Dal Prologo di Ohrid opera di San Nikolaj Velimirovic
7 Novembre secondo l’antico calendario della Chiesa
1. Il Santo Martire Ierone e i suoi compagni a Melitene
Ierone nacque a Tyana in Cappadocia da una buona e devota madre, Stratonika, che era cieca. Ierone era un cristiano molto zelante e servì la madre cieca con grande amore filiale. Per due motivi non desiderava arruolarsi nell’esercito e resistette e scacciò coloro che erano stati mandati a prenderlo. Ierone era riluttante a lasciare la madre indifesa e per lui era doloroso anche solo considerare che, come soldato, sarebbe stato costretto a offrire sacrifici agli idoli. Così, Ierone fu arrestato insieme ad altri cristiani e furono tutti portati davanti all’Eparca della città di Melitene. Mentre erano ancora in cammino, una notte apparve a Ierone un uomo vestito con una veste bianca brillante e gli disse: “Ecco, Ierone, ti annuncio la salvezza: non combatterai per un re terreno, ma per il Re Celeste, completerai la tua lotta e presto giungerai a Lui per ricevere onore e gloria.” A questo punto, il cuore di Ierone si riempì di una gioia inesprimibile. A Melitene furono tutti gettati in prigione e Ierone, con grande zelo, rafforzò tutti i prigionieri nella Fede, esortandoli a non cadere, ma ad offrire tutti volontariamente i loro corpi alla tortura e alla morte per Cristo. Tutti tranne uno confessarono la loro fede nel Signore Gesù Cristo. L’eccezione fu il parente di Ierone, Vittore, che si allontanò dalla Fede. I tormentatori tagliarono una mano a Ierone, poi lo frustarono e lo torturarono in vari modi fino a decapitare lui e gli altri. Andando al luogo dell’esecuzione, questi trentatré martiri cantarono il Salmo: Beati gli incontaminati nella via, che camminano nella legge del Signore (Salmi 118,1). Qui nomineremo gli onorevoli martiri i cui nomi sono scritti con i suoi nel Libro della Vita: Esichio, Nicandro, Atanasio, Mamas, Barachio, Callinico, Teogene, Nikon, Longino, Teodoro, Valerio, Xanzio, Teodulo, Callimaco, Eugenio, Teodoco, Ostrico, Epifanio, Massimiano, Ducizio, Claudiano, Teofilo, Giganzio, Doroteo, Teodoto, Castricio, Anicleto, Temilio, Eutichio, Ilarione, Diodoto e Amonito. Un uomo di nome Crisanto acquistò la testa mozzata di Ierone e la seppellì onorevolmente, costruendovi sopra una chiesa in nome del santo. La mano mozzata del martire fu portata alla madre cieca. San Ierone, con i suoi compagni, soffrì nell’anno 298 ed entrò nella gloria di Cristo.
“Vi siete realmente dimostrati schiera raccolta da Dio, esercito sacratissimo, Chiesa divina, popolo santo, falange di martiri da Dio ispirata, splendida radunanza, schiera serrata che non si spezza, o ammirabili, e quindi, come degni cittadini della celeste metropoli, giustamente siete proclamati beati.“
Kontakion dei martiri.
“Un fulgido coro di martiri apportatore di luce, sorgendo spiritualmente, ha rischiarato oggi la Chiesa con i raggi dei prodigi; festeggiando dunque la loro venerabile memoria, noi ti preghiamo, nostro Salvatore: Per le loro suppliche, liberaci dai pericoli, perché sei Dio misericordioso e amico degli uomini.”
2. La Santa Martire Tessalonica con Auctus e Taurion
Questa fanciulla era la figlia di un sacerdote pagano, Cleone, un uomo ricco e arrogante. A causa della sua fede in Cristo, suo padre la cacciò dalla casa e dalla città. Due cittadini onorevoli, Auctus e Taurion, rimproverarono Cleone per il suo trattamento disumano nei confronti della figlia e lui a sua volta li denunciò come cristiani. Furono duramente torturati e decapitati per Cristo. Anche Tessalonica fu torturata e uccisa. Soffrirono nella città macedone di Anfipoli, vicino all’attuale Kavala. Così, questi martiri furono resi degni del Regno Immortale dalla loro onorevole sofferenza.
3. Il Venerabile Lazzaro di Galesio
Una colonna di luce apparve sopra la casa dove era nato. Lazzaro lasciò il suo villaggio di Magnesia e andò a Gerusalemme in pellegrinaggio nei luoghi santi. Lì, fu tonsurato monaco nel Monastero di San Sava il Santificato. Dopo dieci anni, si stabilì sul monte Galesio e visse una vita di ascetismo su una colonna come stilita. Lazzaro fu un taumaturgo sia durante la sua vita che dopo la morte. L’imperatore Costantino Monomaco aveva grande rispetto per lui. Raggiunta la vecchiaia, San Lazzaro entrò nell’eternità verso la fine dell’undicesimo secolo.
Tropario — Tono 8
“Hai irrigato la tua colonna con veglie oranti e lacrime versate; / hai prodotto frutti centuplicati con sospiri dal profondo della tua anima. / Sei stato un pastore, esaudiendo le richieste di tutti. / Supplica Cristo Dio, venerabile Lazzaro nostro padre, affinché le nostre anime siano salvate”.
Kontakion — Tono 4
Con gioia la Chiesa di Cristo ti glorifica con i salmi / come una luce splendente, venerabile Lazzaro. / Perciò prega sempre Cristo affinché conceda a tutti il perdono delle trasgressioni.
Inno di lode
Il Santo Martire Ierone e i suoi compagni
Le prigioni sono palazzi particolari! In prigione, San Ierone disse: “O miei fratelli, trenta compagni, Attenetevi alla parola di Dio, Alla parola di Dio e alla Sua legge. Ecco, da tempo immemorabile, il serpente si è alzato, Cercando di intrappolarvi con uno sguardo, Così che, uno per uno, lo seguireste all’inferno. Non soccombete, fratelli, veri credenti, Oh, ascoltate l’umile Ierone! Qualunque cosa il serpente vi prometta È fugace come l’erba verde. Sopportate coraggiosamente le vostre sofferenze: Non barattate l’eterno con il temporale; Oggi o domani, la morte arriverà, Allora tutti dovranno andare al giudizio di Dio. Beato colui che non si vergogna Quando vede il suo Giudice davanti a sé. Ancor di più colui che può mostrare al Giudice Il sangue che ha versato per Lui, E le ferite che porta per il Suo nome. Un tale regnerà eternamente con Lui.”
Riflessione
Ci sono momenti decisivi nella vita da cui dipendono la vita eterna o la morte eterna di un uomo. Non sappiamo quando arriverà questo momento decisivo per noi, forse oggi, e per questo dobbiamo essere incessantemente vigili. Vittore, un parente di San Ierone, fu arrestato con lui. Il giorno prima del loro supplizio, Vittore, terrorizzato dalle imminenti torture, andò dal direttore della prigione e lo pregò di togliere il suo nome dalla lista dei condannati e di liberarlo, promettendogli di dargli la sua terra. Il direttore rimosse il suo nome e lo rilasciò. Tuttavia, al ritorno a casa, Vittore morì per cause naturali nello stesso momento in cui San Ierone e i suoi compagni morirono nei tormenti per Cristo. Così Vittore perse invano il momento decisivo: perse la sua terra, i suoi amici e sia la sua vita terrena che quella celeste. In quello stesso momento decisivo, Ierone guadagnò tutto. Nessuno gareggiò per il corpo di Vittore, mentre molti gareggiarono per il corpo di Ierone. Quando i cristiani cercarono la testa di Ierone dall’eparca, egli chiese tanto oro quanto pesava. Crisanto, un uomo ricco e devoto, pagò tanto oro per l’onorevole testa del martire. Antonio e Matroniana nascosero una delle mani mozzate di San Ierone e la portarono alla madre di Ierone, la cieca Stratonika. Lei prese la mano del figlio e pianse amaramente: “O mio amato figlio, ti ho dato alla luce intero e ora ho solo una parte di te!”
Contemplazione
Contempla il potere maligno di uno spirito maligno su coloro che lo servono (Atti 19): 1. Come sette Giudei cercarono di imitare Paolo nello scacciare gli spiriti dalle persone possedute, tentando questo per il proprio tornaconto; 2. Come lo spirito maligno rispose loro: Conosco Gesù e conosco Paolo; ma voi chi siete? 3. Come l’uomo con lo spirito maligno si scagliò su di loro e li sopraffece.
Omelia
sui sentieri oscuri dell’umanità prima e senza Cristo
… in passato avete camminato secondo il corso di questo mondo, secondo il principe della potestà dell’aria, di quello spirito che al presente opera nei figli della disubbidienza (Efesini 2,2).
Tutto questo è uno e lo stesso percorso: il percorso verso la distruzione. Secondo il corso di questo mondo significa inclinazione verso il peccato; secondo il principe della potenza dell’aria significa secondo la volontà di quei capi dei demoni che abitano l’aria; nello spirito che ora opera nei figli della disobbedienza significa che nello stesso modo in cui vivono ora gli oppositori e gli avversari di Dio, tutti gli uomini vivevano prima dell’avvento di Cristo, compresi coloro ai quali l’Apostolo scrive l’epistola. Cos’è questa potenza dell’aria, fratelli? Questo è l’ordine degli spiriti maligni che esistono in costante movimento nell’aria. Rendono l’aria letale e impediscono alle anime dei defunti di dirigersi verso il cielo. Ingannano lo spirito dell’uomo per compiere ogni male; lo tentano con ogni peccato. Tuttavia, non comandano allo spirito di peccare, perché non hanno il potere di farlo; possono solo tentare e corrompere. Agirono più fortemente e direttamente sui pagani che sugli Israeliti. Si abbatterono sui pagani come uno sciame di mosche su una carcassa, ma osservarono gli Israeliti da lontano, corrompendoli e tentandoli più subdolamente. Si tennero a distanza da Israele a causa del nome di Dio, che era preservato e pronunciato tra gli Israeliti. Il Signore Gesù Cristo li disperse tutti e strappò i loro pungiglioni velenosi, così che rimasero solo come fantasmi vuoti, come ombre miserabili e incostanti che svaniscono all’istante alla menzione del nome di Cristo o al tracciamento del segno della Croce di Cristo. O Signore Gesù, nostro Comandante e Liberatore, aiutaci a vivere nella Tua libertà. A Te sia gloria e lode per sempre. Amen.
“La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione”: THE ORTHODOX WORD – 1965 – Vol. 1, No. 1, p. 21
THE ORTHODOX WORD
1965 – Vol. 1, No. 1
Gennaio – Febbraio
Pubblicato con la benedizione di sua eminenza John Maximovich, Arcivescovo dell’America Occidentale e San Francisco, Chiesa Ortodossa Russa Fuori dalla Russia.
Editori: Eugine Rose, M.A, & Gleg Podmoshensky, B. Th.
Pagina 21-31
“La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione”
“D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata” (Luca 1,48)
Nessun aspetto della pratica ortodossa è maggiormente radicato e più saldamente stabilito come quello della venerazione delle icone. Una delle feste più importanti dell’anno liturgico, quella del Trionfo dell’Ortodossia che si celebra la prima domenica del Grande Digiuno di Quaresima, fu istituita a seguito della restaurazione delle immagini dopo il periodo iconoclasta. È doveroso ricordare, a questo proposito, come l’opera più degna di nota del Settimo Concilio Ecumenico fu quella di giustificare, teologicamente, la venerazione delle icone. Ciononostante, ancora oggi continuano ad esistere molte idee sbagliate sulla venerazione delle icone. In particolar modo, esse si riscontrano tra i non ortodossi e, in ragione di ciò, è doveroso spendere alcune parole su questo tema, prima di dedicare la nostra attenzione all’icona della Santissima Madre di Dio.
L’accusa più grave, ma anche la più comune, scagliata contro la venerazione ortodossa delle icone, è che questa pratica possa essere etichettata come “idolatria” (analogamente alla venerazione delle reliquie dei Santi, con la quale è intimamente legata) e che, come tale, possa essere una perversione spirituale, portando il cristianesimo ad una deriva materialista.
Una tale visione non è nient’altro che il risultato di una idea sbagliata del cristianesimo, in quanto affonda le sue radici in un’incapacità di comprendere a fondo la Rivelazione Cristiana.
Il fondamento della venerazione delle icone va ricercato nell’Incarnazione del Figlio di Dio, che è la fonte stessa della fede cristiana.
Il kontákion che cantiamo la Domenica del Trionfo dell’Ortodossia indica proprio questo:
“L’incircoscrivibile Verbo del Padre, incarnandosi da te, Theotokos, è stato circoscritto, e, riportata all’antica forma l’immagine deturpata, l’ha fusa con la Divina Bellezza…”
Proprio perché Dio ha preso la forma umana, riportando così questa forma alla sua originaria somiglianza con Sé, che noi veneriamo le immagini di Nostro Signore, della Sua Santissima Madre, dei Santi, nei quali l’Immagine Divina è stata restaurata.
La venerazione delle icone è una diretta conseguenza dell’Incarnazione, così ci istruisce sul significato della Incarnazione stessa.
La salvezza è arrivata nel mondo; Dio ci ha fornito i mezzi conformi al nostro umile stato per poter tornare a Lui.
La sapienza della Chiesa è stata evidente nella sua insistenza sulla disciplina del corpo e dell’anima; la nostra religione non è una di quelle fatte di idee e di astrazioni, ma di pratica e di lavoro duro.
Il corpo, che a causa della sua debolezza molte volte può sviarci dalle nostre intenzioni nobili e migliori, deve essere anch’esso corretto e istruito al fine di piacere a Dio e non a sé stesso.
Questa è una delle motivazioni dei nostri digiuni, delle nostre prostrazioni, del nostro segno della croce e della venerazione delle icone e delle reliquie.
Questi sono alcuni principi che stanno a fondamento della venerazione delle icone, e la pratica ortodossa è in perfetto accordo con essi. Nessun ortodosso credente si è mai reso colpevole di idolatria, o di confondere una tavola di legno per Dio; neppure c’è mai stata confusione sul significato della venerazione per la Theotokos e per i Santi.
Come dice San Giovanni Damasceno: “Noi adoriamo ciò che è rappresentato e non la materia; allo stesso modo non veneriamo la materia con la quale sono costruiti i Vangeli o la Croce, ma ciò che essi rappresentano”.
Riguardo alla Theotokos, lo stesso Santo continua: “l’onore che Le tributiamo è legato a Colui che da Lei si è incarnato”; e riguardo ai Santi: “l’onore dato al migliore dei propri compagni di servizio è una prova di amore nei confronti del Signore comune” [1]
Ogni icona ortodossa che è stata correttamente benedetta diviene un mezzo di grazia; oltre a questo viene riservato un posto particolare a quelle icone che sono diventate note a causa di loro miracoli.
La maggior parte delle icone miracolose sono della Madre di Dio e, per questo, vi è una ragione particolare. Poiché Lei è il “vaso” scelto per l’Incarnazione del Signore, occupa, comprensibilmente, un posto importante nel culto cristiano.
Come indica il kontákion della Domenica dell’Ortodossia, è grazie alla nascita della TuttaPura che il Dio senza forma ha potuto assumere una forma atta ad essere rappresentata. Questi elementi teologici sono confermati nell’esperienza ortodossa, in quanto è stata la Theotokos ad aver aiutato e protetto il popolo ortodosso, mostrando la sua misericordia in momenti critici per individui e intere comunità cristiane. In particolare, attraverso miracoli operati in connessione con le sue sante immagini.
I miracoli che ci accingiamo a descrivere in questo e nei seguenti numeri di “Orthodox Word” possono risultare francamente incredibili a molti non ortodossi e, senza ombra di dubbio, saremo criticati nel nostro accettarli in modo semplice.
C’è, però, una ragione per la nostra semplicità.
Noi, indegni come siamo e vivendo in questo modo nella meno cristiana di tutte le epoche, abbiamo visto molti miracoli; pertanto, avendo assistito con i nostri occhi, non abbiamo motivo di mettere in dubbio ciò che viene raccontato dai Santi Padri, i quali sono vissuti prima di noi.
Durante i nostri giorni alcune icone sono diventate, per miracolo, più luminose, come nuove, oppure hanno versato alcune lacrime e, in loro presenza, si sono verificate guarigioni.
Senza dubbio nessuno che abbia visto lacrime scendere lungo le guance della Theotokos, in una delle icone piangenti dei nostri giorni, e abbia conosciuto il sincero pentimento al quale tutto ciò porta, può sinceramente dubitare che i miracoli accadano e che abbiano uno speciale significato per noi.
Il continuo verificarsi di questi miracoli, tra di noi, è un segno tangibile della presenza del Santo Spirito nella Chiesa Ortodossa.
Lo scetticismo e la critica aperta che contraddistinguono l’atteggiamento di molti non ortodossi nei confronti dei miracoli, i quali si concludono nel tentativo di spiegarli, è dovuto, molto probabilmente, alla mancanza di esperienza.
Questo poiché, al di fuori della Chiesa Ortodossa, i miracoli sono diventati così rari e inusuali da sembrare strani e fenomenali. Per i cristiani ortodossi i miracoli sono divenuti, se non comuni, quantomeno qualcosa di familiare e comprensibile; essi sono una parte importante della normale vita spirituale del credente devoto.
L’abbondanza della Grazia divina che si è manifestata attraverso l’intercessione della Santissima Theotokos ha dato origine ad una molteplicità di icone-tipo, ognuna della quali rappresenta un esempio o un aspetto del Suo aiuto e della Sua protezione all’umanità peccatrice.
Questi tipi di icone traggono il nome dal luogo della loro rivelazione o dai miracoli (come, ad esempio, le icone di Vladimir e di Kazan), o da frasi, di norma tratte da un Inno Akathistos[2] o da altri servizi in onore della Theotokos, le quali descrivono la funzione o il significato di una particolare icona (l’icona che verrà descritta in seguito sarà “La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione”). Le varie icone sono distinte da dettagli come la posizione del Bambino, l’inclinazione della testa, la direzione dello sguardo della Madre e del Bambino, i gesti delle mani. Per di più, oltre a questi tipi-base, vi sono copie che differiscono dall’originale solo per dettagli minuti; queste copie divengono, sovente, conosciute come miracolose a pieno titolo.
Considerando tutto ciò complessivamente, possiamo affermare che lo studio delle icone della Theotokos diventa una scienza in sé. Una scienza, se si può dire, della Grazia di Dio.
Il nostro scopo sarà quello di dare, in questi brevi articoli, un’introduzione a questa scienza, ponendo enfasi sulla storia e sul significato pratico di ciascuna icona.
“La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione”
L’origine dell’icona della Theotokos conosciuta con questo nome è incerta.
Non è possibile sapere se essa, così come molte altre icone russe, derivi da un prototipo bizantino; in ogni caso era già conosciuta nella Russia di Kiev.
Quella che, almeno apparentemente, era l’icona più antica di questo tipo si trovava nei pressi del Monastero della Grotte a Kiev (Kyevo Pečers’ka Lavra), precisamente nella Chiesa dell’ospedale che fu fondata nel 1106 da San Nikola Svyatosha (il Santo), pronipote di Yaroslav il Saggio. È probabile che la suddetta icona sia stata posta lì dallo stesso santo.
Secondo una antica tradizione, questa icona fu protagonista di guarigioni miracolose in tempi antichi. Si narra che un guardiano, per un certo periodo di tempo, vide una signora entrare più volte in un ospedale durante le ore notturne. Lo stesso guardiano notò che, dopo ogni visita della signora, alcuni pazienti venivano guariti. Rimasto sorpreso da questi fatti, il guardiano domandò ai pazienti chi fosse la signora in questione; questi risposero che la signora era una persona a loro sconosciuta e che, chiestole il nome, ella avrebbe risposto loro: “Io sono la gioia di coloro che sono nell’afflizione”.
Così una notte il guardiano seguì la signora in una delle sue visite, presso la cella di un monaco morente. Giunto presso la cella, il guardiano notò che sul muro, sopra il letto del monaco malato, vi era l’icona della Theotokos e così capì la vera identità della signora. Questo monaco fu poi guarito come gli altri malati.
Altre icone miracolose “La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione” esistevano prima del XVIII secolo e questo nome divenne come un polo di attrazione per tutti coloro che soffrivano di ogni genere di malattia o di afflizione.
Successivamente all’anno 1522, una delle più antiche icone di questo tipo si trovava nella città di Vologda e occupava un posto importante in ogni processione della comunità cristiana ortodossa del posto.
Un’altra icona a Tsarkoe Selo era nota per recare guarigione ai malati mentali; una ulteriore si trovava a Pskov per la guarigione di coloro che avevano patologie oculari; una a Tver per aiuti miracolosi portati durante una epidemia di colera; una a Tobolsk per la protezione dei pescatori e dei mercanti. A Perm vi si trovava un monastero dedicato all’icona.
La principale festa dell’icona, che si celebra il 24 ottobre, fu istituita nel 1648 in occasione di una guarigione miracolosa approntata da una icona di Mosca. Una sorella del Patriarca di Mosca Ioakim, di nome Evfimia, ebbe una ferita piuttosto profonda al costato. Nonostante fosse in attesa della morte, rimase salda nella speranza di un aiuto da Dio e, grazie alle sue preghiere ferventi alla Theotokos, sentì una voce dirle:
“Evfimia, perché non ti rivolgi, nel tuo stato di sofferenza, a Colei che guarisce tutto?”
“Ma dove posso trovare un guaritore di questo tipo?”
“La mia immagine si trova nella Chiesa della Trasfigurazione di Mio Figlio, essa è chiamata “La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione” …chiama un sacerdote di questa Chiesa con l’immagine e dopo che avrà celebrato un Moleben[3] con la benedizione dell’acqua, tu troverai la salute. E successivamente non dimenticare la Mia misericordia nei tuoi confronti, confessala per la gloria del Mio nome”.
Tutto questo venne fatto come da indicazione della voce che Evfimia udì, e lei venne effettivamente guarita il 24 ottobre, data in cui questa icona ha iniziato ad essere commemorata da allora.
Recentemente, la notorietà dell’icona “La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione” è dovuta ai miracoli compiuti da un’altra icona situata vicino San Pietroburgo, in una cappella non distante ad una fabbrica di vetro. Il 23 luglio 1888, durante un temporale, un fulmine cadde sulla cappella, bruciando tutto ciò che conteneva. Molte icone andarono perdute, ad eccezione dell’icona “La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione”. A causa del disastro l’icona scivolò a terra e il volto della Theotokos, che era diventato scuro a causa del fumo e della fuliggine, divenne improvvisamente pieno di luce. Vicino all’icona vi era una cassetta per le elemosine la quale, rompendosi, fece cadere dodici piccole monete. Queste si attaccarono in qualche modo al volto dell’icona della Madre di Dio e nelle copie successive di questa icona sono sempre raffigurate. La notizia della miracolosa preservazione dell’icona e del suo rinnovamento si diffuse in tutta la capitale tanto che, fin dalle prime luci dell’alba del giorno successivo, la cappella bruciata fu circondata da molte persone stupefatte dalla manifesta misericordia Divina.
Al mezzogiorno fu poi celebrato un Moleben dinanzi all’icona e, mentre la notizia si diffondeva in tutta la Russia, un numero sempre crescente di visitatori si recò a pregare sul luogo, dove si verificarono numerose guarigioni. L’imperatore Alessandro III, dopo aver venerato l’icona miracolosa, donò una parte di terreno per poter erigere una Chiesa in pietra ad essa dedicata. Questa Chiesa fu consacrata nel 1898. L’icona è commemorata dalla Chiesa nella data del suo rinnovamento, il 23 luglio.
I vari tipi dell’icona “la gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione” hanno in comune alcune caratteristiche di base. La Theotokos è sempre raffigurata interamente, alcune volte con il Bambino tra le braccia, altre volte senza. Sotto la Sua figura si trovano persone afflitte da vari dolori e malattie che domandano il Suo aiuto. Oltre a queste caratteristiche comuni, i vari tipi prevedono una varietà nella rappresentazione dei dettagli che non si trova in altre icone della Theotokos.
Questo si può spiegare, in parte, a causa della complessità dell’icona stessa; ma, come vedremo tra poco, tutto ciò è dovuto principalmente alle diverse interpretazioni di un identico soggetto.
La stupenda icona raffigurata nella pagina seguente si trova nella Cattedrale di San Francisco, la quale è dedicata proprio a “La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione”. Questa icona è eseguita in uno stile perfettamente tradizionale e fa ampio uso del linguaggio simbolico dell’iconografia esprimendo, così, il pieno significato dell’icona con una grande economia di mezzi.
La Theotokos è qui rappresentata, come anche nell’icona di San Pietroburgo, senza il Bambino e con le braccia aperte come nella celebre icona della Protezione (Pokrov). Nella mano destra, la Theotokos, tiene uno scettro che rappresenta la sovranità; questo oggetto è rappresentato solo in poche altre icone, in particolare in quella della “Theotokos Regnante”[4].
Altre icone de “La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione” non presentano lo scettro, ma esprimono lo stesso significato tramite l’uso di una corona posta sopra la testa della Madre di Dio. Il significato è chiaro: Ella è la Regina del cielo, intronizzata nella gloria. Il cielo è qui rappresentato non da nuvole naturalistiche come si possono trovare in alcuni versioni moderne, bensì dallo sfondo dorato e da un’altra caratteristica, probabilmente la più sorprendente: i fiori.
Questi non sono fiori terreni, sono i fiori di un mondo diverso, di una creazione totalmente nuova: sono i fiori del Paradiso. Anche in un dettaglio come questo, l’iconografia sacra innalza la nostra mente al di sopra delle cose di questo mondo e ci regala un’anticipazione della realtà del Regno dei Cieli.
La Theotokos, sebbene in Paradiso, continua ad essere vicina agli uomini: il simbolismo dell’iconografia permette di esprimere questi due eventi in modo simultaneo. Anziché essere lontana dal mondo, sopra le nuvole, Lei si trova in mezzo ad esso, immediatamente accessibile a coloro che La cercano.
Viene così manifestato che la Porta del Paradiso è vicina e in alcuni momenti – come nel caso dei miracoli operati per l’intercessione della Theotokos – gli uomini sono davvero toccati dalla grazia Divina e intravedono, anche solo per un momento, il Paradiso stesso. Da entrambe le parti le persone sofferenti fanno appello alla misericordia della Theotokos.
I testi scritti con caratteri slavi sugli stendardi sono le richieste di diversi gruppi di afflitti affinché Lei sia il loro sostegno per la vecchiaia, il vestito e il calore per quanti sono nudi, la guarigione di quanti sono nella malattia, la gioia dei tristi, l’intercessione degli offesi, il nutrimento di quanti hanno fame, la compagna dei viaggiatori.
A queste, come ad altre richieste, la Theotokos risponde inviando angeli per donare conforto e guarigione. Lei stessa, con la mano sinistra, accorda il nutrimento celeste in risposta alla petizione: “sfamaci con il pane della Tua misericordia”.
Nella parte alta dell’icona possiamo vedere il sole, a sinistra, e la luna, a destra. Questo motivo appare alcune volte nelle icone della Crocifissione, ma raramente in quelle della Theotokos. Qui sta a simboleggiare, probabilmente, l’universalità della Sua sovranità e il potere della Sua intercessione.
Nella parte centrale, sempre in alto, si trova il Salvatore che ha il ruolo di Pantocratore, Sovrano di tutto: Colui al Quale la Theotokos deve la Sua sovranità.
L’origine e la storia di questa icona sono, purtroppo, quasi del tutto avvolte nel mistero. Molto probabilmente rimase in Unione Sovietica fin dopo la Seconda Guerra Mondiale, da qui, in qualche modo, fu trasferita a Parigi. Qui, durante una mostra, fu acquistata da un americano, finendo per trovare la strada per San Francisco. In un negozio di antiquariato fu acquistata da alcuni membri della parrocchia e donata alla chiesa cattedrale. Dai segni presenti sull’icona è possibile capire che essa è stata racchiusa per molto tempo in una riza di metallo, come molte altre icone di valore. Fu poi spogliata della riza quando ancora era in Unione Sovietica.
Essa è ovviamente piuttosto antica; fatto affermato da esperti che hanno potuto esaminarla a San Francisco. Una stima ragionevole della sua data la collocherebbe probabilmente nel XVI o XVII secolo. Da quanto detto, oltreché dalla finezza dell’icona stessa, si può supporre che essa fosse una delle immagini più note nella Russia prerivoluzionaria. Purtroppo, non siamo in grado di fare affermazioni ulteriori.
La cattedrale di San Francisco, dedicata a questa icona, può essere considerata un esempio vivente del suo significato. Fondata nel 1927 da un gruppo di fedeli appartenenti alla Chiesa Ortodossa Russa fuori dalla Russia, i quali desideravano di rimanere nel Sinodo canonico e rifiutavano lo scisma della Metropolia americana, essa iniziò la sua esistenza nel dolore e nelle difficoltà in quanto unica parrocchia fedele in America.
Da quel momento in poi ha vissuto intensamente ogni sofferenza del popolo russo in esilio, così come altre macchinazioni escogitate dal diavolo per la divisione dei fedeli.
Attraverso tutte le sue prove è rimasta fedele alla Chiesa Ortodossa Russa canonica all’estero. Dio ha ricompensato questa fedeltà con una moltitudine di gioie spirituali, tra le quali anche la costruzione della nuova e magnifica cattedrale, rappresentata su questo numero di “The Orthodox Word”, la quale è diventata la più grande parrocchia della Chiesa Ortodossa Russa fuori dalla Russia. Questa si erge come testimonianza della continuità ininterrotta della fede ortodossa piantata, per la prima volta nel Nuovo Mondo, da Padre Herman dell’Alaska.
L’esperienza di questa parrocchia si ripete nella vita di ogni cristiano ortodosso che comprende, attraverso la propria esistenza, le parole del nostro Salvatore: “Voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia” (Giovanni 16,20).
Questa vita ci è stata data come prova, e nella prova c’è senza dubbio dolore e tribolazione, ma lo scopo della vita umana è la gioia che attende coloro che superano questa prova.
Questa gioia la possiamo sperimentare già in questa vita tramite le tribolazioni, se queste sono affrontate con fede cristiana e con l’ausilio della grazia Divina donataci nei sacramenti e per l’intercessione della Theotokos e dei Santi. Questo è, per noi, un’anticipazione della gioia senza fine che ci attende nella vita dopo la morte.
Il Signore della vita fu crocifisso e sepolto, ma risuscitò dalla morte e aprì a tutti le porte della vita eterna. “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!” (Giovanni 16,33).
Nella Resurrezione del nostro Salvatore si trova la garanzia della nostra eterna gioia; e nell’intercessione della Sua Santissima Madre abbiamo il mezzo più sicuro per avvicinarci, al di fuori dei sacramenti stessi, a questa gioia imperitura.
Lei è un ricorso sempre pronto durante le nostre prove, una misericordiosa donatrice di benedizioni e di gioia anche quando la speranza sembra terminata. Possa il tropario della Sua icona essere la nostra preghiera:
“Gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione affrettati, ti preghiamo, e salva i Tuoi servi”.
[2]Nota di redazione Teandrico non presente nell’articolo originale: «Akathistos» si chiama per antonomasia quell’inno liturgico della Chiesa bizantina del secolo V dedicato alla Theotokos, che divenne poi modello di molte altre composizioni liturgiche antiche e recenti. «Akathistos» non è il titolo originario, ma una nota rubrivcale: «non seduti», perché tradizionalmente si canta «stando in piedi», manifestando così una particolare importanza e devozione come accade quando ascolta il Vangelo o si recita il Padre nostro.
[3]Nota di redazione Teandrico non presente nell’articolo originale: Un moleben (slavo ecclesiastico, in greco paraklisis), è un servizio di preghiera di supplica in onore di nostro Signore Gesù Cristo, della Theotokos o di un Santo o di un Martire. È un servizio di tradizione slava ma che si richiama al servizio della Paraklisis. Un moleben è solitamente celebrato da un sacerdote ordinato, ma anche un laico può fare un moleben, sebbene in un’altra forma.
[4] Per un resoconto in inglese di questa icona, vedi Orthodox Life (publ. da Holy Trinity Monastery, Jordanville, New York), 1963, n. 4.
THE ORTHODOX WORD, 1965 – Vol. 1, No. 1, pp. 17-20
THE ORTHODOX WORD
1965 – Vol. 1, No. 1
Gennaio – Febbraio
Pubblicato con la benedizione di sua eminenza John Maximovich, Arcivescovo dell’America Occidentale e San Francisco, Chiesa Ortodossa Russa Fuori dalla Russia.
Editori: Eugine Rose, M.A, & Gleg Podmoshensky, B. Th.
Pagina 17
«Andate dunque, e insegnate ad ogni nazione, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e del Santo Spirito, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo»
Mt 28,18-20
THE ORTHODOX WORD ha una sola ragione d’esistenza: predicare le verità della Cristianità Ortodossa e, così facendo, riunire coloro che la pensano allo stesso modo per offrire una testimonianza unitaria di queste verità. Si rivolge agli Ortodossi di tutte le nazionalità, ai convertiti alla fede ortodossa e a coloro che, al di fuori della Chiesa, desiderano conoscere meglio la sua fede e la sua pratica.
I redattori sono pienamente consapevoli della loro totale inadeguatezza a realizzare le intenzioni esposte. Nessun uomo, o gruppo di uomini, può parlare a nome della Chiesa di Cristo. È tuttavia possibile parlare dall’interno della Chiesa, in conformità con la tradizione Ortodossa, ed è questo che cercheremo di fare.
I redattori sono membri della Chiesa Ortodossa Russa Fuori dalla Russia e obbedienti al Sinodo di questa Chiesa; ma tra i nostri collaboratori ci saranno anche membri di altre Chiese Ortodosse che si preoccupano di preservare la verità e la tradizione Ortodossa nella loro pienezza. All’esterno, è vero, le Chiese Ortodosse presentano al mondo un fronte diviso. Le circostanze storiche, fin da prima della caduta di Costantinopoli nel XV secolo, hanno dettato lo sviluppo di Chiese Ortodosse nazionali in relativo isolamento l’una dall’altra; e nel XX secolo le idee moderniste e la capitolazione ai governi comunisti hanno causato la divisione all’interno di alcune Chiese Ortodosse e fatto deviare molti dal cammino di fedeltà a nostro Signore.
Ma in tutti i paesi Ortodossi, oggi, c’è almeno un residuo fedele di credenti pronti a testimoniare la loro fede senza compromessi di fronte al mondo contemporaneo, fino ad arrivare a condividere il martirio che molti dei nostri fratelli Ortodossi hanno subito in questo secolo.
Tra questi credenti esiste un’unità che è del tutto indipendente da conferenze internazionali o panortodosse; è l’unità di tutti coloro che credono e confessano correttamente l’Ortodossia. La Chiesa ortodossa di Cristo è una e indivisibile in tutti i suoi membri che sono rimasti fedeli alla verità che ogni Chiesa locale possiede fin dalla sua fondazione.
È apparso relativamente poco materiale attendibile che riguarda la Chiesa Ortodossa in inglese, mentre in diverse lingue ortodosse tradizionali – in particolare il greco e il russo – c’è un vero e proprio tesoro di testi che attendono di essere tradotti. Uno degli scopi di questa rivista sarà quello di iniziare ad aprire questo tesoro e distribuire le sue ricchezze a coloro che ne sono affamati. Dopo tutto, la funzione propria di un tesoro non è quella di rimanere inattivo in una cassaforte chiusa, ma di essere utilizzato; i tesori della Santa Ortodossia sono soprattutto un patrimonio attuale il cui valore può essere meglio dimostrato nella vita dei cristiani contemporanei.
Tra i più importanti tesori Ortodossi ci sono le vite dei santi, che ci danno esempi di una vera vita in Cristo. Le vite dei santi recenti non sono meno istruttive, a questo proposito, di quelle dei primi santi; e l’inclusione di entrambe in The Orthodox World dovrebbe servire a sottolineare il fatto che la vita cristiana non è diventata antiquata nel mondo contemporaneo e allo stesso tempo non è cambiata affatto nel corso dei secoli.
Anche il XX secolo ha avuto i suoi santi: uno dei più grandi santi Russi è morto nel 1908, e i martiri di questo secolo sono probabilmente più numerosi di quelli dell’intera epoca dei martiri della Chiesa primitiva.
Un altro prezioso tesoro Ortodosso è costituito dagli scritti dei Santi e dei Padri della Chiesa, sia sui problemi pratici della vita cristiana, sia su argomenti più generali come la dottrina Ortodossa, i sacramenti, la storia della Chiesa, le funzioni religiose e le principali festività dell’anno ecclesiastico. Un’altra fonte di ricchezza spirituale per i cristiani Ortodossi sono le icone di nostro Signore, della Sua Santissima Madre, dei santi e delle feste. È previsto che almeno una di queste venga riprodotta in ogni numero, insieme a una spiegazione del suo significato e a un resoconto della sua storia e dei suoi miracoli.
Questa sarà dunque la funzione principale di The Orthodox Word: rendere più accessibili alcune delle fonti fondamentali della fede Ortodossa. In alcuni casi si tratterà di saggi esplicativi o introduttivi, in modo da rendere accessibile ai lettori contemporanei materiale che potrebbe essere facilmente frainteso da chi non conosce a fondo la vita e il pensiero della Chiesa. Inoltre, il periodico presenterà informazioni sugli avvenimenti contemporanei nel mondo ortodosso. L’Ortodossia, non c’è bisogno di dirlo, fa ormai “notizia”.
La dispersione in Occidente di Ortodossi di ogni nazionalità, l’aumento dei convertiti all’Ortodossia in Europa occidentale e in America, lo stato della Chiesa sofferente dietro la cortina di ferro, gli incontri a livello ufficiale e personale con i cattolici romani e i protestanti, come ad esempio nel Concilio Vaticano e nel Consiglio Mondiale delle Chiese, ed eventi critici all’interno dello stesso mondo Ortodosso — tutti questi e altri fattori si combinano per attirare l’attenzione di un mondo occidentale che, fino a poco tempo fa, aveva praticamente ignorato l’esistenza della Chiesa Ortodossa per secoli, o l’aveva considerata al massimo come una parte “fossilizzata” dell’Oriente.
Ma se l’Ortodossia è diventata “notiziabile”, non tutte le notizie su di lei sono state positive. La posizione dell’Ortodossia nel mondo, le sue relazioni con le altre Chiese, e anche le relazioni delle Chiese Ortodosse tra di loro, sono piuttosto complicate e devono essere viste criticamente e interpretate in modo sano alla luce della verità e della tradizione Ortodossa, con l’intenzione di rimanere assolutamente fedeli a queste, sia nello spirito che nella lettera. I redattori di The Orthodox Word cercheranno, a loro modo, di adempiere a questo solenne dovere.
Speriamo sempre di essere guidati dalla consapevolezza che governa la vita di tutti i fedeli cristiani Ortodossi, una consapevolezza che nessuna complicazione temporanea dovrebbe cancellare. La Chiesa Ortodossa non è solo una Chiesa tra le tante, non è solo “la quarta maggior fede”, ma è l’unica vera Chiesa di nostro Signore Gesù Cristo, alla quale tutti gli uomini sono chiamati e contro la quale «le porte degli inferi non prevarranno» (Mt 16, 18). Essa non è solo una delle tante notizie, ma l’unico contenitore dell’intero mistero della creazione di Dio e del suo piano per l’umanità.
È quindi con uno scopo essenzialmente missionario che questa rivista è stata avviata. Per questo il nostro patrono e protettore celeste è il Padre Herman dell’Alaska, uno dei primi missionari Ortodossi nel continente Americano ed esempio nella vita di ascesi, preghiera e fedeltà ai comandamenti di nostro Signore a cui ogni cristiano, secondo le sue forze, è chiamato. È nell’ottica di lavoro collettivo di una fratellanza nel nome di Padre Herman che presentiamo questa rivista, con un accorato appello ad altri che con lo stesso spirito possano unirsi a noi, con articoli e traduzioni, con commenti e soprattutto con la preghiera, affinché questo lavoro possa essere, con la benedizione di Dio, di aiuto all’Unica Chiesa, Santa, Cattolica e Apostolica di nostro Signore Gesù Cristo.
Archivio di Stato di Reggio Calabria: San Filarete, ritrovamento e miracoli
SAN FILARETE, RITROVAMENTO E MIRACOLI
Testimonianza dall’Archivio di Stato di Reggio del nostro Padre tra i Santi, Filareto l’Ortolano di Seminara. La dizione asceta basiliano è ovviamente non corretta e postuma. Non esiste e non è mai esistito un ‘ordine basiliano’ in Oriente. Denominazione che sorse nel momento in cui, con la conquista normanna delle terre del Sud Italia, si volle normalizzare la presenza dell’Ortodossia in Calabria sotto il papismo. Questi Santi erano semplicemente l’espressione dell’ascetismo calabro ortodosso di lingua greca, ascetismo indigeno, ben radicato e tradizionale nella nostra regione tanto da avere una rinomata area monastica tra Calabria e Basilicata denominata Mercurion.
Per le preghiere del nostro Santo Padre Filareto l’Ortolano, Signore Gesù Cristo, Dio nostro, abbi pietà di noi e salvaci!
Giovedì 22 Febbraio 2024 [1] [2]
“In un unico protocollo dell’anno 1693 del notaio Domenico Michele Guardata troviamo gli atti dedicati a San Filarete, asceta basiliano di origine calabrese. Gli atti sono elencati (non tutti) in un indice a parte, diverso quindi dal normale repertorio dei comuni strumenti, preceduto dal titolo ‘San Filarete’ e seguito dalla firma del notaio e dalla data 1693.
La facciata interna della copertina del protocollo, che è in pergamena, porta attaccato un foglio sul quale è incollata una stampa, che riproduce l’immagine del Santo, di circa 17x13cm, e la seguente didascalia:
«S. Filaretus Monachus Ordinis Sancti Basilii Magni vite austeritate, ac miraculorum gloria clarus, cuius sacrum Corpus Seminariae in Monasterio eiusdem Ordinis summa veneratione colitur eiusque festiva dies 6 Aprilis solemniter celebratur. Sup[eriorum] permis [su]»
Al di sopra della stampa, di mano del notaio, è scritto «S. Filereto, protettore della fedelissima Città di Seminara ritrovato il suo corpo nell’anno 1693 a 17 febraro, nel Monas[te]ro in campagna di detto Santo per il terrimuto successo che abisso’ la Sicilia»
Al di sotto della stampa sempre di mano del notaio vi è scritto «S. Fileretus, ora pro me»
L’immagine del santo, in atteggiamento austero, come si vede nella foto, con la mano sinistra sul cuore e la destra protesa in avanti, si staglia sul fondo di un paesaggio collinare, con a sinistra un borgo e a destra un corso d’acqua da cui emerge a metà, ignudo, un uomo in atteggiamento orante.
L’indice sopraricordato non è completo, in quanto riporta la foliazione di 11 atti, mentre il protocollo ne contiene 14, per complessive 26 pagine; abbraccia un periodo di tempo assai ristretto, dal 22 febbraio al 20 aprile, con i primi 12; del 13 giugno è il penultimo atto ; del 26 dicembre l’ultimo. Il notaio enucleò detti atti dal resto dei contratti e degli altri rogiti fatti nell’anno e li contraddistinse con una croce. Tra questi i più importanti sono i primi due, che riguardano il ritrovamento del corpo del santo e le prove del luogo dove era sepolto, mentre gli altri sono attestazioni di miracoli seguiti al ritrovamento.
Il primo, di cui oggi sono 331 anni dal rogito, è ornato con una croce dorata cartacea incollata, di 4,5×3,5 cm, sovrapposta a margine. Nel f. 23 v. e 24 v. rispettivamente le due note:
1) « detto glorioso Santo Filereto se ne mori nel secolo duodecimo idest l’an[n]o 1170 mentre nel secolo undecimo fu la destrutione di tauriana replublica da cui originem habuit Seminaria» [1]
2) « a 24 ottobre 1697. Si fece la confrunta con li reliquie del braccio tiene la Città di Seminara con la presenza di due fisici dottor Romano et dottor Minni, et coram delegatis e si videro esserne giusti, stante la mancansa come nel istru[men]to presente verum quelli della città sono quattro ossi di braccia due maggiore e due minore e quelli del monas[te]rio furno otto in tutto ossa maiuscoli a benché nel instrumento si dice sette, fu per errore allora, stante che erano rotti alcuni d’essi. Il tutto anche fu con mia presenza. Notar Guardata»
NOTE (nostre, non incluse nel post dell’Archivio di Stato):
[1] Fonte delle immagini: ASRC/SP, Fondo notarile Notaio D. M. Guardata, busta 738, vol. 6908
[2] Post apparso sulla pagina facebook dell’Archivio di Stato di Reggio Calabria in data 22 Febbraio 2024
[2] Tauriana o Taureana (Taurianum in latino, Ταυρανία in greco) fu una città magnogreca, dell’antico territorio Italia e che in epoca remota si estendeva a capoluogo del versante tirrenico fino a comprendere gli attuali territori di Taureana e Palmi. Le sue rovine sono state localizzate nel territorio di Palmi. Il nome della città deriva da quello del populus italico che la fondò, i tauriani. La città italica, che sorgeva sulla riva sud del fiume Metauros (probabilmente il Petrace), segnava il confine del territorio di Région (Reggio Calabria) sul versante tirrenico nord-occidentale, oltre cui iniziava quello di Locri Epizefiri. Successivamente romana e poi bizantina, Tauriana venne distrutta dai saraceni nella metà del X secolo. Gran parte dei rinvenimenti archeologici costituiscono il Parco Archeologico dei Tauriani (Fonte: Wikipedia)
P. Justin Popovic, Sulla convocazione del Grande Concilio della Chiesa Ortodossa, 1977 (ITA – ENG)
P. Justin Popovich
La seguente lettera è stata indirizzata dall’archimandrita serbo P. Justin Popovic di beata memoria, padre spirituale del monastero di Celie Valjevo (Jugoslavia), al vescovo Jovan di Sabac e alla gerarchia serba il 7 maggio 1977, con la richiesta di trasmettere questa lettera al Santo Sinodo e al Consiglio dei Vescovi della Chiesa Ortodossa Serba. La sua rilevanza non è diminuita con il passare degli anni… e forse è aumentata alla luce dei recenti avvenimenti che stanno scuotendo la cattolicità Ortodossa.Si vede bene come alcuni temi, ancora oggi centrali e divisivi, abbiano avuto una lunga gestazione nella storia. La teologia del Padre Justin ci illumina sui veri principi ecclesiologici della Santa Ortodossia che non possono essere scambiati “per un piatto di lenticchie” a pena della stessa salvezza dell’uomo e del mondo.
Non molto tempo fa a Chambesy, vicino a Ginevra, ha avuto luogo la “Prima Conferenza preconciliare” (21-28 novembre 1976). Dopo aver letto e studiato gli atti e le risoluzioni di questo convegno, pubblicati dal “Segretariato per la preparazione del Santo e Grande Concilio della Chiesa Ortodossa” a Ginevra, sento nella mia coscienza l’urgente necessità evangelica, come membro del La Santa e Cattolica Chiesa Ortodossa, anche se come suo più umile servo, di rivolgermi a Vostra Grazia e, attraverso di Lei, al Santo Sinodo dei Vescovi della Chiesa Serba, con questa esposizione che deve esprimere le mie dolorose considerazioni per il futuro Concilio. Prego Vostra Grazia e i Reverendissimi Vescovi di ascoltarmi con zelo evangelico e di ascoltare questo grido di una coscienza ortodossa, che, grazie a Dio, non è né sola né isolata nel mondo ortodosso quando si parla di quel concilio.
1. Dai verbali e dalle risoluzioni della “Prima Conferenza preconciliare”, che, per qualche motivo sconosciuto, si è tenuta a Ginevra, dove è difficile trovare anche solo poche centinaia di fedeli ortodossi, risulta chiaro che questa conferenza ha preparato e ha ordinato un nuovo catalogo di temi per il futuro “Gran Concilio” della Chiesa Ortodossa. Questa non era una di quelle “Conferenze pan-ortodosse”, come quelle che si tenevano a Rodi e successivamente altrove; né è stato il “Pro-Sinodo”, che è stato all’opera finora; si trattava del “Primo Convegno preconciliare”, che avviava la preparazione diretta alla celebrazione di un concilio ecumenico. Inoltre, questo convegno non ha iniziato i suoi lavori sulla base del “Catalogo dei temi, il concilio deve essere “di breve durata” e occuparsi di “un numero limitato di argomenti”; inoltre, secondo le parole del metropolita Meliton, “il Concilio deve approfondire le questioni scottanti che ostacolano il normale funzionamento del sistema che collega le Chiese locali in una sola Chiesa ortodossa…” (“Atti”, p. 55) Tutto ciò obbliga a chiedersi: cosa significa? Perché tutta questa fretta nella preparazione? Dove ci porterà tutto questo?
2. La questione della preparazione e della celebrazione di un nuovo concilio ecumenico della Chiesa ortodossa non è né nuova né recente in questo ultimo secolo della storia della Chiesa. La questione era già stata proposta durante la vita dello sfortunato patriarca di Costantinopoli, Meletios Metaxakis – il celebre e presuntuoso modernista, riformatore e autore di scismi all’interno dell’Ortodossia – al suo Congresso pan-ortodosso tenutosi a Costantinopoli nel 1923. Fu raccomandato che il concilio si tenesse nella città di Nis nel 1925, ma poiché Nis non si trovava nel territorio del Patriarcato ecumenico, il concilio non fu convocato, probabilmente proprio per questo motivo. In generale, a quanto pare, Costantinopoli ha ipotizzato il monopolio della “Pan-Ortodossia”, di tutti i “Congressi”, delle “Conferenze”, “Pro-sinodi” e “concili”. Più tardi, nel 1930, presso il monastero di Vatopedi, ebbe luogo la Commissione preparatoria delle Chiese ortodosse. Essa definì il catalogo degli argomenti per il futuro pro-sinodo ortodosso, che avrebbe dovuto preludere al concilio ecumenico.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale fu la volta del Patriarca Atenagora di Costantinopoli con le sue Conferenze Panortodosse a Rodi (sempre esclusivamente nel territorio del Patriarcato di Costantinopoli). Il primo di essi, nel 1961, prevedeva la preparazione di un Concilio pan-ortodosso a condizione che fosse convocato un pro-sinodo, e confermava un catalogo di temi già preparato dal Patriarcato di Costantinopoli: otto capitoli interi con quasi quaranta argomenti principali e il doppio dei paragrafi e sottoparagrafi.
Dopo le Conferenze di Rodi II e III (1963 e 1964), nel 1966 si tenne la Conferenza di Belgrado. Dapprima questa fu chiamata Quarta Conferenza Panortodossa (Glasnik della Chiesa Ortodossa Serba, n. 10, 1966 e documenti in greco pubblicati sotto questo titolo), ma in seguito fu ridotta dal Patriarcato di Costantinopoli al grado di Inter-Commissione Ortodossa, affinché la conferenza successiva, tenutasi nel “territorio” di Costantinopoli (il Centro Ortodosso del Patriarcato Ecumenico a Chambesy-Ginevra) nel 1968, potesse essere acclamata al suo posto come Quarta Conferenza Pan-Ortodossa. In questa conferenza, a quanto pare, i suoi impazienti organizzatori si sono affrettati ad abbreviare il percorso verso il concilio, poiché dall’enorme catalogo di Rodi (il loro lavoro, tuttavia, e di nessun altro) hanno preso solo i primi sei argomenti e hanno definito una nuova procedura di lavoro. Allo stesso tempo è stata varata una nuova istituzione: la Commissione preparatoria interortodossa, indispensabile per il coordinamento dei lavori sui temi. Inoltre è stata istituita la Segreteria per la Preparazione del Concilio; si trattava infatti di un vescovo di Costantinopoli a cui venne assegnato l’incarico, con sede nella suddetta Ginevra – nello stesso tempo furono respinte le proposte di includere nel Segretariato altri membri ortodossi. Questa commissione preparatoria e il Segretariato, per desiderio di Costantinopoli, si riunirono a Chambésy nel giugno 1971. In tale riunione esaminarono e approvarono all’unanimità gli abstract dei sei argomenti selezionati, che successivamente furono pubblicati in diverse lingue e presentati, come tutto il precedente lavoro di preparazione al concilio, alle critiche spietate dei teologi ortodossi. Le critiche dei teologi ortodossi (tra cui il mio Memorandum inviato a suo tempo per Vostra Grazia e, con l’approvazione di Vostra Grazia, al Santo Sinodo dei Vescovi, e successivamente approvato da molti teologi ortodossi e pubblicato in varie lingue del mondo ortodosso) sembrano spiegare perché la decisione della Commissione preparatoria di Ginevra di convocare nel 1972 la Prima Conferenza preconciliare per la revisione del catalogo di Rodi, di fatto non fu rispettata quell’anno, e la conferenza ebbe luogo solo con grande ritardo.
Questa Prima Conferenza Preconciliare si tenne solo nel novembre del 1976, sempre, ovviamente, sul “territorio” costantinopolitano, nel suddetto centro di Chambesy, vicino a Ginevra. Come risulta dagli atti e dalle risoluzioni, appena pubblicati e da me attentamente studiati, questo convegno ha riesaminato il catalogo di Rodi a tal punto che le delegazioni partecipanti ai lavori delle varie commissioni hanno scelto all’unanimità solo dieci temi per il concilio (dei sei originari solo tre figuravano nell’elenco!), mentre una trentina di temi, scelti non all’unanimità, furono riservati allo “studio particolare nelle singole Chiese” sotto forma di “problematiche della Chiesa ortodossa” (un concetto del tutto estraneo all’Ortodossia). In futuro questi temi potrebbero diventare oggetto di “esami ortodossi” e magari essere inseriti nel catalogo. Come già affermato, questo convegno ha modificato il processo e la metodologia di elaborazione dei temi e dei lavori preparatori del concilio che, ripeto, secondo gli organizzatori sia di Costantinopoli che di altri luoghi, dovrebbero svolgersi “al più presto possibile”. Da tutto ciò risulta chiaro ad ogni cristiano ortodosso che il Primo Convegno preconciliare non ha proposto nulla di sostanzialmente nuovo, ma continua piuttosto a condurre gli animi ortodossi e le coscienze di molti in labirinti sempre nuovi costituiti da ambizioni personali. Questo è il motivo per cui, a quanto pare, il Concilio ecumenico è in preparazione dal 1923, e il motivo per cui al momento si desidera realizzarlo in fretta.
3. Tutte le “problematiche” contemporanee riguardanti i temi del futuro concilio, l’incertezza e la mutevolezza della loro invenzione, la loro determinazione, la loro “catalogazione” artificiale, così come tutti i nuovi cambiamenti e “revisioni”, dimostrano ad ogni vera coscienza ortodossa una sola cosa: che al momento non ci sono problemi seri o urgenti che giustifichino la convocazione e la celebrazione di un nuovo concilio ecumenico della Chiesa ortodossa. E se tuttavia esistesse un tema degno di essere oggetto della convocazione e della celebrazione di un concilio ecumenico, non è noto ai presenti promotori, organizzatori e redattori di tutti i suddetti “Convegni” con i loro precedenti e attuali “cataloghi”. Se così non fosse, come spiegare allora che, a partire dall’incontro di Costantinopoli del 1923, passando per Rodi nel 1961 e fino a Ginevra nel 1976, le “tematiche” e le “problematiche” del futuro concilio siano state costantemente cambiate? Le modifiche riguardano il numero, l’ordine, i contenuti e gli stessi criteri impiegati per il Catalogo dei Temi che dovrà costituire l’opera di questo grande e unico corpo ecclesiastico che è il Santo Concilio Ecumenico della Chiesa Ortodossa, come è stato e come deve essere. In realtà, tutto ciò manifesta e sottolinea non solo la consueta incoerenza, ma anche un’evidente incapacità di comprendere la natura dell’Ortodossia da parte di coloro che attualmente, nell’attuale situazione, e in tal modo imporrebbe il loro “Concilio” alle Chiese ortodosse – un’ignoranza e un’incapacità di sentire o comprendere ciò che un vero concilio ecumenico ha significato e significa sempre per la Chiesa ortodossa e per il pleroma dei suoi fedeli che portano il nome di Cristo. Perché se percepissero e si rendessero conto di questo, saprebbero innanzitutto che mai nella storia e nella vita della Chiesa ortodossa un singolo concilio, per non parlare di un evento così eccezionale e pieno di grazia (come la stessa Pentecoste) come un concilio ecumenico, ha cercato e inventato argomenti in questo modo artificiale per i suoi lavori e le sue sessioni; – mai sono state convocate conferenze, congressi, pro-sinodi e altre riunioni artificiali, sconosciute alla tradizione conciliare ortodossa, e in realtà prese in prestito da organizzazioni occidentali estranee alla Chiesa di Cristo.
La realtà storica è perfettamente chiara: i santi Concili dei Santi Padri, convocati da Dio, sempre, sempre avevano davanti a sé una, o al massimo due o tre questioni poste dall’estrema gravità delle grandi eresie e scismi che snaturavano la fede ortodossa. La fede ha lacerato la Chiesa e ha messo seriamente in pericolo la salvezza delle anime umane, la salvezza del popolo di Dio ortodosso e dell’intera creazione di Dio. Pertanto, i concili ecumenici hanno sempre avuto un carattere cristologico, soteriologico, ecclesiologico, il che significa che il loro unico e centrale tema – la loro Buona Novella – è sempre stato il Dio-Uomo Gesù Cristo e la nostra salvezza in Lui, la nostra divinizzazione in Lui. Sì, Lui, il Figlio di Dio, unigenito e consustanziale, incarnato; Lui – l’eterno Capo del Corpo della Chiesa per la salvezza e la divinizzazione dell’uomo; Lui – interamente nella Chiesa per la grazia dello Spirito Santo, per la vera fede in Lui, per la fede ortodossa.
Questo è il tema veramente ortodosso, apostolico e patristico, il tema immortale della Chiesa del Dio-Uomo, per tutti i tempi, passati, presenti e futuri. Soltanto questo potrà essere l’oggetto di un eventuale futuro concilio ecumenico della Chiesa ortodossa, e non un qualche catalogo scolastico-protestante di argomenti che non hanno alcuna relazione essenziale con la vita spirituale e l’esperienza dell’Ortodossia apostolica nel corso dei secoli, poiché non è altro che un serie di teoremi anemici e umanistici. L’eterna cattolicità della Chiesa ortodossa e di tutti i suoi concili ecumenici consiste nella Persona onnicomprensiva dell’Uomo-Dio, il Signore Cristo. Questa è la realtà centrale e universale, il tema dei Concili ortodossi, questo è il mistero e la realtà unici del Dio-Uomo, sul quale si edifica e si sostiene la Chiesa Ortodossa di Cristo con tutti i concili ecumenici e tutta la sua realtà storica. Su questo fondamento dobbiamo costruire, anche oggi, davanti al cielo e alla terra, e non sui temi scolastico-protestanti e umanistici utilizzati dai delegati o delegazioni ecclesiastiche di Costantinopoli o di Mosca, che in questo momento storico amaro e critico si presentano come “leader e rappresentanti” della Chiesa ortodossa nel mondo.
4. Dagli atti dell’ultima Conferenza preconciliare di Ginevra, come in situazioni simili precedenti, risulta chiaro che le delegazioni ecclesiastiche di Costantinopoli e di Mosca differiscono poco tra loro rispetto ai problemi e ai temi posti come oggetto del lavorare per il futuro consiglio. Hanno gli stessi argomenti, quasi lo stesso linguaggio, la stessa mentalità, simili ambizioni. Ciò, tuttavia, non è una sorpresa. Chi rappresentano infatti in questo momento, quale Chiesa e quale popolo di Dio? La gerarchia costantinopolitana in quasi tutti i raduni pan-ortodossi è composta principalmente da metropoliti e vescovi titolari, da pastori senza greggi e senza responsabilità pastorale concreta davanti a Dio e al proprio gregge vivente. Chi rappresentano e chi rappresenteranno al futuro consiglio? Tra i rappresentanti ufficiali del Patriarcato ecumenico non ci sono vescovi delle isole greche dove si trovano veri greggi ortodossi; non ci sono vescovi diocesani greci provenienti dall’Europa o dall’America, per non parlare di altri vescovi – russi, americani, giapponesi, africani, che hanno grandi greggi ortodossi ed eccellenti teologi ortodossi. D’altra parte, l’attuale delegazione del Patriarcato di Mosca rappresenta davvero la santa e martire grande Chiesa russa e i milioni dei suoi martiri e confessori conosciuti solo da Dio? A giudicare da ciò che queste delegazioni dichiarano e difendono, ovunque si rechino fuori dall’Unione Sovietica, non rappresentano né esprimono il vero spirito e l’atteggiamento della Chiesa ortodossa russa e del suo fedele gregge ortodosso, poiché il più delle volte queste delegazioni mettono le cose di Cesare prima delle cose di Dio. Il comandamento scritturale, tuttavia, è diverso: “Sottomettetevi piuttosto a Dio che agli uomini” (Atti 5:29).
Inoltre, è corretto, è ortodosso avere tali rappresentanze delle Chiese ortodosse nei vari incontri panortodossi a Rodi o a Ginevra? I rappresentanti di Costantinopoli che hanno avviato questo sistema di rappresentanza delle Chiese ortodosse nei concili e coloro che accettano questo principio che, secondo la loro teoria, è in accordo con il “sistema delle Chiese locali autocefale e autonome” – hanno dimenticato che tale principio contraddice la tradizione conciliare dell’Ortodossia. Purtroppo questo principio di rappresentanza è stato accettato rapidamente e da tutti gli altri ortodossi: a volte silenziosamente, a volte con proteste votate, ma dimenticando che la Chiesa ortodossa, per sua natura e per la sua costituzione dogmaticamente immutabile, è episcopale e centrata nei vescovi. Perché il vescovo e i fedeli raccolti attorno a lui sono espressione e manifestazione della Chiesa come Corpo di Cristo, soprattutto nella santa Liturgia: la Chiesa è apostolica e cattolica solo in virtù dei suoi vescovi, in quanto sono capi di veri unità ecclesiastiche, le diocesi. Allo stesso tempo, le altre forme storicamente successive e variabili di organizzazione ecclesiastica della Chiesa ortodossa: metropoli, arcidiocesi, patriarcati, pentarchie, autocefalie, autonomie, ecc., per quante possano essere o saranno, possono avere o fare, non hanno un significato determinante e decisivo nel sistema conciliare della Chiesa ortodossa. Inoltre, essi possono costituire un ostacolo al corretto funzionamento del principio conciliare se ostacolano e rifiutano il carattere e la struttura episcopale della Chiesa e delle Chiese. Qui, senza dubbio, si trova la differenza principale tra l’ecclesiologia ortodossa e quella papale.
Se è così, come possono essere rappresentate secondo il principio della delega, cioè con lo stesso numero di delegati, ad esempio, la Chiesa ceca e quella rumena? O, ancor più, i Patriarcati di Russia e di Costantinopoli? Quali gruppi di fedeli rappresentano i primi vescovi e quali i secondi? Negli ultimi tempi il Patriarcato di Costantinopoli ha prodotto una moltitudine di vescovi e metropoliti, quasi tutti titolari e fittizi. È possibile che si tratti di una misura preparatoria per garantire al futuro “Concilio ecumenico”, con la sua moltitudine di titoli, la maggioranza dei voti per le ambizioni neo-papali del Patriarcato di Costantinopoli? D’altro canto, le Chiese apostolicamente zelanti nel lavoro missionario, come la Metropolia americana, la Chiesa russa all’estero, la Chiesa giapponese e altri non possono avere un solo rappresentante!
Dov’è in tutto ciò il principio cattolico dell’Ortodossia? Che tipo di concilio ecumenico sarà questo della Chiesa Ortodossa di Cristo? Già alla Conferenza di Ginevra, Ignatios, metropolita di Laodicea e rappresentante del Patriarcato di Antiochia, aveva affermato con tristezza: “Percepisco un disagio, perché si danneggia l’esperienza conciliare che è il fondamento della Chiesa ortodossa”.
5. Tuttavia, Costantinopoli e alcuni altri non vedono l’ora di convocare il “concilio”. È innanzitutto in accordo con i loro desideri e con le loro insistenza che la Prima Conferenza preconciliare di Ginevra ha deciso che “il Concilio debba essere convocato al più presto possibile”, che questo Concilio debba essere “di breve durata” e che debba “prendere in considerazione un piccolo numero di argomenti.” E vengono citati i dieci temi scelti. I primi quattro temi sono: la diaspora; la questione dell’autocefalia ecclesiastica e le condizioni per la sua proclamazione; l’autonomia e la sua proclamazione; i dittici, cioè l’ordine di precedenza tra le Chiese ortodosse.
L’obiettività evangelica obbliga a notare che la condotta del presidente della Conferenza preconciliare, il metropolita Meliton, è stata dispotica e inadatta a un concilio. Ciò emerge chiaramente da ogni pagina degli atti pubblicati del convegno. Lì si afferma chiaramente e in maniera trasparente che “questo Santo e Grande Concilio della Chiesa Ortodossa che si sta preparando non deve essere considerato come unico, escludendo l’ulteriore convocazione di altri Santi e Grandi Concili” (“Atti”, pp. 18, 20, 50, 55, 60).
Di fronte a tutto ciò, una coscienza evangelicamente sensibile non può fare a meno di porsi la domanda scottante: qual è il vero fine di un concilio convocato così frettolosamente e in modo così prepotente?
Reverendissimi Vescovi, non riesco a liberarmi dall’impressione e dalla convinzione che tutto ciò indichi il segreto desiderio di alcune note personalità del Patriarcato di Costantinopoli: che il primo in onore dei Patriarcati ortodossi imponga le sue idee e procedure a tutte le Chiese ortodosse autocefale , e in generale sul mondo ortodosso e sulla diaspora ortodossa, e sancire tale intenzione neopapista mediante un “concilio ecumenico”. Per questo motivo, tra i dieci temi selezionati per il concilio sono stati inseriti, anzi sono i primi, proprio quei temi che rivelano l’intenzione di Costantinopoli di sottomettere a sé l’intera diaspora ortodossa – e cioè il mondo intero! e di garantirsi il diritto esclusivo di concedere l’autocefalia e l’autonomia in generale a tutte le Chiese ortodosse del mondo, presenti e future, e allo stesso tempo di determinarne l’ordine e il rango a propria discrezione (questo è esattamente ciò che implica la questione dei dittici, perché non riguardano solo l'”ordine di commemorazione liturgica”, ma anche l’ordine di precedenza nei concili, ecc.)
Mi inchino con riverenza davanti alle conquiste secolari della Grande Chiesa di Costantinopoli, e davanti alla sua croce attuale, che non è né piccola né facile, che, secondo la natura delle cose, è la croce di tutta la Chiesa – poiché, come dice L’Apostolo: “Quando un membro soffre, tutto il corpo soffre”. Riconosco inoltre il rango canonico e il primo posto in onore di Costantinopoli tra le Chiese ortodosse locali, che sono uguali in onore e diritti. Ma non sarebbe conforme al Vangelo se a Costantinopoli, a causa delle difficoltà in cui si trova ora, si permettesse di portare l’intera ortodossia sull’orlo del baratro, come avvenne nello pseudoconcilio di Firenze, oppure canonizzare e dogmatizzare particolari forme storiche che, in un dato momento, possano trasformarsi da ali in pesanti catene, legando la Chiesa e la sua presenza trasfigurante nel mondo. Siamo franchi: la condotta dei rappresentanti di Costantinopoli negli ultimi decenni è stata caratterizzata dalla stessa malsana inquietudine, dalla stessa condizione spiritualmente malata che portò la Chiesa al tradimento e alla disgrazia di Firenze nel XV secolo. (Né la condotta della stessa Chiesa sotto il giogo turco è stata un esempio di tutti i tempi. Sia il giogo fiorentino che quello turco erano pericolosi per l’Ortodossia.) Con la differenza che oggi la situazione è ancora più inquietante: un tempo Costantinopoli era un organismo vivo con milioni di fedeli: seppe superare senza indugio la crisi provocata dai corsi esterni come anche la tentazione di sacrificare la fede e il Regno di Dio per i beni di questo mondo. Oggi, però, ha solo metropoliti senza fedeli, vescovi che non hanno nessuno da guidare (cioè senza diocesi), che tuttavia desiderano controllare i destini dell’intera Chiesa. Oggi non deve, non può esserci una nuova Firenze! Né la situazione attuale può essere paragonata alle difficoltà del giogo turco. Lo stesso ragionamento vale per il Patriarcato di Mosca. Si permetterà che le sue difficoltà o quelle di altre Chiese locali sotto il comunismo ateo determinino il futuro dell’Ortodossia?
Le sorti della Chiesa non sono né possono più essere nelle mani dell’imperatore bizantino o di qualunque altro sovrano. Non è il controllo di un patriarca o di alcuno dei potenti di questo mondo, nemmeno in quello della “Pentarchia” o delle “autocefalie” (intese in senso stretto). Per la potenza di Dio la Chiesa è cresciuta fino a diventare una moltitudine di Chiese locali con milioni di fedeli, molti dei quali ai nostri giorni hanno suggellato con il loro sangue la loro successione apostolica e la fedeltà all’Agnello. E nuove Chiese locali sembrano sorgere all’orizzonte, come quella giapponese, quella africana e quella americana, e la loro libertà nel Signore non deve essere tolta da nessuna “super-Chiesa” di tipo papale (cfr Canone 8, III Concilio Ecumenico), poiché ciò significherebbe un attacco all’essenza stessa della Chiesa. Senza il loro concorso è inconcepibile la soluzione di qualsiasi questione ecclesiastica di rilevanza ecumenica, per non parlare della soluzione delle questioni che li riguardano immediatamente, cioè il problema della diaspora. La secolare lotta dell’Ortodossia contro l’assolutismo romano è stata una lotta proprio per la libertà della Chiesa locale in quanto cattolica e conciliare, completa e integra in se stessa. Dobbiamo oggi percorrere la strada della prima e caduta Roma, o di qualche “seconda” o “terza” simile ad essa? Dobbiamo credere che Costantinopoli, che nelle persone dei suoi santi e grandi gerarchi, del suo clero e del suo popolo, si è opposta così coraggiosamente nei secoli passati al protezionismo e all’assolutismo romano, si stia oggi preparando a ignorare le tradizioni conciliari dell’Ortodossia e a scambiarle con il surrogato neopapale di una “seconda”, “terza” o altra sorta di Roma?
6. Venerabilissimi Padri! Tutti gli ortodossi vedono e si rendono conto di quanto sia importante, quanto sia significativa oggi la questione della diaspora ortodossa sia per la Chiesa ortodossa in generale che per tutte le Chiese ortodosse individualmente. Si può risolvere questa questione, come vogliono Costantinopoli o Mosca, senza fare riferimento, senza la partecipazione dei fedeli ortodossi, pastori e teologi della stessa diaspora, che ogni giorno aumenta? Il problema della diaspora, senza dubbio, è una questione ecclesiale di eccezionale importanza; è una questione che è emersa per la prima volta nella storia con tanta forza e significato. Per la sua soluzione ci sarebbe davvero motivo di convocare un concilio veramente ecumenico a cui partecipino veramente tutti i vescovi ortodossi di tutte le Chiese ortodosse. Un’altra questione che, a nostro avviso, potrebbe e dovrebbe essere esaminata in un autentico concilio ecumenico della Chiesa ortodossa è quella dell’ecumenismo. Si tratta, propriamente, di una questione ecclesiologica che riguarda la Chiesa come unità e organismo teandrico, unità e organismo che sono messi in dubbio dal sincretismo ecumenico contemporaneo. È anche legata alla questione dell’uomo, per il quale il nichilismo delle ideologie contemporanee, soprattutto atee, ha scavato una fossa senza speranza di resurrezione. Entrambe le questioni possono essere risolte correttamente e in modo ortodosso solo procedendo dai fondamenti teandrici degli antichi e veri concili ecumenici. Per il momento, tuttavia, lascio da parte questi problemi per non appesantire questo appello con nuove discussioni e per non ampliarlo eccessivamente.
La questione della diaspora è, quindi, allo stesso tempo grave ed estremamente importante nell’Ortodossia contemporanea. Tuttavia, esistono attualmente le condizioni che garantirebbero che la sua soluzione in concilio sia corretta, ortodossa e secondo l’insegnamento dei Santi Padri? È possibile, infatti, che ci sia una rappresentanza libera e reale di tutte le Chiese ortodosse in un concilio ecumenico senza che influenze esterne le disturbino? I rappresentanti di molti, soprattutto delle Chiese sotto regimi militanti atei, sono davvero in grado di esprimere e difendere i principi ortodossi? Può una Chiesa che rinnega i propri martiri essere un autentico confessore della Croce del Golgota, ovvero portatrice dello spirito e della coscienza conciliare della Chiesa di Cristo? Prima che si tenga un concilio, chiediamoci se sarà possibile che in essa parli la coscienza di milioni di nuovi martiri, resi bianchi dal sangue dell’Agnello. L’esperienza della storia insegna che ogni volta che la Chiesa viene crocifissa, ciascuno dei suoi membri è chiamato a soffrire per la sua Verità, e a non dibattere problemi artificiali o cercare false risposte a domande vere – “pescando in acque torbide” per soddisfare le ambizioni personali. Non ricordiamo che finché le persecuzioni della Chiesa durarono, non furono convocati concili ecumenici – il che non significa che la Chiesa di Dio in quei tempi non vivesse o non funzionasse in modo conciliare. Al contrario, l’epoca delle persecuzioni fu il suo periodo più ricco di frutti. E quando in seguito si riunì il Primo Concilio Ecumenico, si riunirono anche i confessori con le loro ferite e cicatrici, i vescovi provati dal fuoco della sofferenza, che allora potevano testimoniare liberamente di Cristo come Dio e Signore. Il loro spirito sarà presente anche in questo momento? In altre parole, i vescovi del nostro tempo che sono simili ai martiri saranno presenti al concilio che si sta preparando, in modo che questo concilio possa pensare secondo lo Spirito Santo e parlare e decidere secondo Dio, e che in esso non siano ascoltati soprattutto coloro che non sono liberi dall’influenza delle potenze di questo mondo? Consideriamo, ad esempio, il gruppo di vescovi della Chiesa russa fuori dalla Russia che, con tutta la loro debolezza umana, portano su di sé i vincoli del Signore e della Chiesa russa che è fuggita nel deserto dalle persecuzioni non inferiori a quelle di Diocleziano: questi vescovi sono stati esclusi in anticipo da Mosca e Costantinopoli dalla partecipazione al concilio, e in questo modo condannati al silenzio. Pensiamo a quei vescovi della Russia e di altri Paesi apertamente atei che non potranno partecipare liberamente al concilio, né parlare e prendere decisioni liberamente; ad alcuni di loro non sarà nemmeno permesso di partecipare al concilio. Per non parlare dell’impossibilità per loro o per le loro Chiese di prepararsi in modo degno per un’occasione così grande e significativa. Non è questa una prova più che sufficiente del fatto che al concilio la coscienza della Chiesa martire e la coscienza del pleroma ecclesiastico saranno entrambe silenziose, che ai loro rappresentanti non sarà permesso nemmeno di entrare – come è successo con uno dei più illustri testimoni della Chiesa perseguitata all’assemblea di Nairobi (mi riferisco in particolare a Solzhenitsyn)?
Possiamo lasciare da parte la questione di quanto possa essere morale o addirittura normale che in un momento in cui il Signore Gesù Cristo e la fede in Lui sono crocifissi in modo più terribile che mai, i Suoi seguaci debbano decidere chi sarà il primo tra loro. In un tempo in cui Satana cerca non solo il corpo ma l’anima stessa dell’uomo e del mondo, quando l’umanità è minacciata di autodistruzione, è morale e normale che i discepoli di Cristo si occupino delle stesse domande (e allo stesso modo) delle ideologie anticristiane contemporanee – ideologie che vendono il Pane della Vita per un piatto di lenticchie?
Tenendo presente tutto ciò e dolorosamente consapevole della situazione della Chiesa ortodossa contemporanea e del mondo in generale – che non è sostanzialmente cambiata dal mio ultimo appello al Santo Consiglio dei Vescovi (maggio 1971) la mia coscienza mi obbliga ancora una volta a rivolgermi con insistenza e supplica al Santo Sinodo episcopale della Chiesa serba martirizzata: la nostra Chiesa serba si astenga dal partecipare ai preparativi del “concilio ecumenico”, anzi dal partecipare al concilio stesso. Perché se questo concilio, Dio non voglia, dovesse effettivamente realizzarsi, ci si può aspettare solo un tipo di risultato: scismi, eresie e la perdita di molte anime. Considerando la questione dal punto di vista dell’esperienza apostolica, patristica e storica della Chiesa, un tale concilio, invece di guarire, non farà altro che aprire nuove ferite nel corpo della Chiesa e infliggerle nuovi problemi e nuove disgrazie.
Mi raccomando alla preghiera santa e apostolica dei Padri del Santo Sinodo dei Vescovi della Chiesa Ortodossa Serba.
L’indegno archimandrita Justin (padre spirituale del monastero di Chelie)
Vigilia della festa di San Giorgio, 1977 Monastero di Chelie, Valjevo (Jugoslavia)
ENGLISH VERSION
On a Summoning of the Great Council of the Orthodox Church
Archimandrite Justin Popovich
The following letter was addressed by Archimandrite Dr. Justin Popovic of blessed memory, spiritual father of the monastery of Celie Valjevo (Yugoslavia), to Bishop Jovan of Sabac and the Serbian hierarchy on May 7, 1977, with the request to transmit this letter to the Holy Synod and the Council of Bishops of the Serbian Orthodox Church. Its relevance has not diminished with the passing years… and perhaps has increased in the light of the recent scandalous and unOrthodox events on Mount Athos.
Not long ago in Chambesy, near Geneva, the “First Pre-Conciliar Conference” took place (November 21-28, 1976). After reading and studying the acts and resolutions of this conference, published by the “Secretariat for the Preparation of the Holy and Great Council of the Orthodox Church” in Geneva, I feel in my conscience the urgent, evangelical necessity, as a member of the Holy and Catholic Orthodox Church, even though its humblest servant, to turn to Your Grace and, through you, to the Holy Council of Bishops of the Serbian Church, with this exposition that must express my grievous considerations for the future council. I beg Your Grace and the Most Reverend Bishops to hear me with evangelical zeal and to listen to this cry of an Orthodox conscience, which, thanks be to God, is neither alone nor isolated in the Orthodox world whenever there is mention of that council.
1. From the minutes and resolutions of the “First Pre-Conciliar Conference,” which, for some unknown reason, was held in Geneva, where it is difficult to find even a few hundred Orthodox faithful, it is clear that this conference prepared and ordained a new catalogue of topics for the future “Great Council” of the Orthodox Church. This was not one of those “Pan-Orthodox Conferences,” such as were held on Rhodes and subsequently elsewhere; nor was it the “Pro-Synod,” which has been at work until now; this was the “First Pre-Conciliar Conference,” initiating the direct preparation for the celebration of an ecumenical council. Moreover, this conference did not begin its work on the foundation of the “Catalogue of Topics,” established at the first Pan-Orthodox Conference in 1961 on Rhodes and unelaborated up until 1971, instead it compiled a revision of this catalogue and set forth its own new “Catalogue of Topics” for the council. Apparently, however, not even this catalogue is definitive, for it will very likely again be altered and supplemented. Lately, the Conference has also reconsidered the methodology formerly adopted in the planning and final preparation of topics for the council. It abbreviated this entire process in view of its haste and urgency to summon the council as soon as possible. For, according to the explicit declaration of Metropolitan Meliton, presiding chairman of the Conference, the Patriarchate of Constantinople and certain others “are hastening to summon” and celebrate the future council: the council must be “of short duration” and occupy itself with “a limited number of topics”; moreover, in the words of Metropolitan Meliton, “The Council must delve into the burning questions that obstruct the normal functioning of the system linking up the local Churches, into the one, single Orthodox Church…” (“Acts,” p.55) All of this obliges us to ask: what does it mean? Why all this haste in the preparation? Where is all of this going to lead us?
2. The questions of the preparation and celebration of a new ecumenical council of the Orthodox Church is neither new nor recent in this century of the history of the Church. The matter was already proposed during the lifetime of that hapless Patriarch of Constantinople, Meletios Metaxakis – the celebrated and presumptuous modernist, reformer, and author of schisms within Orthodoxy – at his Pan-Orthodox Congress held in Constantinople in 1923. (At this time it was recommended that the council be held in the city of Nis in 1925, but since Nis was not in the territory of the Ecumenical Patriarchate, the council was not convened, probably for that very reason. In general, as it appears, Constantinople has assumed the monopoly of “Pan-Orthodoxy,” of all the “Congresses,” “Conferences,” “Pro-Synods” and “Councils.”) Later on, in 1930, at the monastery of Vatopedi, the Preparatory Commission of the Orthodox Churches took place. It defined the Catalogue of Topics for the Future Orthodox Pro-Synod, which should have been the prelude to the ecumenical council.
After the Second World War came the turn of Patriarch Athenagoras of Constantinople with his Pan-Orthodox Conferences on Rhodes (again, exclusively in the territory of the Patriarchate of Constantinople). The first of them, in 1961, called for the preparation of a Pan-Orthodox Council on condition that a pro-synod be summoned, and it confirmed a catalogue of topics which had already been prepared by the Patriarchate of Constantinople: eight full chapters with nearly forty primary topics and twice again as many paragraphs and subparagraphs.
After the Rhodes Conferences II and III (1963 and 1964), in 1966 the Belgrade Conference was held. At first this was called the Fourth Pan-Orthodox Conference (Glasnik of the Serbian Orthodox Church, No. 10, 1966 and documents in Greek published under this title), but later it was reduced by the Patriarchate of Constantinople to the grade of an Inter-Orthodox Commission, so that the succeeding conference, held in Constantinopolitan “territory” (the Orthodox Centre of the Ecumenical Patriarchate at Chambesy-Geneva) in 1968, might be acclaimed the Fourth Pan-Orthodox Conference in its place. At this conference, apparently, its impatient organizers hastened to shorten the path to the council, for from the enormous catalogue of Rhodes (their own work, however, and nobody else’s) they took only the first six topics and defined a new procedure of work. At the same time there was established a new institution: the Inter-Orthodox Preparatory Commission, indispensable for the coordination of work on the topics. Moreover, the Secretariat for the Preparation of the Council was also established; in fact, this meant a bishop of Constantinople who was assigned the task, with his seat at the above-named Geneva – at the same time proposals for including other Orthodox members in the Secretariat were rejected. This preparatory commission and the Secretariat, by wish of Constantinople held a meeting at Chambesy in June, 1971. At this meeting they examined and unanimously approved abstracts of the selected six topics, which subsequently were published in several languages and submitted, like all the previous work in preparation for the council, to the merciless criticism of Orthodox theologians. The criticisms of the Orthodox theologians (among them my Memorandum sent at that time through Your Grace and, with Your Grace’s approval, to the Holy Council of Bishops, and subsequently approved by many Orthodox theologians and published in various languages in the Orthodox world) apparently explain why the decision of the Preparatory Commission of Geneva to convene in 1972 the First Pre-Conciliar Conference for the revision of the catalogue of Rhodes, was in fact not observed that year, and the conference took place only with great delay.
This First Pre-Conciliar Conference was held only in November of 1976, again, of course, on Constantinopolitan “territory” at the above-named centre in Chambesy, near Geneva. As is clear from the acts and resolutions, only now just published, and which I have carefully studied, this conference re-examined the catalogue of Rhodes to such an extent that the delegations participating in the work of the various committees unanimously chose only ten topics for the council (only three of the original six were included in the list!), while about thirty topics, not unanimously chosen, were set aside for “particular study in the individual Churches” in the form of “problematics of the Orthodox Church” (a concept entirely alien to Orthodoxy). In the future these topics could become the subject of “Orthodox examinations” and perhaps be included in the catalogue. As already stated, this conference altered the process and methodology of elaborating the topics and the preparatory work of the council which, I repeat, according to the organizers from both Constantinople and other places, should take place “as soon as possible.” From all this, it is clear to every Orthodox Christian that the First Pre-Conciliar Conference has not come up with anything substantially new, but continues rather to lead Orthodox souls as well as the consciences of many into ever new labyrinths constituted by personal ambitions. This is the reason why, it would seem, the ecumenical council has been in preparation since 1923, and why at the present time it is desired to bring it to a hasty realization.
3. All the contemporary “problematics” concerning the topics of the future council, the uncertainty and mutability of their invention, their determination, their artificial “cataloguing,” as well as all the new changes and “revisions”, demonstrate to every true Orthodox conscience one thing only: that at the present time there are no serious or pressing problems that would justify the convening and celebration of a new ecumenical council of the Orthodox Church. And if, nevertheless, a topic should exist, worthy of being the object of the convocation and celebration of an ecumenical council, it is unknown to the present initiators, organizers and editors of all the above-mentioned “Conferences” with their previous and present “catalogues.” If this were not the case, then how is it to be explained that, beginning with the meeting in Constantinople in 1923, continuing through Rhodes in 1961 and up to Geneva in 1976, the “thematics” and “problematics” of the future council have been constantly changed? The alterations extend to the number, order, contents and the very criteria employed for the Catalogue of Topics that is to constitute the work of this great and unique ecclesiastical body – the Holy Ecumenical Council of the Orthodox Church, as it has been and as it must be. In reality, all of this manifests and underscores not only the usual lack of consistency, but also an obvious incapacity and failure to understand the nature of Orthodoxy on the part of those who at the present time, in the current situation, and in such a manner would impose their “Council” on the Orthodox Churches – an ignorance and inability to feel or to comprehend what a true ecumenical council has meant and always means for the Orthodox Church and for the pleroma of its faithful who bear the name of Christ. For if they sensed and realized this, they would first of all know that never in the history and life of the Orthodox Church has a single council, not to mention such an exceptional, grace-filled event (like Pentecost itself) as an ecumenical council, sought and invented topics in this artificial way for its work and sessions; – never have there been summoned such conferences, congresses, pro-synods, and other artificial gatherings, unknown to the Orthodox conciliar tradition, and in reality borrowed from Western organisations alien to the Church of Christ.
Historical reality is perfectly clear: the holy Councils of the Holy Fathers, summoned by God, always, always had before them one, or at the most two or three questions set before them by the extreme gravity of great heresies and schisms that distorted the Orthodox Faith, tore asunder the Church and seriously placed in danger the salvation of human souls, the salvation of the Orthodox people of God, and of the entire creation of God. Therefore, the ecumenical councils always had a Christological, soteriological, ecclesiological character, which means that their sole and central topic – their Good News – was always the God-Man Jesus Christ and our salvation in Him, our deification in Him. Yes, He – the Son of God, only-begotten and consubstantial, incarnate; He – the eternal Head of the Body of the Church for the salvation and deification of man; He – wholly in the Church by the grace of the Holy Spirit, by true faith in Him, by the Orthodox Faith.
This is the truly Orthodox, apostolic and patristic theme, the immortal theme of the Church of the God-Man, for all times, past, present and future. This alone can be the subject of any future possible ecumenical council of the Orthodox Church, and not some scholastic-protestant catalogue of topics having no essential relation to the spiritual life and experience of apostolic Orthodoxy down the ages, since it is nothing more than a series of anemic, humanistic theorems. The eternal catholicity of the Orthodox Church and of all her ecumenical councils consists in the all-embracing Person of the God-Man, the Lord Christ. This is the central and universal reality, the theme of Orthodox Councils, this is the unique mystery and reality of the God-Man, upon which the Orthodox Church of Christ is built and sustained with all ecumenical councils and all her historical reality. Upon this foundation we are to build, even today, in the sight of heaven and earth, and not upon the scholastic-protestant and humanistic topics employed by the ecclesiastical delegates or delegations of Constantinople or Moscow, who at this bitter and critical moment of history present themselves as the “leaders and representatives” of the Orthodox Church in the world.
4. From the acts of the last Pre-Conciliar Conference in Geneva, as in similar situations previously, it is clear that the ecclesiastical delegations of Constantinople and Moscow differ little from one another with respect to the problems and themes set forth as the subject of work for the future council. They have the same topics, almost the same language, the same mentality, similar ambitions. This, however, is no surprise. Whom do they in fact represent at the present moment, what Church and what people of God? The Constantinopolitan hierarchy at almost all the pan-Orthodox gatherings consists primarily of titular metropolitans and bishops, of pastors without flocks and without concrete pastoral responsibility before God and their own living flock. Whom do they represent and whom will they represent at the future council? Among the official representatives of the Ecumenical Patriarchate there are no hierarchs from the Greek islands where real Orthodox flocks are to be found; there are no Greek diocesan bishops from Europe or America, not to mention other bishops – Russian, American, Japanese, African, who have large Orthodox flocks and excellent Orthodox theologians. On the other hand, does the present delegation of the Moscow Patriarchate in fact represent the holy and martyred great Church of Russia and the millions of her martyrs and confessors known only to God? Judging from what these delegations declare and defend, wherever they travel outside the Soviet Union, they neither represent nor express the true spirit and attitude of the Russian Orthodox Church and its faithful Orthodox flock, for more often than not these delegations put the things of Caesar before the things of God. The scriptural commandment, however, is otherwise: “Submit yourselves rather to God than to men” (Acts 5:29).
Moreover, is it correct, is it Orthodox to have such representations of the Orthodox Churches at various pan Orthodox gatherings on Rhodes or in Geneva? The representatives of Constantinople who began this system of representation of Orthodox Churches at the councils and those who accept this principle which, according to their theory, is in accord with the “system of autocephalous and autonomous” local Churches – they have forgotten that such a principle in fact contradicts the conciliar tradition of Orthodoxy. Unfortunately this principle of representation was accepted quickly and by all the other Orthodox: sometimes silently, sometimes with voted protests, but forgetting that the Orthodox Church, in its nature and its dogmatically unchanging constitution is episcopal and centred in the bishops. For the bishop and the faithful gathered around him are the expression and manifestation of the Church as the Body of Christ, especially in the Holy Liturgy: the Church is Apostolic and Catholic only by virtue of its bishops, insofar as they are the heads of true ecclesiastical units, the dioceses. At the same time, the other, historically later and variable forms of church organisation of the Orthodox Church: the metropolias, archdioceses, patriarchates, pentarchias, autocephalies, autonomies, etc., however many there may be or shall be, cannot have and do not have a determining and decisive significance in the conciliar system of the Orthodox Church. Furthermore, they may constitute an obstacle in the correct functioning of the conciliar principle if they obstruct and reject the episcopal character and structure of the Church and of the Churches. Here, undoubtedly, is to be found the primary difference between Orthodox and papal ecclesiology.
If this is so, then how can there be represented according to the delegation principle, that is by the same number of delegates, for example, the Czech and Romanian Churches? Or to an even greater extent, the Patriarchates of Russia and Constantinople? What groups of faithful do the first bishops represent and what the second? Recently the Patriarchate of Constantinople has produced a multitude of bishops and metropolitans, almost all of them titular and fictitious. Is it possible that this is a preparatory measure to guarantee at the future “Ecumenical Council” by their multitude of titles the majority of votes for the neo-papal ambitions of the Patriarchate of Constantinople? On the other hand, the Churches apostolically zealous in missionary work, such as the American Metropolia, the Russian Church Abroad, the Japanese Church and others are not allowed a single representative!
Where in all this is the Catholic principle of Orthodoxy? What sort of ecumenical council of the Orthodox Church of Christ will this be? Already at the Geneva Conference, Ignatios, Metropolitan of Laodicea and representative of the Patriarchate of Antioch, sadly affirmed: “I sense uneasiness, for harm is being done the conciliar experience which is the foundation of the Orthodox Church.”
5. Nevertheless, Constantinople and some others cannot wait to summon the “council.” It is primarily in accordance with their wishes and insistence that the First Pre-Conciliar Conference in Geneva decided that “the council should be summoned as soon as possible,” that this council must be “of short duration,” and that it should “take for consideration a small number of topics.” And the ten chosen topics are cited. The first four topics are: the diaspora; the question of ecclesiastical autocephaly and the conditions for its proclamation; autonomy and its proclamation; the diptychs – that is, the order of precedence among the Orthodox Churches.
Evangelical objectivity obliges one to note that the conduct of the presiding chairman at the Pre-Conciliar Conference, Metropolitan Meliton, was despotic and unbefitting a council. This is clear from every page of the published acts of the conference. There it is clearly and plainly stated that, “This Holy and Great Council of the Orthodox Church which is being prepared must not be regarded as unique, excluding the further summoning of other Holy and Great Councils” (“Acts,” pp. 18, 20, 50, 55, 60).
In view of all this, an evangelically sensitive conscience cannot help but ask the burning question: what is the real end of a council summoned in such haste and in such a highhanded manner?
Most Reverend Bishops, I cannot free myself from the impression and conviction that all this points to the secret desire of certain known persons of the Patriarchate of Constantinople: that the first in honour of Orthodox Patriarchates force its ideas and procedures on all the Autocephalous Orthodox Churches, and in general upon the Orthodox world and the Orthodox diaspora, and sanction such a neo-papist intention by an “ecumenical council.” For this reason, among the ten topics selected for the council there have been inserted, indeed are the first, just those topics that reveal the intention of Constantinople to submit to herself the entire Orthodox diaspora – and that means the entire world! and to guarantee for herself the exclusive right to grant autocephaly and autonomy in general to all the Orthodox Churches in the world, both present and future, and at the same time to determine their order and rank at her own discretion (this is exactly what the question of the diptychs implies, for they concern not only the “order of liturgical commemoration” but the order of precedence at councils, etc.).
I bow in reverence before the age-old achievements of the Great Church of Constantinople, and before her present cross which is neither small nor easy, which, according to the nature of things, is the cross of the entire Church – for, as the Apostle says, “When one member suffers, the whole body suffers.” Moreover, I acknowledge the canonical rank and first place in honour of Constantinople among the local Orthodox Churches, which are equal in honour and rights. But it would not be in keeping with the Gospel if Constantinople, on account of the difficulties in which she now finds herself, were allowed to bring the whole of Orthodoxy to the brink of the abyss, as once occurred at the pseudo-council of Florence, or to canonize and dogmatize particular historical forms which, at a given moment, might transform themselves from wings into heavy chains, binding the Church and her transfiguring presence in the world. Let us be frank: the conduct of the representatives of Constantinople in the last decades has been characterized by the same unhealthy restlessness, by the same spiritually ill condition as that which brought the Church to the betrayal and disgrace of Florence in the 15th Century. (Nor was the conduct of the same Church under the Turkish yoke an example of all times. Both the Florentine and the Turkish yokes were dangerous for Orthodoxy.) With the difference that today the situation is even more ominous: formerly Constantinople was a living organism with millions of faithful – she was able to overcome without delay the crisis brought about by external courses as well as the temptation to sacrifice the faith and the Kingdom of God for the goods of this world. Today, however, she has only metropolitans without faithful, bishops who have no one to lead (i.e. without dioceses), who nonetheless wish to control the destinies of the entire Church. Today there must not, there cannot be a new Florence! Nor can the present situation be compared with the difficulties of the Turkish yoke. The same reasoning applies to the Moscow Patriarchate. Are its difficulties or the difficulties of other local Churches under godless communism to be allowed to determine the future of Orthodoxy?
The fate of the Church neither is nor can be any longer in the hands of the Byzantine emperor or any other sovereign. It is not the control of a patriarch or any of the mighty of this world, not even in that of the “Pentarchy” or of the “autocephalies” (understood in the narrow sense). By the power of God the Church has grown up into a multitude of local Churches with millions of faithful, many of whom in our days have sealed their apostolic succession and faithfulness to the Lamb with their blood. And new local Churches appear to be rising on the horizon, such as the Japanese, the African and the American, and their freedom in the Lord must not be removed by any “super-Church” of the papal type (cf. Canon 8, III Ecumenical Council), for this would signify an attack on the very essence of the Church. Without their concurrence the solution of any ecclesiastical question of ecumenical significance is inconceivable, not to mention the solutions to questions that immediately concern them, i.e. the problem of the diaspora. The age-old struggle of Orthodoxy against Roman absolutism was a struggle for just such freedom of the local Church as catholic and conciliar, complete and whole in itself. Are we today to travel the road of the first and fallen Rome, or of some “second” or “third” similar to it? Are we to believe that Constantinople, which in the persons of its holy and great hierarchs, its clergy and its people, so boldly opposed for centuries past the Roman protectionism and absolutism, is today preparing to ignore the conciliar traditions of Orthodoxy and to exchange them for the neo-papal surrogate of a “second,” “third” or other sort of Rome?
6. Most Venerable Fathers! All the Orthodox behold and realise how important, how significant today is the question of the Orthodox diaspora both for the Orthodox Church in general and for all the Orthodox Churches individually. Can this question be decided, as Constantinople or Moscow desires, without referring to, without the participation of the Orthodox faithful, pastors and theologians of the diaspora itself, which is increasing every day? The problem of the diaspora, without doubt, is a church question of exceptional importance; it is a question that has risen to the surface for the first time in history with such force and significance. For its solution there would be cause indeed to convoke a truly ecumenical council in which all the Orthodox bishops of all the Orthodox Churches would truly participate. Another question that, in our view, could and should be considered at an authentic ecumenical council of the Orthodox Church is the question of ecumenism. This, properly speaking, is an ecclesiological question concerning the Church as theandric unity and organism, a unity and organism that are placed in doubt by contemporary ecumenical syncretism. It is also related to the question of man, for whom the nihilism of contemporary, and especially atheistic, ideologies has dug a grave without hope of resurrection. Both questions can be resolved correctly and in an Orthodox manner only by proceeding from the theandric foundations of the ancient and true ecumenical councils. For the present, however, I leave these problems aside so as not to overburden this appeal with new discussions and expand it unduly.
The question of the diaspora is, then, both grievous and extremely important in contemporary Orthodoxy. However, do the conditions at present exist that would guarantee its solution in council as correct, Orthodox, and according to the teaching of the Holy Fathers? Is it possible, indeed, for there to be a free and real representation of all the Orthodox Churches at an ecumenical council without outside influence disturbing them? Are the representatives of many, especially of the Churches under militantly atheistic regimes, really able to express and defend Orthodox principles? Can a Church that denies her own martyrs be an authentic confessor of the Cross of Golgotha, or a bearer of the spirit and conciliar consciousness of the Church of Christ? Before a council takes place, let us ask ourselves whether it will be possible for the consciences of millions of new martyrs, made white by the blood of the Lamb, to speak out in it. The experience of history teaches that whenever the Church is crucified, each of her members is called upon to suffer for her Truth, and not to debate artificial problems or to look for false answers to real questions – “fishing in muddied waters” in order to satisfy personal ambitions. Shall we not remember that so long as the persecutions of the Church endured, no ecumenical councils were convened – which does not mean that the Church of God in those times did not live or function in a conciliar fashion. Quite the contrary, the age of the persecutions was its period of richest fruits. And when afterwards the First Ecumenical Council gathered, there gathered also the confessors with their wounds and scars, the bishops tried in the fire of suffering, who then could freely testify concerning Christ as God and Lord. Will their spirit be present also at this time? In other words, will the bishops of our own age who are similar to the martyrs be present at the council that is now preparing, so that this council might think in accordance with the Holy Spirit and speak and decide according to God, and that there not be heard in it primarily those who are not free from the influence of the powers of this world? Let us consider, for example, the group of bishops of the Russian Church Outside of Russia who, for all their human weakness, bear upon themselves the bonds of the Lord and of the Russian Church that has fled into the wilderness from the persecutions in no way inferior to those of Diocletian: these bishops have been excluded in advance by Moscow and Constantinople from participation in the council, and in this way condemned to silence. Let us think of those bishops of Russia and of other openly atheistic countries who will be unable to participate freely in the council or to speak and make decisions freely; some of them will not even be allowed to attend the council. Not to mention the impossibility of them or their Churches preparing in a worthy manner for so great and significant an occasion. Is this not more than sufficient proof that at the council the conscience of the martyred Church and the conscience of the ecclesiastical pleroma will both be silent, that their representatives will not be allowed even to enter – such as occurred with one of the most illustrious witnesses of the persecuted Church at the assembly in Nairobi (I refer specifically to Solzhenitsyn)?
We may leave aside the question of how moral or even normal it may be that at a time in which the Lord Jesus Christ and faith in Him are crucified in more terrible fashion than ever before, His followers should be deciding who will be first among them. At a time in which Satan is seeking not only the body but the very soul of man and the world, when mankind is threatened with self-destruction, is it moral and normal that the disciples of Christ should be occupied with the same questions (and in the same way) as the contemporary anti-Christian ideologies – ideologies that sell the Bread of Life for a mess of pottage?
Keeping all this in mind and painfully aware of the situation of the contemporary Orthodox Church and of the world in general – which has not substantially changed since my last appeal to the Holy Council of Bishops (May, 1971) my conscience once more obliges me to turn with insistence and beseeching to the Holy Council of Bishops of the martyred Serbian Church: let our Serbian Church abstain from participating in the preparations for the “ecumenical council,” indeed from participating in the council itself. For should this council, God forbid, actually come to pass, only one kind of result can be expected from it: schisms, heresies and the loss of many souls. Considering the question from the point of view of the apostolic and patristic and historical experience of the Church, such a council, instead of healing, will but open up new wounds in the body of the Church and inflict upon her new problems and new misfortunes.
I recommend myself to the holy and apostolic prayers of the Fathers of the Holy Council of Bishops of the Serbian Orthodox Church.
The unworthy Archimandrite Justin (Spiritual father of the monastery of Chelie)
Eve of the Feast of St. George, 1977 Monastery of Chelie, Valjevo (Yugoslavia)
1 MAGGIO
Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic
01 Maggio secondo l’antico calendario della Chiesa
IL SANTO PROFETA GEREMIA
Geremia nacque circa seicento anni prima di Cristo nel villaggio di Anathoth non lontano da Gerusalemme. Cominciò a profetizzare all’età di quindici anni durante il regno del re Giosia. Predicò il pentimento al re e ai nobili, ai falsi profeti e ai sacerdoti. Durante il regno del re Giosia, Geremia scampò a malapena alla morte per mano assassina dei nobili infuriati. Riguardo al re Ioiachim, egli profetizzò che la sepoltura del re sarebbe stata come la sepoltura di un asino, cioè il suo cadavere sarebbe stato gettato fuori Gerusalemme e che il suo corpo sarebbe stato trascinato per terra senza il beneficio della sepoltura: “Sarà sepolto con la sepoltura di un asino, trascinato e gettato fuori delle porte di Gerusalemme” (Geremia 22,18). Per questo motivo Geremia fu gettato in prigione. Non potendo scrivere in prigione, Geremia invitò Baruc [il figlio di Neriah], che stava vicino alla finestrella della prigione e gli dettò. Quando questa profezia fu letta al re, il re infuriato afferrò il foglio e lo gettò nel fuoco. La Divina Provvidenza salvò Geremia dalla prigione e la parola del profeta si adempì in Ioiachim. Riguardo al re Ieconia [figlio di Ioiachim, re di Giuda], Geremia profetizzò che Ieconia sarebbe stato portato a Babilonia con tutta la sua famiglia e che lì sarebbe morto. Tutto ciò avvenne in breve: “… dopo che Nabucodonosor, re di Babilonia, ebbe portato via in cattività Ieconia, figlio di Ioiachim, re di Giuda” (Geremia 24,1). “…quando condusse in cattività Ieconia, figlio di Ioiachim, re di Giuda, da Gerusalemme a Babilonia, e tutti i notabili di Giuda e di Gerusalemme” (Geremia 27,20). Sotto il re Sedekia, Geremia si mise un giogo intorno al collo e attraversò Gerusalemme profetizzando la caduta di Gerusalemme e la schiavitù sotto il giogo dei babilonesi. “Così mi ha detto il Signore: Fatti dei legami e dei gioghi, e mettili sul tuo collo” (Geremia 27,2). “Ho parlato anche a Sedecìa, re di Giuda, secondo tutte queste parole, dicendo: Portate il vostro collo sotto il giogo del re di Babilonia, servite lui e il suo popolo, e vivete” (Geremia 27,12). Ai prigionieri ebrei in Babilonia, Geremia scrisse dicendo loro di non sperare in un rapido ritorno a Gerusalemme perché sarebbero rimasti in Babilonia per settant’anni, cosa che avvenne. “Tutto questo paese sarà una rovina e un deserto. Settant’anni queste nazioni saranno schiave del re di Babilonia” (Geremia 25,11). Nella valle del Tofet vicino a Gerusalemme [la Valle del massacro], dove gli ebrei offrivano bambini in sacrificio agli idoli, Geremia prese in mano un vaso d’argilla da vasaio e lo frantumò davanti al popolo profetizzando l’imminente umiliazione del regno di Giuda . “Anche così, io spezzerò questo popolo e questa città, come si rompe un vaso di vasaio che non può più ritornare ad essere integro” (Geremia 19.11). I babilonesi catturarono presto Gerusalemme, uccisero il re Sedekia, saccheggiarono e distrussero la città e decapitarono un gran numero di ebrei nella valle del Tofet, nello stesso punto in cui i bambini venivano macellati per il sacrificio agli idoli e dove il profeta Geremia ruppe il vaso del vasaio di argilla. Geremia, con i Leviti, rimosse l’Arca dell’Alleanza dal Tempio verso il Monte Nebo dove morì Mosè e lì nascose l’Arca in una grotta. Tuttavia, nascose il fuoco del tempio in un pozzo profondo. Geremia fu costretto da alcuni ebrei ad accompagnarli in Egitto dove visse per quattro anni e fu poi lapidato dai suoi connazionali. Agli egiziani, Geremia profetizzò la distruzione dei loro idoli e l’arrivo della Vergine e del Cristo Bambino in Egitto. C’è una tradizione che afferma che il re Alessandro Magno visitò la tomba del profeta Geremia. Per ordine del re Alessandro, il corpo di Geremia fu traslato e sepolto ad Alessandria.
IL VENERABILE MARTIRE ACACIO, IL SANDALAIO
Acacio era del villaggio di Neochorion vicino a Tessalonica. Maltrattato molto dal suo maestro artigiano a Serres, Acacio si convertì all’Islam. Più tardi [ritornò alla Fede] e come penitente e monaco, visse nel monastero di Hilendar [Monte Athos]. La sua madre bisognosa e amante di Cristo gli consigliò: “Come hai rinnegato volentieri il Signore, così ora devi accettare volentieri e coraggiosamente il martirio per il dolce Gesù”. Il figlio seguì il consiglio della madre e con la benedizione dei padri del Sacro Monte, Acacio si recò a Costantinopoli dove i Turchi lo decapitarono il 1 maggio 1816 d.C. La sua testa è conservata in un reliquiario nel monastero russo di San Panteleimon sul Monte Athos.
IL VENERABILE PAFNUZIO DI BOROVSK
Pafnuzio, figlio di un nobile tartaro, in seguito abbracciò la fede cristiana. All’età di vent’anni, Pafnuzio fu tonsurato monaco e continuò a vivere la sua vita in un monastero fino al suo novantaquattresimo anno, quando riposò nel Signore. Pafnuzio era vergine e asceta. Per questo motivo, divenne un operatore di miracoli con un grande discernimento. Si addormentò nell’anno 1478 d.C.
Inno di lode IL PROFETA GEREMIA
Geremia, casto e profeta, Agli uomini annuncia la volontà di Dio Quando sono nel peccato, gli uomini decadono E le leggi di Dio, calpestano. Il profeta grida, piange e minaccia, Come una fiamma viva, le sue parole sono, Illuminano i giusti, bruciano i peccatori; Come le lacrime di una madre, le sue lacrime sono Sulla sua prole morente. Il profeta lo prevede, la punizione sta arrivando, Una punizione, cento volte meritata. La misericordia di Dio, in giustizia si trasforma. Il profeta grida, piange e minaccia, Il popolo peccatore, chiama al pentimento. Quello che dicono i leader, la gente ascolta, E i capi, deridono il profeta, E le sue parole, come una bugia hanno proclamato! Ma pur essendo stanco, il profeta non permette: Con le sofferenze, le sue parole suggella; Uomini nefasti, uccisero il profeta, E per sempre, lo resero famoso. Tutte le parole del profeta si adempirono, Il regno cadde; glorificato fu il profeta.
Riflessione Il Venerabile Pafnuzio di Borovsk disse ai suoi discepoli che l’anima di un uomo e le sue opere nascoste possono essere riconosciute dallo sguardo nei suoi occhi. Ai suoi discepoli, questo sembrò incredibile fino a quando quest’uomo di Dio lo confermò in realtà in più di un’occasione. Discernendo il destino degli altri, Pafnuzio ha anche fatto discernimento del proprio destino. Una settimana prima, mentre era ancora in buona salute, aveva profetizzato che sarebbe partito da questo mondo il giovedì successivo. Quando il giovedì spuntò, gridò di gioia: “Ecco, il giorno del Signore, rallegratevi o popolo, ecco, il giorno atteso è venuto!” Ecco, così l’uomo incontra la morte; un uomo che, durante tutta la sua vita, ha contemplato la separazione da questo mondo e l’incontro con Dio.
Contemplazione Per contemplare l’Ascensione del Signore Gesù:
Come due angeli apparvero ai discepoli mentre stavano ancora guardando dietro al Signore asceso;
Come gli angeli annunciano che il Signore verrà nello stesso modo in cui i discepoli lo videro salire al cielo.
Omelia Sul potere della parola del Signore
“La mia parola non è forse come il fuoco, dice il Signore, come un martello che spezza le rocce” (Geremia 23,29).
Sì, Signore, la tua parola è davvero come il fuoco; come fuoco che riscalda i giusti e brucia gli ingiusti. E, in verità, la tua parola è come un martello; un martello che ammorbidisce la durezza pietrosa del cuore di un penitente e riduce in polvere i cuori dei peccatori impenitenti.
“Non ardeva forse il nostro cuore dentro di noi mentre parlava con noi” (Lc 24,32), si chiedevano gli apostoli dopo aver parlato con il Signore risorto? Quando il cuore nell’uomo è corretto, arde dalla parola del Signore e si scioglie dal piacere e si espande con amore. Ma quando il cuore nell’uomo non è corretto e indurito dal peccato, allora il cuore cuoce dalla parola del Signore e diventa ancora più duro. “E il cuore del faraone si indurì” (Esodo 8,19).
Invano i peccatori si fortificano nelle fortezze di pietra, nelle loro fortezze di ferro, nelle loro fortezze d’argento e d’oro e rifiutano l’armatura della giustizia di Dio. Come un martello potente e irresistibile, tale è la parola del Signore quando pronuncia il giudizio su queste fortezze di pietra in cui i peccatori si fortificano.
Invano il miscredente fortifica la sua casa con pietre inespugnabili e lo statista fortifica lo Stato, indurito dalla sapienza del mondo, e non sperando nel Dio vivente. La parola del Signore si abbatte come un martello su tutto ciò che è stato costruito senza Dio o contro Dio; come un martello potente e irresistibile.
O fratelli, non confidiamo nelle nostre creazioni di pietra, né di marmo né di pietre d’oro o d’argento né delle pietre empie dei nostri pensieri individuali. Tutti questi sono più deboli davanti al potere di Dio che la polvere davanti al potere del vento.
O Signore Onnipotente, aiutaci ad accogliere la tua parola e, che sulla tua parola, possiamo costruire tutta la nostra vita sia in questo mondo che nell’aldilà.
A Te sia gloria e grazie sempre. Amen.
(*) Gli egiziani quasi divinizzarono San Geremia. Ecco perché lo seppellirono come re. Anche dopo la sua morte, lo consideravano un operatore di miracoli. Hanno usato la polvere dalla sua tomba come cura contro i morsi di serpente. Ancora oggi molti cristiani invocano Geremia contro i serpenti.
Arciprete (ortodosso-georgiano) Theodore Gignadze: il cristianesimo non è una religione!
L’unicità dell’Ortodossia
“Una delle più grandi conquiste dell’Ortodossia, una delle più grandi conquiste del cristianesimo è che ha trasceso il concetto di religione. E cos’è una religione? È un tentativo dell’essere umano di stabilire una connessione con Dio e per questo usa norme e regole legali. In altre parole, io, un essere umano, so che Dio esiste e per stare bene osservo i Suoi comandamenti e obbedisco alle Sue leggi. E quindi, se lo faccio correttamente, merito una ricompensa da Lui, e se non lo faccio correttamente, merito una punizione. Tutto il giudaismo e l’islam si basano su questo concetto. Sfortunatamente, questa è diventata la base anche del cattolicesimo e del protestantesimo.
L’ortodossia è assolutamente unica!.
L’ortodossia capovolge completamente questa posizione. Nel Santo Vangelo, Cristo stesso capovolge questa posizione. Vediamo che le persone che vivono nel modo giusto dal punto di vista religioso e morale uccidono Cristo. Lo giudicano e lo condannano. Gli dicono: adulteri e pubblicani ti seguono, tu mangi e bevi insieme ai peccatori. Quando Cristo sta morendo sulla croce, Egli, come Giudice, emette il verdetto per l’umanità, e questo verdetto è stupefacente. I peggiori esseri umani, i più grandi peccatori – le persone che stanno uccidendo Cristo… sono in piedi accanto alla Sua croce, non si pentono (almeno non fino a quel momento), in altre parole, queste persone che sono piene di uno spirito impenitente, cinico e omicida sta uccidendo Cristo, e Cristo, come Sommo Sacerdote, intercede per loro e chiede al Padre Celeste: “perdonali, perché non sanno quello che fanno”. Questo tipo di amore ha commosso nel profondo una persona che non aveva fatto altro che male per tutta la vita. Questo amore onnicomprensivo e infinito ha ammorbidito e sciolto il cuore di un ladro, ed è diventato la prima persona ad entrare nel Regno dei Cieli.
Dov’è la giustizia qui?
Uno dei Santi Padri (Sant’Isacco il Siro, se non sbaglio) dice: “Dio non è giusto. Lui è Amore.” Questo Santo Padre continua e dice: “se Dio fosse giusto, sarei il primo a finire all’inferno, senza di Lui”. Questo è molto importante da ricordare. Lo spirito legalista si oppone al cristianesimo. Lo spirito legalistico prevale con noi oggi, nella Chiesa ortodossa, ed è molto dannoso. Lo spirito legalistico significa che se mi comporto bene, guadagnerò punti davanti a Dio e sarò ricompensato, e se mi comporterò male, sarò punito. Vivo spiritualmente con la speranza del lusso celeste o la paura dell’inferno. Con questo tipo di cuore, con questo spirito, non sarai mai in grado di vedere Cristo, perché il simile si conosce dal simile. Cristo chiede qualcosa di completamente diverso da noi.
Cosa chiede?
L’apostolo Paolo dice che un cristiano diventa un nuovo essere, una nuova creazione. Spesso incontriamo questa tentazione. Una persona viene in chiesa e io gli chiedo: “Perché sei venuto?” Le persone vengono in chiesa per molte ragioni diverse. Alcuni vengono per guadagno personale, per interesse personale, per interesse personale fisico, sia che si tratti di qualcosa legato alla salute o di qualche altro problema che stanno affrontando. C’è anche l’interesse personale spirituale: “Non ho pace. Voglio sentirmi in pace. “Anche questo è interesse personale.” – gli dico. “Non credi che Dio te lo concederà? Tuttavia, questo non è l’obiettivo in sé e per sé. È un sottoprodotto e una conseguenza della tua ricerca di Dio”. Prendiamo un esempio da questo mondo: un giovane si innamora di una giovane donna e le chiede di sposarlo. “Perché vuoi sposarmi?” – lei chiede. Si aspetta che lui dica: “Perché ti amo!” Invece, le dice che vuole avere un figlio o una figlia. Riesci a immaginare? È bello avere figli. Non c’è niente di sbagliato in questo. I figli sono il frutto del matrimonio. Tuttavia, quando dici a una ragazza che vuoi sposarla per questo motivo e che lei è solo un mezzo per ottenerlo… immagina quanto sarebbe terribile. Per noi è fondamentale sapere molto bene qual è l’atteggiamento corretto da avere nella vita spirituale. Abbiamo bisogno di sapere questo per poter smettere di essere egocentrici nella vita spirituale e per poter rompere con questa forma di relazione con Dio. Finché una persona continua a essere egocentrica, dicendo: “Voglio questo, voglio quello. Voglio avere la pace. Voglio che i miei problemi siano risolti”. Finché sarà così, continuerà ad avere un problema nella sua vita spirituale. Una persona deve staccarsi da questo. Tuttavia, questo non è molto facile da fare, a meno che non abbia la giusta prospettiva nella vita spirituale.
Poche cose sono così difficili nel mondo moderno come il digiuno. Non è semplicemente l’azione di cambiare le nostre abitudini alimentari che troviamo problematico – è l’intero concetto di digiuno e ciò che veramente comporta. Viene da un altro mondo!
Comprendiamo la dieta: cambiare il modo in cui mangiamo per migliorare il nostro aspetto o come ci sentiamo. Ma cambiare il modo in cui mangiamo per conoscere Dio o per celebrare giustamente una festa della Chiesa – questo è estraneo. La nostra prima domanda è spesso: “Come funziona?” Perché viviamo in una cultura dell’utilità: vogliamo conoscere l’uso delle cose. Sotto la questione dell’utilità c’è la richiesta che qualcosa abbia un senso per me, e che alla fine io sia in grado di prendermene cura, usarlo come ritengo opportuno e modellarlo secondo i miei desideri. Forse il digiuno potrebbe essere migliorato?
La nostra moderna autocomprensione vede le persone principalmente come singoli centri di scelta e decisione. Una persona è vista come il prodotto delle sue scelte e decisioni: le nostre vite sono auto-autenticate. In quanto tali, siamo manager.
Naturalmente ci sono molti problemi con questa visione del mondo dal punto di vista del cristianesimo classico. Sebbene siamo liberi di fare scelte e decisioni, la nostra libertà non è illimitata. La maggior parte della nostra vita non è autodeterminata. Gran parte della retorica della modernità è rivolta a coloro che hanno ricchezza e potere. Privilegia le loro storie e deride la debolezza di chi non ha potere con promesse che raramente, se non mai, vengono mantenute.
Le nostre vite sono un dono di Dio e non di nostra creazione. La vita spirituale cristiana classica non è segnata dalla scelta e dall’autodeterminazione: è caratterizzata dall’autosvuotamento e dalla via della Croce.
Quando un cristiano moderno affronta il periodo della Quaresima, la domanda spesso diventa: “A cosa voglio rinunciare per la Quaresima?” L’intenzione è buona, ma la domanda è sbagliata. La quaresima diventa presto un’altra scelta di vita, il digiuno del consumatore.
La pratica del digiuno tradizionale è stata notevolmente ridotta negli ultimi secoli. La Chiesa cattolica ha modificato i suoi requisiti e semplificato il digiuno quaresimale (oggi include solo l’astensione dalla carne nei venerdì di Quaresima – che li rende simili a tutti gli altri venerdì dell’anno). Le Chiese protestanti che osservano il tempo di Quaresima non offrono linee guida formali per la pratica quaresimale. L’individuo è lasciato a se stesso.
L’Ortodossia continua ad avere in vigore il digiuno tradizionale completo, che viene spesso modificato nella sua applicazione (le “regole” stesse sono generalmente riconosciute come scritte per i monaci). È essenzialmente una dieta vegana (niente carne, pesce, vino, latticini). Alcuni limitano il numero dei pasti e il loro modo di cucinare. Naturalmente, avere il digiuno al suo posto e “mantenere il digiuno” sono due cose molto diverse. Non conosco nessuno studio su come gli ortodossi nel mondo moderno digiunino effettivamente. La mia esperienza pastorale mi dice che le persone generalmente fanno un ottimo sforzo.
Qualcosa di tutto questo ha importanza? Perché i cristiani nel mondo moderno dovrebbero occuparsi con una pratica tradizionale?
Ciò che è in gioco nel mondo moderno è la nostra umanità. L’idea che siamo individui che si auto-autenticano è semplicemente falsa. Ovviamente non creiamo noi stessi: è un dono. E la maggior parte di ciò che costituisce la nostra vita è semplicemente dato, un dono. Non è sempre un regalo di cui qualcuno è felice: vorrebbero essere diversi da quello che sono. Ma il mito del mondo moderno è che noi, in effetti, creiamo noi stessi e le nostre vite – le nostre identità sono immaginate come di nostra creazione. Siamo chi scegliamo di essere. È un mito estremamente adatto a sostenere una cultura costruita sul consumo. L’identità si può ottenere ad un certo prezzo. I ricchi hanno a disposizione una gamma molto più ampia di possibili identità, mentre i poveri sono in gran parte bloccati nell’essere chi sono veramente.
Ma l’unica vita umana veramente autentica è quella che riceviamo in dono da Dio. La spiritualità della scelta e del consumo sotto le sembianze della libertà è vuota. L’identità che creiamo è effimera, un prodotto dell’immaginazione e del mercato. Le abitudini del mercato servono a renderci schiavi: la Quaresima è una chiamata alla libertà.
Una Quaresima moderna
Quindi, un buon inizio per una Quaresima moderna è staccarsi dal mondo moderno in sé. Con questo intendo rinunciare all’idea che tu sia un individuo autogenerato e auto-autenticante. Non sei definito dalle tue scelte e decisioni, tanto meno dalla tua carriera e dai tuoi acquisti. Inizi riconoscendo che solo Dio è il Signore (e tu non lo sei). La tua vita ha significato e scopo solo in relazione a Dio. La pratica fondamentale di tale vita incentrata su Dio è il ringraziamento.
Rinuncia a cercare di migliorare te stesso per diventare qualcosa. Non sei un work in progress. Se sei un’opera, allora sei opera di Dio. “Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo.” (Ef 2,10).
Non programmare una “buona Quaresima” o immaginare cosa sarebbe una “buona Quaresima”. Smetti di giudicare, specialmente di giudicare te stesso. Esci dal centro del tuo mondo. La Quaresima non riguarda te. Si tratta di Cristo e della sua Pasqua.
Digiuna secondo la tradizione invece che secondo le tue proprie idee e progetti. Questo potrebbe essere difficile per alcuni se non fanno parte alla Chiesa tradizionale e quindi non hanno una tradizione di digiuno. La maggior parte dei cattolici ha regole diverse per il digiuno rispetto agli ortodossi. Se sei cattolico, digiuna come un cattolico. Non ammirare il digiuno degli altri.
Se sei protestante ma vorresti vivere in modo più tradizionale, pensa a come diventare ortodosso. A parte questo, fai un patto con gli altri (famiglia, amici) per mantenere il digiuno tradizionale. Non essere troppo severo o troppo indulgente e, se possibile, mantieni il digiuno in un modo concordato di comune accordo piuttosto che progettato privatamente. Sii responsabile ma non colpevole.
Pregare. Il digiuno senza preghiera è chiamato “il digiuno dei demoni”, perché i demoni non mangiano mai, ma non pregano mai. Digiuniamo come mezzo per avvicinarci a Dio. Il tuo digiuno e la tua preghiera dovrebbero essere bilanciati il più possibile. Se digiuni in modo rigoroso, dovresti pregare per lunghi periodi. Se digiuni leggermente, anche le tue preghiere potrebbero essere più leggere. Il punto è essere uno, affinché la preghiera e il digiuno siano una cosa sola.
Alla nostra preghiera e al nostro digiuno dovrebbe essere aggiunta la misericordia (dare via cose, soprattutto denaro). Non devi essere troppo espansivo. La tua misericordia dovrebbe essere il più invisibile possibile agli altri, tranne che nella tua gentilezza verso tutti. Spendi meno, dona di più.
Mangiare, bere, pregare e la generosità sono attività molto naturali. Guarda la tua vita. Quanto è naturale il tuo mangiare? La tua dieta è costituita prevalentemente da alimenti lavorati e trasformati (soprattutto quelli serviti nei ristoranti e nei fast food)? Questi possono essere modi di mangiare molto disumani. Mangiare dovrebbe richiedere tempo. Non è una perdita di tempo dedicare fino a sei ore su ventiquattro a preparare, condividere, mangiare e pulire. Anche gli animali hanno bisogno di tempo per mangiare.
Vai molto di più in chiesa (se la tua chiesa ha altri servizi quaresimali, frequentali). Questo può essere problematico per i protestanti, in quanto la maggior parte del culto protestante è abbastanza moderno, cioè focalizzato sull’individuo piuttosto che diretto a Dio, ben intenzionato ma antitetico al culto. Se la tua Chiesa non è noiosa, probabilmente è moderna. Questo non vuol dire che il cristianesimo classico sia intrinsecamente noioso: è solo vissuto come tale da persone addestrate per essere consumatori. Il cristianesimo classico adora secondo la tradizione e concentra la sua attenzione su Dio. Non è lì per te, per “ottenere qualcosa da esso”.
Divertiti meno. Nelle tradizionali terre ortodosse, i divertimenti vengono spesso abbandonati durante il periodo quaresimale. Questo può essere molto difficile per le persone moderne in quanto viviamo per consumare e siamo quindi intrappolati in un ciclo di dolore e piacere. I piaceri normali come l’esercizio fisico o la camminata non sono ciò che ho in mente, anche se mi sembra del tutto moderno il fatto che ci siano attività dedicate per aiutarci a fare qualcosa di normale (come camminare o fare esercizio), in modo tale che anche le nostre normali attività diventino una merce da consumare.
Digiuna dal guardare/leggere le notizie e dall’avere/esprimere opinioni. Le notizie non sono presentate per tenervi informati. Spesso sono imprecise e servono allo scopo principale della propaganda politica e della frenesia dei consumatori. Non fanno bene all’anima. Le opinioni sono profondamente distruttive per la salute dell’anima. Le opinioni che non sono adeguatamente considerate, non sono credenze necessarie. Sono passioni che si spacciano per pensieri o convinzioni. La necessità di esprimerli rivela la loro natura passionale.
Potrei benissimo immaginare che una persona moderna, leggendo un simile elenco, possa sentirsi sopraffatto e chiedersi cosa sia rimasto. Ciò che resta è essere umani. Davvero tanto nella nostra vita non è particolarmente umano, ma solo una distrazione effimera che spiega molto della nostra stanchezza e ansia. Non c’è cibo per noi in ciò che non è umano.
E allora mi vengono in mente le parole di Isaia:
O voi tutti assetati venite all’acqua, chi non ha denaro venga ugualmente; comprate e mangiate senza denaro e, senza spesa, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro patrimonio per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi grassi. (Isaia 55,1-2).
“Lascia che la tua anima si diletti nei grassi…” l’ironia della Quaresima.
Laminina: la firma di Dio
“Sono un biologo sono diventato un cristiano studiando la biochimica”…
Ed EGLI è avanti in ogni cosa, e tutte le cose sussistono in LUI. Poiché in lui si compiacque il Padre di far abitare tutta la pienezza e di riconciliare con sé tutte le cose per mezzo di lui, avendo fatto la pace mediante il sangue della croce d’esso; per mezzo di lui, dico, tanto le cose che sono sulla terra, quanto quelle che sono nei cieli. (Colossesi 1) La laminina è una glicoproteina ed è la componente più abbondante di tutte le lamine basali, una rete di proteine presente nella maggior parte delle cellule e degli organi. Rappresenta una parte importante, biologicamente attiva, che durante gli stadi embrionali, insieme ad altre molecole, contribuisce all’adesione delle cellule in una struttura sferica. Durante lo sviluppo del sistema nervoso, inoltre, i neuroni migrano lungo i percorsi formati dalla matrice extracellulare che contiene proprio la laminina. Questa glicoproteina, quindi, risulta fondamentale non solo per organizzare le cellule in tessuti, ma anche durante lo sviluppo, poichè indirizza la migrazione delle cellule. La sua importanza si attesta nella distrofia congenita da deficit di merosina, una malattia ereditaria dovuta ad un difetto di laminina che si verifica a livello dei muscoli e del sistema nervoso. Osservando la proteina al microscopio, non può passare inosservata la particolare struttura tridimensionale che essa assume: quella di una croce. A tal proposito, un noto biochimico disse: “La nostra conoscenza della verità è più chiaramente rivelata sulla croce di Cristo, e ciò che tiene il nostro corpo umano insieme (la Laminina), è casuale che abbia la forma proprio di croce? Qualcuno potrebbe dire di sì, ma io penso che sia ancora un altro modo con cui Dio rivela la sua gloria a noi. Penso che Dio è colui che tiene insieme tutte le cose, i nostri corpi, il nostro mondo e le nostre vite. “. Il dr. Fazale Rana, anch’esso biochimico, osservando la forma a croce della laminina ha affermato: “Ci sono molti modi più sostanziali per utilizzare la biochimica: discutere della necessità di un Creatore…Sono diventato un cristiano quando studiavo la biochimica. La cellula nella sua complessità, l’eleganza, la raffinatezza e l’inadeguatezza degli scenari evolutivi sul conto dell’origine della vita, mi hanno spinto a concludere che la vita deve derivare da un Creatore.” Spesso ammiriamo la complessità e la perfezione dei cicli biologici della natura e della vita presente in questo pianeta: questa non è altro che la “scrittura” di Dio. Il nostro pianeta rifletteva la Sua perfezione, finché l’uomo non ha causato il caos che attualmente ci circonda, ma possiamo ancora apprezzare ciò che ci è stato donato: Dio è perfetto ed ha voluto riflettere questa perfezione nel Suo creato, indice del Suo amore per noi, mentre l’abuso delle risorse che abbiamo a disposizione, riflette, purtroppo, soltanto l’amore che l’uomo ha per se stesso…
Fonte Facebook: Mario Scisci
Concilio di Gerusalemme
Atti 15
1 Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli questa dottrina: «Se non vi fate circoncidere secondo l’uso di Mosè, non potete esser salvi». 2 Poiché Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro andassero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione. 3 Essi dunque, scortati per un tratto dalla comunità, attraversarono la Fenicia e la Samaria raccontando la conversione dei pagani e suscitando grande gioia in tutti i fratelli. 4 Giunti poi a Gerusalemme, furono ricevuti dalla Chiesa, dagli apostoli e dagli anziani e riferirono tutto ciò che Dio aveva compiuto per mezzo loro. 5 Ma si alzarono alcuni della setta dei farisei, che erano diventati credenti, affermando: è necessario circonciderli e ordinar loro di osservare la legge di Mosè. 6 Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema. 7 Dopo lunga discussione, Pietro si alzò e disse: «Fratelli, voi sapete che già da molto tempo Dio ha fatto una scelta fra voi, perché i pagani ascoltassero per bocca mia la parola del vangelo e venissero alla fede. 8 E Dio, che conosce i cuori, ha reso testimonianza in loro favore concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi; 9 e non ha fatto nessuna discriminazione tra noi e loro, purificandone i cuori con la fede. 10 Or dunque, perché continuate a tentare Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri, né noi siamo stati in grado di portare? 11 Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati e nello stesso modo anche loro». 12 Tutta l’assemblea tacque e stettero ad ascoltare Barnaba e Paolo che riferivano quanti miracoli e prodigi Dio aveva compiuto tra i pagani per mezzo loro. 13 Quand’essi ebbero finito di parlare, Giacomo aggiunse: 14 «Fratelli, ascoltatemi. Simone ha riferito come fin da principio Dio ha voluto scegliere tra i pagani un popolo per consacrarlo al suo nome. 15 Con questo si accordano le parole dei profeti, come sta scritto: 16Dopo queste cose ritornerò e riedificherò la tenda di Davide che era caduta; ne riparerò le rovine e la rialzerò, 17perché anche gli altri uomini cerchino il Signore e tutte le genti sulle quali è stato invocato il mio nome, 18dice il Signore che fa queste cose da lui conosciute dall’eternità. 19 Per questo io ritengo che non si debba importunare quelli che si convertono a Dio tra i pagani, 20 ma solo si ordini loro di astenersi dalle sozzure degli idoli, dalla impudicizia, dagli animali soffocati e dal sangue. 21 Mosè infatti, fin dai tempi antichi, ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe». 22 Allora gli apostoli, gli anziani e tutta la Chiesa decisero di eleggere alcuni di loro e di inviarli ad Antiochia insieme a Paolo e Barnaba: Giuda chiamato Barsabba e Sila, uomini tenuti in grande considerazione tra i fratelli. 23 E consegnarono loro la seguente lettera: «Gli apostoli e gli anziani ai fratelli di Antiochia, di Siria e di Cilicia che provengono dai pagani, salute! 24 Abbiamo saputo che alcuni da parte nostra, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con i loro discorsi sconvolgendo i vostri animi. 25 Abbiamo perciò deciso tutti d’accordo di eleggere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Barnaba e Paolo, 26 uomini che hanno votato la loro vita al nome del nostro Signore Gesù Cristo. 27 Abbiamo mandato dunque Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi queste stesse cose a voce. 28 Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: 29 astenervi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia. Farete cosa buona perciò a guardarvi da queste cose. State bene». 30 Essi allora, congedatisi, discesero ad Antiochia e riunita la comunità consegnarono la lettera. 31 Quando l’ebbero letta, si rallegrarono per l’incoraggiamento che infondeva. 32 Giuda e Sila, essendo anch’essi profeti, parlarono molto per incoraggiare i fratelli e li fortificarono. 33 Dopo un certo tempo furono congedati con auguri di pace dai fratelli, per tornare da quelli che li avevano inviati. 34 [Ma parve bene a Sila di rimanere qui.] 35 Paolo invece e Barnaba rimasero ad Antiochia, insegnando e annunziando, insieme a molti altri, la parola del Signore. 36 Dopo alcuni giorni Paolo disse a Barnaba: «Ritorniamo a far visita ai fratelli in tutte le città nelle quali abbiamo annunziato la parola del Signore, per vedere come stanno». 37 Barnaba voleva prendere insieme anche Giovanni, detto Marco, 38 ma Paolo riteneva che non si dovesse prendere uno che si era allontanato da loro nella Panfilia e non aveva voluto partecipare alla loro opera. 39 Il dissenso fu tale che si separarono l’uno dall’altro; Barnaba, prendendo con sé Marco, s’imbarcò per Cipro. 40 Paolo invece scelse Sila e partì, raccomandato dai fratelli alla grazia del Signore. 41 E attraversando la Siria e la Cilicia, dava nuova forza alle comunità.
LETTERA AI GALATI
Capitolo 2
L’assemblea di Gerusalemme
1 Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba, portando con me anche Tito: 2 vi andai però in seguito ad una rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano. 3 Ora neppure Tito, che era con me, sebbene fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere. 4 E questo proprio a causa dei falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi. 5 Ad essi però non cedemmo, per riguardo, neppure un istante, perché la verità del vangelo continuasse a rimanere salda tra di voi.
6 Da parte dunque delle persone più ragguardevoli – quali fossero allora non m’interessa, perché Dio non bada a persona alcuna – a me, da quelle persone ragguardevoli, non fu imposto nulla di più. 7 Anzi, visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi – 8 poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani – 9 e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi. 10 Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare.
Pietro e Paolo ad Antiochia
11 Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto. 12 Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. 13 E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. 14 Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?