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Archivio di Stato di Reggio Calabria: San Filarete, ritrovamento e miracoli

SAN FILARETE, RITROVAMENTO E MIRACOLI

Testimonianza dall’Archivio di Stato di Reggio del nostro Padre tra i Santi, Filareto l’Ortolano di Seminara. La dizione asceta basiliano è ovviamente non corretta e postuma. Non esiste e non è mai esistito un ‘ordine basiliano’ in Oriente. Denominazione che sorse nel momento in cui, con la conquista normanna delle terre del Sud Italia, si volle normalizzare la presenza dell’Ortodossia in Calabria sotto il papismo. Questi Santi erano semplicemente l’espressione dell’ascetismo calabro ortodosso di lingua greca, ascetismo indigeno, ben radicato e tradizionale nella nostra regione tanto da avere una rinomata area monastica tra Calabria e Basilicata denominata Mercurion.

Per le preghiere del nostro Santo Padre Filareto l’Ortolano, Signore Gesù Cristo, Dio nostro, abbi pietà di noi e salvaci!


Giovedì 22 Febbraio 2024 [1] [2]

La facciata interna della copertina del protocollo, che è in pergamena, porta attaccato un foglio sul quale è incollata una stampa, che riproduce l’immagine del Santo, di circa 17x13cm, e la seguente didascalia:

«S. Filaretus Monachus Ordinis Sancti Basilii Magni vite austeritate, ac miraculorum gloria clarus, cuius sacrum Corpus Seminariae in Monasterio eiusdem Ordinis summa veneratione colitur eiusque festiva dies 6 Aprilis solemniter celebratur. Sup[eriorum] permis [su]»

Al di sopra della stampa, di mano del notaio, è scritto «S. Filereto, protettore della fedelissima Città di Seminara ritrovato il suo corpo nell’anno 1693 a 17 febraro, nel Monas[te]ro in campagna di detto Santo per il terrimuto successo che abisso’ la Sicilia»

Al di sotto della stampa sempre di mano del notaio vi è scritto «S. Fileretus, ora pro me»

L’immagine del santo, in atteggiamento austero, come si vede nella foto, con la mano sinistra sul cuore e la destra protesa in avanti, si staglia sul fondo di un paesaggio collinare, con a sinistra un borgo e a destra un corso d’acqua da cui emerge a metà, ignudo, un uomo in atteggiamento orante.

L’indice sopraricordato non è completo, in quanto riporta la foliazione di 11 atti, mentre il protocollo ne contiene 14, per complessive 26 pagine; abbraccia un periodo di tempo assai ristretto, dal 22 febbraio al 20 aprile, con i primi 12; del 13 giugno è il penultimo atto ; del 26 dicembre l’ultimo. Il notaio enucleò detti atti dal resto dei contratti e degli altri rogiti fatti nell’anno e li contraddistinse con una croce. Tra questi i più importanti sono i primi due, che riguardano il ritrovamento del corpo del santo e le prove del luogo dove era sepolto, mentre gli altri sono attestazioni di miracoli seguiti al ritrovamento.

Il primo, di cui oggi sono 331 anni dal rogito, è ornato con una croce dorata cartacea incollata, di 4,5×3,5 cm, sovrapposta a margine. Nel f. 23 v. e 24 v. rispettivamente le due note:

1) « detto glorioso Santo Filereto se ne mori nel secolo duodecimo idest l’an[n]o 1170 mentre nel secolo undecimo fu la destrutione di tauriana replublica da cui originem habuit Seminaria» [1]

2) « a 24 ottobre 1697. Si fece la confrunta con li reliquie del braccio tiene la Città di Seminara con la presenza di due fisici dottor Romano et dottor Minni, et coram delegatis e si videro esserne giusti, stante la mancansa come nel istru[men]to presente verum quelli della città sono quattro ossi di braccia due maggiore e due minore e quelli del monas[te]rio furno otto in tutto ossa maiuscoli a benché nel instrumento si dice sette, fu per errore allora, stante che erano rotti alcuni d’essi. Il tutto anche fu con mia presenza. Notar Guardata»


NOTE (nostre, non incluse nel post dell’Archivio di Stato):

[1] Fonte delle immagini: ASRC/SP, Fondo notarile Notaio D. M. Guardata, busta 738, vol. 6908

[2] Post apparso sulla pagina facebook dell’Archivio di Stato di Reggio Calabria in data 22 Febbraio 2024

[2] Tauriana o Taureana (Taurianum in latino, Ταυρανία in greco) fu una città magnogreca, dell’antico territorio Italia e che in epoca remota si estendeva a capoluogo del versante tirrenico fino a comprendere gli attuali territori di Taureana e Palmi. Le sue rovine sono state localizzate nel territorio di Palmi. Il nome della città deriva da quello del populus italico che la fondò, i tauriani. La città italica, che sorgeva sulla riva sud del fiume Metauros (probabilmente il Petrace), segnava il confine del territorio di Région (Reggio Calabria) sul versante tirrenico nord-occidentale, oltre cui iniziava quello di Locri Epizefiri. Successivamente romana e poi bizantina, Tauriana venne distrutta dai saraceni nella metà del X secolo. Gran parte dei rinvenimenti archeologici costituiscono il Parco Archeologico dei Tauriani (Fonte: Wikipedia)




P. Justin Popovic, Sulla convocazione del Grande Concilio della Chiesa Ortodossa, 1977 (ITA – ENG)

P. Justin Popovich

La seguente lettera è stata indirizzata dall’archimandrita serbo P. Justin Popovic di beata memoria, padre spirituale del monastero di Celie Valjevo (Jugoslavia), al vescovo Jovan di Sabac e alla gerarchia serba il 7 maggio 1977, con la richiesta di trasmettere questa lettera al Santo Sinodo e al Consiglio dei Vescovi della Chiesa Ortodossa Serba. La sua rilevanza non è diminuita con il passare degli anni… e forse è aumentata alla luce dei recenti avvenimenti che stanno scuotendo la cattolicità Ortodossa. Si vede bene come alcuni temi, ancora oggi centrali e divisivi, abbiano avuto una lunga gestazione nella storia. La teologia del Padre Justin ci illumina sui veri principi ecclesiologici della Santa Ortodossia che non possono essere scambiati “per un piatto di lenticchie” a pena della stessa salvezza dell’uomo e del mondo.


Non molto tempo fa a Chambesy, vicino a Ginevra, ha avuto luogo la “Prima Conferenza preconciliare” (21-28 novembre 1976). Dopo aver letto e studiato gli atti e le risoluzioni di questo convegno, pubblicati dal “Segretariato per la preparazione del Santo e Grande Concilio della Chiesa Ortodossa” a Ginevra, sento nella mia coscienza l’urgente necessità evangelica, come membro del La Santa e Cattolica Chiesa Ortodossa, anche se come suo più umile servo, di rivolgermi a Vostra Grazia e, attraverso di Lei, al Santo Sinodo dei Vescovi della Chiesa Serba, con questa esposizione che deve esprimere le mie dolorose considerazioni per il futuro Concilio. Prego Vostra Grazia e i Reverendissimi Vescovi di ascoltarmi con zelo evangelico e di ascoltare questo grido di una coscienza ortodossa, che, grazie a Dio, non è né sola né isolata nel mondo ortodosso quando si parla di quel concilio.

1. Dai verbali e dalle risoluzioni della “Prima Conferenza preconciliare”, che, per qualche motivo sconosciuto, si è tenuta a Ginevra, dove è difficile trovare anche solo poche centinaia di fedeli ortodossi, risulta chiaro che questa conferenza ha preparato e ha ordinato un nuovo catalogo di temi per il futuro “Gran Concilio” della Chiesa Ortodossa. Questa non era una di quelle “Conferenze pan-ortodosse”, come quelle che si tenevano a Rodi e successivamente altrove; né è stato il “Pro-Sinodo”, che è stato all’opera finora; si trattava del “Primo Convegno preconciliare”, che avviava la preparazione diretta alla celebrazione di un concilio ecumenico. Inoltre, questo convegno non ha iniziato i suoi lavori sulla base del “Catalogo dei temi, il concilio deve essere “di breve durata” e occuparsi di “un numero limitato di argomenti”; inoltre, secondo le parole del metropolita Meliton, “il Concilio deve approfondire le questioni scottanti che ostacolano il normale funzionamento del sistema che collega le Chiese locali in una sola Chiesa ortodossa…” (“Atti”, p. 55) Tutto ciò obbliga a chiedersi: cosa significa? Perché tutta questa fretta nella preparazione? Dove ci porterà tutto questo? 

2. La questione della preparazione e della celebrazione di un nuovo concilio ecumenico della Chiesa ortodossa non è né nuova né recente in questo ultimo secolo della storia della Chiesa. La questione era già stata proposta durante la vita dello sfortunato patriarca di Costantinopoli, Meletios Metaxakis – il celebre e presuntuoso modernista, riformatore e autore di scismi all’interno dell’Ortodossia – al suo Congresso pan-ortodosso tenutosi a Costantinopoli nel 1923. Fu raccomandato che il concilio si tenesse nella città di Nis nel 1925, ma poiché Nis non si trovava nel territorio del Patriarcato ecumenico, il concilio non fu convocato, probabilmente proprio per questo motivo. In generale, a quanto pare, Costantinopoli ha ipotizzato il monopolio della “Pan-Ortodossia”, di tutti i “Congressi”, delle “Conferenze”, “Pro-sinodi” e “concili”. Più tardi, nel 1930, presso il monastero di Vatopedi, ebbe luogo la Commissione preparatoria delle Chiese ortodosse. Essa definì il catalogo degli argomenti per il futuro pro-sinodo ortodosso, che avrebbe dovuto preludere al concilio ecumenico.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale fu la volta del Patriarca Atenagora di Costantinopoli con le sue Conferenze Panortodosse a Rodi (sempre esclusivamente nel territorio del Patriarcato di Costantinopoli). Il primo di essi, nel 1961, prevedeva la preparazione di un Concilio pan-ortodosso a condizione che fosse convocato un pro-sinodo, e confermava un catalogo di temi già preparato dal Patriarcato di Costantinopoli: otto capitoli interi con quasi quaranta argomenti principali e il doppio dei paragrafi e sottoparagrafi.

Dopo le Conferenze di Rodi II e III (1963 e 1964), nel 1966 si tenne la Conferenza di Belgrado. Dapprima questa fu chiamata Quarta Conferenza Panortodossa (Glasnik della Chiesa Ortodossa Serba, n. 10, 1966 e documenti in greco pubblicati sotto questo titolo), ma in seguito fu ridotta dal Patriarcato di Costantinopoli al grado di Inter-Commissione Ortodossa, affinché la conferenza successiva, tenutasi nel “territorio” di Costantinopoli (il Centro Ortodosso del Patriarcato Ecumenico a Chambesy-Ginevra) nel 1968, potesse essere acclamata al suo posto come Quarta Conferenza Pan-Ortodossa. In questa conferenza, a quanto pare, i suoi impazienti organizzatori si sono affrettati ad abbreviare il percorso verso il concilio, poiché dall’enorme catalogo di Rodi (il loro lavoro, tuttavia, e di nessun altro) hanno preso solo i primi sei argomenti e hanno definito una nuova procedura di lavoro. Allo stesso tempo è stata varata una nuova istituzione: la Commissione preparatoria interortodossa, indispensabile per il coordinamento dei lavori sui temi. Inoltre è stata istituita la Segreteria per la Preparazione del Concilio; si trattava infatti di un vescovo di Costantinopoli a cui venne assegnato l’incarico, con sede nella suddetta Ginevra – nello stesso tempo furono respinte le proposte di includere nel Segretariato altri membri ortodossi. Questa commissione preparatoria e il Segretariato, per desiderio di Costantinopoli, si riunirono a Chambésy nel giugno 1971. In tale riunione esaminarono e approvarono all’unanimità gli abstract dei sei argomenti selezionati, che successivamente furono pubblicati in diverse lingue e presentati, come tutto il precedente lavoro di preparazione al concilio, alle critiche spietate dei teologi ortodossi. Le critiche dei teologi ortodossi (tra cui il mio Memorandum inviato a suo tempo per Vostra Grazia e, con l’approvazione di Vostra Grazia, al Santo Sinodo dei Vescovi, e successivamente approvato da molti teologi ortodossi e pubblicato in varie lingue del mondo ortodosso) sembrano spiegare perché la decisione della Commissione preparatoria di Ginevra di convocare nel 1972 la Prima Conferenza preconciliare per la revisione del catalogo di Rodi, di fatto non fu rispettata quell’anno, e la conferenza ebbe luogo solo con grande ritardo.

Questa Prima Conferenza Preconciliare si tenne solo nel novembre del 1976, sempre, ovviamente, sul “territorio” costantinopolitano, nel suddetto centro di Chambesy, vicino a Ginevra. Come risulta dagli atti e dalle risoluzioni, appena pubblicati e da me attentamente studiati, questo convegno ha riesaminato il catalogo di Rodi a tal punto che le delegazioni partecipanti ai lavori delle varie commissioni hanno scelto all’unanimità solo dieci temi per il concilio (dei sei originari solo tre figuravano nell’elenco!), mentre una trentina di temi, scelti non all’unanimità, furono riservati allo “studio particolare nelle singole Chiese” sotto forma di “problematiche della Chiesa ortodossa” (un concetto del tutto estraneo all’Ortodossia). In futuro questi temi potrebbero diventare oggetto di “esami ortodossi” e magari essere inseriti nel catalogo. Come già affermato, questo convegno ha modificato il processo e la metodologia di elaborazione dei temi e dei lavori preparatori del concilio che, ripeto, secondo gli organizzatori sia di Costantinopoli che di altri luoghi, dovrebbero svolgersi “al più presto possibile”. Da tutto ciò risulta chiaro ad ogni cristiano ortodosso che il Primo Convegno preconciliare non ha proposto nulla di sostanzialmente nuovo, ma continua piuttosto a condurre gli animi ortodossi e le coscienze di molti in labirinti sempre nuovi costituiti da ambizioni personali. Questo è il motivo per cui, a quanto pare, il Concilio ecumenico è in preparazione dal 1923, e il motivo per cui al momento si desidera realizzarlo in fretta.

3. Tutte le “problematiche” contemporanee riguardanti i temi del futuro concilio, l’incertezza e la mutevolezza della loro invenzione, la loro determinazione, la loro “catalogazione” artificiale, così come tutti i nuovi cambiamenti e “revisioni”, dimostrano ad ogni vera coscienza ortodossa una sola cosa: che al momento non ci sono problemi seri o urgenti che giustifichino la convocazione e la celebrazione di un nuovo concilio ecumenico della Chiesa ortodossa. E se tuttavia esistesse un tema degno di essere oggetto della convocazione e della celebrazione di un concilio ecumenico, non è noto ai presenti promotori, organizzatori e redattori di tutti i suddetti “Convegni” con i loro precedenti e attuali “cataloghi”. Se così non fosse, come spiegare allora che, a partire dall’incontro di Costantinopoli del 1923, passando per Rodi nel 1961 e fino a Ginevra nel 1976, le “tematiche” e le “problematiche” del futuro concilio siano state costantemente cambiate? Le modifiche riguardano il numero, l’ordine, i contenuti e gli stessi criteri impiegati per il Catalogo dei Temi che dovrà costituire l’opera di questo grande e unico corpo ecclesiastico che è il Santo Concilio Ecumenico della Chiesa Ortodossa, come è stato e come deve essere. In realtà, tutto ciò manifesta e sottolinea non solo la consueta incoerenza, ma anche un’evidente incapacità di comprendere la natura dell’Ortodossia da parte di coloro che attualmente, nell’attuale situazione, e in tal modo imporrebbe il loro “Concilio” alle Chiese ortodosse – un’ignoranza e un’incapacità di sentire o comprendere ciò che un vero concilio ecumenico ha significato e significa sempre per la Chiesa ortodossa e per il pleroma dei suoi fedeli che portano il nome di CristoPerché se percepissero e si rendessero conto di questo, saprebbero innanzitutto che mai nella storia e nella vita della Chiesa ortodossa un singolo concilio, per non parlare di un evento così eccezionale e pieno di grazia (come la stessa Pentecoste) come un concilio ecumenico, ha cercato e inventato argomenti in questo modo artificiale per i suoi lavori e le sue sessioni; – mai sono state convocate conferenze, congressi, pro-sinodi e altre riunioni artificiali, sconosciute alla tradizione conciliare ortodossa, e in realtà prese in prestito da organizzazioni occidentali estranee alla Chiesa di Cristo.

La realtà storica è perfettamente chiara: i santi Concili dei Santi Padri, convocati da Dio, sempre, sempre avevano davanti a sé una, o al massimo due o tre questioni poste dall’estrema gravità delle grandi eresie e scismi che snaturavano la fede ortodossa. La fede ha lacerato la Chiesa e ha messo seriamente in pericolo la salvezza delle anime umane, la salvezza del popolo di Dio ortodosso e dell’intera creazione di Dio. Pertanto, i concili ecumenici hanno sempre avuto un carattere cristologico, soteriologico, ecclesiologico, il che significa che il loro unico e centrale tema – la loro Buona Novella – è sempre stato il Dio-Uomo Gesù Cristo e la nostra salvezza in Lui, la nostra divinizzazione in Lui. Sì, Lui, il Figlio di Dio, unigenito e consustanziale, incarnato; Lui – l’eterno Capo del Corpo della Chiesa per la salvezza e la divinizzazione dell’uomo; Lui – interamente nella Chiesa per la grazia dello Spirito Santo, per la vera fede in Lui, per la fede ortodossa.

Questo è il tema veramente ortodosso, apostolico e patristico, il tema immortale della Chiesa del Dio-Uomo, per tutti i tempi, passati, presenti e futuri. Soltanto questo potrà essere l’oggetto di un eventuale futuro concilio ecumenico della Chiesa ortodossa, e non un qualche catalogo scolastico-protestante di argomenti che non hanno alcuna relazione essenziale con la vita spirituale e l’esperienza dell’Ortodossia apostolica nel corso dei secoli, poiché non è altro che un serie di teoremi anemici e umanistici. L’eterna cattolicità della Chiesa ortodossa e di tutti i suoi concili ecumenici consiste nella Persona onnicomprensiva dell’Uomo-Dio, il Signore Cristo. Questa è la realtà centrale e universale, il tema dei Concili ortodossi, questo è il mistero e la realtà unici del Dio-Uomo, sul quale si edifica e si sostiene la Chiesa Ortodossa di Cristo con tutti i concili ecumenici e tutta la sua realtà storica. Su questo fondamento dobbiamo costruire, anche oggi, davanti al cielo e alla terra, e non sui temi scolastico-protestanti e umanistici utilizzati dai delegati o delegazioni ecclesiastiche di Costantinopoli o di Mosca, che in questo momento storico amaro e critico si presentano come “leader e rappresentanti” della Chiesa ortodossa nel mondo.

4. Dagli atti dell’ultima Conferenza preconciliare di Ginevra, come in situazioni simili precedenti, risulta chiaro che le delegazioni ecclesiastiche di Costantinopoli e di Mosca differiscono poco tra loro rispetto ai problemi e ai temi posti come oggetto del lavorare per il futuro consiglio. Hanno gli stessi argomenti, quasi lo stesso linguaggio, la stessa mentalità, simili ambizioni. Ciò, tuttavia, non è una sorpresa. Chi rappresentano infatti in questo momento, quale Chiesa e quale popolo di Dio? La gerarchia costantinopolitana in quasi tutti i raduni pan-ortodossi è composta principalmente da metropoliti e vescovi titolari, da pastori senza greggi e senza responsabilità pastorale concreta davanti a Dio e al proprio gregge vivente. Chi rappresentano e chi rappresenteranno al futuro consiglio? Tra i rappresentanti ufficiali del Patriarcato ecumenico non ci sono vescovi delle isole greche dove si trovano veri greggi ortodossi; non ci sono vescovi diocesani greci provenienti dall’Europa o dall’America, per non parlare di altri vescovi – russi, americani, giapponesi, africani, che hanno grandi greggi ortodossi ed eccellenti teologi ortodossi. D’altra parte, l’attuale delegazione del Patriarcato di Mosca rappresenta davvero la santa e martire grande Chiesa russa e i milioni dei suoi martiri e confessori conosciuti solo da Dio? A giudicare da ciò che queste delegazioni dichiarano e difendono, ovunque si rechino fuori dall’Unione Sovietica, non rappresentano né esprimono il vero spirito e l’atteggiamento della Chiesa ortodossa russa e del suo fedele gregge ortodosso, poiché il più delle volte queste delegazioni mettono le cose di Cesare prima delle cose di Dio. Il comandamento scritturale, tuttavia, è diverso: “Sottomettetevi piuttosto a Dio che agli uomini” (Atti 5:29).

Inoltre, è corretto, è ortodosso avere tali rappresentanze delle Chiese ortodosse nei vari incontri panortodossi a Rodi o a Ginevra? I rappresentanti di Costantinopoli che hanno avviato questo sistema di rappresentanza delle Chiese ortodosse nei concili e coloro che accettano questo principio che, secondo la loro teoria, è in accordo con il “sistema delle Chiese locali autocefale e autonome” – hanno dimenticato che tale principio contraddice la tradizione conciliare dell’Ortodossia. Purtroppo questo principio di rappresentanza è stato accettato rapidamente e da tutti gli altri ortodossi: a volte silenziosamente, a volte con proteste votate, ma dimenticando che la Chiesa ortodossa, per sua natura e per la sua costituzione dogmaticamente immutabile, è episcopale e centrata nei vescovi. Perché il vescovo e i fedeli raccolti attorno a lui sono espressione e manifestazione della Chiesa come Corpo di Cristo, soprattutto nella santa Liturgia: la Chiesa è apostolica e cattolica solo in virtù dei suoi vescovi, in quanto sono capi di veri unità ecclesiastiche, le diocesi. Allo stesso tempo, le altre forme storicamente successive e variabili di organizzazione ecclesiastica della Chiesa ortodossa: metropoli, arcidiocesi, patriarcati, pentarchie, autocefalie, autonomie, ecc., per quante possano essere o saranno, possono avere o fare, non hanno un significato determinante e decisivo nel sistema conciliare della Chiesa ortodossa. Inoltre, essi possono costituire un ostacolo al corretto funzionamento del principio conciliare se ostacolano e rifiutano il carattere e la struttura episcopale della Chiesa e delle Chiese. Qui, senza dubbio, si trova la differenza principale tra l’ecclesiologia ortodossa e quella papale.

Se è così, come possono essere rappresentate secondo il principio della delega, cioè con lo stesso numero di delegati, ad esempio, la Chiesa ceca e quella rumena? O, ancor più, i Patriarcati di Russia e di Costantinopoli? Quali gruppi di fedeli rappresentano i primi vescovi e quali i secondi? Negli ultimi tempi il Patriarcato di Costantinopoli ha prodotto una moltitudine di vescovi e metropoliti, quasi tutti titolari e fittizi. È possibile che si tratti di una misura preparatoria per garantire al futuro “Concilio ecumenico”, con la sua moltitudine di titoli, la maggioranza dei voti per le ambizioni neo-papali del Patriarcato di Costantinopoli? D’altro canto, le Chiese apostolicamente zelanti nel lavoro missionario, come la Metropolia americana, la Chiesa russa all’estero, la Chiesa giapponese e altri non possono avere un solo rappresentante!

Dov’è in tutto ciò il principio cattolico dell’Ortodossia? Che tipo di concilio ecumenico sarà questo della Chiesa Ortodossa di Cristo? Già alla Conferenza di Ginevra, Ignatios, metropolita di Laodicea e rappresentante del Patriarcato di Antiochia, aveva affermato con tristezza: “Percepisco un disagio, perché si danneggia l’esperienza conciliare che è il fondamento della Chiesa ortodossa”.

5. Tuttavia, Costantinopoli e alcuni altri non vedono l’ora di convocare il “concilio”. È innanzitutto in accordo con i loro desideri e con le loro insistenza che la Prima Conferenza preconciliare di Ginevra ha deciso che “il Concilio debba essere convocato al più presto possibile”, che questo Concilio debba essere “di breve durata” e che debba “prendere in considerazione un piccolo numero di argomenti.” E vengono citati i dieci temi scelti. I primi quattro temi sono: la diaspora; la questione dell’autocefalia ecclesiastica e le condizioni per la sua proclamazione; l’autonomia e la sua proclamazione; i dittici, cioè l’ordine di precedenza tra le Chiese ortodosse.

L’obiettività evangelica obbliga a notare che la condotta del presidente della Conferenza preconciliare, il metropolita Meliton, è stata dispotica e inadatta a un concilio. Ciò emerge chiaramente da ogni pagina degli atti pubblicati del convegno. Lì si afferma chiaramente e in maniera trasparente che “questo Santo e Grande Concilio della Chiesa Ortodossa che si sta preparando non deve essere considerato come unico, escludendo l’ulteriore convocazione di altri Santi e Grandi Concili” (“Atti”, pp. 18, 20, 50, 55, 60).

Di fronte a tutto ciò, una coscienza evangelicamente sensibile non può fare a meno di porsi la domanda scottante: qual è il vero fine di un concilio convocato così frettolosamente e in modo così prepotente?

Reverendissimi Vescovi, non riesco a liberarmi dall’impressione e dalla convinzione che tutto ciò indichi il segreto desiderio di alcune note personalità del Patriarcato di Costantinopoli: che il primo in onore dei Patriarcati ortodossi imponga le sue idee e procedure a tutte le Chiese ortodosse autocefale , e in generale sul mondo ortodosso e sulla diaspora ortodossa, e sancire tale intenzione neopapista mediante un “concilio ecumenico”. Per questo motivo, tra i dieci temi selezionati per il concilio sono stati inseriti, anzi sono i primi, proprio quei temi che rivelano l’intenzione di Costantinopoli di sottomettere a sé l’intera diaspora ortodossa – e cioè il mondo intero! e di garantirsi il diritto esclusivo di concedere l’autocefalia e l’autonomia in generale a tutte le Chiese ortodosse del mondo, presenti e future, e allo stesso tempo di determinarne l’ordine e il rango a propria discrezione (questo è esattamente ciò che implica la questione dei dittici, perché non riguardano solo l'”ordine di commemorazione liturgica”, ma anche l’ordine di precedenza nei concili, ecc.)

Mi inchino con riverenza davanti alle conquiste secolari della Grande Chiesa di Costantinopoli, e davanti alla sua croce attuale, che non è né piccola né facile, che, secondo la natura delle cose, è la croce di tutta la Chiesa – poiché, come dice L’Apostolo: “Quando un membro soffre, tutto il corpo soffre”. Riconosco inoltre il rango canonico e il primo posto in onore di Costantinopoli tra le Chiese ortodosse locali, che sono uguali in onore e diritti. Ma non sarebbe conforme al Vangelo se a Costantinopoli, a causa delle difficoltà in cui si trova ora, si permettesse di portare l’intera ortodossia sull’orlo del baratro, come avvenne nello pseudoconcilio di Firenze, oppure canonizzare e dogmatizzare particolari forme storiche che, in un dato momento, possano trasformarsi da ali in pesanti catene, legando la Chiesa e la sua presenza trasfigurante nel mondo. Siamo franchi: la condotta dei rappresentanti di Costantinopoli negli ultimi decenni è stata caratterizzata dalla stessa malsana inquietudine, dalla stessa condizione spiritualmente malata che portò la Chiesa al tradimento e alla disgrazia di Firenze nel XV secolo. (Né la condotta della stessa Chiesa sotto il giogo turco è stata un esempio di tutti i tempi. Sia il giogo fiorentino che quello turco erano pericolosi per l’Ortodossia.) Con la differenza che oggi la situazione è ancora più inquietante: un tempo Costantinopoli era un organismo vivo con milioni di fedeli: seppe superare senza indugio la crisi provocata dai corsi esterni come anche la tentazione di sacrificare la fede e il Regno di Dio per i beni di questo mondo. Oggi, però, ha solo metropoliti senza fedeli, vescovi che non hanno nessuno da guidare (cioè senza diocesi), che tuttavia desiderano controllare i destini dell’intera Chiesa. Oggi non deve, non può esserci una nuova Firenze! Né la situazione attuale può essere paragonata alle difficoltà del giogo turco. Lo stesso ragionamento vale per il Patriarcato di Mosca. Si permetterà che le sue difficoltà o quelle di altre Chiese locali sotto il comunismo ateo determinino il futuro dell’Ortodossia? 

Le sorti della Chiesa non sono né possono più essere nelle mani dell’imperatore bizantino o di qualunque altro sovrano. Non è il controllo di un patriarca o di alcuno dei potenti di questo mondo, nemmeno in quello della “Pentarchia” o delle “autocefalie” (intese in senso stretto). Per la potenza di Dio la Chiesa è cresciuta fino a diventare una moltitudine di Chiese locali con milioni di fedeli, molti dei quali ai nostri giorni hanno suggellato con il loro sangue la loro successione apostolica e la fedeltà all’Agnello. E nuove Chiese locali sembrano sorgere all’orizzonte, come quella giapponese, quella africana e quella americana, e la loro libertà nel Signore non deve essere tolta da nessuna “super-Chiesa” di tipo papale (cfr Canone 8, III Concilio Ecumenico), poiché ciò significherebbe un attacco all’essenza stessa della Chiesa. Senza il loro concorso è inconcepibile la soluzione di qualsiasi questione ecclesiastica di rilevanza ecumenica, per non parlare della soluzione delle questioni che li riguardano immediatamente, cioè il problema della diaspora. La secolare lotta dell’Ortodossia contro l’assolutismo romano è stata una lotta proprio per la libertà della Chiesa locale in quanto cattolica e conciliare, completa e integra in se stessa. Dobbiamo oggi percorrere la strada della prima e caduta Roma, o di qualche “seconda” o “terza” simile ad essa? Dobbiamo credere che Costantinopoli, che nelle persone dei suoi santi e grandi gerarchi, del suo clero e del suo popolo, si è opposta così coraggiosamente nei secoli passati al protezionismo e all’assolutismo romano, si stia oggi preparando a ignorare le tradizioni conciliari dell’Ortodossia e a scambiarle con il surrogato neopapale di una “seconda”, “terza” o altra sorta di Roma?

6. Venerabilissimi Padri! Tutti gli ortodossi vedono e si rendono conto di quanto sia importante, quanto sia significativa oggi la questione della diaspora ortodossa sia per la Chiesa ortodossa in generale che per tutte le Chiese ortodosse individualmente. Si può risolvere questa questione, come vogliono Costantinopoli o Mosca, senza fare riferimento, senza la partecipazione dei fedeli ortodossi, pastori e teologi della stessa diaspora, che ogni giorno aumenta? Il problema della diaspora, senza dubbio, è una questione ecclesiale di eccezionale importanza; è una questione che è emersa per la prima volta nella storia con tanta forza e significato. Per la sua soluzione ci sarebbe davvero motivo di convocare un concilio veramente ecumenico a cui partecipino veramente tutti i vescovi ortodossi di tutte le Chiese ortodosse. Un’altra questione che, a nostro avviso, potrebbe e dovrebbe essere esaminata in un autentico concilio ecumenico della Chiesa ortodossa è quella dell’ecumenismo. Si tratta, propriamente, di una questione ecclesiologica che riguarda la Chiesa come unità e organismo teandrico, unità e organismo che sono messi in dubbio dal sincretismo ecumenico contemporaneo. È anche legata alla questione dell’uomo, per il quale il nichilismo delle ideologie contemporanee, soprattutto atee, ha scavato una fossa senza speranza di resurrezione. Entrambe le questioni possono essere risolte correttamente e in modo ortodosso solo procedendo dai fondamenti teandrici degli antichi e veri concili ecumenici. Per il momento, tuttavia, lascio da parte questi problemi per non appesantire questo appello con nuove discussioni e per non ampliarlo eccessivamente.

La questione della diaspora è, quindi, allo stesso tempo grave ed estremamente importante nell’Ortodossia contemporanea. Tuttavia, esistono attualmente le condizioni che garantirebbero che la sua soluzione in concilio sia corretta, ortodossa e secondo l’insegnamento dei Santi Padri? È possibile, infatti, che ci sia una rappresentanza libera e reale di tutte le Chiese ortodosse in un concilio ecumenico senza che influenze esterne le disturbino? I rappresentanti di molti, soprattutto delle Chiese sotto regimi militanti atei, sono davvero in grado di esprimere e difendere i principi ortodossi? Può una Chiesa che rinnega i propri martiri essere un autentico confessore della Croce del Golgota, ovvero portatrice dello spirito e della coscienza conciliare della Chiesa di Cristo? Prima che si tenga un concilio, chiediamoci se sarà possibile che in essa parli la coscienza di milioni di nuovi martiri, resi bianchi dal sangue dell’Agnello. L’esperienza della storia insegna che ogni volta che la Chiesa viene crocifissa, ciascuno dei suoi membri è chiamato a soffrire per la sua Verità, e a non dibattere problemi artificiali o cercare false risposte a domande vere – “pescando in acque torbide” per soddisfare le ambizioni personali. Non ricordiamo che finché le persecuzioni della Chiesa durarono, non furono convocati concili ecumenici – il che non significa che la Chiesa di Dio in quei tempi non vivesse o non funzionasse in modo conciliare. Al contrario, l’epoca delle persecuzioni fu il suo periodo più ricco di frutti. E quando in seguito si riunì il Primo Concilio Ecumenico, si riunirono anche i confessori con le loro ferite e cicatrici, i vescovi provati dal fuoco della sofferenza, che allora potevano testimoniare liberamente di Cristo come Dio e Signore. Il loro spirito sarà presente anche in questo momento? In altre parole, i vescovi del nostro tempo che sono simili ai martiri saranno presenti al concilio che si sta preparando, in modo che questo concilio possa pensare secondo lo Spirito Santo e parlare e decidere secondo Dio, e che in esso non siano ascoltati soprattutto coloro che non sono liberi dall’influenza delle potenze di questo mondo? Consideriamo, ad esempio, il gruppo di vescovi della Chiesa russa fuori dalla Russia che, con tutta la loro debolezza umana, portano su di sé i vincoli del Signore e della Chiesa russa che è fuggita nel deserto dalle persecuzioni non inferiori a quelle di Diocleziano: questi vescovi sono stati esclusi in anticipo da Mosca e Costantinopoli dalla partecipazione al concilio, e in questo modo condannati al silenzio. Pensiamo a quei vescovi della Russia e di altri Paesi apertamente atei che non potranno partecipare liberamente al concilio, né parlare e prendere decisioni liberamente; ad alcuni di loro non sarà nemmeno permesso di partecipare al concilio. Per non parlare dell’impossibilità per loro o per le loro Chiese di prepararsi in modo degno per un’occasione così grande e significativa. Non è questa una prova più che sufficiente del fatto che al concilio la coscienza della Chiesa martire e la coscienza del pleroma ecclesiastico saranno entrambe silenziose, che ai loro rappresentanti non sarà permesso nemmeno di entrare – come è successo con uno dei più illustri testimoni della Chiesa perseguitata all’assemblea di Nairobi (mi riferisco in particolare a Solzhenitsyn)?

Possiamo lasciare da parte la questione di quanto possa essere morale o addirittura normale che in un momento in cui il Signore Gesù Cristo e la fede in Lui sono crocifissi in modo più terribile che mai, i Suoi seguaci debbano decidere chi sarà il primo tra loro. In un tempo in cui Satana cerca non solo il corpo ma l’anima stessa dell’uomo e del mondo, quando l’umanità è minacciata di autodistruzione, è morale e normale che i discepoli di Cristo si occupino delle stesse domande (e allo stesso modo) delle ideologie anticristiane contemporanee – ideologie che vendono il Pane della Vita per un piatto di lenticchie?

Tenendo presente tutto ciò e dolorosamente consapevole della situazione della Chiesa ortodossa contemporanea e del mondo in generale – che non è sostanzialmente cambiata dal mio ultimo appello al Santo Consiglio dei Vescovi (maggio 1971) la mia coscienza mi obbliga ancora una volta a rivolgermi con insistenza e supplica al Santo Sinodo episcopale della Chiesa serba martirizzata: la nostra Chiesa serba si astenga dal partecipare ai preparativi del “concilio ecumenico”, anzi dal partecipare al concilio stesso. Perché se questo concilio, Dio non voglia, dovesse effettivamente realizzarsi, ci si può aspettare solo un tipo di risultato: scismi, eresie e la perdita di molte anime. Considerando la questione dal punto di vista dell’esperienza apostolica, patristica e storica della Chiesa, un tale concilio, invece di guarire, non farà altro che aprire nuove ferite nel corpo della Chiesa e infliggerle nuovi problemi e nuove disgrazie.

Mi raccomando alla preghiera santa e apostolica dei Padri del Santo Sinodo dei Vescovi della Chiesa Ortodossa Serba.

L’indegno archimandrita Justin
(padre spirituale del monastero di Chelie)

Vigilia della festa di San Giorgio, 1977 Monastero di Chelie, Valjevo (Jugoslavia)

ENGLISH VERSION

On a Summoning of the Great Council of the Orthodox Church

Archimandrite Justin Popovich

The following letter was addressed by Archimandrite Dr. Justin Popovic of blessed memory, spiritual father of the monastery of Celie Valjevo (Yugoslavia), to Bishop Jovan of Sabac and the Serbian hierarchy on May 7, 1977, with the request to transmit this letter to the Holy Synod and the Council of Bishops of the Serbian Orthodox Church. Its relevance has not diminished with the passing years… and perhaps has increased in the light of the recent scandalous and unOrthodox events on Mount Athos.

Not long ago in Chambesy, near Geneva, the “First Pre-Conciliar Conference” took place (November 21-28, 1976). After reading and studying the acts and resolutions of this conference, published by the “Secretariat for the Preparation of the Holy and Great Council of the Orthodox Church” in Geneva, I feel in my conscience the urgent, evangelical necessity, as a member of the Holy and Catholic Orthodox Church, even though its humblest servant, to turn to Your Grace and, through you, to the Holy Council of Bishops of the Serbian Church, with this exposition that must express my grievous considerations for the future council. I beg Your Grace and the Most Reverend Bishops to hear me with evangelical zeal and to listen to this cry of an Orthodox conscience, which, thanks be to God, is neither alone nor isolated in the Orthodox world whenever there is mention of that council.

1. From the minutes and resolutions of the “First Pre-Conciliar Conference,” which, for some unknown reason, was held in Geneva, where it is difficult to find even a few hundred Orthodox faithful, it is clear that this conference prepared and ordained a new catalogue of topics for the future “Great Council” of the Orthodox Church. This was not one of those “Pan-Orthodox Conferences,” such as were held on Rhodes and subsequently elsewhere; nor was it the “Pro-Synod,” which has been at work until now; this was the “First Pre-Conciliar Conference,” initiating the direct preparation for the celebration of an ecumenical council. Moreover, this conference did not begin its work on the foundation of the “Catalogue of Topics,” established at the first Pan-Orthodox Conference in 1961 on Rhodes and unelaborated up until 1971, instead it compiled a revision of this catalogue and set forth its own new “Catalogue of Topics” for the council. Apparently, however, not even this catalogue is definitive, for it will very likely again be altered and supplemented. Lately, the Conference has also reconsidered the methodology formerly adopted in the planning and final preparation of topics for the council. It abbreviated this entire process in view of its haste and urgency to summon the council as soon as possible. For, according to the explicit declaration of Metropolitan Meliton, presiding chairman of the Conference, the Patriarchate of Constantinople and certain others “are hastening to summon” and celebrate the future council: the council must be “of short duration” and occupy itself with “a limited number of topics”; moreover, in the words of Metropolitan Meliton, “The Council must delve into the burning questions that obstruct the normal functioning of the system linking up the local Churches, into the one, single Orthodox Church…” (“Acts,” p.55) All of this obliges us to ask: what does it mean? Why all this haste in the preparation? Where is all of this going to lead us?

2. The questions of the preparation and celebration of a new ecumenical council of the Orthodox Church is neither new nor recent in this century of the history of the Church. The matter was already proposed during the lifetime of that hapless Patriarch of Constantinople, Meletios Metaxakis – the celebrated and presumptuous modernist, reformer, and author of schisms within Orthodoxy – at his Pan-Orthodox Congress held in Constantinople in 1923. (At this time it was recommended that the council be held in the city of Nis in 1925, but since Nis was not in the territory of the Ecumenical Patriarchate, the council was not convened, probably for that very reason. In general, as it appears, Constantinople has assumed the monopoly of “Pan-Orthodoxy,” of all the “Congresses,” “Conferences,” “Pro-Synods” and “Councils.”) Later on, in 1930, at the monastery of Vatopedi, the Preparatory Commission of the Orthodox Churches took place. It defined the Catalogue of Topics for the Future Orthodox Pro-Synod, which should have been the prelude to the ecumenical council.

After the Second World War came the turn of Patriarch Athenagoras of Constantinople with his Pan-Orthodox Conferences on Rhodes (again, exclusively in the territory of the Patriarchate of Constantinople). The first of them, in 1961, called for the preparation of a Pan-Orthodox Council on condition that a pro-synod be summoned, and it confirmed a catalogue of topics which had already been prepared by the Patriarchate of Constantinople: eight full chapters with nearly forty primary topics and twice again as many paragraphs and subparagraphs.

After the Rhodes Conferences II and III (1963 and 1964), in 1966 the Belgrade Conference was held. At first this was called the Fourth Pan-Orthodox Conference (Glasnik of the Serbian Orthodox Church, No. 10, 1966 and documents in Greek published under this title), but later it was reduced by the Patriarchate of Constantinople to the grade of an Inter-Orthodox Commission, so that the succeeding conference, held in Constantinopolitan “territory” (the Orthodox Centre of the Ecumenical Patriarchate at Chambesy-Geneva) in 1968, might be acclaimed the Fourth Pan-Orthodox Conference in its place. At this conference, apparently, its impatient organizers hastened to shorten the path to the council, for from the enormous catalogue of Rhodes (their own work, however, and nobody else’s) they took only the first six topics and defined a new procedure of work. At the same time there was established a new institution: the Inter-Orthodox Preparatory Commission, indispensable for the coordination of work on the topics. Moreover, the Secretariat for the Preparation of the Council was also established; in fact, this meant a bishop of Constantinople who was assigned the task, with his seat at the above-named Geneva – at the same time proposals for including other Orthodox members in the Secretariat were rejected. This preparatory commission and the Secretariat, by wish of Constantinople held a meeting at Chambesy in June, 1971. At this meeting they examined and unanimously approved abstracts of the selected six topics, which subsequently were published in several languages and submitted, like all the previous work in preparation for the council, to the merciless criticism of Orthodox theologians. The criticisms of the Orthodox theologians (among them my Memorandum sent at that time through Your Grace and, with Your Grace’s approval, to the Holy Council of Bishops, and subsequently approved by many Orthodox theologians and published in various languages in the Orthodox world) apparently explain why the decision of the Preparatory Commission of Geneva to convene in 1972 the First Pre-Conciliar Conference for the revision of the catalogue of Rhodes, was in fact not observed that year, and the conference took place only with great delay.

This First Pre-Conciliar Conference was held only in November of 1976, again, of course, on Constantinopolitan “territory” at the above-named centre in Chambesy, near Geneva. As is clear from the acts and resolutions, only now just published, and which I have carefully studied, this conference re-examined the catalogue of Rhodes to such an extent that the delegations participating in the work of the various committees unanimously chose only ten topics for the council (only three of the original six were included in the list!), while about thirty topics, not unanimously chosen, were set aside for “particular study in the individual Churches” in the form of “problematics of the Orthodox Church” (a concept entirely alien to Orthodoxy). In the future these topics could become the subject of “Orthodox examinations” and perhaps be included in the catalogue. As already stated, this conference altered the process and methodology of elaborating the topics and the preparatory work of the council which, I repeat, according to the organizers from both Constantinople and other places, should take place “as soon as possible.” From all this, it is clear to every Orthodox Christian that the First Pre-Conciliar Conference has not come up with anything substantially new, but continues rather to lead Orthodox souls as well as the consciences of many into ever new labyrinths constituted by personal ambitions. This is the reason why, it would seem, the ecumenical council has been in preparation since 1923, and why at the present time it is desired to bring it to a hasty realization.

3. All the contemporary “problematics” concerning the topics of the future council, the uncertainty and mutability of their invention, their determination, their artificial “cataloguing,” as well as all the new changes and “revisions”, demonstrate to every true Orthodox conscience one thing only: that at the present time there are no serious or pressing problems that would justify the convening and celebration of a new ecumenical council of the Orthodox Church. And if, nevertheless, a topic should exist, worthy of being the object of the convocation and celebration of an ecumenical council, it is unknown to the present initiators, organizers and editors of all the above-mentioned “Conferences” with their previous and present “catalogues.” If this were not the case, then how is it to be explained that, beginning with the meeting in Constantinople in 1923, continuing through Rhodes in 1961 and up to Geneva in 1976, the “thematics” and “problematics” of the future council have been constantly changed? The alterations extend to the number, order, contents and the very criteria employed for the Catalogue of Topics that is to constitute the work of this great and unique ecclesiastical body – the Holy Ecumenical Council of the Orthodox Church, as it has been and as it must be. In reality, all of this manifests and underscores not only the usual lack of consistency, but also an obvious incapacity and failure to understand the nature of Orthodoxy on the part of those who at the present time, in the current situation, and in such a manner would impose their “Council” on the Orthodox Churches – an ignorance and inability to feel or to comprehend what a true ecumenical council has meant and always means for the Orthodox Church and for the pleroma of its faithful who bear the name of Christ. For if they sensed and realized this, they would first of all know that never in the history and life of the Orthodox Church has a single council, not to mention such an exceptional, grace-filled event (like Pentecost itself) as an ecumenical council, sought and invented topics in this artificial way for its work and sessions; – never have there been summoned such conferences, congresses, pro-synods, and other artificial gatherings, unknown to the Orthodox conciliar tradition, and in reality borrowed from Western organisations alien to the Church of Christ.

Historical reality is perfectly clear: the holy Councils of the Holy Fathers, summoned by God, always, always had before them one, or at the most two or three questions set before them by the extreme gravity of great heresies and schisms that distorted the Orthodox Faith, tore asunder the Church and seriously placed in danger the salvation of human souls, the salvation of the Orthodox people of God, and of the entire creation of God. Therefore, the ecumenical councils always had a Christological, soteriological, ecclesiological character, which means that their sole and central topic – their Good News – was always the God-Man Jesus Christ and our salvation in Him, our deification in Him. Yes, He – the Son of God, only-begotten and consubstantial, incarnate; He – the eternal Head of the Body of the Church for the salvation and deification of man; He – wholly in the Church by the grace of the Holy Spirit, by true faith in Him, by the Orthodox Faith.

This is the truly Orthodox, apostolic and patristic theme, the immortal theme of the Church of the God-Man, for all times, past, present and future. This alone can be the subject of any future possible ecumenical council of the Orthodox Church, and not some scholastic-protestant catalogue of topics having no essential relation to the spiritual life and experience of apostolic Orthodoxy down the ages, since it is nothing more than a series of anemic, humanistic theorems. The eternal catholicity of the Orthodox Church and of all her ecumenical councils consists in the all-embracing Person of the God-Man, the Lord Christ. This is the central and universal reality, the theme of Orthodox Councils, this is the unique mystery and reality of the God-Man, upon which the Orthodox Church of Christ is built and sustained with all ecumenical councils and all her historical reality. Upon this foundation we are to build, even today, in the sight of heaven and earth, and not upon the scholastic-protestant and humanistic topics employed by the ecclesiastical delegates or delegations of Constantinople or Moscow, who at this bitter and critical moment of history present themselves as the “leaders and representatives” of the Orthodox Church in the world.

4. From the acts of the last Pre-Conciliar Conference in Geneva, as in similar situations previously, it is clear that the ecclesiastical delegations of Constantinople and Moscow differ little from one another with respect to the problems and themes set forth as the subject of work for the future council. They have the same topics, almost the same language, the same mentality, similar ambitions. This, however, is no surprise. Whom do they in fact represent at the present moment, what Church and what people of God? The Constantinopolitan hierarchy at almost all the pan-Orthodox gatherings consists primarily of titular metropolitans and bishops, of pastors without flocks and without concrete pastoral responsibility before God and their own living flock. Whom do they represent and whom will they represent at the future council? Among the official representatives of the Ecumenical Patriarchate there are no hierarchs from the Greek islands where real Orthodox flocks are to be found; there are no Greek diocesan bishops from Europe or America, not to mention other bishops – Russian, American, Japanese, African, who have large Orthodox flocks and excellent Orthodox theologians. On the other hand, does the present delegation of the Moscow Patriarchate in fact represent the holy and martyred great Church of Russia and the millions of her martyrs and confessors known only to God? Judging from what these delegations declare and defend, wherever they travel outside the Soviet Union, they neither represent nor express the true spirit and attitude of the Russian Orthodox Church and its faithful Orthodox flock, for more often than not these delegations put the things of Caesar before the things of God. The scriptural commandment, however, is otherwise: “Submit yourselves rather to God than to men” (Acts 5:29).

Moreover, is it correct, is it Orthodox to have such representations of the Orthodox Churches at various pan Orthodox gatherings on Rhodes or in Geneva? The representatives of Constantinople who began this system of representation of Orthodox Churches at the councils and those who accept this principle which, according to their theory, is in accord with the “system of autocephalous and autonomous” local Churches – they have forgotten that such a principle in fact contradicts the conciliar tradition of Orthodoxy. Unfortunately this principle of representation was accepted quickly and by all the other Orthodox: sometimes silently, sometimes with voted protests, but forgetting that the Orthodox Church, in its nature and its dogmatically unchanging constitution is episcopal and centred in the bishops. For the bishop and the faithful gathered around him are the expression and manifestation of the Church as the Body of Christ, especially in the Holy Liturgy: the Church is Apostolic and Catholic only by virtue of its bishops, insofar as they are the heads of true ecclesiastical units, the dioceses. At the same time, the other, historically later and variable forms of church organisation of the Orthodox Church: the metropolias, archdioceses, patriarchates, pentarchias, autocephalies, autonomies, etc., however many there may be or shall be, cannot have and do not have a determining and decisive significance in the conciliar system of the Orthodox Church. Furthermore, they may constitute an obstacle in the correct functioning of the conciliar principle if they obstruct and reject the episcopal character and structure of the Church and of the Churches. Here, undoubtedly, is to be found the primary difference between Orthodox and papal ecclesiology.

If this is so, then how can there be represented according to the delegation principle, that is by the same number of delegates, for example, the Czech and Romanian Churches? Or to an even greater extent, the Patriarchates of Russia and Constantinople? What groups of faithful do the first bishops represent and what the second? Recently the Patriarchate of Constantinople has produced a multitude of bishops and metropolitans, almost all of them titular and fictitious. Is it possible that this is a preparatory measure to guarantee at the future “Ecumenical Council” by their multitude of titles the majority of votes for the neo-papal ambitions of the Patriarchate of Constantinople? On the other hand, the Churches apostolically zealous in missionary work, such as the American Metropolia, the Russian Church Abroad, the Japanese Church and others are not allowed a single representative!

Where in all this is the Catholic principle of Orthodoxy? What sort of ecumenical council of the Orthodox Church of Christ will this be? Already at the Geneva Conference, Ignatios, Metropolitan of Laodicea and representative of the Patriarchate of Antioch, sadly affirmed: “I sense uneasiness, for harm is being done the conciliar experience which is the foundation of the Orthodox Church.”

5. Nevertheless, Constantinople and some others cannot wait to summon the “council.” It is primarily in accordance with their wishes and insistence that the First Pre-Conciliar Conference in Geneva decided that “the council should be summoned as soon as possible,” that this council must be “of short duration,” and that it should “take for consideration a small number of topics.” And the ten chosen topics are cited. The first four topics are: the diaspora; the question of ecclesiastical autocephaly and the conditions for its proclamation; autonomy and its proclamation; the diptychs – that is, the order of precedence among the Orthodox Churches.

Evangelical objectivity obliges one to note that the conduct of the presiding chairman at the Pre-Conciliar Conference, Metropolitan Meliton, was despotic and unbefitting a council. This is clear from every page of the published acts of the conference. There it is clearly and plainly stated that, “This Holy and Great Council of the Orthodox Church which is being prepared must not be regarded as unique, excluding the further summoning of other Holy and Great Councils” (“Acts,” pp. 18, 20, 50, 55, 60).

In view of all this, an evangelically sensitive conscience cannot help but ask the burning question: what is the real end of a council summoned in such haste and in such a highhanded manner?

Most Reverend Bishops, I cannot free myself from the impression and conviction that all this points to the secret desire of certain known persons of the Patriarchate of Constantinople: that the first in honour of Orthodox Patriarchates force its ideas and procedures on all the Autocephalous Orthodox Churches, and in general upon the Orthodox world and the Orthodox diaspora, and sanction such a neo-papist intention by an “ecumenical council.” For this reason, among the ten topics selected for the council there have been inserted, indeed are the first, just those topics that reveal the intention of Constantinople to submit to herself the entire Orthodox diaspora – and that means the entire world! and to guarantee for herself the exclusive right to grant autocephaly and autonomy in general to all the Orthodox Churches in the world, both present and future, and at the same time to determine their order and rank at her own discretion (this is exactly what the question of the diptychs implies, for they concern not only the “order of liturgical commemoration” but the order of precedence at councils, etc.).

I bow in reverence before the age-old achievements of the Great Church of Constantinople, and before her present cross which is neither small nor easy, which, according to the nature of things, is the cross of the entire Church – for, as the Apostle says, “When one member suffers, the whole body suffers.” Moreover, I acknowledge the canonical rank and first place in honour of Constantinople among the local Orthodox Churches, which are equal in honour and rights. But it would not be in keeping with the Gospel if Constantinople, on account of the difficulties in which she now finds herself, were allowed to bring the whole of Orthodoxy to the brink of the abyss, as once occurred at the pseudo-council of Florence, or to canonize and dogmatize particular historical forms which, at a given moment, might transform themselves from wings into heavy chains, binding the Church and her transfiguring presence in the world. Let us be frank: the conduct of the representatives of Constantinople in the last decades has been characterized by the same unhealthy restlessness, by the same spiritually ill condition as that which brought the Church to the betrayal and disgrace of Florence in the 15th Century. (Nor was the conduct of the same Church under the Turkish yoke an example of all times. Both the Florentine and the Turkish yokes were dangerous for Orthodoxy.) With the difference that today the situation is even more ominous: formerly Constantinople was a living organism with millions of faithful – she was able to overcome without delay the crisis brought about by external courses as well as the temptation to sacrifice the faith and the Kingdom of God for the goods of this world. Today, however, she has only metropolitans without faithful, bishops who have no one to lead (i.e. without dioceses), who nonetheless wish to control the destinies of the entire Church. Today there must not, there cannot be a new Florence! Nor can the present situation be compared with the difficulties of the Turkish yoke. The same reasoning applies to the Moscow Patriarchate. Are its difficulties or the difficulties of other local Churches under godless communism to be allowed to determine the future of Orthodoxy?

The fate of the Church neither is nor can be any longer in the hands of the Byzantine emperor or any other sovereign. It is not the control of a patriarch or any of the mighty of this world, not even in that of the “Pentarchy” or of the “autocephalies” (understood in the narrow sense). By the power of God the Church has grown up into a multitude of local Churches with millions of faithful, many of whom in our days have sealed their apostolic succession and faithfulness to the Lamb with their blood. And new local Churches appear to be rising on the horizon, such as the Japanese, the African and the American, and their freedom in the Lord must not be removed by any “super-Church” of the papal type (cf. Canon 8, III Ecumenical Council), for this would signify an attack on the very essence of the Church. Without their concurrence the solution of any ecclesiastical question of ecumenical significance is inconceivable, not to mention the solutions to questions that immediately concern them, i.e. the problem of the diaspora. The age-old struggle of Orthodoxy against Roman absolutism was a struggle for just such freedom of the local Church as catholic and conciliar, complete and whole in itself. Are we today to travel the road of the first and fallen Rome, or of some “second” or “third” similar to it? Are we to believe that Constantinople, which in the persons of its holy and great hierarchs, its clergy and its people, so boldly opposed for centuries past the Roman protectionism and absolutism, is today preparing to ignore the conciliar traditions of Orthodoxy and to exchange them for the neo-papal surrogate of a “second,” “third” or other sort of Rome?

6. Most Venerable Fathers! All the Orthodox behold and realise how important, how significant today is the question of the Orthodox diaspora both for the Orthodox Church in general and for all the Orthodox Churches individually. Can this question be decided, as Constantinople or Moscow desires, without referring to, without the participation of the Orthodox faithful, pastors and theologians of the diaspora itself, which is increasing every day? The problem of the diaspora, without doubt, is a church question of exceptional importance; it is a question that has risen to the surface for the first time in history with such force and significance. For its solution there would be cause indeed to convoke a truly ecumenical council in which all the Orthodox bishops of all the Orthodox Churches would truly participate. Another question that, in our view, could and should be considered at an authentic ecumenical council of the Orthodox Church is the question of ecumenism. This, properly speaking, is an ecclesiological question concerning the Church as theandric unity and organism, a unity and organism that are placed in doubt by contemporary ecumenical syncretism. It is also related to the question of man, for whom the nihilism of contemporary, and especially atheistic, ideologies has dug a grave without hope of resurrection. Both questions can be resolved correctly and in an Orthodox manner only by proceeding from the theandric foundations of the ancient and true ecumenical councils. For the present, however, I leave these problems aside so as not to overburden this appeal with new discussions and expand it unduly.

The question of the diaspora is, then, both grievous and extremely important in contemporary Orthodoxy. However, do the conditions at present exist that would guarantee its solution in council as correct, Orthodox, and according to the teaching of the Holy Fathers? Is it possible, indeed, for there to be a free and real representation of all the Orthodox Churches at an ecumenical council without outside influence disturbing them? Are the representatives of many, especially of the Churches under militantly atheistic regimes, really able to express and defend Orthodox principles? Can a Church that denies her own martyrs be an authentic confessor of the Cross of Golgotha, or a bearer of the spirit and conciliar consciousness of the Church of Christ? Before a council takes place, let us ask ourselves whether it will be possible for the consciences of millions of new martyrs, made white by the blood of the Lamb, to speak out in it. The experience of history teaches that whenever the Church is crucified, each of her members is called upon to suffer for her Truth, and not to debate artificial problems or to look for false answers to real questions – “fishing in muddied waters” in order to satisfy personal ambitions. Shall we not remember that so long as the persecutions of the Church endured, no ecumenical councils were convened – which does not mean that the Church of God in those times did not live or function in a conciliar fashion. Quite the contrary, the age of the persecutions was its period of richest fruits. And when afterwards the First Ecumenical Council gathered, there gathered also the confessors with their wounds and scars, the bishops tried in the fire of suffering, who then could freely testify concerning Christ as God and Lord. Will their spirit be present also at this time? In other words, will the bishops of our own age who are similar to the martyrs be present at the council that is now preparing, so that this council might think in accordance with the Holy Spirit and speak and decide according to God, and that there not be heard in it primarily those who are not free from the influence of the powers of this world? Let us consider, for example, the group of bishops of the Russian Church Outside of Russia who, for all their human weakness, bear upon themselves the bonds of the Lord and of the Russian Church that has fled into the wilderness from the persecutions in no way inferior to those of Diocletian: these bishops have been excluded in advance by Moscow and Constantinople from participation in the council, and in this way condemned to silence. Let us think of those bishops of Russia and of other openly atheistic countries who will be unable to participate freely in the council or to speak and make decisions freely; some of them will not even be allowed to attend the council. Not to mention the impossibility of them or their Churches preparing in a worthy manner for so great and significant an occasion. Is this not more than sufficient proof that at the council the conscience of the martyred Church and the conscience of the ecclesiastical pleroma will both be silent, that their representatives will not be allowed even to enter – such as occurred with one of the most illustrious witnesses of the persecuted Church at the assembly in Nairobi (I refer specifically to Solzhenitsyn)?

We may leave aside the question of how moral or even normal it may be that at a time in which the Lord Jesus Christ and faith in Him are crucified in more terrible fashion than ever before, His followers should be deciding who will be first among them. At a time in which Satan is seeking not only the body but the very soul of man and the world, when mankind is threatened with self-destruction, is it moral and normal that the disciples of Christ should be occupied with the same questions (and in the same way) as the contemporary anti-Christian ideologies – ideologies that sell the Bread of Life for a mess of pottage?

Keeping all this in mind and painfully aware of the situation of the contemporary Orthodox Church and of the world in general – which has not substantially changed since my last appeal to the Holy Council of Bishops (May, 1971) my conscience once more obliges me to turn with insistence and beseeching to the Holy Council of Bishops of the martyred Serbian Church: let our Serbian Church abstain from participating in the preparations for the “ecumenical council,” indeed from participating in the council itself. For should this council, God forbid, actually come to pass, only one kind of result can be expected from it: schisms, heresies and the loss of many souls. Considering the question from the point of view of the apostolic and patristic and historical experience of the Church, such a council, instead of healing, will but open up new wounds in the body of the Church and inflict upon her new problems and new misfortunes.

I recommend myself to the holy and apostolic prayers of the Fathers of the Holy Council of Bishops of the Serbian Orthodox Church.

The unworthy Archimandrite Justin
(Spiritual father of the monastery of Chelie)

Eve of the Feast of St. George, 1977 Monastery of Chelie, Valjevo (Yugoslavia)




1 MAGGIO

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

01 Maggio secondo l’antico calendario della Chiesa

  1. IL SANTO PROFETA GEREMIA

Geremia nacque circa seicento anni prima di Cristo nel villaggio di Anathoth non lontano da Gerusalemme. Cominciò a profetizzare all’età di quindici anni durante il regno del re Giosia. Predicò il pentimento al re e ai nobili, ai falsi profeti e ai sacerdoti. Durante il regno del re Giosia, Geremia scampò a malapena alla morte per mano assassina dei nobili infuriati. Riguardo al re Ioiachim, egli profetizzò che la sepoltura del re sarebbe stata come la sepoltura di un asino, cioè il suo cadavere sarebbe stato gettato fuori Gerusalemme e che il suo corpo sarebbe stato trascinato per terra senza il beneficio della sepoltura: “Sarà sepolto con la sepoltura di un asino, trascinato e gettato fuori delle porte di Gerusalemme” (Geremia 22,18). Per questo motivo Geremia fu gettato in prigione. Non potendo scrivere in prigione, Geremia invitò Baruc [il figlio di Neriah], che stava vicino alla finestrella della prigione e gli dettò. Quando questa profezia fu letta al re, il re infuriato afferrò il foglio e lo gettò nel fuoco. La Divina Provvidenza salvò Geremia dalla prigione e la parola del profeta si adempì in Ioiachim. Riguardo al re Ieconia [figlio di Ioiachim, re di Giuda], Geremia profetizzò che Ieconia sarebbe stato portato a Babilonia con tutta la sua famiglia e che lì sarebbe morto. Tutto ciò avvenne in breve: “… dopo che Nabucodonosor, re di Babilonia, ebbe portato via in cattività Ieconia, figlio di Ioiachim, re di Giuda” (Geremia 24,1). “…quando condusse in cattività Ieconia, figlio di Ioiachim, re di Giuda, da Gerusalemme a Babilonia, e tutti i notabili di Giuda e di Gerusalemme” (Geremia 27,20). Sotto il re Sedekia, Geremia si mise un giogo intorno al collo e attraversò Gerusalemme profetizzando la caduta di Gerusalemme e la schiavitù sotto il giogo dei babilonesi. “Così mi ha detto il Signore: Fatti dei legami e dei gioghi, e mettili sul tuo collo” (Geremia 27,2). “Ho parlato anche a Sedecìa, re di Giuda, secondo tutte queste parole, dicendo: Portate il vostro collo sotto il giogo del re di Babilonia, servite lui e il suo popolo, e vivete” (Geremia 27,12). Ai prigionieri ebrei in Babilonia, Geremia scrisse dicendo loro di non sperare in un rapido ritorno a Gerusalemme perché sarebbero rimasti in Babilonia per settant’anni, cosa che avvenne. “Tutto questo paese sarà una rovina e un deserto. Settant’anni queste nazioni saranno schiave del re di Babilonia” (Geremia 25,11). Nella valle del Tofet vicino a Gerusalemme [la Valle del massacro], dove gli ebrei offrivano bambini in sacrificio agli idoli, Geremia prese in mano un vaso d’argilla da vasaio e lo frantumò davanti al popolo profetizzando l’imminente umiliazione del regno di Giuda . “Anche così, io spezzerò questo popolo e questa città, come si rompe un vaso di vasaio che non può più ritornare ad essere integro” (Geremia 19.11). I babilonesi catturarono presto Gerusalemme, uccisero il re Sedekia, saccheggiarono e distrussero la città e decapitarono un gran numero di ebrei nella valle del Tofet, nello stesso punto in cui i bambini venivano macellati per il sacrificio agli idoli e dove il profeta Geremia ruppe il vaso del vasaio di argilla. Geremia, con i Leviti, rimosse l’Arca dell’Alleanza dal Tempio verso il Monte Nebo dove morì Mosè e lì nascose l’Arca in una grotta. Tuttavia, nascose il fuoco del tempio in un pozzo profondo. Geremia fu costretto da alcuni ebrei ad accompagnarli in Egitto dove visse per quattro anni e fu poi lapidato dai suoi connazionali. Agli egiziani, Geremia profetizzò la distruzione dei loro idoli e l’arrivo della Vergine e del Cristo Bambino in Egitto. C’è una tradizione che afferma che il re Alessandro Magno visitò la tomba del profeta Geremia. Per ordine del re Alessandro, il corpo di Geremia fu traslato e sepolto ad Alessandria.

  1. IL VENERABILE MARTIRE ACACIO, IL SANDALAIO

Acacio era del villaggio di Neochorion vicino a Tessalonica. Maltrattato molto dal suo maestro artigiano a Serres, Acacio si convertì all’Islam. Più tardi [ritornò alla Fede] e come penitente e monaco, visse nel monastero di Hilendar [Monte Athos]. La sua madre bisognosa e amante di Cristo gli consigliò: “Come hai rinnegato volentieri il Signore, così ora devi accettare volentieri e coraggiosamente il martirio per il dolce Gesù”. Il figlio seguì il consiglio della madre e con la benedizione dei padri del Sacro Monte, Acacio si recò a Costantinopoli dove i Turchi lo decapitarono il 1 maggio 1816 d.C. La sua testa è conservata in un reliquiario nel monastero russo di San Panteleimon sul Monte Athos.

  1. IL VENERABILE PAFNUZIO DI BOROVSK

Pafnuzio, figlio di un nobile tartaro, in seguito abbracciò la fede cristiana. All’età di vent’anni, Pafnuzio fu tonsurato monaco e continuò a vivere la sua vita in un monastero fino al suo novantaquattresimo anno, quando riposò nel Signore. Pafnuzio era vergine e asceta. Per questo motivo, divenne un operatore di miracoli con un grande discernimento. Si addormentò nell’anno 1478 d.C.

Inno di lode
IL PROFETA GEREMIA

Geremia, casto e profeta,
Agli uomini annuncia la volontà di Dio
Quando sono nel peccato, gli uomini decadono
E le leggi di Dio, calpestano.
Il profeta grida, piange e minaccia,
Come una fiamma viva, le sue parole sono,
Illuminano i giusti, bruciano i peccatori;
Come le lacrime di una madre, le sue lacrime sono
Sulla sua prole morente.
Il profeta lo prevede, la punizione sta arrivando,
Una punizione, cento volte meritata.
La misericordia di Dio, in giustizia si trasforma.
Il profeta grida, piange e minaccia,
Il popolo peccatore, chiama al pentimento.
Quello che dicono i leader, la gente ascolta,
E i capi, deridono il profeta,
E le sue parole, come una bugia hanno proclamato!
Ma pur essendo stanco, il profeta non permette:
Con le sofferenze, le sue parole suggella;
Uomini nefasti, uccisero il profeta,
E per sempre, lo resero famoso.
Tutte le parole del profeta si adempirono,
Il regno cadde; glorificato fu il profeta.

Riflessione
Il Venerabile Pafnuzio di Borovsk disse ai suoi discepoli che l’anima di un uomo e le sue opere nascoste possono essere riconosciute dallo sguardo nei suoi occhi. Ai suoi discepoli, questo sembrò incredibile fino a quando quest’uomo di Dio lo confermò in realtà in più di un’occasione. Discernendo il destino degli altri, Pafnuzio ha anche fatto discernimento del proprio destino. Una settimana prima, mentre era ancora in buona salute, aveva profetizzato che sarebbe partito da questo mondo il giovedì successivo. Quando il giovedì spuntò, gridò di gioia: “Ecco, il giorno del Signore, rallegratevi o popolo, ecco, il giorno atteso è venuto!” Ecco, così l’uomo incontra la morte; un uomo che, durante tutta la sua vita, ha contemplato la separazione da questo mondo e l’incontro con Dio.

Contemplazione
Per contemplare l’Ascensione del Signore Gesù:

  1. Come due angeli apparvero ai discepoli mentre stavano ancora guardando dietro al Signore asceso;
  2. Come gli angeli annunciano che il Signore verrà nello stesso modo in cui i discepoli lo videro salire al cielo.

Omelia
Sul potere della parola del Signore

“La mia parola non è forse come il fuoco, dice il Signore, come un martello che spezza le rocce” (Geremia 23,29).

Sì, Signore, la tua parola è davvero come il fuoco; come fuoco che riscalda i giusti e brucia gli ingiusti. E, in verità, la tua parola è come un martello; un martello che ammorbidisce la durezza pietrosa del cuore di un penitente e riduce in polvere i cuori dei peccatori impenitenti.

“Non ardeva forse il nostro cuore dentro di noi mentre parlava con noi” (Lc 24,32), si chiedevano gli apostoli dopo aver parlato con il Signore risorto? Quando il cuore nell’uomo è corretto, arde dalla parola del Signore e si scioglie dal piacere e si espande con amore. Ma quando il cuore nell’uomo non è corretto e indurito dal peccato, allora il cuore cuoce dalla parola del Signore e diventa ancora più duro. “E il cuore del faraone si indurì” (Esodo 8,19).

Invano i peccatori si fortificano nelle fortezze di pietra, nelle loro fortezze di ferro, nelle loro fortezze d’argento e d’oro e rifiutano l’armatura della giustizia di Dio. Come un martello potente e irresistibile, tale è la parola del Signore quando pronuncia il giudizio su queste fortezze di pietra in cui i peccatori si fortificano.

Invano il miscredente fortifica la sua casa con pietre inespugnabili e lo statista fortifica lo Stato, indurito dalla sapienza del mondo, e non sperando nel Dio vivente. La parola del Signore si abbatte come un martello su tutto ciò che è stato costruito senza Dio o contro Dio; come un martello potente e irresistibile.

O fratelli, non confidiamo nelle nostre creazioni di pietra, né di marmo né di pietre d’oro o d’argento né delle pietre empie dei nostri pensieri individuali. Tutti questi sono più deboli davanti al potere di Dio che la polvere davanti al potere del vento.

O Signore Onnipotente, aiutaci ad accogliere la tua parola e, che sulla tua parola, possiamo costruire tutta la nostra vita sia in questo mondo che nell’aldilà.

A Te sia gloria e grazie sempre. Amen.

(*) Gli egiziani quasi divinizzarono San Geremia. Ecco perché lo seppellirono come re. Anche dopo la sua morte, lo consideravano un operatore di miracoli. Hanno usato la polvere dalla sua tomba come cura contro i morsi di serpente. Ancora oggi molti cristiani invocano Geremia contro i serpenti.




Arciprete (ortodosso-georgiano) Theodore Gignadze: il cristianesimo non è una religione!

L’unicità dell’Ortodossia

“Una delle più grandi conquiste dell’Ortodossia, una delle più grandi conquiste del cristianesimo è che ha trasceso il concetto di religione. E cos’è una religione? È un tentativo dell’essere umano di stabilire una connessione con Dio e per questo usa norme e regole legali.
In altre parole, io, un essere umano, so che Dio esiste e per stare bene osservo i Suoi comandamenti e obbedisco alle Sue leggi. E quindi, se lo faccio correttamente, merito una ricompensa da Lui, e se non lo faccio correttamente, merito una punizione. Tutto il giudaismo e l’islam si basano su questo concetto. Sfortunatamente, questa è diventata la base anche del cattolicesimo e del protestantesimo.

L’ortodossia è assolutamente unica!.

L’ortodossia capovolge completamente questa posizione. Nel Santo Vangelo, Cristo stesso capovolge questa posizione. Vediamo che le persone che vivono nel modo giusto dal punto di vista religioso e morale uccidono Cristo. Lo giudicano e lo condannano. Gli dicono: adulteri e pubblicani ti seguono, tu mangi e bevi insieme ai peccatori. Quando Cristo sta morendo sulla croce, Egli, come Giudice, emette il verdetto per l’umanità, e questo verdetto è stupefacente. I peggiori esseri umani, i più grandi peccatori – le persone che stanno uccidendo Cristo… sono in piedi accanto alla Sua croce, non si pentono (almeno non fino a quel momento), in altre parole, queste persone che sono piene di uno spirito impenitente, cinico e omicida sta uccidendo Cristo, e Cristo, come Sommo Sacerdote, intercede per loro e chiede al Padre Celeste: “perdonali, perché non sanno quello che fanno”.
Questo tipo di amore ha commosso nel profondo una persona che non aveva fatto altro che male per tutta la vita. Questo amore onnicomprensivo e infinito ha ammorbidito e sciolto il cuore di un ladro, ed è diventato la prima persona ad entrare nel Regno dei Cieli.

Dov’è la giustizia qui?

Uno dei Santi Padri (Sant’Isacco il Siro, se non sbaglio) dice: “Dio non è giusto. Lui è Amore.” Questo Santo Padre continua e dice: “se Dio fosse giusto, sarei il primo a finire all’inferno, senza di Lui”. Questo è molto importante da ricordare.
Lo spirito legalista si oppone al cristianesimo. Lo spirito legalistico prevale con noi oggi, nella Chiesa ortodossa, ed è molto dannoso. Lo spirito legalistico significa che se mi comporto bene, guadagnerò punti davanti a Dio e sarò ricompensato, e se mi comporterò male, sarò punito.
Vivo spiritualmente con la speranza del lusso celeste o la paura dell’inferno. Con questo tipo di cuore, con questo spirito, non sarai mai in grado di vedere Cristo, perché il simile si conosce dal simile. Cristo chiede qualcosa di completamente diverso da noi.

Cosa chiede?

L’apostolo Paolo dice che un cristiano diventa un nuovo essere, una nuova creazione.
Spesso incontriamo questa tentazione. Una persona viene in chiesa e io gli chiedo: “Perché sei venuto?”
Le persone vengono in chiesa per molte ragioni diverse. Alcuni vengono per guadagno personale, per interesse personale, per interesse personale fisico, sia che si tratti di qualcosa legato alla salute o di qualche altro problema che stanno affrontando.
C’è anche l’interesse personale spirituale: “Non ho pace. Voglio sentirmi in pace. “Anche questo è interesse personale.” – gli dico. “Non credi che Dio te lo concederà? Tuttavia, questo non è l’obiettivo in sé e per sé. È un sottoprodotto e una conseguenza della tua ricerca di Dio”.
Prendiamo un esempio da questo mondo: un giovane si innamora di una giovane donna e le chiede di sposarlo. “Perché vuoi sposarmi?” – lei chiede. Si aspetta che lui dica: “Perché ti amo!” Invece, le dice che vuole avere un figlio o una figlia. Riesci a immaginare? È bello avere figli. Non c’è niente di sbagliato in questo. I figli sono il frutto del matrimonio. Tuttavia, quando dici a una ragazza che vuoi sposarla per questo motivo e che lei è solo un mezzo per ottenerlo… immagina quanto sarebbe terribile.
Per noi è fondamentale sapere molto bene qual è l’atteggiamento corretto da avere nella vita spirituale. Abbiamo bisogno di sapere questo per poter smettere di essere egocentrici nella vita spirituale e per poter rompere con questa forma di relazione con Dio.
Finché una persona continua a essere egocentrica, dicendo: “Voglio questo, voglio quello. Voglio avere la pace. Voglio che i miei problemi siano risolti”. Finché sarà così, continuerà ad avere un problema nella sua vita spirituale. Una persona deve staccarsi da questo. Tuttavia, questo non è molto facile da fare, a meno che non abbia la giusta prospettiva nella vita spirituale.

  • L’arciprete (ortodosso -georgiano) Theodore Gignadze



Una Quaresima moderna!

Originale:

di Fr. Stephen Freeman – sacerdote della Orthodox Church in America, Pastore Emerito del St. Anne Orthodox Church in Oak Ridge, Tennessee.

https://blogs.ancientfaith.com/glory2godforallthings/2023/03/19/a-modern-lent-3/

https://www.oodegr.com/english/ekklisia/Modern-Lent.htm?fbclid=IwAR0P1h4TjOY1hLCNNE_hwrq7npxzGNkql2xcjAbg8irvq5_eeIjZg8ScpLI

Poche cose sono così difficili nel mondo moderno come il digiuno. Non è semplicemente l’azione di cambiare le nostre abitudini alimentari che troviamo problematico – è l’intero  concetto di digiuno e ciò che veramente comporta. Viene da un altro mondo!

Comprendiamo la dieta: cambiare il modo in cui mangiamo per migliorare il nostro aspetto o come ci sentiamo. Ma cambiare il modo in cui mangiamo per conoscere Dio o per celebrare giustamente una festa della Chiesa – questo è estraneo. La nostra prima domanda è spesso: “Come funziona?” Perché viviamo in una cultura dell’utilità: vogliamo conoscere l’uso delle cose. Sotto la questione dell’utilità c’è la richiesta che qualcosa abbia un senso per me, e che alla fine io sia in grado di prendermene cura, usarlo come ritengo opportuno e modellarlo secondo i miei desideri. Forse il digiuno potrebbe essere migliorato?

La nostra moderna autocomprensione vede le persone principalmente come singoli centri di scelta e decisione. Una persona è vista come il prodotto delle sue scelte e decisioni: le nostre vite sono auto-autenticate. In quanto tali, siamo manager.

Naturalmente ci sono molti problemi con questa visione del mondo dal punto di vista del cristianesimo classico. Sebbene siamo liberi di fare scelte e decisioni, la nostra libertà non è illimitata. La maggior parte della nostra vita non è autodeterminata. Gran parte della retorica della modernità è rivolta a coloro che hanno ricchezza e potere. Privilegia le loro storie e deride la debolezza di chi non ha potere con promesse che raramente, se non mai, vengono mantenute.

Le nostre vite sono un dono di Dio e non di nostra creazione. La vita spirituale cristiana classica non è segnata dalla scelta e dall’autodeterminazione: è caratterizzata dall’autosvuotamento e dalla via della Croce.

Quando un cristiano moderno affronta il periodo della Quaresima, la domanda spesso diventa: “A cosa voglio rinunciare per la Quaresima?” L’intenzione è buona, ma la domanda è sbagliata. La quaresima diventa presto un’altra scelta di vita, il digiuno del consumatore.

La pratica del digiuno tradizionale è stata notevolmente ridotta negli ultimi secoli. La Chiesa cattolica ha modificato i suoi requisiti e semplificato il digiuno quaresimale (oggi include solo l’astensione dalla carne nei venerdì di Quaresima – che li rende simili a tutti gli altri venerdì dell’anno). Le Chiese protestanti che osservano il tempo di Quaresima non offrono linee guida formali per la pratica quaresimale. L’individuo è lasciato a se stesso.

L’Ortodossia continua ad avere in vigore il digiuno tradizionale completo, che viene spesso modificato nella sua applicazione (le “regole” stesse sono generalmente riconosciute come scritte per i monaci). È essenzialmente una dieta vegana (niente carne, pesce, vino, latticini). Alcuni limitano il numero dei pasti e il loro modo di cucinare. Naturalmente, avere il digiuno al suo posto e “mantenere il digiuno” sono due cose molto diverse. Non conosco nessuno studio su come gli ortodossi nel mondo moderno digiunino effettivamente. La mia esperienza pastorale mi dice che le persone generalmente fanno un ottimo sforzo.

Qualcosa di tutto questo ha importanza? Perché i cristiani nel mondo moderno dovrebbero occuparsi con una pratica tradizionale?

Ciò che è in gioco nel mondo moderno è la nostra umanità. L’idea che siamo individui che si auto-autenticano è semplicemente falsa. Ovviamente non creiamo noi stessi: è un dono. E la maggior parte di ciò che costituisce la nostra vita è semplicemente dato, un dono. Non è sempre un regalo di cui qualcuno è felice: vorrebbero essere diversi da quello che sono. Ma il mito del mondo moderno è che noi, in effetti, creiamo noi stessi e le nostre vite – le nostre identità sono immaginate come di nostra creazione. Siamo chi scegliamo di essere. È un mito estremamente adatto a sostenere una cultura costruita sul consumo. L’identità si può ottenere ad un certo prezzo. I ricchi hanno a disposizione una gamma molto più ampia di possibili identità, mentre i poveri sono in gran parte bloccati nell’essere chi sono veramente.

Ma l’unica vita umana veramente autentica è quella che riceviamo in dono da Dio. La spiritualità della scelta e del consumo sotto le sembianze della libertà è vuota. L’identità che creiamo è effimera, un prodotto dell’immaginazione e del mercato. Le abitudini del mercato servono a renderci schiavi: la Quaresima è una chiamata alla libertà.

Il digiuno nella Chiesa ortodossa |  Arcidiocesi di Thyateira e Gran Bretagna
Oltre 100 idee creative per vetrine pasquali |  Mercanzia Zen

Una Quaresima moderna

Quindi, un buon inizio per una Quaresima moderna è staccarsi dal mondo moderno in sé. Con questo intendo rinunciare all’idea che tu sia un individuo autogenerato e auto-autenticante. Non sei definito dalle tue scelte e decisioni, tanto meno dalla tua carriera e dai tuoi acquisti. Inizi riconoscendo che solo Dio è il Signore (e tu non lo sei). La tua vita ha significato e scopo solo in relazione a Dio. La pratica fondamentale di tale vita incentrata su Dio è il ringraziamento.

Rinuncia a cercare di migliorare te stesso per diventare qualcosa. Non sei un work in progress. Se sei un’opera, allora sei opera di Dio. “Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo.” (Ef 2,10).

Non programmare una “buona Quaresima” o immaginare cosa sarebbe una “buona Quaresima”. Smetti di giudicare, specialmente di giudicare te stesso. Esci dal centro del tuo mondo. La Quaresima non riguarda te. Si tratta di Cristo e della sua Pasqua.

Digiuna secondo la tradizione invece che secondo le tue proprie idee e progetti. Questo potrebbe essere difficile per alcuni se non fanno parte alla Chiesa tradizionale e quindi non hanno una tradizione di digiuno. La maggior parte dei cattolici ha regole diverse per il digiuno rispetto agli ortodossi. Se sei cattolico, digiuna come un cattolico. Non ammirare il digiuno degli altri.

Se sei protestante ma vorresti vivere in modo più tradizionale, pensa a come diventare ortodosso. A parte questo, fai un patto con gli altri (famiglia, amici) per mantenere il digiuno tradizionale. Non essere troppo severo o troppo indulgente e, se possibile, mantieni il digiuno in un modo concordato di comune accordo piuttosto che progettato privatamente. Sii responsabile ma non colpevole.

Pregare. Il digiuno senza preghiera è chiamato “il digiuno dei demoni”, perché i demoni non mangiano mai, ma non pregano mai. Digiuniamo come mezzo per avvicinarci a Dio. Il tuo digiuno e la tua preghiera dovrebbero essere bilanciati il ​​più possibile. Se digiuni in modo rigoroso, dovresti pregare per lunghi periodi. Se digiuni leggermente, anche le tue preghiere potrebbero essere più leggere. Il punto è essere uno, affinché la preghiera e il digiuno siano una cosa sola.

Alla nostra preghiera e al nostro digiuno dovrebbe essere aggiunta la misericordia (dare via cose, soprattutto denaro). Non devi essere troppo espansivo. La tua misericordia dovrebbe essere il più invisibile possibile agli altri, tranne che nella tua gentilezza verso tutti. Spendi meno, dona di più.

Mangiare, bere, pregare e la generosità sono attività molto naturali. Guarda la tua vita. Quanto è naturale il tuo mangiare? La tua dieta è costituita prevalentemente da alimenti lavorati e trasformati (soprattutto quelli serviti nei ristoranti e nei fast food)? Questi possono essere modi di mangiare molto disumani. Mangiare dovrebbe richiedere tempo. Non è una perdita di tempo dedicare fino a sei ore su ventiquattro a preparare, condividere, mangiare e pulire. Anche gli animali hanno bisogno di tempo per mangiare.

Vai molto di più in chiesa (se la tua chiesa ha altri servizi quaresimali, frequentali). Questo può essere problematico per i protestanti, in quanto la maggior parte del culto protestante è abbastanza moderno, cioè focalizzato sull’individuo piuttosto che diretto a Dio, ben intenzionato ma antitetico al culto. Se la tua Chiesa non è noiosa, probabilmente è moderna. Questo non vuol dire che il cristianesimo classico sia intrinsecamente noioso: è solo vissuto come tale da persone addestrate per essere consumatori. Il cristianesimo classico adora secondo la tradizione e concentra la sua attenzione su Dio. Non è lì per te, per “ottenere qualcosa da esso”.

Divertiti meno. Nelle tradizionali terre ortodosse, i divertimenti vengono spesso abbandonati durante il periodo quaresimale. Questo può essere molto difficile per le persone moderne in quanto viviamo per consumare e siamo quindi intrappolati in un ciclo di dolore e piacere. I piaceri normali come l’esercizio fisico o la camminata non sono ciò che ho in mente, anche se mi sembra del tutto moderno il fatto che ci siano attività dedicate per aiutarci a fare qualcosa di normale (come camminare o fare esercizio), in modo tale che anche le nostre normali attività diventino una merce da consumare.

Digiuna dal guardare/leggere le notizie e dall’avere/esprimere opinioni. Le notizie non sono presentate per tenervi informati. Spesso sono imprecise e servono allo scopo principale della propaganda politica e della frenesia dei consumatori. Non fanno bene all’anima. Le opinioni sono profondamente distruttive per la salute dell’anima. Le opinioni che non sono adeguatamente considerate, non sono credenze necessarie. Sono passioni che si spacciano per pensieri o convinzioni. La necessità di esprimerli rivela la loro natura passionale.

Potrei benissimo immaginare che una persona moderna, leggendo un simile elenco, possa sentirsi sopraffatto e chiedersi cosa sia rimasto. Ciò che resta è essere umani. Davvero tanto nella nostra vita non è particolarmente umano, ma solo una distrazione effimera che spiega molto della nostra stanchezza e ansia. Non c’è cibo per noi in ciò che non è umano.

E allora mi vengono in mente le parole di Isaia:  

O voi tutti assetati venite all’acqua, chi non ha denaro venga ugualmente; comprate e mangiate senza denaro e, senza spesa, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro patrimonio per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi grassi. (Isaia 55,1-2).

“Lascia che la tua anima si diletti nei grassi…” l’ironia della Quaresima.




Laminina: la firma di Dio

“Sono un biologo sono diventato un cristiano studiando la biochimica”…

Ed EGLI è avanti in ogni cosa, e tutte le cose sussistono in LUI.
Poiché in lui si compiacque il Padre di far abitare tutta la pienezza e di riconciliare con sé tutte le cose per mezzo di lui, avendo fatto la pace mediante il sangue della croce d’esso; per mezzo di lui, dico, tanto le cose che sono sulla terra, quanto quelle che sono nei cieli. (Colossesi 1)
La laminina è una glicoproteina ed è la componente più abbondante di tutte le lamine basali, una rete di proteine presente nella maggior parte delle cellule e degli organi. Rappresenta una parte importante, biologicamente attiva, che durante gli stadi embrionali, insieme ad altre molecole, contribuisce all’adesione delle cellule in una struttura sferica. Durante lo sviluppo del sistema nervoso, inoltre, i neuroni migrano lungo i percorsi formati dalla matrice extracellulare che contiene proprio la laminina.
Questa glicoproteina, quindi, risulta fondamentale non solo per organizzare le cellule in tessuti, ma anche durante lo sviluppo, poichè indirizza la migrazione delle cellule. La sua importanza si attesta nella distrofia congenita da deficit di merosina, una malattia ereditaria dovuta ad un difetto di laminina che si verifica a livello dei muscoli e del sistema nervoso.
Osservando la proteina al microscopio, non può passare inosservata la particolare struttura tridimensionale che essa assume: quella di una croce. A tal proposito, un noto biochimico disse: “La nostra conoscenza della verità è più chiaramente rivelata sulla croce di Cristo, e ciò che tiene il nostro corpo umano insieme (la Laminina), è casuale che abbia la forma proprio di croce? Qualcuno potrebbe dire di sì, ma io penso che sia ancora un altro modo con cui Dio rivela la sua gloria a noi. Penso che Dio è colui che tiene insieme tutte le cose, i nostri corpi, il nostro mondo e le nostre vite. “. Il dr. Fazale Rana, anch’esso biochimico, osservando la forma a croce della laminina ha affermato: “Ci sono molti modi più sostanziali per utilizzare la biochimica: discutere della necessità di un Creatore…Sono diventato un cristiano quando studiavo la biochimica. La cellula nella sua complessità, l’eleganza, la raffinatezza e l’inadeguatezza degli scenari evolutivi sul conto dell’origine della vita, mi hanno spinto a concludere che la vita deve derivare da un Creatore.”
Spesso ammiriamo la complessità e la perfezione dei cicli biologici della natura e della vita presente in questo pianeta: questa non è altro che la “scrittura” di Dio. Il nostro pianeta rifletteva la Sua perfezione, finché l’uomo non ha causato il caos che attualmente ci circonda, ma possiamo ancora apprezzare ciò che ci è stato donato: Dio è perfetto ed ha voluto riflettere questa perfezione nel Suo creato, indice del Suo amore per noi, mentre l’abuso delle risorse che abbiamo a disposizione, riflette, purtroppo, soltanto l’amore che l’uomo ha per se stesso…

Fonte Facebook: Mario Scisci




Concilio di Gerusalemme

Atti 15

1 Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli questa dottrina: «Se non vi fate circoncidere secondo l’uso di Mosè, non potete esser salvi».
2 Poiché Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro andassero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione. 3 Essi dunque, scortati per un tratto dalla comunità, attraversarono la Fenicia e la Samaria raccontando la conversione dei pagani e suscitando grande gioia in tutti i fratelli. 4 Giunti poi a Gerusalemme, furono ricevuti dalla Chiesa, dagli apostoli e dagli anziani e riferirono tutto ciò che Dio aveva compiuto per mezzo loro.
5 Ma si alzarono alcuni della setta dei farisei, che erano diventati credenti, affermando: è necessario circonciderli e ordinar loro di osservare la legge di Mosè.
6 Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema. 7 Dopo lunga discussione, Pietro si alzò e disse:
«Fratelli, voi sapete che già da molto tempo Dio ha fatto una scelta fra voi, perché i pagani ascoltassero per bocca mia la parola del vangelo e venissero alla fede. 8 E Dio, che conosce i cuori, ha reso testimonianza in loro favore concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi; 9 e non ha fatto nessuna discriminazione tra noi e loro, purificandone i cuori con la fede. 10 Or dunque, perché continuate a tentare Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri, né noi siamo stati in grado di portare? 11 Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati e nello stesso modo anche loro».
12 Tutta l’assemblea tacque e stettero ad ascoltare Barnaba e Paolo che riferivano quanti miracoli e prodigi Dio aveva compiuto tra i pagani per mezzo loro.
13 Quand’essi ebbero finito di parlare, Giacomo aggiunse: 14 «Fratelli, ascoltatemi. Simone ha riferito come fin da principio Dio ha voluto scegliere tra i pagani un popolo per consacrarlo al suo nome. 15 Con questo si accordano le parole dei profeti, come sta scritto:
16 Dopo queste cose ritornerò e riedificherò la tenda di Davide che era caduta; ne riparerò le rovine e la rialzerò, 17 perché anche gli altri uomini cerchino il Signore e tutte le genti sulle quali è stato invocato il mio nome, 18 dice il Signore che fa queste cose da lui conosciute dall’eternità.
19 Per questo io ritengo che non si debba importunare quelli che si convertono a Dio tra i pagani, 20 ma solo si ordini loro di astenersi dalle sozzure degli idoli, dalla impudicizia, dagli animali soffocati e dal sangue. 21 Mosè infatti, fin dai tempi antichi, ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe».
22 Allora gli apostoli, gli anziani e tutta la Chiesa decisero di eleggere alcuni di loro e di inviarli ad Antiochia insieme a Paolo e Barnaba: Giuda chiamato Barsabba e Sila, uomini tenuti in grande considerazione tra i fratelli. 23 E consegnarono loro la seguente lettera: «Gli apostoli e gli anziani ai fratelli di Antiochia, di Siria e di Cilicia che provengono dai pagani, salute! 24 Abbiamo saputo che alcuni da parte nostra, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con i loro discorsi sconvolgendo i vostri animi. 25 Abbiamo perciò deciso tutti d’accordo di eleggere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Barnaba e Paolo, 26 uomini che hanno votato la loro vita al nome del nostro Signore Gesù Cristo. 27 Abbiamo mandato dunque Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi queste stesse cose a voce. 28 Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: 29 astenervi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia. Farete cosa buona perciò a guardarvi da queste cose. State bene».
30 Essi allora, congedatisi, discesero ad Antiochia e riunita la comunità consegnarono la lettera. 31 Quando l’ebbero letta, si rallegrarono per l’incoraggiamento che infondeva. 32 Giuda e Sila, essendo anch’essi profeti, parlarono molto per incoraggiare i fratelli e li fortificarono. 33 Dopo un certo tempo furono congedati con auguri di pace dai fratelli, per tornare da quelli che li avevano inviati. 34  [Ma parve bene a Sila di rimanere qui.] 35 Paolo invece e Barnaba rimasero ad Antiochia, insegnando e annunziando, insieme a molti altri, la parola del Signore.
36 Dopo alcuni giorni Paolo disse a Barnaba: «Ritorniamo a far visita ai fratelli in tutte le città nelle quali abbiamo annunziato la parola del Signore, per vedere come stanno». 37 Barnaba voleva prendere insieme anche Giovanni, detto Marco, 38 ma Paolo riteneva che non si dovesse prendere uno che si era allontanato da loro nella Panfilia e non aveva voluto partecipare alla loro opera. 39 Il dissenso fu tale che si separarono l’uno dall’altro; Barnaba, prendendo con sé Marco, s’imbarcò per Cipro. 40 Paolo invece scelse Sila e partì, raccomandato dai fratelli alla grazia del Signore.
41 E attraversando la Siria e la Cilicia, dava nuova forza alle comunità.

LETTERA AI GALATI

Capitolo 2  

L’assemblea di Gerusalemme

1 Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba, portando con me anche Tito: 2 vi andai però in seguito ad una rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano. 3 Ora neppure Tito, che era con me, sebbene fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere. 4 E questo proprio a causa dei falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi. 5 Ad essi però non cedemmo, per riguardo, neppure un istante, perché la verità del vangelo continuasse a rimanere salda tra di voi.

6 Da parte dunque delle persone più ragguardevoli – quali fossero allora non m’interessa, perché Dio non bada a persona alcuna – a me, da quelle persone ragguardevoli, non fu imposto nulla di più. 7 Anzi, visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi – 8 poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani – 9 e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi. 10 Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare.

Pietro e Paolo ad Antiochia

11 Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto. 12 Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. 13 E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. 14 Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?




P. John S. Romanides: La religione è una malattia neurobiologica. L’Ortodossia la cura!

Una chiave medica per la riunione della Chiesa.

 

“gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”

 (Mt 10,8)

 

Revisione della traduzione condotta sul testo inglese con l’ausilio di traduttori automatici.

Fotocopie, riproduzioni, stampe, citazioni sono caldamente suggerite ma senza scopi commerciali. La tradizione ortodossa non è una merce!

([1])

 La differenza fondamentale tra i tre Vangeli di Matteo, Marco e Luca da un lato e quello del Vangelo di Giovanni dall’altro[2] è dovuto alle due fasi della cura della malattia dell’Antico e del Nuovo Testamento, al secondo centro della personalità umana nel cuore che fa circolare il sangue, l’altro centro è il cervello o l’intelletto che fa parte del sistema del midollo spinale che fa circolare liquido spinale. È il cuore che ha bisogno di essere curato con la sua purificazione e illuminazione per consumarsi nella glorificazione di tutta la persona. I Vangeli di Matteo, Marco e Luca, accompagnati dai testi dell’Antico Testamento, in particolare quelli dei Salmi, sono stati utilizzati come parte del processo di purificazione e illuminazione dei cuori dei catecumeni, che si è consumato con la celebrazione della passione e crocifissione del Signore della Gloria in cui venivano battezzati il Sabato Santo. Questi battesimi furono seguiti dalla celebrazione della risurrezione di Cristo, seguita dall’Eucaristia pasquale, momento in cui il Vangelo di Giovanni iniziò a essere letto e interpretato fino alla domenica di Pentecoste in questo periodo di cinquanta giorni.

Durante questo periodo di istruzione giovannea ci si aspettava che uno progredisse dal proprio stato di purificazione del proprio spirito nel cuore alla sua illuminazione mediante preghiere e salmi incessanti in contrasto con preghiere e salmi dell’intelletto in determinati momenti. A questo punto si sapeva che stava diventando un membro del Corpo di Cristo mentre la preghiera nel cuore prendeva piede e rimaneva sempre presente incessantemente. Che uno avesse questa preghiera e l’abbia persa e si fosse così soddisfatto di averla significa che correva il pericolo di una perdita permanente poiché “la Pentecoste è l’evento mediante il quale la Chiesa dell’Antico Testamento divenne il Corpo di Cristo che ora include anche tutti gli antenati che erano stati illuminati e glorificati prima dell’incarnazione di Yahweh. Come nell’Antico Testamento, coloro che perseveravano nell’illuminazione del loro cuore sarebbero passati alla loro glorificazione che era la loro ordinazione al profetismo. Questo è il motivo per cui Giovanni Battista, già glorificato e ordinato profeta, fu nuovamente glorificato e questa volta sperimentò la strana realtà che stava battezzando Yaweh Stesso Incarnato. Sei giorni dopo aver detto che…alcuni che stanno qui… non assaporeranno la morte finché non vedranno il regno di Dio venire in potenza”[3], Cristo si rivelò di nuovo come Yaweh Incarnato a Pietro, Giacomo e Giovanni”[4].

Tali realtà bibliche non sono aperte alla corretta interpretazione di coloro i quali sono stati contaminati dalla distorsione fatta da Agostino della rivelazione di Dio fatta ai profeti sia dell’Antico che del Nuovo Testamento. Essere profondamente intimiditi dall’argomento ariano secondo cui la prova che il Logos è stato creato è il fatto che era visibile a coloro ai quali si è rivelato. In netto contrasto con la tradizione dell’Antico e del Nuovo Testamento e della Chiesa, Agostino ha inventato l’insegnamento che Dio apparve e fu ascoltato dai profeti e dagli apostoli per mezzo di creature che Dio fa esistere per essere visto e udito e che ritorna alla non esistenza dopo essere stato visto e udito. In netto contrasto con queste apparizioni divine dal nulla, affinché Dio possa essere visto e udito e che scompaiono nel nulla, fu solo la natura umana del Logos che rimase permanentemente in esistenza dopo la Sua incarnazione[5]. Tali presunte creature come la colomba al Battesimo di Cristo, il governo di Dio (erroneamente tradotto con ‘regno’) alla Trasfigurazione e le lingue di fuoco alla Pentecoste sono tra quelle creature che Dio fa esistere per essere viste, udite per poi scomparire dall’esistenza quando la loro missione è compiuta.

Durante questo tempo giovanneo di istruzione, ci si aspettava che i neo-battezzati entrassero nella fase dell’illuminazione del cuore con la preghiera incessante e i salmi, come spiega san Paolo, specialmente in 1Cor 12-15. Questo sarà il punto cardine di questo studio poiché è qui che abbiamo un profilo esoterico della realtà interiore della Chiesa primitiva adorante, guidata da apostoli, profeti e insegnanti la cui autorità era la loro stessa glorificazione (ndr. in greco theosis, in italiano spesso tradotto con divinizzazione) reciprocamente accettata.

Tutte le fantasie, specialmente quella religiosa, sono causate da un cortocircuito al centro della personalità umana. È questo cortocircuito che viene curato dall’illuminazione del cuore da parte di una preghiera incessante, distinta dalla preghiera intellettuale fatta con il cervello in determinati momenti. L’approfondimento di questa cura in San Paolo costituirà il cuore di questo studio.

Ripetiamo che quando l’illuminazione diventa glorificazione, allora sia gli uomini che le donne sono stati ordinati profeti. Questo è ciò che sono i profeti sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento e questo è ciò che rende Padri della Chiesa. Ciò che i profeti hanno visto nelle loro glorificazioni è Yaweh Stesso sia prima che dopo la Sua incarnazione.

 Questo cortocircuito, che deve essere curato, esiste tra il cuore, che pompa il sangue e il midollo spinale, che provoca la circolazione del liquido spinale. Tutte le fantasie sono radicate in questo cortocircuito che non è altro che un cortocircuito elettrico. Questa malattia isola le sue vittime dalla realtà a vari livelli. A causa di questa malattia non sempre si distingue tra realtà e fantasie. Forse la più pericolosa di queste fantasie sono le religioni che affermano di avere scritti dettati da Dio che sono compresi da una casta di cosiddetti capi ispirati. È per mezzo delle fantasie umane che gli esseri umani rimangono prigionieri del potere demoniaco manifestato specialmente nelle religioni. Solo i ciechi non vedono il fatto che le religioni sono una delle principali fonti di disordini sociali.

Tuttavia, all’interno della tradizione dell’Antico e del Nuovo Testamento, tali cosiddetti capi ispirati costituiscono una distorsione di ciò che si accettava nella Chiesa primitiva durante il proprio percorso di catecumenato, mentre si attraversano le fasi della purificazione e dell’illuminazione del proprio cuore nel cammino verso glorificazione. La stessa illuminazione del proprio cuore mediante incessanti preghiere e salmi diventa la propria testimonianza di essere sulla retta via della glorificazione. Coloro che pretendono di aver raggiunto l’illuminazione e la glorificazione non possono ingannare i veri profeti. I due criteri fondamentali dei falsi profeti sono che “è impossibile esprimere Dio e ancor più impossibile concepirlo” e che “non c’è alcuna somiglianza tra il creato e l’increato”. I falsi profeti sono facilmente individuabili dalle loro trasgressioni di questi due criteri fondamentali che Agostino ripetutamente trasgredisce.

In netto contrasto con questi criteri, la maggior parte della dottrina e dell’interpretazione della Bibbia appartiene al regno della fantasia, semplicemente perché coloro che si occupano di questi argomenti sono stati educati a credere che le loro stesse fantasie appartengano al regno del dono della fede. I loro capi, che non hanno la minima conoscenza della vera esistenza dell’illuminazione del cuore e della glorificazione, qui e ora in questa vita, convincono i loro fedeli che la loro stessa fede è la prova che sono sulla via della salvezza. La natura stessa del Movimento Ecumenico per l’Unità dei Cristiani non ha ancora nemmeno intravisto la possibilità che la chiave dell’unità sia la cura della preghiera incessante nel cuore e della glorificazione.

È il cortocircuito in questione che minimizza il livello della propria comunione con la gloria increata di Dio che satura e governa la creazione. Tutti gli esseri creati partecipano alle increate creative e sostenenti energie (tr. attività) di Dio che sono chiamate collettivamente Sua gloria e governo dall’Antico e dal Nuovo Testamento. Questa è la realtà che sottolinea l’Antico e il Nuovo Testamento e l’ebraismo e il cristianesimo primitivi e i Nove Concili ecumenici convocati dall’imperatore romano che governò da Costantinopoli, Nuova Roma, fino alla conquista dei turchi ottomani nel 1453. Sebbene l’Impero Romano sia poi scomparso, la pratica della cura del cuore mediante la sua purificazione e illuminazione che porta alla glorificazione non è scomparsa, almeno ancora. Sapremo che l’ultimo essere glorificato è morto quando la società umana sarà morta.

Il cortocircuito che esiste tra il cuore che pompa il sangue e il midollo spinale che fa circolare il liquido spinale viene riparato dalla preghiera incessante nel cuore. È solo quando il proprio cortocircuito viene così riparato che si comincia a essere liberati dal regno delle fantasie in base al quale il diavolo governa la società umana.

La comunione umana con le energie increate di Dio, che saturano la creazione, è accresciuta dall’energia purificatrice, illuminante e glorificante di Dio. In netto contrasto con la glorificazione biblica, la tradizione platonica e aristotelica, secondo cui la felicità come destino supremo di una persona è in realtà l’inferno stesso, cioè la completa soddisfazione dei propri desideri egocentrici.

Il risultato più importante della glorificazione è la rivelazione che «non c’è alcuna somiglianza tra il creato e l’increato» e che «è impossibile esprimere Dio e ancor più concepirlo». In altre parole, la Bibbia stessa non è né un’espressione di Dio né è una concezione di Dio. Solo nelle mani dei glorificati può essere usata per guidare gli altri alla cura della purificazione e dell’illuminazione del cuore e della glorificazione. Nelle mani di medici ciarlatani conduce le loro vittime alla loro distruzione.

Per diventare membro del Corpo di Cristo si inizia con la fede dell’accoglienza durante la fase della purificazione del cuore. Questa fede deve diventare fede interiore, come testimonia la preghiera incessante. È la preghiera incessante nel cuore che testimonia il fatto che si è cominciato a diventare membra del Corpo di Cristo. Tuttavia, arrivare allo stato di illuminazione e quindi alla soglia della glorificazione significa che il Signore della Gloria ci sta accogliendo nella sua glorificazione per nostro bene ma, soprattutto, per il bene degli altri. Essendo stato glorificato si ritorna per illuminare “l’uomo”[6].

 ([7])

Il Primo e il Secondo Concilio Ecumenico hanno condannato la posizione ariana ed eunomiana secondo cui l’Angelo Yahweh della Gloria e il Suo Spirito sono la prima creazione di Dio prima dei secoli. Questi Concili sostenevano invece la posizione che l’Angelo del Gran Consiglio e lo Spirito Santo sono consustanziali al Padre.

Il IX Concilio Ecumenico del 1341, secondo il diritto romano, condannò l’insegnamento agostiniano di Barlaam il Calabrese, senza rendersi conto della sua fonte, che Dio si rivela per mezzo delle creature che Egli fa esistere – GENOMENA in greco – per essere visto e ascoltato e che li richiama nella non esistenza – APOGENOMENA in greco – quando le loro missioni sono compiute. Ciò che questi Padri conciliari non sapevano nel 1341 era che questi insegnamenti erano quelli dello stesso Agostino più e più volte affermati chiaramente nei suoi libri II e III del suo De Trinitate, come abbiamo visto. Ciò significa che il Vaticano accetta da secoli i Concili Ecumenici Romani della Nuova Roma all’interno di categorie agostiniane. La domanda davanti a noi è se i membri luterani e ortodossi di questo dialogo seguano Agostino o i Padri di questi Concili romani[8].

Dobbiamo avere una visione chiara del contesto in cui Chiesa e Stato hanno visto il contributo dei Profeti alla cura della malattia della personalità umana e alla sua perfezione, per comprendere sia la missione dei Sinodi che il motivo per cui l’Impero Romano li ha inseriti nel proprio codice di diritto. Né la Chiesa né lo Stato hanno ridotto la missione della Chiesa alla salvezza mediante il perdono dei peccati per l’ingresso in cielo dopo la morte. Questo sarebbe identico ai medici che perdonano i loro pazienti per essere malati in modo che possano essere curati dopo la morte. Sia la Chiesa che lo Stato sapevano molto bene che il perdono dei peccati era solo l’inizio della cura della malattia dell’umanità che cerca la felicità. Questa cura è passata attraverso la purificazione e l’illuminazione del cuore ed è culminata nella perfezione della glorificazione.

a) Paradiso e Inferno.

 Tutti vedranno la gloria di Dio in Cristo e raggiungeranno quel grado di perfezione che uno ha scelto e per il quale ha lavorato. Seguendo san Paolo e il Vangelo di Giovanni, i Padri sostengono che coloro che non vedono il Cristo risorto in gloria in questa vita, o in maniera offuscata come in uno specchio per le incessanti preghiere e salmi nel cuore, o faccia a faccia nella glorificazione, vedranno la sua gloria come fuoco eterno e consumante e oscurità esteriore nell’altra vita. La gloria increata che Cristo ha per natura dal Padre è il paradiso per coloro il cui amore egoistico è stato curato e trasformato in amore disinteressato, e l’inferno per coloro che scelgono di rimanere non guariti nel loro egoismo.

Non solo la Bibbia e i Padri sono chiari su questo, ma lo sono anche le icone ortodosse dell’ultimo giudizio. La stessa luce dorata di gloria in cui sono avvolti Cristo e i suoi amici diventa rossa mentre scorre verso il basso per avvolgere i dannati. Questa è la gloria e l’amore di Cristo che purifica i peccati di tutti ma non glorifica tutti. Tutti gli esseri umani saranno guidati dallo Spirito Santo in tutta la Verità che è vedere Cristo nella gloria, ma non tutti saranno glorificati. “Quelli che ha giustificato li ha anche glorificati”, secondo san Paolo (Rm 8,30). È chiara la parabola di Lazzaro in seno ad Abramo e del ricco nel luogo del tormento. Il ricco vede ma non partecipa (Lc 16,19-31).

La Chiesa non manda nessuno in paradiso o all’inferno, ma prepara i fedeli alla visione di Cristo nella gloria, che tutti avranno. Dio ama i dannati tanto quanto ama i suoi santi. Vuole la cura di tutti ma non tutti accettano la Sua cura. Ciò significa che il perdono dei peccati non è una preparazione sufficiente per vedere Cristo nella gloria.

Inutile dire che la tradizione anselmiana per cui i salvati sono coloro i quali Cristo avrebbe riconciliato con Dio non è un’opzione all’interno della tradizione ortodossa. Commentando 2 Cor 5,19, per esempio, san Giovanni Crisostomo dice che bisogna “riconciliarsi con Dio. Paolo non ha detto: ‘Riconciliate Dio con voi stessi’, perché non è lui che odia, ma noi. Perché Dio non odia mai”.

È in questo contesto che lo Stato ha compreso la missione di cura della Chiesa nella società. Altrimenti le religioni che promettono felicità dopo la morte non sono molto diverse l’una dall’altra.

b) La finestra di Paolo sulla Chiesa[9].

 1 Cor 12-15 è una finestra unica attraverso la quale si può guardare alla realtà della Chiesa come Corpo di Cristo. L’appartenenza alla Chiesa ha i suoi gradi di cura e perfezione all’interno di due gruppi, gli illuminati e i glorificati. Le membra del Corpo di Cristo sono chiaramente elencate in 1 Cor 12,28. Si inizia diventando un credente comune, individuale (idiotes) che dice “amen” durante la partecipazione al culto collettivo. In questa fase si è impegnati nella purificazione del proprio cuore sotto la direzione di coloro che sono già templi dello Spirito Santo e membra del Corpo di Cristo.

I gradi di illuminazione iniziano con il carisma di fondazione dei “tipi di lingue” in basso all’ottavo posto e arrivano fino ai “maestri” al terzo posto. A capo della Chiesa locale ci sono al secondo posto i “Profeti”, che hanno ricevuto la stessa rivelazione degli “Apostoli” (Ef 3,5), e sono insieme a loro il fondamento della Chiesa (Ef 2,20). Apostoli e profeti sono il fondamento della Chiesa in un modo simile ai medici che sono il fondamento degli ospedali.

I “tipi di lingue” sono le fondamenta su cui sono costruiti tutti i carismi e sono temporaneamente sospesi solo durante la glorificazione (1 Cor 13,8). Come apostolo, san Paolo si pone a capo della lista dei membri che Dio ha posto nella Chiesa. Eppure ha ancora il carisma fondamentale dei “tipi di lingue”. Scrive: «Ringrazio Dio in lingue più di tutti voi» (1 Cor 14,18). Ciò significa che i “tipi di lingue” appartengono a tutti i livelli di carisma all’interno del Corpo di Cristo. La domanda di Paolo, “parlano tutti in lingue?” è un riferimento ai “privati” che non hanno ancora il dono delle lingue e quindi non sono ancora membra del Corpo di Cristo e templi dello Spirito Santo[10].

L’illuminazione e la glorificazione delle membra del Corpo di Cristo non sono gradi di autorità per nomina o elezione umana. Sono coloro che Dio prepara e pone all’interno della Chiesa per l’avanzamento a gradi più elevati di cura e perfezione. Che Paolo inviti tutti i gradi inferiori di appartenenza al Corpo di Cristo a cercare l’avanzamento a stadi spirituali superiori significa chiaramente che tutti dovrebbero diventare Profeti, cioè raggiungere la glorificazione. “Voglio davvero che tutti voi parliate in lingue, affinché possiate profetizzare” (1 Cor 14,5).

c) Clinica Psichiatrica.

Questa Chiesa Paolina è come una clinica psichiatrica. Ma la sua comprensione della malattia della personalità umana è molto più sofisticata di qualsiasi cosa ora sia conosciuta nella medicina moderna. Per vedere questa realtà dobbiamo guardare attraverso Paolo nella comprensione biblica della normalità e dell’anormalità umane. L’essere umano normale è colui che è stato condotto in tutta la Verità dallo Spirito di Verità, cioè nella visione di Cristo nella gloria di Suo Padre (Gv 17). È perché gli apostoli e i profeti sono glorificati in Cristo che le persone credono che Dio ha mandato suo Figlio e che anche loro possono essere curate dall’amore disinteressato (ibid.). Gli esseri umani che non vedono la gloria increata di Dio non sono normali. «Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio» (Rm 3,23). In altre parole, l’unico essere umano nato normale è il Signore della Gloria. Il quale per scelta assunse le passioni irreprensibili (cioè la fame, la sete, la stanchezza, il sonno, la paura della morte, ecc.), sebbene fosse per natura la fonte della gloria, che li abolisce..  

L’altro lato di questa medaglia è che Dio non rivela a tutti la sua gloria perché non vuole fare del male a coloro che non sono preparati a tale visione. La sorpresa dei profeti dell’Antico Testamento di aver visto Dio e tuttavia continuare vivere e la richiesta del popolo che Mosè chieda a Dio di cessare di mostrare la sua gloria, che era diventata insopportabile, è evidente a questo riguardo.

La preoccupazione delle Chiese apostoliche non era quella di riflettere e speculare su Dio in sé, poiché rimane un mistero per l’intelletto anche quando rivela la sua gloria in Cristo a coloro che partecipano al mistero della croce di suo Figlio con la loro glorificazione. La loro unica preoccupazione era la guarigione di ciascuno in Cristo, che è operata dalla purificazione e dall’illuminazione del cuore e dalla glorificazione in questa vita (1 Cor 12,26) per il servizio alla società. “… Coloro che ha giustificato, li ha anche glorificati” (Rm 8,30) significa che l’illuminazione e la glorificazione sono interdipendenti in questa vita, ma non identiche.

La malattia della personalità umana consiste nell’indebolimento della comunione del cuore con la gloria di Dio (Rm 3,23), nel suo essere sommerso dai pensieri dell’ambiente (Rm 1,21-24 – 2,5).  In un tale stato si immagina che Dio sia a immagine del proprio io malato o addirittura degli animali (Rm 1,22). La persona interiore (eso anthropos) subisce la morte spirituale «a causa della quale (eph’ho)[11] tutti hanno peccato» (Rm 5,12) divenendo schiavi dell’istinto di autoconservazione che deforma l’amore con il suo vincolo alla ricerca egocentrica della sicurezza e della felicità.

La cura di questa malattia inizia con la purificazione del cuore da tutti i pensieri (Rm 2,29), buoni e cattivi, e la loro restrizione all’intelletto. Per fare questo lo spirito dissipato nel cervello deve trasformarsi con la preghiera in una sfera di luce e ritornare al cuore. Diventa come un dischetto riparato da cui i testi di preghiera dal cervello possono essere trasferiti per ritornare di nuovo al cervello. Si diventa così liberi dalla schiavitù di tutto ciò che c’è nell’ambiente, ad esempio dall’autoindulgenza, dalla ricchezza, dalla proprietà e persino dai propri genitori e parenti (Matteo 10,37; Luca 14,26). Lo scopo di questo non è raggiungere l’indifferenza stoica o la mancanza di amore, ma, per permettere al cuore di accettare le preghiere e i salmi che lo Spirito Santo vi trasferisce dall’intelletto ed energizza incessantemente mentre l’intelletto è occupato con le attività quotidiane e mentre dorme. È così che l’amore malato inizia la sua guarigione.

Questo è il contesto del riferimento di san Paolo allo Spirito Santo che prega nel cuore. Lo Spirito Santo in quanto tale è l’avvocato difensore di tutti gli esseri umani “con sospiri non pronunciati” (Rm 8,26). Ma Egli trasferisce le preghiere e i salmi dell’intelletto allo spirito umano nel cuore quando è purificato da tutti i pensieri, buoni e cattivi. A questo punto il proprio spirito potenziato dallo Spirito Santo non fa altro che pregare e recitare salmi incessantemente mentre l’intelletto si impegna nelle sue normali attività quotidiane liberato dall’egocentrismo alla ricerca della felicità. Così si prega incessantemente con lo spirito nel cuore e si prega con l’intelletto in determinati momenti. Questo è ciò che intende Paolo quando scrive: “Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l’intelletto. Reciterò salmi con lo spirito, ma reciterò anche salmi con l’intelletto” (1 Cor 14,15)

Paolo ci ha appena detto che la preghiera per mezzo di lingue diverse dalla propria include i salmi dell’Antico Testamento. Non sta quindi parlando di preghiere udibili ma incomprensibili poiché i salmi erano familiari a tutti. Paolo parla delle preghiere del proprio spirito nel cuore che sono udibili solo da coloro che hanno questo stesso carisma dei “tipi di lingue”. Coloro che non avevano ancora questo dono non potevano ascoltare le preghiere e i salmi nel cuore di coloro che avevano questo dono.

I Corinzi nello stato di illuminazione avevano introdotto l’innovazione di condurre il culto collettivo nel cuore alla presenza degli “individui comuni” che non avevano ancora ricevuto questo dono dei “tipi di lingue”. Ciò rendeva impossibile per questi “individui comuni” essere edificati e dire il loro “amen” al momento opportuno semplicemente perché non potevano sentire.

Paolo afferma chiaramente che “nessuno ascolta”, (1 Cor 14,2). “se vengo da te parlando in lingue, a che ti gioverò se non ti parlo?” (ibid. 14,6-7). Perché se la tromba emette un suono non manifestato, chi preparerà la battaglia? Così anche tu, se non dai una parola ben formata per mezzo della lingua, come si conoscerà ciò che è detto?… Così tanti può capitare che siano i tipi di suoni del mondo e nessuno è senza suono. Perché se non conosco la forza del suono, sarò un estraneo per chi parla e chi parla un estraneo per me”. (1 Cor 14,8-11). Coloro che non hanno il dono dei “tipi di lingue” devono ascoltare la “forza del suono” delle preghiere e dei salmi per reagire con il loro “amen” (ibid. 14,11.16). Non si deve pregare e recitare salmi con “suono non manifesto” alla presenza di coloro che non hanno questo dono delle lingue (ibid. 14,10-11). «Poiché voi rendete bene grazie, ma l’altro non è edificato» (ibid. 14,17).

Quando Paolo dice: «Chi profetizza è più grande di chi parla in lingue, se non si interpreta perché la chiesa riceva l’edificazione» (1 Cor 14,5), intende dire che chi parla solo in lingue deve imparare a tradurre i salmi e le preghiere del suo cuore in salmi e preghiere del suo intelletto da recitare udibilmente. Quando impara così a pregare e a recitare i salmi contemporaneamente con il suo spirito e il suo intelletto, può quindi partecipare al ringraziamento collettivo a beneficio degli “individui comuni” che sapranno quando dire il loro Amen. “Così chi parla in lingue preghi di poter tradurre. Perché se prego in lingua, il mio spirito prega, ma il mio intelletto è senza frutto. Allora qual è (la situazione)? Pregherò con lo spirito, ma lo farò pregando anche con l’intelletto, reciterò i salmi con lo spirito, ma reciterò anche salmi con l’intelletto. Perché se benedici con lo spirito, come dirà l’Amen al tuo ringraziamento colui che occupa il posto del comune uditore? Perché non sa cosa dici. Ringrazi bene, ma l’altro non è edificato. Ringrazio Dio con la lingua più di tutti voi, ma in chiesa preferisco dire cinque parole con il mio intelletto, per istruire gli altri, piuttosto che diecimila parole con la lingua» (1 Cor 14,13-19).

Paolo non dice mai che uno interpreta in lingue ciò che un altro sta dicendo. Si interpreta in lingue ciò che egli stesso dice. In ogni caso in cui Paolo mette in relazione il “parlare in lingue” con la “traduzione”, è sempre colui che ha il dono delle lingue che traduce sé stesso per essere ascoltato udibilmente a beneficio dei “comuni individui”. È in questo contesto che Paolo comanda che “se uno parla in lingue, deve essere raggruppato in due o tre e che uno traduca. Se non c’è un traduttore, taccia in chiesa, parli con sé stesso e a Dio» (1 Cor 14,27-28). L’interprete è chiaramente colui che ha il dono di tradurre le proprie preghiere dal proprio spirito nel proprio cuore nel proprio intelletto affinché diventino udibili per l’edificazione degli altri. Altrimenti deve tacere e limitarsi a pregare in lingue come fanno anche gli altri, ma anche udibilmente. Paolo priva così coloro che hanno solo il dono dei tipi di lingue del loro potere maggioritario di imporre la loro innovazione di preghiere collettive solo con le lingue alla presenza dei “comuni individui”.

Paolo parla di salmi e preghiere non recitate con la propria lingua, ma ascoltate provenire dal cuore. Questa illuminazione del cuore neutralizza la schiavitù dell’istinto all’autoconservazione e inizia la trasformazione dell’amore possessivo in amore disinteressato. Questo è il dono della fede alla persona interiore che è la sua giustificazione, riconciliazione, adozione, pace, speranza e vivificazione.

Queste incessanti preghiere e salmi nel cuore (Ef 5,18-20), altrimenti detti “tipi di lingue” (1 Cor 12,28), trasformano il comune uditore in tempio dello Spirito Santo e membro del Corpo di Cristo. Sono l’inizio della propria liberazione dalla schiavitù dell’ambiente, non ritirandosi da esso, ma controllandolo, non sfruttandolo, ma con amore disinteressato. È così che «la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte…. Se uno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. Se Cristo è in te, allora il corpo è morto al peccato, mentre lo Spirito è vita per la giustificazione…». (Rom. 8:2ss).

Poiché l’amore viene curato dalla perfezione, si ricevono i carismi superiori elencati da Paolo in 1 Cor 12,28 che si consumano nella glorificazione. Paolo afferma che «se uno è glorificato, tutte le membra si rallegrano» (1 Cor 12,26) per spiegare perché i profeti sono secondi agli apostoli e prima di tutte le altre membra del corpo di Cristo. Essere giustificati dalle preghiere e dai salmi dello Spirito Santo nel cuore è vedere Cristo in uno specchio offuscato (1 Cor 13,12). La glorificazione è la venuta del “Perfetto” (1 Cor 13,10) vedendo Cristo faccia a faccia (1 Cor 13,12). Nel dire: “Ora so in parte” (ibid.) Paolo si riferisce al suo attuale stato di illuminazione o giustificazione. Con la sua frase successiva, “ma allora sarò conosciuto come sono stato conosciuto” (ibid.), Paolo sta dicendo che sarà glorificato come era stato glorificato. Nello stato di illuminazione si è bambini. Una volta glorificato, si torna a illuminare l’uomo (1 Cor 13,11).

Durante la glorificazione, che è rivelazione, la preghiera nel cuore (lingue), la conoscenza e la profezia, insieme alla fede e alla speranza, sono abolite poiché sostituite da Cristo stesso. Solo l’amore non viene meno (1 Cor 13,8-11). Durante la rivelazione le parole e i concetti su e verso Dio (preghiere) vengono aboliti. Dopo la glorificazione si ritorna all’illuminazione. Conoscenza, profezia, lingue, fede e speranza tornano ad unirsi all’amore che non era finito. Quelle parole e concetti usati nella preghiera e nell’insegnamento da un glorificato per condurre altri alla glorificazione sono ispirati e devono essere aboliti nella glorificazione.

È questa visione del Cristo risorto in gloria che Paolo ebbe e che pone a capo (1 Cor 12,28) e fondamento (Ef 2,20) della Chiesa gli Apostoli e i Profeti. Questo fondamento include donne profeta (Atti 2,17, 21,9, 1 Cor. 11,5) ed è il contesto dell’affermazione di Paolo che in Cristo non c’è né maschio né femmina (Gal 3,28). La glorificazione non è un miracolo, ma la normale fase finale della trasformazione dell’amore egoistico in amore disinteressato. Sia Paolo che Giovanni considerano chiaramente la visione di Cristo in gloria in questa vita come necessaria per la perfezione dell’amore e del servizio alla società (Gv 14,21-24, 16,22, 17,24, 1 Cor 13,10-13, Ef 3,3-6). Le apparizioni del Cristo risorto in gloria non erano e non sono miracoli per sbalordire gli osservatori facendoli credenti nella Sua divinità. Il miracolo fu la crocifissione del Signore della Gloria, non la Sua risurrezione. Il Cristo risorto appare solo per la perfezione dell’amore, anche nel caso di Paolo che era giunto alla soglia della glorificazione (Gal 1,14ss), non conoscendo il Signore della Gloria che stava per vedere nato, crocifisso e risorto. In 1 Cor 15,1-11 ci sono le glorificazioni che completano il trattamento paolino dei doni spirituali iniziato in 1 Cor 12,1.

 Tutti i glorificati nella storia sono uguali agli Apostoli nella loro partecipazione alla Pentecoste perché anch’essi sono stati guidati in tutta la Verità (At 10,47-11,18). Tutta la Verità è il Cristo risorto ed asceso che ritornò nelle lingue di fuoco increate della Pentecoste per dimorare con Suo Padre nei fedeli che sono diventati templi del Suo Spirito custodendolo nei loro cuori. Ha così fatto della Chiesa il suo corpo contro il quale non possono più prevalere le porte della morte.

La glorificazione è la partecipazione sia dell’anima che del corpo all’immortalità e all’incorruttibilità per la perfezione dell’amore. Questo può essere di breve o lunga durata. Dopo un iniziale smarrimento dell’orientamento si procede nel proprio lavoro quotidiano vedendo tutto saturato dalla gloria di Dio che non è né luce né tenebre, né simile a nulla di creato. Le passioni, che erano state neutralizzate e rese irreprensibili dall’illuminazione, sono abolite. Durante la glorificazione non si mangia, non si beve, non si dorme o si fatica e non si è colpiti dal caldo o dal freddo. Questi fenomeni nella vita dei santi (profeti) sia prima che dopo l’incarnazione del Signore della Gloria non sono miracoli ma il ripristino degli esseri umani alla normalità. È in questo contesto che si collocano tali detti di Cristo ai vivi, ma malati, che «i gerontologi hanno concluso che il processo di invecchiamento è una malattia e stanno esaminando se anche la morte stessa sia una malattia. A questo riguardo sia i glorificati che le loro reliquie dovrebbero risultare interessanti poiché molte centinaia di loro rimangono con il corpo intatto per secoli in uno stato intermedio tra corruzione e incorruttibilità. Uno degli esempi più antichi è San Spiridione sull’isola di Corfù che fu padre del Primo Concilio Ecumenico nel 325. Ce ne sono 120 solo a Kiev.

Questo è il contesto dell’affermazione di Paolo che «anche questa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione, la libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21). È chiaro dal contesto che “la libertà della gloria” è qui libertà dalla mortalità e dalla corruzione. Ma anche coloro la cui persona interiore è stata adottata dall’illuminazione e che hanno assaporato l’immortalità fisica e l’incorruttibilità durante e limitatamente al periodo della loro glorificazione attendono «l’adozione, la liberazione del nostro corpo» (Rm 8,23). “I morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo cambiati… questo corruttibile vestirà l’incorruttibilità e questo mortale vestirà l’immortalità…”. (1 Cor 15,53-54). Lo si sa non dalla speculazione sui testi biblici, ma dall’esperienza della glorificazione, cioè dalla «libertà della gloria dei figli di Dio». L’esperienza della glorificazione e non solo i testi biblici è alla base della fede della Chiesa nella risurrezione fisica della parte biologica della persona.

d) Non del mondo ma nel mondo.

La distinzione tra vita attiva e vita contemplativa non esiste all’interno del Corpo di Cristo. Il dono dello Spirito Santo di incessanti preghiere e salmi nel cuore rende impossibile una tale distinzione. Può esistere solo al di fuori del Corpo di Cristo.

Nessuno può dire Signore Gesù nel cuore se non mediante lo Spirito e nessuno può dire “Gesù è anatema” nello Spirito (1 Cor 12,3). Questa è la spiritualità biblica e patristica e il potere con cui era impossibile torturare un tempio dello Spirito Santo facendogli rinunciare a Cristo. Tale rinuncia provava semplicemente che non si era stati membri della Chiesa. La missione primaria dei templi dello Spirito Santo era di lavorare in qualunque professione fossero impegnati e di cercare di trasmettere la propria cura agli altri. Hanno letteralmente lavorato nelle loro società in una capacità simile a quella degli psichiatri. Diversamente da loro, tuttavia, non cercavano l’equilibrio mentale mediante la conformità agli standard sociali della normalità. Il loro standard di normalità era la glorificazione. Il loro potere curativo non era e non è di questo mondo.

e) Teologia e dogma.

Tutti coloro che sono giunti alla glorificazione testimoniano che «è impossibile esprimere Dio e ancor più impossibile concepirlo» perché sanno per esperienza che non c’è alcuna somiglianza tra il creato e l’increato. Dio è “motore immobile” che “muove” e “né uno, né unicità né unità, né divinità… né filiazione, né paternità, ecc.”, nell’esperienza della glorificazione. La Bibbia e i dogmi sono ‘guide per’ e sono aboliti durante la glorificazione. Non sono fini a se stessi e non hanno nulla a che vedere con la metafisica, né con l’analogia entis né con l’analogia fidei. Ciò significa che le parole e i concetti che non contraddicono l’esperienza della glorificazione e che portano alla purificazione e all’illuminazione del cuore e alla glorificazione sono ortodossi. Parole e concetti che contraddicono la glorificazione e allontanano dalla cura e dalla perfezione in Cristo sono eretici.

Questa è la chiave delle decisioni di tutti i Sette Concili Ecumenici Romani così come quella dell’Ottavo dell’879 e soprattutto del Nono del 1341.

La maggior parte degli storici del dogma non lo vede perché credono che i Padri, come Agostino, cercassero attraverso la meditazione e la contemplazione di comprendere il mistero di Dio dietro le parole e i concetti su di Lui. Introducono anche padri come Gregorio il Teologo nell’esercito della teologia latina, traducendolo per dire che a filosofare su Dio è permesso solo ai “maestri di meditazione del passato”, invece che “a coloro che sono passati alla theoria”, che è visione di Cristo “in uno specchio offuscato”, per “tipi di lingue” e “faccia a faccia” in “glorificazione”.

I Padri non hanno mai inteso la formulazione del dogma come parte di uno sforzo per comprendere intellettualmente il mistero di Dio e l’incarnazione. San Gregorio Teologo mette in ridicolo tali eretici: «Dimmi, dice, qual è l’ingenerazione del Padre, e io ti spiegherò la fisiologia della generazione del Figlio e della processione dello Spirito, e lo faremo entrambi impazziti per aver curiosato nel mistero di Dio».

Né i Padri hanno mai accolto l’idea agostiniana che la Chiesa comprenda meglio la fede con il passare del tempo. Ogni glorificazione è partecipazione a tutta la Verità della Pentecoste, che non può essere né aggiunta né meglio compresa.

Ciò significa anche che la dottrina ortodossa è puramente pastorale poiché non esiste al di fuori del contesto della cura dei mali e della perfezione individuale e sociale.

Essere un teologo è prima di tutto essere uno specialista delle vie del Diavolo. L’illuminazione e soprattutto la glorificazione trasmettono il carisma del discernimento degli spiriti per aver ingannato il Diavolo, specialmente quando ricorre all’insegnamento della teologia e della spiritualità a coloro che sfuggono alla sua presa.

f) I misteri.

Il risultato più importante della franco-latinizzazione dell’educazione teologica ortodossa del XVIII e XIX secolo è stata la scomparsa del contesto dell’esistenza stessa della Chiesa nella purificazione, illuminazione e glorificazione dai Manuali dogmatici, e specialmente i capitoli sui Misteri. Questi manuali non erano a conoscenza del fatto biblico e patristico che il carisma del presbiterato presupponeva lo stato di profezia. “…non trascurare il carisma che è in te che ti è stato dato per mezzo della profezia con l’imposizione delle mani del presbiterato (1 Tm 4,14)”.

g) Profeti e intellettuali.

La creazione dipende completamente da Dio sebbene non vi sia alcuna somiglianza tra di loro. Ciò significa che non c’è alcuna differenza tra il colto e il non educato quando entrambi stanno passando attraverso la cura dell’illuminazione nel loro cammino per diventare profeti mediante la glorificazione. Una conoscenza superiore sulla realtà creata non dà alcuna pretesa speciale sulla conoscenza dell’increato. Né l’ignoranza sulla realtà creata è uno svantaggio per raggiungere la più alta conoscenza della realtà increata.

h) Profeti e Papi.

Dei cinque Patriarcati romani, i Franchi conquistarono quello di Roma e sostituirono i Papi romani con Papi teutonici con la forza militare durante una lotta iniziata nel 983 e terminata nel 1046. Estesero così il loro controllo della successione apostolica al Papato come parte dei loro piani per il dominio del mondo. Trasformarono i Padri romani in greci e latini e si attaccarono a questi ultimi, inventando così l’idea di due cristianità. Per l’Islam il papato è ancora latino e franco, e i patriarchi di Nuova Roma, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme sono ancora romani. L’ignoranza su chi e cosa sono i glorificati e perché sono secondi e successori degli Apostoli ha creato il vuoto che è stato riempito dall’infallibilità del Papa latino.

i) Profeti e Padri.

Gregorio di Nissa informa i suoi lettori che le eresie compaiono in quelle chiese che non hanno profeti. La ragione è che i loro capi tentano di entrare in comunione con Dio mediante la meditazione e la contemplazione su di Lui invece che mediante l’illuminazione e la glorificazione. Confondere i propri concetti su Dio con Dio è idolatria, per non parlare del cattivo metodo scientifico.

A proposito di apostoli e profeti dice san Paolo: «La persona spirituale esamina tutto, ma non è esaminato da nessuno» (1 Cor 3,15). La ragione di ciò è che, mediante la loro glorificazione nella gloria increata di Dio in Cristo, essi divennero testimoni del fatto che «i capi di questo tempo» «hanno crocifisso il Signore della gloria» (1 Cor 2,8). Questo è lo stesso Signore della Gloria (l’Angelo del Gran Consiglio), che si chiama “Colui che è, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe”, l’Onnipotente, la Sapienza di Dio, la Roccia che seguì (1 Corinzi 10,1-4), che videro i profeti dell’Antico Testamento. San Giovanni Battista fu il primo dei Profeti a vedere questo stesso Signore della Gloria nella Carne. Naturalmente anche i Giudei, che formalmente credevano nel Signore della Gloria, «se avessero saputo, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria» (1 Cor 2,8).

Paolo adatta i detti dell’Antico Testamento, “ciò che occhio non ha visto e orecchio non ha udito e non è sorto nel cuore dell’uomo, che Dio ha preparato per coloro che lo amano”, alla crocifissione Signore della gloria, che «Dio ci ha rivelato mediante il suo Spirito» (1 Cor 3,9-10). Quelle così glorificate sono le uniche autorità all’interno della Chiesa ortodossa. Producono le formulazioni dottrinali che servono come guide per la cura del centro della personalità umana e come segnali di avvertimento per stare lontani da dottori ciarlatani che promettono molto e non hanno nulla da dare in preparazione all’esperienza della gloria di Dio in Cristo che ognuno farà finalmente avere.

j) Il Signore della Gloria ei Concili ecumenici[12].

Per ‘Scritture’ sia Cristo che gli Apostoli intendevano l’Antico Testamento a cui era stato aggiunto il Nuovo Testamento. I Vangeli di Marco, Matteo e Luca sono stati redatti per fungere da guide pre-battesimali durante le fasi della purificazione e dell’illuminazione della persona interiore nel cuore. Che Cristo sia lo stesso Signore della Gloria che si rivelò ai suoi profeti dell’Antico Testamento e divenne manifesto al Suo battesimo e trasfigurazione in cui mostrò la gloria e il governo (BASILEIA in greco) di Suo Padre come Suo per natura. Il Vangelo di Giovanni è stato redatto allo scopo di continuare il proprio avanzamento nell’illuminazione (Gv 13,31-36) e proseguire verso la glorificazione (Gv 17) mediante la quale si vede pienamente la glorificazione del Signore della Gloria nel Padre Suo e di quest’ultimo in Suo Figlio (Giovanni 13:31, 32).

Per questo Giovanni fu chiamato il “Vangelo spirituale”[13].

Coloro che sono stati così iniziati al Corpo di Cristo non hanno appreso dell’incarnazione, del battesimo, della trasfigurazione, della crocifis-sione, della morte, della sepoltura, della risurrezione, dell’ascensione e del ritorno pentecostale del Signore della Gloria nelle lingue di fuoco increate del Suo Spirito per diventare il capo della Sua Corpo, la Chiesa, semplicemente studiando i testi della Bibbia. Hanno studiato la Bibbia come parte integrante del processo di purificazione, illuminazione e preparazione alla glorificazione del loro cuore, nello stesso Signore della Gloria, che aveva glorificato i Suoi Profeti dell’Antico Testamento, ma ora nella Sua natura umana nata dalla Vergine Maria.

Fu in questo contesto che la Chiesa antica identificò Cristo con il Signore, Angelo e Sapienza per mezzo del quale Dio creò il mondo e glorificò i suoi amici, i profeti, e mediante il quale liberò Israele dalla schiavitù e la guidò fino al tempo in cui Egli stesso divenne carne per porre fine al dominio della morte sulla Sua Chiesa (A.T.) (Matteo 16,18). Nonostante la loro glorificazione, i Profeti A.T. morirono. Ma ora «se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte» (Gv 8,52-53). Ora c’è una prima risurrezione della persona interiore (Apocalisse 20,5) e una seconda risurrezione del corpo (Apocalisse 20,6) e c’è anche una seconda morte del corpo (Apocalisse 20,14).

Anche eretici come gli Ariani e gli Eunomiani, condannati dal Primo e Secondo Concilio Ecumenico, davano per scontata questa identità di Cristo con il Signore della Gloria dell’Antico Testamento. Tuttavia, hanno affermato che questo Angelo della Gloria era la prima creazione della volontà di Dio dal non essere prima sia del tempo che dei secoli e non coeterna con il Padre. Hanno usato la visibilità dell’Angelo della Gloria ai Profeti come prova della sua natura creata[14] in un modo in qualche modo simile a quegli gnostici che identificarono questo angelo dell’Antico Testamento con il loro dio creatore minore di questo presunto mondo malvagio e che ingannarono Israele.

Gli Ariani e gli Eunomiani o ignoravano o rifiutavano il fatto che per glorificazione si diventa dio per grazia (theosis) e che quindi si vede la gloria e il governo increati (BASILEIA in greco) di Dio in Cristo per mezzo di Dio stesso. In gioco c’era il fatto che Dio stesso si rivela ai suoi amici glorificati e non per mezzo di una creatura, con la sola eccezione della natura creata di suo Figlio. Eppure la grazia e la regola (BASILEIA in greco) di illuminazione e di gloria che Cristo comunica al suo Corpo, la Chiesa, è increata. La dottrina franco-latina della creazione della grazia comunicata non ha posto nella tradizione dei Concili ecumenici.

Il motivo per cui gli aspetti di cui sopra dei Concili ecumenici non giocano alcun ruolo nelle storie della dottrina latina e protestante è il fatto che Agostino deviò nettamente da Ambrogio e dai Padri nella sua comprensione delle apparizioni del Logos ai profeti dell’Antico Testamento[15]. Le sue incomprensioni divennero il fulcro della tradizione franco-latina. Le storie della dottrina protestante e latina, che sono consapevoli della deviazione di Agostino da questa antica identificazione di Cristo con questo angelo della gloria, presuppongono che sia stata eliminata dalla tradizione a causa del suo uso da parte degli ariani. Tuttavia questa tradizione è stata preservata intatta all’interno delle Chiese dell’Impero Romano e continua ad essere il cuore della tradizione ortodossa. Questo è l’unico contesto per i termini trinitari e cristologici: tre sostanze, una sola essenza e l’unione del Logos con il Padre e noi. Erano e rimangono privi di significato nel contesto agostiniano.

Agostino aveva erroneamente creduto che fossero solo gli Ariani ad identificare il Logos con questo Angelo della Gloria A.T. Non sapeva che sia Ambrogio, il vescovo che afferma di aver aperto la sua mente manichea all’Antico Testamento e di averlo battezzato, e tutti gli altri Padri fecero lo stesso. Gli Ariani e gli Eunomiani avevano sostenuto che la prova che il Logos era stato creato era che Egli era per natura visibile ai Profeti, mentre solo il Padre era invisibile. Agostino non aveva compreso le esperienze bibliche di illuminazione e glorificazione, che aveva confuso con l’illuminazione e l’estasi neoplatoniche. Ha relegato la glorificazione alla vita dopo la morte e l’ha identificata con la visione della sostanza divina che presumibilmente soddisfa il desiderio dell’uomo di felicità assoluta. La sua comprensione utilitaristica dell’amore gli rendeva impossibile comprendere l’amore disinteressato della glorificazione in questa vita. A questo proposito non differiva dagli ariani che stava attaccando.

All’interno dei presupposti neoplatonici di cui sopra, Agostino risolve il problema con la seguente spiegazione: le Tre Persone della Santissima Trinità, essendo ugualmente invisibili, presumibilmente rivelano sé stesse e i loro messaggi ai profeti per mezzo di varie creature che portano all’esistenza per essere visti e ascoltati e che poi fanno scomparire dall’esistenza, come la gloria, la nuvola, il fuoco, il roveto ardente, ecc. Dio è diventato permanentemente visibile nella natura umana di Suo Figlio attraverso il quale comunica messaggi e concetti. Tuttavia, si suppone che continui anche a rivelare visioni e messaggi con mezzi creati che Egli passa dentro e fuori dall’esistenza secondo necessità, come l’uccello al battesimo di Cristo, le lingue di fuoco di Pentecoste, la gloria/luce/regola (BASILEIA in greco) di Dio rivelato alla trasfigurazione. Questi simboli verbali con cui gli scrittori dell’Antico e del Nuovo Testamento esprimevano esperienze di illuminazione e glorificazione furono così ridotti a oggetti temporanei e miracoli incredibili[16]. Questa divenne la tradizione franco-latina a cui aderiscono ancora sostanzialmente sia i latini che i protestanti.

Uno degli effetti collaterali più notevoli di tali malintesi è l’uso della parola “regno” che satura le traduzioni del Nuovo Testamento e che non compare mai nell’originale greco. Il termine greco “BASILEIA (in greco) di Dio” designa il governo increato di Dio e non il Regno creato governato da Dio.

k) “…non spegnere lo Spirito” (1 Ts 5,19)

Lo Spirito Santo che si custodisce nel proprio cuore «con sospiri inespressi» (Rm 8,26) non è di per sé appartenenza al Corpo di Cristo. Si deve rispondere con l’incessante preghiera del proprio spirito, perché lo Spirito di Dio testimoni al nostro spirito “che siamo figli di Dio e coeredi di Cristo, affinché, poiché co-soffriamo, anche noi siamo co-glorificati “, (Rom 8,16-17). Sebbene questa risposta sia la nostra, è anche un dono di Dio. Proprio questo presuppone san Paolo quando comanda: «Pregate incessantemente… Non spegnete lo Spirito. Non disattendete le profezie». (1 Ts 5,17-19). Paolo ci sta dicendo qui di aver cura di rimanere templi dello Spirito Santo preservando la preghiera incessante del nostro spirito nel cuore affinché possiamo diventare profeti mediante la glorificazione. Questo è anche il motivo per cui Padri come come San Giovanni Crisostomo dicono: “Non pensiamo di essere diventati membra del Corpo una volta per tutte”[17].

Il battesimo con l’acqua per il perdono dei peccati è un mistero indelebile perché il perdono di Dio per l’essere malati è il dato di fatto per l’inizio della guarigione. Tuttavia, il battesimo dello Spirito non è un mistero indelebile poiché o si ha, o non si ha, o si può perdere, la preghiera incessante nel cuore. Che si risponda o no, lo Spirito Santo è avvocato nel cuore di ogni singolo essere umano, che creda o meno in Cristo. In altre parole, l’amore di Dio chiama tutti allo stesso modo ma non tutti rispondono. Coloro che non rispondono non dovrebbero immaginarsi templi dello Spirito Santo e membra del Corpo di Cristo, impedendo così agli altri di rispondere. Coloro che sono nello stato di illuminazione pregano insieme nelle loro liturgie come templi dello Spirito Santo e membri del Corpo di Cristo che i non membri diventino membri e i membri precedenti tornino membri poiché ciò non era loro garantito dal loro battesimo d’acqua per il perdono dei peccati.

l) Il carisma della traduzione.

Ad un certo punto della storia della Chiesa primitiva il carisma di tradurre simultaneamente i salmi e le preghiere dal cuore all’intelletto a beneficio del culto collettivo dei privati è stato sostituito da testi liturgici scritti stabili, con punti fissi in cui i laici (idiotes) rispondessero con il loro amen, Kyrie eleison, ecc. Anche la preghiera nel cuore era ridotta a una breve preghiera (es. Signore Gesù Cristo abbi pietà di me peccatore) o a una frase di un salmo (una forma che si trova nei Padri del deserto di Egitto e portato in Occidente da San Giovanni Cassiano). Altrimenti il carisma è rimasto intatto.

Gregorio di Tours descrisse i fenomeni sia della preghiera incessante che della glorificazione. Ma non avendo capito cosa sono, li ha descritti come miracoli e in modo confuso[18]. I Franchi continuarono questa confusione e alla fine confusero l’illuminazione e la glorificazione con il misticismo neoplatonico di Agostino, giustamente respinto dalla maggior parte della Riforma.

SELEZIONE DEGLI STUDI SULLE TEMATICHE QUI TRATTATE

  • Raccolta di fonti patristiche sulla preghiera nel cuore intitolata Filocalia, Gribaudi.
  • “La via del Pellegrino”, tradotto dal russo, ed. Adelphi. La Filocalia nella pratica popolare.
  • John S. Romanides, “Il peccato originale secondo San Paolo”, ed. Asterios. Documento consegnato nel 1954 alla facoltà della Scuola Teologica Ortodossa San Sergio a Parigi.
  • The Ancestral (originale) Sin, 1a ed., Atene 1957; 2a ed. Atene 1989, Domos.
  • “Ecclesiologia di Sant’Ignazio di Antiochia”, Atlanta 1956: ristampato in The Greek Orthodox Theological Review, Brookline 1961-62, vol. VII, nn. 1-2, pp. 53-77.
  • “Giustino martire e il quarto Vangelo”, Rivista teologica greco-ortodossa 4 (1958): 115-134.
  • “Dogmatica”, Salonicco 1973.
  •  “Romanità, Romania, Roumeli”, Salonicco 1975.
  • “Esame critico delle applicazioni della teologia”, in Procès Verbaux du Deuxième Congrès de Théologie Orthodoxe, Athènes 1976, ed. SC Agourides, Atene 1978.
  • “Franks, Romans, Feudalism and Doctrine”, Holy Cross Orthodox Press, Brookline 1982.
  • “Gesù Cristo-La vita del mondo”, in Xenia Oecumenica, Helsinki 1983, n. 39, pp. 232-275.
  • “Justice and Peace in Ecclesiological Context”, a cura di Gennadios Limouris, in “Come Holy Spirit Renew the Whole Creation”, Holy Cross Press, Boston 1990, pp. 234-249.
  • “Saint Augustin”, Les Dossiers HL’ Age d’ Homme, editore Patric Ranson, 1988. Di interesse sui punti qui toccati si vedano gli studi di Patric Ranson, Emile Zum Brunn, John Romanides, Laurent Motte, Anne Pannier e Alain de Libera.

NOTE:


[1] La maggior parte del materiale qui presentato faceva parte del mio studio intitolato “Sinodi e civiltà della Chiesa” preparato e già presentato al VI incontro della Commissione mista luterana-ortodossa 31/5-8/6/1991 Mosca, URSS e rivisto per la riunione della sottocommissione, 17-21 giugno 1992, Ginevra e stampato in “THEOLOGIA”, vol. 63 + Numero 3 + luglio-settembre 1992 pagine 424-450 e in greco nel vol. 66 + Edizione 4, 1995 pagine 647-680. È apparso di nuovo con il titolo “LA RELIGIONE È UNA MALATTIA NEUROBIOLOGICA, TUTTAVIA L’ORTODOSSIA È LA SUA CURA”, pubblicato dal Monastero di Koutloumousiou del Monte Athos nel suo volume intitolato “ORTODOSSI-EELLENISMO IN CAMMINO VERSO IL TERZO MILLENNIO”, VOL. 2, pp. 67-87, 1996.

[2]  Per l’inizio dei miei studi sulle ragioni catechetiche della differenza tra le due tradizioni evangeliche nella Chiesa primitiva si veda il mio studio “Giustino Martire e il quarto Vangelo”, in Greek Orthodox Theological Review 4 (1958): 115- 134. Ho ricevuto una lettera da C.H. Dodd in cui si informava che questa posizione doveva essere esaminata.

[3] San Giovanni Crisostomo, Migne, PG 60, 23

[4] Mc 9, 1-8, Mt 16. 28; 17.1-8, Lc 9.27-36

[5] Si veda ad esempio una concentrazione di queste sciocche nozioni nel De Trinitate di Agostino, libri II e III. Ho avuto il privilegio di ascoltare un sermone sulla Pentecoste durante una riunione del Comitato Centrale del Consiglio Ecumenico delle Chiese che ha ripetuto queste posizioni di Agostino. Ciò significa che il materiale di questo sermone è stato preso direttamente da questa fonte o è entrato a far parte delle tradizioni franco-latine e della Riforma. Se è così, allora il divario tra i Nove Concili ecumenici romani dal 325 al 1351 e le posizioni franco-latina e protestante sono incolmabili.

[6] 1 Cor. 13,11

[7] Questa sezione e le sezioni del resto di questo documento sono state incluse nel mio studio “SINODI DELLA CHIESA E CIVILTÀ” che è stato redatto per il VI incontro della Commissione mista luterana-ortodossa 31/5-8/1991 Mosca, URSS. Rivisto per la riunione della sottocommissione, 17-21 giugno 1992, a Ginevra. È stato pubblicato in THEOLOGIA Vol. 63, Numero 3, luglio-settembre 1992 e in greco nel vol. 66, numero 4, 1995.

[8] Vedi sotto “j) Il Signore della Gloria e i Concili Ecumenici”.

[9] Questa interpretazione di Paolo si basa sulla Tradizione Patristica, ma anche su informazioni recepite durante un incontro di dialogo a Bucarest (ottobre 1979) tra ortodossi ed ebrei. Quest’ultimo ha sottolineato che l’illuminazione e la glorificazione patristica che ho descritto loro era quella della tradizione chassidim dell’Antico Testamento. Evidentemente Cristo, il Signore incarnato e i Suoi Apostoli appartengono a questa tradizione.

[10] Commentando 1 Cor 12,27-28 scrive san Simeone il Nuovo Teologo: «Affinché provi le differenze delle membra, ciò che sono e chi sono, dice: Voi dunque siete il corpo di Cristo… tipi di lingue. Fai le differenze tra le membra di Cristo? Hai imparato chi sono le sue membra?” Libro VI sull’etica, intitolato “Come si è uniti a Cristo e a Dio e come tutti i santi diventano uno con Lui”.

[11] Per l’interpretazione patristica dell'”eph’ho” di Paolo in Rom 5,12 vedi J.S. Romanides, “Il peccato originale secondo S. Paolo”, Asterios

[12] Per l’identità del Logos incarnato del Nuovo Testamento con il Signore dell’Antico Testamento negli insegnamenti dei Padri del Primo e del Secondo Concilio ecumenico si veda il mio studio “Gesù Cristo la vita del mondo”, in Xenia Oecumenical , Helsinki 1983, pp. 232-275.

[13] J.S. Romanides, “Giustino martire e il quarto vangelo”, in The Greek Orthodox Theologica [l Review, IV, 2 (1958-59),115-139. http://www.romanity.org/htm/rom.22.en.justin_martyr_and_the_fourth_gospel.01.htm

[14] Per i presupposti filosofici comuni tra Paolo di Samosata, i suoi co-lucianisti ariani e i nestoriani si veda il mio “Dibattito sulla cristologia di Teodoro di Mopsuestia”, The Greek Orthodox Theological Review, vol. VII, 2 (1959-60), pp. 140-185.

[15] Per l’analisi di queste deviazioni vedere la bibliografia.

[16] Quanto sopra si può trovare concentrato nei seguenti scritti di Agostino: De Beata Vita, Contra Academicos, e disseminato in tutti i suoi scritti. Particolarmente interessanti sono le sue spiegazioni delle visioni di Dio da parte dei profeti e degli apostoli nel suo De Tinitate, specialmente in Libri II e III.

[17] Migne, PG 60, 23: J.S. Romanides, Peccato originale (in greco) 1a ed. Atene 1957; 2a ed. Atene 1989, pag. 173.

[18] J.S. Romanides, Franchi, Romani, Feudalesimo e Dottrina, Brookline 1981, p. 53-57.




FALSO: Tutte le vie alla fine conducono al medesimo obiettivo!

Non tutte le religioni o le fedi sono uguali. La dottrina massonica attualmente in voga vuole insegnare che è indifferente la professione di fede. Non ci sono dogmi. Tutte le vie alla fine conducono al medesimo obiettivo. Più mondanamente il proverbio diceva che tutte le strade portano a Roma. Si predica un blando umanesimo egocentrista che in realtà ha condotto a due guerre mondiali e siamo sull’orlo della terza! Ogni uomo è dio a sé stesso. Una dottrina di chiara matrice satanica.

“Io sono la via, la verità e la vita”

Gv 14,1-12: [In quel tempo], Gesù disse: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: «Vado a prepararvi un posto»? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: «Mostraci il Padre»? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».

Il Dio rivelato dal suo Figlio ha il nome di Abbà: “Papà”. Allargando il quadro è un Dio che condivide la stessa sostanza in tre ipostasi personali: il Padre il Figlio e lo Spirito Santo. La Trinità nel nome della quale siamo stati battezzati. Un Dio attento ai propri figli, che ascolta il grido di Israele in Egitto, che li corregge, gli viene incontro, li attende amorevolmente nei loro sbagli come quel Papà che abbraccia il figliol prodigo quando “rientrò in sé stesso”.  (Luca 15,11-32)

Questo è, molto sinteticamente, il volto del nostro Dio.

In un’intervista ad Osho di Enzo Biagi (Osho è stato uno dei guru più in voga negli scorsi decenni, star della new age, predicatore di questa nuova spiritualità senza Dio) il santone fa un identikit del suo dio.

“Non avete bisogno di un Gesù Cristo che vi conduca in paradiso; siete in grado di essere in paradiso qui e ora.  Perché il paradiso non è da qualche parte nell’alto dei cieli. È qui, da qualche parte!”.

Trovate differenze tra queste parole e il brano evangelico? A me pare di si…ma in molti oggi direbbero che non è importante, che è uguale! Chiunque può trovare la via del Paradiso e quindi è inutile Gesù, la sua incarnazione, la sua morte e la sua resurrezione. Tu ce la fai tranquillamente con le tue forze. Tu sei dio a te stesso.

“Il segreto della felicità è tutto qui: qualsiasi cosa fai non permettere al passato di distrarre la mente e non permettere al futuro di disturbarti. Perché il passato non esiste più e il futuro non esiste ancora.”

“Nel qui e ora non troverai Dio, ma qualcosa di più grande: troverai un’essenza divina. Questo è il termine che designa l’esperienza suprema della beatitudine. Ricorda quelle due parole: qui e ora, e conoscerai il segreto della felicità suprema”.

Riecheggia qui l’antico brano della Genesi quando il serpente suggeriva ai progenitori di mangiare dell’albero che non solo non sarebbe sopraggiunta la morte ma si sarebbero addirittura schiusi gli occhi alla conoscenza del bene e del male. Dio mente, diceva il serpente antico, Gesù non serve ribadisce il guru moderno. A che servono questi sacrifici, del non mangiare dell’albero, della via stretta, della croce, se la suprema beatitudine può essere acquistata con più semplicità? Quindi Dio, così come rivelato dal Cristo Signore, non esiste per Osho. Non troverai Dio nel qui ed ora. Troverai solo un’essenza divina, impersonale, inerte. Questo l’insegnamento della gran parte della spiritualità spacciata nel grande ipermercato moderno. Non serve grosse impegno, basta rimanere concentrati. Una flebile risonanza di dottrine “orientaleggianti” ad uso quotidiano che non richiede grande fatica. Basta concentrarsi un attimo, di tanto in tanto, quanto ne hai il tempo per sperimentare il paradiso; meglio se attraverso i consigli pagati di un famoso guru, in un’elegante palestra in centro città o addirittura senza muoversi di casa…online!

Rispettando le idee di tutti, il nostro Dio ci ha lasciato liberi di scegliere e anche di sbagliare, lo scopo di questo piccolo articolo è quello di manifestare chiaramente che non è assolutamente vero la teoria moderna para massonica che tutti i messaggi, tutte le religioni, tutte le fedi sono uguali. Non tutte conducono al Padre, molte conducono ad una “suprema beatitudine” donata con semplicità da una non meglio identificata “essenza divina”.

Altre, spesso nate negli stessi circuiti new age, promettevano e promettono la stessa “suprema beatitudine” grazie a delle “essenze chimiche”; si prende una pillola, una sostanza, un’erba, così quando ti pare, e sei in paradiso…semplice!

Marco 8,34-35: “Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. 35 Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà”.

No, non tutti i percorsi sono uguali, ci sono le vie strette e quelle larghe. No non tutte le strade portano in Paradiso! Confidiamo nella grande misericordia di Dio e preghiamo per tutti noi peccatori affinché possiamo conoscere ed imboccare la strada giusta!

Per le preghiere dei nostri santi Padri, Signore Gesù Cristo Dio nostro, abbi pietà di noi e salvaci!

TEANDRICO.IT