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Cirillo di Alessandria: SECONDA LETTERA A NESTORIO

SECONDA LETTERA A NESTORIO

Cirillo saluta nel Signore il reverendissimo e piissimo collega nel sacerdozio Nestorio.

1. Alcuni vanno cianciando, come apprendo, contro di me presso la tua Religiosità e fanno questo piuttosto frequentemente, cogliendo soprattutto l’occasione dei sinodi ufficiali, e, ritenendo di dilettare il tuo orecchio, pronunciano parole sconsiderate, sebbene non abbiano subìto alcun torto, ma solo siano stati rimproverati, e ben a ragione, l’uno perché aveva recato offesa ai ciechi e ai poveri, un altro perché aveva puntato la spada contro sua madre, un altro ancora perché aveva rubato, insieme con un’ancella, denaro altrui e da sempre gode di una tale reputazione che non la si augurerebbe nemmeno ai peggiori nemici. Non voglio però dilungarmi su costoro, per non estendere la misura della mia piccolezza al di là del Signore e Maestro né al di là dei Padri. Non è infatti possibile evitare la stoltezza degli sciocchi, qualunque sia il genere di vita scelto.

2. Ma costoro, che hanno la bocca piena di maledizioni e amarezza, renderanno conto al giudice di tutti. Ritornerò invece di nuovo a quello di cui specialmente debbo occuparmi e anche ora riporterò alla tua memoria, come a un fratello in Cristo, la necessità di esporre l’insegnamento sul Verbo e il pensiero sulla fede, facendolo con grande cautela e tenendo presente che scandalizzare anche uno solo dei piccoli di coloro che credono in Cristo è motivo di grave sdegno. Se poi la moltitudine di quanti si lagnano è molto grande, non porremo necessariamente ogni industria per allontanare prudentemente gli scandali e sgomberare la via a una retta intelligenza della fede a coloro che cercano il vero? Realizzeremo ciò molto bene se, accostandoci alle parole dei santi Padri, ci adopereremo a realizzarle; e saggiando noi stessi, se siamo nella fede secondo quanto è stato scritto, accuratamente conformiamo i pensieri che sono in noi con le loro giuste e perfette dottrine.

3. Il santo e grande sinodo dunque afferma che colui il quale è stato generato per natura da Dio Padre, è il Figlio Unigenito, che è Dio vero da Dio vero, Luce da Luce, attraverso il quale il Padre ha fatto ogni cosa; che egli è disceso, si è incarnato, si è fatto uomo, ha patito, è risorto il terzo giorno ed è asceso al cielo. È necessario che anche noi seguiamo queste parole e questi dogmi, considerando cosa significa che il Verbo da Dio si sia incarnato e fatto uomo. Non diciamo infatti che la natura del Verbo, trasformandosi, è divenuta carne, e neppure che fu trasformata in un uomo completo, composto di anima e corpo, ma piuttosto che il Verbo, avendo unito a sé in modo indicibile e inintelligibile, secondo l’ipostasi, una carne animata da anima razionale, è divenuto uomo ed è stato costituito Figlio dell’uomo; e non per semplice volontà e per beneplacito, e neppure per l’assunzione di un semplice prosopon. Sebbene le nature che sono state unite in una vera unità siano diverse, da due è risultato un solo Cristo e Figlio. Non però come se fosse scomparsa, a causa dell’unione, la differenza delle nature, ma piuttosto si è realizzato per noi l’unico Signore, Cristo e Figlio grazie all’indicibile e arcano concorso all’unità della divinità e dell’umanità.

4. Così allora affermiamo che, pur avendo per certo l’esistenza prima dei secoli e pur essendo stato generato dal Padre, egli è stato anche generato secondo la carne da una donna; non come se avesse preso l’inizio della sua natura divina nella santa Vergine, né che avesse necessariamente bisogno di una seconda nascita da lei, dopo quella che ebbe dal Padre (è infatti sciocco e contemporaneamente insensato affermare che colui il quale esiste prima dei secoli ed è coeterno con il Padre abbia bisogno di un secondo inizio per esistere); ma, poiché per noi e per la nostra salvezza, avendo unito a sé secondo l’ipostasi l’umanità, procedette da una donna, per questo affermiamo che è nato secondo la carne. Non affermiamo però che prima nacque dalla santa Vergine un uomo comune e poi il Verbo discese in lui, ma che, essendo già uno, tollerò una nascita secondo la carne dal ventre di lei, rendendo sua la nascita della propria carne.

5. Nella stessa maniera affermiamo che ha patito ed è risorto, non come se il Verbo di Dio abbia patito sulla propria natura le percosse, la perforazione dei chiodi o le altre ferite (la divinità infatti è impassibile perché è anche incorporea), ma, poiché sopportò queste cose quello che era divenuto il suo proprio corpo, per questo motivo affermiamo che egli ha patito per noi: l’impassibile era in un corpo passibile. Allo stesso modo pensiamo anche circa la sua morte. Il Verbo di Dio è per natura immortale e incorruttibile, egli è Vita e datore di vita. Poiché però il suo proprio corpo, per grazia di Dio, come dice Paolo (Eb 11,35), gustò la morte per tutti, affermiamo che egli ha sofferto la morte per noi, non perché quel che atteneva alla sua propria natura avesse sperimentato la morte (dire o pensare tali cose è una pazzia!), ma, come ho detto sopra, perché la sua carne gustò la morte. La stessa cosa anche per la risurrezione della sua carne. Affermiamo la sua risurrezione, non nel senso che sia caduto nella corruzione – non sia mai! – ma perché il suo corpo è risuscitato.

6. Così confesseremo un solo Cristo e Signore, e non che adoriamo un uomo insieme al Verbo, affinché non si introduca un’immagine di taglio con il dire «insieme». Adoriamo invece l’uno e il medesimo, perché il suo corpo non è altro dal Verbo: con questo egli siede accanto allo stesso Padre, non come se sedessero due Figli, bensì uno solo, secondo l’unione con la propria carne. Se rifiutiamo l’unione secondo l’ipostasi come impossibile o indecorosa, cadiamo

nell’affermazione dei due figli. Sarebbe allora assolutamente necessario dividere e affermare che uno è propriamente un uomo particolarmente onorato con l’appellativo di Figlio e un altro è propriamente il Verbo da Dio, il quale possiede per natura il nome e il titolo di Figlio. Non si deve perciò dividere in due figli l’unico Signore Gesù Cristo.

7. Non sarà in alcun modo utile al retto intendimento della fede, affinché si mantenga tale, che alcuni parlino di unione dei prosopa. La Scrittura non ha detto che il Verbo ha unito a sé un prosopon di uomo, ma che divenne carne (Lc 1,2). Che il Verbo sia divenuto carne altro non è se non che ha partecipato del sangue e della carne in modo simile a noi (Gv 3,34), ha preso un corpo proprio uguale al nostro e, come uomo, procedette da una donna, non abbandonando l’essere Dio e l’esser nato da Dio Padre, ma rimanendo quel che era, anche nell’assunzione della carne. Questo è quel che proclama dappertutto la dottrina della retta fede; così troveremo che hanno pensato i santi Padri. Così essi hanno avuto il coraggio di affermare che la santa Vergine è «Madre di Dio», non perché la natura del Verbo – cioè della divinità – abbia preso l’inizio dell’essere dalla santa Vergine, ma perché è nato da lei il santo corpo animato da anima razionale. Dopo che secondo l’ipostasi si è unito a questo, affermiamo che il Verbo è stato generato secondo la carne. Queste cose anche adesso io ti scrivo, mosso dall’amore in Cristo, esortandoti come fratello e scongiurandoti innanzi a Cristo e agli angeli eletti che queste cose tu pensi e insegni, come noi, affinché si preservi la pace delle chiese e permanga integro il vincolo della concordia e dell’amore tra i sacerdoti di Dio. Saluta la fraternità che sta con te. Ti saluta in Cristo quella che sta con me.




San Cirillo, Patriarca di Alessandria (370–444): LETTERA AI MONACI

LETTERA AI MONACI

San Cirillo, Patriarca di Alessandria (370–444)

Cirillo porge il suo saluto nel Signore ai Padri dei monaci, presbiteri e diaconi, e a quanti, dilettissimi e carissimi, insieme con voi conducono vita solitaria e sono saldi nella fede di Dio.

1. Alcuni di voi sono venuti ad Alessandria, come è consuetudine; e io chiesi loro – ed ero veramente desideroso di saperlo – se, procedendo sulle tracce della retta via dei Padri, anche voi foste solleciti a distinguervi nella retta e immacolata fede, se foste nobilitati da un’ottima vita in comune e se menaste vanto delle fatiche dell’ascesi, ritenendo veramente cibo lo scegliere di combattere con coraggio per il bene. Essi mi fecero sapere che le cose, presso di voi, procedevano proprio così; e aggiunsero che vi stavate adoperando con sempre maggiore ardore nelle belle imprese dei vostri predecessori. Ero dunque proprio contento e la mia mente si rallegrava, poiché giustamente facevo mie le virtù dei figli. È cosa assurda che i maestri di ginnastica esultino per le capacità dei giovani; e se questi fanno qualcosa di apprezzabile con la loro arte, essi lo assumano come una corona per la propria testa e menino vanto del loro coraggio. Noi invece siamo padri nello spirito e vi ungiamo coi discorsi in vista del buon combattimento, affinché superando con l’esercizio i moti della carne ed evitando di cadere nel peccato e di essere vinti da Satana tentatore, conseguiate la palma, e non meno di quelli siate riempiti di quella gioia che è cara a Dio.

2. Perciò, come dice il discepolo del Salvatore: Mettendo tutto il vostro zelo, somministrate nella vostra fede la virtù, nella virtù la scienza, nella scienza la temperanza, nella temperanza la pazienza, nella pazienza la pietà, nella pietà l’amore fraterno, nell’amore fraterno la carità. Se avete tutte queste cose e le avete in abbondanza, esse non vi lasceranno vuoti e senza frutto per la conoscenza del Signore nostro Gesù Cristo (2 Pt 1, 5ss). Io ritengo che sia necessario che quelli che scelgono la gloria della vita intelligibile in Cristo e di percorrere un’amabile via, per prima cosa siano abbelliti da una fede semplice ed encomiabile, e a questa aggiungano la virtù; dopo aver fatto questo, si sforzino di arricchirsi della conoscenza del mistero in Cristo e si elevino al massimo grado verso una perfetta conoscenza. Questo, io penso, è pervenire allo stato di uomo perfetto e giungere alla pienezza dell’età propria (Ef 4,13). Perciò con la prudenza conveniente ai monaci, cinti i vostri lombi, combattete contro le passioni dell’anima e del corpo: così sarete illustri e stimati e starete nel bene della speranza preparata per i santi. Ci sia inoltre in voi, superiore a quella degli altri, la retta fede, ed anch’essa sia assolutamente irreprensibile. Così quindi, seguendo anche voi le tracce della pietà dei santi Padri, dimorerete con loro nei monasteri superni e abiterete i tabernacoli celesti, che il divino Isaia ricorda, quando dice: I tuoi occhi vedranno Gerusalemme, la città ricca, i tabernacoli che non saranno mai smossi (Is 33, 20).

3. Non so forse che voi conducete una vita pura e degna di ammirazione e che in voi risiede una fede retta e inviolabile? Sono stato però non poco turbato nel sentire che dei ciarlatani sono giunti presso di voi e alcuni vanno in giro ad indebolire la vostra fede semplice, eccitando la folla con vuote parole, interrogando e chiedendo se bisogna oppure non bisogna chiamare la santa Vergine «Madre di Dio».

Sarebbe stato meglio se vi foste astenuti del tutto da tali questioni. Non avreste mai dovuto accostarvi a cose che a stento possono contemplare come in uno specchio menti bene ordinate e intelletti versati (gli argomenti sottilissimi delle realtà divine trascendono le menti delle persone più capaci). Ma poiché già una volta non siete rimasti sordi a questi discorsi ed è facile che alcuni abbiano scelto di entrare in dispute e che quindi, per persone non ben salde di mente, il danno si conficchi come una spina su loro stessi, ho ritenuto che fosse necessario dirvi poche cose su tali argomenti. E questo non per farvi disputare ancor di più, ma affinché, se qualcuno vi attaccasse, voi, facendo uscire in campo contro i loro vani discorsi la verità, possiate sfuggire il danno derivante dall’errore e possiate giovare anche ad altri, come a fratelli, convincendoli con discorsi appropriati all’antica fede tramandata alla Chiesa dai santi Apostoli, così che essi la posseggano nelle loro anime come una pietra preziosa.

4. Sono rimasto quindi stupito che qualcuno dubiti se la santa Vergine debba o non debba essere chiamata «Madre di Dio». Se il nostro Signore Gesù Cristo è Dio, come può non essere «Madre di Dio» la Vergine che lo partorì? Questa fede ci hanno tramandato i divini discepoli, anche se non hanno usato questa espressione; così abbiamo appreso a pensare dai santi Padri. Perciò il nostro Padre Atanasio, di santa memoria, che ha adornato il seggio della chiesa di Alessandria per 46 anni e che ha contrapposto alle eresie degli esecrabili eretici un inespugnabile e apostolico intelletto e che con i suoi scritti, come con un odoroso profumo, ha allietato tutto il mondo e che da tutti è riconosciuto per la rettitudine e integrità delle dottrine, componendo a nostro vantaggio un libro sulla santa e consostanziale Trinità, nel terzo sermone, nella parte iniziale e in quella finale chiama la santa Vergine «Madre di Dio». Citerò testualmente le sue parole, quando dice: «Questo è il fine e il carattere distintivo della sacra Scrittura, come abbiamo spesso detto: l’annunzio in essa contenuto sul Salvatore è duplice, che egli era sempre Dio ed è Figlio, poiché è Verbo, Splendore e Sapienza del Padre; e che negli ultimi tempi, assumendo per noi la carne, divenne uomo dalla Vergine Maria, Madre di Dio». E, dopo aver detto altre cose, continua: «Certo molti furono santi e puri da ogni macchia: Geremia fu santificato dal seno materno e Giovanni, quando era ancora nell’utero, saltò di gioia alla voce di Maria, Madre di Dio». Egli era un uomo degno e bisogna ammettere che non avrebbe mai detto qualcosa che non fosse in

sintonia con le sacre Scritture. Come infatti avrebbe potuto errare dal vero un uomo illustre e famoso, ammirato da tutti in quel santo e grande concilio, dico in quello opportunamente convocato a Nicea? Non aveva ancora raggiunto il soglio episcopale, ma già spiccava tra i chierici. Grazie alla sua perspicacia, alla mitezza e alla sottilissima e incomparabile mente, in quel tempo fu elevato dal vescovo Alessandro di beata memoria, ed egli era con il vecchio come un figlio

con il padre: lo indirizzava alle cose utili e gli indicava la via per ogni singola azione.

5. Poiché forse alcuni pensano di confutare il nostro discorso con argomenti tratti dalla stessa sacra Scrittura ispirata da Dio, e inoltre affermano che quel santo e grande concilio non disse mai che la Madre del Signore era «Madre di Dio», né ha mai definito alcunché di simile, orsù ora, per quanto è possibile, mostriamo il mistero dell’intelligibile economia in Cristo, il modo come ci è stato annunciato dalla sacra Scrittura e che cosa hanno detto gli stessi Padri – ispirati al vero dallo Spirito santo – quando hanno proclamato la definizione della fede senza macchia. Secondo la parola del Salvatore non erano essi che parlavano, ma lo Spirito di Dio e Padre che parlava in loro. Poiché hanno mostrato che colui il quale è nato dalla Vergine è per natura Dio, credo che correttamente nessuno potrà esimersi dal dover pensare e affermare che la si debba chiamare molto a buon diritto «Madre di Dio». Così recita il simbolo della fede.

6. Crediamo in un solo Dio Padre onnipotente, fattore di tutte le cose visibili e invisibili; e in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, generato unigenito dal Padre, cioè dalla sua sostanza; Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato non fatto, consostanziale al Padre; attraverso di lui ogni cosa fu fatta, in cielo e in terra; il quale, per noi uomini e per la nostra salvezza, discese, si è incarnato, si è fatto uomo, ha patito ed è risuscitato il terzo giorno; ascese al cielo e verrà a giudicare i vivi e i morti; e nello Spirito santo.

7. Gli inventori di eresie, che scavano fosse di perdizione per sé stessi e per gli altri, sono scivolati in così stoltissimi pensieri da ritenere e affermare che il Figlio sia recente; e che sia stato portato all’esistenza da Dio e Padre in modo eguale alle creature. Gli sciagurati non arrossiscono quando circoscrivono all’inizio del tempo colui che è prima di ogni secolo e del tempo, il fattore dei secoli. Abbassando inoltre, secondo come a loro sembra, la sua eguaglianza e gloria con il Padre e Dio, a stento gli concedono di essere superiore alle altre creature, e dicono che egli sta a mezzo tra Dio e gli uomini: non possiede la gloria della somma eccellenza, ma neppure si colloca allo stesso livello delle creature. Ma chi può essere inferiore all’eccellenza divina e superiore al livello delle creature? La cosa è assolutamente senza senso. Non si vede luogo o ragione tra il creatore e la creatura. Ma, stando a quel che costoro dicono, pur tirandolo di forza dalla sede della divinità, lo chiamano Figlio e Dio, e affermano che deve essere adorato, sebbene la legge proclami: Adorerai il Signore Dio tuo e lui solo servirai (Dt 6,13); e ancora, quando dice agli Israeliti per bocca di Davide: Non ci sia in te un Dio recente, né adorerai un Dio straniero (Sal 80,10).

8. Ma quelli, avendo abbandonato la piana strada maestra della verità, si incamminano per fosse e pietraie e, come dice Salomone, hanno deviato dall’asse del proprio campo, e raccolgono con le mani la sterilità (Prv 9,12). Ma noi sui quali risplendette nella mente la luce divina, che abbiamo scelto di avere pensieri incomparabilmente migliori delle loro sciocchezze e che abbiamo seguito la fede dei santi Padri, diciamo che il Figlio è veramente nato dalla sostanza di Dio e

Padre, in modo divino e indicibile, che è pensato nella propria ipostasi, unito al Genitore per la medesima sostanza; è in lui, ma a sua volta possiede in sé stesso il Padre. Confessiamo che è Luce da Luce, Dio da Dio, secondo un’eguale natura, un medesimo carattere

distintivo e un medesimo splendore; e possiede ogni cosa in misura eguale e in nessun modo diminuita (Eb 1,3). Annoverando lo Spirito santo, la santa e consostanziale Trinità è unita nell’unica natura della divinità.

9. Ma la Scrittura ispirata da Dio dice che il Verbo di Dio si è fatto carne (Gv 1,14), cioè si è unito a una carne che possiede un’anima razionale. Seguendo poi le predicazioni evangeliche, il santo e grande concilio disse che egli è l’Unigenito, nato dalla sostanza di Dio e Padre, per il quale e nel quale ogni cosa esiste; che per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso, si è incarnato, si è fatto uomo, ha patito ed è risuscitato, e a suo tempo verrà come giudice. Chiamarono poi Verbo da Dio l’unico Signore Gesù Cristo. Si consideri quindi come dicendo «un solo Figlio», chiamandolo «Signore» e «Cristo Gesù», affermino che egli è nato da Dio e Padre, che è l’Unigenito, Dio da Dio, Luce da Luce, generato e non fatto, della stessa sostanza del Padre.

10. Si può certamente dire che il nome «Cristo» non fu assegnato soltanto all’Emmanuele, ma riscontriamo che esso è stato applicato anche ad altri. Dio infatti dice sugli eletti e santificati nello spirito: Non toccate i miei Cristi e non sparlate dei miei profeti (Sal 104,15). Anche il divino Davide chiama Saul, che era stato unto da Dio per mano di Samuele, «Cristo di Dio» (1 Re 24,7). Ma perché parlo di queste cose, quando si potrebbe facilmente vedere che questo titolo è a buon diritto applicabile a quanti sono stati giustificati nella fede in Cristo e, santificati nello Spirito, sono stati resi degni di onore per questa chiamata? Per questo motivo il profeta Abacuc preannunciò il mistero di Cristo e la salvezza che sarebbe venuta attraverso di lui, dicendo: Sei uscito per la salvezza del tuo popolo, per salvare i tuoi cristi (Ab 3,13). Quindi il nome «Cristo» può convenire non solo e specialmente, come ho detto, all’Emmanuele, ma anche a tutti quelli che furono unti dalla grazia dello Spirito santo. La parola è tratta dall’azione, quindi «Cristi» dall’essere unti. Che anche noi siamo veramente arricchiti dalla gloriosa e preziosa grazia, lo afferma il saggio Giovanni, quando dice: Anche voi avete l’unzione dal Santo (1 Gv 2). E più sotto: Non avete bisogno che qualcuno vi ammaestri, ma la sua unzione vi ammaestra (1 Gv 2,27). È scritto poi sull’Emmanuele: Gesù di Nazareth, come Dio lo unse di Spirito santo e potenza (At 10,38). E anche il divino Davide su di lui dice: Hai amato la giustizia e odiato l’iniquità; per questo Dio, il tuo Dio, ti unse con olio di letizia sui tuoi compagni (Sal 44,8). Che cosa dunque si vedrebbe di più alto nella santa Vergine rispetto alle altre donne, quando si dice che ella ha partorito l’Emmanuele? Non ci sarebbe niente di assurdo se si preferisse chiamare anche la madre di ciascuno degli unti «Madre di Cristo»[1].

11. Ma per le incomparabili diversità di gloria e di eminenza del nostro Salvatore, la differenza è parecchia, tale da escludere tutto ciò che si riferisca a noi. Noi infatti siamo servitori, mentre egli è per natura Signore e Dio, anche se per economia è venuto tra di noi e in ciò che è nostro. Per questo anche il beato Paolo lo chiamò Cristo e Dio, quando disse: Questo sappiate, che nessun fornicatore, impudico, avaro e idolatra possiede eredità nel regno di Cristo e Dio (Ef 5,5). Dunque mentre tutti gli altri, come ho detto, possono essere a buon diritto «cristi», per l’essere stati unti, soltanto Cristo è anche veramente Dio, l’Emmanuele.

Non sbaglierebbe chi volesse affermare che le madri degli altri erano «Madri di Cristo», ma non anche «Madri di Dio», mentre, unica tra di loro, la santa Vergine è intesa ed è detta contemporaneamente «Madre di Cristo» e «Madre di Dio». Non ha generato infatti un semplice uomo come noi, ma il Verbo da Dio Padre, incarnato e fatto uomo. Anche noi per grazia siamo chiamati «dèi», non così però il Dio Figlio, che lo è per natura e verità, anche se è divenuto carne.

12. Verosimilmente tu però ribatti: dimmi, la Vergine diventò forse madre della divinità? A questa domanda rispondiamo che per comune confessione il vivente ed enipostatico[2] suo Verbo è nato dalla stessa sostanza di Dio e Padre e ha l’esistenza senza principio nel tempo; è sempre coesistente al Genitore, in lui e con lui esistente e pensato. Negli ultimi tempi, poiché è divenuto carne, cioè si è unito a una carne che possiede un’anima razionale, si afferma che è nato anche in modo carnale da una donna. Il suo mistero è in qualche modo simile alla nostra nascita. Le madri dei terreni infatti, prestandosi alla natura in vista della nascita, hanno nell’utero la carne che a poco a poco si compone e si sviluppa, grazie a certe ineffabili forze di Dio, finalizzandosi alla specie umana. Dio poi immette nel vivente, nella maniera che egli conosce, lo spirito. Forma infatti lo spirito dell’uomo in lui (Zc 12,1), secondo l’espressione del profeta. Una cosa è la ragione della carne, altra quella dell’anima. Sebbene però esse siano madri soltanto dei corpi terreni, tuttavia partoriscono il vivente, quello, dico, che consta di anima e corpo; e non si dice che partoriscono una parte. Non si dirà che Elisabetta partorì il corpo e non l’anima: partorì il Battista, dotato di anima, un essere unico con due parti, anima e corpo. Dimostreremo che la medesima cosa si è realizzata anche in occasione della nascita dell’Emmanuele. Come ho detto, dalla sostanza del Padre è nato il suo Verbo unigenito; poiché, in grazia del fatto che in seguito ha assunto la carne e l’ha resa cosa sua propria, è stato chiamato anche Figlio dell’uomo ed è divenuto come noi, ritengo che non sia assurdo affermare, e anzi che sia necessario confessare, che è nato secondo la carne da una donna, nello stesso modo come anche l’anima dell’uomo nasce contemporaneamente al proprio corpo e la si considera come una sola cosa con quello, sebbene la seconda natura è considerata per sé ed esiste secondo una propria ragione. Perciò se qualcuno dicesse che la madre di uno è genitrice della carne ma non dell’anima, parlerebbe in maniera eccessivamente pignola. Come ho detto, ha partorito un vivente composto da due elementi dissimili, da due un unico uomo, rimanendo ciascun elemento ciò che è, concorrendo altresì, quasi contemperandosi l’un l’altro, all’unità naturale, ciascuno per la propria parte.

13. Poiché l’unione in Cristo è cosa necessarissima, sarà facile e del tutto agevole considerarla anche attraverso molti altri fattori. Orsù, allora, se sembra opportuno, indaghiamo sulle espressioni del beato Paolo, con acribia e, per quanto è possibile, operando un’analisi sottile. Dice dunque sull’Unigenito: Il quale, pur essendo in forma di Dio, non reputò una rapina l’essere eguale a Dio, ma umiliò sé stesso, prendendo una forma di servo, diventando simile agli uomini ed essendo trovato in figura d’uomo abbassò sé stesso (Fil 2,5-7). Chi è colui il quale è in forma di Dio e non ritenne una rapina essere eguale a Dio? Oppure, in che modo umiliò sé stesso, come discese nell’abbassamento e nella forma di servo? Se dunque costoro, dividendo l’unico Signore Gesù Cristo – dico l’uomo e il Verbo da Dio Padre –, affermano che sopportò l’umiliazione quello nato dalla santa Vergine, separando da lui il Verbo da Dio, devono prima dimostre in che maniera è ritenuto ed era in forma ed eguaglianza col Padre, affinché anche sopportasse il modo dell’umiliazione, discendendo in ciò che non era. Ma ciò che è nell’eguaglianza del Padre, se lo consideriamo secondo la sua propria natura, non ha nulla di creaturale. Come si può affermare che si è umiliato, se, essendo per natura uomo, è nato come noi da una donna? Dimmi, da quale più antica dignità, superiore a quella dell’uomo, discese per essere uomo? Oppure, in che modo si potrebbe intendere l’aver assunto, pur non possedendola in principio, la forma di servo, chi per natura stava tra i servitori ed era posto sotto il giogo della servitù?

14. Ma, dicono, colui che per natura e verità è il libero Figlio, il Verbo da Dio Padre, esistente nella forma del Genitore e uguale a lui, prese dimora in un uomo nato da donna: è questa l’umiliazione, il prezzo dell’abbassamento e l’essersi calato in forma di servo.

Così, amici miei, il solo abitare in un uomo fu sufficiente al Verbo di Dio per umiliarsi, e sarebbe persuasivo affermare che in tal modo prese forma di servo e che questa sarebbe stata la sua maniera di abbassarsi? Sento che egli dice ai santi Apostoli: Se qualcuno mi ama, custodirà la mia parola e il Padre mio lo amerà e verremo a lui e rimarremo presso di lui (Gv 14,21). Ascolta, in forza di che cosa disse che in quelli che lo amavano coabitava insieme a lui anche lo stesso Dio e Padre? Forse considereremo anche il Padre umiliato, che abbia sopportato lo stesso abbassamento del Figlio e abbia preso forma di servo, perché prende dimora presso le anime sante di quelli che lo amano? E anche lo Spirito abita in noi? Forse anch’egli realizza l’economia con il farsi uomo? Oppure affermiamo che questa sia stata realizzata attraverso il solo Figlio, per la salvezza e per la vita di tutti? Lontano da noi una dottrina così strana e insensatissima!

15. Il Verbo esistente in forma ed eguaglianza di Dio e Padre abbassò dunque sé stesso, allorché divenendo carne, come dice Giovanni, è nato attraverso una donna, e colui che ha la nascita da Dio Padre sopportò per noi anche quella come la nostra. Ci insegnino quelli allora in che modo il Verbo da Dio Padre può essere ritenuto e detto da noi «Cristo». Se Cristo è chiamato così dall’essere stato unto, il Padre chi unse con olio di esaltazione (Sal 44,8), cioè di Spirito santo? Se essi affermano che quello nato da lui è propriamente il solo Dio Verbo, e dicono che questa è la verità, sono nell’ignoranza, offendono la natura dell’Unigenito e falsificano il mistero dell’economia per mezzo della carne. Se infatti il Verbo che è Dio è stato unto di Spirito santo, egli sarebbe stato del tutto privo di santità ed essi, pur non volendo, ammetterebbero che egli esisteva in tempi precedenti, durante i quali, non essendo ancora stato unto, era privo di partecipazione, la quale gli sarebbe stata data in seguito come dono. Ciò che è privo di santità per natura è fluttuante e non può essere ritenuto interamente esente da peccato e dalla possibilità di errare. Il Verbo quindi avrebbe subìto un mutamento in meglio. Come allora è il medesimo e non è mutato? E se il Verbo che è Dio era unto e santificato nella forma ed eguaglianza del Padre, qualcuno forse, tratto da questo procedimento verso oscuri pensieri, potrebbe dire che forse anche lo stesso Padre fu privo di santificazione. Allora il Figlio si sarebbe mostrato più grande di lui, se egli, che esisteva prima della santificazione eguale a lui anche nella forma, fu santificato, mentre il Padre è rimasto in ciò che era sempre è e sarà, non assumendo la capacità di migliorare, in modo da essere santificato a somiglianza del Figlio. Maggiore di ambedue appare poi lo Spirito che li santifica, se non c’è da dubitare che senza contraddizione alcuna ciò che è minore è benedetto da ciò che è maggiore (Eb 7,7). Ma tutte queste affermazioni sono vaniloquio, cose orribili e crimini da pazzi. La consostanziale Trinità è santa per natura, santo il Padre, santo anche il Figlio in egual modo consostanziale, e similmente anche lo Spirito. Dunque il Verbo da Dio Padre, per quanto riguarda la sua propria natura, non è santificato in modo unico.

16. Se qualcuno poi ritenesse che colui il quale è nato dalla santa Vergine sia stato unto e santificato e solo per questo è chiamato «Cristo», dica, facendosi innanzi, se è sufficiente l’unzione per mostrare che l’unto abbia la stessa gloria e lo stesso trono di Dio, che è superiore a tutte le cose. E se fosse sufficiente, e afferma che questa è la verità, anche noi allora siamo unti, come testimonia il divino Giovanni quando dice: Anche voi avete l’unzione del santo (1 Gv 2,20). Allora anche noi stessi saremmo in eguaglianza con Dio e, io credo, proprio nulla ci sarebbe proibito, anche sedere con lui, come certamente siede l’Emmanuele; di lui infatti è stato detto: Siedi alla mia destra, finché non porrò i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi (Sal 101,10). Ci adorerebbe la santa moltitudine degli spiriti superni: Quando introduce il primogenito nel mondo dice: lo adorino tutti gli angeli di Dio (Eb 1,6). Ma noi, anche se siamo stati unti di Spirito santo, siamo impreziositi della grazia di figli adottivi. Siamo stati chiamati anche «dèi», ma non ignoreremo i limiti della nostra propria natura. Siamo della terra e stiamo tra i servi. Egli invece non è in ciò che noi siamo, ma è Figlio per natura e verità, Signore di ogni cosa e discende dal cielo.

17. Non diciamo certo, poiché scegliamo di pensare rettamente, che Dio Padre è fatto di carne, né che la natura della divinità sia nata attraverso una donna, non assumendo l’umanità. Ma, indirizzandoci all’unione, adoreremo l’unico Cristo Gesù e Signore, sia il Verbo nato da Dio sia il perfettamente uomo, nato dalla santa Vergine, non ponendolo fuori dalla divinità a causa della carne, né abbassandolo alla semplice umanità per la somiglianza con noi. Si comprenderà così che il Verbo nato da Dio si è sottoposto ad una spontanea umiliazione. In questo modo ha abbassato sé stesso, prendendo la forma di servo, colui che per propria natura è libero. In questa maniera prese il seme di Abramo e condivise il sangue e la carne (Eb 2,16). Se infatti lo si intende un semplice uomo come noi, avrebbe potuto prendere il seme di Abramo come qualcosa di diverso, per natura, da sé stesso? Come si potrebbe dire che ha condiviso la propria carne, per essere simile in tutto ai fratelli? Quel che noi diciamo simile ad altri corre dalla dissomiglianza verso ciò a cui deve essere simile.

18. Quindi il Verbo di Dio prese il seme di Abramo e condivise il sangue e la carne, rendendo proprio il corpo, che è da donna, affinché, non solo rimanendo Dio, ma anche divenendo uomo come noi, fosse compreso in grazia dell’unione. Perciò l’Emmanuele deriva per comune confessione da due cose, la divinità e l’umanità. L’unico Signore Gesù Cristo è l’unico e vero Figlio, Dio e contemporanea-mente uomo; non un uomo divinizzato, come coloro che lo sono per grazia, ma Dio vero, manifestatosi in forma umana per noi. Su di questo ci fornirà le basi della fede il divino Paolo, quando dice: Essendo giunta la pienezza dei tempi, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, divenuto sotto la legge, per redimere quelli che erano sotto la legge, e affinché noi ricevessimo l’adozione (Gal 4,4). Allora chi è colui che è stato mandato sotto la legge e – come ho detto – è nato da donna, se non il medesimo, il quale precedentemente era sopra le leggi, in quanto Dio, dal momento che si è manifestato un uomo, ponendosi sotto la legge, per essere eguale in tutto ai fratelli? Per questo insieme a Pietro pagava la didramma di tributo (Mt 17,27), secondo la legge di Mosè. Ma poiché è libero, in quanto Figlio, e superiore alla legge, in quanto Dio, anche se divenuto, come uomo, sotto la legge, insegnava dicendo: I re della terra da chi ricevono tributi e tasse, dai propri figli o dagli estranei? Rispondendo Pietro: Dagli estranei, egli continuò: Quindi i figli sono liberi (Mt 17,25).

Essendo dunque manifesto che non si può dire che Cristo esista al di fuori della carne e che sia unicamente il Verbo di Dio, ma che piuttosto gli sono propri il primo e il secondo aspetto, dal momento che è divenuto uomo, orsù, allora, dimostriamo, traendo gli argomenti di fede dalle sacre Scritture, che egli è Dio per natura e si è condotto all’unità, dico a quella che ha con la sua propria carne. Dopo aver dimostrato che questo è vero, allora si potrà dire da parte nostra e in

maniera appropriata che la santa Vergine è «Madre di Dio».

19. Perciò il profeta Isaia mostrava in anticipo l’unico Figlio, non ancora fatto uomo e non presente, dicendo: Fortificatevi mani deboli e ginocchia vacillanti, consolatevi avviliti, fatevi coraggio, non temete. Ecco, il nostro Dio siede a giudizio ed emetterà sentenza; egli verrà e ci salverà. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e le orecchie dei sordi udranno; allora lo zoppo salterà come un cervo e la lingua dei muti sarà chiara (Is 35,3ss). Osserva come lo nomina «Signore» e lo chiama «Dio», parlando veramente nello Spirito, perché sapeva che l’Emmanuele non era semplicemente un uomo teoforo, né era stato preso come uno strumento, ma veramente era Dio fatto uomo. Proprio allora furono aperti gli occhi dei ciechi e udirono le orecchie dei sordi; allora lo zoppo saltò come un cervo e divenne chiara la lingua dei muti. Così lo Spirito ordinava di predicarlo ai santi evangelisti: Sali su di un alto monte, tu che evangelizzi Sion; fa’ risuonare con forza la tua voce, tu che evangelizzi Gerusalemme; alzate la voce, non temete. Di’ alle città di Giuda: ecco il nostro Dio, ecco il Signore viene con forza e il braccio con dominazione. Ecco con lui la mercede e l’opera al suo cospetto. Come un pastore pascerà il suo gregge e con il suo braccio unirà gli agnelli (Is 40,9ss). Apparve per noi il Signor nostro Gesù Cristo, con la forza che proviene da Dio e con il braccio di signoria, cioè in potenza e signoria. Appunto per questo diceva al lebbroso lo voglio, sii mondato (Mt 8,3); toccò il letto e resuscitò il figlio della vedova, che era morto (Lc 7,14).

20. Radunò gli agnelli, perché egli è il buon pastore, che dà la sua anima per le pecore. Perciò anche diceva: Come il Padre conosce me, io conosco il Padre e metto la mia anima per le pecore. Possiedo anche altre pecore, che non sono di questo ovile; bisogna che io le porti a me, ed esse udranno la mia voce e ci sarà un solo gregge, un solo pastore (Gv 10,15ss). Iniziando poi la predicazione su di lui, anche il divino Battista lo annunciava a quanti stavano in tutta la Giudea, non come strumento della divinità, né come semplicemente un uomo teoforo, secondo quanto sostengono alcuni, ma piuttosto come Dio con la carne, ovvero divenuto uomo, e diceva: Preparate le vie del Signore, rendete rette le strade del nostro Dio (Mt 3,6). Di chi

ordinò di preparare le vie se non di Cristo, cioè del Verbo apparso in forma umana? È bastevole alla fede, credo, anche il divino Paolo, quando dà testimonianza, dicendo: Che cosa allora diciamo? Se Dio è per noi, chi contro di noi? Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha sacrificato per noi tutti, come non ci donerà anche ogni cosa insieme con lui? (Rm 8,31). Allora, mi si dica, in che modo può essere ritenuto Figlio proprio di Dio, il figlio nato dalla santa Vergine? Come si ritiene e si afferma proprio dell’uomo e non di altri animali quel che secondo natura è nato da lui, parimenti è proprio di

Dio ciò che proviene dalla sua sostanza. In che modo allora Cristo, il quale è stato dato da Dio e Padre per la salvezza e la vita di tutti, è chiamato Figlio proprio di Dio? Fu sacrificato per i nostri peccati; ed egli portò i peccati di molti nel suo corpo sul legno (Rm 4,25; 1 Pt 2,24), secondo la parola del profeta. È chiaro allora come la realizzazione dell’unità necessariamente manifesta che colui il quale

è nato dalla santa Vergine è il Figlio proprio di Dio. Il corpo non era diverso da quello nostro, ed era propriamente suo, del Verbo del Padre, nato da lei.

21. Se poi gli si attribuisse un unico e semplice carattere di aiuto strumentale, si negherebbe, anche senza volerlo, che egli sia Figlio secondo verità. Si prenda, ad esempio, un uomo che abbia un figlio esperto nella lira e ottimamente esercitato nel suonare; forse costui considererà la lira e lo strumento per il canto nell’ordine del figlio, insieme con il figlio? Una tale cosa non è forse interamente sciocca? La lira è da ritenere dimostrazione dell’arte, quello invece è preso come figlio del genitore, separatamente dallo strumento. Se poi si dicesse che il nato da donna è stato preso per aiuto, affinché per mezzo suo si realizzassero i miracoli e risplendesse la predicazione del divino vangelo, si potrebbe dire che anche ciascuno dei santi profeti è stato strumento di Dio, e primo tra tutti il santissimo Mosè. Egli, stendendo la verga, mutò i fiumi in sangue; separando il mare, ordinò ai figli di Israele di passare nel mezzo dei flutti (Es 7,20); ponendo poi la verga sulle pietre, le rese madri di acque e fece vedere una fonte fatta di pietra (Sal 113,8); divenne mediatore tra Dio e gli uomini, fu ministro della legge e precedeva il popolo (1 Tm 2,5). Quindi in Cristo non ci sarebbe stato nulla di più alto e di superiore rispetto a quelli che erano stati prima di lui: anch’egli sarebbe stato preso nell’ordine e nella funzione di strumento. Avrebbe allora parlato a vanvera il divino Davide, quando disse: Chi sulle nubi sarà eguale al Signore e chi sarà simile al Signore tra i figli di Dio? (Sal 88, 7).

22. Ma il sapientissimo Paolo mostra Mosè tra i servitori, mentre chiama Dio e Signore colui che economicamente è nato da una donna, cioè Cristo. Così infatti ha scritto: Perciò, fratelli santi, che siete partecipi della vocazione celeste, considerate l’apostolo e sommo sacerdote della nostra confessione, Gesù, che è stato fedele a colui che l’ha costituito, come anche Mosè, in tutta la sua casa. Ma egli fu insignito di una gloria superiore a quella di Mosè, nella misura in cui chi ha costruito una casa ha un onore maggiore della casa. Ogni casa è fabbricata da qualcuno, ma chi ha costruito ogni cosa è Dio. Mosè fu fedele in tutta la sua casa, come un servo, per testimonianza delle cose che sarebbero state dette; Cristo invece è come Figlio a capo della sua casa, e noi siamo la sua casa (Eb 3, 1ss). Si consideri dunque come gli abbia mantenuto i limiti dell’umanità e gli abbia attribuito l’altezza della gloria superna e della dignità divina. Dicendo Sacerdote e Apostolo, e ribadendo che

è divenuto fedele a colui che lo ha fatto, dice che è stato onorato più di Mosè, nella misura in cui chi ha costruito una casa ha un onore maggiore della casa; e poi continua: Ogni casa è fabbricata da qualcuno, ma chi ha costruito ogni cosa è Dio. Quindi il divino Mosè è stato posto tra le opere e le cose fabbricate, mentre Cristo è indicato come il fattore di tutto. E in verità è di Dio che si dice che fa ogni cosa. Quindi egli è indubitabilmente anche Dio vero. Mentre Mosè è come il ministro fedele in tutta la casa, Cristo invece è come Figlio a capo della sua casa, e noi siamo la sua casa. Attraverso la voce del profeta, Dio dice: Abiterò in loro e camminerò con loro, sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo (2 Cor 6, 16).

23. Forse qualcuno però potrebbe chiedere: che differenza si può pensare ci sia tra Cristo e Mosè, se ambedue sono nati da donna? In che modo l’uno è servitore e come fedele nella casa, mentre l’altro è per natura Signore, in quanto Figlio, e in casa sua, cioè noi? Io credo che la cosa sia chiara per chiunque sia sano di intelletto (2 Cor 6, 16) e abbia su Cristo un pensiero conforme a quanto afferma il beato Paolo. Il primo era un uomo e stava sotto il giogo della servitù, il secondo è per natura libero, in quanto Dio e creatore di tutto, e per noi sopportò una volontaria umiliazione. Ma questo non lo allontanerà dalla gloria divina, né lo rimuoverà dalla sublimità e dall’eminenza su tutte le cose. Come noi, arricchiti dal suo Spirito – ha abitato infatti nei nostri cuori (Ef 3, 17) –, siamo stati posti tra i figli di Dio, a non essere ciò che siamo[3], però non siamo discesi – siamo per natura uomini e diciamo a Dio Abba, Padre (Rm 8, 15) –, nello stesso modo anche lui, il Dio Verbo, che indicibilmente risplendette della sostanza di Dio e Padre, onorò la natura, ma non uscì dalla sua propria sublimità, ed è rimasto Dio anche nell’umanità. Quindi diciamo che il

Tempio, nato dalla Vergine, non fu preso a guisa di strumento, ma, seguendo la fede delle sacre Lettere e le espressioni dei Santi, affermeremo che il Verbo si è fatto carne secondo i modi da noi ampiamente spiegati. Così ha anche posto la sua vita per noi. Poiché la sua morte era salvezza per il mondo, sostenne la croce, disprezzando l’ignominia (Eb 12, 2), pur rimanendo per natura Vita, in quanto Dio. In che senso allora si dice che la Vita morì? Allo scopo di far apparire la Vita, che nuovamente la vivificava, ha sofferto la morte con la propria carne.

24. Allora, se osserviamo il modo della morte in noi stessi, una persona assennata afferma forse che l’anima perisce insieme al corpo? Questo, penso, non è messo in dubbio da nessuno. Peraltro la morte dell’uomo è solo un accidente. Egualmente si pensi anche per lo stesso Emmanuele. Il Verbo era come nel proprio corpo, quello nato da donna, e lo consegnava a suo tempo alla morte, non soffrendo egli nella sua propria natura (è infatti la Vita e il Vivificante), ma, affinché, rese proprie le caratteristiche della carne, si dicesse suo il patire; e, poiché egli da solo era equivalente a tutti, morendo per tutti, affinché redimesse con il proprio sangue quanto c’è sotto il cielo e guadagnasse a Dio e Padre quelli che giacciono giù sulla terra. Il beato profeta Isaia preannunciò come vero tutto questo, quando in spirito diceva: Perciò egli possiederà in eredità molti e dividerà le spoglie dei forti, in cambio la sua anima fu consegnata alla morte e fu annoverato tra i malfattori ed egli portò i peccati di molti e fu consegnato per le loro iniquità (Is 53, 12).

25. Quindi uno solo, più degno di tutti, ha posto la propria anima per tutti e ha permesso che a scopo dell’economia per breve tempo la carne fosse consegnata alla morte. Ma poi ha distrutto la morte, perché non sopportava – come Vita – di subire qualcosa contraria alla propria natura, e per porre fine anche nei corpi di tutti alla corruzione; e così distruggere il potere della morte. Come infatti in Adamo tutti moriamo, così anche in Cristo tutti saremo vivificati (1 Cor 15, 22). Se non avesse sofferto per noi in maniera umana, neppure avrebbe divinamente realizzato quel che era necessario per la nostra salvezza. Si dice infatti che prima era morto in quanto uomo, ma dopo è risuscitato perché era Dio per natura. Se dunque non avesse patito la morte con la carne (1 Pt 3, 18), secondo le Scritture, neppure sarebbe stato vivificato con lo spirito, cioè non sarebbe risuscitato. E se questo fosse vero sarebbe vana la nostra fede, saremmo ancora nei nostri peccati (1 Cor 15,14.17). Siamo stati invece battezzati nella sua morte (Rm 6,3), secondo le parole del beato Paolo, e per mezzo del suo sangue abbiamo ricevuto la remissione dei peccati.

26. Ma se Cristo non è veramente Figlio e non è per natura Dio, ma un semplice uomo come noi e uno strumento della divinità, in che modo saremmo stati salvati non in Dio? Perché sarebbe morto per noi uno maggiore di noi e sarebbe stato risuscitato da forze a lui estranee. Come allora per mezzo di Cristo fu distrutta la morte? Ascolto che saggiamente egli dice sulla propria anima: Nessuno me la toglie, ma la pongo io da me stesso. Ho il potere di porla e di nuovamente riprenderla (Gv 10, 18). Discese con noi verso la morte per mezzo della propria carne colui che non conosce la morte, affinché anche noi risorgessimo con lui alla vita. Risorse spogliando da vincitore l’Ade, non in quanto uomo come noi, ma in quanto Dio con noi e superiore a noi. La natura fu arricchita perché in lui per primo si realizzò l’incorruttibilità; e la morte, entrata come un nemico, fu distrutta dal corpo della vita. Come ella aveva vinto in Adamo, così è stata abbattuta in Cristo. Rivolgendosi a lui, che per noi e da noi ascendeva nei cieli al Padre e Dio, per mostrare accessibile il cielo a

quelli che sono in terra, il divino cantore dedicò epinici, dicendo: Dio s’innalza tra voci di plauso, il Signore tra squilli di tromba. Inneggiate al nostro Dio, inneggiate. Inneggiate al nostro re, inneggiate. Dio regnò sopra tutte le genti (Sal 46, 6ss). Dice inoltre su di lui il beato Paolo: Chi discese è lo stesso che ascese al di sopra dei cieli, per riempire ogni cosa (Ef 4, 10). 27. Poiché dunque egli è veramente Dio e re per natura, e il crocifisso è chiamato anche re della gloria (1 Cor 2,8), come si può dubitare di affermare che la santa Vergine è «Madre di Dio»? Adoralo come uno, non dividendo in due dopo l’unione! Allora invano riderà l’insensato giudeo; allora veramente egli sarà «uccisore del Signore», e sarà condannato non per aver commesso un delitto contro uno come noi, ma contro lo stesso Dio, salvatore di tutti. E sentirà: Guai, gente peccatrice, popolo carico d’iniquità; seme

malvagio, figli scellerati. Avete abbandonato il Signore e avete fatto adirare il Santo d’Israele (Is 1, 4). Inoltre i figli degli Elleni in nessun modo beffeggeranno la fede dei cristiani: veneriamo non un semplice uomo – non sia mai! – ma Dio per natura, non ignorando la sua gloria, anche se è divenuto come noi pur restando ciò che era, cioè Dio. Per lui e con lui a Dio e Padre la gloria con lo Spirito santo nei secoli dei secoli. Amen.


[1] Il riferimento a Nestorio risulta esplicito, se si considera che questo titolo era stato propugnato proprio da lui. Cirillo invece intende dimostrare che dire «Madre di Cristo» è assolutamente inadeguato per individuare il Verbo incarnato.

[2] Il termine enipostatico, qui inequivocabilmente utilizzato in ambito cristologico, era di largo uso nella teologia trinitaria, ma non in cristologia. Qualche anno dopo, nel clima del concilio d’Efeso del 431 verrà usato da Teodoto di Ancira come termine forte della sua cristologia (cf. Teodoto di Ancira, Omelie cristologiche e mariane)

[3] Cioè, grazie all’opera salvifica di Cristo l’uomo è divenuto «dio», quindi è divenuto ciò che per natura non è.




Nicola Velimirovich: L’EUROPA PUZZA DI MORTE!

L’EUROPA PUZZA DI MORTE!

Il globalismo è la maledizione dei nostri tempi.

La cultura non cura né fa diminuire la cattiveria e l’egoismo degli uomini, anzi spesso li fa aumentare.

In Occidente domina il disordine; e la causa del disordine in Occidente è che si sono voltate le spalle a Dio e ci si è rivolti verso Satana.

Sempre la stessa ragione: rinnegare Dio e schierarsi dalla parte di Satana! Dio ci mette seriamente in guardia come un padre, mentre Satana proietta immagini false, attirando a sé gli stolti e i vanitosi. Con dolci medicamenti pesca e attrae a sé i lussuriosi e i miopi.

In Occidente tutto è diventato un problema e tutto è stato messo in discussione: Dio, l’anima, la morale, il matrimonio, la famiglia, la società, lo stato, questo mondo e anche l’ altro mondo! Ogni cosa è diventata problema su problema… la scienza occidentale è il pettine d’acciaio nelle mani dell’anticristo, un pettine che raschia vecchie ferite e ne apre di nuove. E, veramente, il principe dell’inferno, con il contributo della pseudo-scienza, ha partorito in Occidente una confusione mai avvenuta prima nella storia dell’umanità. Con il disordine c’è sviluppo, cultura, progresso! Il disordine è vita!

L’Occidente ha smesso di produrre santi e sapienti. E questo risale ai tempi in cui i papi hanno smesso di essere santi e sapienti e sono diventati politici e diplomatici.

L’uomo occidentale non pensa mai alla morte, non ha tempo per pensare alla morte.

Pensa soltanto alla sottomissione e allo sfruttamento: della terra e dell’aria, del fuoco e dell’ acqua, delle piante e degli animali, dei popoli e degli Stati vicini. Lo slogan della sua scienza e della sua cultura è: sottomettere e sfruttare. Il globalismo è la rovina dei nostri tempi! Che beneficio avrà l’Europa, l’America e gli altri continenti nel correre e conquistare il mondo, l’universo, la luna, Marte, e le stelle?

Che gioverà all’uomo se guadagna il mondo intero e farà del male alla propria anima, se perde la propria anima? A chi, o uomini, volete prendere e conquistare la luna e le stelle? Dal Signore, da Colui che le ha seminate come fiori nell’universo infinito?

Quanto è meschino l’uomo europeo quando muove guerra al cielo, come se fosse il suo nemico!

(S. Nicola Velimirovich, 1881-1956, dal libro: insegnamenti spirituali sull’uomo e su Dio, 2017)




P. Justin Popovitch: Cristo è nato!

Cristo è nato!

dell’archimandrita Justin Popovitch  (1894 – 1979)

In verità Dio è nato sulla terra come uomo. Perché? “Perché noi vivessimo per mezzo suo” (1 Giov. 4, 9). Infatti senza l’Uomo-Dio Gesù Cristo la vita dell’uomo è un assurdo degno del suicidio. Giacché la morte è il suo cuore ed essa, non c’è dubbio, è il più grande e più spaventoso assurdo tra i tanti che ci sono nella vita dell’uomo. Dare un senso alla morte significa dare un senso alla vita in tutta la sua profondità, altezza, infinità. Ma ciò è fatto solo da Dio, il quale ama tutti gli uomini e per l’infinito amore si fa uomo e rimane per l’eternità nel mondo umano come Uomo-Dio. La vita umana assume il suo eterno significato solo come vita in Dio. Altrimenti essa è il più offensivo assurdo ed il dono più pazzesco che si possa concepire. Questa vita, o uomo, solo come vita in Dio, assume il suo unico significato ragionevole e logico. Ed il tuo pensiero, fratello mio, assume il suo significato divino ed immortale solo in quanto pensiero di Dio. E così i tuoi sentimenti, solo in quanto rivolti a Dio, hanno un significato divino, immortale. Altrimenti i tuoi sentimenti sono il tuo più grande tormento, che continuamente ti crocifigge sulla più assurda croce, dietro la quale non c’è alcuna risurrezione. E la coscienza? Anch’essa in quanto solo coscienza di Dio ha il suo significato divino ed eterno. Altrimenti essa pure è un assurdo ferocemente pericoloso. E la mia morte, la tua morte, in genere quella di tutti gli uomini, non è il più crudele tormento per l’essere umano in tutto l’universo? Certamente, lo è per ogni uomo. Ma anch’essa solo in quanto morte in Dio, come morte umano-divina, assume il Suo eterno significato grazie alla Risurrezione dell’Uomo-Dio Gesù Cristo, poiché solo grazie a Lui, si realizza la vittoria sulla morte e quest’ultima assume un significato nel mondo umano. Così tutto ciò che è umano, tutto l’uomo solo come Uomo-Dio, frutto della Grazia, nel Corpo dell’Uomo-Dio, che ci divinizza ed è fonte di tutta la vita, cioè nella Chiesa, assume il suo significato eterno, umano-divino.

Con l’Incarnazione, Dio, nel modo più manifesto è entrato nel centro della vita umana, è entrato nel cuore, nel centro di tutto. Respinto a causa del volontario peccato dell’uomo dal mondo, dal corpo, dall’anima dell’uomo, Dio, incarnandosi, ritorna nel mondo, nel corpo, nell’anima, diventa completamente uomo e, come tale, opera a favore dell’uomo, si stabilisce nel mondo e come creatura provvede alla creatura, la santifica, la salva, la trasfigura, la rende umano-divina. L’incarnazione di Dio è il più grande rivolgimento nella vita della terra e di tutto l’universo, poiché per causa sua si è compiuto il miracolo dei miracoli. Se fino a quel momento la creazione del mondo dal nulla era stato il più grande miracolo, non c’è dubbio che l’Incarnazione di Dio l’ha superata per il suo carattere miracoloso. Mentre nella creazione le parole divine si sono trasformate nella realtà, nell’Incarnazione lo stesso Dio si è rivestito di un corpo, di una materia. Perciò l’Incarnazione è l’avvenimento decisivo nella storia di tutto l’universo, per ogni persona, per ogni essere, per ogni creatura. Vivi anche tu nell’Incarnazione, nell’Uomo-Dio e guarirai da tutti i generi di morte, da tutti i peccati, da tutte le passioni, da tutte le opere del demonio. Diventi la tua vita una vita in Dio. In ciò consiste tutto il tuo mistero umano-divino, fratello mio! Dio scende in un corpo che diventa il corpo di Dio. Ma egli diventa anche il tuo corpo, appena tu diventi membro della Chiesa, cioè del Corpo umano-divino del Cristo. E come si vive nella Chiesa del Cristo? Si vive nei Sacramenti, nelle virtù. Perciò è prescritto il digiuno prima di Natale. Il digiuno è come una virtù di primo ordine, e va sempre accompagnato dalla preghiera. Queste due fondamentali virtù conducono l’uomo al Cristo e con sapienza divina gli insegnano come vivere per mezzo suo ed in lui. E che fare del corpo datoci da Dio? Purificarlo, liberarlo da ogni impurità, dalle passioni, da ogni male, dal demonio. Purificarlo da ogni peccato, perché in ogni peccato si nasconde il demonio, poiché in esso opera il demonio nonostante tu abbia la libera volontà. Nel grande peccato c’è un grande demonio, nel piccolo uno piccolo. Ma a te, a me e ad ogni uomo sono concessi tutti i mezzi per vincere tutti i demoni, tutte le passioni, tutti i peccati, e la morte che è in noi e nel mondo. In primo luogo, quindi, la preghiera ed il digiuno, poiché la Verità, cioè il Cristo, ha detto: “Questo genere si caccia solo con la preghiera ed il digiuno” (Matteo 17, 21): il genere di tutti i peccati, di tutte le passioni, di tutti i demoni. Il Natale è davanti a te, davanti a me, davanti a noi tutti, fratelli e sorelle. Dio nasce come uomo, “perché noi si viva per mezzo suo”, affinché in tal modo egli riempia di sé la nostra anima ed il nostro corpo. Raggiungeremo questo obiettivo nel modo più sicuro con il digiuno e con la preghiera. Essi ci purificano, perché in noi si stabilisce gioiosamente il Bambino divino e riempia di sé la nostra natura. Giacché a questo fine, fratello mio, furono creati il tuo corpo e la tua anima. A ciò ci sono stati dati come guide l’umile preghiera e l’umile digiuno assieme alle altre virtù evangeliche. Che esse volino attorno a noi e davanti a noi annunciando a tutti gli uomini ed a tutto l’universo la salutare e lieta notizia: “Cristo è nato”.




Giuseppe di Vatopaidi (1921-2009): Sull’Incarnazione

Il recupero delle reliquie dell’anziano Iosif Vatopaidino

L’Anziano Iosif è nato a Drousia, nella regione di Paphos, a Cipro, il 1° luglio 1921. Seguendo una chiamata di Dio, è entrato nel Santo Monastero di Stavrovounio nel 1936, con la benedizione dei genitori. Qui fu fatto novizio e gli fu dato il nome di Sofronios. Rimase in monastero per 10 anni prima di trasferirsi sul Monte Santo, dopo una breve visita in Terra Santa. Lo ha fatto con l’incoraggiamento e la benedizione dell’anziano Kyprianos, il padre spirituale di Stavrovounio. All’inizio del 1947 si trova allo Skite di Sant’Anna, mentre nell’estate dello stesso anno conosce San Giuseppe l’Esicasta, il quale, dopo aver ricevuto l’inspirazione divina, accoglie il giovane nella sua confraternita. Il sabato di Lazzaro, 1948, nella casa dell’Venerabile Precursore a Piccola Sant’Anna, fu tonsurato monaco dal grande abito e gli fu dato il nome di Iosif. Nel 1951, la confraternita si trasferì nelle celle esicaste vicino alla torre Nuovo Skite. San Iosif l’Esicasta riposò nel Signore nel giorno della Dormizione della Madre di Dio, 1959. Il defunto Anziano Iosif ha soddisfatto il desiderio più profondo della sua anima durante il empo vissuto con il grande San Giuseppe, poiché ha imparato la vita da un vero esicasta, che era un asceta portatore di Dio. Dopo la morte del suo Anziano, il giovane Iosif continuò a vivere secondo i principi e l’esempio del primo e, con il passare del tempo, molti altri monaci vennero a vivere con lui. Nel 1989, a seguito di una delibera del Patriarcato Ecumenico, la sua comunità ha assunto l’amministrazione del Santo e Grande Monastero di Vatopaidi. Si é addormentato nel 2009

Sull’incarnazione

dell’anziano Giuseppe di Vatopaidi (1921-2009)

Monte Athos, Grecia

Oggi, iniziamo con la più grande festa, non potremo mai esprimerla [a parole]… Abbiamo supplicato il nostro Cristo di permetterci di prostrarci al suolo dove è nato; per prostarci davanti alla miseria che lo copriva. Abbracciare con riverenza la sua Santissima Madre che Lo teneva nel suo abbraccio. Tutto questo, miei cari, per quale scopo?

Proprio qui sta la cosa straordinaria. Se un uomo riesce a realizzarla, allora diventerà la più grande causa del suo progresso spirituale e del suo risveglio dal torpore dell’insensibilità.

È Lui che oggi si manifesta come un bambino esposto al freddo del mondo; Lui, per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte. Ha creato l’universo, il visibile e l’invisibile, il materiale e l’immateriale e tutto ha fatto in modo imperativo per mezzo della sua onnipotenza, essendo il Signore di tutto. Ma l’uomo, Egli lo fece con le Sue mani. Voleva fare una copia del prototipo. Mentre tutto, come ho detto, è stato costruito in maniera imperativa, per comando, anche gli angeli. Vedi che crea l’uomo con le sue stesse mani, ne è orgoglioso, gli dimostra di averlo fatto a “sua immagine e somiglianza” e quindi creato ricettivo di tutte le qualità divine. Ma ha dato un ordine? Non c’era bisogno di un ordine, e voglio che tu stia attento a questo. Certamente, Dio ha dato un ordine ad Adamo di custodire l’obbedienza e la sottomissione all’autorità, al suo Capo, a suo Padre e di non mangiare del frutto proibito che genera morte e decomposizione. Non erano ordini impartiti in maniera imperativa come quelli che usa un superiore per rivolgersi ai suoi subordinati. Sii attento a ciò perché sono il fondamento sia della nostra catastrofe ma anche del nostro ritorno, qualora volessimo cercarlo. Tutto ha una causa, e come tale ogni cosa è stata prodotta da una causa prima e non possono reggersi o sopravvivere se non sono in rapporto continuo con la causa prima. Ad esempio, pensa ai rami che crescono da un bellissimo albero. Se tagliamo questi rami e poi li mettiamo in acqua e aggiungiamo anche del fertilizzante, non possono sopravvivere. Una volta che hanno abbandonato il tronco è impossibile per loro sopravvivere. Pertanto, l’obbedienza e la sottomissione di tutti gli esseri che sono stati creati dalla bontà divina dovrebbero esistere in una forma pratica per possedere il potere dell’essere e dell’esistenza. Altrimenti è impossibile… e attenzione è importante tutto ciò.

Il Diavolo che fu la prima causa del nostro perderci, poiché apostatò da Dio per diventare un dio a sé stante, fu subito distrutto del tutto senza speranza di ritorno. Poi, per odio, inganna l’uomo nella sua inesperienza. L’uomo fu ingannato e ascoltò ciò che gli disse il diavolo. Subito, è stato escluso dalla sua Causa. Di conseguenza, l’uomo cade, perde la sua personalità ed è esiliato nella terra del decadimento, della morte, della perdita e di tutti gli altri mali che ci circondano. Tutto questo è il risultato della disobbedienza.

La causa pratica era l’egoismo poiché era stato ingannato dal diavolo che gli disse che poteva diventare dio senza Dio. La seconda causa era l’egocentrismo, una sensualità tale che lo portò a mangiare di ciò che gli piaceva. Tutto questo egoismo ed egocentrismo sono le cause della distruzione, la radice della caduta dell'[intero] universo.

Il nostro misericordiosissimo Dio e Padre, dopo la nostra apostasia, avrebbe potuto prendere una manciata di terra e soffiare di nuovo in essa per fare un altro uomo. Ma questo non avrebbe manifestato il suo affetto e la sua capacità paterna. Lui non lo fa!

Decide invece di venire Lui stesso, di far ritornare in Sé stesso ciò che ha creato con le sue stesse mani, e dargli ciò che gli aveva promesso fin dall’inizio.

Questa è la ragione dell’Incarnazione del Verbo divino. Dio stesso doveva venire, il Creatore, per ristabilire l’equilibrio. Non in modo imperativo, ma paterno. Come vedi, per raggiungere questo obiettivo, ha dovuto comunicare ontologicamente con l’ipostasi umana.

Tuttavia, non poteva comunicare con l’ipostasi umana poiché ci trovavamo nella legge del decadimento e della morte. Per questo decide e prepara in anticipo la sua figlia Santissima, la sua stessa Madre. Fin da piccola, l’ha portata nel Santo dei Santi e lì gli angeli si sono presi cura di lei.

E Lei non solo non ha mai commesso, ma non ha mai considerato una cosa malvagia. Dentro l’immensità della sua purezza, questa figlia Santissima divenne la ragione per cui Dio accettò di entrare in Lei, per ricevere dalla sua purezza l’uomo nuovo e non quello decaduto.

E Lui venne e prese dalla sua Madre Santissima, dalle sue viscere interiori, dalla limpidezza della sua purezza; prese dall’Onorevole e Santissimo sangue, all’inizio della sua ipostasi, si incarnò e cominciò a plasmare la sua forma di uomo. Ma attenzione al candore di questa figlia e a quanto la società le deve. Questa figlia, piena di Grazia.

Per cooperare fino in fondo, il Dio Onnipotente, quando ha deciso di fare questo, si è degnato di chiedere alla figlia se lo desiderasse… il Dio onnipotente, Colui che si è preso cura di lei dentro il Santo dei Santi e l’ha custodita lì solo per questo Motivo. Eppure, non interviene senza chiederle il permesso, affinché possa dimostrare anche la correttezza del ritorno e la sapienza di Dio.

Allora l’angelo le disse: “Ora diventerai Madre e partorirai il Figlio di Dio”. E lei chiese: “Come è possibile visto che sono Vergine?”

L’angelo le rispose: “Verrà un Angelo del Signore e porterà in te la Grazia dello Spirito Santo e ciò che accadrà sarà causato da Dio stesso, che si incarnerà”.

E poi la bambina disse: “Accetto. Avvenga così; sia fatta la sua volontà!”. Sii attento alla precisione! E così Dio riceve la natura umana. “Riceve la natura” nel senso della purezza che è alla base dell’ethos che è il centro della personalità umana e di tutti gli esseri razionali. Custodisce sua Madre, una Vergine, così come l’ha ricevuta, rimane puro e vergine e non ha minimamente comunicato con il decadimento e la caduta per poter diventare il rinnovatore e il “rigeneratore”. Ebbe comunione con la legge del decadimento? Come avrebbe potuto creare l’incorruttibilità?

Per la nostra salvezza, ha sofferto questa prova inimmaginabile che è impossibile descrivere, non nel mondo presente, ma anche nell’infinità della totalità. La Kenosis del Dio-Verbo, l’Incarnazione del Dio-Verbo.

Dio, come crediamo, è la Santissima Trinità. Egli è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Ha tre ipostasi ma una natura. Un’ipostasi di questi Tre doveva assumersi questo compito e nessun altro era appropriato per questo se non il Figlio. Colui che era chiamato Figlio, il Figlio del Padre, doveva diventare il Figlio dell’Uomo affinché l’ipostasi rimanesse la stessa. Essere un Figlio di Dio e un Figlio dell’Uomo, cioè un uomo.

Guarda questa purezza, questa ragazza con tanto candore stende le mani per ricevere dalla destra del Dio e Padre, il Dio-Verbo. Quello che non è conforme alla natura. Impone le mani alla ragazza, lo prende e lo mette nel suo seno perché possa ricevere la natura umana. Non dimentichiamo queste cose, fratelli miei! Perché per la nostra rigenerazione e salvezza, sono accadute!

Ma poiché la causa della catastrofe era l’egoismo e l’egocentrismo dell’uomo, il Dio-Verbo deve assumere il suo ruolo, affrontare la catastrofe, battere e sradicare il logocentrismo e l’egoismo. E questa è la ragione delle sue Santissime passioni.

Condiscende alla crocifissione, al dolore, alla sofferenza per sradicare la radice del piacere che l’uomo nella sua disobbedienza ha creato. Assume la veste degli umili… come posso esprimerlo a parole…

Quando tutta la creazione – ciò che non si può descrivere – è Lui che la governa e la comanda, è costretto a farsi umile nel cuore e non solo nell’apparenza per sradicare l’egoismo umano, per ristabilire l’equilibrio… mistero dei misteri.

Questa è la nostra radice, fratelli miei. Per questo, ora, noi cristiani che siamo stati attratti da Lui nella sua conoscenza, non abbiamo il diritto di esprimere un altro giudizio. Dice: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga…”. Ma per quelli che avevano una disposizione superiore a seguirlo genuinamente, quelli che avevano la forza di negare la loro partecipazione alla società in modo da potersi liberare dalle cause. Sono la parte dei monaci, per questo i monaci non li elegge in qualche modo nella somma della natura umana ma dice “Nessuno viene a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato”.

Coloro che avevano la forza, la volontà di negare la società in quanto non necessaria, ma di amare Dio in quanto sono obbligati perché questo è il primo e principale comandamento. Amare Dio con tutta la loro anima, tutto il loro cuore e la loro mente come Lui ci ha amati e ha sacrificato suo Figlio per la nostra salvezza. Le anime elette che hanno avuto il potere di negare la società non perché la società sia in sé colpevole, ma piuttosto perché, dopo la caduta, dopo il decadimento, la società pervertita, non si regge bene. Quindi chi vuole diventare puro di cuore come Dio vuole che sia e come Dio lo ha creato, deve evitare le cause.

Con la nostra caduta e la perdita della “sua immagine e somiglianza”, ci siamo pervertiti, e ora l’uomo è vittima dell’influenza. Paolo lo descrive “[…], ma io sono carnale, venduto sotto il peccato”. Dice che vedo il bene e lo preferisco, ma non posso farlo. Il male che cerco di evitare mi preme. Descrive il modo in cui funziona la perversione.

Dopo che l’uomo è diventato vittima dell’influenza, la porta si è aperta e così il demone pernicioso la usa come base della caduta, per poter combattere l’uomo. Coloro che sono stati attratti da Cristo e hanno lasciato la società, l’hanno sentito solo nella loro ipostasi biologica. Un uomo ha bisogno di tre cose: un piatto di cibo, vestiti e una casa in cui vivere. Questa è la sana conquista universale che riporterà l’uomo all’equilibrio. Nella società, invece, questo principio non è possibile applicarlo, perché all’interno della società, dove nascono le persone, bisogna prendersi cura di più bisogni. Questi bisogni e preoccupazioni aprono la porta al diavolo perché possa provocare scandali e ostacolare la salvezza. Costoro, che furono chiamati da Dio, tutto rifiutarono perché capirono che tutto ciò non era necessario. Partirono lontano, rifiutarono persino la loro personalità e ad essi resta un solo scopo… di orientare il cuore e la mente verso l’amore divino e verso l’osservanza accurata dei suoi comandamenti poiché li ha inclusi nella parte dei Santi affinché diventino eredi delle promesse divine. “Ma a quanti lo hanno accolto, a loro ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome”. Quindi, coloro che custodiranno la volontà divina – nella sua pienezza – hanno diritto a questa promessa.

I monaci, però, perché hanno una maggiore facilità grazie al fatto che hanno negato tutto e non ci sono ragioni perché il diavolo li inciti, sono organizzati, hanno poco cibo, un vestito da indossare, una stanza per dormire e non hanno altre preoccupazioni. Si preoccupano solo quando hanno un surplus di amore e solidarietà. Per questo comunicano con coloro che vogliono beneficiare spiritualmente ed essere salvati. Custodiscono la Verità del Vangelo fino all’ultimo dettaglio; insegnano la via pratica del pentimento e del ritorno e conservano e contengono la continuità della chiesa e la rivelazione fino a quel giorno. E la cosa più vicina è la morte. Tutti marciano verso la morte, volenti o nolenti. La morte non ha tempo. È vicina sin dall’infanzia e arriva quando vuole. Ma non c’è morte per l’uomo. Chi è “a sua immagine e somiglianza” non può morire. Il corpo morirà, lo lasceremo qui per un po’ di tempo e poi lo riprenderemo e ci presenteremo al Tribunale, il Grande Giudizio, in modo che Colui che non solo ci ha creati, ma ci ha anche comprato con il proprio sangue, ha pagato per la nostra tolleranza del peccato con il Suo stesso sangue, ci chiederà: “Hai fatto qualcosa per Me? Hai apprezzato l’amore che ti ho mostrato?”. Il processo si svolgerà lì. Lì saremo chiamati a dimostrare che lo abbiamo amato con gli atti o, anche se non siamo riusciti così, siamo comunque riusciti a cancellare i nostri peccati attraverso il pentimento, così di nuovo ci accetta.

Guarda che amore senza confini! Noi l’abbiamo tradito, l’abbiamo rinnegato, l’abbiamo rattristato e sempre siamo rimasti ai margini dell’ignoranza e dell’ingratitudine; Egli ancora non cambia la sua natura paterna. Lui va più in basso e ci dà il pentimento come se dicesse: “Va bene, se non hai onorato ciò che hai promesso durante il tuo Battesimo, chiedi almeno perdono dei tuoi errori e io ti perdonerò”. Questo si chiama pentimento. Naturalmente, il pentimento è molto più di quello che ho brevemente detto.

Tuttavia, il pentimento è un dovere assoluto, tanto più necessario e applicabile a voi, nostri fratelli che vivete nel mondo e non potete evitare le cause [del peccato]. Soprattutto, oggi, nel nostro secolo, assistiamo a una tale perversione e decadimento legati alla personalità umana che non sono mai esistiti prima nella storia umana. I motivi sono tanti. Per questo, ti prego, nel tuo amore, custodisci con tutte le tue forze il pentimento e rendi grazie a Dio che ci ha rattristato affinché nel Giorno della Giustizia possiamo dire “anche se non abbiamo mantenuto ciò che ci hai chiesto, almeno, abbiamo chiesto perdono attraverso il nostro pentimento in modo che tu possa perdonarci”.

Ora mi rivolgo a noi, monaci. Noi monaci abbiamo come scopo e punto di partenza della nostra esistenza il pensiero e la contemplazione della nostra origine. Nessun atto può aver luogo prima di essere pianificato. Uno vuole avviare un’impresa; pianifica in anticipo. Ha in mente il luogo, i mezzi, le entrate attese e in base a tutto questo, parte. Lo stesso vale per la scala spirituale. Siamo stati chiamati qui, siamo stati attratti dall’amore divino, ma Dio non ci ha tolto la nostra libertà. Siamo liberi di sottometterci, se lo desideriamo, per fare come Lui ci ha chiesto e Lui ci restituirà anche più di quello che chiediamo o pensiamo. Per questo, ora siamo seduti qui, iniziamo dall’obbedienza e dalla sottomissione. Iniziamo con il sacrificio di noi stessi, attenuando la nostra volontà e opinione. Chiediamo alla conoscenza divina di avvicinarsi a noi e illuminare la nostra mente.

Oltre a questo, abbiamo al nostro fianco i milioni di Santi, che hanno copiato con precisione matematica il nostro Padre, il nostro Salvatore e sono riusciti a santificarsi. Chi può dire oggi che il cristianesimo è irraggiungibile? Quando milioni di eroi che si sono sacrificati, che hanno subito il martirio, sono riusciti a respingere la perversione, il delitto, la menzogna, la disonestà, l’ingiustizia. ‘E preferì l’amore e la prudenza e raggiunse la santificazione’. Fratelli miei, questa è la realtà. Abbiamo persone simili anche ai nostri giorni. Non solo in passato, anche ai giorni nostri. Abbiamo tra noi tali persone che sono portatrici della promessa divina, che comunicano con Dio, partecipi delle promesse divine, partecipi della conoscenza di Dio e attendono la morte con desiderio. Facciamo in modo che i legami si ritirino e torneremo nella nostra patria dove il nostro Signore ha preparato la nostra casa. Dice: ‘vado a prepararti un posto e di nuovo tornerò a prenderti perché dove sono io tu possa essere con me’. Tutto ciò travolge l’ideologia monastica ed i monaci negano la vanità del mondo perché non è necessaria, hanno solo bisogno dell’ipostasi biologica.

Ve lo chiedo, specialmente ai più grandi, che vivono ancora nel mondo. Cosa hai guadagnato fino ad ora nel caos della confusione del mondo? Quando la promessa divina testimonia che andremo in Paradiso per incontrare i Santi e gli angeli ci accoglieranno. Colui che vive nel mondo è riuscito a sperimentarlo? Per questo i monaci hanno negato la società perché lì si trovano le cause [del peccato]. Lontani da queste cause, qui, in questo luogo, si dedicano con tutto il cuore all’amore di Cristo e del prossimo e si fanno partecipi delle promesse divine.

Questo avviene oggi, non solo nel passato. Per favore perdonami perché la mia salute non mi permette molte cose ma per l’impulso della legge dell’amore, volevo ricordarti alcune lezioni necessarie. Perché, fratelli miei, domani c’è la morte. La morte ha un calendario. Inizia dall’infanzia e va avanti. Per i piccoli ed i grandi, i primi e gli ultimi, arriverà la morte. Dopo la morte, però, l’uomo non muore come abbiamo detto. Abbandoneremo il corpo per un po’. Ma nella risurrezione lo riavremo intatto e vivo e insieme alla nostra anima marceremo verso la Corte. Abbiamo dimostrato amore e fede a Colui che è stato sgozzato, che è stato crocifisso per comprarci con il suo sangue e ci ha mostrato – in modo concreto – la via del ritorno?

Questo è il nostro dovere, fratelli. Per questo, vi prego, nel Suo amore, che tutti noi con nuove decisioni ci troviamo pronti con vero pentimento a convincere la misericordia del nostro Dio che chiediamo perdono per i nostri errori e abbiamo preso la decisione da questo momento in poi di negare la perversione e salvaguardare l’equilibrio della dignità. 

Amen!




San Leone Magno: OMELIA XCVI – L’eresia eutichiana.

OMELIA XCVI

L’eresia eutichiana.

1. Come è compito dei medici veramente valenti prevenire, o miei cari, con rimedi opportuni le alterazioni proprie dell’infermità umana, ed indicare il modo con cui evitare quanto è dannoso alla salute, così rientra nei doveri pastorali impedire che la perversità delle eresie nuoccia al gregge del Signore, e dimostrare altresì come ci si debba guardare dalla malvagità dei lupi e dei ladroni. Di fatto mai l’empietà degli eretici è riuscita a nascondersi: i nostri santi Padri l’hanno sempre scoperta e giustamente condannata.

Così non è sfuggito al nostro zelo, che dedichiamo alla vostra carità, il fatto che certi Egiziani, per lo più mercanti venuti a Roma, vanno sostenendo delle idee già empiamente diffuse dagli eretici ad Alessandria. Essi dicono che in Cristo c’era soltanto la natura divina, mentre l’umana carne, presa dalla beata Vergine Maria, non avrebbe avuto alcuna reale consistenza: dottrina questa veramente empia, perché presenta Cristo come falso uomo e, in quanto Dio, lo fa passibile1. Riguardo poi allo spirito e alle finalità, che animano la loro audacia, non ci possono esser dubbi per noi: dopo essersi personalmente allontanati dalla verità evangelica, per seguire le menzogne del demonio, essi intendono attirare anche gli altri e farli compagni della loro perdizione.

È per questo che noi con sollecitudine insieme paterna e fraterna vi avvertiamo di non seguire, escludiamo qualsiasi forma di adesione, questi avversari della fede cattolica, nemici della Chiesa, negatori dell’incarnazione del Signore, oppositori del Simbolo stabilito dai santi Apostoli, perché appunto dice l’Apostolo: «Allontana da te, dopo un primo e un secondo ammonimento, l’uomo che provoca scissioni, ben sapendo che chi è tale è un perverso e un peccatore che si condanna da sé stesso». (Tito, 3,10-11)

2. Effettivamente si rovina per la sua stessa ostinazione e si stacca con un atto pazzesco da Cristo, chi aderisce a quella dottrina empia, dalla quale pur sa che in passato molti altri sono stati rovinati, e ritiene cosa perfettamente ortodossa quel che pur gli risulta essere stato formalmente condannato dai santi Padri sia nelle perfide teorie di Fotino, sia nelle folli asserzioni di Mani, sia nei dogmi insensati di Apollinare2: coloro cioè che negano il mistero dell’incarnazione del Signore, non fanno che accettare con grave danno della loro anima un errore sacrilego, come se fosse qualcosa di nuovo e non ancora condannato. Ma che altro ci insegna la lettura di tutto il Vangelo, se non che proprio per questo mistero della divina misericordia è avvenuta, in quelli che credono, la salvezza del genere umano? Il Figlio unigenito di Dio — essa ci insegna — eguale in tutto al Padre, ha assunto la nostra natura, e rimanendo quel che era, si è degnato di essere quel che non era, cioè vero uomo pur essendo vero Dio; egli ha unito a se stesso, senza contrarre macchia alcuna di peccato, la nostra natura nella sua integrità e perfezione, e quindi con un vero corpo ed una vera anima; concepito per opera dello Spirito Santo nel seno della santa Vergine, sua madre, non ha rifiutato di venir alla luce attraverso il suo parto e di passare per i primi gradi propri dell’infanzia. Così il Verbo di Dio Padre proclamava con la potenza della sua divinità ed insieme con la debolezza della sua carne che c’era realmente in lui la natura umana: con il suo corpo era in grado di porre azioni corporee, con la sua divinità era in grado di operare prodigi spirituali.

Difatti è proprio dell’uomo aver fame, aver sete e dormire; è proprio dell’uomo temere, piangere, rattristarsi; è proprio dell’uomo infine esser crocifisso, morire ed esser seppellito. Ma è proprio di Dio camminare sopra le onde, cambiare l’acqua in vino, risuscitare i morti, far tremare il mondo al momento della propria morte ed elevarsi al di sopra di tutti i cieli con la propria carne, ritornata alla vita. Quelli dunque che credono a tutto questo, non possono aver dubbi su ciò che rispettivamente va ascritto all’umanità o attribuito alla divinità, in quanto nell’uno e l’altro principio uno solo è il Cristo, che come non ha perduto la sua potenza divina, così nascendo ha assunto la vera realtà di un uomo perfetto.

3. Queste persone di cui stiamo parlando, o miei cari, dovete dunque — come si evita un veleno mortale — evitarle, detestarle, sfuggirle, astenendovi anche, se dopo le vostre riprensioni rifiutano di correggersi, dal parlare con loro, perché sta scritto: «La loro parola rode come la cancrena» (2 Tim., 2, 17). Non si può infatti accordare rapporto alcuno di comunione a coloro, che una giusta sentenza ha messo fuori dall’unità della Chiesa: essi non per nostro odio, ma per i loro crimini l’hanno perduta!

Quanto a voi, che siete prediletti da Dio ed oggetto di un riconoscimento apostolico che vale una testimonianza, voi a cui l’apostolo san Paolo, il dottore delle genti, dice: «Perché la vostra fede è proclamata in tutto quanto il mondo» (Rom 1,8), dovete sempre mantenere inalterato quel giudizio, che sapete aver avuto di voi un predicatore tanto autorevole. Nessuno di voi diventi indegno di questa lode, sicché, come in tanti secoli grazie all’ispirazione superiore dello Spirito Santo nessuna eresia vi ha mai contaminato, neppure il contagio dell’empietà di Eutiche possa ora macchiarvi.

Nutriamo fiducia che la protezione di Dio custodirà il vostro cuore e la vostra fede: come finora gli avete fedelmente obbedito, così, perseverando nell’osservanza della fede cattolica, per sempre gli piacerete, per il Cristo nostro Signore.

Amen.

1. L’eresia, a cui si allude, è il monofisismo, che affermava l’esistenza di una sola natura nel Cristo. È dunque la dottrina stessa di Eutiche, di cui tratta l’Omilia.

2. L’idea generale di questo passo è che nel monofisismo di Eutiche riappaiono in parte gli elementi di eresie precedenti, in particolare la perfidia di Fotino, la dementia di Mani, la insania di Apollinare.




P. Seraphim Rose: Lettera ad un cercatore spirituale

Cercatore spirituale

[OW 187-188, p. 117; scritto “verso la fine della sua vita”, forse una lettera scritta a mano a p. Damasceno]

… accadde così che René Guénon è stato l’influenza principale nella formazione della mia prospettiva intellettuale (a prescindere dalla questione del cristianesimo ortodosso). Ho letto e studiato con entusiasmo tutti i suoi libri che sono riuscito a procurarmi; attraverso la sua influenza ho studiato l’antica lingua cinese e ho deciso di fare per la tradizione cinese quello che aveva fatto lui per l’indù; ho anche potuto incontrare e studiare con un autentico rappresentante della tradizione cinese e ho capito benissimo così cosa si intende per differenza tra insegnanti autentici e semplici “professori” che insegnano nelle università.
René Guénon mi ha insegnato a cercare e ad amare la Verità sopra ogni altra cosa e ad essere insoddisfatto di qualsiasi altra cosa; questo è ciò che alla fine mi ha portato alla Chiesa ortodossa. Forse una parola della mia esperienza ti sarà d’aiuto.

Per anni nei miei studi mi sono accontentato di essere “al di sopra di tutte le tradizioni” ma in qualche modo fedele ad esse; ho solo approfondito la tradizione cinese perché nessuno l’aveva presentata in Occidente da un punto di vista pienamente tradizionale. Quando ho visitato una chiesa ortodossa, è stato solo per vedere un’altra “tradizione”, sapendo che Guénon (e uno dei suoi discepoli) aveva descritto l’Ortodossia come la più autentica delle tradizioni cristiane.

Tuttavia, quando sono entrato per la prima volta in una chiesa ortodossa (una chiesa russa a San Francisco), mi è successo qualcosa che non avevo sperimentato in nessun tempio buddista o orientale: qualcosa nel mio cuore diceva che questa è “casa”, che tutta la mia ricerca era finita. Non sapevo davvero cosa significasse, perché il servizio era piuttosto strano per me e in una lingua straniera. Ho iniziato a frequentare le funzioni ortodosse più frequentemente, imparando gradualmente la sua lingua e i suoi costumi, ma conservando ancora tutte le mie idee guenoniane di base su tutte le autentiche tradizioni spirituali.

Con la mia esposizione all’Ortodossia e agli ortodossi, tuttavia, una nuova idea ha cominciato a entrare nella mia consapevolezza: che la verità non era solo un’idea astratta, cercata e conosciuta dalla mente, ma era qualcosa di personale – anche una Persona – cercata e amata dal cuore. Ed è così che ho incontrato Cristo. Ora sono grato che il mio approccio all’Ortodossia abbia richiesto diversi anni e non abbia avuto nulla di eccitazione emotiva al riguardo – questa è stata di nuovo l’influenza di Guénon e mi ha aiutato ad approfondire l’Ortodossia senza gli alti e bassi che alcuni convertiti incontrano quando non sono troppo pronti per qualcosa di così profondo come l’Ortodossia. Il mio ingresso nella Chiesa ortodossa è avvenuto proprio nel momento in cui ho lasciato il mondo accademico e rinunciato al tentativo di comunicare la tradizione cinese al mondo occidentale. Anche il mio insegnante di cinese ha lasciato San Francisco poco prima – il mio unico vero contatto con la tradizione cinese – e alla maniera di Guénon è scomparso del tutto, senza lasciare indirizzo. Lo ricordo con affetto, ma dopo essere diventato ortodosso ho visto quanto fosse limitato il suo insegnamento: l’insegnamento spirituale cinese, ha detto, sarebbe scomparso del tutto dal mondo se il comunismo fosse durato altri dieci o vent’anni in Cina. Questa tradizione era così fragile – ma il cristianesimo ortodosso che avevo scoperto sarebbe sopravvissuto a tutto e sarebbe durato fino alla fine del mondo – perché non era semplicemente tramandato di generazione in generazione, come lo sono tutte le tradizioni; ma è stato nello stesso tempo donato da Dio all’uomo. 

Ripenso con affetto a René Guénon come il mio primo vero istruttore nella Verità e prego solo che tu prenda ciò che è buono da lui e non lasci che i suoi limiti ti incatenino. Anche psicologicamente; la “saggezza orientale” non è per noi che siamo carne e ossa dell’Occidente. Il cristianesimo ortodosso è chiaramente la tradizione che ci è stata data e può essere chiaramente vista nell’Europa occidentale dei primi dieci secoli, prima dell’allontanamento di Roma dall’Ortodossia. Ma accade anche che l’Ortodossia non sia semplicemente una “tradizione” come le altre, una “trasmissione” di saggezza spirituale dal passato: è la verità di Dio qui e ora: ci dà un contatto immediato con Dio come nessun’altra tradizione può fare. Ci sono molte verità nelle altre tradizioni, sia quelle tramandate da un passato in cui gli uomini erano più vicini a Dio, sia quelle scoperte fatte da uomini dotati nei meandri della mente, ma la piena Verità è solo nel Cristianesimo, la rivelazione di Dio di Sé all’umanità. Prenderò solo un esempio: ci sono insegnamenti sull’inganno spirituale in altre tradizioni, ma nessuno così raffinato come quelli insegnati dai Santi Padri ortodossi, e, cosa più importante, questi inganni del maligno e della nostra natura decaduta sono così onnipresenti e così completi che nessuno potrebbe sfuggirli a meno che il Dio amorevole rivelato dal cristianesimo non fosse vicino a liberarci da loro. Allo stesso modo, la tradizione indù insegna molte cose vere sulla fine del Kali Yuga ma chi si limita a conoscere queste verità nella mente non sarà in grado di resistere alle tentazioni di quei tempi e molti che riconoscono l’Anticristo (Chalmakubi) quando verrà lo adoreranno nondimeno; solo il potere di Cristo dato al cuore avrà forza per resistergli.

Prego per te che Dio apra il tuo cuore e che tu stesso faccia quello che puoi per incontrarLo. Troverai lì la felicità che non hai mai sognato essere possibile prima; il tuo cuore si unirà alla tua testa nel riconoscere il vero Dio e nessuna vera verità che tu abbia mai conosciuto andrà perduta. Che Dio lo conceda!

Sentiti libero di scrivere qualunque cosa ti venga in mente o nel cuore.

Con affetto,

p. Seraphim




IL MONACO ORTODOSSO

“Il monaco sa di non essere “produttivo”. Ha imparato dalla nostra tradizione che esiste un’inattività che si trova al di sopra di ogni attività. Il monaco non fa assolutamente “nulla”, misurato con criteri mondani. E con questo “nulla” risuscita nuovi mondi”

IL MONACO ORTODOSSO *

Un Padre del deserto era solito affermare: «Non sono monaco, ma ho visto veri monaci». (…) Sulla base di quanto ho visto, cercherò di spiegare brevemente cos’è un monaco ortodosso e quale profonda relazione ci leghi tutti alla vita liturgica dei monasteri e alle esperienze personali dei santi asceti. Il Signore non è venuto nel mondo per migliorare semplicemente le condizioni della vita presente, non è venuto per proporre un qualche sistema economico o politico, né per insegnarci un qualche metodo che ci consenta di ottenere un equilibrio psicosomatico. E’ venuto per vincere la morte e portare la vita eterna. «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 316) (…)

Ciò che ha l’uomo e ha valore non sono tanto le sue capacità fisiche e intellettuali ma il fatto che egli può diventar partecipe della risurrezione di Cristo, che può morire e viver fin da oggi la vita eterna: «Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,25) (…)

La vita del monaco è una perdita e un ritrovamento. Monaco ortodosso non è semplicemente il «mistico». Non è colui che con una determinata dieta o tecnica è giunto ad un alto livello di autodominio e a prodezze di tipo. ascetico. Queste cose, da sole, sono conquiste dell’eone presente, insignificanti e incapaci di vincere – per il monaco e per i suoi fratelli – la morte. Vero monaco ortodosso è il risorto.

Egli non ha quale missione di fare qualcosa con i suoi ragionamenti o di organizzare qualcosa con le sue capacità ma di testimoniare con la sua vita che la morte è stata vinta. E ciò si verifica quando egli stesso si seppellisce come il seme nella terra. Per questo – secondo quanto viene citato nel libro dei detti dei Padri del deserto – quando un giovane monaco riferisce allo iéronda: «Noto che il mio intelletto si trova continuamente in Dio» l’anziano gli dice: «Non è grande impresa il fatto che il tuo intelletto si trovi in Dio; ciò che invece ha importanza è considerare te stesso al di sotto di tutta la creazione» …

Nell’università del deserto – così i Padri hanno chiamato il monachesimo – gli asceti non “imparano” ma “patiscono” e cose divine. Non affaticano la loro mente o il loro corpo, ma sacrificano interamente se stessi. «Se non avessi demolito tutto, non avrei potuto costruire me stesso». Vero monaco è chi è risorto dai morti, chi è un’icona del Cristo risorto (…)

In un modo particolare egli si occupa di tutto e di nulla. E “separato da tutto e unito a tutto”. Il concetto di specializzazione gli è estraneo per natura. Non è specializzato in qualcosa, né qualcos’altro lo lascia indifferente. Gli interessa tutto…

Un monaco scriveva «Non è mio lavoro costruire e tinteggiare case. Nemmeno leggere e scrivere. Qual’è la mia missione? Se possibile, morire in Dio. Allora vivo e mi muovo a opera di un’altra Potenza. Posso in tal modo, liberamente fare tutto (zappare, organizzare, leggere, scrivere) senza legarmi a nulla. Posso passare attraverso tutto – debbo passare – perseguendo sempre con tranquillità ciò che è uno ed unico. Devo lasciare tutto, tutte le divagazioni’ mi attraversino, liberamente, in attesa di quell’uno che dà valore a ogni cosa.

Quando costruisci per costruire edifichi il tuo sepolcro. Quando scrivi per scrivere, tessi il tuo lenzuolo funebre. Quando vivi e respiri cercando la misericordia di Dio, allora attorno a te si intesse una veste di incorruttibilità e dentro di te freme la dolcezza di una consolazione celeste. Costruire o scrivere risulta assai secondario». Il monaco non ha quale scopo di vita di pervenire a un’autoconcentrazione o a un progresso individuali, ma di servire – il mistero della salvezza con il fatto di vivere non per se stesso – ma per Colui che è morto e risorto per noi. E per tutti i Suoi fratelli. Tale meta viene attinta perché il monaco vive non come vuole lui, ma come detta la Chiesa….

L’intera nostra vita ruota attorno a Dio. Il nostro tempo, la nostra occupazione è Lui. La nostra resistenza fisica e il nostro primo pensiero sono rivolti a Lui. L’ufficiatura, la meditazione, la preghiera, costituiscono il senso della lotta ed il polo attorno a cui ci muoviamo….

Ogni consolazione e grazia viene data all’Ortodossia e al suo monachesimo attraverso la morte. Consolazione è il superamento della morte, in ogni forma di vita.

Possiamo renderci conto di questo anche nelle grandi ufficiature monastiche, nei digiuni, in tutti i mezzi di ascesi. E’ dura l’Ortodossia? E’ severa? Supera la resistenza dell’uomo? Dall’esterno appare così. Così è in parte anche nella essenza («Monaco è violenza della natura», afferma San Giovanni Climaco). Solo che non è mai priva di speranza, quanto dura possa sembrare. Non è mai soffocante e innaturale, per quanto buia possa presentarsi.

Perché, alla fine dalla molta fatica, dall’ascesi, dalla veglia – realtà che superano, spesso, la resistenza umana – spunta un germoglio nuovo, incorruttibile, immarcescibile che un frutto centuplicato E allora proclami beate le fatiche e le sofferenze…

I veri monaci giungono alla fine ad accogliere con riconoscenza e di buon grado la tribolazione e la sofferenza, o il disprezzo e l’umiliazione da parte degli uomini perché così vengono affrancati dalle consolazioni ingannevoli di questo mondo e diventano partecipi, fin da oggi, della gloria eterna del Signore….

Non appartengono a quanti si sono convertiti ma a quanti si convertono. L’invito “convertitevi” del Signore non viene inteso con “convertitevi una volta”, nè significa “convertirsi ogni tanto (forse inizia così); significa invece che la tua vita diviene conversione. Che esiste dentro di te un perpetuo atteggiamento di conversione e contrizione. Che nessuno parla, pensa, qualcosa fuori del clima e dell’ethos della contrizione. Che quest’ultima impregna l’esistenza di ognuno. Celebrare ogni momento il mistero della conversione della contrizione, del venire rialzati dall’altra Potenza. Sentire ogni momento che, caduto, sei risollevato da Lui. Sentire che tu sei caduta e Lui risurrezione. Sei non-essere e Lui è l’essere. E per la sua misericordia sconfinata ti ha portato all’essere; caduto, ti ha fatto risorgere e ti fa risorgere incessantemente… Vivono senza posa la “morte vivificante”, la “radiosa tristezza”….

L’uomo può trovare se stesso nelle sue vere dimensioni solo se perduto per Dio e per l’altro (il fratello). «Chi perderà troverà». Solo così si ricostruisce dentro di lui la magnificenza teantropica e sconfinata dell’uomo. Solo così possiamo sentire colte le fondamenta su cui l’uomo si regge non vengano mai scosse. Le fondamenta sono la morte, l’estinzione La realtà antropologica entro cui vive continuamente l’uomo nuovo è la grazia che abbraccia ogni cosa…

Con tutta la loro vita di ascesi e ritiro, essi non si sono allontanati dall’uomo: vi hanno fatto invece ritorno. Hanno abbracciato tutti gli uomini e i loro dolori. Sono diventati veri uomini. Il progresso monastico non dipende da quanto il monaco ha digiunato tribolato, ma da quanto, con l’intera sua ascesi, e divenuto partecipe della grazia del Paraclito (cioè lo Spirito Santo), ha trovato lui stesso riposo e si è fatto riposo per l’uomo suo fratello.

I monaci di una fraternità pensavano di superare in virtù gli altri monaci perché facevano più digiuni e le loro ufficiature erano più lunghe. Su tale argomento un vecchio iéronda (cioè una figura venerabile del monachesimo ortodosso) si espresse così: «Non ditemi quanto digiunano o quanto durata loro ufficiatura. Un’altra è la cosa che mi interessa. Può uno di loro – anche il più perfetto – capire l’uomo stanco di oggi, dare un conforto all’afflitto? Può liberare chi è stretto nelle macchinazioni del diavolo? Se fa questo, se è in grado di dar riposo al fratello, di fargli amare la vita, di farlo gioire ed essere grato a Dio, sarà tutto ciò a dimostrare i progressi spirituali compiuti da un tale monaco» …

(Il monaco ortodosso) ha un’altra concezione della vita, del mondo, delle distanze. Non ha esistenza nel mondo, e nel contempo lo ricapitola, organizza, riunifica («Con le tue preghiere hai sostenuto l’ecumene»).

È uscito dalla mischia. Se cerchi di colpirlo, i tuoi dardi non lo trovano. E’ inesistente per essi. Se lo cerchi, dovunque tu sia, lo hai accanto a te. Vive solo per te…

Non organizza in modo umano. Aiuta ciascuno a trovare se stesso. Aiuta ciascuno ad amare la propria vita, guidandolo fino al cuore della luce che non conosce tramonto…

Ti accorgi che solo ti aiuta con discrezione. Non si intromette brutalmente. Non si impone magicamente. Ti rivela il funzionamento secondo natura del tuo essere. Ti lascia libero. E sei prigioniero della verità, della libertà, dell’unica realtà così com’è …

Davanti a lui hai la percezione di trovarti nel giorno ultimo….Ti trovi innanzi a una teofania, a una vera antropofania. La tua vita assume un’altra dimensione, escatologica. E di un tepore e di una speranza umani si riempiono le realtà escatologiche…

• padre Basilio di Iviron (+ Igumeno aghiorita) in “AA. VV., Voci dal Monte Athos” (Servitum Interlogos – 1993)




L’AMORE, IL MATRIMONIO E LA SESSUALITÀ

di Padre Giovanni Chryssavgis

nato in Australia nel 1958. Ha studiato teologia all’Università di Atene, musica bizantina al Conservatorio greco di musica e ha ottenuto una borsa di studio presso il Seminario teologico “St. Vladimir” (NY), completando poi la sua formazione con un dottorato in studi patristici all’Università di Oxford. La sua ricerca si è specializzata sul pensiero ascetico e la pratica della chiesa primitiva.

I. Amore – Divino e umano

“L’amore, il matrimonio e la sessualità riguardano tutti, perché l’amore è una vocazione per tutti. Come cristiani, crediamo che l’intera creazione sia stata fatta attraverso l’amore. La fonte e la fine di tutte le cose è l’amore, perché la fonte e la fine di tutte le cose è Dio, e “Dio è amore” (1 Giovanni 4: 8, 16).
Anche il male dipende dall’amore. Secondo l’ottimismo di alcuni Padri della Chiesa, nessuno commette un atto malvagio a meno che non creda che ne risulterà qualcosa che ama. Pertanto, l’amore è di origine divina e di natura sacra.
Da una prospettiva umana, non esiste un modo singolare di comprendere il concetto di amore. Trasmette una moltitudine di significati e stati d’animo: dal “fare l’amore”, che può implicare un atto fisico senza amore, all’impegno profondo di una coppia di anziani; dai motivi egoistici, al dono disinteressato; dalla dolcezza di un bambino che tiene per mano i suoi genitori, all’intimità di due amici che si tengono per mano.
Gli esseri umani sono fatti per amarsi e guardarsi l’un l’altro. L’esperienza dell’amore è il cielo e la vita; l’assenza d’amore è l’inferno e la morte. San Macario d’Egitto credeva che l’inferno assomigliasse all’essere legati, schiena contro schiena con un’altra persona, incapace per tutta l’eternità di affrontarla. L’amore spezza le catene della solitudine; abbatte i muri dell’egoismo. L’amore è una forza profonda, un’energia spirituale. Non siamo mai più potenti di quando attraverso l’amore siamo vulnerabili. L’amore scaccia la paura; è più forte della morte.
Apprezzando questa intensità dell’amore, i Padri della Chiesa osano paragonarla all’eros o alla passione. Dionisio l’Areopagita descrive Dio come un “amante maniacale” che protegge con zelo la Sua creazione. L’amore è così potente che una genuina espressione d’amore rivela un’apertura che trasfigura il mondo intero. Guardare negli occhi di un’altra persona con amore è vedere l’anima del mondo intero, è vedere l’immagine stessa di Dio.
Questo tipo di amore è un dono di Dio. Tuttavia, allo stesso tempo, richiede coltivazione e duro lavoro. L’amore richiede tempo e abilità, responsabilità e rispetto. è un atto di estendere me stesso per nutrire un altro, tutto il tempo. La sera della vita, saremo giudicati solo sull’amore. Questo amore è più che semplici sentimenti. È decisione e impegno. Se vuoi amare, devi crearlo e non aspettare che il tuo coniuge te lo offra. Nell’amore e nel matrimonio, Dio ci offre una meravigliosa opportunità di rinascere, di maturare. “Questo è davvero un grande mistero” (Ef 5:32).
La vita è il grande mistero: da vivere, e vivere in abbondanza. E se lavoriamo sull’amore, se coltiviamo l’amore, se abbassiamo la guardia della sfiducia, se facciamo fatica a relazionarci, allora gradualmente noteremo che tutto il mondo cambia e che tutto il mondo è bello. In realtà, certo, saremo noi che saremo cambiati; siamo noi che vediamo le stesse cose con occhi diversi”.

II. Fisicità e spiritualità

Gli autori cristiani fin dai primi tempi si sono sentiti a disagio con l’amore fisico o sessuale. In qualche modo, l’amore fisico è considerato una forma degradata di amore. Alcuni autori affermano che il celibato è superiore all’amore nel matrimonio; altri propongono che l’unico scopo dell’amore fisico sia la procreazione. La fisicità o la sessualità sono state contaminate, considerate impure. Sono visti come contaminanti e vergognosi; le persone sono piene di paura e senso di colpa. La sessualità è vista come un’espressione che ci collega alle forme di vita inferiori, identificate con desideri lussuriosi e istinti animali.
La figura e la teologia di sant’Agostino ha stabilito il modello per il pensiero occidentale su questo argomento fino ad oggi. Di conseguenza, le persone soffrono di una schizofrenia insita in questo aspetto più intimo e personale della vita. Per Agostino la sessualità è il risultato della nostra caduta, Eva è il risultato della defezione di Adamo da Dio; la donna non è creata a immagine di Dio, ma come strumento dell’uomo.
Eppure san Paolo ha chiarito che, divenendo una sola carne (1Cor 6,16), l’uomo e la donna simboleggiano l’unione tra Cristo e la Chiesa. In ogni caso, Cristo non ha mai identificato il peccato con il corpo, ma con ciò che si commette nel cuore (Mt 15,18-19). Per i cristiani “la carne è il cardine della salvezza” (Tertulliano). Quanto è sfortunato, allora, che il cristianesimo – come religione del corpo e della carne, come religione dell’incarnazione – abbia lasciato una cicatrice permanente sul corpo umano.
Non si tratta di fare i conti con il corpo o con la sessualità. Si tratta piuttosto di riconoscerle come legate in modo cruciale agli aspetti più profondi della natura umana. La sessualità non è casuale; piuttosto, è essenziale per la nostra realtà. L’amore sessuale e fisico appartiene al mistero del nostro essere. Questo non vuol dire che la sessualità e la spiritualità siano la stessa cosa. Tuttavia, c’è un’intima corrispondenza tra i due. La negazione dell’uno si riflette nel degrado dell’altro. Senza sessualità non c’è bellezza; senza bellezza non c’è anima; e senza anima non c’è Dio. “Maschio e femmina [Dio] ci creò” (Gen. 1:26). Così ci viene detto subito dopo la creazione di Adamo ed Eva a immagine e somiglianza di Dio. Per i Padri orientali, senza Eva, Adamo era incompleto. “La donna è fatta in piena comunione con l’uomo: condividendo ogni piacere, ogni gioia, ogni bene, ogni dolore, ogni dolore” (San Basilio Magno), “partecipando della stessa grazia divina” (Clemente di Alessandria) Scrivendo esattamente nello stesso periodo come Agostino di Ippona, San Giovanni Crisostomo afferma che “l’amore sessuale non è umano; è di origine divina”.

III. Icona o idolo

“Ora è difficile per una persona prendere coscienza della sessualità (del proprio corpo) senza prendere coscienza della sessualità (dei corpi) di altre persone. E così nell’amore fisico, nell’unione del matrimonio, l’uomo e la donna si offrono l’un l’altro all’immagine di Dio nell’altro. Questo non è dissimile dall’incontro che si verifica nel caso di un’icona. C’è un’arte coinvolta nell’iconografia. Allo stesso modo, c’è un’arte coinvolta nell’amore. L’amore non è semplicemente un atto; è arte. Lo scopo dell’arte dell’amore – come anche dell’iconografia – è trasfigurarsi l’un l’altro, vedersi come la manifestazione dell’Amato divino. Se c’è un posto per le icone nella Chiesa, allora c’è anche un posto per il matrimonio e l’amore sessuale.
Il corpo e l’amore sessuale somigliano a un’icona che apre alla bellezza divina e all’amore divino: “Beato l’uomo che ha ottenuto tale amore e desiderio per Dio come un innamorato folle ha per la sua amata generando fuoco su fuoco, eros su eros, passione per passione, desiderio per desiderio” (San Giovanni Climaco).
Vedere un’altra persona come un’icona è vedere il mondo attraverso gli occhi di Dio. È abolire la distanza tra questo mondo e l’altro; è parlare su questa terra e in quest’epoca il linguaggio del cielo e dell’età che verrà, è rivelare la dimensione sacramentale dell’amore.
L’icona ci insegna un altro mezzo di comunicazione, oltre la parola scritta e parlata. Ci viene insegnato a non guardare le icone, ma a guardarle attraverso. Allo stesso modo, siamo chiamati a penetrare la superficie della persona che amiamo e a rivelarne la sacra profondità interiore.
In effetti, la questione della procreazione si riferisce direttamente a questa nozione di icona. A meno che l’amore coniugale non apra la coppia al di là di se stessa, a meno che la relazione dei due nel matrimonio non rifletta la comunione della Trinità, a meno che l’amore della coppia li estenda in un modo o nell’altro, allora l’amore coniugale si riduce da icona sacra a icona semplice idolo.
La coppia di innamorati è sempre chiamata ad andare oltre il riflesso reciproco; uno specchio non è un’icona, ma un riflesso di se stessi. La coppia è chiamata a diventare icona della Chiesa, una “chiesa in miniatura”. Per San Giovanni Crisostomo, “il matrimonio è un’icona mistica della Chiesa”. Le dimensioni della Chiesa rivelano le dimensioni della coppia di sposi. Come “noi crediamo in una chiesa una, santa, cattolica e apostolica”, così la coppia dovrebbe riflettere la stessa unità, santità, apertura e apostolicità. Questo è importante perché la Chiesa rifiuta di idealizzare o romanticizzare la vita matrimoniale e la famiglia. Pertanto, la coppia deve generare “prole”; il loro amore deve “dare frutto”. Il paradosso è che la coppia deve avere figli, anche se non possono avere figli.

IV. Monachesimo e matrimonio

Alcuni Padri della Chiesa hanno interpretato le lettere di San Paolo, come se implicassero che il monachesimo è superiore al matrimonio (1 Cor 7, 8-9). Tuttavia, «se la verginità è onorata, non ne consegue che il matrimonio sia disonorato» (Gregorio il Teologo). San Macario d’Egitto esclama: “In verità, non c’è né vergine né sposato, né monaco né secolare; ma Dio dà il suo Santo Spirito a tutti, secondo le intenzioni di ciascuno”.
La versione siriaca dello stesso testo recita così: “In verità, la verginità di per sé non è nulla, né il matrimonio, né la vita monacale, né la vita nel mondo…”
La purezza interiore è sempre possibile, indipendentemente dalle circostanze esteriori.
In una relazione d’amore l’altro diventa il centro di attrazione. L’obiettivo è sempre il movimento fuori e oltre se stessi. La prospettiva è sempre il regno dei cieli. I monaci hanno tradizionalmente compreso questa verità nella stessa misura delle coppie sposate. Così gli scrittori ascetici ci insegnano che l’amore non è mai soddisfatto; è solo soddisfatto. L’amore non è un atto di soddisfazione, ma di donazione totale. L’amore sessuale è per la gloria di Dio, non per la gratificazione egoistica dell’uomo.
L’amore genuino alla fine non può essere raggiunto senza la castità. Nella “Scala del Paradiso”, San Giovanni Climaco pone la purezza (passo 29) immediatamente prima dell’amore (passo 30). Il monachesimo, quindi, non è l’astensione dall’amore sessuale. È un’altra manifestazione di questo amore. Il monachesimo non può mai essere un’estinzione o una diminuzione della più vitale risposta umana alla vita.
C’è un elemento di ascesi nel matrimonio, una raffinatezza nell’amore; così come nel monachesimo c’è una dimensione dell’amore, una passione per Dio. Nella tradizione monastica le passioni sono trattate diversamente; sono sopraffatti da passioni più grandi. Una singola, vivida esperienza di amore appassionato ci farà avanzare molto più avanti nella vita spirituale della più ardua lotta ascetica. Una sola fiamma di puro amore è sufficiente per accendere un fuoco cosmico e trasformare il mondo intero.
L’amore non è né un problema fisico né materiale. Non è principalmente una preoccupazione sessuale. È una preoccupazione spirituale. Non va temuto come un tabù, ma accolto come un mistero sacro; non dovrebbe mai essere nascosto come un segreto, ma rivelato come un sacramento.
Il monachesimo, come il matrimonio, è un sacramento d’amore. Il monachesimo, come il matrimonio, è un sacramento del regno. La vera dimensione di entrambi è escatologica. Così l’amore è più grande della preghiera stessa; anzi, è preghiera. Perché l’amore è ciò che definisce la natura umana. Sia i monaci che le coppie sposate devono continuamente lottare per essere ciò che sono chiamati ad essere: rapiti dalla fiamma viva dell’amore divino. Come abbiamo già osservato, l’amore è un dono dall’alto e anche qualcosa per cui tendere; è un punto di partenza, oltre che un punto di arrivo. L’alfa e l’omega della vita sono la prima e l’ultima lettera della parola greca “amo” (agapè). Questo è vero per un monaco o una monaca, come lo è per un marito e una moglie”.

V. Il sacramento del matrimonio

Ogni sacramento è una trascendenza della divisione e dell’alienazione. Nel caso del matrimonio, ogni persona deve prendere coscienza della presenza divina nell’altra. Sia il marito che la moglie devono squarciare il sipario della distanza e della falsità. Quando ciò accade, l’unione coniugale è più forte della morte, non può essere «separata da nessuno». In questa relazione, il maschio non è mai esclusivamente il polo attivo, e la femmina non è mai esclusivamente il polo passivo. La base di ogni relazione sacramentale è che l’uomo e la donna sono complementari: c’è una reciprocità di dare e ricevere, un incontro di reciprocità. Nessuno dei due deve considerare l’altro come un mezzo verso un fine, non importa quanto elevato o spirituale.
Ciò significa che i partner non dovrebbero cercare l’appagamento o la dipendenza l’uno dall’altro. Non posso ritenere mia moglie responsabile del mio vuoto. In ogni momento, ho bisogno di scoprire in Dio il compimento del mio vuoto: è Dio che mi fa sapere che sono amato; è Dio che mi autorizza ad amare un altro. Anche qui incontriamo il “monasticismo” del rapporto coniugale. Il matrimonio non è una soluzione magica ai problemi della vita. Come potrebbe un matrimonio resistere a tali aspettative? C’è da meravigliarsi che i matrimoni falliscano, quando oggi ci viene insegnato che il nostro partner è la nostra “altra metà”, quando siamo meno che persone complete nel sacramento? L’amore personale implica piena dignità e identità, nessuna diminuzione dell’altro; non c’è né falsa idealizzazione né deturpazione dell’altro. La completezza e l’integrità sono indispensabili per un matrimonio sano. E la completezza presuppone l’onestà, non la gentilezza. L’amore è un atto di fede così come un atto di fedeltà. È sempre una tentazione quella di mentire, di ingannare, di essere men che sinceri.
Ciò significa che se deve esserci intimità nell’amore, allora deve esistere la possibilità di conflitto. Nei matrimoni in cui non c’è conflitto, di solito c’è, oppure potrebbe non esserci onestà. Nella società, e anche in Chiesa, ci viene insegnato ad essere gentili. È come imparare a essere disonesti. E così sorridiamo quando siamo tristi o arrabbiati; diciamo cose che non intendiamo. Eppure tutto ciò di cui non si parla apertamente rimane irrisolto e diventa dannoso per la vita dei nostri figli. Dobbiamo essere onesti sui nostri fallimenti, aperti sul nostro vuoto. Sono una parte inestimabile delle nostre relazioni. Questo è il motivo per cui il matrimonio riguarda tanto la separazione quanto l’unione; riguarda tanto il distacco quanto l’attaccamento.

VI. Sessualità e sacramentalità

Per diventare un’unione sacramentale completa, l’ amore tra l’uomo e la donna deve abbracciare tutti gli aspetti della loro vita, ogni livello e capacità del loro essere. Ciò include gli aspetti fisici, spirituali, emotivi e intellettuali della natura umana. Se ciò non accade, la relazione rimane non consumata e incompiuta, è sia non sacra che non sacramentale; diventa sia paralizzante che frustrante.
Questo ci offre un’idea di come pochi matrimoni, anche quelli benedetti dalla Chiesa, siano in realtà sacramentali. Indica anche il nesso tra il matrimonio e la deificazione, verso cui tutti siamo chiamati. Questa sarebbe la mia definizione di “sessualità”: vero completamento e consumazione a tutti i livelli – un risultato raro come la stessa theosis, sebbene altrettanto nobile anche un compito e una vocazione.
Se un partner si sviluppa (a qualsiasi livello) oltre o fuori ritmo con l’altro, questo livello non consumato o non soddisfatto (non accoppiato), questa parte non completata o non realizzata tenderà sempre verso e cercherà di esprimersi in qualche altra forma; non sarà in grado di funzionare correttamente e pienamente all’interno del matrimonio.
Se l’integrità e la totalità sono condizioni critiche per una relazione sacramentale, lo sono infine anche la continuità e l’impegno. La capacità di trasformarsi reciprocamente richiede dedizione e pazienza, fino a quando le estremità appuntite delle rocce indurite nella relazione non vengono appianate, fino a quando non viene costruito un campo magnetico a ogni livello. Poi livello alter livello si dispiega, interagisce e sprigiona le sue potenzialità, che non sono altro che divine. In questo contesto, la fedeltà nella relazione è un riflesso della natura amorevole e paziente di Dio.
In ultima analisi, né il marito né la moglie si appropriano di ciò che l’altro offre. Al contrario, ciascuno la restituisce – insieme a se stesso – alla fonte di ogni vita, a Dio, che ciascuno di noi viene a vedere, incontrare e amare dall’altro, così come avviene nella Divina Liturgia. L’uomo e la donna diventano il pane e il vino dell’Eucaristia. Allora l’amore sacramentale diventa benedizione, conferita dal Creatore a due creature che hanno compiuto lo stesso corso della loro vita attraverso qualunque ostacolo e gioia abbia portato loro. Così entreranno finalmente, trasfigurati, nel Regno di Dio, al quale è dovuto ogni grazie.




SAN GREGORIO DI NANZIANZO: ORAZIONE 38 – SULLA TEOFANIA O NATIVITA’ DI CRISTO

SAN GREGORIO DI NANZIANZO (329 – 390)

ORAZIONE 38SULLA TEOFANIA O NATIVITA’ DI CRISTO

L’orazione 38 è stata pronunciata dal ‘Teologo’ a Costantinopoli per il Natale del 379 o 380

I. CRISTO È NATO, glorificatelo. Cristo scende dal cielo, andategli incontro. Cristo è sulla terra: siate esaltati.  “La terra intera canti al Signore” (Sal 95,1); e che io possa unire entrambi I concetti in una sola parola: “Si rallegrino i cieli e si rallegri la terra” (Sal 95,11), per Colui che è del cielo e poi è divenuto della terra (1 Cor 15,47). Cristo nella carne, rallegratevi con tremore e con gioia; con tremore per i vostri peccati, con gioia per la vostra speranza. Cristo nasce da una Vergine: Oh voi donne, onorate la verginità affinché possiate essere Madri di Cristo! Chi non adorerà Colui che è fin dal principio? Chi non glorificherà Colui che è l’Ultimo?

II. Di nuovo l’oscurità è passata; di nuovo la luce è fatta; di nuovo l’Egitto è punito con le tenebre; ancora una volta Israele è illuminato da una colonna. Le genti che sedevano nell’oscurità dell’ignoranza, ora vedono la grande luce della piena conoscenza. Le cose vecchie sono passate, ecco tutte le cose sono diventate nuove. La lettera viene meno, lo Spirito avanza. Le ombre fuggono via, la Verità viene su di loro. Melchisedec si è formato: chi era senza Madre nasce senza Padre (senza madre del suo stato precedente, senza Padre nel suo secondo stato). Le leggi della natura sono sconvolte; il mondo di sopra deve essere riempito. Cristo lo comanda, non mettiamoci contro di Lui. Battete le mani tutti voi, perché per noi è nato un bambino e ci è stato dato un figlio, il governo è sulle sue spalle (poiché con la croce è innalzato), ed è chiamato l’Angelo del Grande Consiglio del Padre. Lascia che Giovanni gridi, preparate la via del Signore: anch’io griderò la potenza di questo giorno. Colui che non è carnale si è incarnato, il Logos assume consistenza, Colui che è invisibile diventa visibile, Colui che è intoccabile viene toccato, Colui che è senza tempo ha un principio; il Figlio di Dio diventa il Figlio dell’Uomo, “Gesù Cristo lo stesso ieri, oggi e in eterno” (Eb 13,8).  Si offendano gli ebrei, ci deridano i greci; lasciate che gli eretici parlino fino a che gli fà male la lingua. Allora crederanno, quando lo vedranno salire al cielo; e se non allora, ancora quando lo vedranno uscire dal cielo e sedere come giudice.

III. Parleremo di questi in una futura occasione; per il momento la Festa è quella della Teofania o il Giorno della Nascita, poiché si chiama nei due modi, essendo stati dati due titoli a un medesimo evento. Perché Dio si è manifestato all’uomo con la nascita. Da una parte è, ed è eternamente e proviene da Colui che è sempre, al di sopra di ogni causa e di ogni parola, perché non c’era parola prima della Parola (ndt. Logos); e d’altra parte anche per il nostro bene entrò nel Divenire, nacque, affinché Colui che ci dà l’essere ci dia anche il nostro Benessere, o piuttosto ci ristabilisca con la Sua Incarnazione, quando per la malvagità eravamo caduti dallo stato di bontà. Il nome Teofania le viene dato in riferimento alla manifestazione, e quello di Natività in riferimento alla Sua nascita.

IV. Questa è la nostro attuale festa; è questo che celebriamo oggi, la venuta di Dio all’uomo, affinché noi potessimo andare verso Dio, o meglio (poiché questa è l’espressione più appropriata) per poter tornare a Dio; che deponendo l’uomo vecchio, potremmo indossare il nuovo; e che come siamo morti in Adamo, così potessimo vivere in Cristo, nascendo con Cristo: crocifissi con lui e sepolti con lui e risorgendo anche con lui. Per questo devo patire la bella conversione, perché come il dolore venne dalla beatidutide, così la beatitudine doveva ritornare dal dolore. Perché dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata; e se l’aver assaggiato dell’albero ci condannava, quanto più ci giustifica la passione di Cristo? Celebriamo dunque la festa, non alla maniera di una festa pagana, ma secondo un ordine divino; non secondo la via del mondo, ma in modo sopra-mondano; non come nostri, ma come appartenenti a Colui che è nostro, o piuttosto come del nostro maestro; non come malattia, ma come guarigione; non come creazione ma come nuova creazione.

V. E come sarà? Non adorniamo i nostri portici, né organizziamo balli, né decoriamo le strade; non deliziamo l’occhio, né incantiamo l’orecchio con la musica, né inebriamo le narici con il profumo, né prostituiamo il gusto, né assecondiamo il tatto: quelle strade che sono così inclini al male e ingressi per il peccato. Non siamo effeminati in abiti morbidi e fluenti, la cui bellezza consiste nella sua inutilità, né con lo scintillio delle gemme o lo splendore dell’oro o gli inganni del colore, smentendo la bellezza della natura, e inventati per far dispetto all’immagine di Dio. Non nella rivolta e nell’ubriachezza, alle quali si mescolano, lo so bene, cameratismo e sregolatezza, poiché le lezioni che danno i cattivi maestri sono cattive; o piuttosto i raccolti di semi senza valore sono senza valore. Non allestiamo alti letti di foglie, facendo tabernacoli per il ventre di ciò che appartiene alla dissolutezza. Non valutiamo il bouquet dei vini, le prelibatezze dei cuochi, la grande spesa degli unguenti. Che il mare e la terra non ci portino in dono il loro prezioso sterco, perché è così che ho imparato a stimare il lusso; e non sforziamoci di superarci l’un l’altro nell’intemperanza (poiché per me ogni superfluo è intemperanza, e tutto ciò che è al di là dell’assoluto bisogno), e questo mentre altri sono affamati e bisognosi, che sono fatti della stessa argilla e allo stesso modo.

VI. Lasciamo tutto questo ai Greci e ai fasti e alle feste dei Greci, che chiamano con il nome di dèi esseri che si rallegrano del fetore dei sacrifici e che costantemente adorano con il loro ventre; iniziatori malvagi e iniziati di demoni malvagi. Ma noi, l’oggetto della cui adorazione è il Verbo, se dobbiamo in qualche modo ricercare il lusso, cerchiamolo nella parola, nella legge divina, e nelle storie: soprattutto cerchiamo quali sono l’origine di questa festa. Che il nostro lusso possa essere simile e consono a Colui che ci ha radunati. Oppure desiderate (poiché oggi offro io il banchetto) che imandisca per voi, miei buoni ospiti, la storia di queste cose il più abbondantemente e nobilmente che posso, affinché possiate sapere come uno straniero può nutrire i nativi della terra e un contadino la gente della città, quelli che vivono nel lusso uno che non conosce il lusso, quelli che sono splendidi per ricchezze colui che è povero e senza dimora. Inizieremo da questo punto: e lasciate che io chieda a voi che vi dilettate in tali questioni di purificare la vostra mente, le vostre orecchie e i vostri pensieri, poiché il nostro discorso verte su Dio ed è divino. In tal modo quando partirete avrete goduto di delizie che in realtà non svaniscono. E questo stesso discorso sarà insieme molto pieno e molto conciso, affinché non siate dispiaciuti per le sue carenze, né lo troviate spiacevole per troppa sazietà.

VII. Dio è sempre stato, ed è sempre, e sempre sarà. O meglio, Dio è sempre. Perché Era e Sarà sono frammenti del nostro tempo, di natura mutevole; ma Egli è l’Essere Eterno. E questo è il nome che Egli dà a sé stesso quando dà l’oracolo a Mosè sul monte. Poiché in sé stesso riassume e contiene tutto l’essere, non avendo né inizio nel passato né fine nel futuro; come un grande mare dell’Essere, illimitato e sconfinato, che trascende ogni concezione del tempo e della natura, che può essere soltanto adombrato dalla mente, e molto debolmente e scarsamente… non certamente la sua essenza, ma in base a ciò che è a Lui relativo, dal momento che da una cosa si ricava un’immagine di Dio, da un’altra un’altra, e combinate in una sorta di presentazione della verità, che ci sfugge prima che l’abbiamo afferrata, e prende il volo prima che l’abbiamo concepita, lampeggiando nella nostra mente, anche quando è purificata, come il lampo che non ferma il suo corso impressionando la nostra vista. Questo avviene, a mio parere, affinché Egli ci attiri a sé con quando comprendiamo di Lui (poiché ciò che è del tutto incomprensibile è al di fuori dei limiti della speranza, e non all’interno della bussola dello sforzo), e con quella parte di esso che non possiamo comprendere per muovere la nostra meraviglia, e come oggetto di meraviglia per diventare ancora di più oggetto di desiderio; e desiderarlo serve a purificarci e purificandoci ci rendiamo simili a Dio. Quando siamo diventati così simili a lui, Dio può, per usare un’espressione audace, conversare con noi come dei, essendo unito a noi: il mio discorso osa affermare una cosa davvero audace! Dio si unisce agli dei e si fa conoscere, e forse tanto quanto Egli già conosce coloro che sono conosciuti da Lui. La Natura Divina, quindi, è sconfinata e difficile da comprendere; tutto ciò che possiamo comprendere di Lui è la Sua illimitatezza; anche se qualcuno può concepire che, proprio per la sua natura semplice, sia o del tutto incomprensibile o perfettamente comprensibile. Cerchiamo infatti di indagare ulteriormente su ciò che è implicito nell’espressione “è di natura semplice”. Perché è certo che questa semplicità non è essa stessa la sua natura, così come la composizione non è di per sé l’essenza degli esseri composti.

VIII. E, in quanto all’Infinito, si può considerare da due punti di vista, inizio e fine (poiché ciò che è al di là di questi e non limitato da essi è l’infinito), quando la mente guarda in alto in profondità, non avendo dove stare e si appoggia ai fenomeni per formarsi un’idea di Dio, chiama l’Infinito e l’Inavvicinabile che vi trova col nome di ‘senza inizio’. E quando guarda nelle profondità sottostanti, e al futuro, Lo chiama Immortale e Imperituro. E quando trae una conclusione dal tutto lo chiama Eterno. Perché l’eternità non è né tempo né parte del tempo; perché non può essere misurata. Ma quello che è per noi il tempo, misurato dal corso del sole, l’Eternità è per l’Eterno, vale a dire, una sorta di movimento simile al tempo, un intervallo coestensivo con la loro esistenza. Questo, tuttavia, è tutto ciò che devo ora dire di Dio; poiché il presente non è un tempo adatto, poiché il mio argomento attuale non è la dottrina di Dio, ma quella dell’Incarnazione. Ma quando dico Dio, intendo Padre, Figlio e Spirito Santo. Perché la divinità non si diffonde oltre questi, in modo da includere una folla di dei; né ancora è delimitato da una bussola più piccola di queste, in modo da condannarci per una concezione povera della Divinità; o giudaizzare per salvare la Monarchia, o cadere nel paganesimo a causa della moltitudine dei nostri dèi. Perché il male da entrambe le parti è lo stesso, anche se si trova in direzioni opposte. Questo quindi è il Santo dei Santi, che è nascosto anche ai Serafini ed è glorificato con il “Santo” ripetuto tre volte, che si congiunge in un’unica potestà e divinità, come uno dei nostri predecessori ha sottolineato in modo molto bello e alto. 

IX. Ma siccome questo movimento di autocontemplazione da solo non poteva soddisfare la Bontà, ma il Bene doveva effondersi ed uscire fuori di sé per moltiplicare gli oggetti della sua beneficenza, perché in ciò consiste il culmine della Bontà, concepì prima le Potenze Celesti e Angeliche. E questa concezione fu un’opera compiuta dalla Sua Parola e perfezionata dal Suo Spirito. E così nacquero gli splendori secondari, come ministri del primo splendore; se dobbiamo concepirli come Spiriti intelligenti, o come Fuoco di tipo immateriale e incorruttibile, o come qualche altra natura che si avvicini a questi il più vicino possibile. Vorrei dire che erano incapaci di muoversi in direzione del male, e suscettibili solo del movimento del bene, in quanto contemplano Dio e sono illuminati dai primi raggi di Dio, perché gli esseri terreni hanno solo un’illuminazione secondaria; ma debbo trattenermi prima di dirlo, e concepirli e parlarne non come immobili, bensì solo come difficili da muovere verso il male per il fatto che  Lucifero, il quale fu detto così per il suo splendore, divenne Tenebra a causa della sua superbia; e le schiere apostate che gli sono soggette, creatori del male per la loro rivolta, lo stesso male che a noi procurano.

X. Così, dunque, e per questi motivi, ha dato l’essere al mondo intellegibile, per quanto posso ragionare su queste cose e stimare grandi cose nella mia povera lingua. Poi, quando la sua prima creazione era in buon ordine, concepisce un secondo mondo, materiale e visibile; e questo è un sistema e composto di terra e cielo, e tutto ciò che è in mezzo a loro – una creazione davvero mirabile, quando guardiamo la bella forma di ogni parte, ma ancora più degna di ammirazione quando consideriamo l’armonia e l’unisono del tutto, e come ogni parte si incastra con ogni altra, in giusto ordine, e tutto con il tutto, tendendo al perfetto completamento del mondo come unità. Questo per mostrare che poteva chiamare all’esistenza non solo una natura simile a se stesso, ma anche una natura del tutto estranea a se stesso. Perché simili alla divinità sono quelle nature che sono intellettuali e solo possono essere comprese dalla mente; ma tutto ciò di cui i sensi possono prendere conoscenza gli sono del tutto estranei; e di questi i più lontani sono tutte le cose che sono del tutto privi di anima e di potere di movimento. Ma forse qualcuno di quelli troppo festosi e impetuosi dirà: Che c’entra tutto questo con noi? Sprona il tuo cavallo alla meta. Parlaci della festa e dei motivi per cui oggi siamo qui. Sì, questo è ciò che sto per fare, sebbene abbia cominciato da un punto un po’ lontano, spinto dalla violenza che su di me esercitano il discorso e il desiderio. 

XI. Mente, dunque, e realtà sensibile, così distinti l’uno dall’altro, erano rimasti entro i propri confini e portavano in sé la magnificenza del Verbo-Creatore, silenziosi lodatori ed esaltanti araldi della sua potente opera. Non c’era ancora alcuna mescolanza di entrambi, né alcuna mescolanza di questi opposti, segni di una maggiore saggezza e generosità nella creazione delle nature; né ancora tutta la ricchezza della Bontà era stata resa nota. Ora il Verbo-Creatore, deciso a esibire questo e a produrre un unico essere vivente da entrambi – le creazioni visibili e quelle invisibili, voglio dire – foggia l’Uomo; e prendendo un corpo dalla materia già esistente, e ponendo in essa un Soffio preso da Sé (quello che la Scrittura chiama ‘anima intelligente’ e ‘immagine di Dio’). L’uomo fu creato come una specie di secondo mondo. Lo ha posto, grande nella piccolezza, sulla terra; un nuovo angelo, un adoratore formato da una natura mista, pienamente iniziato alla creazione visibile, ma solo parzialmente a quella intellettuale; Re di tutto sulla terra, ma soggetto al Re di sopra; terrestre e celeste; temporale eppure immortale; visibile eppure intellettuale; a metà strada tra la grandezza e l’umiltà; in una persona che unisce spirito e carne; spirito, a motivo del favore che gli è stato concesso; carne, a causa dell’altezza alla quale era stato elevato; l’uno che potesse continuare a vivere e lodare il suo benefattore, l’altro che potesse soffrire e con la sofferenza essere ricordato e corretto se fosse diventato orgoglioso della sua grandezza. Una creatura vivente addestrata qui, e poi trasferita altrove; e, per completare il mistero cristiano, sarebbe stato divinizzato attraverso il suo tendere a Dio. Il misurato splendore della verità di cui godo su questa terra mi spinge, infatti, a vedere e a sentire lo splendore di Dio, splendore che è degno di Colui che ci ha messi insieme e poi ci dissolverà per ricostruirci insieme una seconda volta in una condizione più elevata.

XII. Dio pose quest’uomo in Paradiso, qualunque fosse allora il Paradiso, avendolo onorato del dono del libero arbitrio, affinché il bene gli appartenesse come risultato della sua scelta, non meno che a Colui che aveva impiantato i semi, per coltivare le piante immortali, con le quali si intendono forse le Concezioni Divine, sia le più semplici che le più perfette. Nudo nella sua semplicità e vita priva di qualunque artificio e senza alcuna copertura o schermo; poiché era giusto che fosse tale colui che era dal principio. Inoltre gli ha dato una legge che è la materia su cui agire il suo libero arbitrio. Questa legge era un comandamento riguardo a quali piante poteva prendere e quali non poteva toccare. Quest’ultimo era l’Albero della Conoscenza; non, però, perché era cattivo fin dall’inizio quando fu piantato; né era proibito perché Dio ce l’avesse invidiato – non lasciare che i nemici di Dio agitino la lingua in quella direzione, o imitino il Serpente – ma sarebbe stato bello se fosse stato consumato al momento opportuno, poiché l’albero era, secondo la mia teoria, Contemplazione, che è sicura solo per coloro I quali sono più perfetti interiormente; ma, al contrario, non va bene a coloro che sono ancora un po’ semplici e avidi nel loro abito; così come il cibo solido non è buono per coloro che sono ancora teneri e hanno bisogno di latte. Ma quando per la malizia del diavolo e per il capriccio della donna, a cui soccombeva perché più debole, e che faceva pesare sull’uomo, perché era più incline a persuadere, ahimè quanto sono debole! (poiché mia è la debolezza del mio progenitore), dimenticò il comandamento che gli era stato dato; cedette al frutto funesto; e per il suo peccato fu bandito, subito dall’Albero della Vita, e dal Paradiso, e da Dio. Indossava allora i cappotti di pelli … cioè, forse, questa nostra carne più grossolana, sia mortale che contraddittoria. Questa fu la prima cosa che apprese: la propria vergogna; e si nascose da Dio. Eppure anche qui ci guadagna, vale a dire con la morte ebbe un termine per il suo peccato, affinché il male non fosse immortale. Così il suo castigo si mutò in misericordia; poiché è per misericordia, ne sono convinto, che Dio infligge la punizione. 

XIII. Ed essendo stato prima castigato con molti mezzi (poiché molti erano i suoi peccati, la cui radice del male scaturì per diverse cause e in diverse circostanze), con la parola, con la legge, con i profeti, con i benefici, con le minacce, con le piaghe, con le acque , da incendi, da guerre, da vittorie, da sconfitte, da segni in cielo e segni nell’aria e in terra e nel mare, da mutamenti imprevisti di uomini, di città, di nazioni (il cui oggetto era la distruzione della malvagità), aveva finalmente bisogno di un rimedio più forte, perché le sue malattie peggioravano; stragi reciproche, adulteri, spergiuri, delitti contro natura e quel primo e ultimo di tutti i mali, l’idolatria e il trasferimento del culto dal Creatore alle Creature. Come questi richiedevano un aiuto maggiore, così ne ottennero uno maggiore. E questo era che la Parola di Dio Stesso – che è prima di tutti i mondi, l’Invisibile, l’Incomprensibile, l’Incorporeo, il Principio che proviene dal Principio, la Luce dalla Luce, la Sorgente della Vita e dell’Immortalità, l’Immagine della Bellezza Archetipica, il Sigillo inamovibile, l’Immagine immutabile, la Definizione e la Parola del Padre. Egli stesso venne verso la sua immagine, e prese su di sé la carne per amore della nostra carne e si mescolò con un’anima intelligente per amore della mia anima, purificandola di pari passo; e in tutti i punti fuorché nel peccato fu fatto uomo. Concepito dalla Vergine, la quale prima nel corpo e nell’anima fu purificata dallo Spirito Santo (poiché era necessario sia che si onorasse il parto, sia che la verginità ricevesse un onore più alto). Si presentò allora come Dio attraverso la carne che aveva assunto, una Persona in due Nature, Carne e Spirito, in cui quest’ultimo divinizzò il primo.  Oh nuova commistione! Oh strana congiunzione! “Colui che è” (Es 3,14) nasce, l’Increato è creato, ciò che è imcopresibile è compreso, per intervento di un’anima intellettiva, mediatrice tra la Divinità e la corporeità della carne. E colui che dà la ricchezza si fa povero, poiché assume la povertà della mia carne, affinché io possa assumere la ricchezza della sua divinità. Colui che è pieno si svuota, poiché si svuota della sua gloria per un breve periodo, affinché io possa partecipare alla sua pienezza. Qual è la ricchezza della Sua Bontà? Cos’è questo mistero che mi circonda? Ho avuto una parte nell’immagine; non l’ho tenuto; Egli partecipa della mia carne per salvare l’immagine e rendere immortale la carne. Egli si mette in comunione una seconda volta con l’uomo, in maniera più meravigliosa della prima, in quanto la prima volta mi fece partecipe della sua natura migliore, mentre ora egli stesso partecipa all’elemento peggiore. Questa è più divina della precedente azione, questa è più alta agli occhi di tutti gli uomini di intelletto.

XIV. Che cosa hanno da dire quei cavillatori, quegli amari ragionatori della natura divina, quei detrattori di tutto ciò che è lodevole, quegli oscuratori di luce, incolti rispetto alla sapienza, per i quali Cristo è morto invano, quelle creature ingrate, plasmate dal Malvagio? Trasformi questo vantaggio in un rimprovero a Dio? Lo riterrai di poco conto perché si è umiliato per te? Perché il Buon Pastore, Colui che dà la vita per le sue pecore, è venuto a cercare quella che si era smarrita sui monti e sui colli, sui quali allora stavi sacrificando e ha trovato il vagabondo; e trovatolo, lo prese sulle sue spalle, sulle quali prese anche il legno della croce; e dopo averlo preso, lo riportò alla vita superiore; e dopo averlo riportato indietro, lo annoverò tra quelli che non si erano mai allontanati. Perché ha acceso una candela – la Sua stessa carne – e ha spazzato la casa, purificando il mondo dal peccato; e cercava il pezzo di denaro, l’Immagine Reale che era coperta dalle passioni. E chiama a raccolta i suoi amici Angeli al ritrovamento della moneta, e li rende partecipi della sua gioia, chi aveva fatto partecipi anche del segreto dell’Incarnazione? Perché alla candela del Precursore segue la luce che eccede in splendore; e alla Voce succede la Parola; e all’amico dello Sposo, lo Sposo; a colui che preparò per il Signore un popolo particolare, purificandolo con l’acqua in preparazione allo Spirito? Rimproveri a Dio tutto questo? Lo ritieni per questo diminuito, perché si cinge con un asciugatoio e lava i piedi ai suoi discepoli e mostra che l’umiliazione è la strada migliore per l’esaltazione? Perché per l’anima che era piegata a terra si umilia, per rialzare con sé l’anima che vacillava sotto il peso del peccato? Perché non gli imputi anche come delitto il fatto che mangi con i pubblicani e alle mense dei pubblicani, e che faccia discepoli dei pubblicani, affinché anch’egli possa guadagnare qualcosa… e che cosa? … la salvezza dei peccatori. Se è così, dobbiamo biasimare il medico per essersi chinato sulle sofferenze e aver sopportato cattivi odori per dare la salute ai malati; o uno che, come comanda la Legge, si è chinato in un fosso per salvare una bestia che vi era caduta. 

XV. Egli fu inviato, ma come uomo, perché era di duplice natura; poiché era stanco, aveva fame, aveva sete, era in agonia e piangeva, secondo la natura di un essere corporeo. E se si usa anche l’espressione di Lui come Dio, il significato è che il beneplacito del Padre è da considerarsi una Missione, poiché a questa Egli rimanda tutto ciò che lo riguarda; sia per onorare il Principio Eterno, sia per non essere considerato un Dio antagonista. E mentre sta scritto sia che fu tradito, sia anche che consegnò se stesso e che fu risuscitato dal Padre e assunto in cielo; e d’altra parte, che si alzò e salì; la prima affermazione di ciascuna coppia si riferisce al beneplacito del Padre, la seconda al proprio Potere. Ti è dunque permesso soffermarti su tutto ciò che lo umilia, tralasciando tutto ciò che lo esalta, e contare dalla tua parte il fatto che ha sofferto, ma lasciare fuori dal conto il fatto che è stato per sua volontà?  Vedi ciò che anche adesso la Parola deve soffrire. Da una parte è onorato come Dio, ma è confuso con il Padre, da un’altra è disonorato come semplice carne e separato dalla divinità. Con chi di loro si adirerà maggiormente, o meglio, a chi perdonerà, quelli che lo confondono ingiustamente o quelli che lo dividono? Perché il primo avrebbe dovuto distinguerlo e il secondo unirlo; l’uno nel numero, l’altro nella divinità. Inciampi nella sua carne? Così fecero gli ebrei. Oppure lo chiami samaritano e… non dirò il resto. Non credi nella Sua Divinità? Questo non lo hanno fatto nemmeno i demoni; Oh tu che sei meno credente dei demoni e più stolto degli ebrei! Costoro percepirono che il nome di Figlio implica uguaglianza di rango; costoro sapevano che colui che li scacciava era Dio, perché ne erano convinti per esperienza. Ma non ammetterai né l’uguaglianza né la Divinità. Sarebbe stato meglio per te essere stato ebreo o indemoniato (se posso dire un’assurdità), piuttosto che, incirconciso e in buona salute, essere così malvagio ed empio nel tuo atteggiamento mentale.

XVI. Vedrai poco dopo Gesù sottomettersi a farsi purificare nel fiume Giordano per la mia Purificazione, anzi santificare le acque con la sua Purificazione (perché non aveva bisogno di purificazione Colui che toglie il peccato del mondo) e i cieli spaccati e la testimonianza resagli dallo Spirito che è della stessa sua natura; lo vedrai tentato e vittorioso e servito dagli angeli, e guarire ogni malattia e ogni infermità, e dare la vita ai morti (Oh, potesse dare la vita a te che sei morto a causa della tua eresia), e scacciare i demoni, a volte lui stesso, a volte dai suoi discepoli; e nutrire vaste moltitudini con pochi pani; e camminare a piedi asciutti sui mari; ed essendo tradito e crocifisso, e crocifiggendo con Sé il mio peccato; offerto come Agnello e offerto come Sacerdote; come un uomo sepolto nella tomba e come Dio risorto; e poi ascendere, e tornare di nuovo nella Sua propria gloria. Quanta moltitudine di grandi feste ci sono in ciascuno dei misteri del Cristo; tutto ciò ha un compimento, cioè la mia perfezione e il ritorno alla prima condizione di Adamo.

XVII. Ora, allora, ti prego di accettare il suo concepimento e di saltare davanti a lui; se non come Giovanni nel grembo materno, almeno come Davide, a causa del riposo dell’Arca. Riverisci l’iscrizione per la quale sei stato scritto in cielo, e adora la Nascita con la quale sei stato sciolto dalle catene della tua nascita, e onora la piccola Betlemme, che ti ha ricondotto in paradiso; e adora la mangiatoia attraverso la quale tu, essendo privo di senno, fosti nutrito dal Verbo. Riconoscilo, come ti ordina Isaia, come il bue il suo proprietario e come l’asino la greppia del tuo padrone; se tu sei uno di quelli che sono cibo puro e lecito, e che ruminano la parola e sono degni di sacrificio. Oppure, se sei uno di quelli che sono ancora impuri, immangiabili e inadatti al sacrificio appartengono alla parte dei pagani. Corri con la Stella e porta i tuoi doni con i Magi, oro, incenso e mirra, come a un Re e a Dio e a Colui che è morto per te. Con i pastori glorificatelo; con Angeli che si uniscono in coro; con gli Arcangeli cantiamo inni. Che questa Festa sia comune alle potenze in cielo e alle potenze sulla terra. Perché sono persuaso che le schiere celesti si uniscono alla nostra esultanza e celebrano oggi con noi un’alta festa … perché amano gli uomini e amano Dio proprio come quelli che Davide introduce dopo la Passione salendo con Cristo e venendogli incontro, e intimandosi l’un l’altro di alzare le porte.

XVIII. Vorrei che odiassi una cosa sola connessa con la nascita di Cristo… l’uccisione dei bambini da parte di Erode. O, meglio, dovete venerare anche questo, il Sacrificio dei coetanei di Cristo, immolati prima dell’offerta della Nuova Vittima. Se fugge in Egitto, fuggi con lui volentieri. È una cosa grandiosa condividere l’esilio con il Cristo perseguitato. Se Egli rimane a lungo in Egitto, chiamalo fuori dall’Egitto con un’adorazione riverente a Lui. Percorri senza colpa ogni tappa e facoltà della vita di Cristo. Sii purificato; sii circonciso; strappa il velo che ti ha coperto fin dalla tua nascita. Dopo questo insegnate nel Tempio e scacciate i venditori sacrileghi. Sottomettiti per essere lapidato se necessario, perché so bene che sarai nascosto da coloro che scagliano le pietre; scamperai anche in mezzo a loro, come Dio. Se sarai condotto da Erode, nemmeno devi rispondere altro. Rispetterà il tuo silenzio più dei lunghi discorsi della maggior parte delle persone. Se sarai flagellato, richiedi anche I supplizi che tralasciano. Assaggia il fiele tu che hai gustato dell’albero; bevi aceto; cerca gli sputi; accetta i colpi e gli schiaffi, sii coronato di spine, cioè dalle asperità di una condotta secondo la volontà divina; indossa la veste di porpora, prendi in mano la canna e ricevi un’adorazione beffarda da coloro che deridono la verità; infine, sii crocifisso con lui e condividi con gioia la sua morte e la sua sepoltura, affinché tu possa risorgere con Lui, essere glorificato con Lui e regnare con Lui. Guarda e fatti guardare dal Grande Dio, che nella Trinità è adorato e glorificato, quello che anche ora noi preghiamo che ci illumini, pet quanto possibile a coloro che sono stretti nelle catene della carne, in Gesù Cristo nostro Signore; a Lui la gloria nei secoli. 

Amen.