“Il monaco sa di non essere “produttivo”. Ha imparato dalla nostra tradizione che esiste un’inattività che si trova al di sopra di ogni attività. Il monaco non fa assolutamente “nulla”, misurato con criteri mondani. E con questo “nulla” risuscita nuovi mondi”
IL MONACO ORTODOSSO *
Un Padre del deserto era solito affermare: «Non sono monaco, ma ho visto veri monaci». (…) Sulla base di quanto ho visto, cercherò di spiegare brevemente cos’è un monaco ortodosso e quale profonda relazione ci leghi tutti alla vita liturgica dei monasteri e alle esperienze personali dei santi asceti. Il Signore non è venuto nel mondo per migliorare semplicemente le condizioni della vita presente, non è venuto per proporre un qualche sistema economico o politico, né per insegnarci un qualche metodo che ci consenta di ottenere un equilibrio psicosomatico. E’ venuto per vincere la morte e portare la vita eterna. «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 316) (…)
Ciò che ha l’uomo e ha valore non sono tanto le sue capacità fisiche e intellettuali ma il fatto che egli può diventar partecipe della risurrezione di Cristo, che può morire e viver fin da oggi la vita eterna: «Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,25) (…)
La vita del monaco è una perdita e un ritrovamento. Monaco ortodosso non è semplicemente il «mistico». Non è colui che con una determinata dieta o tecnica è giunto ad un alto livello di autodominio e a prodezze di tipo. ascetico. Queste cose, da sole, sono conquiste dell’eone presente, insignificanti e incapaci di vincere – per il monaco e per i suoi fratelli – la morte. Vero monaco ortodosso è il risorto.
Egli non ha quale missione di fare qualcosa con i suoi ragionamenti o di organizzare qualcosa con le sue capacità ma di testimoniare con la sua vita che la morte è stata vinta. E ciò si verifica quando egli stesso si seppellisce come il seme nella terra. Per questo – secondo quanto viene citato nel libro dei detti dei Padri del deserto – quando un giovane monaco riferisce allo iéronda: «Noto che il mio intelletto si trova continuamente in Dio» l’anziano gli dice: «Non è grande impresa il fatto che il tuo intelletto si trovi in Dio; ciò che invece ha importanza è considerare te stesso al di sotto di tutta la creazione» …
Nell’università del deserto – così i Padri hanno chiamato il monachesimo – gli asceti non “imparano” ma “patiscono” e cose divine. Non affaticano la loro mente o il loro corpo, ma sacrificano interamente se stessi. «Se non avessi demolito tutto, non avrei potuto costruire me stesso». Vero monaco è chi è risorto dai morti, chi è un’icona del Cristo risorto (…)
In un modo particolare egli si occupa di tutto e di nulla. E “separato da tutto e unito a tutto”. Il concetto di specializzazione gli è estraneo per natura. Non è specializzato in qualcosa, né qualcos’altro lo lascia indifferente. Gli interessa tutto…
Un monaco scriveva «Non è mio lavoro costruire e tinteggiare case. Nemmeno leggere e scrivere. Qual’è la mia missione? Se possibile, morire in Dio. Allora vivo e mi muovo a opera di un’altra Potenza. Posso in tal modo, liberamente fare tutto (zappare, organizzare, leggere, scrivere) senza legarmi a nulla. Posso passare attraverso tutto – debbo passare – perseguendo sempre con tranquillità ciò che è uno ed unico. Devo lasciare tutto, tutte le divagazioni’ mi attraversino, liberamente, in attesa di quell’uno che dà valore a ogni cosa.
Quando costruisci per costruire edifichi il tuo sepolcro. Quando scrivi per scrivere, tessi il tuo lenzuolo funebre. Quando vivi e respiri cercando la misericordia di Dio, allora attorno a te si intesse una veste di incorruttibilità e dentro di te freme la dolcezza di una consolazione celeste. Costruire o scrivere risulta assai secondario». Il monaco non ha quale scopo di vita di pervenire a un’autoconcentrazione o a un progresso individuali, ma di servire – il mistero della salvezza con il fatto di vivere non per se stesso – ma per Colui che è morto e risorto per noi. E per tutti i Suoi fratelli. Tale meta viene attinta perché il monaco vive non come vuole lui, ma come detta la Chiesa….
L’intera nostra vita ruota attorno a Dio. Il nostro tempo, la nostra occupazione è Lui. La nostra resistenza fisica e il nostro primo pensiero sono rivolti a Lui. L’ufficiatura, la meditazione, la preghiera, costituiscono il senso della lotta ed il polo attorno a cui ci muoviamo….
Ogni consolazione e grazia viene data all’Ortodossia e al suo monachesimo attraverso la morte. Consolazione è il superamento della morte, in ogni forma di vita.
Possiamo renderci conto di questo anche nelle grandi ufficiature monastiche, nei digiuni, in tutti i mezzi di ascesi. E’ dura l’Ortodossia? E’ severa? Supera la resistenza dell’uomo? Dall’esterno appare così. Così è in parte anche nella essenza («Monaco è violenza della natura», afferma San Giovanni Climaco). Solo che non è mai priva di speranza, quanto dura possa sembrare. Non è mai soffocante e innaturale, per quanto buia possa presentarsi.
Perché, alla fine dalla molta fatica, dall’ascesi, dalla veglia – realtà che superano, spesso, la resistenza umana – spunta un germoglio nuovo, incorruttibile, immarcescibile che un frutto centuplicato E allora proclami beate le fatiche e le sofferenze…
I veri monaci giungono alla fine ad accogliere con riconoscenza e di buon grado la tribolazione e la sofferenza, o il disprezzo e l’umiliazione da parte degli uomini perché così vengono affrancati dalle consolazioni ingannevoli di questo mondo e diventano partecipi, fin da oggi, della gloria eterna del Signore….
Non appartengono a quanti si sono convertiti ma a quanti si convertono. L’invito “convertitevi” del Signore non viene inteso con “convertitevi una volta”, nè significa “convertirsi ogni tanto (forse inizia così); significa invece che la tua vita diviene conversione. Che esiste dentro di te un perpetuo atteggiamento di conversione e contrizione. Che nessuno parla, pensa, qualcosa fuori del clima e dell’ethos della contrizione. Che quest’ultima impregna l’esistenza di ognuno. Celebrare ogni momento il mistero della conversione della contrizione, del venire rialzati dall’altra Potenza. Sentire ogni momento che, caduto, sei risollevato da Lui. Sentire che tu sei caduta e Lui risurrezione. Sei non-essere e Lui è l’essere. E per la sua misericordia sconfinata ti ha portato all’essere; caduto, ti ha fatto risorgere e ti fa risorgere incessantemente… Vivono senza posa la “morte vivificante”, la “radiosa tristezza”….
L’uomo può trovare se stesso nelle sue vere dimensioni solo se perduto per Dio e per l’altro (il fratello). «Chi perderà troverà». Solo così si ricostruisce dentro di lui la magnificenza teantropica e sconfinata dell’uomo. Solo così possiamo sentire colte le fondamenta su cui l’uomo si regge non vengano mai scosse. Le fondamenta sono la morte, l’estinzione La realtà antropologica entro cui vive continuamente l’uomo nuovo è la grazia che abbraccia ogni cosa…
Con tutta la loro vita di ascesi e ritiro, essi non si sono allontanati dall’uomo: vi hanno fatto invece ritorno. Hanno abbracciato tutti gli uomini e i loro dolori. Sono diventati veri uomini. Il progresso monastico non dipende da quanto il monaco ha digiunato tribolato, ma da quanto, con l’intera sua ascesi, e divenuto partecipe della grazia del Paraclito (cioè lo Spirito Santo), ha trovato lui stesso riposo e si è fatto riposo per l’uomo suo fratello.
I monaci di una fraternità pensavano di superare in virtù gli altri monaci perché facevano più digiuni e le loro ufficiature erano più lunghe. Su tale argomento un vecchio iéronda (cioè una figura venerabile del monachesimo ortodosso) si espresse così: «Non ditemi quanto digiunano o quanto durata loro ufficiatura. Un’altra è la cosa che mi interessa. Può uno di loro – anche il più perfetto – capire l’uomo stanco di oggi, dare un conforto all’afflitto? Può liberare chi è stretto nelle macchinazioni del diavolo? Se fa questo, se è in grado di dar riposo al fratello, di fargli amare la vita, di farlo gioire ed essere grato a Dio, sarà tutto ciò a dimostrare i progressi spirituali compiuti da un tale monaco» …
(Il monaco ortodosso) ha un’altra concezione della vita, del mondo, delle distanze. Non ha esistenza nel mondo, e nel contempo lo ricapitola, organizza, riunifica («Con le tue preghiere hai sostenuto l’ecumene»).
È uscito dalla mischia. Se cerchi di colpirlo, i tuoi dardi non lo trovano. E’ inesistente per essi. Se lo cerchi, dovunque tu sia, lo hai accanto a te. Vive solo per te…
Non organizza in modo umano. Aiuta ciascuno a trovare se stesso. Aiuta ciascuno ad amare la propria vita, guidandolo fino al cuore della luce che non conosce tramonto…
Ti accorgi che solo ti aiuta con discrezione. Non si intromette brutalmente. Non si impone magicamente. Ti rivela il funzionamento secondo natura del tuo essere. Ti lascia libero. E sei prigioniero della verità, della libertà, dell’unica realtà così com’è …
Davanti a lui hai la percezione di trovarti nel giorno ultimo….Ti trovi innanzi a una teofania, a una vera antropofania. La tua vita assume un’altra dimensione, escatologica. E di un tepore e di una speranza umani si riempiono le realtà escatologiche…
• padre Basilio di Iviron (+ Igumeno aghiorita) in “AA. VV., Voci dal Monte Athos” (Servitum Interlogos – 1993)
L’AMORE, IL MATRIMONIO E LA SESSUALITÀ
di Padre Giovanni Chryssavgis
nato in Australia nel 1958. Ha studiato teologia all’Università di Atene, musica bizantina al Conservatorio greco di musica e ha ottenuto una borsa di studio presso il Seminario teologico “St. Vladimir” (NY), completando poi la sua formazione con un dottorato in studi patristici all’Università di Oxford. La sua ricerca si è specializzata sul pensiero ascetico e la pratica della chiesa primitiva.
I. Amore – Divino e umano
“L’amore, il matrimonio e la sessualità riguardano tutti, perché l’amore è una vocazione per tutti. Come cristiani, crediamo che l’intera creazione sia stata fatta attraverso l’amore. La fonte e la fine di tutte le cose è l’amore, perché la fonte e la fine di tutte le cose è Dio, e “Dio è amore” (1 Giovanni 4: 8, 16). Anche il male dipende dall’amore. Secondo l’ottimismo di alcuni Padri della Chiesa, nessuno commette un atto malvagio a meno che non creda che ne risulterà qualcosa che ama. Pertanto, l’amore è di origine divina e di natura sacra. Da una prospettiva umana, non esiste un modo singolare di comprendere il concetto di amore. Trasmette una moltitudine di significati e stati d’animo: dal “fare l’amore”, che può implicare un atto fisico senza amore, all’impegno profondo di una coppia di anziani; dai motivi egoistici, al dono disinteressato; dalla dolcezza di un bambino che tiene per mano i suoi genitori, all’intimità di due amici che si tengono per mano. Gli esseri umani sono fatti per amarsi e guardarsi l’un l’altro. L’esperienza dell’amore è il cielo e la vita; l’assenza d’amore è l’inferno e la morte. San Macario d’Egitto credeva che l’inferno assomigliasse all’essere legati, schiena contro schiena con un’altra persona, incapace per tutta l’eternità di affrontarla. L’amore spezza le catene della solitudine; abbatte i muri dell’egoismo. L’amore è una forza profonda, un’energia spirituale. Non siamo mai più potenti di quando attraverso l’amore siamo vulnerabili. L’amore scaccia la paura; è più forte della morte. Apprezzando questa intensità dell’amore, i Padri della Chiesa osano paragonarla all’eros o alla passione. Dionisio l’Areopagita descrive Dio come un “amante maniacale” che protegge con zelo la Sua creazione. L’amore è così potente che una genuina espressione d’amore rivela un’apertura che trasfigura il mondo intero. Guardare negli occhi di un’altra persona con amore è vedere l’anima del mondo intero, è vedere l’immagine stessa di Dio. Questo tipo di amore è un dono di Dio. Tuttavia, allo stesso tempo, richiede coltivazione e duro lavoro. L’amore richiede tempo e abilità, responsabilità e rispetto. è un atto di estendere me stesso per nutrire un altro, tutto il tempo. La sera della vita, saremo giudicati solo sull’amore. Questo amore è più che semplici sentimenti. È decisione e impegno. Se vuoi amare, devi crearlo e non aspettare che il tuo coniuge te lo offra. Nell’amore e nel matrimonio, Dio ci offre una meravigliosa opportunità di rinascere, di maturare. “Questo è davvero un grande mistero” (Ef 5:32). La vita è il grande mistero: da vivere, e vivere in abbondanza. E se lavoriamo sull’amore, se coltiviamo l’amore, se abbassiamo la guardia della sfiducia, se facciamo fatica a relazionarci, allora gradualmente noteremo che tutto il mondo cambia e che tutto il mondo è bello. In realtà, certo, saremo noi che saremo cambiati; siamo noi che vediamo le stesse cose con occhi diversi”.
II. Fisicità e spiritualità
Gli autori cristiani fin dai primi tempi si sono sentiti a disagio con l’amore fisico o sessuale. In qualche modo, l’amore fisico è considerato una forma degradata di amore. Alcuni autori affermano che il celibato è superiore all’amore nel matrimonio; altri propongono che l’unico scopo dell’amore fisico sia la procreazione. La fisicità o la sessualità sono state contaminate, considerate impure. Sono visti come contaminanti e vergognosi; le persone sono piene di paura e senso di colpa. La sessualità è vista come un’espressione che ci collega alle forme di vita inferiori, identificate con desideri lussuriosi e istinti animali. La figura e la teologia di sant’Agostino ha stabilito il modello per il pensiero occidentale su questo argomento fino ad oggi. Di conseguenza, le persone soffrono di una schizofrenia insita in questo aspetto più intimo e personale della vita. Per Agostino la sessualità è il risultato della nostra caduta, Eva è il risultato della defezione di Adamo da Dio; la donna non è creata a immagine di Dio, ma come strumento dell’uomo. Eppure san Paolo ha chiarito che, divenendo una sola carne (1Cor 6,16), l’uomo e la donna simboleggiano l’unione tra Cristo e la Chiesa. In ogni caso, Cristo non ha mai identificato il peccato con il corpo, ma con ciò che si commette nel cuore (Mt 15,18-19). Per i cristiani “la carne è il cardine della salvezza” (Tertulliano). Quanto è sfortunato, allora, che il cristianesimo – come religione del corpo e della carne, come religione dell’incarnazione – abbia lasciato una cicatrice permanente sul corpo umano. Non si tratta di fare i conti con il corpo o con la sessualità. Si tratta piuttosto di riconoscerle come legate in modo cruciale agli aspetti più profondi della natura umana. La sessualità non è casuale; piuttosto, è essenziale per la nostra realtà. L’amore sessuale e fisico appartiene al mistero del nostro essere. Questo non vuol dire che la sessualità e la spiritualità siano la stessa cosa. Tuttavia, c’è un’intima corrispondenza tra i due. La negazione dell’uno si riflette nel degrado dell’altro. Senza sessualità non c’è bellezza; senza bellezza non c’è anima; e senza anima non c’è Dio. “Maschio e femmina [Dio] ci creò” (Gen. 1:26). Così ci viene detto subito dopo la creazione di Adamo ed Eva a immagine e somiglianza di Dio. Per i Padri orientali, senza Eva, Adamo era incompleto. “La donna è fatta in piena comunione con l’uomo: condividendo ogni piacere, ogni gioia, ogni bene, ogni dolore, ogni dolore” (San Basilio Magno), “partecipando della stessa grazia divina” (Clemente di Alessandria) Scrivendo esattamente nello stesso periodo come Agostino di Ippona, San Giovanni Crisostomo afferma che “l’amore sessuale non è umano; è di origine divina”.
III. Icona o idolo
“Ora è difficile per una persona prendere coscienza della sessualità (del proprio corpo) senza prendere coscienza della sessualità (dei corpi) di altre persone. E così nell’amore fisico, nell’unione del matrimonio, l’uomo e la donna si offrono l’un l’altro all’immagine di Dio nell’altro. Questo non è dissimile dall’incontro che si verifica nel caso di un’icona. C’è un’arte coinvolta nell’iconografia. Allo stesso modo, c’è un’arte coinvolta nell’amore. L’amore non è semplicemente un atto; è arte. Lo scopo dell’arte dell’amore – come anche dell’iconografia – è trasfigurarsi l’un l’altro, vedersi come la manifestazione dell’Amato divino. Se c’è un posto per le icone nella Chiesa, allora c’è anche un posto per il matrimonio e l’amore sessuale. Il corpo e l’amore sessuale somigliano a un’icona che apre alla bellezza divina e all’amore divino: “Beato l’uomo che ha ottenuto tale amore e desiderio per Dio come un innamorato folle ha per la sua amata generando fuoco su fuoco, eros su eros, passione per passione, desiderio per desiderio” (San Giovanni Climaco). Vedere un’altra persona come un’icona è vedere il mondo attraverso gli occhi di Dio. È abolire la distanza tra questo mondo e l’altro; è parlare su questa terra e in quest’epoca il linguaggio del cielo e dell’età che verrà, è rivelare la dimensione sacramentale dell’amore. L’icona ci insegna un altro mezzo di comunicazione, oltre la parola scritta e parlata. Ci viene insegnato a non guardare le icone, ma a guardarle attraverso. Allo stesso modo, siamo chiamati a penetrare la superficie della persona che amiamo e a rivelarne la sacra profondità interiore. In effetti, la questione della procreazione si riferisce direttamente a questa nozione di icona. A meno che l’amore coniugale non apra la coppia al di là di se stessa, a meno che la relazione dei due nel matrimonio non rifletta la comunione della Trinità, a meno che l’amore della coppia li estenda in un modo o nell’altro, allora l’amore coniugale si riduce da icona sacra a icona semplice idolo. La coppia di innamorati è sempre chiamata ad andare oltre il riflesso reciproco; uno specchio non è un’icona, ma un riflesso di se stessi. La coppia è chiamata a diventare icona della Chiesa, una “chiesa in miniatura”. Per San Giovanni Crisostomo, “il matrimonio è un’icona mistica della Chiesa”. Le dimensioni della Chiesa rivelano le dimensioni della coppia di sposi. Come “noi crediamo in una chiesa una, santa, cattolica e apostolica”, così la coppia dovrebbe riflettere la stessa unità, santità, apertura e apostolicità. Questo è importante perché la Chiesa rifiuta di idealizzare o romanticizzare la vita matrimoniale e la famiglia. Pertanto, la coppia deve generare “prole”; il loro amore deve “dare frutto”. Il paradosso è che la coppia deve avere figli, anche se non possono avere figli.
IV. Monachesimo e matrimonio
Alcuni Padri della Chiesa hanno interpretato le lettere di San Paolo, come se implicassero che il monachesimo è superiore al matrimonio (1 Cor 7, 8-9). Tuttavia, «se la verginità è onorata, non ne consegue che il matrimonio sia disonorato» (Gregorio il Teologo). San Macario d’Egitto esclama: “In verità, non c’è né vergine né sposato, né monaco né secolare; ma Dio dà il suo Santo Spirito a tutti, secondo le intenzioni di ciascuno”. La versione siriaca dello stesso testo recita così: “In verità, la verginità di per sé non è nulla, né il matrimonio, né la vita monacale, né la vita nel mondo…” La purezza interiore è sempre possibile, indipendentemente dalle circostanze esteriori. In una relazione d’amore l’altro diventa il centro di attrazione. L’obiettivo è sempre il movimento fuori e oltre se stessi. La prospettiva è sempre il regno dei cieli. I monaci hanno tradizionalmente compreso questa verità nella stessa misura delle coppie sposate. Così gli scrittori ascetici ci insegnano che l’amore non è mai soddisfatto; è solo soddisfatto. L’amore non è un atto di soddisfazione, ma di donazione totale. L’amore sessuale è per la gloria di Dio, non per la gratificazione egoistica dell’uomo. L’amore genuino alla fine non può essere raggiunto senza la castità. Nella “Scala del Paradiso”, San Giovanni Climaco pone la purezza (passo 29) immediatamente prima dell’amore (passo 30). Il monachesimo, quindi, non è l’astensione dall’amore sessuale. È un’altra manifestazione di questo amore. Il monachesimo non può mai essere un’estinzione o una diminuzione della più vitale risposta umana alla vita. C’è un elemento di ascesi nel matrimonio, una raffinatezza nell’amore; così come nel monachesimo c’è una dimensione dell’amore, una passione per Dio. Nella tradizione monastica le passioni sono trattate diversamente; sono sopraffatti da passioni più grandi. Una singola, vivida esperienza di amore appassionato ci farà avanzare molto più avanti nella vita spirituale della più ardua lotta ascetica. Una sola fiamma di puro amore è sufficiente per accendere un fuoco cosmico e trasformare il mondo intero. L’amore non è né un problema fisico né materiale. Non è principalmente una preoccupazione sessuale. È una preoccupazione spirituale. Non va temuto come un tabù, ma accolto come un mistero sacro; non dovrebbe mai essere nascosto come un segreto, ma rivelato come un sacramento. Il monachesimo, come il matrimonio, è un sacramento d’amore. Il monachesimo, come il matrimonio, è un sacramento del regno. La vera dimensione di entrambi è escatologica. Così l’amore è più grande della preghiera stessa; anzi, è preghiera. Perché l’amore è ciò che definisce la natura umana. Sia i monaci che le coppie sposate devono continuamente lottare per essere ciò che sono chiamati ad essere: rapiti dalla fiamma viva dell’amore divino. Come abbiamo già osservato, l’amore è un dono dall’alto e anche qualcosa per cui tendere; è un punto di partenza, oltre che un punto di arrivo. L’alfa e l’omega della vita sono la prima e l’ultima lettera della parola greca “amo” (agapè). Questo è vero per un monaco o una monaca, come lo è per un marito e una moglie”.
V. Il sacramento del matrimonio
Ogni sacramento è una trascendenza della divisione e dell’alienazione. Nel caso del matrimonio, ogni persona deve prendere coscienza della presenza divina nell’altra. Sia il marito che la moglie devono squarciare il sipario della distanza e della falsità. Quando ciò accade, l’unione coniugale è più forte della morte, non può essere «separata da nessuno». In questa relazione, il maschio non è mai esclusivamente il polo attivo, e la femmina non è mai esclusivamente il polo passivo. La base di ogni relazione sacramentale è che l’uomo e la donna sono complementari: c’è una reciprocità di dare e ricevere, un incontro di reciprocità. Nessuno dei due deve considerare l’altro come un mezzo verso un fine, non importa quanto elevato o spirituale. Ciò significa che i partner non dovrebbero cercare l’appagamento o la dipendenza l’uno dall’altro. Non posso ritenere mia moglie responsabile del mio vuoto. In ogni momento, ho bisogno di scoprire in Dio il compimento del mio vuoto: è Dio che mi fa sapere che sono amato; è Dio che mi autorizza ad amare un altro. Anche qui incontriamo il “monasticismo” del rapporto coniugale. Il matrimonio non è una soluzione magica ai problemi della vita. Come potrebbe un matrimonio resistere a tali aspettative? C’è da meravigliarsi che i matrimoni falliscano, quando oggi ci viene insegnato che il nostro partner è la nostra “altra metà”, quando siamo meno che persone complete nel sacramento? L’amore personale implica piena dignità e identità, nessuna diminuzione dell’altro; non c’è né falsa idealizzazione né deturpazione dell’altro. La completezza e l’integrità sono indispensabili per un matrimonio sano. E la completezza presuppone l’onestà, non la gentilezza. L’amore è un atto di fede così come un atto di fedeltà. È sempre una tentazione quella di mentire, di ingannare, di essere men che sinceri. Ciò significa che se deve esserci intimità nell’amore, allora deve esistere la possibilità di conflitto. Nei matrimoni in cui non c’è conflitto, di solito c’è, oppure potrebbe non esserci onestà. Nella società, e anche in Chiesa, ci viene insegnato ad essere gentili. È come imparare a essere disonesti. E così sorridiamo quando siamo tristi o arrabbiati; diciamo cose che non intendiamo. Eppure tutto ciò di cui non si parla apertamente rimane irrisolto e diventa dannoso per la vita dei nostri figli. Dobbiamo essere onesti sui nostri fallimenti, aperti sul nostro vuoto. Sono una parte inestimabile delle nostre relazioni. Questo è il motivo per cui il matrimonio riguarda tanto la separazione quanto l’unione; riguarda tanto il distacco quanto l’attaccamento.
VI. Sessualità e sacramentalità
Per diventare un’unione sacramentale completa, l’ amore tra l’uomo e la donna deve abbracciare tutti gli aspetti della loro vita, ogni livello e capacità del loro essere. Ciò include gli aspetti fisici, spirituali, emotivi e intellettuali della natura umana. Se ciò non accade, la relazione rimane non consumata e incompiuta, è sia non sacra che non sacramentale; diventa sia paralizzante che frustrante. Questo ci offre un’idea di come pochi matrimoni, anche quelli benedetti dalla Chiesa, siano in realtà sacramentali. Indica anche il nesso tra il matrimonio e la deificazione, verso cui tutti siamo chiamati. Questa sarebbe la mia definizione di “sessualità”: vero completamento e consumazione a tutti i livelli – un risultato raro come la stessa theosis, sebbene altrettanto nobile anche un compito e una vocazione. Se un partner si sviluppa (a qualsiasi livello) oltre o fuori ritmo con l’altro, questo livello non consumato o non soddisfatto (non accoppiato), questa parte non completata o non realizzata tenderà sempre verso e cercherà di esprimersi in qualche altra forma; non sarà in grado di funzionare correttamente e pienamente all’interno del matrimonio. Se l’integrità e la totalità sono condizioni critiche per una relazione sacramentale, lo sono infine anche la continuità e l’impegno. La capacità di trasformarsi reciprocamente richiede dedizione e pazienza, fino a quando le estremità appuntite delle rocce indurite nella relazione non vengono appianate, fino a quando non viene costruito un campo magnetico a ogni livello. Poi livello alter livello si dispiega, interagisce e sprigiona le sue potenzialità, che non sono altro che divine. In questo contesto, la fedeltà nella relazione è un riflesso della natura amorevole e paziente di Dio. In ultima analisi, né il marito né la moglie si appropriano di ciò che l’altro offre. Al contrario, ciascuno la restituisce – insieme a se stesso – alla fonte di ogni vita, a Dio, che ciascuno di noi viene a vedere, incontrare e amare dall’altro, così come avviene nella Divina Liturgia. L’uomo e la donna diventano il pane e il vino dell’Eucaristia. Allora l’amore sacramentale diventa benedizione, conferita dal Creatore a due creature che hanno compiuto lo stesso corso della loro vita attraverso qualunque ostacolo e gioia abbia portato loro. Così entreranno finalmente, trasfigurati, nel Regno di Dio, al quale è dovuto ogni grazie.
San Leone Magno: Quarto discorso tenuto nel Natale del Signore
QUARTO DISCORSO TENUTO NEL NATALE DEL SIGNORE
1. – Dilettissimi, in diversi modi e in molte misure la divina bontà ha sempre provveduto al genere umano e ha generosamente elargito in tutti i secoli precedenti i doni della sua provvidenza. Però in questi ultimi tempi ha superato la larghezza della consueta benignità, quando in Cristo è discesa ai peccatori la misericordia, ai traviati la verità, ai morti la vita. Infatti il Verbo, coeterno e uguale al Padre nell’unità della divinità, assunse la nostra umile natura; e così egli che è Dio, nato da Dio, in quanto uomo prese origine dall’uomo. Il fatto era già stato promesso nella creazione del mondo e anche preannunciato in molte figure e oracoli. Però quelle figure e quei misteri, nascosti nella penombra, avrebbero salvato una piccola porzione dell’umanità, se Cristo non avesse adempiuto le occulte e ripetute promesse! Ora invece, quando l’opera redentiva è stata adempiuta, giova a innumerevoli fedeli, mentre a pochi credenti giovò quando ancora doveva compiersi.
Noi siamo portati alla fede non più con segni e immagini, ma, confermati dal racconto evangelico, adoriamo quel che crediamo adempiuto. In proposito si aggiungono a nostro ammaestramento le testimonianze dei profeti, affinché sia esclusa la possibilità di ritenere dubbio ciò di cui conosciamo attraverso la predizione in tante profezie.
Dunque è vero quel che il Signore ha detto ad Abramo: “Tutte le genti della terra saranno benedette nella tua discendenza”. E David con spirito profetico canta la promessa di Dio: “Il Signore giurò a David la promessa da cui non si ritrae: un rampollo della tua stirpe io porrò sul trono”. E il Signore dice per bocca di Isaia: “Ecco la Vergine che concepisce e dà alla luce un figlio e gli darà il nome di Emmanuele, che significa: Dio con noi”; e ancora: “Un virgulto sorgerà dal tronco di Jesse e un pollone verrà su dalle sue radici”.
In questo virgulto certamente è stata preannunciata la santa vergine Maria, che, discendente della stirpe di David e di Jesse, è stata fecondata dallo Spirito Santo e ha partorito il fiore novello dell’umana carne nell’esercizio di una reale funzione di madre, benché il parto sia stato verginale.
2. – Dunque, i giusti esultino nel Signore, i cuori dei fedeli prorompano nella lode a Dio e i figli degli uomini esaltino i suoi prodigi. Soprattutto da questa opera di Dio la nostra pochezza conosce quanto sia stimata dal suo Creatore.
Egli già ha donato molto all’umanità fin dall’origine, perché ci ha fatti a sua immagine, ma molto più generoso si è mostrato nella nostra restaurazione, quando egli stesso, il Signore, si è adeguato alla condizione di servo. Proviene certamente dalla stessa identica misericordia tutto quanto il Creatore ha elargito alla creatura: però è meno meraviglioso che l’uomo sia elevato a qualità divine del fatto che Dio si abbassi alla condizione umana. Se Dio, onnipotente, non si fosse degnato di tanto, nessun modello di santità, nessuna ricchezza di sapienza ci avrebbe potuto liberare dalla schiavitù del diavolo e dall’abisso della morte eterna. La condanna, che si propaga con il peccato da uno agli altri uomini, sarebbe rimasta; e la natura colpita da mortale ferita, non avrebbe trovato nessun rimedio, perché non avrebbe potuto mutare con le proprie forze la sua condizione.
Ora, il primo uomo prese la sostanza carnale dalla terra e fu animato da spirito razionale per insufflazione del Creatore, perché vivendo a immagine e somiglianza del suo autore, conservasse la bellezza della bontà e santità di Dio nella irradiante imitazione (del suo essere), come in un nitido specchio.
Se egli avesse con l’osservanza della legge costantemente perfezionato tale luminosissima dignità della propria natura, la stessa anima incontaminata avrebbe condotto la condizione terrestre del corpo alla gloria celeste. Ma perché credette temerariamente e infelicemente a colui che per invidia tendeva inganni, e accondiscese ai suggerimenti di superbia e preferì usurpare con l’occupazione, anziché meritare l’aumento di dignità, tenuto in serbo per lui, non soltanto il primo uomo ma tutta la sua posterità dovette ascoltare: “Tu sei polvere e in polvere ritornerai”. Dunque “qual è l’Adamo terrestre, tali sono anche i corpi terrestri”: nessuno di essi fu immortale, perché nessuno è diventato celeste.
3. – L’onnipotente Figlio di Dio che tutto riempie e tutto contiene, totalmente uguale al Padre, coeterno nell’unica e medesima essenza ricevuta da lui e regna con lui coeterno, ha assunto la natura umana. Così il Creatore e il Signore di tutto si è degnato essere uno dei mortali per spezzare le catene del peccato e della morte. A tal fine si scelse una madre, che egli stesso aveva fatto, la quale, conservando intatta l’integrità verginale, non dovesse fare altro che apprestare la sostanza corporea, in maniera che, rimanendo illesa dal contagio del seme umano fecondante, purezza e verità risiedessero nel nuovo uomo.
Dunque in Cristo, generato dal seno della Vergine, la natura nostra, per il fatto che mirabile è stata la sua nascita, non è indifferente. Egli è vero Dio e anche vero uomo; e in ambedue le nature non accoglie nulla di fittizio. “Il Verbo si è fatto carne” per elevazione della carne, non per difetto della divinità, la quale in tal modo ha diretto la sua potenza e bontà elevando ciò che è nostro con l’assumerlo e non ha perduto ciò che è suo nel comunicarlo. Secondo la profezia di David, in questa natività di Cristo “la fedeltà è fiorita dalla terra e la giustizia si è affacciata dal cielo”. In questa nascita si è adempiuto anche il cantico di Isaia: “Si apra la terra e produca la salvezza e faccia spuntare la giustizia”.
Difatti, la terra della umana carne, maledetta già in chi per primo peccò, in questo solo parto della santa Vergine germogliò un rampollo benedetto, estraneo alla corruzione della propria stirpe.
Ognuno si appropria la spirituale origine di Cristo nella rigenerazione; l’acqua del battesimo è per ogni uomo che viene rigenerato quasi un seno verginale, perché lo stesso Spirito Santo, che adombrò la Vergine, riempie la fonte. Il peccato che lì fu tolto dal santo concepimento, qui è cancellato dalla mistica lavanda.
4. – Dilettissimi, da questo mistero è molto lontano lo stravagante errore dei manichei, che non hanno alcuna parte alla rigenerazione di Cristo, perché negano che egli sia nato da Maria Vergine con nascita corporea. Essi non ritengono vera la sua natività e neppure ammettono la realtà della sua passione: così, non confessandolo veramente sepolto, negano che egli sia realmente risuscitato. Incamminatisi per la via scoscesa di una dottrina esecrabile, ove non sono che tenebre e precipizi, andando di gorgo in gorgo, scivolano nell’abisso della morte. Non possono trovare luogo saldo a cui aggrapparsi, costoro che, oltre alle malvagità, degne solo dell’approvazione diabolica, nel giorno più solenne della loro religione si rallegrano – l’abbiamo saputo dalla loro ultima confessione – della sporcizia dell’animo e del corpo, incuranti della integrità della fede e del pudore. In questo modo si riconoscono empi nella dottrina e osceni nei riti.
5. – Le altre eresie, dilettissimi, pur tutte meritevoli di condanna nelle loro differenze, hanno però qualche parte di vero. Ario, asserendo che il Figlio di Dio è inferiore al Padre e creatura, e credendo che lo Spirito Santo sia stato creato dal Figlio insieme alle altre creature, per la sua empietà andò in perdizione. Tuttavia, egli che non scorse l’eterna e immutabile divinità se non riducendo la Trinità all’unità della natura del Padre, non negò Dio. Macedonio, estraneo pure lui alla luce della verità, non ammise la divinità dello Spirito Santo; però confessò una e identica potenza nel Padre e nel Figlio. Sabellio, impigliato in un groviglio di errori, giudicò che l’unità di sostanza fosse senza alcuna distinzione nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo; perciò quello che doveva attribuire all’uguaglianza di natura, l’attribuì alla unicità di persona. Incapace di comprendere la vera Trinità, credette che sotto triplice nome fosse una e identica la persona. Fotino, ingannato dalla cecità della mente, confessò che Cristo era vero uomo della nostra stessa natura; però non credette che egli fosse Dio, nato da Dio prima dei secoli. Apollinare, privo di solida fede, in tal modo credette che il Figlio di Dio avesse assunto la vera natura della carne umana, ma asseriva che in quel corpo non vi era l’anima, perché era sostituita dalla divinità. Se continuiamo a elencare tutti gli errori che la fede cattolica ha condannati, in ciascuno si trova or questa or quella verità che può essere separata dalle tesi condannate. Invece nella dottrina scellerata dei manichei nulla si trova che possa essere giudicato accettabile.
6. – Ma voi, dilettissimi, ai quali nessun titolo posso rivolgere con più proprietà se non usando le parole di san Pietro apostolo “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione sacra, popolo tratto in salvo”, edificati sopra Cristo che è pietra incrollabile, innestati nel Signore, nostro Salvatore, attraverso la reale assunzione della nostra carne: perseverate saldi nella fede, che avete professato davanti a molti testimoni, nella quale, rinati mediante l’acqua e lo Spirito Santo, avete ricevuto il crisma della salvezza e il segno della vita eterna.
Se ora alcuno ci predicasse una verità diversa da quella che avete appreso, sia scomunicato. Non vogliate anteporre alla luminosa verità favole sacrileghe; e giudicate senza esitazione, diabolico e causa di morte, quanto leggete o ascoltate di contrario al simbolo cattolico e apostolico. Non vi traggano in inganno i simulati digiuni, che non giovano a purificare le anime ma a perderle. Coloro che li praticano assumono atteggiamenti di pietà e di castità per circondare con questo ingannevole velo le oscenità delle loro azioni, mentre dall’intimo di un cuore perverso scagliano strali per colpire i semplici, come dice il profeta: “per trafiggere al buio gli uomini retti”.
Grande protezione è la fede integra, la fede vera, in cui nulla può essere aggiunto e nulla tolto: se, infatti, non è una, non è fede. L’Apostolo in proposito dice: “Non c’è che un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Non esiste che un solo Dio e Padre di tutti, il quale è al di sopra di tutti, opera in tutti ed è in tutti”.
Attaccatevi a questa unità, dilettissimi, con incrollabile animo; e in essa “cercate la santità”. In essa soltanto è possibile obbedire ai comandi del Signore, perché “senza la fede è impossibile piacere a Dio”; senza di essa nulla è casto, nulla è santo, nulla è vivo; “il giusto, infatti, vive di fede”. Chi ha perduto la fede per inganno del diavolo, pur vivente, è già morto, perché, come per la fede si ha la santità, così per la fede vera si acquista la vita eterna. Dice infatti il Signore, nostro Salvatore: “La vita eterna è questa, che conoscano te, solo vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo”. Egli vi faccia progredire e perseverare fino alla meta, il quale vive e regna col Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli.
Amen.
San Leone Magno: Terzo discorso tenuto nel Natale del Signore
TERZO DISCORSO TENUTONEL NATALE DEL SIGNORE
1. – Dilettissimi, sono a voi certamente note le verità riguardanti il mistero della presente solennità per averle frequentemente ascoltate. Però, come la luce visibile provoca piacere agli occhi sani, così ai cuori integri dona gaudio eterno la nascita del Salvatore, della quale non dobbiamo tacere benché non sia possibile farne una degna illustrazione. Infatti, siamo persuasi che il passo biblico: “Chi potrà narrare la sua generazione?” si riferisce non soltanto al mistero secondo cui il Figlio di Dio è coeterno al Padre, ma anche a questa nascita con la quale il “Verbo si è fatto carne”. Perciò il Figlio di Dio, in quanto Dio, ha dal Padre e con il Padre uguale e identica natura; è Creatore e Signore dell’universo; in ogni luogo è tutto presente e tuttavia supera ogni cosa. Egli nel corso dei tempi, che per sua disposizione trascorrono, ha eletto questo giorno per nascere dalla beata vergine Maria lasciandola incontaminata e così portare la salvezza al mondo. La verginità di Maria non fu violata nel parto, come non era stata offesa nel concepimento. “E tutto questo avvenne affinché si adempisse quello che era stato annunciato dal Signore per mezzo del profeta che disse: ‘Ecco la Vergine concepirà e darà alla luce un figlio e lo chiameranno con il nome di Emmanuele che vuol dire Dio con noi’”.
La santa Vergine con tale straordinario parto diede alla luce una persona che aveva veramente la natura umana e la natura divina. Ambedue le sostanze ritennero ciascuna le sue proprietà, ma non in modo che vi sia in esse distinzione di persone; d’altra parte la creatura è stata assunta nell’unità del suo Creatore, non nel senso che costui sia l’ospite e l’altra l’abitazione, ma in modo che una natura sia strettamente unita con l’altra. E benché quella assunta resti distinta da quella che assume, tuttavia ambedue convergono in un’unità perfetta, tanto che uno e identico è il Figlio, che in quanto vero uomo si professa inferiore al Padre e in quanto vero Dio si rivela uguale al Padre.
2. – La cecità della eresia ariana, dilettissimi, non poté scorgere questa unità, per la quale il Creatore si congiunge alla sua creatura. Per questo, non credendo che l’Unigenito di Dio è della stessa gloria e della stessa sostanza del Padre, asserì che la divinità del Figlio fosse inferiore. Le prove, poi, di questa asserzione le trasse dagli aspetti della sua condizione di schiavo.
Invece l’unico Figlio di Dio per mostrare che in lui la natura umana non costituisce una persona distinta, né appartiene ad un’altra persona, essendo in perfetta unione con essa, afferma: “Il Padre è più grande di me”; come pure, ad essa unito, dice: “Io e il Padre siamo una cosa sola”.
Egli, secondo la natura di servo, assunta nell’ultima serie dei secoli per la nostra restaurazione, è inferiore al Padre; invece secondo la natura di Dio, in cui era ab aeterno, è uguale al Padre. Nella bassezza umana è stato fatto da una donna ed è nato sotto la legge; nella divina maestà rimase come Verbo di Dio “per il quale furono fatte tutte le cose”. Perciò colui che nella natura di Dio ha creato l’uomo, abbassandosi alla natura di servo, si è fatto uomo: ma dell’una e dell’altra natura si dice che è Dio per la potenza della persona assumente e allo stesso modo si afferma che è uomo per la bassezza della natura assunta. Ambedue le nature conservano, ciascuna, senza diminuzione, le proprietà. Come la natura di Dio non cambia la natura di servo, così neppure questa diminuisce la natura divina. Dunque il mistero del Verbo onnipotente in quanto è unito alla natura debole, permette di dire, a causa della natura che è propria dell’uomo, che il Figlio è inferiore al Padre. Ma la divinità che è una nella Trinità ed è propria del Padre, del Figlio e dello Spirito santo,esclude qualunque congettura di ineguaglianza. Così l’eternità non ha niente di temporaneo; la natura nulla ha di disuguale. Così una è la volontà, uguale la potestà. Dunque, non sono tre dei, ma è un Dio solo; è, quindi, c’è un’unità reale che non soffre separazione, perché non vi può essere differenza di sorta.
Dunque il vero Dio è nato nella natura integra e perfetta del vero uomo: tutto nella sua natura, tutto nella nostra: diciamo nostra la natura creata da Dio all’inizio e che egli ha assunto per restaurarla. Perché ciò che il menzognero v’introdusse e che l’uomo, ingannato, accolse, non ebbe nel Salvatore alcuna traccia. Egli si è, bensì, sottomesso e ha preso parte alle umane debolezze, ma non per questo è stato partecipe dei nostri delitti. Assunse la natura di servo senza la macchia del peccato: sublimò la natura umana e non abbassò quella divina. Lo svuotamento con cui egli, l’invisibile, si rese visibile, fu un atto di misericordiosa condiscendenza, non un esaurimento della sua potestà.
3. – È disceso a noi per chiamarci dalle catene della colpa originale e dagli errori mondani all’eterna beatitudine. Era impossibile per noi ascendere fino a lui, perché, nonostante che molti uomini ricercassero la verità con amore, eravamo ingannati dall’astuzia dei demoni con diverse e incerte congetture. L’umana ignoranza era tratta in differenti e opposte sentenze da una scienza falsa.
Per togliere questo scherno, per il quale le menti erano schiave del diavolo che le insolentiva, non bastava la dottrina della legge; come pure i soli oracoli dei profeti non potevano restaurare la nostra natura. Alle istituzioni morali era necessario aggiungere la verità della redenzione: bisognava che l’origine umana, corrotta fin dall’inizio, esordisse nuovamente nella rigenerazione. Per la riconciliazione doveva essere offerta un’ostia che avesse la nostra natura e fosse estranea alla propagazione del peccato. Tutto questo, poi, doveva avvenire in modo che la volontà di Dio, il quale si è compiaciuto di distruggere il peccato del mondo nella nascita e nella passione di Gesù Cristo, fosse riferita alle generazioni di tutti i secoli; e doveva accadere, inoltre, in modo che i misteri, anziché procurarci turbamento per il loro variare secondo i tempi, ci dessero maggior convinzione per il fatto che la fede, di cui viviamo, non fu diversa in nessuna età.
4. – Dunque, cessino dalle accuse quei mormoratori sacrileghi che parlano contro la divina economia e si lamentano per un preteso ritardo della nascita del Signore. Costoro pensano che non sia stata disposta anche per i tempi precedenti l’opera che è stata compiuta nell’ultima età del mondo. Tutto al contrario, l’incarnazione del Verbo, quando ancora doveva avvenire, produsse la stessa salvezza che elargisce ora quando si è già realizzata. Perciò il mistero della salvezza umana non è mancato in nessuna epoca.
Gli apostoli hanno predicato quello che i profeti hanno profetato: non è stato compiuto troppo tardi quello che sempre è stato creduto. Ma la sapienza e la benignità divina, procrastinando l’opera della salvezza, ci ha resi più capaci della sua vocazione. Lo scopo di questo indugio era di allontanare, ora che è tempo del Vangelo, qualunque dubbio dal mistero preannunciato lungo tanti secoli con tanti prodigi, con tanti oracoli e con tante sacre istituzioni. In tal modo la natività del Salvatore, che doveva superare le proporzioni di tutti i precedenti prodigi e la capacità di ogni umana intelligenza, avrebbe suscitato in noi una fede tanto più stabile quanto più antica e sicura era la predicazione che l’aveva preceduta.
Perciò errano coloro i quali pensano che Dio ha cambiato il piano circa le cose umane, o che troppo tardi ha provveduto a dare misericordia agli uomini. Invece egli fin dalla creazione del mondo istituì il principio di salvezza, uno e identico per tutti. Infatti la grazia di Dio, con cui sono stati sempre giustificati i santi, dalla nascita del Salvatore ha ricevuto solo un incremento, non il suo inizio. In realtà il mistero di così grande misericordia che già ha riempito il mondo, è stato efficacissimo anche nelle sue figure; perciò ne hanno ricevuto eguale grazia e quelli che l’hanno creduto quando era stato appena promesso, e quelli che l’hanno accolto ora che è stato compiuto.
5.- Per questo, dilettissimi, è nostro dovere di celebrare la natività del Signore non con svogliatezza o in allegria mondana, ma con professione di pietà, perché abbondanti ricchezze della divina benignità sono state profuse in noi. Infatti, per la nostra vocazione all’eternità, non solo ci sono utili le istituzioni precedenti dell’antica Alleanza, ma la stessa Verità che è apparsa con un corpo visibile. Però la celebrazione della festa sarà fatta con diligenza e come si conviene, se ciascuno si fissa bene in mente di quale corpo è membro e a quale capo è congiunto, e fa in modo di non essere inadatto alla stretta compagine del sacro edificio.
Dilettissimi, considerate, e, illuminati dallo Spirito santo, con sapienza riflettete, chi sia colui che ci ha uniti a sé e chi abbiamo accolto in noi stessi. Infatti, allo stesso modo che egli nascendo si è fatto carne nostra, così noi nella rigenerazione siamo diventati suo corpo. Perciò noi siamo il tempio di Cristo e il tempio dello Spirito Santo. Per questo l’apostolo raccomanda: “Glorificate e portate Dio nel vostro corpo”. Egli presentandoci il modello della sua umiltà e della sua mitezza, ci ha iniziati a questa virtù con la redenzione, dandocene egli stesso l’assicurazione: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi, e io vi darò completo riposo. Prendete su di voi il mio giogo, e imparate da me perché sono dolce e umile di cuore, e troverete pace per le anime vostre”.
Abbracciamo, dunque, il giogo, non pesante né molesto, della verità che ci guida, e rendiamoci simili alla umiltà di colui alla cui gloria vogliamo essere conformi.
Gesù Cristo, nostro Signore, ci aiuti e ci guidi al possesso delle sue promesse, perché Egli, nella sua grande misericordia, ha il potere di distruggere i nostri peccati e di rendere perfetti in noi i suoi doni; il quale vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.
San Leone Magno: Secondo discorso tenuto nel Natale del Signore
SECONDO DISCORSO TENUTO NEL NATALE DEL SIGNORE
1. Dilettissimi, esultiamo nel Signore e con spirituale gaudio rallegriamoci, perché è spuntato per noi il giorno luminoso della nuova redenzione, dell’antica preparazione, della felicità eterna. Perché con il ciclo liturgico annuale ci viene reso presente il mistero della nostra salvezza, promesso all’inizio del mondo, attuato nel tempo stabilito per durare senza fine.
In questo giorno è giusto che noi, elevati in alto i cuori, adoriamo il divino mistero, affinché sia celebrato dalla Chiesa con grande letizia quel che si compie per gratuita generosità di Dio.
Infatti, Dio onnipotente e clementissimo, la cui natura è bontà, la cui volontà è potenza, la cui azione è misericordia, allorché la malizia del diavolo con il veleno del suo odio ci sottomise alla morte, tosto indicò all’inizio del mondo la medicina che la sua misericordia metteva a disposizione per risollevare il genere umano. Preannunciò al serpente la futura discendenza della donna che con la propria virtù gli avrebbe schiacciato il capo, sempre altero o pronto a mordere. In tal modo preannunciò Cristo, l’Uomo-Dio, che doveva venire nella carne e che, nascendo dalla Vergine con una nascita immacolata, doveva condannare colui che violò l’integrità del genere umano.
Infatti il diavolo, trovando un sollievo alle proprie pene nel compagno di peccato, si gloriava che l’uomo, da lui ingannato, fosse stato privato dei doni divini e, spogliato della immortalità, fosse stato assoggettato a dura sentenza di morte; in più si gloriava perché Dio, secondo le esigenze della giustizia, era stato costretto a cambiare proposito riguardo all’uomo che egli aveva creato insignito di grande dignità. Per questo è stato necessario che Dio, immutabile, la cui volontà è inseparabile dalla benignità, adempisse con segreta economia e con occulto mistero il suo primo disegno di grazia ai nostri riguardi, affinché l’uomo, caduto in colpa per l’insidia del maligno diavolo, contrariamente al piano di Dio, non perisse.
2. Dilettissimi, appena giunti i tempi prestabiliti per la redenzione degli uomini, Gesù Cristo, Figlio di Dio, fa il suo ingresso nella bassa condizione di questo mondo: discende dalla sede celeste senza, però, allontanarsi dalla gloria del Padre: è generato in un nuovo stato e con una nuova nascita. È nuovo il suo stato, perché, pur rimanendo invisibile nella sua natura è diventato visibile nella natura nostra. Egli che è l’immenso, ha voluto essere racchiuso nello spazio: pur restando nella sua eternità ha voluto incominciare a esistere nel tempo. Il Signore dell’universo, nascosta sotto il velo la gloria della sua maestà, ha assunto la natura di servo. Dio, inviolabile, non ha sdegnato di assoggettarsi al dolore; l’immortale non ha rifiutato di sottomettersi alla legge della morte.
Inoltre è stato generato con novità nella nascita, perché è stato concepito dalla Vergine ed è nato dalla Vergine senza l’intervento di padre terreno e senza la violazione della integrità della madre. A chi doveva essere il Salvatore degli uomini era conveniente una tale nascita, perché avesse in sé la natura umana e non conoscesse la contaminazione della umana carne. Dio stesso, infatti, è l’autore della nascita corporea di Dio e l’arcangelo l’ha attestato alla Santa Vergine Maria: «Lo Spirito santo verrà sopra di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà della sua ombra: per questo il bambino santo che nascerà, sarà chiamato Figlio di Dio».
Dunque la sua origine è diversa dalla nostra, ma la sua natura è uguale alla nostra. Il fatto che la Vergine abbia concepito, che la Vergine abbia partorito e poi sia rimasta ancora vergine, certamente è estraneo alla comune esperienza umana, poiché è fondato sulla divina potenza. In questo caso, difatti, non bisogna considerare la condizione di colei che partorisce, ma il volere di colui che nasce, il quale è nato dall’uomo nel modo che ha voluto e potuto. Se tu osservi la realtà della natura, costati la sostanza umana; ma se scruti la causa dell’origine, vi riconosci la potenza divina. Invero, Gesù Cristo, nostro Signore, è venuto per abolire il contagio del peccato, non per tollerarlo; è venuto per curare ogni malattia di corruzione e tutte le ferite delle anime macchiate. Era dunque opportuno che nascesse in maniera nuova colui che apportava agli uomini una nuova grazia di immacolata integrità. Era necessario che l’integrità di chi nasceva conservasse la nativa verginità della madre e che l’adombramento della virtù dello Spirito santo mantenesse inviolato quel santuario di purezza e dimora della santità di cui si compiaceva. Gesù, difatti, aveva stabilito di rialzare la creatura che era precipitata in basso, di ricomporre ciò che si era infranto e di donare e accrescere la virtù della castità per cui potesse essere vinta la concupiscenza della carne. Dio ha voluto in tal maniera che la verginità, necessariamente violata nella generazione degli altri uomini, fosse imitabile negli altri con la rinascita spirituale.
3. Il fatto stesso, dilettissimi, che Cristo abbia scelto di nascere da una vergine, non mostra forse che era mosso da un motivo altissimo? Egli voleva che il diavolo ignorasse la nascita del Salvatore del genere umano; così ignaro dello spirituale concepimento, il maligno non avrebbe pensato a una nascita diversa da quella degli altri uomini, perché lo vedeva non differente dagli altri. Egli ha osservato la natura di lui, simile alla nostra e ha creduto che egli fosse compreso nella condanna di tutti gli altri. Non comprese che era estraneo ai ceppi, procuratici dalla disobbedienza, colui che non vedeva libero dall’umana debolezza. Infatti Dio, verace e misericordioso, disponeva di molti modi per restaurare il genere umano, ma ha scelto questa via della redenzione per seguire un criterio di giustizia, anziché fare uso della sua potenza nel distruggere il male compiuto dal diavolo. Il superbo e antico nemico rivendicava per sé, non senza qualche ragione, un diritto di tirannia su tutti gli uomini; e opprimeva con dominazione non illegittima quelli che dal comando di Dio aveva trascinato a rendere ossequio spontaneo alle sue voglie. Perciò non avrebbe giustamente perduto la servitù del genere umano, instaurata agli inizi del mondo, se non fosse stato vinto da chi prima aveva assoggettato. Perché questo disegno si attuasse, Cristo, senza intervento di uomo, è stato concepito dalla Vergine, fecondata non dalla unione carnale, ma dallo Spirito santo. Le madri tutte non concepiscono senza la macchia del peccato; al contrario essa fu purificata dal fatto che concepì. Là dove non c’è stata immissione del seme paterno, neppure vi si è mescolata l’origine inquinante del peccato. La verginità inviolata non conobbe la concupiscenza; solo somministrò la sostanza. Dalla madre fu assunta la natura dell’uomo, non la colpa. La natura di servo è stata fatta senza portare con sé la condizione servile, perché l’uomo nuovo è stato misurato sul vecchio in modo da assumere la realtà della natura e da escludere l’antico peccato.
Perché la verace misericordia di Dio, pur avendo a disposizione molti mezzi per redimere il genere umano, prima di ogni altra volle percorrere questa via utile al suo piano: annientare l’opera del diavolo ricorrendo non all’efficacia della potenza, ma alla ragione dell’equità. La superbia dell’antico avversario non a torto rivendicava a sé nei confronti di tutti gli uomini il diritto del tiranno, e non senza ragione teneva oppressi sotto il suo dominio coloro che egli aveva indotto con lusinghe a rifiutare il comandamento di Dio e a servire di loro spontanea volontà al suo volere. Perciò non avrebbe potuto perdere, secondo la norma di giustizia, la schiavitù del genere umano a lui soggetto fin dall’origine, se non fosse stato vinto dallo stesso genere umano che egli aveva asservito.
4. Il misericordioso e onnipotente Salvatore ha regolato fin dall’inizio l’assunzione della natura umana in tal maniera da tenere nascosta la potenza divina, inseparabile dall’umanità assunta, col velo della nostra infermità. Fu, così, ingannata l’astuzia del nemico che credette la nascita del fanciullo, nato per la salvezza del genere umano, sottomessa al suo dominio, come quella di tutti gli uomini che nascono. Lo vide che vagiva e lacrimava; l’osservò avvolto in pochi panni, soggetto alla circoncisione e riscattato con l’offerta del sacrificio legale. In seguito conobbe il normale sviluppo della sua puerizia e non poté mettere in dubbio la sua naturale crescita finché giunse a età virile. Mentre tutto ciò si compiva, egli scagliò oltraggi, moltiplicò le ingiurie, usò maledizioni, obbrobri, bestemmie e calunnie e in ultimo rovesciò contro Cristo tutta la potenza del suo furore passando in rassegna tutte le possibili tentazioni. Ben conscio di avere col suo veleno prostrata la natura umana, non credette neppure lontanamente che fosse libero dal peccato chi da tante prove era riconoscibile per mortale. Perciò il diavolo, scellerato saccheggiatore e avaro esattore, persisté nella lotta contro chi nulla aveva in sé di malizia. Ma mentre lo perseguitava rivendicando l’esecuzione della sentenza di condanna per tutti gli uomini, riposta nell’origine intaccata dal peccato, oltrepassò la misura fissata nel decreto che gli serviva di sostegno, perché reclamò la pena del peccato da colui nel quale non scoprì nessuna colpa.
Così per un consiglio poco accorto fu annullata la perfida scrittura del contratto di morte; per l’ingiustizia commessa nell’esigere di più, venne abolito tutto il debito. Quel forte viene incatenato con i suoi stessi ceppi e ogni astuzia del maligno viene ripiegata nel suo capo. Appena il principe del mondo è così incatenato, gli vennero sottratti i vasi preziosi della schiavitù. La natura purificata dal vecchio contagio, ritorna nel suo onore; la morte è distrutta con la morte, la nascita è restaurata con la nuova natività. Simultanei sono questi effetti: la redenzione abolisce la schiavitù, la rigenerazione trasforma l’origine e la fede rende giusto il peccatore.
5. Dunque, chiunque tu sia che vuoi gloriarti del nome di cristiano, pondera con giusto giudizio la grazia di questa riconciliazione. A te, una volta prostrato ed escluso dal Paradiso, a te, destinato a morire ininterrottamente durante un lungo esilio e disperso alla stregua della polvere e della cenere, a te, senza speranza di vivere, è stata data con l’incarnazione del Verbo la facoltà di tornare, dal lontano luogo ove eri, al tuo Creatore, di riconoscere il tuo padre, di passare dalla servitù alla libertà, di essere innalzato dalla condizione di forestiero alla dignità di figlio. Così a te, nato dalla carne corruttibile, è stata data la facoltà di rinascere dallo Spirito di Dio e di ottenere per grazia ciò che non avevi per natura, in modo che riconoscendoti, mediante lo Spirito di adozione, come figlio di Dio, possa ardire di chiamare Dio tuo Padre. Ora che sei sciolto dal reato della cattiva coscienza, aspira al regno celeste; adempi la volontà di Dio, sostenuto dal divino aiuto; imita gli angeli sopra la terra; nùtriti della virtù di una sostanza immortale; combatti con sicurezza contro le tentazioni ostili in ossequio alla religione di Dio, e se avrai rispettato il giuramento della milizia celeste, sii certo che sarai incoronato per la vittoria nei campi trionfali dell’eterno Re, quando la risurrezione, preparata ai cultori di Dio, ti investirà per innalzarti alla società del regno celeste.
Dilettissimi, fiduciosi in così grande aspettativa, rimanete stabili nella fede in cui siete stati fondati. Non sia mai che il tentatore, privato da Cristo della dominazione sopra di voi, vi abbia a sedurre di nuovo con insidie e riesca a profanare con la sua raffinata arte di inganni le gioie stesse del giorno presente. Non sia mai che riesca a illudere gli uomini più semplici con la nefanda persuasione di certuni, ai quali questo giorno della nostra solennità pare degno di festa non tanto a motivo della nascita di Cristo, quanto per il natale del nuovo sole. Le menti di costoro sono avvolte in dense tenebre e sono ben lontane dal far progressi nella vera luce. Si trascinano dietro i pazzeschi errori dei gentili, e perché sono incapaci di sollevare l’attenzione della mente sopra ciò che si vede con sguardo carnale, rendono culto divino agli astri, i quali non sono altro che i servi del mondo.
Sia lontana dagli uomini cristiani tale sacrilega superstizione e mostruosa menzogna. Le cose temporali distano oltre ogni dire da colui che è eterno, le cose corporee da colui che è incorporeo, le creature suddite da colui che le governa: tutte queste cose hanno bensì bellezza, che suscita ammirazione, ma non hanno in sé stesse la divinità che si possa adorare. Bisogna, dunque, rendere onore a quella potenza, sapienza, maestà che ha creato dal nulla l’universo e che ha generato con onnipotente parola le cose terrene e le cose celesti in quelle forme e misura che a lui è piaciuto. Il sole, la luna, le stelle sono utili a noi, che ce ne serviamo e appaiono leggiadre quando le rimiriamo. Di esse si deve rendere grazie al Creatore: si deve adorare Dio che le ha create, non le creature che lo servono.
Dunque, dilettissimi, lodate Dio in tutte le sue opere e disposizioni. Abbiate una fede perfetta nella verginale integrità e nel parto della Vergine. Onorate il sacro e divino mistero della redenzione umana, prestando a Dio un servizio santo e sincero. Accogliete Cristo che nasce nella nostra carne, affinché meritiate di contemplarlo qual Dio della gloria nel regno della sua maestà: egli che col Padre e lo Spirito santo rimane nella unità della divinità nei secoli dei secoli.
Amen.
San Leone Magno: Primo discorso tenuto nel Natale del Signore
PRIMO DISCORSOTENUTO NEL NATALE DEL SIGNORE
San Leone Magno, Papa di Roma
1. Oggi, dilettissimi, è nato il nostro Salvatore: rallegriamoci! Non è bene che vi sia tristezza nel giorno in cui si celebra il natale della vita, che, avendo distrutto il timore della morte, ci presenta la gioiosa promessa dell’eternità. Nessuno è escluso dal prendere parte a questa gioia, perché il motivo del gaudio è unico e a tutti comune: il nostro Signore, distruttore del peccato e della morte, è venuto per liberare tutti, senza eccezione, non avendo trovato alcuno libero dal peccato.
Esulti il santo, perché si avvicina al premio. Gioisca il peccatore, perché è invitato al perdono. Si rianimi il pagano, perché è chiamato alla vita. Il Figlio di Dio, nella pienezza dei tempi che il disegno divino, profondo e imperscrutabile, aveva prefisso, ha assunto la natura del genere umano per riconciliarla al suo Creatore, affinché il diavolo, autore della morte, fosse sconfitto, mediante la morte con cui prima aveva vinto. In questo duello, combattuto per noi, principio supremo fu la giustizia nella più alta espressione. Il Signore onnipotente, infatti, non nella maestà che gli appartiene, ma nella umiltà nostra ha lottato contro il crudele nemico. Egli ha opposto al nemico la nostra stessa condizione, la nostra stessa natura, che in lui era bensì partecipe della nostra mortalità, ma esente da qualsiasi peccato.
È estraneo da questa nascita quel che vale per tutti gli altri: «Nessuno è mondo da colpa, neppure il fanciullo che ha un sol giorno di vita». Nulla della concupiscenza della carne è stato trasmesso in questa singolare nascita; niente è derivato ad essa dalla legge del peccato. È scelta una vergine regale, appartenente alla famiglia di David, che, destinata a portare in seno tale santa prole, concepisce il figlio, Uomo-Dio, prima con la mente che col corpo. E perché, ignara del consiglio superno, non si spaventi per una inaspettata gravidanza, apprende dal colloquio con l’angelo quel che lo Spirito Santo deve operare in lei. Ella non crede che sia offesa al pudore il diventare quanto prima genitrice di Dio. Colei a cui è promessa la fecondità per opera dell’Altissimo, come potrebbe dubitare del nuovo modo di concepire? La sua fede, già perfetta, è rafforzata con l’attestazione di un precedente miracolo: una insperata fecondità è data a Elisabetta, perché non si dubiti che darà figliolanza alla Vergine chi già ha concesso alla sterile di poter concepire.
2. Dunque il Verbo di Dio, Dio egli stesso e Figlio di Dio, che «era in principio presso Dio, per mezzo del quale tutto è stato fatto e senza del quale neppure una delle cose create è stata fatta», per liberare l’uomo dalla morte eterna si è fatto uomo. Egli si è abbassato ad assumere la nostra umile condizione senza diminuire la sua maestà. È rimasto quel che era e ha preso ciò che non era, unendo la reale natura di servo a quella natura per la quale è uguale al Padre. Ha congiunto ambedue le nature in modo tate che la glorificazione non ha assorbito la natura inferiore, né l’assunzione ha sminuito la natura superiore. Perciò le proprietà dell’una e dell’altra natura sono rimaste integre, benché convergano in un’unica persona. In questa maniera l’umiltà viene accolta dalla maestà, la debolezza dalla potenza, la mortalità dalla eternità. Per pagare il debito, proprio della nostra condizione, la natura inviolabile si è unita alla natura che è soggetta ai patimenti, il vero Dio si è congiunto in modo armonioso al vero uomo. Or questo era necessario alle nostre infermità, perché avvenisse che l’unico e identico Mediatore di Dio e degli uomini da una parte potesse morire e dall’altra potesse risorgere. Pertanto si deve affermare che a ragione il parto del Salvatore non corruppe in alcun modo la verginale integrità; anzi il dare alla luce la Verità fu la salvaguardia del suo pudore. Tale natività, dilettissimi, si addiceva a Cristo, «virtù di Dio e sapienza di Dio»; con essa egli è uguale a noi quanto all’umanità, è superiore a noi quanto alla divinità. Se non fosse vero Dio non porterebbe la salvezza, se non fosse vero uomo non ci sarebbe di esempio. Perciò dagli angeli esultanti si canta nella nascita del Signore: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli» e viene annunciata «la pace in terra agli uomini di buona volontà». Essi, infatti, comprendono che la celeste Gerusalemme sta per essere formata da tutte le genti del mondo. Or quanto gli umili uomini devono rallegrarsi per quest’opera ineffabile della divina misericordia, se gli angeli eccelsi tanto ne godono?
3. Pertanto, dilettissimi, rendiamo grazie a Dio Padre mediante il suo Figlio nello Spirito Santo, poiché la sua grande misericordia, con cui ci ha amato, ha avuto di noi pietà. «Quando ancora noi eravamo morti a causa dei nostri peccati, ci ha vivificati con Cristo» per essere in lui una nuova creatura e una nuova opera. Dunque spogliamoci del vecchio uomo e dei suoi atti. Ora che abbiamo ottenuto la partecipazione alla generazione di Cristo, rinunciamo alle opere della carne. Riconosci, o cristiano, la tua dignità, e, reso consorte della natura divina, non voler tornare con una vita indegna all’antica bassezza. Ricorda di quale capo e di quale corpo sei membro. Ripensa che, liberato dalla potestà delle tenebre, sei stato trasportato nella luce e nel regno di Dio. Per il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito santo: non scacciare da te con azioni cattive un sì nobile ospite e non ti sottomettere di nuovo alla schiavitù del diavolo; perché il prezzo del tuo riscatto è il sangue di Cristo, e perché ti giudicherà secondo verità colui che ti ha redento nella misericordia, Cristo Signore nostro.
Amen.
NATALE
Piccola filocalia di scritti sull’Incarnazione del nostro Signore Gesù Cristo
Fratelli, ora contempliamo un mistero grande e meraviglioso. Pastori con grida di gioia si fanno avanti come messaggeri per i figli dell’umanità, non sui loro pascoli collinari con le loro greggi a conversare e non nei campi con le loro pecore che si divertono, ma piuttosto nella città di Davide, Betlemme, scandendo canti spirituali. Nei cieli cantano gli Angeli, proclamando inni; i celesti Cherubini e Serafini cantano lodi alla gloria di Dio: “Santo, Santo, Santo…”. Tutti insieme celebrano questa festa gioiosa, vedendo Dio sulla terra e l’umanità della terra in mezzo ai cieli.
Per divina provvidenza ciò che era in basso è stato elevato in alto, e l’Altissimo, per l’amore di Dio per gli uomini, si è chinato all’estremo, per cui l’Altissimo, per la sua umiltà, “è esaltato per mezzo dell’umiltà”. In questo giorno di grande festa, Betlemme è diventata simile al cielo, prendendo posto tra le stelle scintillanti ci sono Angeli che cantano il gloria e prendendo il posto del sole visibile – è l’indefinibile e incommensurabile Sole della Verità, che ha fatto esistere tutte le cose. Ma chi oserebbe indagare su un così grande mistero? “Dove Dio lo vuole, lì si capovolge l’ordine della natura”, e le leggi non possono impedirlo. E così, ciò che era impossibile per l’umanità da intraprendere, Dio lo ha fatto ed è sceso, facendolo per la salvezza dell’umanità, poiché nella volontà di Dio questa è la vita per tutta l’umanità.
In questo giorno gioioso, Dio è venuto per nascere; in questo grande giorno dell’avvento, Dio è diventato ciò che non era: essendo Dio, è diventato Uomo, per così dire, come se fosse stato rimosso dalla Divinità (sebbene la Sua Natura Divina non sia stata spogliata); fatto uomo, è rimasto Dio. Perciò, sebbene egli crescesse e fiorisse, tuttavia non fu come per un potere umano raggiungere la Divinità, né per alcuna capacità umana di essere fatto Dio; ma piuttosto come il Verbo, per miracolosa sofferenza, in cui si è incarnato e manifestato non essendo trasformato, non essendo fatto altro, non privato di quella natura divina che possedeva prima. In Giudea nasce il nuovo Re; ma questa nuova e meravigliosa natività che i gentili pagani sono giunti a credere, l’ebreo l’ha evitata. I farisei comprendevano in modo errato la Legge e i profeti. Quello che in esso era contraddittorio per loro, l’hanno spiegato erroneamente. Anche Erode si sforzò di conoscere questa nuova nascita, piena di mistero, eppure Erode lo fece non per riverire il re appena nato, ma per ucciderlo.
Colui che abbandonò gli angeli, gli arcangeli, i troni, i domini e tutti gli spiriti costanti e luminosi, solo lui che ha percorso un nuovo sentiero, esce da un inviolato grembo verginale di seme. Il Creatore di tutto viene per illuminare il mondo, non lasciando orfani i suoi angeli, e si manifesta anche come Uomo, uscito da Dio.
E io, sebbene io non veda nel Nuovo Nato né trombe (né altri strumenti musicali), né spada, né ornamenti corporei, né lampadari né lampade da cammino, e vedendo il coro di Cristo composto da coloro che sono umili di nascita e senza influenza, mi sembra persuadermi a lodarlo. Vedo animali muti e cori di giovani, come una specie di tromba, risonante di canto, come se prendesse il posto delle lampade e come risplendesse sul Signore. Ma cosa dirò di ciò che illuminano le lampade? Egli è la Speranza stessa e la Vita stessa, è la stessa Salvezza, la stessa Beatitudine, il punto focale del Regno dei Cieli. Egli stesso viene portato come offerta, perché traspaia in potenza l’annuncio degli Angeli celesti: “Gloria a Dio nell’Altissimo”, e con i pastori di Betlemme sia pronunciato il canto gioioso: ” La prima nascita è inspiegabile e la seconda è insospettabile; la prima nascita fu senza travaglio e la seconda fu senza impurità … Sappiamo, che ora è nato dalla Vergine, e crediamo, che è Lui, nato dal Padre prima di tutti i tempi. Ma che tipo di nascita fosse non vorremmo sperare di spiegarlo. Né con le parole tenterei di parlarne, né con il pensiero oserei avvicinarlo, poiché la natura divina non è soggetta all’osservazione, né avvicinabile al pensiero, né contenibile dall’infelice ragionamento. L’unico bisogno è credere nella potenza delle Sue opere. Le leggi della natura corporea sono evidenti: una donna sposata concepisce e partorisce un figlio secondo lo scopo del matrimonio; ma quando la Vergine non sposata partorisce miracolosamente il figlio, e dopo la nascita rimane Vergine, — allora è la natura corporea manifesta e superiore. Possiamo comprendere ciò che esiste secondo le leggi della natura corporea, ma di fronte a ciò che è al di là delle leggi della natura, rimaniamo in silenzio, non per paura, ma soprattutto per la fallibilità causata dal peccato. Dobbiamo necessariamente tacere, in silenziosa quiete per venerare la virtù con degna riverenza e, non oltrepassando i limiti (della parola), per ricevere i doni celesti.
Che dire e che cosa proclamare? Per parlare di più della Vergine che genera? Per deliberare di più sulla nascita miracolosa? Non ci si può che stupire, nel contemplare la nascita miracolosa, poiché essa capovolge le leggi ordinarie e l’ordine della natura e delle cose. Delle opere mirabili (di Dio) si potrebbe dire in breve, che sono più mirabili delle opere della natura, poiché nella natura nulla genera se stesso per volontà propria, sebbene vi sia la libertà di essa: meravigliose quindi sono tutte le opere del Signore, che le ha fatte esistere. Oh mistero immacolato e inspiegabile! Colui che prima della stessa creazione del mondo era l’Unigenito, Senza Paragone, Semplice, Incorporeo, si è incarnato e discende (nel mondo), vestito di un corpo corruttibile, affinché sia visibile a tutti. Perché se non fosse visibile, allora in che modo ci insegnerebbe a osservare i suoi precetti e come ci condurrebbe alla realtà invisibile? Fu per questo dunque che si fece apertamente visibile, per condurre quelli del mondo visibile all’invisibile.
Tanto più le persone ritengono che la loro vista sia un testimone più credibile che un semplice sentito dire; si fidano di ciò che vedono e dubitano di ciò che non vedono. Dio ha voluto essere visibile nel corpo, per risolvere e dissipare i dubbi. Volle nascere dalla Vergine, non iniziare da Lei qualcosa di superfluo e in cui la Vergine non conosceva le ragioni della cosa, ma il mistero della Sua nascita è un atto di bontà immacolato, in cui la Vergine stessa chiese a Gabriele: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Lc 1, 34), alla quale domanda Ella riceve in risposta: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra» (Lc 1,35). Ma in che modo il Verbo, che era Dio, uscì dunque dalla Vergine? Questa… è una meraviglia inspiegabile. Proprio come un orafo, ottenuto il metallo, ne fa una cosa adatta all’uso, così fece anche Cristo: trovando la Vergine senza macchia sia nello spirito che nel corpo, assunse da lei un corpo conformato allo spirito, conforme ai suoi intenti, e vi si rivestì, come in un vestito. In questo mirabile giorno della Natività, il Verbo non ebbe né paura né vergogna di uscire dal grembo verginale, né giudicò indegno di sé assumere la carne dalla sua creazione, perché la creazione, fatta la veste del Creatore, dovesse essere stimata degna di gloria, e così che la misericordia dovrebbe essere resa nota quando si è rivelata, nel modo in cui Dio è disceso per la sua bontà. Come sarebbe impossibile che un vaso di creta appaia prima che sia creta nelle mani del vasaio, così parimente sarebbe impossibile che il vaso corruttibile (della natura umana) si rinnovi altrimenti, per farne l’abito del Creatore, che ne è rivestito.
Che altro dire, cosa devo ancora esporre? Le nuove meraviglie mi colpiscono con soggezione. L’Antico dei Giorni si è fatto Bambino, per rendere gli uomini figli di Dio. Seduto in gloria nei Cieli, a causa del Suo amore per l’umanità, Egli ora giace in una mangiatoia di bestie mute.
L’Inappassionato, l’Incorporeo, l’Incomprensibile è preso dalle mani dell’uomo, per espiare la violenza dei peccatori e degli iniqui e liberarli dalla loro schiavitù, per essere avvolto in fasce ed essere nutrito sulle ginocchia della Donna, affinché la vergogna sia trasformata in onore, l’empietà essere condotta alla gloria, e al posto delle spine una corona. Egli ha preso il mio corpo, in modo che io sia reso capace di avere in me il Suo Spirito – Egli si è appropriato (la mia natura), vestendosi del mio corpo, e mi dà il Suo Spirito, così che io, dando e ricevendo a sua volta, cosa devo dire e cosa proclamare? “Ecco, una Vergine nel grembo concepirà e partorirà un figlio, e lo chiameranno Emmanuele, che significa: Dio è con noi” (Mt 1,23). Il detto qui non tratta di qualcosa per il futuro di cui potremmo imparare a sperare, ma piuttosto ci parla di qualcosa che è già accaduto e ci riempie di stupore per qualcosa che è già stato realizzato. Ciò che prima era detto agli ebrei e si è adempiuto in mezzo a loro, ora è così realizzato in mezzo a noi come un avvenimento, di cui abbiamo ricevuto (questa profezia), e l’abbiamo adottata, e abbiamo creduto in essa. Il profeta dice agli ebrei: «Ecco, una vergine concepirà» (Is 7,14); per i cristiani, invece, il detto spetta al compimento dell’atto effettivo, l’intero tesoro dell’evento reale. In Giudea una Vergine ha partorito, ma tutte le terre del mondo hanno accolto Suo Figlio. Là era la radice della vite; qui, la vite della verità. I Giudei hanno spremuto il torchio e i Gentili hanno gustato il Sangue sacramentale; quegli altri hanno piantato il chicco di grano, e questi prosperano grazie alla mietitura della fede. I Giudei sono stati trafitti dalle spine, i Gentili sono saziati dalla messe; quegli altri sedevano sotto l’albero della desolazione, e questi – sotto l’albero della vita; quelli esponevano i precetti della Legge, ma i Gentili raccolgono i frutti spirituali. La Vergine ha partorito non Se stessa da Se stessa, ma come ha voluto Lui avendo bisogno di nascere. Dio non ha agito in modo corporeo, Dio non si è subordinato alla legge della carne, ma il Signore della natura corporea si è manifestato per apparire nel mondo con una nascita miracolosa, per rivelare la sua potenza e mostrare che essendosi fatto uomo, è nato non come un semplice uomo, che Dio si è fatto uomo, poiché per la sua volontà nulla è difficile.
Nel presente grande giorno Egli è nato dalla Vergine, avendo superato l’ordine naturale delle cose. È superiore al matrimonio e libero da contaminazione. Bastava che Egli, maestro di purezza, risplendesse gloriosamente, per emergere da un grembo puro e immacolato. Poiché Egli è Quello stesso, che nel principio creò Adamo dal suolo vergine, e da Adamo senza matrimonio gli generò sua moglie Eva. E come Adamo era senza moglie prima di averne una e la prima donna fu allora messa al mondo, così anche oggi la Vergine senza uomo partorisce Colui del quale parlò il profeta: “Egli è Uomo, chi è che lo conosce?” L’Uomo Cristo, chiaramente visto dall’umanità, nato da Dio, è tale che occorreva il genere femminile per perfezionare quello del genere umano, affinché nascesse perfettamente uomo da donna.
Perciò la Vergine, senza convivenza con l’uomo, partorì Dio Verbo, fatto Uomo, sicché in egual misura fu per lo stesso miracolo conferito eguale onore all’una e all’altra metà, uomo e donna. E come da Adamo fu tolta la donna senza che essa diminuisse, così anche dalla Vergine fu tolto il corpo (Nato da lei), nel quale anche la Vergine non subì diminuzioni e la sua verginità non subì danno. Adamo dimorava sano e salvo, quando gli fu tolta la costola: e così senza macchia dimorò la Vergine, quando da Lei fu generato Dio il Verbo. Per questo motivo, in particolare, la parola ha assunto dalla Vergine la sua carne e il suo vestito (corporeo), in modo che non fosse considerato innocente del peccato di Adamo. Poiché l’uomo, colpito dal peccato, era divenuto vaso e strumento del male, Cristo prese su di Sé questo ricettacolo del peccato nella Sua stessa carne affinché, essendo il Creatore unito al corpo, questo fosse così liberato dalla sozzura del nemico e l’uomo fosse così rivestito di un corpo eterno, che non perirà né sarà distrutto per tutta l’eternità. Inoltre, Colui che è diventato il Dio-Uomo nasce, non come ordinariamente nasce l’uomo, nasce come Dio fatto uomo, manifestando ciò per la sua stessa potenza divina, poiché se fosse nato secondo le leggi generali della natura, la Parola sarebbe sembrata come qualcosa di imperfetto. Quindi, nacque dalla Vergine e risplendette; perciò, essendo nato, conservò indenne il grembo verginale, affinché il modo finora inaudito della Natività fosse per noi segno di grande mistero.
Cristo è Dio? Cristo è Dio per natura, ma non per ordine della natura si è fatto uomo. Così dichiariamo e crediamo in verità, chiamando a testimoniare il sigillo della verginità intatta: come Onnipotente Creatore del grembo e della verginità, scelse una modalità di nascita indecorosa e si fece Uomo, come volle.
In questo grande giorno, ora celebrato, Dio è apparso come Uomo, come Pastore della nazione d’Israele, che ha ravvivato tutto l’universo con la sua bontà. O cari guerrieri, campioni gloriosi dell’umanità, che avete predicato Betlemme come luogo della Teofania e della Natività del Figlio di Dio, che avete fatto conoscere a tutto il mondo il Signore di tutti, giacendo in una mangiatoia, e avete indicato Dio contenuto in una stretta caverna!
E così, ora glorifichiamo con gioia una festa degli anni. Come quindi le leggi delle feste sono nuove, così ora anche le leggi della nascita sono meravigliose. In questo grande giorno ora celebrato, di catene frantumate, di Satana svergognato, di tutti i demoni in fuga, la morte che tutto distrugge è sostituita dalla vita, il paradiso è aperto al ladro, le maledizioni si trasformano in benedizioni, tutti i peccati sono perdonati e il male bandito , la verità è venuta, e hanno proclamato notizie piene di riverenza e amore per Dio, i tratti puri e immacolati sono impiantati, la virtù è esaltata sulla terra, gli angeli sono venuti insieme alle persone e le persone hanno il coraggio di conversare con gli angeli. Da dove e perché è successo tutto questo? Da questo, che Dio è disceso nel mondo ed ha esaltato l’umanità al Cielo.
Si compie una certa trasposizione di tutto: Dio che è perfetto è disceso sulla terra, sebbene per natura rimanga interamente nei cieli, anche nel momento in cui nella sua interezza si trova sulla terra. Egli era Dio e si fece Uomo, non negando la sua Divinità: non si fece Dio, poiché tale fu sempre per sua stessa natura, ma si fece carne, perché fosse visibile a tutto ciò che è corporeo. Colui, che nemmeno gli abitanti del cielo possono guardare, scelse come sua abitazione una mangiatoia, e quando venne, tutto intorno a lui divenne silenzioso. E per nient’altro giaceva nella mangiatoia, se non per questo, che nel dare il nutrimento a tutti, avrebbe dovuto per sé estrarre il nutrimento dei bambini dal seno materno e con questo benedire il matrimonio.
In questo grande giorno le persone, lasciando le loro faccende ardue e serie, si fanno avanti per la gloria del Cielo, e apprendono dal luccichio delle stelle che il Signore è disceso sulla terra per salvare la Sua creazione. Il Signore, seduto sopra una nuvola veloce, entrerà in Egitto in carne e ossa (Is 19,1), visibile fuggendo da Erode, proprio in quel gesto che ispira il detto di Isaia: «In quel giorno Israele sarà terzo tra gli Egiziani” (Is 19,24).
La gente entrava nella Grotta, senza pensarci prima, ed essa divenne per loro un tempio sacro. Dio è entrato in Egitto, nel luogo dell’antica tristezza per portare la gioia, e nel luogo dell’oscurità oscura per diffondere la luce della salvezza. Le acque del Nilo erano diventate contaminate e dannose dopo che i bambini vi erano morti con morte prematura. Apparve in Egitto Colui che un tempo trasformò l’acqua in sangue e che in seguito trasformò queste acque in sorgenti d’acqua di rinascita, mediante la grazia dello Spirito Santo che purificava i peccati e le trasgressioni. Il castigo una volta colpì gli egiziani, poiché nei loro errori sfidarono Dio. Ma ora Gesù è venuto in Egitto e ha seminato in esso il rispetto per Dio, così che, rigettando dall’anima egiziana i suoi errori, si sono resi amici di Dio.
Per non dilungarci troppo nel discorso e per concludere brevemente quanto detto, domandiamo: in che modo il Verbo impassibile si è fatto carne e si è reso visibile, dimorando immutabile nella sua natura divina? Ma cosa devo dire e cosa dichiarare? Vedo il falegname e la mangiatoia, l’Infante e la Vergine partoritrice, abbandonati da tutti, appesantiti dalla fatica e dal bisogno. Ecco a quale grado di umiliazione è disceso il grande Dio. Per noi «povero, che era ricco» (2 Cor 8,9): fu messo in pessime fasce, non su un morbido letto. O povertà, fonte di ogni esaltazione! O miseria, che riveli tutti i tesori! Egli appare ai poveri e arricchisce i poveri; Egli giace in una mangiatoia per animali e con la sua parola mette in moto tutto il mondo.
Cosa dovrei ancora dire e proclamare? Vedo il Bambino, in fasce e adagiato nella mangiatoia; Maria, la Vergine Madre, le sta davanti insieme a Giuseppe, detto Suo Sposo. Egli è chiamato Suo marito, e Lei sua moglie, di nome ma così e apparentemente sposata, anche se in realtà non erano coniugi, era promessa sposa di Giuseppe, ma lo Spirito Santo discese su di lei, così come dice il santo evangelista: “Lo Spirito Santo verrà su di te, e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra: e Colui che nascerà è Santo”. (Lc 1,35) ed è del seme del Cielo. Giuseppe non osò parlare in opposizione, e il giusto non volle rimproverare la Santa Vergine; non volle credere ad alcun sospetto di peccato né pronunciare contro la Santa Vergine parole di calunnia; ma il Figlio che doveva nascere non volle riconoscerlo come suo, poiché sapeva, che Egli non era suo. E sebbene fosse perplesso e avesse dubbi su chi dovesse essere un tale bambino e ci meditasse sopra, ebbe allora una visione celeste, gli apparve un angelo e lo incoraggiò con le parole: “Non temere, Giuseppe, figlio di Davide; Colui che nascerà da Maria è chiamato Santo e Figlio di Dio”; cioè: “lo Spirito Santo scenderà sulla Vergine Immacolata e la potenza dell’Altissimo la coprirà con la sua ombra” (Mt 1,20-21; Lc 1,35).
Veramente doveva nascere dalla Vergine, conservando indenne la sua verginità. Proprio come la prima vergine era caduta, attirata da Satana, così ora Gabriele porta nuove notizie alla Vergine Maria, in modo che una vergine acconsentisse ad essere la Vergine, e alla Natività – per nascita. Sedotta dalle tentazioni, Eva una volta pronunciò parole di rovina; Maria, a sua volta, accogliendo la novella, ha partorito il Verbo incorporeo e vivificante. Per le parole di Eva, Adamo fu scacciato dal paradiso; il Verbo, nato dalla Vergine, rivelò la Croce, mediante la quale il ladrone entrò nel paradiso di Adamo. Sebbene né i gentili pagani, né i giudei, né i sommi sacerdoti credessero che da Dio potesse nascere un Figlio senza travaglio e senza uomo, ora è così ed è nato nel corpo, capace di sopportare le sofferenze, mentre conservava inviolato il corpo della Vergine.
Così ha manifestato la sua onnipotenza, nato dalla Vergine, conservando intatta la verginità della Vergine, ed è nato da Dio senza complicazioni, travagli, male o separazione dall’abbandono dell’immutabile Essenza Divina, nato Dio da Dio. Poiché l’umanità ha abbandonato Dio, in luogo Suo adorava immagini scolpite dagli uomini, il Dio Verbo ha assunto l’immagine dell’uomo, affinché, bandendo l’errore e restaurando la verità, consegnasse all’oblio il culto degli idoli e per esserGli riconosciuto il Divino onore, poiché a lui spetta ogni gloria e onore nei secoli dei secoli.
Amen!
P. John ROMANIDES: DIO E IL MONDO
da: Conoscere nel non conoscere, edizioni Asterios
Relazioni tra Dio e il mondo
Per conoscere il metodo usato dai padri nell’accostarsi al dogma trinitario e cristologico, dovremo esaminare la relazione esistente fra Dio ed il mondo secondo i profeti, gli apostoli e i santi. Nella concezione platonica, il mondo è una copia delle Idee archetipiche immutabili. Concezione, questa, che sant’Agostino ha fatto propria, come, altresì, tutti i teologi francolatini che su di lui si sono basati. Essa ha avuto ripercussioni sull’intero processo di formazione della teologia romanocattolica, la quale si andava via via distanziando dalla linea di pensiero biblica e patristica. Oggi, con le nuove visioni filosofiche tali teorie vacillano ab imis; in particolare, con la comparsa tanto della teoria darwiniana dell'”evoluzione” quanto dalla fìlosofia esistenzialistica e positivistica, l’occidente si trova innanzi a grandi rivolgimenti.
I padri della chiesa, nel fare teologia ovvero nel fondarsi unicamente sulla sacra Scrittura intesa come tradizione, hanno espresso un insegnamento del tutto differente in ordine alla relazione tra Dio e il mondo. Per capire tale insegnamento bisogna conoscere:
a) la differenza fra “creato” e “increato”;
b) la distinzione fra “essenza” ed “atto” in Dio;
c) l’insegnamento dei padri riguardo al mondo.
2. Distinzione tra “creato” e “increato”. Come la conosciamo? A partire da dove?
Vi è differenza fra “creato” e “increato”1. La qualifica di “creato” è attribuita alle creature, mentre quella di “increato” a Dio. Tale distinzione è stata operata non solo dai padri della chiesa, ma dagli eretici stessi, quali Ario e compagni. Si tratta di una
distinzione basilare, perché, in quanto creatura, l’uomo non può conoscere il creatore, cioè Dio, che è “increato”. Il tentativo dell’uomo di conoscere Dio mediante il proprio intelletto creato sfocia nell’idolatria. Questa distinzione, tuttavia, ingenera la domanda: Come può, quindi, l’uomo conoscere Dio? La risposta, nel nostro caso, verrà data dalla distinzione, in Dio, fra “essenza” ed “atto”‘.
3. Distinzione fra “essenza” ed “atto” in Dio
È noto che l’essenza di Dio è impartecipabile da parte dell’uomo. I padri, seguendo i profeti, conoscono «Ciò che inerisce all’essenza (tò perì tén ousìan)» ma non l’essenza stessa. La distinzione fra essenza ed atto in Dio è una distinzione non della filosofia ma della rivelazione, ed è presente nella sacra Scrittura e nell’intera tradizione patristica greca e latina.
Gregorio Palamas osserva che Barlaam avrebbe dovuto far propria una tale distinzione, perché Ario medesimo la approvava. In oriente, soltanto gli eunomiani non l’accettavano. Nella teologia francolatina questa distinzione non esiste. Sant’Agostino stesso non pare ammetterla”. Parlando della processione dello
Spirito santo, egli fa una confusione evidente fra essenza ed atto in Dio. L’identificazione di essenza e di atto che riscontriamo in occidente ha condotto i teologi di quell’area a esprimere il pensiero che Dio è “atto puro”. L’espressione del suddetto pensiero si deve anche agli altri presupposti filosofici di Agostino: la sua convinzione, ad esempio, circa la conoscibilità dell’essenza divina.
La distinzione, tuttavia, fra essenza ed atto in Dio ci aiuta a comprendere la creazione del mondo dal nulla. I filosofi aristotelici di Antiochia, che si opponevano alla nozione cristiana della “perfezione” di Dio, avanzavano i seguenti argomenti contro il dogma cristiano della creazione dal nulla. Dio, prima della creazione, deve essere stato “in potenza” creatore e, al momento della creazione, deve essere diventato “in atto” creatore. Dio è quindi mutabile e, conseguentemente, “imperfetto”, diventando gli “perfetto” attraverso la creazione. Tale argomentazione viene confutata da alcuni scritti attribuiti a Giustino martire, nei quali si dice che Dio non ha creato il mondo per essenza ma per atto. L’essenza e l’atto non si identificano, ma si distinguono. Ciò significa che Dio crea ciò che vuole, quando vuole, senza intaccare la sua essenza, perché essa rimane intatta e immutabile. La decisione, pertanto, di Dio in ordine
alla creazione del mondo non è riferibile all’essenza di Dio ma alla sua volontà. E il fatto che avvenga per volontà significa che Dio non ha con il mondo una relazione per necessità. Né egli passa dall’”essere in potenza” all”‘essere in atto”, dato che Dio non crea il mondo per essenza, ma per atto e per volontà. Le relazioni, quindi, di Dio con il mondo sono relazioni non per essenza ma relazioni per atto. Tali atti, poi, di Dio sono increati, in quanto potenze naturali ed eterne di Dio. Di conseguenza, Dio comunica con il creato unicamente mediante gli atti increati e fa lo stesso con l’uomo. Ciò che dunque hanno visto i profeti, Mosè, gli apostoli e i santi della chiesa non è l’essenza di Dio, ma la gloria increata, l’atto naturale increato, la grazia increata e il Suo regno increato. A tale proposito sant’Agostino – già lo abbiamo detto – era di avviso diverso. Come è noto, egli è stato condotto al battesimo dall’idea del credo ut intellegam (“credo per capire”), pensando che, dopo il battesimo, con l’aiuto dell’intelletto, avrebbe potuto comprendere i dogmi della fede, spiegarli con la facoltà razionale e conoscere l’essenza di Dio. L’insegnamento patristico, tuttavia, su questo punto è diverso. Il catecumeno riceve, con il battesimo, la caparra dello Spirito. Al battesimo seguono le nozze, con il cammino di progressiva ascesa verso la perfezione e con la partecipazione alla grazia di Dio, che è increata, come pure agli altri atti che ineriscono a Dio. In tal modo, secondo l’insegnamento della chiesa, l’uomo è deificato e diventa amico di Dio per grazia divina e per atto divino, e non partecipando all’essenza divina, fatto, questo, che porterebbe al panteismo, come ognuno può facilmente intendere. La distinzione, pertanto, fra essenza ed atto in Dio;
la partecipazione dell’uomo agli atti increati di Dio e la sua divinizzazione; la relazione di Dio con le creature mediante gli atti increati: costituiscono dottrine basilari della nostra chiesa.
4. Descrizione generale dell’insegnamento della chiesa sul mondo
Da quanto si è detto fin qui si capisce che il mondo attuale non è una copia di un altro mondo, ma è unico. La sua concezione e la sua creazione hanno a che vedere con l’atto di Dio. Dio, cioè, ha concepito il mondo per atto o per volontà; egli non possiede idee, quali figure o altre forme e specie, nel proprio intelletto. Quest’unico mondo è il mondo in sé stesso perfetto, in un processo di perfezione … L’uomo è stato creato relativamente perfetto, per attingere la perfezione; egli ne attraversa gli stadi: è, cioè, perfetto come un neonato, come un bambino, come un adolescente, ecc. Proviene, inoltre, dal nulla e non da Dio, ma per volontà di Dio. Scopo della creazione del mondo, secondo alcuni padri, è l’incarnazione, che non dipende dalla caduta ma costituisce parte del piano della creazione del mondo. Altri padri vedono nella caduta la causa dell’incarnazione. Movente, poi, della creazione è l’amore di Dio, amore che «non cerca il proprio interesse» (1Cor 13, 5).
L’uomo è creato da Dio, secondo i padri, come un fanciullo, ovvero come perfetto in potenza, con la possibilità di svilupparsi e di perfezionarsi ulteriormente “. La caduta pone nella sua redenzione lo scopo dell’incarnazione. Agostino qui ha una visione differente. L’uomo, dice, è stato creato da Dio perfetto sotto ogni aspetto. Il mondo si distingue in materiale e spirituale. Quello spirituale è costituito dagli angeli, i quali non erano per natura immortali”, ma lo sono diventati attraverso l’ascesa spirituale alla perfezione, come lo diventano gli uomini. Quando parliamo di immortalità, intendiamo la divinizzazione. Il mondo, dunque, è l’effetto degli atti increati di Dio e non della sua essenza; e la relazione di Dio con il mondo è una relazione per atto e non una relazione per essenza.
P. George Metallinos: Il cristianesimo non è una religione!
Protopresbitero George Metallinos
Preside della Scuola di Teologia dell’Università di Atene
P. George è nato sull’isola di Corfù, nel nord-ovest della Grecia, nel 1940. Lì ha completato gli studi secondari prima di frequentare l’Università di Atene. Si è laureato all’Università di Atene, dopo aver conseguito una laurea in Teologia nel 1962 e poi un’altra in Lettere Classiche nel 1967.
Dopo aver conseguito la laurea nel 1967, George è diventato assistente di ricerca presso il Dipartimento di Patrologia dell’università. Nel 1969 si stabilisce nella Germania occidentale e inizia gli studi post-laurea. Durante questo periodo ha frequentato le scuole di Bonn e Colonia e ha anche condotto studi e ricerche d’archivio in Inghilterra. Nel 1971 è stato ordinato sacerdote e ha conseguito un dottorato in teologia presso l’Università di Atene e un dottorato in filosofia e storia presso l’Università di Colonia.
Nel 1984, il dottor Metallinos è diventato professore presso la Scuola di Teologia dell’Università di Atene, dove ha insegnato Storia della spiritualità durante il periodo post-bizantino, Storia e teologia del culto e Storia bizantina. Nel 2004 è stato nominato Preside della Facoltà di Teologia, carica in cui ha servito fino al 2007 quando è diventato professore emerito.
Metallinos è considerato uno dei più importanti teologi della Chiesa ortodossa greca e ha scritto circa quaranta volumi di argomento teologico e storico, diversi dei quali sono stati tradotti in altre lingue.
Se volessimo definire convenzionalmente il cristianesimo, come Ortodossia, diremmo che è l’esperienza della presenza dell’Increato (=di Dio) nel corso della storia, e il potenziale della creazione (=umanità) che diventa Dio “per grazia”.
Data la presenza perpetua di Dio in Cristo, nella realtà storica, il cristianesimo offre all’uomo la possibilità della theosis (divinizzazione, glorificazione), così come la scienza medica offre all’uomo la possibilità di preservare o ristabilire la propria salute attraverso una specifica procedura terapeutica e uno specifico modo di vivere.
Chi scrive è in grado di apprezzare la coincidenza tra le scienze mediche ed ecclesiastiche, perché, in quanto diabetico e cristiano, è consapevole che in entrambi i casi deve attenersi fedelmente alle regole che sono state stabilite, per raggiungere entrambi questi due obiettivi.
Lo scopo unico e assoluto della vita in Cristo è la theosis, cioè la nostra unione con Dio, affinché l’uomo – attraverso la sua partecipazione all’energia increata di Dio – diventi “per grazia di Dio” ciò che Dio è per natura (= senza inizio e senza fine). Questo è ciò che significa “salvezza”, nel cristianesimo. Non è il miglioramento morale dell’uomo, ma una ricreazione, una ricostruzione in Cristo, dell’uomo e della società, attraverso un rapporto esistente ed esistenziale con Cristo, che è la manifestazione incarnata di Dio nella Storia. Questo è ciò che implicano le parole dell’apostolo Paolo, in 2 Cor 5,17: «Se uno è in Cristo, è una nuova creazione». Chi è unito a Cristo è una nuova creazione.
Ecco perché – cristianamente – l’incarnazione del Dio-Logos – questa “intrusione” redentrice del Dio Eterno e dell’Aldilà nel tempo Storico – rappresenta l’inizio di un nuovo mondo, di una (letteralmente) “New Age”, che continua nel corso dei secoli, nelle persone dei cristiani autentici: i Santi. La Chiesa esiste in questo mondo, sia come “corpo di Cristo” sia come “in Cristo”, per offrire la salvezza, attraverso la propria incarnazione in questo procedimento rigenerativo. Questo compito redentore della Chiesa è adempiuto per mezzo di un metodo terapeutico specifico, per cui nel corso della storia la Chiesa agisce essenzialmente come infermeria universale. “Infermeria spirituale” (ospedale spirituale) è la caratterizzazione data alla Chiesa dal beato Crisostomo (†407).
Più avanti, esamineremo le risposte date alle seguenti domande:
Qual è la malattia che cura l’ortodossia cristiana?
Qual è il metodo terapeutico che implementa?
Qual è l’identità del cristianesimo autentico, che lo separa radicalmente da tutte le sue deviazioni eretiche, e da ogni altra forma di religione?
1. La malattia della natura umana è lo stato decaduto dell’umanità, insieme a tutta la creazione, che pure soffre («sospira e geme» – Rm 8,22) insieme all’uomo. Questa diagnosi vale per ogni singola persona (cristiana o no, credente o no), a motivo dell’unità complessiva dell’umanità (cfr At 17,26). L’ortodossia cristiana non si confina negli stretti confini di una religione che ha cura solo dei propri seguaci – ma, come Dio, «vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla realizzazione della verità» (Timoteo 1,2-4), poiché Dio è «il Salvatore di tutti gli uomini» (Timoteo 1, 4-10). Quindi, la malattia a cui si riferisce il cristianesimo riguarda tutta l’umanità; Romani 5,12: “La morte è caduta su tutti gli uomini, poiché tutti hanno peccato (=hanno deviato dal loro cammino verso la theosis). Proprio come la caduta (cioè la malattia) è una questione panumana, così la terapia della salvezza dipende direttamente dalle funzioni interiori di ogni persona.
Lo stato naturale (autentico) di una persona è (patristicamente) definito dal funzionamento al suo interno di tre sistemi mnemonici; due dei quali sono familiari e monitorati dalla scienza medica, mentre il terzo è qualcosa che viene gestito dalla terapia poetica. Il primo sistema è la memoria cellulare (DNA), che determina tutto all’interno di un organismo umano. Il secondo è la memoria cellulare cerebrale, la funzione cerebrale, che regola la nostra associazione con il nostro sé e il nostro ambiente. Entrambi questi sistemi sono familiari alla scienza medica, il cui compito è di mantenere il loro funzionamento armonioso.
L’esperienza dei Santi è familiare con un altro sistema mnemonico: quello del cuore, o memoria “noetica”, che funziona all’interno del cuore. Nella tradizione ortodossa, il cuore non ha solo un funzionamento naturale, come una semplice pompa che fa circolare il sangue. Inoltre, secondo l’insegnamento patristico, né il cervello né il sistema nervoso centrale sono il centro della nostra autocoscienza; ancora, è il cuore, perché, oltre alla sua funzione naturale, ha anche una funzione soprannaturale. In determinate circostanze, diventa il luogo della nostra comunione con Dio, o la sua energia increata. Questo si percepisce naturalmente attraverso l’esperienza dei Santi, e non attraverso alcuna funzione logica o attraverso una teologizzazione intellettuale.
San Nicodemo del Sacro Monte (†1809), ricapitolando l’intera tradizione patristica nella sua opera “Hortative Manual” (Συμβουλευτικόν Εγχειρίδιον), chiama il cuore un centro naturale e soprannaturale, ma anche un centro paranormale, ogniqualvolta la sua facoltà soprannaturale diventa inattiva a causa del cuore dominato dalle passioni. La facoltà soprannaturale del cuore è il presupposto ultimo per la perfezione, per il compimento dell’uomo, cioè la sua theosis, per una piena incarnazione nella comunione in Cristo. Nella sua facoltà soprannaturale, il cuore diventa lo spazio in cui la mente può essere attivata. Nel codice della terminologia ortodossa, la mente (ΝΟΥΣ – nous – che appare nel Nuovo Testamento come “lo spirito dell’uomo” e “l’occhio dell’anima”) è un’energia dell’anima, per mezzo della quale l’uomo può conoscere Dio e può raggiungere lo stato di ‘vedere’ Dio. Ovviamente dobbiamo chiarire che la “conoscenza” di Dio non implica la conoscenza della sua incomprensibile e inavvicinabile essenza divina. Questa distinzione tra “essenza” ed “energia” in Dio è la differenza cruciale tra l’Ortodossia e tutte le altre versioni del cristianesimo. L’energia della mente all’interno del cuore è chiamata “facoltà noetica” del cuore. Sottolineiamo ancora che secondo l’Ortodossia, la Mente (ΝΟΥΣ) e la Logica (ΛΟΓΙΚΗ) non sono la stessa cosa, perché la logica funziona all’interno del cervello, mentre la mente funziona all’interno del cuore.
La facoltà noetica si manifesta come la “preghiera incessante” (cfr. 1 Ts 5,17) dello Spirito Santo nel cuore (cfr. Gal 4,6, Rm 8,26, 1 Ts 5,19) ed è denominata dai nostri Santi Padri come “la memoria di Dio”. Quando l’uomo ha nel cuore la “memoria di Dio”, in altre parole, quando sente nel cuore “la voce” (Corinzi 14,2; Galati 4,6, ecc.), può sentire Dio che “abita” dentro di lui (Romani 8,11). San Basilio Magno nella sua 2a epistola dice che la memoria di Dio rimane incessante quando non è interrotta dalle preoccupazioni mondane, e la mente “si allontana” verso Dio; in altre parole, quando è in comunione con Dio. Ma questo non significa che il fedele che è stato attivato da questa energia divina si sottrae ai bisogni della vita quotidiana, rimanendo immobile o in una sorta di estasi; significa che la sua Mente è liberata da queste preoccupazioni, che sono elementi che preoccupano solo la sua Logica. Per usare un esempio a cui possiamo riferirci: uno scienziato, che ha riacquistato la sua facoltà noetica, userà la sua logica per affrontare i suoi problemi, mentre la sua mente nel suo cuore conserverà incessantemente la memoria di Dio. La persona che conserva tutti e tre i sistemi mnemonici è il Santo. Per l’Ortodossia è una persona sana (normale). Per questo la terapia dell’Ortodossia è legata al cammino dell’uomo verso la santità.
La non funzione o la funzione al di sotto della media della facoltà noetica dell’uomo è l’essenza della sua caduta. Il tanto dibattuto “peccato ancestrale” è stato proprio il cattivo utilizzo da parte dell’uomo – da quel primissimo momento della sua presenza storica – della conservazione della memoria di Dio (= sua comunione con Dio) nel suo cuore. Questo è lo stato morboso a cui partecipano tutti i discendenti ancestrali; perché non era un peccato morale o personale, ma una malattia della natura dell’uomo (“La nostra natura si è ammalata, di questo peccato”, osserva san Cirillo d’Alessandria – †444), che si trasmette da persona a persona, esattamente come la malattia che un albero trasmette a tutti gli altri alberi che ne derivano.
L’inattivazione della facoltà noetica, o della memoria di Dio, e il confonderla con la funzione del cervello (che capita a tutti noi), soggioga l’uomo allo stress e all’ambiente, e alla ricerca della beatitudine attraverso l’individualismo e un atteggiamento anti-sociale. Mentre è malato a causa del suo stato di decadimento, l’uomo usa Dio e il suo prossimo per assicurarsi la propria sicurezza e felicità personali. L’uso personale di Dio si trova nella “religione” (=tentativo di trarre forza dal divino), che può degenerare in un’autodeficazione dell’uomo (“Mi sono fatto idolo di me”, dice sant’Andrea di Creta, nel suo ‘Canone maggiore’). L’uso del prossimo – e di conseguenza la creazione in generale – si ottiene sfruttandolo in ogni modo possibile. Questa, dunque, è la malattia che l’uomo cerca di curare, inserendosi pienamente nell’“ospedale spirituale” della Chiesa.
2. Lo scopo della presenza della Chiesa nel mondo – come comunione in Cristo – è la cura dell’uomo; il ripristino della sua comunione centrata nel cuore con Dio; in altre parole, della sua facoltà noetica. Secondo il professore P. John Romanides, «la tradizione patristica non è né una filosofia sociale, né un sistema morale, né un dogmatismo religioso; è un metodo terapeutico. In questo contesto è molto simile alla Medicina e soprattutto alla Psichiatria. L’energia noetica dell’anima che prega mentalmente e incessantemente all’interno del cuore è uno “strumento” naturale, che ognuno possiede e necessita di terapia. Né la filosofia, né nessuna delle scienze positive o sociali conosciute può curare questo “strumento”. Per questo i casi inguaribili non sono nemmeno a conoscenza dell’esistenza di questo strumento».
La necessità della guarigione dell’uomo è una questione pan-umana, legata in primo luogo al ripristino di ogni persona al suo stato naturale di esistenza, attraverso la riattivazione della terza facoltà mnemonica. Tuttavia, si estende anche alla presenza sociale dell’uomo. Affinché l’uomo sia in comunione con il prossimo come fratello, il suo egoismo (che alla lunga funge da amor proprio) deve trasformarsi in altruismo (cfr. 1 Corinzi 13,8) «amore….non chiede contraccambio.. »). L’amore disinteressato esiste: è l’amore del Dio Triadico (Rm 5,8; 1 Gv 4,7), che tutto dona senza cercare nulla in cambio. Ecco perché l’ideale sociale dell’ortodossia cristiana non è “comune possesso”, ma “mancanza di possesso”, come rassegnazione volontaria da qualsiasi tipo di richiesta. Solo allora la giustizia può essere possibile.
Il metodo terapeutico offerto dalla Chiesa è la vita spirituale; la vita nello Spirito Santo. La vita spirituale è vissuta come esercizio (Ascesi) e come partecipazione alla Grazia Increata, attraverso i Sacramenti. L’ascesi è la violazione della nostra natura senza regole e senza vita a causa del peccato, che ci sta precipitando a capofitto verso una morte spirituale o eterna, cioè l’eterna separazione dalla grazia di Dio. L’Ascesi aspira alla vittoria sulle nostre passioni, con l’intenzione di conquistare l’interiore sottomissione di quei punti nevralgici e pestiferi dell’uomo e di partecipare alla Croce di Cristo e alla sua Risurrezione.
Il cristiano, che esercita tale ritegno sotto la guida del suo Padre terapeuta-spirituale, diventa ricettivo alla grazia, che riceve attraverso la sua partecipazione alla vita sacramentale del corpus ecclesiastico. Non può esserci cristiano che non fa esercizio, così come non può esserci guarito che non segua i consigli terapeutici che il medico gli ha prescritto.
3. Quanto sopra ci porta ad alcune costanti, che verificano l’identità dell’ortodossia cristiana:
(a) La Chiesa – come corpo di Cristo – funge da Ospedale-Centro terapeutico. Altrimenti non sarebbe una Chiesa, ma una “Religione”. Il Clero viene inizialmente selezionato dal curato, per svolgere la funzione di terapeuta. La funzione terapeutica della Chiesa è conservata oggi, per lo più nei Monasteri che, sopravvissuti al secolarismo, continuano la Chiesa dei tempi apostolici.
(b) Gli scienziati della terapia ecclesiastica sono i già guariti. Chi non ha avuto l’esperienza della terapia non può essere terapeuta. Questa è la differenza essenziale tra la scienza terapeutica e la scienza medica. Gli scienziati della terapia ecclesiastica (Padri e Madri) generano altri Terapeuti, così come i Professori di Medicina generano i loro successori.
(c) Il confinarsi della Chiesa al semplice perdono dei peccati per assicurarsi un posto in paradiso costituisce alienazione ed equivale alla scienza medica che perdona il malato, affinché possa essere guarito dopo la morte! La Chiesa non può mandare qualcuno in Paradiso o all’Inferno. Inoltre, il Paradiso e l’Inferno non sono luoghi, sono modi di esistere. Guarendo l’umanità, la Chiesa prepara la persona affinché possa eternamente guardare a Cristo nella sua luce increata come una visione del Paradiso, e non come una visione dell’Inferno, o come “un fuoco che divora” (Ebrei 12:29). E questo naturalmente riguarda ogni singola persona, perché TUTTI gli uomini guarderanno eternamente a Cristo, come “il Giudice” del mondo intero.
(d) La validità della scienza è verificata dal raggiungimento dei suoi obiettivi (cioè, in Medicina, è la cura del paziente). È il modo in cui l’autentica medicina scientifica si distingue dalla ciarlataneria. Il criterio della terapia poetica da parte della Chiesa è anche il raggiungimento della guarigione spirituale, aprendo la strada alla theosis. La terapia non viene trasferita nell’aldilà; avviene durante la vita dell’uomo, qui, in questo mondo (hinc et nunc). Questo si può vedere nelle reliquie inalterate dei Santi che hanno superato il deterioramento biologico, come le reliquie dei Santi Spiridon, Gerasimos, Dionysios e Theodora Augusta. Le reliquie inalterate sono, nella nostra tradizione, la prova indiscutibile della theosis, ovvero il compimento della terapia ascetica della Chiesa.
Vorrei chiedere agli scienziati medici del nostro paese di prestare particolare attenzione al tema del non deterioramento delle sacre reliquie, dato che non sono state scientificamente comprese, ma, in esse si manifesta l’energia della Grazia Divina? Perché è stato osservato che, nel momento in cui il sistema cellulare dovrebbe cominciare a disintegrarsi, esso cessa automaticamente e, invece di emanare un qualsiasi odore di decomposizione, il corpo emana un profumo caratteristico. Limito questo commento ai sintomi medici, e non mi avventurerò nell’aspetto dei fenomeni miracolosi come prova della theosis, perché quell’aspetto appartiene ad un’altra sfera di discussione.
(e) Infine, i testi divini della Chiesa (testi biblici, sinodici e patristici) non costituiscono sistemi di codificazione di alcuna ideologia cristiana? Hanno un carattere terapeutico e funzionano allo stesso modo in cui funzionano le dissertazioni universitarie nella scienza medica. Lo stesso vale per i testi liturgici, come ad esempio le Benedizioni. La semplice lettura di una Benedizione (preghiera), senza lo sforzo congiunto dei fedeli nella procedura terapeutica della Chiesa, non sarebbe diversa dall’istanza in cui un paziente ricorre al medico per i suoi atroci dolori, e, invece di un immediato intervento del medico, si limita ad essere adagiato su un tavolo operatorio, e a farsi leggere il capitolo relativo al suo specifico disturbo.
Questa, in poche parole, è l’Ortodossia. Non importa se lo si accetta o meno. Tuttavia, per quanto riguarda gli scienziati, ho cercato – come collega di scienze anch’io – di rispondere scientificamente alla domanda: “Cos’è l’Ortodossia”.
Qualsiasi altra versione del cristianesimo ne costituisce una contraffazione e una perversione, anche se aspira a presentarsi come qualcosa di ortodosso.
Note bibliografiche
P. John S. Romanides, “Padri romani o neo-romani della Chiesa”, Salonicco 1984.
P. John S. Romanides, “La religione è un disturbo neurobiologico e l’ortodossia è la sua cura”, dal volume “Ortodossia, ellenismo… Pubblicazioni del Santo Monastero di Koutloumousion, Volume B, 1996, pagg. 66-67.
P. John S. Romanides, “Chiesa, Sinodi e Civiltà”, da TEOLOGIA, vol.63 (1992) pg.421-450 e in greco vol.66 (1995) pg.646-680.
P. Hierotheos Vlachos (attualmente metropolita di Nafpaktos), “Psicoterapia ortodossa”, Edessa 1986.
P. Hierotheos Vlachos (attualmente metropolita di Nafpaktos), “Piccola introduzione alla spiritualità ortodossa”, Atene.
P. Hierotheos Vlachos (attualmente metropolita di Nafpaktos), “Psicologia esistenziale e psicoterapia ortodossa”, Levadia 1995.
Dello stesso autore, i seguenti studi:
P. G. Metallinos, “Una visione ortodossa della società”, Atene 1986.
P. G. Metallinos, “Testimonianza teologica del culto ecclesiastico”, Atene 1996. (NB: In questi libri si può trovare più bibliografia)
Note – Glossario
1. L’increato = Qualcosa che non è stato prodotto. Questo vale solo per il Dio Triadico. Il Creato = Creazione in generale, con l’uomo al suo apice. Dio non è un potere “universale”, come designato dalla terminologia New Age (“tutto è uno, tutti sono Dio!”), perché, come Creatore di tutto, trascende l’intero universo, dato che in sostanza è “Qualcosa” del tutto diverso (Das ganz Andere). Non esiste un’analogia che associa il creato e l’increato. Ecco perché l’Increato si fa conoscere, attraverso la sua autorivelazione.
2. Un significativo testo cristiano del II secolo, “Il pastore di Erma”, dice che per diventare membra del Corpo di Cristo dobbiamo essere pietre “quadrate” (=adatte alla costruzione) e non arrotondati!
3. Secondo P. John Romanides, al quale si deve essenzialmente il ritorno alla visione “filocaliana” (=terapeutica-ascetica) della nostra Fede, e di fatto a livello accademico; La “religione” implica ogni tipo di “associazione” dell’increato e del creato, come si fa nell’idolatria. La persona “religiosa” proietta i suoi “pregiudizi” (=pensieri, significati) nel regno divino, “fabbricando” così il proprio Dio (questo può verificarsi anche nell’aspetto non patristico dell'”Ortodossia”). Lo scopo è “l’espiazione”, la “placazione” del “divino” e, infine, l’“utilizzo” di Dio a proprio vantaggio (formula magica: do ut des). Nella nostra tradizione, invece, il nostro Dio non ha bisogno di essere “placato”, perché “ci ha amato per primo” (Gv 4,19). Il nostro Dio agisce come “Amore” (Gv 4,16) e amore disinteressato a Quello. Ci dà tutto e non chiede mai nulla in cambio delle sue creazioni. Ecco perché l’altruismo è l’essenza dell’amore cristiano, che va ben oltre la nozione di transazione.
4. Lo esprime il canto liturgico familiare e spesso ripetuto: «Noi stessi e gli uni con gli altri, e tutta la nostra vita, applichiamoci a Cristo nostro Signore».
La corretta incorporazione si trova normalmente nei monasteri, ovunque essi funzionino ovviamente secondo la tradizione ortodossa. Ecco perché i Monasteri (ad esempio quelli del Sacro Monte) continuano ad essere le “parrocchie” modello di questo “mondo”.