fu l’ultimo patriarca iconoclasta di Costantinopoli (21 gennaio 837 – 4 marzo 843); la sua cultura teologica e il suo potere politico lo resero un avversario formidabile e pericoloso. Sebbene questa lettera sia indirizzata a Naucrazio, è principalmente una risposta alle argomentazioni iconoclaste del patriarca (e quindi Teodoro ammette che la sua “lettera” va oltre la forma propria dell’epistolografia).

[4] Cioè Asterio di Amasea (350-410), vescovo ariano della Cappadocia e autore di sedici omelie sopravvissute (Fozio conosceva altre sue opere). Qui uno dei manoscritti aggiunge a margine il seguente commento: “Va notato che si tratta dello stesso Asterios che fu anatemizzato da san Sofronio di Gerusalemme nelle sue lettere sinodali, così come da un altro Padre, che lo trovò della stessa mente di Apollinario ed Eutiche”.

[5] Cioè Epifanio di Salamina (310-403). Gli iconoclasti invocavano l’autorità di Epifanio, sebbene i passaggi da loro citati fossero interpolazioni o di dubbia autenticità; vedere Kenneth Parry, Depicting the Word: Byzantine Iconophile Thought of the Eighth and Ninth Centuries (Leiden: Brill, 1996), 148-51.

[6] Cioè Teodoto di Ancira, sul quale vedi sotto.

[7] Asterios di Amasea, Omelia sul ricco e Lazzaro 4 (a cura di C. Datema, Asterius di Amasea, Omelie I-XIV [Leiden: Brill, 1970], 10-13); citato nella Sesta Sessione del Settimo Consiglio; trans. Richard Price, Gli Atti del Secondo Concilio di Nicea (787) (Testi tradotti per gli storici 68) (Liverpool: Liverpool University Press, 2018), 505.

[8] Nel Vangelo di Giovanni la “gloria” di Cristo è direttamente associata alla sua crocifissione.

[9] Basilio di Cesarea, Omelia sul martire Barlaam 3 (PG 31:489B).

[10] Gregorio il Teologo, Orazione 30,14: «Egli, anche adesso, come uomo, intercede per la mia salvezza, perché continua a esistere con il corpo che ha assunto, anche se non è più conosciuto secondo la carne, per la quale io significo le passioni carnali” (SC 250:256); e id., Orazione 40,45: «Verrà di nuovo a giudicare i vivi e i morti, non più secondo la carne, ma nemmeno senza il corpo, per ragioni a lui note, ma in un corpo più divino, affinché possa essere visto da coloro che lo trafissero (Gv 19,37; Zac 12,10)» (SC 358,306).

[11] Qui alcuni manoscritti contengono a margine il seguente scolione: “Notare che gli insegnamenti di Valentino e Isidoro si trovano sotto il nome di Epifanio nel capitolo 42 del suo Contro le eresie [PG 41:544 ss.], e che questi due, insieme a Carpocrate, furono anatematizzati da San Sofronio”.

[12] Epifanio, frammento 21 (a cura di K. Holl, Gesammelte Aufsätze zur Kirchengeschichte, II [Tübingen: JCB Mohr (P. Siebeck), 1928; ripr. Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1964]), 360.

[13] Epifanio, frammento. 22 (Holl 361).

[14] Alcuni manoscritti riportano a margine il seguente scolion: “Va notato che questo è uno dei quattro uomini chiamati Teodoto anatematizzati da san Sofronio, anche se solo tre furono menzionati per nome, l’altro implicitamente, e che era condannato anche da un altro Padre, che, come ho letto, lo nominò Teodoto di Ancyra.

[15] Teodoto di Ancira, passaggio citato nella Sesta Sessione del Settimo Concilio (trad. Price 509), e non noto da nessun’altra fonte. Anche Niceforo discute l’autenticità di questo frammento nella sua Refutatio (93), scritta ca. 820-30.

[16] Basilio di Cesarea, Omelia sui Quaranta Martiri 2 (PG 31:509A).

[17] Gregorio il teologo, orazione 30.20: αὕτη γὰρ εἰκόνος φύσις, μίμημα εἶναι τοῦ ἀρχετύπου (SC 268: 23-25).

[18] Dionigi l’Areopagita, Sulla gerarchia ecclesiastica IV.3: “Come nel caso delle immagini sensibili, se l’artista guarda senza distrazione la forma archetipica… egli, se si può dire così, duplicherà (εἰ θέμις εἰπεἶν, διπλασιάσει) la stessa persona (αὐτὸν ἐκεῖνον) raffigurata, [e mostrerà la realtà nella somiglianza, e l’archetipo nell’immagine,] e ciascuno essendo presente in ciascuno, salvo la differenza nella sostanza ( ἑκάτερον ἐν ἑκατέρῳ παρὰ τὸ τῆς οὐσίας διάφορον). Così, ai copisti che amano il bello nella loro mente, la contemplazione della bellezza nascosta conferirà l’apparenza infallibile e quasi divina (θειοειδέστατον ἴνδαλμα)” (a cura di Günter Heil e Adolf Martin Ritter, Corpus Dionysiacum II [Berlino: De Gruyter, 1992] , 96, 5-11). Il passaggio tra parentesi sembra essere un’interpolazione successiva, sebbene esistente in molti dei primi manoscritti del corpus Dionysiacum. Sulla frase ἑκάτερον ἐν ἑκατέρῳ, vedi Aristotele, Top. 150a28; Damascio, Parm. 211, 21; e Teodoro, lettere 57, 20; 476, 24; 524, 38, 48; 528, 48-50; 532, 110.

[19] Teodoro ha ἀναβαίνει mentre Basilio ha διαβαίνει, sebbene la differenza sia trascurabile.

[20] Basilio di Cesarea, Sullo Spirito Santo 18,45 (PG 32,149C); citato nella Quarta e Sesta Sessione del Settimo Concilio (Prezzo 312-13; e 518).

[21] Dionisio, EH 4.3 (come sopra).

[22] Vedi Esodo 25:20.

[23] La difesa della phantasia da parte di Teodoro, che è spesso citata come elemento standard nella teologia iconofila, è in realtà un’opinione minoritaria (anche nel contesto della stessa teologia di Teodoro); Niceforo, ad esempio, non ha praticamente nulla di positivo da dire sull’immaginazione, a lungo denigrata dai filosofi greci. Teodoro probabilmente invocò la categoria perché vide che vi si alludeva implicitamente nella citazione di Teodoto (che parla anche di epinoia). Si noti che la discussione di Teodoro riguarda principalmente l’eccitazione delle passioni attraverso l’immaginazione. Sull’uso da parte della Scrittura di un linguaggio appassionato per descrivere l’attività di Dio e di vari individui, vedere Massimo il Confessore, Risposte a Thalassios, Qu. 1.4 (Constas 2018, 96).

[24] ἰνδάλματα, che significa anche forma o apparenza, ed è spesso usato per descrivere immagini mentali.

[25] L’enfasi qui è sulla trasmissione del colore e non della nazionalità. Eliodoro di Emesa, Aethiopica IX.14, 7 (un romanzo scritto nel III o forse IV secolo d.C.) , racconta la storia di una donna il cui bambino portava le sembianze di un dipinto che lei fissava durante il rapporto; la storia è centrale nella narrazione poiché rivela le vere origini dell’eroina.

[26] Cfr. Aglae Pizzone, “Teodoro e l’uomo nero: immaginare (attraverso) l’icona a Bisanzio”, in Knotenpunkt Byzanz , ed. A Speer e P. Steinkruger (Miscellanea Mediaevalia 36) (Berlino: De Gruyter, 2012), 47-70.

[27] Gregorio di Nissa, Della divinità del Figlio e dello Spirito Santo (PG 46:572C); citato nella Quarta e Sesta Sessione del Settimo Concilio (Prezzo 265-66; e 518).

[28] Giovanni Crisostomo (= Severiano di Gabala), Omelia sul Legislatore 6 (PG 56:407); citato nella Sesta Sessione del Settimo Consiglio (Prezzo 502).

[29] Questa citazione non si trova tra le opere esistenti di san Cirillo, ma è citata da altri autori iconofili, ad esempio, Nikephoros di Costantinopoli, Adversus Epiphanidem 17 (ed. JB Pitra, Spicilegium Solesmense , vol. 4 [Paris: Didot , 1858], 351).

[30] Da non confondere con l’omonimo padre del deserto, Polemone era il capo dell’Accademia platonica nel IV secolo a.C. Era noto per la sua dissolutezza ma si pentì e abbracciò una vita di castità.

[31] Gregorio il Teologo, Carmina 1.2.10 (PG 37:489A); citato da Giovanni Damasceno, Immagini III.109 (a cura di Boniface Kotter, Die Schriften Johannes von Damaskos III [Berlino: De Gruyter, 1975], 189-90); la Quarta Sessione del Settimo Consiglio (Prezzo 268-69); e Nikephoros, Antirrheticus III.17 (PG 100:401AB). Il testo è disponibile in edizione critica a cura di Carmelo Crimi, Gregorio Nazianzeno, Sulla Virtù: Carme giambico [I,2,10] (Pisa: Edizioni ETS, 1995), 170-72.

[32] Basilio di Cesarea, Omelia sul martire Barlaam 3 (PG 31:489AB). Il sermone di San Basilio continua: “Sia raffigurato sulla tavola anche il giudice della gara, cioè Cristo, al quale è la gloria nei secoli dei secoli”.