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Anziano Iosif l’Esicasta: dalla lettera 23

“La grazia precede sempre la tentazione per informare e dire: “Sta pronto e chiudi le tue porte”. Quando scorgi consolazione nel tuo cuore, illuminazione nella tua mente e contemplazione, sta subito pronto. Non dire: “Mi è stato dato riposo, che possa goderne!”, ma caricando le tue armi – lacrime, digiuno, veglia e preghiera – poni come sentinelle i sensi onde custodire la mente. In che modo avverrà dunque la lotta? Coi demoni? Con gli uomini? O con la natura del tuo stesso io? Non ti assopire fino a quando non suona la tromba della battaglia e, iniziato il combattimento, ti si rivelerà la tua lotta e la vittoria. Devi sicuramente temere quando la grazia opera: in te. Al contrario, quando vedi che ti soffocano da ogni parte le tentazioni e le tribolazioni, allora rallegrati”




ARSENIO

ἀββᾶς Ἀρσένιος

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1. Mentre viveva ancora nel palazzo, Abba Arsenio pregò Dio con queste parole: “Signore, guidami sulla via della salvezza”. E una voce gli disse: “Arsenio, fuggi dagli uomini e sarai salvato”.

2. Dopo essersi ritirato nella vita solitaria, fece di nuovo la stessa preghiera e udì una voce che gli diceva: “Arsenio, fuggi, taci, mantieni l’esichia, perché queste sono le sorgenti dell’assenza di peccato”.

3. Accadde che, mentre Abba Arsenio era seduto nella sua cella, fu assalito dai demoni. I suoi servi, al loro ritorno, stavano fuori dalla sua cella e lo sentirono pregare Dio con queste parole: “O Dio, non abbandonarmi! Non ho fatto nulla di buono al tuo cospetto, ma secondo la tua bontà, fammi iniziare”.

4. Si diceva di lui che, come nessuno a corte aveva indossato abiti più splendidi dei suoi quando vi abitava, così nessuno nella Chiesa indossava abiti così poveri.

5. Qualcuno disse al beato Arsenio: “Come mai noi, con tutta la nostra istruzione e la nostra vasta conoscenza, non arriviamo da nessuna parte, mentre questi contadini egiziani acquisiscono tante virtù?”. Abba Arsenio gli rispose: “Noi non otteniamo nulla dalla nostra istruzione secolare, ma questi contadini egiziani acquisiscono le virtù con il duro lavoro”.

6. Un giorno Abba Arsenio consultò un vecchio monaco egiziano sui propri pensieri. Qualcuno se ne accorse e gli disse: “Abba Arsenio, come mai tu, che hai una così buona istruzione latina e greca, chiedi a questo contadino informazioni sui tuoi pensieri? Egli rispose, Ho imparato il latino e il greco, ma non conosco nemmeno l’alfabeto di questo contadino”.

7. Il beato arcivescovo Teofilo, accompagnato da un magistrato, un giorno andò a cercare Abba Arsenio. Interrogò l’anziano, per sentire una parola da lui. Dopo un breve silenzio, l’anziano gli rispose: “Metterete in pratica ciò che vi dico?”. Gli promisero questo. Se sentirete che Arsenio è da qualche parte, non andateci”.

8. Un’altra volta l’arcivescovo, intenzionato a venire a trovarlo, mandò qualcuno a vedere se l’anziano lo avrebbe ricevuto. Arsenio gli disse: “Se vieni, ti riceverò; ma se ricevo te, dovrò ricevere tutti e quindi non potrò più vivere in questo luogo”. Sentendo questo, l’arcivescovo disse: “Se lo scaccio andando da lui, non ci andrò più”.

9. Un fratello interrogò Abba Arsenio per avere una parola da lui e l’anziano gli disse: “Sforzati con tutto te stesso affinché la tua attività interiore sia in accordo con Dio e vincerai così le passioni esteriori”.

10. Ha anche detto: “Se cerchiamo Dio, egli si mostrerà a noi, e se lo custodiamo, resterà vicino a noi”.

11. Qualcuno disse ad Abba Arsenio: “I miei pensieri mi disturbano, dicendo: Non puoi né digiunare né lavorare; almeno vai a visitare i malati, perché anche questa è carità”. Ma il vecchio, riconoscendo le suggestioni dei demoni, gli disse: “Vai, mangia, bevi, dormi, non lavorare, ma non uscire dalla tua cella”. Sapeva infatti che la costanza nella cella mantiene un monaco sulla retta via.

12. Abba Arsenio era solito dire che un monaco in viaggio all’estero non deve farsi coinvolgere in nulla; così rimarrà in pace.

13. Abba Marco disse ad Abba Arsenio: “Perché ci eviti?”. L’anziano gli rispose: “Dio sa che vi amo, ma non posso vivere con Dio e con gli uomini. Le migliaia e le diecimila schiere celesti hanno una sola volontà, mentre gli uomini ne hanno molte. Quindi non posso lasciare Dio per stare con gli uomini”.

14. Abba Daniele disse di Abba Arsenio che era solito passare tutta la notte senza dormire, e al mattino presto, quando la natura lo costringeva ad andare a dormire, diceva al sonno: “Vieni qui, servo malvagio”. Poi, seduto, strappava un po’ di sonno e si risvegliava subito.

15. Abba Arsenio diceva che un’ora di sonno è sufficiente per un monaco se è un buon combattente.

16. L’anziano raccontava che un giorno qualcuno aveva consegnato a Scete alcuni fichi secchi. Poiché erano di poco conto, nessuno ne portò ad Abba Arsenio per non offenderlo. Avendo capito questo, l’anziano non si presentò alla sinassi dicendo: “Mi avete scacciato non dandomi una parte della benedizione che Dio ha dato ai fratelli e che non ero degno di ricevere”. Tutti lo seppero e furono edificati dall’umiltà dell’anziano. Allora il sacerdote andò a prendergli i piccoli fichi secchi e glieli portò e poi lo condusse alla sinassi con gioia.

17. Abba Daniele diceva: “Ha vissuto con noi per molti anni e ogni anno gli portavamo solo un cesto di pane e quando andavamo a cercarlo l’anno successivo mangiavamo un po’ di quel pane”.

18. Dello stesso Abba Arsenio si diceva che cambiava l’acqua per le foglie di palma solo una volta all’anno; il resto del tempo la aggiungeva semplicemente. Un anziano lo implorava con queste parole: “Perché non cambi l’acqua di queste foglie di palma quando puzza? Gli rispose: “Al posto dei profumi e degli aromi che ho usato nel mondo, ora devo sopportare questo cattivo odore”.

19. Abba Daniele raccontava che quando Abba Arsenio sapeva che qualche varietà di frutta era matura, diceva: “Portatemene un po’”. Ne assaggiava pochissima, una sola volta, ringraziando Dio.

20. Una volta a Scete, Abba Arsenio era malato e non aveva neanche uno straccio di lino. Non avendo nulla con cui comprarlo, ne ricevette un po’ grazie alla carità di un altro e disse: “Ti rendo grazie, Signore, per avermi considerato degno di ricevere questa carità in tuo nome”

21. Si diceva di lui che la sua cella era a trentadue miglia di distanza e che non la lasciava volentieri: altri, infatti, facevano per lui le commissioni. Quando Scete fu distrutta se ne andò piangendo e disse: “Il mondo ha perso Roma e i monaci hanno perso Scete”.

22. Abba Marco chiese ad Abba Arsenio: “È bene non avere nulla di superfluo nella cella? Conosco un fratello che aveva delle piante e le ha tirate via”. Abba Arsenio rispose: “Indubbiamente è una cosa buona, ma deve essere fatto secondo le capacità dell’uomo. Perché se egli non ha la forza per questa pratica, presto ne pianterà altre”.

23. Abba Daniele, discepolo di Abba Arsenio, raccontò questo: “Un giorno mi trovai vicino ad Abba Alessandro ed egli era pieno di dolore. Si sdraiò e fissò l’aria a causa del suo dolore. Ora accadde che il beato Arsenio venne a parlare con lui e lo vide sdraiato. Durante la loro conversazione gli disse: “E chi era quell’uomo del mondo che ho visto qui?”. Abba Alessandro rispose: “Dove l’hai visto?” Egli rispose: “Mentre scendevo dalla montagna, ho gettato lo sguardo in questa direzione, verso la grotta e ho visto un uomo disteso supino che guardava in aria”. Così Abba Alessandro fece penitenza, dicendo: “Perdonami, sono stato io; sono stato sopraffatto dal dolore”. L’anziano gli disse: “Bene, allora sei stato tu? Bene; pensavo che fosse un laico ed è per questo che te l’ho chiesto”.

24. Un’altra volta Abba Arsenio disse ad Abba Alessandro: “Quando avrai tagliato le tue foglie di palma, vieni a mangiare con me, ma se vengono dei visitatori, mangia con loro”. Abba Alessandro lavorò lentamente e con attenzione. Quando arrivò il momento, non aveva ancora tagliato le foglie di palma e, volendo seguire le istruzioni del vecchio, aspettò di tagliarle. Quando Abba Arsenio vide che era in ritardo, mangiò, pensando che avesse avuto ospiti. Ma Abba Alessandro, quando finalmente ebbe finito, se ne andò. E il vecchio gli disse: “Hai avuto visite?” “No”, rispose. Allora perché non sei venuto?”. L’altro rispose: “Mi hai detto di venire quando avrei tagliato le foglie di palma; e seguendo le tue istruzioni, non sono venuto, perché non avevo finito”. L’anziano si meravigliò della sua esattezza e gli disse: “Interrompi subito il tuo digiuno per celebrare senza problemi la sinassi e bevi un po’ d’acqua, altrimenti il tuo corpo ne soffrirà presto”.

25. Un giorno Abba Arsenio giunse in un luogo in cui c’erano delle canne che ondeggiavano per il vento. Il vecchio disse ai fratelli: “Cos’è questo frastuono?”. Essi risposero: “Alcune canne”. Allora il vecchio disse loro Quando uno vive in preghiera silenziosa e sente il canto di un passerotto, il suo cuore non ha più la stessa pace. Quanto è peggio per voi se sentite il frastuono di quelle canne”.

26. Abba Daniele raccontò che alcuni fratelli, proponendo di andare nella Tebaide per trovare del lino, dissero: “Approfittiamo dell’occasione per vedere anche Abba Arsenio”. Così Abba Alessandro venne a dire all’anziano: “Alcuni fratelli venuti da Alessandria desiderano vederti”. Il vecchio rispose: “Chiedi loro perché sono venuti”. Avendo saputo che andavano nella Tebaide a cercare il lino, lo riferì all’anziano che rispose: “Non vedranno certo il volto di Arsenio perché non sono venuti per causa mia, ma per il loro lavoro”. Falli riposare e mandali via in pace e dì loro che l’anziano non può riceverli”.

27. Un fratello giunse alla cella di Abba Arsenio a Scete. Aspettando fuori dalla porta, vide l’anziano tutto come una fiamma (il fratello era degno di questo spettacolo). Quando bussò, il vecchio uscì e vide il fratello meravigliato. Gli disse: “Hai bussato a lungo? Hai visto qualcosa qui?”. L’altro rispose: “No”. Allora parlò con lui e lo mandò via.

28. Quando Abba Arsenio viveva a Canopo, una vergine di rango senatoriale, molto ricca e timorata di Dio, venne da Roma a trovarlo. Quando l’arcivescovo Teofilo la incontrò, gli chiese di persuadere l’anziano a riceverla. Così egli glielo chiese con queste parole: “Una certa persona di rango senatoriale è venuta da Roma e desidera vederti”. L’anziano rifiutò di riceverla. Ma quando l’arcivescovo lo disse alla giovane, lei ordinò di sellare la bestia da soma dicendo: “Confido in Dio che lo vedrò, perché non è un uomo quello che sono venuta a vedere (ce ne sono molti nella nostra città), ma un profeta”. Quando giunse alla cella dell’anziano, per una dispensa di Dio, egli era fuori dalla cella. Vedendolo, si gettò ai suoi piedi. Indignato, egli la sollevò e le disse, guardandola fisso: “Se vuol vedere il mio volto, eccolo qui, guardate”. Lei si coprì di vergogna e non guardò il suo volto. Allora il vecchio le disse: “Non ha sentito parlare del mio stile di vita? Dovrebbe essere rispettato. Come osa fare un viaggio del genere? Non si rende conto che è una donna e che non può andare dappertutto? O forse lo ha fatto perché tornando a Roma possa dire alle altre donne: Ho visto Arsenio? Allora il mare diventerà come una un’arteria stradale con le donne che vengono a vedermi”. Lei rispose: “Piaccia al Signore, non permetterà a nessuno di venire qui; ma preghi per me e si ricordi sempre di me”. Ma egli le rispose: “Io prego Dio di allontanare il vostro ricordo dal mio cuore”. Sconvolta all’udire queste parole, si ritirò. Quando tornò in città, nel suo dolore si ammalò di febbre e il beato arcivescovo Teofilo fu informato della sua malattia. Venne a trovarla e le chiese di dirgli qual era il problema. Lei gli disse: “Se solo non fossi andata lì! Poiché ho chiesto al vecchio di ricordarsi di me, mi ha detto: ‘Prego Dio di togliere il suo ricordo dal mio cuore’. Così ora sto morendo di dolore”. L’arcivescovo le disse: “Non si rende conto che lei è una donna e che è proprio attraverso le donne che il nemico guerreggia contro i santi? Questo è il motivo delle parole dell’anziano; ma per quanto riguarda la vostra anima, egli pregherà continuamente per lei”. A questo punto il suo spirito fu guarito e tornò a casa con gioia.

29. Abba Davide raccontò questa storia di Abba Arsenio. Un giorno arrivò un magistrato venne a portargli il testamento di un senatore, membro della sua famiglia, che gli aveva lasciato un’eredità molto grande. Arsenio lo prese e stava per distruggerlo. Ma il magistrato si gettò ai suoi piedi dicendo: “Vi prego, non distruggetelo o mi taglieranno la testa”. Abba Arsenio gli disse: “Ma io sono morto già molto tempo prima di questo senatore che è appena morto”, e gli restituì il testamento senza accettare nulla.

30. Di lui si diceva anche che il sabato sera, per prepararsi alla gloria della domenica, volgeva le spalle al sole e alzava le mani in preghiera verso il cielo, finché ancora una volta il sole non splendeva sul suo volto. Poi si sedeva.

31. Di Abba Arsenio e di Abba Teodoro di Pherme si diceva che, più di tutti gli altri, essi bistrattavano la stima degli altri uomini. Abba Arsenio non incontrava facilmente le persone, mentre Abba Teodoro era affilato come una spada quando incontrava qualcuno.

32. Nei giorni in cui Abba Arsenio viveva nel Basso Egitto, era continuamente disturbato e quindi ritenne opportuno lasciare la sua cella. Senza portare via nulla, si recò dai suoi discepoli a Pharan, Alessandro e Zoilo. Disse ad Alessandro: “Alzati e sali sulla barca”, cosa che egli fece. E disse a Zoilo: “Vieni con me fino al fiume e trovami una barca che mi porti ad Alessandria; poi imbarcati per raggiungere tuo fratello”. Zoilo fu turbato da queste parole, ma non disse nulla. Così si separarono. L’anziano scese nelle regioni di Alessandria dove si ammalò gravemente. I suoi discepoli si dissero l’un l’altro: “forse uno di noi ha infastidito il vecchio e per questo si è allontanato da noi?”. Ma non trovarono nulla di cui rimproverarsi né alcuna disobbedienza. Una volta guarito, l’anziano disse: “Tornerò dai miei padri”. Risalendo la corrente, giunse a Petra, dove si trovavano i suoi discepoli. Mentre era vicino al fiume, una ragazzina etiope si avvicinò e toccò il suo mantello di lana. Il vecchio la rimproverò e lei rispose: “Se sei un monaco, vai sulla montagna”. L’anziano, preso da pentimento a queste parole, diceva fra sé: «Arsenio, se sei monaco, vai sui monti». Mentre pensava a ciò, gli vennero incontro Alessandro e Zoilo che si gettarono ai suoi piedi e anche il vecchio cadde con loro e piansero insieme. Il vecchio disse loro: “Non avete sentito che ero malato?”. Risposero: “Sì”. “Allora”, continuò, “perché non siete venuti a trovarmi?”. Abba Alessandro disse: “Il tuo allontanamento da noi non è stato un bene per noi, e molti non ne sono rimasti soddisfatti, dicendo: Se non avessero contrariato, l’anziano non li avrebbe lasciati”. Abba Arsenio disse: “D’altra parte, ora diranno: La colomba, non trovando dove riposare, tornò da Noè nell’arca”. Così si confrontarono ed egli rimase con loro fino alla morte.

33. Abba Daniele disse: “Abba Arsenio ci ha detto quanto segue, come se si riferisse a qualcun altro, ma in realtà si riferiva a lui stesso. Un anziano era seduto nella sua cella e gli giunse una voce che gli disse: “Vieni e ti mostrerò le opere degli uomini”. Si alzò e la seguì. La voce lo condusse in un certo luogo e gli fece vedere un etiope che stava raccogliendo legna e la sistemava facendo una grande catasta. Poi si sforzò di trasportarla, ma invano. Ora, invece di prendere un po’ di legna alla volta, ne tagliò altra che aggiunse alla catasta. Fece così per molto tempo. Andando un po’ più avanti, al vecchio fu mostrato un uomo in piedi sulla riva di un lago che raccoglieva l’acqua e la versava in un recipiente rotto, in modo che l’acqua tornasse nel lago. Poi la voce disse al vecchio: “Vieni e ti mostrerò qualcos’altro”. Egli vide un tempio e due uomini a cavallo, uno di fronte all’altro, che portavano un pezzo di legno di traverso. Volevano entrare dalla porta, ma non potevano perché tenevano il loro pezzo di legno trasversalmente. Nessuno dei due si ritraeva davanti all’altro, in modo da portare il legno dritto e così rimasero fuori dalla porta. La voce disse all’anziano: “Questi uomini portano il giogo della giustizia con orgoglio e non si umiliano per correggersi e camminare nell’umile via di Cristo. Così essi rimangono fuori dal Regno di Dio. L’uomo che taglia la legna è colui che vive in molti peccati e, invece di pentirsi, aggiunge altre colpe ai propri peccati. Colui che attinge l’acqua è colui che compie buone azioni, ma mescolando quelle cattive con esse, rovina anche le buone opere. Perciò ognuno deve stare attento alle proprie azioni, per non faticare invano”.

34. Lo stesso Abba raccontò di alcuni Padri che un giorno vennero da Alessandria per vedere Abba Arsenio. Tra loro c’era l’anziano Timoteo, arcivescovo di Alessandria, detto il Povero. L’anziano, che era malato, rifiutò di vederli per paura che altri venissero a disturbarlo. In quei giorni viveva a Petra di Troe. Così tornarono indietro, infastiditi. Ora c’era un’invasione di barbari e l’anziano andò a vivere nel basso Egitto. Saputo questo, vennero a trovarlo di nuovo e li accolse con gioia. Il fratello che era con loro gli disse: “Abbà, non sai che siamo venuti a trovarti a Troe e non ci hai ricevuto?”. L’anziano gli rispose: “Voi avete mangiato pane e bevuto acqua, ma in verità, figlio mio, io non ho assaggiato né pane né acqua e non mi sono seduto finché non ho pensato che foste arrivati a casa, per punirmi perché vi siete stancati per colpa mia. Ma perdonatemi, fratelli miei”. Così se ne andarono consolati.

35. Lo stesso Abba disse: “Un giorno Abba Arsenio mi chiamò e mi disse: “Sii di conforto a tuo padre, in modo che quando andrà al Signore pregherà per te, affinché il Signore sia buono con te a tua volta”.

36. Di Abba Arsenio si racconta che una volta, quando era malato a Scete, il sacerdote venne a portarlo in chiesa e lo mise su un letto con un piccolo cuscino sotto la testa. Un anziano che veniva a trovarlo, vedendolo disteso su un letto con un piccolo cuscino sotto la testa, rimase scioccato e disse: “È davvero questo Abba Arsenio, quest’uomo disteso in questo modo?”. Allora il sacerdote lo prese in disparte e gli chiese: “Nel villaggio in cui vivevi, che mestiere facevi?” “Ero un pastore”, rispose. E come vivevi?” “Avevo una vita molto dura”. Allora il sacerdote disse: “E come vivi ora nella tua cella?”. L’altro rispose: “Più comodo”. Allora gli disse: “Vedi questo Abba Arsenio? Quando era nel mondo era come un padre per l’imperatore, circondato da migliaia di schiavi con cinture d’oro, tutti con collari d’oro e abiti di seta. Sotto di lui erano stese ricche coperte. Mentre tu eri nel mondo come pastore non godevi nemmeno delle comodità che hai ora, ma egli non gode più della vita delicata che conduceva nel mondo. Così tu ora sei confortato mentre egli è afflitto”. A queste parole l’anziano fu pieno di compunzione e si prostrò dicendo: “Padre, perdonami, perché ho peccato”. In verità la via seguita da quest’uomo è la via della verità, perché conduce all’umiltà, mentre la mia conduce al benessere”. Così l’anziano si ritirò, edificato.

37. Uno dei Padri andò a trovare Abba Arsenio. Quando bussò alla porta, l’anziano aprì, pensando che fosse il suo servo. Ma quando vide che era un’altra persona, cadde con la faccia a terra. L’altro gli disse: “Alzati, padre, perché possa salutarti”. Ma l’anziano rispose: “Non mi alzerò finché non te ne sarai andato” e, nonostante le molte suppliche, non si alzò finché l’altro non se ne fu andato.

38. Si racconta di un fratello che venne a trovare Abba Arsenio a Scete che, giunto in chiesa, chiese ai chierici se poteva incontrare Arsenio. Gli dissero: “Fratello, prendi un po’ di cibo e poi vai a trovarlo”. Non mangerò nulla”, disse, “prima di averlo incontrato”. Allora, poiché la cella di Arsenio era lontana, mandarono un fratello con lui. Dopo aver bussato alla porta, entrarono, salutarono l’anziano e si sedettero senza dire nulla. Poi il fratello della chiesa disse: “Vi lascio. Pregate per me”. Il fratello in visita, non sentendosi a proprio agio con l’anziano, disse: “Verrò con te” e se ne andarono insieme. Poi il visitatore chiese: “Portami da Abba Mosè, quello che era un ladro”. Quando arrivarono, l’Abba li accolse con gioia e poi li congedò con piacere. Il fratello che aveva portato l’altro disse al suo compagno: “Vedi, ti ho portato dallo straniero e dall’egiziano, quale dei due preferisci?” “Per quanto mi riguarda”, rispose, “preferisco l’egiziano”. Un padre, udito ciò, pregò Dio dicendo: “Signore, spiegami questa faccenda: per amore del tuo nome l’uno fugge dagli uomini e l’altro, per amore del tuo nome, li accoglie a braccia aperte”. Allora gli furono mostrate due grandi barche su un fiume ed egli vide Abba Arsenio e lo Spirito di Dio che navigavano in una, in perfetta pace; e nell’altra c’era Abba Moses con gli angeli di Dio, e tutti mangiavano dolci al miele.

39. Abba Daniele disse: “In punto di morte, Abba Arsenio ci inviò questo messaggio: “Non preoccupatevi di fare offerte per me, perché in verità ho fatto un’offerta per me stesso e la ritroverò”.

40. Quando Abba Arsenio fu in punto di morte, i suoi discepoli erano turbati. Egli disse loro: “Non è ancora giunta l’ora; quando verrà, ve lo dirò. Ma se mai darete le mie spoglie a qualcuno, saremo giudicati davanti al tremendo seggio del giudizio”. Gli dissero: “Che cosa faremo? Non sappiamo come seppellire qualcuno”. Il vecchio disse loro: “Non sapete come legare una corda ai miei piedi e trascinarmi sul monte?

L’anziano diceva spesso a sé stesso: “Arsenio, perché hai lasciato il mondo? Mi sono spesso pentito di aver parlato, ma mai di aver taciuto”. Quando la morte si avvicinava, i fratelli lo videro piangere e gli dissero: “In verità, padre, sei tu a piangere? Padre, hai anche tu paura?” “Certo”, rispose loro, la paura che ho di quest’ora mi accompagna da quando sono diventato monaco”. A questo punto si addormentò.

41. Di lui si disse che aveva un brutto incavo nel petto, che era stato scavato dalle lacrime che gli erano cadute dagli occhi per tutta la vita, mentre era seduto al suo lavoro manuale. Quando Abba Poemen seppe che era morto, disse piangendo: “Veramente sei benedetto, Abba Arsenio, perché hai pianto per te stesso in questo mondo! Chi non piange per sé stesso quaggiù, piangerà eternamente nell’aldilà; quindi è impossibile non piangere, sia volontariamente qui o quando si è costretti dalla sofferenza dei tormenti”.

42. Abba Daniele diceva di lui: “Non volle mai rispondere a una domanda sulle Scritture, anche se avrebbe potuto farlo se avesse voluto, così come non scrisse mai prontamente una lettera. Quando di tanto in tanto veniva in chiesa, si sedeva dietro un pilastro, in modo che nessuno lo vedesse in faccia e che lui stesso non notasse gli altri. Il suo aspetto era angelico, come quello di Giacobbe. Il suo corpo era aggraziato e snello; la sua lunga barba gli arrivava fino alla vita. A causa di molte lacrime, le sue ciglia erano cadute. Alto di statura, era curvo per la vecchiaia. Aveva novantacinque anni quando morì. Per quarant’anni fu impiegato nel palazzo di Teodosio il Grande di divina memoria, che era il padre dei divini Arcadio e Onorio; poi visse quarant’anni a Scete, dieci anni a Troe’ sopra Babilonia, di fronte a Memphis e tre anni a Canopo di Alessandria. Gli ultimi due anni tornò a Troe dove morì, terminando la sua corsa in pace e nel timore di Dio. Era un uomo buono, “pieno di Spirito Santo e di fede”. (At 11,24) Mi ha lasciato la sua tunica di cuoio, un cilicio di pelo bianco[1] e i suoi sandali di foglie di palma. Sebbene non ne sia degno, li indosso per ottenere la sua benedizione”.

43. Abba Daniele raccontava anche questo di Abba Arsenio: “Un giorno chiamò i miei Padri, Abba Alessandro e Abba Zoilo, e per umiliarsi disse loro: “Poiché i demoni mi attaccano e non so se riusciranno a derubarmi quando dormirò stanotte, condividete la mia sofferenza e vegliate affinché non mi addormenti durante la veglia”. A notte fonda si sedettero in silenzio, uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra. I miei Padri dissero: “Quanto a noi, ci siamo addormentati, poi ci siamo svegliati di nuovo, ma non ci siamo accorti che si era assopito”. Al mattino presto (Dio sa se lo fece apposta per farci credere che aveva dormito, o se davvero aveva ceduto al sonno) fece tre sospiri, poi si alzò subito, dicendo: “Ho dormito, vero?”. Noi rispondemmo che non lo sapevamo”.

44. Un giorno alcuni anziani vennero da Abba Arsenio e insistettero per vederlo. Egli li ricevette. Poi gli chiesero di dire loro una parola su coloro che vivono in solitudine senza vedere nessuno. L’anziano disse loro: “Finché una ragazza vive nella casa paterna, molti giovani desiderano sposarla, ma quando ha preso marito non è più gradita a tutti; disprezzata da alcuni, lodata da altri, non gode più della stima un tempo, quando viveva una vita nascosta. Così è per le cose dell’anima; nel momento in cui vengono mostrate a tutti, non sono più in grado di essere apprezzate da tutti”.


[1] Il cilicio anticamente era un tessuto di peli di capra o di cammello, in uso anche fra i soldati dell’esercito romano. Nel mondo greco-romano tali stoffe, utilizzate per tende, vele, sacchi, vesti grossolane, ecc., presero il nome di “cilici”, termine che proviene dal greco κιλίκιον (kilíkion), ovvero della regione della Cilicia, l’odierno Sud della Turchia, in quanto i Cilici ne ebbero quasi il monopolio (Plinio, VI, 143). A scopo ascetico questa stoffa veniva indossata a immediato contatto con la nuda pelle, come viene frequentemente attestato nella Bibbia, nella quale la traduzione abituale di cilicio è “sacco”, in quanto in ebraico cilicio si dice saq. (fonte Wikipedia e Treccani)




Laminina: la firma di Dio

“Sono un biologo sono diventato un cristiano studiando la biochimica”…

Ed EGLI è avanti in ogni cosa, e tutte le cose sussistono in LUI.
Poiché in lui si compiacque il Padre di far abitare tutta la pienezza e di riconciliare con sé tutte le cose per mezzo di lui, avendo fatto la pace mediante il sangue della croce d’esso; per mezzo di lui, dico, tanto le cose che sono sulla terra, quanto quelle che sono nei cieli. (Colossesi 1)
La laminina è una glicoproteina ed è la componente più abbondante di tutte le lamine basali, una rete di proteine presente nella maggior parte delle cellule e degli organi. Rappresenta una parte importante, biologicamente attiva, che durante gli stadi embrionali, insieme ad altre molecole, contribuisce all’adesione delle cellule in una struttura sferica. Durante lo sviluppo del sistema nervoso, inoltre, i neuroni migrano lungo i percorsi formati dalla matrice extracellulare che contiene proprio la laminina.
Questa glicoproteina, quindi, risulta fondamentale non solo per organizzare le cellule in tessuti, ma anche durante lo sviluppo, poichè indirizza la migrazione delle cellule. La sua importanza si attesta nella distrofia congenita da deficit di merosina, una malattia ereditaria dovuta ad un difetto di laminina che si verifica a livello dei muscoli e del sistema nervoso.
Osservando la proteina al microscopio, non può passare inosservata la particolare struttura tridimensionale che essa assume: quella di una croce. A tal proposito, un noto biochimico disse: “La nostra conoscenza della verità è più chiaramente rivelata sulla croce di Cristo, e ciò che tiene il nostro corpo umano insieme (la Laminina), è casuale che abbia la forma proprio di croce? Qualcuno potrebbe dire di sì, ma io penso che sia ancora un altro modo con cui Dio rivela la sua gloria a noi. Penso che Dio è colui che tiene insieme tutte le cose, i nostri corpi, il nostro mondo e le nostre vite. “. Il dr. Fazale Rana, anch’esso biochimico, osservando la forma a croce della laminina ha affermato: “Ci sono molti modi più sostanziali per utilizzare la biochimica: discutere della necessità di un Creatore…Sono diventato un cristiano quando studiavo la biochimica. La cellula nella sua complessità, l’eleganza, la raffinatezza e l’inadeguatezza degli scenari evolutivi sul conto dell’origine della vita, mi hanno spinto a concludere che la vita deve derivare da un Creatore.”
Spesso ammiriamo la complessità e la perfezione dei cicli biologici della natura e della vita presente in questo pianeta: questa non è altro che la “scrittura” di Dio. Il nostro pianeta rifletteva la Sua perfezione, finché l’uomo non ha causato il caos che attualmente ci circonda, ma possiamo ancora apprezzare ciò che ci è stato donato: Dio è perfetto ed ha voluto riflettere questa perfezione nel Suo creato, indice del Suo amore per noi, mentre l’abuso delle risorse che abbiamo a disposizione, riflette, purtroppo, soltanto l’amore che l’uomo ha per se stesso…

Fonte Facebook: Mario Scisci




San Giovanni Climaco: La scala della divina ascesa. Gradino 1

INTRODUZIONE

La scala della divina ascesa, o scala del Paradiso (dal gr. Κλίμαξ; Climax, Scala), è un importante trattato ascetico rivolto ai monaci scritto da Giovanni monaco e poi igumeno del mona­stero di S. Caterina sul Sinai, soprannominato proprio a causa di questa sua opera Climaco. La composizione risale al 600 d.C. circa e prese avvio su richiesta di Giovanni, Abate di Raito, un monastero situato sulle rive del Mar Rosso.

La Scala, un testo fondamentale della tradizione ascetica della Chiesa, è indirizzato ad anacoreti e cenobiti e tratta dei mezzi con cui si può raggiungere il più alto grado di perfezione spirituale. Suddivisa in trenta parti, o “gradini”, in memoria dei trent’anni della vita di Cristo prima della vita pubblica, modello divino per il fedele cristiano. Nella Scala si descrive l’itinerario dell’e­sperienza spirituale e ascetica che conduce alla deificazione. «Il presente libro – esorta san Giovanni Climaco – mostra il miglior cammino. Se lo imbocchiamo, troveremo in esso una guida sicura per chi lo segue, una scala molto stabile che conduce dalle cose terrestri alle realtà sante, e al sommo di essa vedremo affacciarsi Dio. E’ quella che io penso sia la scala di Giacobbe, ‘colui che ha superato’ le passioni, e che contemplò mentre riposava sul giaciglio dell’ascesi. Saliamo dunque con coraggio, mettendoci quel poco della nostra volonta, con fiducia in Colui che solo può permetterci di salire gradino dopo gradino.

PRIMO GRADINO

1. Quando si scrive ai servi di Dio è meglio cominciare da Dio stesso. Il nostro Dio e Re è davvero buono, sommamente buono e tutto buono. Delle creature intelligenti da Lui create e glorificate con l’onore del libero arbitrio, alcune Gli sono amiche, mentre altre sono veramente Sue fedeli servitrici, altre ancora sono serve inutili e altre sono completamente separate da Dio. Altre ancora, infine, sono da considerarsi Sue impotenti avversarie. 

Quando diciamo “amici di Dio”, santo e venerato padre, intendiamo, nella nostra pochezza, quegli esseri intelligenti e incorporei che sono intorno a Lui. Per “servi fedeli”, coloro che hanno compiuto e compiono la sua santissima volontà senza indugio né interruzione alcuna. Quanto ai “servi inutili”, parliamo di coloro che dopo aver ricevuto il battesimo non hanno mantenuto i giuramenti fatti davanti a Dio. Per coloro che sono estranei e “separati da Dio”, intendiamo gli eretici e i miscredenti. Da ultimo, per “avversari di Dio” intendiamo coloro che non solo non adempiono i comandamenti del Signore rigettandoli lontano da sé, ma che combattono con accanimento contro chi li mette in pratica.

Ogni tipologia di persona sopra descritta potrebbe avere una descrizione speciale ad essa dedicata. Ma per i semplici, come siamo noi, non sarebbe utile in questo frangente addentrarsi in valutazioni così lunghe. Venite dunque, in incrollabile obbedienza, a tendere le mani indegne a coloro che sono i veri servi di Dio, che piamente ci stringono con la loro fede e con le loro istruzioni. Componiamo questo scritto con una penna presa dalla loro sapienza e intingendola nell’inchiostro della loro cupa ma illuminante umiltà scriviamo sulla carta liscia e bianca dei loro cuori, oppure poggiando su tavole spirituali le parole divine, cominciamo a dire quanto segue.

Dio è la vita e la salvezza di tutte le creature. Egli è il respiro vitale di noi tutti, sia del credente che dell’incredulo, di coloro che sono giusti e ingiusti, dei pii e degli empi, dei lussuriosi e di coloro che sono liberi dalle passioni, del monaco e del laico, del saggio e dello stolto, del sano e del malato, dei giovani e degli anziani. Perché proprio come la luce risplende dal sole, e le stagioni si alternano per tutti allo stesso modo, ‘poiché non c’è distinzione tra le persone per Dio’. (Rm 1,18)

“L’empio” è una creatura mortale di natura razionale che di sua spontanea volontà ha voltato le spalle alla vita e pensa il suo Fattore, l’Essere eterno, come non esistente. “L’uomo iniquo” è colui che trasforma la legge di Dio secondo il proprio piacere e cerca di mescolare la fede in Dio con le eresie che operano in opposizione a Lui. Il “cristiano”, invece, è colui che cerca di imitare Cristo nel pensiero, nella parola e nelle opere, per quanto gli è possibile come essere umano, credendo rettamente e semplicemente nella Santissima Trinità. È un “amante di Dio” colui che gode di tutti i beni che sono secondo natura ed esenti da peccato e non trascura di compiere tutto il bene che è nelle sue capacità. “L’uomo continente” è colui che in mezzo a tentazioni, insidie ​​e tumulti, si sforza con tutte le sue forze di imitare i modi di chi è impassibile. Il “monaco” è colui che pur vivendo nel suo corpo terreno e passionale ha raggiunto il rango e lo stato degli angeli. Un monaco è colui che esercita una rigorosa violenza contro la sua natura e veglia incessantemente sui suoi sensi. Un monaco è colui che mantiene il suo corpo casto, la sua bocca immacolata e la sua mente illuminata. Un monaco è un’anima che piange e che mantiene il ricordo della morte incessantemente sia nella veglia che nel sonno.

Il ritiro dal mondo è disprezzo volontario e rinnegamento di ogni diletto naturale allo scopo di acquisire quello che è superiore alla natura. Tutti coloro che volontariamente si sono lasciati alle spalle tutte le cose di questo mondo, lo hanno fatto o per la ricompensa del Regno futuro, o per l’entità dei loro peccati, o per amore di Dio. Se non hanno lasciato il mondo per nessuno di questi motivi, il loro ritiro è irrazionale. Ma Dio che giudica la nostra lotta, aspetta di vedere quale sarà la fine della nostra gara.

Colui che ha lasciato il mondo per scrollarsi di dosso il peso dei propri peccati, dovrebbe essere come coloro che abitano fuori città tra le tombe. Non dovrebbe far cessare il flusso ardente e caldo delle sue lacrime e il muto dolore del suo cuore fino a quando non vede che, come accadde a Lazzaro, Gesù viene da lui per rotolare via la pietra dura che copre il suo cuore e scioglierlo dalle bende, vale a dire, la nostra mente, dai legami del peccato, e comandi ai suoi angeli servitori di liberalo dalle sue concupiscenze affinché possa avviarsi verso la benedetta apatia, senza la quale non avrà ottenuto nulla.

Chi di noi vorrebbe uscire dall’Egitto e allontanarsi dal Faraone, ha bisogno di un Mosè che sia mediatore con Dio e da Dio. Questi è colui che sta tra la prassi e la teoria, alzando le mani in preghiera a Dio per nostro conto, affinché guidati da lui anche noi possiamo attraversare il mare del peccato e sconfiggere l’Amalek delle nostre passioni. Questo è il motivo per cui, quanti volessero abbandonarsi a Dio, tradiscono sé stessi se pensano di non aver bisogno di una guida. Perché coloro che lasciarono l’Egitto ebbero Mosè come guida e quelli che lasciarono Sodoma ebbero un angelo. I primi (quelli che hanno lasciato l’Egitto) sono come quelli che vengono salvati dalle malattie della loro anima grazie alle cure dei dottori. Gli altri sono come coloro che desiderano allontanarsi dalla contaminazione del loro miserabile corpo. Per questo richiedono una guida, un angelo si potrebbe dire, o almeno una guida che è uguale a un angelo. Perché, a seconda della misura della gravità delle nostre ferite abbiamo bisogno di una guida che sia un medico convenientemente addestrato.

Coloro che desiderano salire con il proprio corpo al cielo, hanno bisogno prima di tutto di lottare e di farsi violenza costantemente, specialmente nella prima parte della loro rinuncia, finché la loro inclinazione al piacere e il loro cuore insensibile raggiungano l’amore di Dio e la purezza attraverso un manifesto dolore. Una fatica grande, grandissima, con un lutto interiore, specialmente per chi ha vissuto sconsideratamente, finché per semplicità, mancanza di collera e fatica forziamo la nostra mente, che è come un cane affamato che continua ad abbaiare standosene vicino al macello, ad amare la purezza e la vigilanza. Lascia che quelli di noi che sono deboli e lussuriosi abbiano il coraggio di presentare le proprie malattie e la propria natura debole a Cristo con fede indubitabile. Riceveremo sicuramente il Suo aiuto, anche se questo è al di là di ciò che meritiamo. Ma, tutto ciò, solo se siamo mossi da una profonda umiltà.

Tutti coloro che intraprendono il degno combattimento, che è insieme angusto e difficile, ma anche leggero, dovrebbero capire che devono saltare come nel fuoco, se si aspettano veramente che un altro fuoco, quello celeste, sia dentro di loro. Ma ciascuno esamini il proprio carattere, e ne consumi il pane con il condimento amaro, e ne beva la coppa con le lacrime, affinché la sua lotta non lo conduca al suo giudizio. Se è vero che non tutti coloro che sono stati battezzati vengono salvati, tacerò su ciò che ne consegue.

Coloro che intraprendono questa lotta devono rinunciare a tutto, disprezzare tutto e rimuovere tutto, in modo da poter gettare solide fondamenta. Una solida base è quella che sostiene l’edificio con tre colonne: l’innocenza, il digiuno e l’autocontrollo. Che tutti i bambini in Cristo inizino con queste virtù, prendendo esempio dalle virtù dell’età infantile. Perché non trovi in ​​un bambino nulla che sia astuto o ingannevole. Non hanno un appetito o uno stomaco incontrollabili. Non un corpo acceso dal fuoco libidinoso. Ma mentre crescono, quando iniziano a consumare più cibo, aumentano anche in loro le passioni animali.

Se all’inizio della gara rimaniamo fiaccamente nelle ultime posizioni possiamo avere in questo una prova della nostra sconfitta finale; una cosa molto detestabile e rischiosa. Al contrario, un buon inizio sarà importante per noi quando in seguito diventeremo pigri. Un’anima che all’inizio è forte, ma poi perde vigore, è spinta in avanti dal ricordo dello zelo precedente. In tal modo è possibile riprendere le ali.

Se l’anima inganna sé stessa e si allontana dallo zelo beato, ne cerchi in dettaglio la ragione. Prenda le armi con tutta la sua forza e il suo zelo contro questa ragione. Perché lo zelo di prima può essere riacquistato solo dalla stessa porta da cui è uscito.

Colui che lascia il mondo per paura è come l’incenso che brucia. Inizia con un profumo meraviglioso ma finisce con fumo acre. Colui che abbandona il mondo a causa del desiderio di una ricompensa è come una macina, che si muove sempre nel suo stato egoistico. Ma chi lascia il mondo per amore di Dio ha acquistato il fuoco fin dall’inizio, e come un fuoco alimentato con combustibile, diventa una fiamma sempre più grande.

Alcuni costruiscono con i mattoni sulle pietre. Altri ancora mettono colonne sulla nuda terra. Ma ci sono altri che dopo aver percorso una breve distanza, dopo aver scaldato i loro muscoli e le giunture, vanno ancora più veloci. Chi può capire, comprenda questa parabola.

Corriamo dunque la nostra corsa con zelo essendo stati convocati dal nostro Dio e nostro Re, poiché il tempo che abbiamo è breve, e per timore di trovarci senza frutto il giorno della nostra morte e patire la fame. Cerchiamo di essere graditi al Signore come le truppe piacciono al loro generale, dal momento che dobbiamo fornire un resoconto completo del nostro servizio alla fine della campagna. Temiamo il Signore con un timore non inferiore a quello che si prova verso le bestie brute. Perché ho visto uomini intenzionati a rubare, non temendo Dio, ma subito dopo aver udito l’abbaiare dei cani si sono voltati indietro. Ciò che il timore di Dio non ha prodotto, lo ha realizzato il timore degli animali. Cerchiamo di avere un amore per Dio che sia almeno pari al nostro rispetto per i nostri amici. Ho visto tante volte persone che scandalizzavano Dio e non ne erano state minimamente colpite, gli stessi che non trovano pace per aver contrariato un po’ delle persone amiche. Questi escogitano ogni strategia, usano ogni mezzo o trovata, ogni richiesta di riconciliazione, personalmente o per mezzo di intermediari o regali, per ritornare alla vecchia condizione di amicizia.

All’inizio della nostra rinuncia, è importante che con fatica e dolore realizziamo le nostre virtù. E quando abbiamo fatto qualche progresso in esse, smettiamo di sentirci addolorati, o proviamo solo un po’ di dolore. E quando la nostra mente mortale è abbandonata all’ardore, raggiungiamo le nostre virtù con tutta gioia e serietà, con amore e fuoco divino.

Sono coloro che fin dall’inizio perseguono le virtù e adempiono i comandamenti con letizia e entusiasmo che meritano ogni lode. Allo stesso modo sono degni di vera pietà coloro che pur faticando da tanto tempo nella vita ascetica, trovano ancora difficile osservare i comandamenti, se pure li osservano.

Non condanniamo o disprezziamo una rinuncia che si basa solo sulle circostanze. Ho osservato uomini che sono fuggiti in esilio imbattersi per caso in un re mentre era in viaggio, e poi unirsi alla sua banda, entrare nella sua corte e mangiare con lui. Ho osservato i semi cadere a terra con noncuranza e portare una moltitudine di frutti. Anche il contrario l’ho osservato. Ho visto qualcuno entrare in ospedale con un intento diverso, ma la cordialità e l’amorevolezza del medico lo hanno conquistato e, dopo essere stato curato con attenzione, è stato guarito dalla nebbia che gli offuscava la vista. Quindi per alcuni ciò che non era intenzionale si dimostrò più fermo e più forte di ciò che era intenzionale.

Nessuno dica che il peso o il numero dei suoi peccati lo rende indegno della professione monastica. Non si ritenga di poco valore a causa della sua ricerca del piacere, deprimendosi, portando come scusante i suoi stessi peccati. Perché proprio dove c’è molta putredine è necessaria molta cura per rimuovere la malattia. Chi sta bene non va in ospedale. (Mt 9,12; Lc 5,31)

Se un re del mondo dovesse convocarci e chiederci di servire davanti a lui, non tarderemmo ad aspettare altre convocazioni. Non troveremmo scuse, ma metteremmo da parte ogni cosa e andremmo seriamente da lui. Quindi, stiamo attenti, affinché se il Re dei re e il Signore dei signori e il Dio degli dei ci chiamasse al suo servizio divino, non dovremmo scusarci per pigrizia e codardia e poi scoprirci senza scuse nel Giudizio finale. Si può camminare con difficoltà, anche se legati dai vincoli degli impegni quotidiani e dalle catene di ferro delle preoccupazioni. E quelli che hanno catene di ferro ai piedi possono anche camminare, ma inciamperanno spesso e si faranno male. Un uomo che non è sposato ma è legato al mondo solo da rapporti d’affari è come uno che ha legate solo le mani, e se desiderasse iniziare la vita monastica non sarebbe bloccato da nulla. Invece, l’uomo che è sposato è come uno che è incatenato mani e piedi, così che, sebbene desideri correre, non può.

Alcune persone nel mondo che vivono con noncuranza mi hanno chiesto: “Abbiamo moglie e molte preoccupazioni sociali, come potremmo condurre una vita di solitudine?” Io ho risposto loro: “Fate il bene che potete; non parlate male di nessuno; non rubate; non mentite; non vantatevi; non odiate; andate in chiesa; abbite pietà dei poveri; non siate un ostacolo per nessuno; non avvicinatevi al letto di un altro ma siate soddisfatti di ciò che ricevete dalla vostre mogli. Se farete queste cose sarete vicini al Regno dei Cieli’.

Affrontiamo la lotta virtuosa con letizia e amore senza aver paura dei nemici, che sebbene invisibili, possono vedere direttamente nelle nostre anime. Se la vedono presa dalla paura, ci combattono ancora più ferocemente. Perché questi esseri perspicaci vedono che non siamo coraggiosi. Quindi armiamoci contro di loro con coraggio. Non c’è nessuno che vorrà ingaggiare un combattimento contro un guerriero determinato.

Intenzionalmente il Signore rende le nostre battaglie facili all’inizio in modo da non farci tornare rapidamente nel mondo proprio all’inizio della nostra lotta. Rallegratevi dunque sempre nel Signore, voi tutti suoi servi, avvertendo in questo un primo segno dell’amore del nostro Maestro per noi; segno che ci ha chiamati. Quando Dio osserva delle anime coraggiose, è risaputo che permette loro di sopportare i conflitti fin dall’inizio, in modo da incoronarle al più presto. Ma per chi è nel mondo il Signore nasconde la difficoltà della gara. Perché se coloro che sono nel mondo conoscessero la difficoltà, non rinuncerebbero mai al mondo.

Offri a Cristo la costanza e gli affanni della tua giovinezza; nella tua vecchiaia gioirai del tesoro del distacco. Ciò che si raccoglie da giovani nutre e conforta lo stato di chi è oramai stanco in vecchiaia. Nella nostra giovinezza lavoriamo diligentemente e corriamo con attenzione, poiché l’ora della nostra morte non è nota. Abbiamo nemici molto malvagi, pericolosi, astuti e malvagi, che hanno il fuoco nelle loro mani con il quale cercheranno di bruciare il tempio di Dio. Questi nemici sono forti; non dormono. Sono immateriali e invisibili. Che nessuno da giovane ascolti i nemici demoniaci, quando gli dicono: “Non c’è bisogno di esaurire la tua carne per non ammalarti e infiacchirti”. Raramente troverai qualcuno in questa generazione che voglia mortificare il proprio corpo, sebbene possa trattenersi da una varietà di piatti gustosi.

Coloro che sono disposti a servire Cristo, con l’aiuto dei padri spirituali e la loro conoscenza, si sforzeranno di trovare un luogo, un modo di vivere, una cella e pratiche adeguate. La vita comunitaria non è per tutti a causa dell’avidità. E i luoghi solitari non sono per tutti a causa dell’ira. Ogni persona deve riflettere su ciò che è meglio per i suoi bisogni.

L’intero stato monastico è costituito da tre tipi di dimora: il luogo solitario di un atleta spirituale; una vita di silenzio con uno o due altri; o la paziente sopportazione di una comunità. Non girare né a destra né a sinistra, ma segui la retta via del Re. Dei tre modi di vita sopra esposti, il secondo è buono per molti, poiché sta scritto: “Guai a colui che è solo quando cade nella disperazione o nell’accidia o nell’ozio o nell’apatia e non ha altri uomini che lo sollevino”. Come disse il Signore: “Poiché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”.

Chi è il monaco fedele e sagace? È colui che ha conservato immutato il suo zelo e al termine della sua vita non ha cessato ogni giorno di aggiungere fuoco a fuoco, ardore ad ardore, zelo a zelo, amore ad amore.

Questo è il primo gradino. Chi ci è salito non torni indietro.




IGNATIJ BRJANCANINOV: Lo spirito della preghiera per il principiante (II)

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Lo spirito della preghiera per il principiante (I)

Fate al Signore le vostre preghiere con un balbettio infantile, un semplice pensiero infantile – non con eloquenza, non con ragionamenti. “Se non vi convertirete” – come dal Paganesimo e dall’Islam, dalla vostra complessità e doppiezza – “e non sarete”, ci ha detto il Signore, “come bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 18,3)[1].

Un bambino esprime tutti i suoi desideri con il pianto: la vostra preghiera sia sempre accompagnata dal pianto. Non solo nelle parole della preghiera, ma anche nel silenzio della preghiera, lasciate che il vostro desiderio di pentimento e di riconciliazione con Dio, il vostro estremo bisogno della misericordia di Dio siano espressi nel pianto.

La dignità della preghiera consiste unicamente nella qualità, non nella quantità: la quantità è lodevole quando porta alla qualità. La qualità porta sempre alla quantità; la quantità porta alla qualità quando l’orante prega con attenzione[2]. La qualità della vera preghiera è quando la mente è attenta durante la preghiera e il cuore è solidale con la mente.

Richiudete la mente nelle parole pronunciate della preghiera e mantenetela attenta[3]. Tenete gli occhi sulla bocca, o chiusi[4]: in questo modo favorirete l’unione della mente con il cuore. Pronunciate le parole con estrema lentezza, e metterete più facilmente la mente nelle parole della preghiera: nessuna parola della vostra preghiera sarà pronunciata senza essere animata dall’attenzione.

La mente, quando entra nelle parole della preghiera, attira il cuore in comunione con sé. Questa comunione del cuore con la mente si esprime con la tenerezza, che è un sentimento pio che unisce il dolore a una tranquilla e dolce consolazione[5].

L’essenziale della preghiera è il digiuno[6]. Quando sentite aridità e durezza, non abbandonate la preghiera; per la vostra riluttanza e il vostro sforzo contro l’insensibilità del vostro cuore, la misericordia di Dio vi verrà incontro sotto forma di tenerezza. L’umiltà è un dono di Dio, inviato a coloro che sopportano e perseverano nella preghiera (Rm 12,12; Col 4,2), che cresce costantemente in loro, guidandoli alla perfezione spirituale.

La mente, stando in attenta preghiera davanti al Dio invisibile, deve essere anch’essa invisibile, come immagine della Divinità invisibile: cioè, la mente non deve presentare in sé, né fuori di sé, né davanti a sé alcuna apparenza, deve essere del tutto invisibile. Così, la mente deve essere del tutto estranea alla fantasticheria, per quanto pura e santa essa possa sembrare[7].

Quando pregate, non cercate l’estasi, non mettete in moto i nervi, non scaldate il sangue. Al contrario, mantenete il vostro cuore in una calma profonda, nella quale è condotto dal senso di pentimento: il fuoco materiale, il fuoco della natura dell’uomo decaduto, è rifiutato da Dio. Il tuo cuore deve essere purificato dal pianto di pentimento e dalla preghiera di pentimento; quando sarà purificato, allora Dio stesso farà scendere in esso il suo santissimo fuoco spirituale[8].

L’attenzione durante la preghiera porta i nervi e il sangue alla quiete, e incoraggia il cuore a sprofondare nel pentimento e a dimorare in esso. Il silenzio del cuore non è disturbato dal fuoco divino, se scende nella stanza superiore del cuore, quando i discepoli di Cristo (che rappresentano i pensieri e i sentimenti presi in prestito dal Vangelo) sono riuniti in esso. Questo fuoco non riscalda né brucia il cuore, al contrario, lo irriga e lo rinfresca, riconcilia l’uomo con tutti gli uomini e con tutte le circostanze della vita, attira il cuore in un amore indicibile verso Dio e verso il prossimo.

La distrazione macchia la preghiera. Chi prega distrattamente sente in sé un vuoto e un’aridità inconsci. Chi prega costantemente in modo distratto è privo di tutti i frutti spirituali che di solito nascono da una preghiera attenta, assimila a sé uno stato di aridità e di vuoto, da cui derivano freddezza nei confronti di Dio, sconforto, annebbiamento della mente, indebolimento della fede, e da cui deriva la morte in relazione alla vita eterna e spirituale. Tutti questi elementi, nel loro insieme, sono chiari segni che tale preghiera non è accettata da Dio.

La fantasticheria nella preghiera è ancora più dannosa della distrazione. La distrazione rende la preghiera infruttuosa ma la fantasticheria è causa di falsi frutti: l’autoinganno (ndr. prelest) e, come dicono i santi Padri, la passione diabolica. Le immagini del mondo visibile e le immagini del mondo invisibile composte dalla fantasticheria, impresse e rallentate nella mente, la rendono come materiale, la trasferiscono dalla regione divina dello Spirito e della Verità alla regione della sostanza e della falsità. In questa regione il cuore comincia a simpatizzare con la mente non con un senso spirituale di pentimento e umiltà, ma con un senso della carne, un senso del sangue e dei nervi, un senso intempestivo e disordinato del piacere, tanto che è peculiare dei peccatori, un senso di amore sbagliato e falso immaginario per Dio. L’amore delittuoso e abominevole appare poco sofisticato nelle esperienze spirituali del santo, ma in realtà è solo un sentimento confuso di un cuore non purificato dalle passioni, che gode della vanità e della voluttà, messo in moto dai sogni ad occhi aperti. Tale stato è uno stato di autoillusione (ndr. prelest).

Se una persona ristagna in questa autoillusione, le immagini che gli appaiono ricevono straordinaria vivacità e attrattiva. Quando compaiono, il cuore comincia a scaldarsi e a godere illegalmente, o, secondo la definizione della Sacra Scrittura, a commettere adulterio (Sal 72,27). La mente riconosce un tale stato come pieno di grazia, divino: quindi il passaggio all’evidente delusione del demoniaco è vicino; il momento in cui una persona perde l’autocrazia, diventa un giocattolo e uno zimbello dello spirito malvagio. Dalla preghiera sognante che porta una persona a questo stato, Dio si allontana con rabbia. E il verdetto della Scrittura si avvera su coloro che pregano con una tale preghiera: “La sua preghiera si trasformi in peccato” (Sal 109,7).

Rifiutate i pensieri apparentemente buoni e le idee apparentemente brillanti che vi vengono incontro mentre pregate, distraendovi dalla preghiera[9]. Essi escono dal regno della mente falsa, seduti come cavalieri a cavallo, sulla vanità. I loro volti cupi sono chiusi, affinché la mente dell’orante non riconosca in loro i suoi nemici. Ma proprio perché sono ostili alla preghiera, distraggono la mente, la portano in cattività e in pesante schiavitù, espongono e devastano l’anima, ecco perché si riconoscono come nemici del regno del pacificatore. La mente spirituale, la mente di Dio, promuove la preghiera, concentra l’uomo in sé stesso, lo immerge nell’attenzione e nella tenerezza, impartisce alla mente un silenzio riverente, il timore e lo stupore che nascono dal senso della presenza e della maestà di Dio. Questa sensazione può, a tempo debito, diventare molto intensa e rendere la preghiera per l’orante un temibile tribunale di Dio[10].

La preghiera attenta, aliena da distrazioni e fantasticherie, è la visione del Dio invisibile che attira a sé la vista della mente e il desiderio del cuore. Allora la mente vede senza vedere e si accontenta di un non vedere che supera ogni visione. La ragione di questo beato non vedere è l’infinita sottigliezza e incomprensibilità dell’Oggetto verso cui la visione è diretta. Il Sole invisibile della giustizia – Dio emette anche raggi invisibili, ma percepibili dal senso palpabile dell’anima: essi riempiono il cuore di meravigliosa calma, fede, coraggio, mitezza, misericordia, amore per il prossimo e per Dio. Grazie a queste azioni, visibili nell’intimo del cuore, l’uomo riconosce senza dubbio che la sua preghiera è accettata da Dio, inizia a credere con una fede viva e a confidare fermamente nell’Amante e nell’Amato. Ecco l’inizio del risveglio dell’anima per Dio e per un’eternità benedetta[11].

Il frutto della vera preghiera è una santa pace dell’anima, unita a una gioia tranquilla e silenziosa, priva di fantasticherie, di presunzione e di impulsi e movimenti accesi, un amore per gli altri che non distingue il bene dal male, il degno dall’indegno, ma intercede per tutti davanti a Dio, come per sé, come per i propri membri. Da questo amore per gli altri risplenderà il più puro amore per Dio. Questi frutti sono un dono di Dio. Sono attratti dall’anima grazie alla sua attenzione e umiltà, mantenuti dalla sua fedeltà a Dio.

L’anima rimane fedele a Dio quando elimina ogni parola, azione e pensiero peccaminoso e quando si pente immediatamente dei debiti in cui si è lasciata trascinare dalla sua debolezza.

Il fatto che desideriamo ottenere il dono della preghiera, lo dimostriamo sedendoci pazientemente oranti alla porta della preghiera. Per la pazienza e la perseveranza riceviamo il dono della preghiera. “Il Signore”, dice la Scrittura, “dà grazia a chi prega” (1 Sam 2,9) con pazienza e sforzo.

Per i nuovi credenti, le preghiere brevi e frequenti sono migliori di quelle lunghe, separate l’una dall’altra da uno spazio di tempo considerevole[12].

La preghiera è il più alto esercizio per la mente.

La preghiera è la testa, la fonte, la madre di tutte le virtù[13].

Siate saggi nella vostra preghiera. Non chiedete in essa nulla di deperibile e di vano, ricordando il comandamento del Salvatore: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose”, cioè tutte le necessità della vita temporale, “vi saranno date in aggiunta”[14]. (Mt 6,33)

Quando intendete fare qualcosa, o volete fare qualcosa, anche nelle difficoltà della vita, rivolgete il vostro pensiero a Dio nella preghiera: chiedete ciò che ritenete necessario e utile; ma lasciate alla volontà di Dio nella fede e nella fiducia nell’onnipotenza, nella saggezza e nella bontà della volontà di Dio di fare o non fare ciò che chiedete. Questo eccellente modo di pregare ci è stato dato da Colui che ha pregato nel giardino del Getsemani, “affinché passasse il calice da Lui stabilito” ma “non la mia volontà”, concluse la sua preghiera al Padre: “ma sia fatta la tua” (Lc 22,42).

Offrite a Dio un’umile preghiera per le virtù e le opere pie che state compiendo, purificatele e perfezionatele con la preghiera e il pentimento. Dite di loro nella vostra preghiera ciò che il giusto Giobbe disse nella sua preghiera quotidiana a proposito dei suoi figli: “Ogni volta che i miei figli hanno peccato e nei loro pensieri hanno pensato al male contro Dio” (Gb 1,5). Il male è infido: si mescola invisibilmente con la virtù, contaminandola, avvelenandola.

Gettate via tutto per ereditare la preghiera e, sollevati da terra sulla croce dell’abnegazione, date il vostro spirito, la vostra anima e il vostro corpo a Dio e da Lui ricevete la santa preghiera, che, secondo l’insegnamento dell’Apostolo e della Chiesa universale, è l’azione dello Spirito Santo nell’uomo, quando lo Spirito lo inabita[15] (Rm 8,26). “Chiunque abbia raggiunto (l’orazione incessante) ha raggiunto il limite delle virtù ed è stato reso dimora dello Spirito Santo”, diceva Sant’Isacco.

Conclusione

Chi trascura l’esercizio di un’attenta preghiera fatta nel pentimento è estraneo al progresso spirituale e ai frutti spirituali, è nel buio di molteplici autoinganni. L’umiltà è l’unico altare su cui gli esseri umani possono offrire a Dio offerte di preghiera, l’unico altare da cui le offerte di preghiera sono accettate da Dio[16]; la preghiera è la madre di tutte le vere virtù divine. Nessun progresso spirituale è possibile, nessun avanzamento spirituale è possibile per chi ha rifiutato l’umiltà, per chi non si è preoccupato di entrare in una santa unione con la preghiera. L’esercizio della preghiera è il testamento dell’Apostolo: “pregate senza sosta”, ci dice l’Apostolo (1 Ts 5,17). L’esercizio della preghiera è un comandamento del Signore stesso, un comandamento unito a una promessa: “Chiedete”, ci invita il Signore, ci comanda, “e vi sarà dato; cercate e troverete; premete e vi sarà aperto” (Matteo 7,7). Il Signore ci ha comandato: “cercate, e troverete; bussate, e vi sarà aperto” (Matteo 7,7). A quel punto si trasformerà in un incessante sacrificio di lode. Questa lode sarà continuamente offerta e proclamata senza sosta dagli eletti di Dio a partire dall’incessante esperienza di beatitudine nell’eternità, che viene seminata qui sulla terra e nel tempo, dai semi di pentimento seminati attraverso una preghiera attenta e diligente.

Amen.


[1] La scala del Paradiso, Gradino 28, p. 326

[2] San Melezio, che salì sulla montagna della Galizia. Poema sulla preghiera; Lestvitsa, Discorso 28, cap. 21.

[3] La Scala del Paradiso, Gradino 28, p. 327

[4] Consigli del santo ieromonaco Seraphim di Sarov. Che sia utile pregare con gli occhi chiusi è menzionato anche in 11 delle sue istruzioni sulla preghiera. Edizione del 1841. Mosca.

[5] San Marco l’Asceta. Su coloro che pensano di essere giustificati dalle opere

[6] San Gregorio del Sinai. Come l’esicasta deve starsene seduto in preghiera e non alzarsene presto

[7] Santi Callisto e Ignazio. Sul silenzio e la preghiera

[8] La scala del Paradiso. Gradino 28

[9] La scala del Paradiso. Gradino 28

[10] Ibidem

[11] La già citata poesia di San Melezio. Discorso sull’opera nascosta di Teolipto, Metropolita di Filadelfia.

[12] San Demetrio di Rostov, L’uomo interiore

[13] San Macario il Grande, la Scala del Paradiso, Gradino 28 e anche gli altri Padri insegnano di conseguenza.

[14] Sant’Isacco il Siro, Logos, 5.

[15] Sant’Isacco il Siro, Logos, 21.

[16] Detto di San Pimen il Grande. Gerontikon collezione alfabetica.




IGNATIJ BRJANCANINOV: Lo spirito della preghiera per il principiante (I)

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originale in russo: Opere complete

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Introduzione

Ecco un insegnamento sulla qualità della preghiera inerente al cammino del principiante verso il Signore nel pentimento. I passaggi principali sono esposti separatamente, in modo che possano essere letti con maggiore attenzione e conservati nella memoria con maggiore comodità. La lettura di questi insegnamenti, che nutrono la mente di verità e il cuore di umiltà, può dare all’anima il giusto orientamento nel suo cammino di preghiera e servire come attività preparatoria ad esso.

La preghiera è l’offerta delle nostre suppliche a Dio. La base della preghiera è che l’uomo è una creatura decaduta. Egli cerca di ricevere la beatitudine che aveva, ma che ha perso, e quindi prega.

La dimora della preghiera è nella grande misericordia di Dio verso il genere umano. Il Figlio di Dio per la nostra salvezza si è offerto al Padre come sacrificio propiziatorio, riconciliatore: su questa base, volendo impegnarsi nella preghiera, rifiutate il dubbio e la doppiezza (Gc 1,6-8). Non dire a te stesso: “Sono un peccatore, Dio mi ascolterà?”. Se sei un peccatore, sei colui al quale si applicano le parole confortanti del Salvatore: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori al ravvedimento” (Mt 9,13).

Gli atti propedeutici alla preghiera sono: ventre insoddisfatto, tagliare le preoccupazioni con la spada della fede, perdono dalla sincerità del cuore di tutti i torti, ringraziamento a Dio per tutti i problemi della vita, rimozione della distrazione e della fantasticheria, timore riverente, che è così tipico per una creatura, quando gli sarà permesso di parlare con il suo Creatore; dalla bontà indicibile del Creatore verso la creazione.

Le prime parole del Salvatore all’umanità decaduta furono: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 4,17). Finché non entrerete in quel regno, bussate alle sue porte con il pentimento e la preghiera. La vera preghiera è la voce del vero pentimento. Quando la preghiera non è mossa dal pentimento, non raggiunge il suo scopo, Dio non si compiace di essa. Egli non umilia “uno spirito abbattuto, un cuore contrito e umile” (Salmo 50,19).

Il Salvatore del mondo chiama beati i poveri in spirito, cioè coloro che hanno la più umile concezione di sé, che si considerano esseri decaduti, che sono qui sulla terra, in esilio, fuori dalla loro vera patria, che è il cielo. «Beati i poveri in spirito», coloro che pregano con profonda coscienza della loro povertà, «perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). “Beati coloro che piangono” nelle loro preghiere per il sentimento della loro povertà, “poiché saranno consolati” (Mt 5,4) dalla consolazione piena di grazia dello Spirito Santo, che consiste nella pace di Cristo e nell’amore in Cristo per tutti i prossimi. Allora nessuno dei vicini, e il peggior nemico, è escluso dall’abbraccio dell’amore di chi prega, allora chi prega si riconcilia con tutte le circostanze più dolorose della vita terrena.

Il Signore, insegnandoci a pregare, paragona l’anima orante a una vedova maltrattata da un rivale, che siede incessantemente in giudizio con imparzialità e terzietà (Lc 18,1-8). Non allontanatevi da questa similitudine per la disposizione della vostra anima nella preghiera. La vostra preghiera sia, per così dire, una costante denuncia contro il peccato che vi sta violentando. Scavate in profondità in voi stessi, apritevi con una preghiera attenta; vedrete che siete sicuramente vedovi nel vostro rapporto con Cristo a causa del peccato che vive in voi, che vi è ostile, che produce in voi lotte interne e tormenti, che vi rende estranei a Dio.

“Tutto il giorno”, dice Davide di sé stesso, tutto il giorno della sua vita terrena, “lamentando il cammino”, lo trascorreva in beato dolore per i suoi peccati e le sue mancanze: “poiché la mia anima era piena di rimproveri e non c’è guarigione nella mia carne” (Salmo 37,7-8). La carne è lo stato morale dell’uomo. Tutti i passi degli uomini su questo cammino sono pieni di inciampi; il loro stato morale non può essere guarito con i propri mezzi e sforzi. La nostra guarigione richiede la grazia di Dio, che guarisce solo chi si riconosce malato. Il vero riconoscimento di noi stessi come malati è dimostrato da un pentimento profondo e continuo.

“Servite il Signore con timore e gioite in Lui con tremore” (Salmo 2,11), dice il profeta, e un altro profeta dice in nome di Dio: «Ecco su chi io poserò lo sguardo: su colui che è umile, che ha lo spirito afflitto e trema alla mia parola” (Is 66,2). Il Signore “guarda la preghiera degli umili e non disprezza la loro supplica” (Salmo 101,18). Egli è “datore di vita”, cioè di salvezza, “a chi ha il cuore oppresso” (Is 57,15).

Anche se uno si trova all’apice delle virtù, se non prega come un peccatore, la sua preghiera è respinta da Dio[1].

“Il giorno in cui non piango per me stesso”, diceva un certo benedetto praticante della vera preghiera, “mi considero

nell’illusione”[2].

“Anche se passiamo attraverso molte imprese esaltanti”, diceva San Giovanni il Climaco, “sono false e infruttuose se attraverso di esse non ci rimane un sentimento doloroso di contrizione”[3].

Il dolore per il pensiero dei peccati è un dono onorevole di Dio, chi lo custodisce nel cuore con riverenza penetra nel santuario. Sostituisce tutte le imprese corporee, in caso di mancanza di forza per compierle[4]. Al contrario, è necessario un corpo forte per lavorare alla preghiera; senza di esso il cuore non si spezzerà, la preghiera sarà impotente e falsa[5].

Il senso di pentimento tiene l’orante al riparo da tutte le insidie del demonio: il demonio fugge dagli asceti che sprigionano da sé il profumo dell’umiltà che nasce nel cuore di colui che si pente[6].


[1] Sant’Isacco il Siro, Logos 55. (in francese Oeuvres spirituelles, Paris 1981)

[2] Queste parole furono pronunciate dallo ieromonaco Atanasio, monaco silenzioso nella torre del monastero di Svensky, nella diocesi di Oryol, a un certo viandante che lo visitò nel 1829.

[3] Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso. Discorso 7, cap. 64, pubblicato dall’Accademia teologica di Mosca nel 1851.

[4] Sant’Isacco il Siro, Logos 89.

[5] Ibidem. Logos 11

[6] San Gregorio del Sinai: “Quando il diavolo vede qualcuno che vive nel pianto, non vi rimane, ha paura dell’umiltà che deriva dal pianto”. Filocalia, vol. 3, p. 606-607, Gribaudi




Abate Trifone: Cremazione

Cremazione contro la pratica ortodossa della sepoltura

La prima volta che ho partecipato a un funerale dove era avvenuta la cremazione del corpo del defunto è stata a Portland, Oregon, molti anni fa. Un amico sacerdote episcopale era morto e aveva chiesto che il suo corpo fosse cremato. Entrare in chiesa e vedere una scatola seduta davanti all’altare è stato uno shock per me. La cremazione è sempre stata qualcosa che solo i non credenti hanno praticato, mentre i cristiani hanno sempre visto la cremazione come qualcosa di radici pagane.

Ricordo chiaramente di essermi sentito defraudato di quell’ultimo saluto, incapace di vedere il mio amico per un’ultima volta.

Nell’antichità i pagani bruciavano sempre i corpi dei loro morti, o li lasciavano mangiare dagli uccelli, mentre gli ebrei e i cristiani mettevano i loro morti nelle tombe, o nella terra, in attesa della resurrezione corporea. Per i cristiani la convinzione che il corpo sia il tempio dello Spirito Santo e quindi sacro, ha reso inaccettabile l’incendio del corpo. I corpi dei nostri morti sono sempre stati trattati con grande rispetto. Fin dai primi tempi i corpi dei martiri e dei santi venivano sepolti nelle catacombe, le loro tombe usate come altari per la celebrazione dell’offerta eucaristica, le catacombe erano spesso l’unico luogo sicuro per i credenti da adorare senza minaccia di arresto.

Uno dei miei primi ricordi è stato andare in un lotto di famiglia a Spokane, WA. con mia nonna materna. Depose dei fiori sulle tombe dei suoi cari, familiari morti da tempo prima ancora che io nascessi. Anche se molti erano andati via da questa vita da qualche generazione, per mia nonna erano ancora vivi. Si sedeva su una lapide, fiori in mano, e mi parlava delle sue sorelle, dei suoi genitori e degli altri membri della famiglia. I suoi ricordi condivisi sono stati resi ancora più reali vedendo i nomi di questi cari scolpiti nella pietra.

Il rito della visita delle tombe era comune a quei tempi, con le famiglie che mantengono vivi i ricordi, mostrando il loro amore e il loro rispetto per i parenti morti, prendendosi cura delle tombe, e lasciando fiori. Era persino abbastanza comune, specialmente nell’Europa occidentale, che amici e famiglie facessero picnic nei cimiteri.

C’è anche il ruolo che i cimiteri possono avere nella nostra vita spirituale, perché sono chiari ricordi della nostra mortalità. Ho già scelto il lotto dove i miei resti saranno collocati nei terreni del nostro monastero. Vedere dove alla fine si potrà riposare è un buon modo per ricordare la propria morte eventuale, ricordando a noi stessi la propria mortalità, e usare saggiamente i giorni che ci rimangono.

La Chiesa ortodossa proibisce che i resti cremati di chiunque siano portati nel tempio per servizi, o per qualsiasi altra ragione, e i servizi funebri sui resti cremati sono severamente vietati. La pratica è vista come una negazione della resurrezione corporea, non perché Dio non possa risuscitare i morti dalle ceneri, ma perché la pratica non riflette l’insegnamento della Chiesa secondo cui il corpo di un credente ospitava lo Spirito Santo. È anche ignorare il fatto che i credenti ricevono, nel corso della loro vita, il Corpo e il Sangue di Cristo, e quindi il corpo è reso santo in preparazione a quel giorno in cui saremo uniti sia nel corpo che nell’anima, per vivere in eterno con Dio.

I miei genitori si sono convertiti all’Ortodossia a metà degli anni settanta e sono sepolti nel cortile della chiesa accanto alla chiesa di San Giovanni Battista a Post Falls, Idaho. Averli in un cimitero ortodosso, fianco a fianco, significa molto per me, e visito le loro tombe ogni volta che mi trovo nel nord dell’Idaho per visitare mio fratello. Avere un luogo da visitare continua quella connessione e mi permette di mostrare il mio amore per loro mettendo fiori sulle loro tombe, mentre offro preghiere per le loro anime. Mi rattrista che così tante persone si siano private di questi momenti, avendo sparso le ceneri del proprio caro sui campi da golf o sulle spiagge. La perdita dei cimiteri familiari ha contribuito, ne sono convinto, al crollo delle famiglie allargate che un tempo erano così importanti per la coesione dei valori familiari.

A chi dice che la cremazione è più ecologicamente sana, faccio notare che le particelle disperse nell’atmosfera non fanno affatto bene all’ambiente. Un nuovo modo di sepoltura, noto come sepoltura verde, sta guadagnando popolarità in tutto il paese ed è molto più ecologicamente sano della cremazione. Le sepolture verdi richiedono una semplice bara di pino senza metallo, chiodi o colla, utilizzando solo incastri di legno e materiali naturali. Il corpo non è imbalsamato (secondo la tradizione ortodossa), quindi nulla va nella terra che non sia naturale. Questo è uno dei modi più economici di interramento ed è in linea con i canoni della Chiesa Ortodossa. Questo è il modo in cui il mio corpo sarà riposato.

Con amore in Cristo,

Abate Trifone

Foto: La sepoltura della mia amata madre Dolores, (Elisabetta in ortodossia).




San Giovanni Crisostomo, Sul Vangelo di Matteo, Omelia 3

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Omelia 4 (in traduzione)

Omelia 3

Matt. I. 1.

“Libro della generazione di Gesù Cristo, Figlio di Davide, Figlio di Abramo”.

Ecco il terzo discorso, e non abbiamo ancora terminato le premesse. Non per nulla dissi che è nella natura di questi pensieri avere una grande profondità.

Su, dunque, parliamo oggi di ciò che resta. Che cos’è dunque che ci domandiamo ora? Perché viene tracciata la genealogia di Giuseppe, che non ha avuto parte alla nascita? Una causa l’abbiamo già menzionata; ma è necessario menzionare anche l’altra, quella più mistica e segreta della prima. Qual è dunque questa? Egli non vuole che al momento della nascita sia manifesto ai Giudei che Cristo è nato da una vergine.

Non turbatevi per la stranezza dell’affermazione, perché non è una mia affermazione, ma dei nostri Padri, uomini meravigliosi e illustri. Infatti, se Egli ha dissimulato molte cose fin dall’inizio, chiamandosi Figlio dell’uomo e non ci ha rivelato ovunque e chiaramente neppure la sua uguaglianza con il Padre, perché vi meravigliate che abbia mascherato per un certo tempo anche questo, in ordine al raggiungimento di un certo scopo grande e meraviglioso? Inoltre, l’avrebbero condannata per adulterio. Infatti, se per quanto riguarda le altre questioni, per le quali esistevano frequenti precedenti anche nell’antico ordinamento, erano abbastanza sfacciati nella loro ostinazione (infatti, poiché aveva scacciato i demoni, lo chiamavano indemoniato; e poiché guariva in giorno di sabato, lo ritenevano un avversario di Dio; eppure spesso anche prima di ciò il sabato era stato infranto), che cosa non avrebbero detto, se questo fosse stato rivelato loro? Tanto più che avevano dalla loro parte tutto il tempo precedente, che non aveva mai prodotto nulla di simile. Infatti, se dopo tanti miracoli lo chiamavano ancora figlio di Giuseppe, come avrebbero potuto credere, prima dei miracoli, che fosse nato da una vergine?

È per questo motivo che Giuseppe ha la sua genealogia e la Vergine gli è stata promessa in sposa. Infatti, se persino lui, che era un uomo giusto e meravigioso, ebbe bisogno di molte prove per accettare ciò che era avvenuto – un angelo, la visione in sogno e la testimonianza dei profeti – come avrebbero potuto i Giudei, ottusi e depravati e di spirito così ostile nei suoi confronti, ammettere questa idea nella loro mente? Infatti, la stranezza e la novità della cosa li avrebbero sicuramente turbati molto e il fatto che non avessero mai sentito parlare di una cosa simile ai tempi dei loro antenati. Infatti, come l’uomo che fosse stato convinto che Egli fosse Figlio di Dio, da quel momento non avrebbe avuto motivo di dubitare anche di questo; così colui che lo riteneva un ingannatore e un avversario di Dio, come avrebbe potuto non essere ancora più offeso da questo, ed essere indotto alla convinzione opposta? Per questo motivo gli apostoli non parlano direttamente di tutto ciò, mentre parlano molto spesso della sua risurrezione (perché di questo c’erano stati esempi nei tempi precedenti, anche se non come questa); che Egli sia nato da una vergine non lo esprimono sempre: anzi, nemmeno sua madre si azzardò a dirlo. Si veda, ad esempio, cosa dice la Vergine anche a sé stessa: “Ecco, tuo padre e io ti abbiamo cercato” (Lc 2,48). Se si fosse nutrito questo sospetto, infatti, non si sarebbe più ritenuto che Egli fosse Figlio di Davide e se non ci fosse stata questa opinione, sarebbero sorti molti altri mali. Per questo motivo, gli angeli non dicono queste cose a tutti, ma solo a Maria e a Giuseppe; ma quando mostrarono ai pastori la lieta novella di ciò che era avvenuto, non aggiunsero anche questo.

2. Ma perché, dopo aver menzionato Abramo e aver detto che egli generò Isacco e Isacco Giacobbe, e non fa’ alcuna menzione di suo fratello, quando arriva a Giacobbe, si ricorda di Giuda e dei suoi fratelli? Alcuni dicono che è stato a causa della perversione di Esaù e degli altri che l’hanno preceduto. Ma io non direi questo, perché se fosse così, come mai poco dopo menziona quelle donne? È per contrasto, è in questo luogo che si manifesta la sua gloria, non avendo grandi antenati, ma bassi e di poco conto. Perché per l’eccelso è una grande gloria potersi abbassare molto. Perché allora non li ha menzionati? Perché i Saraceni, gli Ismaeliti, gli Arabi e tutti coloro che discendono da questi antenati non hanno nulla in comune con la razza degli Israeliti. Per questo motivo li passa sotto silenzio e si affretta a passare ai suoi antenati e a quelli del popolo ebraico. Per questo dice: “Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli”. Perché a questo punto la razza degli Ebrei comincia ad avere il suo marchio peculiare.

3. E Giuda generò Phares e Zara da Thamar. (Mt 1,3) Cosa fai tu, o uomo, ricordandoci una storia che contiene un rapporto illecito? Ma perché si dice questo? Poiché, se si raccontasse la stirpe di un semplice uomo, si sarebbe naturalmente potuto tacere toccando queste cose; ma se si tratta del Dio incarnato, lungi dal tacere, bisognerebbe farne gloria, mostrando la sua tenera cura e la sua potenza. Sì, per questo è venuto, non per sfuggire alle nostre disgrazie, ma per portarle via. Perciò così come è tanto più ammirato, in quanto non solo morì, ma fu anche crocifisso (sebbene la cosa sia oltraggiosa, ma quanto più è oltraggiosa quanto più lo mostra pieno d’amore per l’uomo), così similmente possiamo parlare della sua nascita; non è solo perché si è incarnato e si è fatto uomo che giustamente rimaniamo meravigliati di lui, ma perché si è degnato anche di avere anche tali antenati, senza vergognarsi affatto dei nostri mali. E questo proclamava fin dall’inizio della sua nascita, non vergognandosi di nessuna di quelle cose che ci appartengono; mentre ci insegna anche in questo modo, a non nascondere mai la nostra faccia davanti alla malvagità dei nostri antenati, ma a cercare solo una cosa, la virtù. Perché un tale uomo, anche se ha uno straniero per suo antenato, anche se ha una madre che è una prostituta, o quello che vuoi, non può subire alcun danno da ciò. Infatti, se il fornicatore stesso, essendo cambiato, non è disonorato dalla sua vita precedente, molto più la malvagità della sua stirpe non avrà il potere di svergognare colui che è nato da una meretrice o da un’adultera, se è virtuoso.

Ma ha fatto queste cose non solo per istruirci, ma anche per abbattere la superbia dei Giudei. Poiché essi, trascurando la virtù nelle loro anime, ostentavano il nome di Abramo, pensando di potersi appellare alla virtù dei loro antenati; mostra fin dall’inizio che non è di queste cose che gli uomini devono gloriarsi, ma delle proprie buone azioni.

Oltre a questo, stabilisce anche un altro punto, per mostrare che tutti sono sotto il peccato, anche i loro stessi antenati. In effetti si dimostra che il loro patriarca e omonimo ha commesso un peccato non piccolo, poiché Thamar si erge davanti a lui, per accusare la sua prostituzione. E anche Davide ebbe Salomone dalla moglie che corruppe. Ma se dai grandi la legge non fu adempiuta, molto più dai minori. E se non si è adempiuta, tutti hanno peccato e la venuta di Cristo si rese necessaria.

Per questo fece menzione anche dei dodici patriarchi, abbattendo così di nuovo il loro orgoglio per la nobile nascita dei loro padri. Poiché anche molti di questi sono nati da donne che erano schiave; ma nondimeno la differenza dei genitori non ha fatto differenza nei figli. Perché tutti erano ugualmente sia patriarchi che capi tribù. Perché questa è la precedenza della Chiesa, questa è la prerogativa della nobiltà che è in mezzo a noi, assumendone il tipo fin dall’inizio. Sicché, sia che tu sia schiavo o libero, non ne hai né più né meno; ma la questione riguarda solo una cosa, vale a dire la mente e la disposizione dell’anima.

4. Ma oltre a ciò che abbiamo già detto, c’è anche un’altra causa per cui si cita questa storia; perché, per essere sicuri, il nome di Zara non è stato gettato a caso su quello di Phares. (Infatti, era irrilevante e superfluo, quando aveva già menzionato Phares, da cui doveva risalire alla genealogia di Cristo, menzionare anche Zara). Perché allora la nominò? Quando Thamar era sul punto di partorirli, essendo sopraggiunte le doglie, Zara fece uscire per prima la sua mano. (Gn 38,27) La levatrice, vedendo ciò, per far riconoscere il primo nato, gli legò la mano con lo scarlatto; ma il bambino, una volta legato, ritrasse la mano e, quando l’ebbe ritratta, uscì prima Phares e poi Zara. La levatrice, vedendo ciò, disse: “Perché è stata abbattuta la siepe per voi?” (Gn 38,29)

Vedi l’espressione oscura dei misteri? Infatti non è senza scopo che queste cose siano state registrate per noi, poiché non valeva la pena di studiare cosa avesse detto la levatrice, né valeva la pena di raccontare che colui che era uscito per secondo aveva messo la mano per primo. Qual è dunque la lezione misteriosa? In primo luogo, dal nome del bambino apprendiamo ciò che viene richiesto, perché Phares è una divisione e una rottura. E poi dal fatto stesso che avvenne, poiché non era nell’ordine della natura che, dopo aver spinto fuori la mano, la tirasse di nuovo dentro quando era legata; queste cose non appartengono a un movimento diretto dalla ragione, né avvennero in modo naturale. Infatti, dopo che la mano aveva trovato la sua via d’uscita, forse non era innaturale che un altro bambino nascesse prima. Ma che egli la ritirasse e desse il posto ad un altro, non era più come avviene naturalmente ai bambini al momento della nascita, ma la grazia di Dio era presente con i bambini, ordinando queste cose e tracciando per noi una sorta di immagine delle cose che dovevano venire.

E allora? Alcuni di coloro che hanno esaminato accuratamente queste cose dicono che questi bambini sono un tipo delle due nazioni. Affinché possiate imparare che la polarità di quest’ultimo popolo risplendeva prima dell’origine del primo, il bambino che ha la mano tesa non si mostra intero, ma si ritrae; dopo che suo fratello è uscito via intero, allora anche lui appare intero. E questo avvenne anche per quanto riguarda le due nazioni. Voglio dire che, dopo che la civiltà della Chiesa si era manifestata ai tempi di Abramo, e poi si era ritirata nel bel mezzo del suo corso, arrivò il popolo ebraico e la civiltà legale; allora il nuovo popolo apparve intero con le proprie leggi. Per questo la levatrice dice anche: “Perché la siepe è stata spezzata per voi?”, perché la legge, entrando, ha infranto la civiltà della libertà. Infatti la Scrittura è solita chiamare la legge siepe, come dice il profeta: Tu hai abbattuto la sua siepe, così che tutti quelli che passano per la strada strappano i suoi grappoli; e io ho posto una siepe intorno ad essa; e Paolo, che ha abbattuto il muro di mezzo della siepe. Ma altri dicono che il detto: “Perché è stata abbattuta la siepe per voi?” sia stato pronunciato per il nuovo popolo, perché questo, alla sua venuta, ha abbattuto la legge.

5. Vedete che non è per pochi o futili motivi che ci ha fatto ricordare tutta la storia di Giuda? A questo scopo ha menzionato anche Ruth e Rahab, l’una straniera, l’altra prostituta, affinché impariate che Egli è venuto per eliminare tutti i nostri mali. Infatti è venuto come medico, non come giudice. Perciò, come quelli di un tempo presero per mogli le prostitute, così anche Dio sposò a sé la natura che aveva fatto la prostituta; proprio questo anche i profeti fin dall’inizio dichiarano essere avvenuto nei confronti della Sinagoga. Ma quella sposa fu ingrata nei confronti di Colui che l’aveva sposata, mentre la Chiesa, una volta liberata dai mali ricevuti dai nostri padri, continuò ad abbracciare lo Sposo.

Guardate, per esempio, ciò che accadde a Ruth, come è simile alle cose che ci appartengono. Poiché era di razza straniera e ridotta alla massima povertà, Boaz, quando la vide, non disprezzò la sua povertà né aborriva la sua nascita meschina, così come Cristo, che ha ricevuto la Chiesa, essendo straniero e in grande povertà, la prese come partecipe delle grandi benedizioni. Ma come Ruth, se non avesse prima abbandonato il padre e rinunciato alla famiglia e alla razza, al paese e alla parentela, non sarebbe arrivata a questa alleanza, così anche la Chiesa, avendo abbandonato i costumi che gli uomini avevano ricevuto dai loro padri, allora, e non prima, divenne amabile per lo Sposo. Per questo il profeta le dice: “Dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre, così il re si compiacerà della tua bellezza”. Anche Ruth lo fece, e per questo divenne madre di re, come anche la Chiesa. Da lei, infatti, è nato Davide. Quindi, per svergognarli con tutte queste cose e per convincerli a non essere altezzosi, ha composto la genealogia e ha presentato queste donne. Sì, perché per questo fine, attraverso coloro che sono intervenuti, è stata genitrice del grande re e di queste origini Davide non si vergogna. Perché non può, anzi, non può essere che un uomo sia buono o cattivo, oscuro o glorioso, né per la virtù né per il vizio dei suoi antenati; ma se si deve dire qualcosa di paradossale, risplende di più colui che, non avendo antenati degni, è diventato eccellente.

6. Nessuno, dunque, si faccia un’opinione elevata di simili questioni, ma considerando gli antenati del Signore, metta da parte ogni superbia e faccia delle buone azioni il suo vanto; o meglio, nemmeno di queste. Perché fu così che il fariseo divenne inferiore al pubblicano. Così, se volete dimostrare che l’opera buona è grande, non abbiate pensieri elevati e l’avrete dimostrata tanto più grande. Fate conto di non aver fatto nulla e avrete fatto tutto. Infatti, se da peccatori, quando ci consideriamo tali, diventiamo giusti, come fece il pubblicano, quanto più lo saremo quando, da giusti, ci considereremo peccatori. Poiché se da peccatori gli uomini diventano giusti grazie all’umiltà d’animo (anche se non si trattava di umiltà d’animo, ma di rettitudine d’animo), se l’umiltà d’animo è così utile nel caso dei peccatori, considerate cosa non farà l’umiltà d’animo nei confronti degli uomini giusti.

Non rovinare le tue fatiche, non gettare via i frutti dei tuoi sforzi, non correre invano, non vanificare il tuo lavoro dopo i tanti percorsi che hai fatto. Anzi, il vostro Signore conosce le vostre opere buone meglio di voi. Anche se date solo una tazza d’acqua fredda, Egli non trascura nemmeno questo; anche se contribuite solo con un soldo, anche se emettete solo un sospiro, Egli riceve tutto con grande favore, ne è consapevole e assegna per questo grandi ricompense.

Ma perché prendete le vostre azioni e le portate continuamente davanti a noi? Non sapete che se lodate voi stessi, Dio non vi loderà più? Così come se vi lamentate, Egli non smetterà di proclamarvi davanti a tutti. Perché non è affatto sua volontà che le vostre fatiche siano sminuite. Perché dico “sminuite”? Anzi, Egli sta facendo e progettando ogni cosa, affinché anche per poco possa incoronarvi; e va cercando ogni scusa per liberarvi dall’inferno. Per questo motivo, anche se lavorate solo l’undicesima ora del giorno, Egli vi dà il vostro salario intero; e anche se non offrite alcun motivo di salvezza, Egli dice: “Lo faccio per il mio bene, affinché il mio nome non sia profanato”: (Ez 36,22) anche se tu dovessi solo sospirare, anche se tu dovessi solo piangere, tutte queste cose Egli le coglie al volo per salvarti.

Non innalziamoci dunque, ma dichiariamoci non utili, per diventare utili. Infatti, se ti dichiari approvato, sei diventato inutile, anche se eri approvato; ma se sei inutile, sei diventato utile, anche se eri reprobo.

7. Per questo è necessario dimenticare le nostre buone azioni. Ma come è possibile, si dirà, non sapere quelle cose che conosciamo bene? Come si fa a dire? Offendendo continuamente il tuo Signore, vivi con superficialità e ridi, e non sai nemmeno di aver peccato, ma hai consegnato tutto all’oblio; e delle tue buone azioni non riesci a mettere via il ricordo? Eppure la paura è una cosa più forte. Ma noi facciamo proprio il contrario: da un lato, mentre ogni giorno commettiamo un’offesa, non ce lo ricordiamo nemmeno; dall’altro, se diamo un po’ di soldi a un povero non facciamo che ripensarci. Questo tipo di comportamento è frutto di una totale follia e rappresenta una grande perdita per chi fa i conti in questo modo. Perché il deposito sicuro delle opere buone è dimenticare le nostre opere buone. E come per le vesti e l’oro, quando li esponiamo al mercato, attiriamo molti malintenzionati; ma se li mettiamo in casa e li nascondiamo, li depositeremo tutti al sicuro, così per le nostre buone azioni: se le teniamo continuamente in memoria, provochiamo il Signore, armiamo il nemico, lo invitiamo a rubarle; ma se nessuno le conosce, oltre a Colui che è l’unico a doverle conoscere, giacciono al sicuro.

Non ostentatele sempre, per evitare che qualcuno le porti via. Come accadde al fariseo, che le portava sulle labbra e per questo il diavolo gliele portò via. Eppure ne faceva menzione con gratitudine e rimandava tutto a Dio. Ma nemmeno questo gli bastò. Perché non è ringraziamento rinfacciare agli altri, essere vanagloriosi davanti a molti, esaltare sé stessi contro coloro che hanno offeso. Piuttosto, se state rendendo grazie a Dio, accontentatevi solo di Lui e non fatelo sapere agli uomini, né condannate il vostro prossimo, perché questo non è ringraziamento. Volete imparare le parole di ringraziamento? Ascoltate i tre giovani cosa dicono: “Abbiamo peccato, abbiamo trasgredito. Tu sei giusto, o Signore, in tutto ciò che ci hai fatto, perché hai fatto ricadere tutto su di noi con un vero giudizio” (Dn 3,28ss). Confessare i propri peccati, infatti, significa rendere grazie a Dio con la confessione: un tipo di cosa che implica che uno sia colpevole di innumerevoli reati, senza che gli venga inflitta la pena dovuta. Quest’uomo è soprattutto colui che rende grazie.

8. Guardiamoci dunque dal dire qualcosa di noi stessi, perché questo ci rende odiosi agli uomini e abominevoli a Dio. Per questo motivo, quanto più grandi sono le opere buone che compiamo, tanto meno diciamo di noi stessi; questo è il modo per ottenere la massima gloria sia presso gli uomini che presso Dio. O meglio, non solo gloria da parte di Dio, ma anche una ricompensa, sì, una grande ricompensa. Non chiedete dunque una ricompensa per ricevere una ricompensa. Confessate di essere salvati per grazia, affinché Egli si dichiari debitore nei vostri confronti; e non solo per le vostre buone opere, ma anche per questa rettitudine d’animo. Infatti, quando facciamo opere buone, Lo abbiamo debitore solo per le nostre opere buone; ma quando non pensiamo di aver fatto alcuna opera buona, allora anche per questa disposizione, e più per questa che per le altre cose, nel modo che questa stessa sia considerata equivalente alle nostre opere buone. Infatti, se questa consapevolezza non c’è, non appaiono grandi neanche le opere. Allo stesso modo, infatti, anche noi, quando abbiamo dei servi (Lc 17,10), li approviamo maggiormente quando, dopo aver svolto tutti i loro servizi con buona volontà, non pensano di aver fatto qualcosa di grande. Perciò, se volete rendere grandi le vostre buone azioni, non pensate che siano grandi, e allora saranno veramente grandi.

Così anche il centurione disse: “Non sono degno di ospitarti sotto il mio tetto”; per questo divenne degno e fece rimanere stupefatti (Mt 8,8) soprattutto i Giudei. Così anche Paolo dice: “Non sono adatto a essere chiamato apostolo”; (1 Corinzi 15,9) per questo divenne il primo di tutti. Così anche Giovanni: “Non sono degno di sciogliere il nodo dei tuoi calzari” (Mc 1,6); per questo era l’amico dello Sposo, e la mano che affermava essere indegna di toccare i suoi calzari, Cristo l’ha attirata verso il suo capo. Così anche Pietro disse: “Vattene da me, perché sono un uomo peccatore”; (Luca 5,8) per questo divenne un fondamento della Chiesa. Infatti, nulla è così gradito a Dio come l’annoverarsi tra gli ultimi. Questo è il primo principio di ogni saggezza pratica. Perché chi è umiliato e contrito nel cuore non sarà vanaglorioso, non sarà iracondo, non invidierà il suo prossimo, non coverà altre passioni. Infatti, quando una mano è contusa, anche se ci sforziamo diecimila volte, non riusciamo a sollevarla in alto. Se dunque dovessimo ferire così anche il nostro cuore, anche se fosse agitato da diecimila passioni, non potrebbe essere innalzato, no, nemmeno di poco. Infatti, se un uomo, piangendo per le cose relative a questa vita, scaccia tutte le malattie della sua anima, molto più colui che piange per i peccati, godrà della benedizione della moderazione.

9. Ma chi, si dirà, sarà in grado di ferire così il proprio cuore? Ascoltate Davide, che divenne illustre soprattutto per questo, e vedete la contrizione della sua anima. Dopo aver compiuto diecimila opere buone e quando stava per essere privato della patria, della casa e della vita stessa, proprio nel momento della sua calamità, vedendo un vile ed emarginato soldato comune calpestare la svolta della sua fortuna e disprezzarlo, in contraccambio lungi dal disprezzarlo, fermò del tutto uno dei suoi capitani che desiderava ucciderlo e disse: “Lascialo stare, perché il Signore glielo ha ordinato” (2 Sam 16,10). E ancora, quando i sacerdoti volevano portare con sé l’arca di Dio, non lo permise; ma cosa disse? Lasciatemi posare l’arca nel tempio e, se Dio mi libererà dai pericoli che mi stanno davanti, ne vedrò la bellezza; ma se mi dirà: “Non ho alcun piacere in te, ecco, sono qui; lascia che mi faccia ciò che gli sembra bene”. E ciò che fu fatto nei confronti di Saul, più e più volte, quale eccellenza di autocontrollo non dimostra? Sì, perché superò persino l’antica legge e si avvicinò alle ingiunzioni apostoliche. Per questo motivo sopportò con serenità tutto ciò che veniva dalle mani del Signore, senza contestare ciò che gli accadeva, ma mirando a un solo obiettivo: obbedire e seguire in tutto le leggi da Lui stabilite. E quando, dopo tante nobili azioni da parte sua, vide il tiranno, il parricida, l’assassino del suo stesso fratello, quell’ingiurioso, quel pazzo, possedere al suo posto il suo stesso regno, non si offese nemmeno un po’. Ma se questo piace a Dio, disse, che io sia inseguito, vaghi e fugga, e che lui sia in onore, io lo accetto, lo accetto e ringrazio Dio per le sue molte afflizioni. Non come molti sfaccendati e impudenti che, pur non avendo fatto la benché minima parte delle sue opere buone, se vedono qualche afflizione in prosperità e si scoraggiano un po’, si rovinano l’anima con diecimila bestemmie. Ma Davide non era così; anzi, dava prova di tutta la sua modestia. Per questo Dio disse: “Ho trovato Davide, figlio di Iesse, un uomo secondo il mio cuore”.

Acquistiamo anche noi uno spirito simile, e qualsiasi sofferenza sopporteremo con facilità e, prima del Regno, raccoglieremo qui il guadagno derivante dall’umiltà d’animo. Imparate, dice Egli, da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per le vostre anime. (Mt 11,29). Perciò, affinché possiamo godere del riposo sia qui che nell’aldilà, cerchiamo di impiantare con grande diligenza nelle nostre anime la madre di tutte le cose buone, cioè l’umiltà. In questo modo saremo in grado di attraversare il mare di questa vita senza onde e di terminare il nostro viaggio in quel porto tranquillo, per la grazia e l’amore verso l’uomo del nostro Signore Gesù Cristo, al quale sia gloria e potenza nei secoli dei secoli.

Amen.




San Giovanni Crisostomo, Sul Vangelo di Matteo, Omelia 2

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Omelia 2

Matteo. I. 1.

“Il libro della generazione di Gesù Cristo, Figlio di Davide, Figlio di Abramo”.

Ricordate davvero l’invito che vi abbiamo rivolto di recente, supplicandovi di ascoltare tutte le cose che vengono dette con tutto il silenzio e la mistica quiete? Poiché oggi dobbiamo mettere piede nel santo vestibolo, perciò vi ho anche ricordato dell’invito fattovi.

Se i Giudei, quando dovevano avvicinarsi “al un monte che ardeva, al fuoco, al nero, alle tenebre e alla tempesta” (Es 19,1ss) – o meglio, quando non dovevano solo avvicinarsi, ma vedere e sentire queste cose da lontano – tre giorni prima avevano ricevuto l’ordine di astenersi dalle loro mogli e di lavare le loro vesti, ed erano in trepidazione e paura, sia loro che Mosè con loro; tanto più noi, quando dobbiamo ascoltare queste parole e non ci troviamo lontani dal monte fumante, ma entriamo nel cielo stesso, dovremmo mostrare una maggiore abnegazione; non lavare le nostre vesti, ma pulire la veste della nostra anima e liberarci da ogni mescolanza con le cose del mondo. Perché non vedrete il buio, né il fumo, né la tempesta, ma il Re stesso seduto sul trono di quella gloria indicibile, e gli angeli e gli arcangeli in piedi accanto a Lui, e le tribù dei santi, nelle loro miriadi interminabili.

Perché tale è la città di Dio, “la Chiesa dei primogeniti, gli spiriti dei giusti, l’assemblea generale degli angeli, il sangue dell’aspersione” (Eb 12,18ss), per cui tutti sono uniti in una sola cosa, e il cielo ha ricevuto le cose della terra e la terra le cose del cielo ed è venuta quella pace che anticamente era desiderata sia dagli angeli che dai santi.

Qui c’è il trofeo della croce, glorioso e cospicuo, le spoglie conquistate da Cristo, la primizia della nostra natura, il bottino del nostro Re; tutto questo, dico, lo conosceremo perfettamente dai Vangeli. Se ci seguite con calma, saremo in grado di condurvi dappertutto e di mostrarvi dove la morte è stata crocifissa e dove il peccato è stato impiccato, e dove si trovano le numerose e meravigliose offerte di questa guerra, di questa battaglia.

Vedrete anche il tiranno qui legato, e la moltitudine di prigionieri che lo segue, e la cittadella da cui quel demone empio ha invaso tutte le cose nel tempo passato. Vedrete i nascondigli e le tane dei briganti, ora smantellati e aperti, perché anche lì era presente il nostro Re.

Ma non vi stancate, beneamati, perché se qualcuno vi descrivesse una guerra visibile, trofei e vittorie, non vi sentireste affatto sazi; anzi, non preferireste né la bevanda né la carne a questa storia. Ma se questo tipo di narrazione è gradita, molto di più lo è questa. Considerate, infatti, che cosa c’è da ascoltare, come da una parte Dio dal cielo, che si è alzato dai troni reali, sia balzato giù (Sapienza 18,15) fino alla terra, e persino fino all’inferno stesso, e si sia schierato in battaglia; e come il diavolo, dall’altra parte, si sia schierato contro di Lui; o meglio, non contro il Dio svelato, ma contro il Dio nascosto nella natura dell’uomo.

E ciò che è meraviglioso è che vedrete la morte distrutta dalla morte, la maledizione estinta dalla maledizione e il dominio del diavolo abbattuto proprio da quelle cose per cui aveva prevalso. Svegliamoci dunque bene e non dormiamo, perché ecco, vedo le porte aprirsi per noi; ma entriamo con ordine e con tremore, mettendo subito piede nel vestibolo stesso.

2. Ma che cos’è questo vestibolo? Il libro della generazione di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo.

Che cosa dici? Non avevi promesso di parlare dell’Unigenito Figlio di Dio, e fai riferimento a Davide, un uomo nato dopo mille generazioni, e dici che è padre e antenato?

Fermati, non cercare di imparare tutto in una volta, ma dolcemente e a poco a poco. Perché, è nel vestibolo che vi trovate, proprio davanti al portico; perché allora vi affrettate verso il santuario interno? Per ora non hai ancora ben segnato tutto quello che c’è all’esterno. Infatti, per un po’ di tempo non vi dichiarerò l’altra generazione, o meglio, nemmeno quella che viene dopo, perché è impronunciabile e inenarrabile. E prima di me ve l’ha detto il profeta Isaia, il quale, annunciando la Sua passione e la Sua grande cura per il mondo, e ammirando chi era, cosa divenne e dove discese, gridò forte e chiaro, dicendo: “Chi narrerà la Sua generazione?

Non è dunque di questo che dobbiamo parlare ora, ma al di sotto di questo, di quello che ebbe luogo sulla terra, che si realizzò tra diecimila testimoni. E di questo racconteremo ancora, nella misura in cui ci sarà possibile, avendo ricevuto la grazia dello Spirito. Infatti, nemmeno questo può essere raccontato in modo del tutto chiaro, perché anche questo è veramente terribile. Non pensate dunque che si tratti di cose di poco conto quando sentite parlare di questa nascita, ma risvegliate la vostra mente e tremate subito quando vi viene detto che Dio è venuto sulla terra. Infatti, è stato così meraviglioso e al di là di ogni aspettativa che, a causa di queste cose, gli stessi angeli hanno formato un coro e, a nome del mondo, ne hanno fatto l’elogio, e i profeti fin dal primo momento si sono meravigliati del fatto che Egli fosse visto sulla terra e conversasse con gli uomini (Baruc 3,37). Sì, perché è ben al di là di ogni pensiero sentire che Dio, l’Innominabile, l’Impronunciabile, l’Incomprensibile e Colui che è uguale al Padre, è passato attraverso il grembo di una vergine e ha concesso di nascere da una donna e di avere Abramo e Davide come antenati. Ma perché dico Abramo e Davide? Perché, cosa ancora più sorprendente, ci sono quelle donne di cui abbiamo parlato ultimamente.

3. Sentendo queste cose, alzatevi e non supponete nulla di basso; ma anzi, proprio per questo dovreste soprattutto meravigliarvi che, essendo Figlio del Dio senza origine e suo vero Figlio, abbia sofferto di essere chiamato anche Figlio di Davide, per farvi diventare Figli di Dio. Ha sofferto che uno schiavo fosse come un padre per Lui, per rendere il Signore e Padre schiavo, per voi.

Vedete subito, fin dall’inizio, di che natura sono i Vangeli? Se dubitate delle cose che vi riguardano, da quelle che appartengono a Lui credete anche a queste. Perché è molto più difficile, a giudicare dalla ragione umana, che Dio si faccia uomo, che un uomo sia dichiarato Figlio di Dio. Quando dunque ti viene detto che il Figlio di Dio è figlio di Davide e di Abramo, non dubitare più che anche tu, figlio di Adamo, sarai figlio di Dio. Perché non a caso, né invano, Egli si è abbassato così tanto, ma solo per esaltarci. Così Egli è nato secondo la carne, affinché tu possa nascere secondo lo Spirito; è nato da una donna, affinché tu possa cessare di essere figlio di una donna.

Perciò la nascita è stata duplice: è stato reso simile a noi, ma anche superiore a noi. Infatti, nascere da una donna è stata la nostra sorte, ma nascere non da sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma dallo Spirito Santo (Gv 1,13) significava annunciare in anticipo la nascita che ci supera, la nascita futura, che Egli stava per darci liberamente dallo Spirito. E anche tutto il resto fu così. Così anche il suo battesimo, fu dello stesso tipo, perché partecipava dell’antico e partecipava anche del nuovo. L’essere battezzati dal profeta segnava l’antico, ma la discesa dello Spirito ombreggiava il nuovo. E come se uno si mettesse nello spazio tra due persone separate e, tendendo le mani, le afferrasse da una parte e dall’altra e le legasse insieme, così ha fatto Lui, unendo l’antica alleanza con la nuova, la natura di Dio con quella dell’uomo, le cose che sono sue con le nostre.

Vedete il bagliore della città, con quale grande splendore vi ha abbagliato fin dall’inizio? Come ha mostrato subito il Re nelle vostre stesse sembianze, come in un accampamento? Perché anche lì il re non appare sempre con la sua dignità, ma, lasciati da parte la porpora e il diadema, si traveste spesso con le vesti di un comune soldato. Ma lì è per evitare che, facendosi conoscere, attiri il nemico su di sé; qui, al contrario, per evitare che, se si facesse conoscere, faccia fuggire il nemico dal conflitto con Lui e confonda tutto il suo popolo, perché il suo scopo era salvare, non spaventare.

4. Per questo motivo gli ha dato subito questo titolo, chiamandolo Gesù. Infatti, questo nome, Gesù, non è greco, ma nella lingua ebraica è chiamato così; il che significa, se lo traduciamo nella lingua greca, il Salvatore. Ed è chiamato Salvatore perché ha salvato il suo popolo.

Vedete come ha messo le ali all’uditore, parlando di cose familiari e indicandoci allo stesso tempo cose al di là di ogni speranza? Voglio dire che entrambi i nomi erano ben noti agli ebrei. Infatti, poiché le cose che dovevano accadere erano al di là di ogni aspettativa, i tipi anche dei nomi precedevano, affinché fin dall’inizio fosse tolto il potere inquietante della novità. Così viene chiamato Gesù, come colui che dopo Mosè portò il popolo nella terra della promessa. Avete visto il tipo? Osservate la verità. Quello conduceva nella terra della promessa, questo in cielo e alle cose belle del cielo; quello, dopo che Mosè era morto, questo dopo che la legge era cessata; quello come capo, questo come re.

Tuttavia, per evitare che, avendo sentito la parola Gesù, siate perplessi a causa dell’identità del nome, ha aggiunto: Gesù Cristo, Figlio di Davide. Ma quell’altro non era di Davide, bensì di un’altra tribù.

5. Ma perché lo chiama libro della generazione di Gesù Cristo, mentre in questo libro non c’è solo la nascita, ma l’intera dispensazione? Perché è la somma di tutta la dispensazione ed è l’origine e la radice di tutte le nostre benedizioni. Come Mosè lo chiama libro del cielo e della terra, (Genesi 2,4) sebbene non abbia parlato solo del cielo e della terra, ma anche di tutte le cose che si trovano in mezzo ad essi, così anche quest’uomo ha chiamato il suo libro da ciò che è la somma di tutte le grandi cose fatte. Infatti, ciò che suscita stupore, al di là di ogni speranza e di ogni aspettativa, è che Dio si sia fatto uomo. Ma poiché questo è avvenuto, tutto ciò che segue ne è la ragionevole conseguenza.

6. Ma perché non ha detto: il Figlio di Abramo e poi il Figlio di Davide? Non è, come alcuni suppongono, che intenda procedere verso l’alto dal punto più basso, perché in tal caso avrebbe fatto come Luca, ma ora fa il contrario. Perché allora ha menzionato Davide? Quell’uomo era sulla bocca di tutti, sia per la sua distinzione, sia per il tempo, poiché non era morto da molto tempo, come Abramo. E sebbene Dio abbia fatto promesse a entrambi, l’uno, in quanto antico, è passato sotto silenzio, mentre l’altro, in quanto fresco e recente, è stato ripetuto da tutti. Essi stessi, ad esempio, dicono: “Cristo non viene forse dal seme di Davide e da Betlemme, la città dove si trovava Davide? [E nessuno lo chiamava Figlio di Abramo, ma solo Figlio di Davide; e questo perché quest’ultimo era più presente nella memoria di tutti, sia per il tempo, come ho già detto, sia per la sua regalità. In base a questo principio, tutti i re che hanno avuto in onore dopo il suo tempo sono stati chiamati da lui, sia dal popolo stesso che da Dio. Infatti, sia Ezechiele che altri profeti parlano di Davide che viene e risorge, non intendendo lui che era morto, ma coloro che emulavano le sue virtù. E a Ezechia dice: “Io difenderò questa città, per il mio bene e per il bene del mio servo Davide”. [E anche a Salomone disse che per amore di Davide non avrebbe dato ad altri il regno durante la sua vita. Perché grande era la gloria di quell’uomo, sia presso Dio che presso gli uomini.

Per questo motivo inizia subito da colui che era più conosciuto, per poi risalire fino a suo padre, ritenendo superfluo, per quanto riguarda i Giudei, portare la genealogia più in alto. Infatti, queste erano principalmente le persone che venivano ammirate: l’una come profeta e re, l’altra come patriarca e profeta.

7. “Ma da dove si evince che Egli proviene da Davide?” Si potrebbe dire. Infatti, se non è nato da un uomo, ma solo da una donna, e la Vergine non ha una genealogia, come possiamo sapere che era della stirpe di Davide? Così, sono due le cose che si chiedono: sia perché non viene espressa la genealogia di Sua madre, sia perché viene menzionato Giuseppe, che non ha alcuna parte nella nascita; poiché l’ultimo sembra essere superfluo, e la prima in difetto.

Di che cosa è dunque necessario parlare prima? Di come la Vergine provenga da Davide. Come facciamo a sapere che è da Davide? Ascoltate Dio che dice a Gabriele di andare da una vergine promessa sposa di un uomo (il cui nome era Giuseppe), della casa e della stirpe di Davide. Cosa volete che sia più chiaro di questo, quando avete sentito che la Vergine era della casa e della stirpe di Davide?

È quindi evidente che anche Giuseppe era della stessa stirpe. Sì, perché c’era una legge che imponeva di non prendere moglie da un’altra stirpe, ma dalla stessa tribù. E il patriarca Giacobbe predisse anche che Egli sarebbe sorto dalla tribù di Giuda, dicendo: “Non mancherà un capo da Giuda, né un governatore dai suoi lombi, finché non venga Colui per il quale è stato stabilito; Egli è l’attesa dei Gentili” (Gn 49,10).

Ebbene, questa profezia chiarisce sì che Egli era della tribù di Giuda, ma non anche che era della famiglia di Davide. C’era dunque nella tribù di Giuda una sola famiglia, quella di Davide, o non ce n’erano anche molte altre? E non poteva accadere che uno fosse della tribù di Giuda, ma non anche della famiglia di Davide?

Anzi, per evitare che possiate dire questo, l’evangelista ha eliminato questo vostro sospetto, dicendo che Egli era della casa e della stirpe di Davide.

E se volete apprendere questo anche da un’altra prospettiva, non ci mancherà un’altra prova. Infatti, non solo non era permesso prendere moglie da un’altra tribù, ma nemmeno da un’altra stirpe, cioè da un’altra parentela. Perciò, se colleghiamo alla Vergine le parole “della casa e della stirpe di Davide”, ciò che è stato detto è valido; se lo colleghiamo a Giuseppe, anche questo fatto è provato. Infatti, se Giuseppe fosse stato della casa e della stirpe di Davide, non avrebbe preso moglie da un’altra stirpe che non fosse quella da cui lui stesso era stato generato.

E allora, si dirà, se ha trasgredito la legge? Ma è per questo motivo che si è testimoniato in anticipo che Giuseppe era giusto, affinché non si dicesse questo, ma si fosse certi che egli non avrebbe trasgredito la legge. Infatti, colui che era così benevolo e libero da passioni da non voler, anche se spinto dal sospetto, tentare di infliggere una punizione alla Vergine, come avrebbe potuto trasgredire la legge per lussuria? Colui che mostrò saggezza e autocontrollo al di là della legge (perché allontanarla, e per di più in segreto, significava agire con autocontrollo al di là della legge), come avrebbe potuto fare qualcosa di contrario alla legge; e questo quando non c’era alcun motivo che lo spingesse?

8. Ora, che la Vergine fosse della stirpe di Davide è evidente da queste cose; ma il perché non sia scritta la sua genealogia, ma quella di Giuseppe, richiede una spiegazione. Per quale motivo allora? Non era legge tra i Giudei che la genealogia delle donne dovesse essere tracciata. Affinché dunque si attenesse all’usanza e non sembrasse che facesse delle modifiche fin dall’inizio, e tuttavia ci facesse conoscere la Vergine, per questo motivo ha taciuto i suoi antenati e ha tracciato la genealogia di Giuseppe. Infatti, se avesse fatto questo nei confronti della Vergine, sarebbe sembrato che introducesse delle novità; e se avesse passato sotto silenzio Giuseppe, non avremmo conosciuto gli antenati della Vergine. Perciò, affinché potessimo sapere, a proposito di Maria, chi fosse e di quale origine, e affinché le leggi rimanessero indisturbate, ha tracciato la genealogia del suo sposo e ha mostrato che era della casa di Davide. Infatti, quando questo è stato chiaramente dimostrato, viene dimostrato anche l’altro fatto, cioè che anche la Vergine proviene da lì, perché quest’uomo giusto, come ho già detto, non avrebbe sopportato di prendere una moglie di un’altra stirpe.

C’è anche un’altra ragione, che si potrebbe citare, di natura più mistica, a causa della quale i progenitori della Vergine sono stati passati sotto silenzio; ma non è il caso di dirlo ora, perché tanto è già stato detto.

9. Rimaniamo dunque a questo punto del nostro discorso sulle questioni, e nel frattempo conserviamo con precisione ciò che ci è stato rivelato; come, ad esempio, perché ha menzionato Davide per primo; perché ha chiamato il libro “libro della generazione”; per quale motivo ha detto “di Gesù Cristo”; come la nascita è comune e non comune; perché è stato dimostrato che Maria proviene da Davide; e perché la genealogia di Giuseppe è tracciata, mentre i suoi antenati sono passati sotto silenzio.

Infatti, se conservate queste cose, ci incoraggerete maggiormente rispetto a ciò che verrà; ma se le respingete e le cancellate dalla vostra mente, ci troveremo ancora più arretrati rispetto al resto. Proprio come nessun coltivatore si preoccuperebbe di prestare attenzione a un terreno che ha distrutto il seme precedente.

Perciò vi prego di ritornare su queste cose. Perché dalla riflessione su queste cose scaturisce nell’anima un grande bene, che tende alla salvezza. Infatti, grazie a queste meditazioni saremo in grado di piacere a Dio stesso; la nostra bocca sarà pura dagli insulti, dal turpiloquio e dal vilipendio, mentre si esercita in discorsi spirituali; saremo temibili per i demoni, mentre armiamo la nostra lingua con tali parole; attireremo maggiormente su di noi la grazia di Dio e renderemo il nostro occhio più penetrante. Infatti, sia gli occhi, sia la bocca, sia l’udito, Egli li ha posti in noi a questo scopo, affinché tutte le nostre membra possano servirLo, affinché possiamo pronunciare le Sue parole e compiere le Sue azioni, affinché possiamo cantarGli inni continui, affinché possiamo offrire sacrifici di ringraziamento e con questi purificare completamente le nostre coscienze.

Infatti, come il corpo è più sano quando gode dei benefici di un’aria pura, così l’anima è più dotata di saggezza pratica quando si nutre di esercizi come questi. Non vedete anche gli occhi del corpo che, quando stanno nel fumo, piangono sempre; ma quando sono all’aria pura, in un prato, in fontane e giardini, diventano più luminosi e più sani? Così è anche l’occhio dell’anima, perché se si nutre nel prato degli oracoli spirituali, sarà limpido, penetrante e rapido di vista; ma se si allontana nel fumo delle cose di questa vita, piangerà senza fine e si lamenterà sia ora che in seguito. Infatti le cose di questa vita sono come il fumo. Anche per questo uno ha detto: “I miei giorni sono venuti meno come fumo”. In effetti si riferiva alla loro brevità e alla loro inconsistenza, ma direi che dobbiamo prendere ciò che viene detto non solo in questo senso, ma anche per quanto riguarda il loro carattere torbido.

Infatti, nulla ferisce e offusca così tanto l’occhio dell’anima come la folla delle ansie mondane e lo sciame dei desideri. Perché sono la legna che alimenta questo fumo. E come il fuoco, quando si appoggia a qualsiasi combustibile umido e saturo, genera molto fumo; così anche questo desiderio, così veemente e bruciante, quando si appoggia a un’anima che è (per così dire) umida e dissoluta, produce a sua volta abbondanza di fumo. Per questo c’è bisogno della rugiada dello Spirito e di quell’aria che spegne il fuoco, disperde il fumo e dà ali ai nostri pensieri. Perché non è possibile, non è possibile che uno appesantito da così grandi mali si innalzi verso il cielo; è bene che, senza impedimenti, possiamo aprirci la strada verso di esso; o meglio, non è possibile nemmeno così, se non otteniamo le ali dello Spirito.

Ora, se c’è bisogno di una mente libera e di una grazia spirituale per salire a quell’altezza, cosa succede se non c’è nessuna di queste cose, ma attiriamo su di noi tutto ciò che è opposto ad esse, persino un macigno satanico? Come potremo salire verso l’alto, se siamo trascinati da un carico così grande? Infatti, se qualcuno cercasse di pesare le nostre parole come in una giusta bilancia, in diecimila talenti di discorsi mondani non troverebbe nemmeno cento penny di parole spirituali, anzi, direi, nemmeno dieci quattrini. Non è dunque una vergogna e un’estrema beffa che, se abbiamo un servo, ci serviamo di lui per lo più nelle cose necessarie, ma essendo in possesso di una lingua, non trattiamo il nostro membro così bene nemmeno come uno schiavo, ma al contrario lo usiamo per cose non redditizie o eccessive? E se fosse solo per eccesso: lo fa per cose contrarie e dannose e per nulla vantaggiose per noi. Infatti, se le cose che abbiamo detto fossero vantaggiose per noi, sarebbero certamente anche gradite a Dio. Invece, qualsiasi cosa il diavolo ci suggerisca, noi la diciamo tutta, ora ridendo, ora parlando in modo spiritoso; ora maledicendo e insultando, ora imprecando, mentendo e facendo falsi giuramenti; ora mormorando, ora facendo vane ciance, e parlando di sciocchezze più che di vecchie mogli; dicendo tutte cose che non ci riguardano.

Perché, ditemi, chi di voi qui presenti, se fosse richiesto, potrebbe ripetere un solo Salmo o qualsiasi altra parte delle Scritture divine? Non ce n’è uno.

E non è solo questo l’aspetto doloroso, ma il fatto che, mentre siete diventati così arretrati per quanto riguarda le cose spirituali, per quanto riguarda quelle che appartengono a Satana siete più impetuosi del fuoco. Così, se a qualcuno venisse in mente di chiedervi canzoni diaboliche e impure melodie effeminate, troverà molti che le conoscono perfettamente e le ripetono con molto piacere.

10. Ma qual è la risposta a queste accuse? Non sono, direte, uno dei monaci, ma ho moglie e figli, e la cura di una casa. Ecco, questo è ciò che ha rovinato tutto, il tuo supporre che la lettura delle Scritture divine appartenga solo a quelli, mentre tu ne hai bisogno molto più di loro. Infatti, coloro che abitano nel mondo e ogni giorno ricevono ferite, hanno più bisogno di medicine. Perciò è molto peggio non leggere e considerare la cosa addirittura superflua; perché queste sono parole di invenzione diabolica. Non sentite Paolo che dice che tutte queste cose sono state scritte per ammonirci? (1 Corinzi 10,11)

E voi, se doveste prendere in mano un Vangelo, non scegliereste di farlo con le mani non lavate; ma le cose che sono contenute in esso, non vi sembrano altamente necessarie? È per questo motivo che tutte le cose sono capovolte.

Infatti, se volete imparare quanto sia grande l’utilità delle Scritture, esaminate voi stessi come diventate ascoltando i Salmi e come ascoltando un canto di Satana; e come siete disposti quando state in una Chiesa e come quando siete seduti in un teatro; e vedrete che grande è la differenza tra lo stato di quest’anima e di quella, anche se entrambe sono una. Per questo Paolo disse: “Le comunicazioni cattive corrompono le buone maniere”. (1 Cor 15,33) Per questo motivo abbiamo continuamente bisogno di quei canti che servono come incantesimi dello Spirito. Sì, è per questo che primeggiamo sulle creature irrazionali, dato che rispetto a tutte le altre cose siamo addirittura estremamente inferiori a loro.

Questo è il cibo dell’anima, questo il suo ornamento, questa la sua sicurezza, mentre non ascoltare è penuria e spreco; perché io darò loro, dice Lui, non una fame di pane, né una sete d’acqua, ma una fame di ascoltare la parola del Signore. (Am 8,11)

Cosa può esserci di più miserabile? Quando il male stesso, che Dio minaccia come punizione, ve lo tirate addosso di vostra iniziativa, portando nella vostra anima una sorta di grave carestia e rendendola la cosa più debole del mondo? Perché la sua natura è quella di essere persa o di essere salvata dalle parole. Tutto ciò la porta all’ira, e lo stesso tipo di cose la rende mansueta: un’espressione sconcia è solita accendere la lussuria, e viene educata alla temperanza da discorsi pieni di gravità.

Ma se una parola ha semplicemente un potere così grande, dimmi, come mai disprezzi le Scritture? E se un ammonimento può fare cose così grandi, molto di più se l’ammonimento è fatto con lo Spirito. Sì, perché una parola delle Scritture divine, fatta risuonare all’orecchio, più che il fuoco ammorbidisce l’anima indurita e la rende adatta a tutte le cose buone.

11. Così anche Paolo, quando trovò i Corinzi gonfi e infiammati, li ricompose e li rese più premurosi. Infatti si vantavano proprio di quelle cose di cui avrebbero dovuto vergognarsi, nascondendo la faccia. Ma dopo che ebbero ricevuto la lettera, ascoltate il cambiamento che avvenne in loro, di cui il Maestro stesso ha reso testimonianza, dicendo: “Per questo stesso fatto, che vi siete afflitti per un destino divino, quale prudenza ha prodotto in voi, sì, quale pulizia di voi stessi, sì, quale indignazione, sì, quale zelo, sì, quale vendetta”. In questo modo riportiamo all’ordine servi e figli, mogli e amici, e rendiamo amici i nostri nemici.

In questo modo anche i grandi uomini, quelli che erano cari a Dio, divennero migliori. Davide, per esempio, dopo il suo peccato, quando ebbe il beneficio di certe parole, giunse al più eccellente pentimento; e anche gli apostoli, per questa via, divennero ciò che divennero, e attirarono dietro di loro il mondo intero.

E qual è il vantaggio, si dirà, quando uno ascolta ma non fa ciò che gli viene detto? Non sarà di poco conto nemmeno l’ascolto. Infatti, egli continuerà a condannare sé stesso e a gemere interiormente, e arriverà a tempo debito a fare le cose di cui si parla. Ma colui che non sa nemmeno di aver peccato, quando cesserà dalla sua negligenza? Quando condannerà sé stesso?

Non disprezziamo dunque l’ascolto delle Scritture divine. Perché questa è un’invenzione di Satana, che non ci permette di vedere il tesoro per non guadagnare le ricchezze. Per questo dice che l’ascolto delle leggi divine non è nulla, per non vedere che dall’ascolto acquisiamo anche la pratica.

Conoscendo dunque questa sua arte malvagia, fortifichiamoci contro di lui da tutte le parti, affinché, essendo recintati con questa armatura, possiamo sia rimanere inespugnati, sia colpirlo alla testa; e così, dopo esserci coronati con le gloriose corone della vittoria, potremo raggiungere i beni futuri, per la grazia e l’amore verso l’uomo del nostro Signore Gesù Cristo, al quale sia gloria e potenza nei secoli dei secoli.

Amen.




Neophytos di Morphou: UN MONACO MI SPIEGÒ LA LUCE INCREATA

Anche oggi c’è il popolo di Dio, il popolo santo. Sentono e vedono Dio e sentono la voce di Cristo nei loro cuori. Naturalmente, questo è solo quando i loro cuori sono purificati dallo Spirito Santo.

Per grazia di Dio, mi è stato concesso di incontrare alcuni di questi santi, a Cipro e in altri luoghi. Ti parlerò di uno di loro.

È un monaco. Un umile monaco. Un monaco crocifisso. Lo conoscevo prima di diventare anch’io un monaco. Abbiamo la stessa età, ma ha mostrato diligenza ed è sbocciato spiritualmente. Io sono salito al soglio episcopale, ma lui è disceso nell’umiltà di Cristo, nell’estrema umiltà. Solo lì il Signore si rivela. E mi descrisse come vedeva la Luce Increata della Santissima Trinità. Ma allora ero ignorante e non riuscivo a capirlo, così mi disse:

Despota, per capire com’è la Luce di Cristo, immagina alcune persone che si tuffano nell’acqua, o meglio, nuotano e si tuffano lì, nelle profondità del mare. Sentono le acque degli abissi che li abbracciano, li inghiottono e li avvolgono. Sembra di nuotare nelle sconfinate acque del mare. Questo è simile alla Luce Divina, quando un uomo è ritenuto degno di entrarvi. È una luce senza fine, infinita, senza inizio. Come il Signore non ha né inizio né fine, così la Sua Luce. Quando un uomo entra in questa Luce, sente con tutto il suo corpo come la Luce lo abbraccia e lo avvolge.

“Ma come fai a nuotare con questa luce?! Come puoi entrarci dentro e muoverti dentro?!”

“Questa Luce”, disse, “è piena di informazioni. Puoi porre a questa Luce diverse domande e lei risponderà a loro: domande di natura esperienziale, scientifica, etica, religiosa, spirituale. E sarai pieno di tali risposte che la tua mente non può comprendere, che la tua bocca non può parlare; la tua bocca non può pronunciarli. Ma a poco a poco si sentono, si capiscono e si percepiscono con il cuore».

Sono rimasto colpito da quello che mi ha detto.

“Sia conoscere Dio che contemplare la Luce avviene gradualmente.”

Allo stesso modo, non c’è fine alla crescita spirituale, né in questa vita né in quella dopo la morte. Per questo il Credo dice: “Il cui regno non avrà fine”.

Metropolita Neophytos di Morphou

ORIGINALE: https://orthochristian.com/150981.html?fbclid=IwAR34WPFdSM7_eVfduQQ0uco9ePn4q-dTWnCI9mhyTCBp5jWkGiclsYNbp44
13/02/2023