“L’umile e sconosciuto Santo Contadino, Uomo meraviglioso, parlava da giusto e ciò che diceva era frutto di ponderata riflessione, “L’uomo non deve insuperbirsi” non deve affannarsi per le cose del mondo. Attaccarsi alle cose materiali porta inesorabilmente l’essere umano al nichilismo, alla totale negazione di ogni valore morale. Il paradosso della felicità è che mai si raggiunge affannandosi a cercarla per se stessi, ma facilmente portandola sempre con sé per donarla disinteressatamente a chiunque si incontri. San Filarete, suscitando gioia inaspettata, donava il frutto del suo orto al primo che incontrava senza neanche sapere chi fosse. E’ questo il contenuto del suo sublime messaggio; la felicità è implicitamente in noi solo quando comprenderemo che essa è reciproca. Misero è colui che la sottrae agli altri, perché, nello stesso istante, la si sta togliendo a se stessi”.1
FESTA
L’8 Aprile, memoria del nostro santo padre Filarete l’Ortolano, di Seminara in Calabria. Il bios greco si trova nei codici, Mess. Gr. 20 (ff 3-14). Neapol. II, A, 26 e Palerm. II, E, 11, (f 409). La sua ufficiatura si trova nel Vat. Gr. 1538 (ff 264-265)
VITA
San Filarete l’Ortolano ha origini siciliane. Alcuni biografi cattolici e una minoranza di ortodossi sostengono che fosse originario della città di Palermo. Altri sostengono che sia originario della Val Demone, territorio ricompreso tra la provincia montuosa di Messina, Caronia e Catania. Con la conquista dei Franchi, la latinità cattolica attivò ogni strumento per cancellare la memoria della tradizione greco-ortodossa e di fatti il ricordo di questo umile santo ci è pervenuto grazie a un solo manoscritto, bios, del 1308 (Mess. Gr 29, ff. 3\14). Questo bios è opera d’un certo Nilo, monaco nello stesso Monastero in cui Filarete praticò la sua ascesi, ma a lui successivo. Molto probabilmente non lo conobbe personalmente nonostante la sua stessa dichiarazione.
Secondo il monaco Nilo, Filarete nacque intorno al 1020 e fu battezzato con il nome di Filippo, in omaggio al grande esorcista di Agira, detto appunto “scacciaspiriti”.
La sua vita nella Sicilia islamica non dovette essere funestata da persecuzioni di stampo religioso anche se, al compimento dei suoi diciotto anni, un avvenimento lo porto ad emigrare. L’imperatore di Costantinopoli Michele IV Paflagone (1034-1041) con l’aiuto del generale macedone Giorgio Maniace cercò di liberare la Sicilia dal giogo musulmano, operazione che terminò con la vittoria temporanea di Troina del 1040. A causa di questa guerra, pare che Filippo dovette trasferirsi prima a Reggio Calabria e poi a Sinopoli, dove a 25 anni divenne monaco presso la valle delle Saline, ricadente nel territorio dell’attuale Seminara (RC). Questa era una zona dove il monachesimo era diffuso ed aveva una lunga tradizione. Qui il santo ricevette l’ordinazione monastica ad opera dell’igumeno Oreste del Sacro Imperiale monastero delle Saline, fondato da Sant’Elia il Giovane nell’880, originario di Enna, a cui appunto l’imperatore Leone IV il Sapiente gli conferì il titolo “imperiale”. Con la tonsura monastica, Filippo prese il nome di Filarete, che secondo la tradizione latina significa “pescatore”, mentre secondo quella greca significa “amante della virtù”.
“Oreste che lo istruì nelle regole e lo preparò alla vita ascetica, vedendo che il giovane ‘si distingueva in modo straordinario per l’obbedienza, per la pazienza, per la grande fortezza e per tutte le altre forme di virtù’ gli affidò ‘ogni sorta di servizio’. Compiuto il tempo del noviziato fu fatto entrare come ‘commilitone e compagno di lotta’ nella ‘santa comunità dei fratelli’, venne rivestito dell’abito angelico […]. Per meglio esercitarsi nelle lotte spirituali, che sono ‘come la luce che nasce dalle tenebre’, rinunciò ad indossare la tunica, decise di camminare a piedi scalzi e ‘ per una settimana intera a talvolta anche per due, si asteneva dal prendere cibo’. Suo modello di vita religiosa era Elia il Giovane e ‘cercava con tutto il cuore di seguire le sue orme, era felice di ascoltare la narrazione delle sue buone azioni, e avere sempre tra le mani il libro che parlava di lui. Dall’igumeno Oreste fu incaricato di prendersi cura dei buoi e dei cavalli del monastero e si trasferì in una modesta ‘dimora di pastore’. I mandriani al servizio dei monaci si nutrivano di ‘formaggio, latte e burro’ e ‘gustavano un po’ di tutto’, ma Filarete ‘soddisfaceva alle necessità del corpo solo col pane ed alcune erbe’, consuetudine che ‘mantenne per tutta la vita’.1
Di fatto condivideva la vita dei pastori vivendo in maggiori ristrettezze ed ascesi. Li guidava nella vita spirituale e godeva del silenzio della sua occupazione sostenendo i poveri e curando i malati.
“Richiamato al monastero dopo anni di vita trascorsi in solitudine, fu incaricato dall’igumeno di dissodare una boscaglia. In essa si costruì una capanna e rese coltivabile il terreno affinché producesse gli ortaggi utili alla comunità. Anche nello svolgimento della nuova mansione, Filarete continuò a praticare la preghiera e la penitenza. Mangiava ogni giorno all’ora nona e si nutriva di erbe selvatiche bollite, rifiutando di servirsi delle verdure da lui coltivate e dei frutti che abbondavano nel giardino. Beveva acqua e solo ogni tanto assaggiava del vino, mangiava del pesce quando non poteva farne a meno e cedeva ad altri, come aveva fatto quand’era pastore, il cacio, il latte e il burro. La veste che indossava sul nudo corpo era di paglia intrecciata come quella usata per fare i panieri e il mantello era intessuto con rozza canapa. Dormiva sul suola sopra rami coperti di fieno, aveva per cuscino una pietra rivestita di paglia ed erano pure di paglia il velo che gli copriva il capo e i calzari”3
Filarete non ebbe fama di erudito e nel monastero ricoprì sempre cariche molto umili. Dicevamo che fu pastore e soprattutto agricoltore. Da qui il nome di ‘Ortolano’ che lo contraddistingue nel calendario. Pastori e contadini furono i suoi principali interlocutori. Persone povere che aiutava con le verdure che coltivava e con parole di edificazione. Coltivava un appezzamento di terreno del Monastero avendo sempre addosso una pesante catena a ricordo della schiavità del peccato. Filarete era instancabile nella coltivazione e la sua perizia gli permetteva di donare parte dei raccolti alle persone del territorio particolarmente povere soprattutto “negli anni di durissima carestia provocata dalle continue razzie dei Normanni che nel 1059 occuperanno Reggio, iniziando poi la lenta ma graduale conquista della Sicilia. Ciò, del resto, rispecchia gli accordi stabiliti fra il pontefice Niccolò II e Roberto il Guiscardo, capo dei predoni francofoni: la legittimazione papale delle conquiste passate, presenti e future, nel Mezzogiorno e in Sicilia, in cambio dell’imposizione forzosa del rito latino in quelle regioni; e poco importa se il vescovo romano non dispone della minima autorità giuridica per imporre un ricatto del genere, essendo i Meridionali sudditi dell’Impero Romano di Costantinopoli, ma, si sa, la Storia viene sovente riscritta dai vincitori. Filarete muore negli anni ’70 dell’XI secolo, mentre già i Normanni stanno provvedendo a sradicare il culto greco-ortodosso dalla Calabria a favore di quello latino-papista, favorendo la fondazione di abbazie benedettine nel territorio reggino, una delle quali, quella di Sant’Eufemia d’Aspromonte, si vedrà presto assegnata la proprietà del Monastero Imperiale delle Saline, in seguito intitolato ad Elia il Giovane ed allo stesso Filarete, la cui sede principale si trova oggi a Seminara di Palmi”4.
Ritornando al nostro Filarete, si recava al monastero per la liturgia e per ritirare quel poco di pane e sale che spesso per dimenticanza non gli veniva consegnato. Era così ritirato che seguiva la liturgia in un angolo della chiesa passando il resto del tempo nella sua cella sul terreno assegnatogli, al punto che molti monaci neanche se ne ricordavano. L’ascesi di Filarete, come tradizione dei monaci greco calabri, si basò inoltre in lunghe veglie ed estenuanti digiuni, spesso si nutriva solo di erbe bollite. Non era uso lamentarsi mai per le vicissitudini della vita che accoglieva con spirito di ringraziamento al Signore.
“Come accade spesso in Italia, chi lavora senza lamentarsi, invece di essere elogiato, viene trattato da scemo: Filarete non sfuggì a tale sorte. Infatti, quando egli si ammalò gravemente, i confratelli lo portarono nel monastero e fattolo distendere sul letto lo lasciarono riposare, credendo che avesse energie sufficienti per poter vivere, per cui lo privarono della necessaria assistenza ed il santo morì abbandonato e solo, così come condusse la sua vita. Il giorno seguente i confratelli gli celebrarono il funerale frettoloso, senza tener conto del profumo che emanava il suo corpo. Solo alla sua morte si accorsero di lui per una serie di miracoli che avvenivano sulla sua tomba. Seguendo il bios, una donna affetta da cecità, a seguito di una grave emorragia cerebrale, si recò sulla tomba ad implorare l’aiuto di Sant’Elia il Giovane, fondatore del monastero, che era estremamente vivo nella devozione dei fedeli a causa dei suoi innumerevoli miracoli, per ricevere un’intercessione. In una visione gli apparve il santo che gli disse di rivolgersi alla tomba di San Filarete, che era in grado di guarirla. La donna chiese ai concittadini del santo, ma molti risposero di non conoscerlo e, quindi, si recò presso il monastero chiedendo di potersi recare sulla sua tomba, ma i monaci, provarono a cacciarla a male parole”5.
Ma la donna era irremovibile per la visione e le parole riferitele da Sant’Elia. Alla fine ad un monaco venne in mente che l’unico Filarete del convento fosse l’ortolano morto un paio d’anni prima, per cui, con molto scetticismo, accompagno la signora cieca a pregare sulla sua tomba. Qui avvenne il miracolo e la cieca riacquistò la vista.
Altri miracoli si susseguirono aumentando enormemente la popolarità del Santo rimasto anonimo in vita. “La fama del prodigio si diffuse nei paesi e nelle città vicine e ‘anche da lontano accorse a quella santa e veneranda tomba una moltitudine di gente afflitta da ogni sorta di malattie e di sofferenze e ciascuno straordinariamente e incredibilmente otteneva la guarigione”. Dal sepolcro si levava “un soave profumo di unguento”. Nel luogo, sulle fondamenta di un precedente edificio sacro, fu costruito “un bellissimo oratorio” che venne dedicato al Santo. Anche le sue vesti lacere, che dopo la morte erano state appese a un legno e dimenticate, furono trovate intatte e da esse si effondeva un gradevole profumo. Le vesti “furono sminuzzate in piccoli pezzi e distribuite per essere usate quali rimedi salutari in tutte le malattie e infermità”. Il bios di San Filarete si chiude con un invito alla “intera comunità dei Calabresi” a celebrare con letizia la festa del Santo, a recarsi alla sua tomba innalzando a Dio canti di ringraziamemo e sforzandosi di imitarne le virtu’.
“Nel 1133 il monastero venne ricostruito sulle rovine dell’originario e dedicato ai Santi Elia e Filarete. Però, si assistette ad un fenomeno curioso, in quanto la devozione di San Filarete si sviluppò enormemente al punto che il monastero venne successivamente conosciuto unicamente con il nome del santo ortolano, facendo così vivere alla sua ombra quello del fondatore ovvero Sant’Elia. Risulta essere un paradosso in quanto l’umile ortolano era estremamente devoto del santo fondatore, al punto da portare sempre con sé il libro della sua vita”6.
“Dopo l’abbandono del monastero di Sant’Elia il Giovane alle Saline a causa delle incursioni dei Saraceni le spoglie del Santo furono trasferite nelle vicinanze di Seminara nel monastero denominato Sant’Elia Nuovo, al quale in seguito fu aggiunto il titolo di San Filarete. Nel 1345 fu scritto un inno in lingua greca in onore del Santo. In esso, i fedeli raccolti intorno all’urna pregano San Filarete affinché scenda nel suo tempio. Il monastero fu visitato nel 1457 da Chalkeopoulos e nel 1551 da Marcello Terracina, archimandrita del monastero di San Pietro d’Arena. In esso abitavano il priore e cinque monaci, ma i beni erano stati assegnati in commenda. In seguito si perdette la memoria della sepoltura del Santo. I resti venerati furono rinvenuti il 22 febbraio 1693 dopo il terremoto che 1’11 dello stesso mese aveva distrutto il monastero. I particolari del ritrovamento furono descritti dal notaio Domenico Guardata il 25 aprile di quell’anno. Il vescovo di Mileto Domenico Antonio Bernardini il 24 ottobre 1697 eseguì la ricognizione delle spoglie venerate. Il terremoto del 5 febbraio 1783 causò la distruzione del monastero e la morte di sette religiosi. Dopo il terremoto i beni furono incamerati dalla Cassa Sacra e il monastero non fu più ricostruito. Nel 1709 alcune reliquie furono donate alla chiesa palermitana di San Basilio, da dove in seguito furono trasferite nella cattedrale. Nella basilica della Madonna dei Poveri a Seminara è custodito un avambraccio del Santo in un reliquiario proveniente dal monastero ed eseguito dall’orafo Luigi De Sanguini. Pure dal monastero fu trasferito nel santuario il cranio del santo rinchiuso in un reliquario d’argento probabile lavoro di un orafo messinese eseguito nel 1717”.7
Ben presto però, con l’avvento della dominazione normanna e la latinizzazione, la sua memoria scemò progressivamente come per tutti i santi italo-greci. Solo con il Cardinale Giannettino Doria ci fù una circoscritta svolta. Il presule volle rilanciare l’orgoglio civico di Palermo, città sempre più marginale nei domini spagnoli, in un recupero della tradizione greca e normanna. Iniziò il culto di Santa Rosalia fino ad allora sconosciuta ai più e incrementò la conoscenza di altri santi palermitani come si riteneva essere Filarete.
“Dopo la distruzione del suo convento nel grande terremoto del 1693, l’abate Generale dell’ordine basiliano di Palermo, Pietro Minniti, chiese la restituzione delle reliquie del santo affinché tornassero nella terra natia, cosa concessa da Clemente IX. La traslazione, con destinazione la cattedrale di Palermo fu celebrata con solenni suppliche il 14 gennaio del 1703. Ed in tale data fu inscritta la celebrazione nel martirologio romano. La festa della traslazione fu celebrata sino al 1929, mentre quella del santo fino al 1958, anno in cui la sua festa fu definitivamente cancellata dal calendario liturgico romano”8.
In foto, il monastero dei Santi Elia di Enna e Filarete a Seminara.
Ma le vie del Signore sono infinite. La memoria dei Santi Elia il Giovane e Filarete l’ortolano era destinata a ritornare e rimanere in questa terra di Calabria. Lo scrittore e medico Santo Gioffré, appassionato studioso di Barlaam di Seminara, donò intorno al 2000 un suo uliveto, per far costruire dopo secoli la più grande chiesa ortodossa dell’Italia meridionale, dedicata proprio a Elia il Giovane e Filarete, associata a un monastero femminile ortodosso. Sua Santità Bartolomeo I Patriarca Ecumenico di Costantinopoli ha benedetto la sua prima pietra nel 2001 e il cantiere è andato avanti per un anno e mezzo. Lo stesso donatore ricorda:
“Sono passati 20 anni da quella mattina quando Sua Santità, il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, posò la prima pietra di quella che poi sarebbe divenuta la Chiesa Greco-Ortodossa dei Santi Elia e Filarete, a Seminara. Erano trascorsi 800 anni dall’ultima volta che era stata costruita una chiesa di rito greco, prima che gli Angioni bandissero la liturgia ortodossa dalla Calabria. Bartolomeo I, che porta tra i suoi titoli anche quello di Despota di Costantinopoli, cioè, ultimo dei successori non solo della cattedra Patriarcale ma, anche, del Trono degli Imperatori di Bisanzio, mi guardò con una stizza d’incredulità quando m’indicarono come colui che aveva voluto donare il terreno. Chiese di potermi parlare in privato. Il Patriarca si esprimeva perfettamente in italiano. Ci appartammo sotto l’albero spoglio di un vecchissimo fico bianco, nato insieme a mio padre, perché era stato piantato nel 1921. Mi chiese se io fossi di religione ortodossa e il motivo della donazione al Patriarcato. Risposi, con posato ritegno, che io non sono credente e che la mia decisione, in una terra dove nessuno regala niente a nessuno, nasceva, innanzi tutto, per motivi culturali e, poi, perché il mondo dell’emigrazione ortodossa, allora molto numeroso a Seminara e nei dintorni, potesse contare su un luogo, sicuro, di culto. Sorrise il Patriarca quando mi sentì aggiungere: -“Santità, il vero motivo, se vogliamo, è la speranza di veder revocare la scomunica, per eresia, pronunciata nel giugno del 1342, a Santa Sophia, a Costantinopoli, contro il mio antico compaesano, il Teologo- Astronomo e Letterato Barlaam”-. Il Patriarca, uomo di raffinatissima cultura e di spiccata intelligenza, mi guardò e, sorridendo, rispose: -“Dottore, per togliere la scomunica a Barlaam, la Chiesa Ortodossa dovrebbe indire sette Concili… lasciamo le cose così e ricordiamo Barlaam, nella Sua città natale, come grande Intellettuale, letterato e umanista. […]
L’input di donare la terra dove costruire la chiesa, era giunto a seguito una discussione tenuta con due monaci Ortodossi, presso il Monastero di San Giovanni Therestis, a Bivongi, il 17 agosto del 2000, ricorrenza di Sant’Elia. Quel giorno, nella mia veste di assessore provinciale alla Cultura, mi recai a Bivongi e intrattenni, tra i vari incontri, colloqui con Padre Nilo e il monaco athonita Cosmas. Nacque una piacevole disputa culturale e storica che finì con una sfida: se qualcuno avesse ceduto un terreno, a Seminara, la Chiesa Ortodossa sarebbe rinata.
Sembrava, come succede in questi casi, una normale discussione tra persone amanti dei luoghi e della loro storia, destinata a non aver seguito. Invece, presi sul serio quella sfida. In fondo, fin da ragazzino, il solo guardare i ruderi del monastero francescano dentro cui ero nato, mi faceva sognare le epoche e il desiderio di vederli riviverle. Sognavo l’Oriente e l’Occidente, perché lì erano nati Barlaam e Leonzio Pilato. Lì erano stati Consalvo da Cordova, Calo V, Tommaso Campanella e Bernardino Telesio. Il mio sogno era mettermi in un posto e scorgere l’Oriente, rappresentato da una Chiesa Ortodossa e dal mondo che stava attorno alla figura del Barlaam e l’Occidente, attraverso la Chiesa Cattolica di Sant’Antonio, lì presente da sempre e dove io fui battezzato. Chiesa che conserva la più importante simbologia Cattolica, in Calabria, del primo 500: lo stemma marmoreo di Isabella di Castiglia e di Ferdinando il Cattolico. Decisi che sarei stato io a donare quel terreno al Patriarcato Ecumenico per far sorgere la chiesa. Mi adoperai a dare inizio all’edificazione e in questo progetto sono stato coadiuvato dal prof. Aurelio Misiti, allora assessore regionale ai LL Pubblici. In quattro anni, contro ogni aspettativa e scetticismo, la chiesa fu costruita. Tra le mura di quella chiesa, hanno ripreso a vivere mattoni e tegole, cotte nelle antichissime, oramai inesistenti, fornaci del paese e che io ho trasportato, da solo, dalle case di campagna di una Seminara che non esiste più. Case e tuguri dove avevano abitato contadini e pastori, oramai emigrati da 70 anni e che si stavano usurando per il tempo ingrato. Finita la chiesa, ebbi la fortuna d’incontrare un grande iconografo che si era innamorato del posto: Vasileios Koutsoura, che poi divenne Protopresbitero e trascorse 9 mesi della sua vita, sdraiato a faccia in su, ad affrescare tutte le pareti, secondo i canoni teologici Ortodossi. Ne venne fuori un capolavoro, godimento per ogni occhio. Non finì la cosa. Ero conscio che la chiesa non potesse rimanere solitaria in mezzo al nulla. Doveva essere custodita e protetta. E poi, io dovevo realizzare, ancora, il mio sogno…
Difronte alla chiesa si trovava una casa, anticamente dimora dei miei avi che erano stati al servizio di una potente famiglia feudale, quella dei Marzano. Casa ormai invasa da siepi e ortiche, Esistevano le mura esterne, i pavimenti in tavola e le pareti di canne impastate con il gesso. La restaurai nel migliore dei modi e la donai, anch’essa, al Patriarcato che la destinò a monastero”.9
Il bios di san Filarete è stato scritto dal monaco Nilo del monastero delle Saline, che si dice contemporaneo del Santo ed è anche biografo di san Nicodemo. La vita è contenuta nel Codice Messinese Greco 29, ff. 3-14, 115, 130, nel Codice Napo-letano II, A, 26, ff. 329-346 e nel Codice Palermitano II, E, II, L 409. La Acolutia è nel Vaticano Greco 1538, ff. 264-265. Nel Codice E, g, I di Grottafer-rata è contenuto il “Syntomon” pubblicato da G. SCHIRÒ, Quattro inni per Santi calabresi dimenticati, in Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, XV (1946), pp. 22-23.
U.MARTINO, Nilo. Vita di san Filarete di Seminara (testo greco con traduzione italiana), Reggio Calabria 1993.
G. MARAFIOTI, Cronache e antichità di Calabria, Padova 1601.
GAETANI, Vitae Sanctorum Siculorum, vol. II, Palermo 1657, pp. 112-127
A. MONGITORE, Vita di San Filareto confessore, Palermo 1703
Acta Sactorum, 8 aprile, Antverpiae 1675, p. 753.
A. BASILE, Il monastero di Sant’Elia Nuovo e di San Filareto presso Seminara, in Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, XV (1944), pp. 143-157, 261-267
E. Russo, San Filarete di Calabria, in Enciclopedia Cattolica, vol. V, Firenze 1950, col. 1290 D. FANGARI, Il monastero di San Filareto in Seminara, in Brutium, XXX (1951);
F. Russo, San Filarete di Calabria, in Bibliotheca Sactorum, vol. V, Ro-ma 1964, coll. 680-682.
N. FERRANTE, Il monastero di Sant’Elianovo e Filareto in Seminara, in Historica, XXXII (1979), pp. 189-199; IDEM, Santi italogreci, Reggio Calabria 1999 (V ed.), pp. 331 -337.
M. H. LAURENT – A. GUILLOU, Le “Libere Visitationis” d’Athanase Chalkeopoulos, Città del Vaticano 1960, pp. 109-112, 295.
Discepolo di Antonio il Grande che, alla morte di quest’ultimo, prima di diventare Vescovo, pare che passò a dirigere la colonia di monaci di Pispir. Non ci sono dati certissimi ed il dubitativo lo mettiamo perché all’epoca in Egitto il nome Ammonas era abbastanza diffuso. A lui sono state attribuite 14 lettere che rappresentano un’ottima fonte – una delle più importanti dopo gli Apoftegmi – per conoscere il monachesimo primitivo fiorito nel deserto egiziano.
La nostra traduzione e la numerazione sono basate sul testo siriaco tradotto in francese e spagnolo:
Lettres des Pères du désert. Ammonas, Macaire, Arsène, Sérapion de Thmuis, Abbaye de Bellefontaine 1985, pp. 3-54 , publicada por D. Bernard Outtier y D. Lucien Regnault (monjes de Solesmes) in (Spiritualité orientale, nº 42)
Cuadernos Monásticos n. 113 (1995), Introducción a las Cartas de Ammonas
La traduzione del testo greco è disponibile in italiano nel volume: R. Cherubini, Conoscere Dio, Lettere ed altri scritti di Ammonas, Urbaniana University Press, 2011.
Lettera I1[Salute]
1. Prima ditutto, carissimi fratelli, prego per la vostra salute spirituale. Perché le cose visibili sono temporanee, ma le cose invisibili sono eterne (2 Cor 4,18). Ora vedo che il vostro corpo è spirituale e pieno di vita2. Ora, se il corpo ha la vita, Dio gli darà un’eredità3. e sarà considerato erede di Dio. Dio gli pagherà la ricompensa per tutto il suo lavoro, perché ha avuto cura di conservare in vita tutto il suo frutto, per essere considerato erede di Dio. Ora sono felice per voi e per il vostro corpo, perché è pieno di vita. D’altra parte, colui il cui corpo è morto non sarà considerato erede di Dio; inoltre, Dio lo accusa quando parla per mezzo del profeta, in questi termini: Grida forte, non fermarti, alza la voce come una tromba! Fai conoscere al mio popolo i suoi peccati e alla casa di Giacobbe le sue iniquità! Mi cercano giorno dopo giorno e vogliono avvicinarsi a Dio, dicendo: “E allora? Abbiamo digiunato e tu non l’hai visto. Abbiamo umiliato la nostra anima e tu non lo sapevi» (Is 58,1-3).
Ecco cosa risponde loro: Perché nei giorni del loro digiuno si sono trovati a fare la propria volontà, e opprimono tutti i loro operai e maltrattano i loro nemici; digiuni per citare in giudizio e combattere. Non è così che la tua voce sarà ascoltata in alto oggi! Questo non è il digiuno che ho scelto, dice il Signore; Ora puoi chinare il collo come un asino e sdraiarti su sacco e cenere, ma non chiamarlo digiuno accettabile (Is 58,3-5). Questo è un corpo morto4; Per questo il Signore non li ascolta quando pregano Dio, ma, al contrario, li accusa. E inoltre, riguardo a questi, nel Vangelo si dice: Se la luce che è in te è tenebra, quante tenebre ci saranno! (Mt 6,23). Il profeta aggiunge severamente su di loro: Tutta la sua giustizia è come il lino macchiato di una donna (Is 64,6). Quindi ora è un corpo morto. 2. Ma voi, carissimi fratelli, non avete nulla in comune con quel cadavere, perché il vostro corpo è pieno di vita. Prego Dio per voi, perché vegli su di voi, che il vostro corpo non cambi, ma anzi cresca con voi e cresca in grazia e gioia, nell’amore fraterno e nell’amore per i poveri, nei buoni costumi e in tutti i frutti della giustizia, finché non lasceremo questa vita e ci ricevano in quella magione5 dove non c’è tristezza, né pensiero cattivo, né malattia, né tribolazione, ma gioia e felicità6 gloria e luce eterna, paradiso e frutto che non passa; e che arriviamo7 alle dimore degli angeli e all’assemblea dei primogeniti, i cui nomi sono scritti nei cieli (Eb 12,22-23), e a tutte le promesse di cui non possiamo parlare ora. 3. Vi ho scritto queste cose per amor vostro, affinché i vostri cuori si rafforzino. Ci sono ancora molte (altre) cose che vorrei scrivervi, però da un’opportunità al saggio, ed egli diverrà più saggio (Pr 9,9). Possa Dio preservarti da questo mondo malvagio, affinché tu possa essere sano nel corpo, nello spirito e nell’anima; ti dia intelligenza in tutto (2 Tm 2,7), perché tu sia libero dall’errore di questo tempo.
Comportatevi bene nel Signore, miei carissimi fratelli. Ogni corpo morto viene all’uomo per amore della vanagloria e dei piaceri8.
NOTE:
1 È conservato solo in siriano (n. 1), georgiano (n. 13, inedito), arabo (con n. 15) e armeno (con n. 2).
2 Il testo siriaco porta corpo, mentre il georgiano, l’arabo e l’armeno leggono frutti.lettura corpo è la “lectio difficilior”, prediletta da D. Outtier e D. Regnault. Deve essere inteso come «il rinnovamento dello stesso corpo per opera dello Spirito Santo, anticipazione della condizione risorta» (Lettres, p. 17, nota 1).
3 Antonio, Epistola 5,4.
4 Quello che segue, fino alla fine del paragrafo, manca alla versione siriaca.
5 Il siriaco recita: “Dio ci riceva ciascuno in quella magione”.
6 Antonio, Epistola 4,12.
7 Siriaco: “E possa Egli riceverci.”
8 Georgiano, arabo e armeno portano: “E dai piaceri del corpo”.
Lettera II9[Forza]
1. A coloro che sono cari nel Signore, un gioioso saluto!
Se uno ama il Signore con tutto il suo cuore e con tutta la sua anima (Dt 6,5; Mt 22,37), e rimane nel timore con tutte le sue forze10, il timore produrrà il pianto, e le lacrime gli daranno la sua felicità. La gioia produrrà forza e, attraverso di essa, l’anima porterà frutto in ogni cosa. E Dio, vedendo che il suo frutto è così bello, lo riceve come un profumo gradevole. In tutte queste cose si rallegrerà Dio in lei [=l’anima] con i suoi angeli11; e le darà un guardiano che la custodirà in tutte le sue vie (Sal 90,11) per condurla al luogo di riposo12, affinché Satana non la governi. Perché quando il diavolo vede il guardiano, cioè la forza che è intorno all’anima, fugge e non osa avvicinarsi all’uomo, temendo la forza che è intorno a lui. Per questo, amatissimi nel Signore, voi che la mia anima ama, so che siete amici di Dio. Acquisite, dunque, questa forza per voi stessi, affinché Satana vi tema e possiate agire con saggezza in tutte le vostre azioni. Così la dolcezza della grazia verrà su di te e farà crescere il tuo frutto13. Perché la dolcezza della grazia spirituale è più dolce del miele e del favo (Sal 18,11), e pochi14 monaci e vergini hanno conosciuto questa grande dolcezza della grazia15, tranne pochi in certi luoghi, perché non hanno ricevuto la forza divina16. Non hanno coltivato quella forza, e perciò il Signore non gliela ha data; perché a tutti coloro che la coltivano, Dio la dona. Dio non ha riguardo per le persone (At 10,34), ma la dona di generazione in generazione a coloro che la coltivano.
2. Ora, carissimi, so che siete amici di Dio e che, dal momento in cui siete venuti a quest’opera [=vita monastica], amate Dio con tutto il vostro cuore, con la sincerità dei vostri cuori. Acquisite dunque quella forza divina, per trascorrere tutta la vostra vita nella libertà, nella gioia e nella felicità17, affinché l’opera di Dio18 si renda facile per voi. E quella forza che è data all’uomo quaggiù, lo farà riposare, finché non avrà superato tutte le potenze dell’aria (Ef 2,2). Poiché nell’aria ci sono potenze che ostacolano il cammino degli uomini e non vogliono che salgano verso Dio19. Perciò ora preghiamo Dio incessantemente, affinché queste potenze non ci impediscano di ascendere verso Dio, perché finché i giusti hanno con sé la forza divina, nessuno può ostacolarli. Affinché quella forza dimori nell’uomo, ecco come coltivarla20: disprezzare tutti gli oltraggi e gli onori umani, odiare tutti i vantaggi di questo mondo che sono considerati preziosi21 e tutti i piaceri del corpo, purificare il cuore da tutti i pensieri impuri e da tutta la vuota saggezza di questo mondo, e chiedere (forza) giorno e notte, con lacrime e digiuni. E Dio, che è buono, non tarderà a darteli, e quando ve li avrà dati, trascorrerete tutto il tempo della vostra vita in pace e tranquillità; troverete la libertà davanti a Dio ed Egli esaudirà tutte le vostre richieste, come sta scritto (Sal 36,4; Mt 21,22)22.
Ci sono tante altre cose che vorrei scriverti, ma questo poco vi ho scritto per il grande amore che ho per voi. Con tutto il cuore siate buoni nel Signore, onorevoli fratelli, amici di Dio23
NOTE:
9 È conservato in Siriaco (n. 2), georgiano (n. 1), greco (n. 2) e arabo (n. 9).
10Siriaco e arabo: “E con tutte le sue forze acquista paura”.
11 Vedi Lc 15,10; Antonio, Epistola 3,1.
12 Il Siriaco dice: “Finché non sia entrato nel luogo della vita”. L’inizio di questa lettera è conservato in copto, in una raccolta di Apothegms: Annales du Musée Guimet, t. 25, pag. 25 (Lettres, p. 19, nota 2).
13 Siriaco: “La dolcezza di Dio, per quanto è possibile, produrrà forza in te.” Greco: “Affinché la dolcezza della grazia progredisca e faccia crescere il suo frutto”.
14 Greco: “La maggior parte”.
15 Siriaco: “Dolcezza della divinità”; Arabo: “Dolcezza dell’amore divino”.
16 Greco: “Perché non hanno ricevuto la forza celeste”.
17 Siriaco: “In modo che tu possa lavorare in ogni momento con facilità e gioia.” Il greco omette “gioia e letizia”.
18 Siriaco: “Tutta l’opera di Dio”.
19 Cfr Atanasio di Alessandria, Vita di Antonio 65.
20 Siriaco: “L’effetto dell’opera divina”; Georgiano: “Le sue opere”.
21 Il siriaco e l’arabo omettono “che sono considerati preziosi”.
22 Il greco continua con la lettera 3, che è la 4 del siriaco. “Se dopo averlo ricevuto, il fervore divino si allontana e ci abbandona, domandatelo di nuovo e tornerà. Infatti il fervore divino è come fuoco e trasforma il freddo nella propria stessa potenza. Se vedete il vostro cuore ad un certo momento appesantito, mettete la vostra anima davanti a voi ed esaminatela mentalmente con un santo ragionamento, così che per forza si scalderà di nuovo e brucerà in Dio. Il profeta Davide stesso, quando vide il suo cuore appesantito disse: Ho versato la mia anima su di me (Sal 41,5), ho ricorsato i giorni passati e ho meditato su tutte le tue opere (Sal 142,5), e così via. In questo modo ha fatto si che il suo cuore si riscaldasse di nuovo ed ha ricevuto la dolcezza del Santissimo Spirito”
23 “Onorevoli fratelli, amici di Dio”, è la lezione del georgiano; Siriaco: “In ogni opera dell’amore di Dio”.
Lettera III 24 [Umiltà]
Agli onoratissimi fratelli nel Signore, un gioioso saluto!25
1. Vi scrivo questa lettera come grandi amici di Dio, che lo cercano con tutto il cuore. È a loro, infatti, che Dio ascolta quando pregano, li benedice in tutto ed esaudisce tutte le richieste della loro anima quando lo invocano. Ma in quanto a coloro che si accostano a Lui, non con tutto il cuore, ma dubitando e compiendo le loro opere per essere glorificati dagli uomini (Mt 6,2), Dio non ascolta le loro richieste, ma anzi si adira con loro, perché sta scritto: Dio disperderà le ossa di coloro che cercano di piacere agli uomini (Sal 52,6)26. 2. Vedi come Dio è adirato con le loro opere e non esaudisce nessuna delle loro richieste; anzi, li resiste, poiché fanno le loro opere non con fede, ma secondo l’uomo. Per questo la forza divina non abita in loro, sono malati in tutte le opere che compiono. Per questo non conoscono la potenza della grazia, né la sua facilità né la sua gioia, ma la loro anima è ostacolata in tutte le sue opere come da un peso. Tale è la maggioranza dei monaci27, non hanno ricevuto la forza della grazia che anima l’anima, la dispone alla gioia e le dona ogni giorno quella gioia che fa ardere il suo cuore in Dio28. Perché quello che fanno, lo fanno secondo l’uomo; così la grazia non è scesa su di loro. La forza di Dio, infatti, odia chi opera per piacere agli uomini29.
3. Perciò, diletti, che amate la mia anima e i cui frutti sono presi in considerazione da Dio, combattete in tutte le vostre opere lo spirito di vanagloria per vincerla in tutto. In modo che tutto il tuo corpo sia gradevole e rimanga vivo con il Creatore, e che tu riceva la forza della grazia, che supera tutte queste cose. Sono convinto, fratelli, che fate di tutto per questo, resistendo allo spirito di vanagloria e combattendolo sempre. Per questo il vostro corpo ha vita. Perché quello spirito maligno si manifesta davanti all’uomo in ogni opera di giustizia che l’uomo inizia, vuole corromperne il frutto e renderlo inutile, per non permettere30 che gli uomini compiano l’opera della giustizia secondo Dio. In effetti, questo spirito malvagio combatte coloro che vogliono essere fedeli. Se alcuni sono lodati dagli uomini come fedeli o umili o misericordiosi, immediatamente questo spirito malvagio si impegna contro di loro; e certamente è vittorioso, dissolve e distrugge i loro corpi31, perché li incita a compiere le loro azioni virtuose con la preoccupazione di piacere agli uomini e così perde i loro corpi32. Finché gli uomini credono di avere qualcosa, davanti a Dio non hanno nulla33. Per questo Dio non dà loro forza, ma li lascia vuoti, poiché non ha trovato i loro corpi pronti per essere saziati, e li priva della grandissima dolcezza della grazia.
4. Ma voi, carissimi, combattete contro lo spirito di vanagloria e pregate sempre, per vincerlo in tutto; affinché la grazia di Dio sia sempre con voi. Chiederò a Dio, nella sua bontà, di darvi questa forza e questa grazia34 in ogni momento, perché niente è più eccellente di questo35. Se vedi il fervore divino allontanarsi e abbandonarti, chiedilo ancora e ti tornerà. Perché quel fervore è come un fuoco che cambia il freddo nella sua stessa natura. Se vedi il tuo cuore improvvisamente addormentato in certi momenti, poni la tua anima davanti a te, sottoponila alla prova di un pio interrogatorio, e così, necessariamente, sarà di nuovo calda e infiammata in Dio. Perché anche il profeta Davide, vedendo la sua anima travolta dal dolore, parlò così: Ho riversato l’anima su me stesso (Sal 41,6), ho ricordato i tempi antichi, ho meditato tutte le tue opere, ho disteso verso di te le mie mani L’anima mia, come terra arida, sospirò per te (Sal 142,5-6). Così agì Davide quando sentì il suo cuore sopraffatto e freddo, finché non restituì il calore e ricevette la dolcezza della grazia divina36.
Notte e giorno osservava e supplicava. Fai anche tu questo, amatissimo, e crescerai e Dio ti rivelerà i suoi grandi misteri.
Il Signore ti conservi irreprensibile e sano nell’anima, nello spirito e nel corpo, finché non ti conduca alla sua propria dimora37 con i tuoi padri38 che hanno combattuto bene e hanno terminato la loro corsa in Cristo, al quale sia la gloria nei secoli dei secoli.
NOTE:
24 Questa epistola può essere letta nelle versioni siriaca (n. 3), georgiana (n. 2), greca (n. 6), araba (n. 10).
25 Questo saluto manca in siriaco e arabo. In greco si legge solo: “Saluti”.
26 Nell’Epistola Arsenio (nº 68) si trova la stessa citazione biblica (tutto il versetto); vedere Lettere, pag. 112.
27 Siriaco e arabo aggiungono: “Del nostro tempo”.
28 Siriaco: “La dolcezza che rende il cuore ardente per Dio.”
29 Greco: “Fa le sue azioni per rispetto umano”.
30 Siriaco aggiunge: “Per quanto può.”
31Siriaco: “Ma come fa a distruggere (i loro corpi) e sottometterli in modo che perdano il loro modo di vivere e la loro virtù? Quando li incita…”
32 Siriaco: “Quando pensano di possedere qualcosa dall’uomo.”
33Da “prima”, questa frase manca in siriaco.
34Invece di forza e grazia, il siriano porta “gioia”.
35Questo pezzo da “Ma voi” a “eccellente” manca dal greco.
36Da: “Se vedi…”, la traduzione corrisponde all’epistola 2,3 del testo greco. Questa versione non include la citazione dal versetto 6 del Sal 142; e termina dicendo: “Così il suo cuore si infiammò di nuovo e ricevette la dolcezza dello Spirito santissimo”. Ciò che segue non si trova in greco.
37Il siriaco aggiunge: “Nel regno”.
38Il siriaco conclude così: “Che hanno posto fine alla loro vita per sempre. Amen”.
NOTE:
39N. 4 in siriaco e georgiano, n. 3 in greco e n. 11 in arabo.
40 Questo saluto manca in siriano.
41Gal 4.28 .
42Cfr. l’ Apotegma, dalla serie alfabetica, Pastor 52; PG 65.333.
43Il siriaco porta: “E l’illuminazione degli occhi”.
44Siriaco: “figli adottivi”; vedere Rm 8.15.
45“Né uomo né diavolo” non si legge in georgiano e nemmeno in greco.
46Greco: “Conoscerlo”.
47Siriaco: “Affinché conoscano le ricchezze dell’eredità dei santi.
48Siriaco: “Possa questa discrezione essere definitivamente radicata in te.”
49Il siriaco e l’arabo leggono: “tuo padre”, invece di “umile”.
50Greco: “Pochi numerosi benedetti da Dio”.
51Greco: “Dal menzionare tra voi il nome di un monaco…”.
52Siriaco: “Dalla comunità.”
Lettera V 53 [Paternità spirituale]
All’amato nel Signore.
1. Tu sai che l’amore di Dio esige l’amore del prossimo incessantemente. Ora, il prossimo è colui che è stato chiamato alla vocazione celeste. Il servo di Dio prega notte e giorno per il prossimo, come per se stesso. E poiché sei anche il mio prossimo, ti ricordo notte e giorno nelle mie preghiere, affinché la tua fede cresca e tu acquisisca maggiore forza54. Lo faccio per voi, perché in Dio siete considerati figli. Timoteo era considerato un figlio da Paolo, e gli scrisse quanto segue: Ti ricordo notte e giorno nelle mie preghiere e desidero vederti. Ricordo le tue lacrime e sono pieno di gioia, perché ricordo la fede sincera che hai55 (2 Tm 1,3-5). 2. Ora, mio carissimo, come fece Paolo con Timoteo, anche il mio cuore desidera vederti, ricordando i tuoi gemiti e il dolore del tuo cuore.
Ma so che anche tu vuoi vedermi e che è molto redditizio per te. Paolo, infatti, ha detto: voglio andare a vederli, per dare loro qualche grazia spirituale che li rafforzi (Rm 1,11). Perciò, sebbene siano molto istruiti dallo Spirito Santo, se vado a visitarli, li affermerò molto con la dottrina dello stesso Spirito, e farò loro conoscere anche altre cose che non posso scrivere loro con lettera.
Comportati bene nel Signore, nello Spirito di bontà.
NOTE:
53È conservato in siriaco (n. 5), georgiano (n. 5) e arabo (n. 12).
54Cfr. Lettera 2 di Ammonas.
55Siriaco: “Libero dal rispetto delle persone”.
Lettera VI56 [La paternità spirituale. Preghiera per i vostri figli]
1. Notte e giorno prego perché cresca in voi la forza di Dio e vi riveli i grandi misteri della divinità, dei quali non posso parlare con la mia lingua, perché sono grandi; non sono di questo mondo e si rivelano solo a coloro il cui cuore è purificato da ogni macchia e da ogni vanità di questo mondo; coloro che hanno preso la loro croce e che insieme a questo si odiano e sono stati obbedienti a Dio in tutto. In questi dimora la divinità e lei nutre la sua anima. Infatti, come gli alberi non crescono se non sono raggiunti dalla forza dell’acqua, così l’anima non può crescere se non riceve la gioia celeste. E tra coloro che la ricevono, ve ne sono alcuni ai quali Dio rivela i misteri celesti, mostra loro il loro posto57, mentre sono ancora nel corpo, ed esaudisce tutte le loro richieste.
2. Ecco dunque la mia preghiera notte e giorno: che tu raggiunga quel grado e che tu conosca le infinite ricchezze di Cristo (Ef 3,8), poiché sono pochi quelli che sono stati resi perfetti. E sono coloro per i quali sono stati preparati i troni, affinché siedano con Gesù per giudicare gli uomini58. Perché in ogni generazione ci sono uomini giunti a quella misura, per giudicare ciascuno della sua generazione59. Questo è ciò che ti chiedo incessantemente in virtù dell’amore che ho per te. Il beato Paolo disse a coloro che amava: Io voglio dare loro non solo il vangelo di Cristo, ma anche la nostra vita, perché ci sono diventati molto cari (1Ts 2,8 ). Ho mandato a te mio figlio, finché Dio non mi conceda di venire corporalmente a te, per aiutarti a progredire ancora di più. Perché quando i genitori ricevono figli, Dio è in mezzo a loro da entrambe le parti.
Resta in pace e comportati bene nel Signore.
NOTE:
56È conservato solo in siriaco (n. 6), georgiano (n. 6) e arabo (n. 13).
57 Nel senso di dimore celesti.
58 Siriaco: “A chi sono le grandi promesse del Figlio; ricevono grazie e aiutano gli uomini”.
59 Siriaco: “E ciascuno di questi è un esempio per la sua generazione, affinché colui che è considerato perfetto sia un esempio per gli uomini”.
Lettera VII60[Il carisma dei Padri]
1. All’amato nel Signore, che ha una parte nel Regno dei cieli. Allo stesso modo in cui cerchi Dio imitando tuo padre61, credo che anche tu riceverai le stesse promesse, perché sei stato annoverato nel numero dei suoi figli. Perché i figli ereditano la benedizione dei genitori62, imitando il loro zelo. Per questo il beato Giacobbe, imitando in tutta la pietà63 dai suoi genitori ricevette da loro la benedizione; e quando fu benedetto dai genitori, vide subito alzarsi la scala e salire e scendere gli angeli (Gn 22,1-12). Ora, dal momento in cui alcuni sono benedetti dai genitori e vedono le forze divine, nulla può disturbarli. Perché il beato Paolo quando vide quelle stesse forze divine, rimase impassibile64 e gridò dicendo: «Chi mi separerà dall’amore di Cristo?65La spada, la fame, la nudità? Ma né angeli né principati né potenze, né altezza né profondità, né altra creatura potrà separarmi dall’amore di Dio?».66 (Rm 8,35-39).
2. Ora dunque, mio caro, preghiamo incessantemente notte e giorno affinché le benedizioni dei nostri padri e le mie67 vengano a te; e così le forze degli angeli restino con te68, affinché tu trascorra il resto dei tuoi giorni con tutta la gioia del cuore. Se, infatti, qualcuno raggiunge quel grado, la gioia di Dio sarà sempre con lui, e allora farà tutto senza fatica. Perché sta scritto: La luce dei giusti non si spegne mai, ma la luce degli empi si spegnerà (Pr 13,9)69. Chiedo anche che dovunque io vada, venga anche tu70, e lo faccio per la tua obbedienza. Quando il Signore vide l’obbedienza dei suoi discepoli71, pregò per loro il Padre dicendo: «Perché dove sono io siano anche questi, perché hanno ascoltato le mie parole» (Gv 17,24 ). E chiede ancora che siano preservati dal Maligno (Gv 17,15), fino a raggiungere il luogo di riposo. Anch’io prego e chiedo allo stesso Signore che siate preservati dal Maligno fino al vostro arrivo nel luogo del riposo di Dio, e che otteniate la benedizione. Giacobbe infatti dopo la scala vide il capo degli angeli faccia a faccia (Gn 28,12), (poi) combatté con l’angelo e lo sconfisse (Gn 32,24-29). Dio ha fatto questo per benedirlo ancora di più.
Dio, che servo fin dalla mia giovinezza, ti benedica (ancora di più)72, e tu, mio prediletto, comportati bene.
NOTE:
60È conservato in siriano (n. 7), georgiano (n. 7) e arabo (n. 14).
61Siriano: “Ai loro padri nella fede”.
62Siriaco: “I figli ricevono la benedizione dei genitori…”
63Siriaco: “La misericordia di Dio”.
64Siriaco: “E’ stato reso incapace di passione.”
65Cfr Vita di Antonio 8 e 35.
66Georgiano: “Dall’amore di Cristo”; Arabo: “Dall’amore di Dio nel Signore nostro Gesù Cristo”. Viene adottata la lettura siriaca.
67 Siriaco: “Le benedizioni dei miei padri…” 68 Siriaco: “Gli eserciti degli angeli si rallegreranno di te in ogni cosa”. 69 Il testo siriaco omette la seconda parte della citazione dei Proverbi (“ma la luce dei malvagi…”). 70Siraco: “Chiedo che anche tu possa raggiungere la magione della vita.” 71Siriaco: “Verso di Lui”. 72Da qui alla fine, disperso nel siriaco.
Lettera VIII 73[Il carisma che abbiamo ricevuto dai nostri padri]
All’amato nel Signore.
1. Ti scrivo come a figlio carissimo, perché i genitori carnali amano più i figli che gli somigliano. Vedo anche te (così), perché tu progredisci imitando me; e chiedo a Dio che ciò che ha dato a me, tuo padre74, lo dia anche a te. Prego che75 possa comunicarti gli altri misteri che non mi è possibile scriverti per lettera. Siate forti nella pace della misericordia del Padre, affinché il carisma che hanno ricevuto i vostri padri, lo riceviate anche voi76. Se volete riceverlo77, dedicatevi all’opera del corpo e all’opera del cuore, rivolgete i vostri pensieri al cielo notte e giorno, chiedete con tutto il cuore lo Spirito di fuoco78, e vi sarà dato. Perché quello stesso Spirito si ha con Elia il Tesbita, con Eliseo e gli altri profeti. Ma guarda che pensieri di dubbio non si insinuano nel tuo cuore, dicendo: “Chi può riceverlo?” Non permettere che ci entrino79, ma chiedi con retta intenzione e riceverai. 2. Io stesso, tuo padre, prego per te80, perché tu riceva lo Spirito, perché so che hai dato la vita per riceverlo81. Chi lo coltiva di generazione in generazione lo riceverà, e questo Spirito abita nei retti di cuore. Ti assicuro82 che cerchi Dio con cuore retto. Quando riceverai quello Spirito, Egli ti rivelerà tutti i misteri celesti. Perché ti rivelerà molte cose che non posso scrivere su carta. Allora sarai libero da ogni paura, una gioia celeste ti circonderà e ti sentirai come se fossi già stato portato nel regno (dei cieli), mentre sei ancora nel corpo. Non avrai più bisogno di pregare per te stesso, ma solo per il prossimo83. Perché Mosè, dopo aver ricevuto lo Spirito, pregò per il popolo, dicendo: «Se lo distruggi, cancellami dal libro dei viventi» (Es 32,32). Vedi quale preoccupazione che hanno dovuto pregare per gli altri, quando avevano raggiunto quel grado? Anche molti altri raggiunsero quel grado e pregarono per gli altri.
3. Di tutto questo non posso scriverti ora, ma tu sei saggio e capirai tutto. Quando verrò a visitarti, ti spiegherò più approfonditamente lo Spirito di fuoco84, come deve essere realizzato e ti mostrerò tutte le ricchezze che ora non posso affidare alla carta.
Comportati bene in quello Spirito di fuoco85, progredisci e affermati di giorno in giorno.
NOTE:
73È conservato in siriaco (n. 8); georgiano, con n. 8-9; parzialmente in greco con n. 4; e in arabo col numero 8.
74Siriaco: “Ai nostri benedetti genitori.”
75Siriaco aggiunge: “Posso farti visita in modo che…”
76 Seguiamo la lettura siriaca. Il georgiano è ben diverso: “Sii forte nella pace di quel grande fuoco che ha acceso tuo padre, perché anche tu possa accenderlo”.
77Georgiano: “Coprilo”. Qui inizia il testo greco (comma 8 della lettera IV), che recita: «Se vuoi acquistare la grazia spirituale…»
78Il siriaco porta “Spirito Santo”.
79Greco (lettera IV,9): “Non lasciarti dominare da questi pensieri…”
80Il greco omette “per te”; mentre il georgiano porta: “Prego sempre per te”.
81Il siriaco dice letteralmente: “Hanno rinunciato all’anima…” La frase manca in greco e georgiano.
82 Letteralmente: “Vi attesto…”
83Ciò che segue manca nel greco che pone qui la conclusione della lettera: “Gloria al buon Dio, che favorisce con tali misteri coloro che lo servono con sincerità; a Lui gloria eterna. Amen”.
84Siriaco: “Spirito di allegria”.
85 “Della vita”, porta il siriano.
NOTE:
86 Siriano: “In una grande tentazione”.
87 Siriaco: “Lo scettro del peccatore non rimarrà nella porzione del giusto” (Sal 124,3).
88Siriaco: “Ho aspettato, ho pregato, ero forte e il mio Signore mi ha liberato”. Georgiano: “Ho sopportato la volontà di Dio nella speranza e nella preghiera, e mi ha salvato”.
89Dal siriano manca “Sopportatele”.
90“tutte” manca dalla versione siriaca.
91“grande” manca anche al siriano.
92Il greco aggiunge: “E Giacobbe e Giobbe e molti altri furono tentati…”
93Siriaco: “E l’atleta è apparso come il vincitore”.
94Greco: “Allora, quindi, è al giusto che sopraggiunge la comparsa delle tentazioni”.
95Il siriaco recita: “Non sono scelti (o: autenticati)”; e il georgiano: “Non sono saldi nella fede”.
96Dynamin (“virtutem”). Cfr 2 Tim 3.5. Questa stessa citazione è usata da sant’Antonio nelle sue Lettere, III,3; V,4; VI,3
97Apoftegma Antonio 5; HP 65.77.
98Letterale: “pesante”.
99 Il siriaco e il greco aggiungono: “senza movimento”.
100 Georgiano: “Amare”.
101 Siriano: “Sono ciechi ai loro occhi”.
102 Il siriaco dice: «Della tentazione dell’anima dell’uomo che è progredita, e che discende dal grado di perfezione spirituale…».
103 Il georgiano e il greco aggiungono: “Elia”.
104 Siriaco: “Primo grado” (o: ordine).
105 Citazione dall’opera apocrifa chiamata Ascensione di Isaia, VIII,21. Il siriano aggiunge: “Rispetto a questo” (= il secondo cielo).
106 Il siriaco recita: “Al più alto grado di perfezione”.
107 Il siriaco legge ancora: “Al più alto grado di perfezione”. Nel testo greco manca quanto segue nel finale della frase.
108 “Uomini”, dice il siriano.
109 Siriaco: “Al palazzo della vita.”
Lettera X 110[La tentazione è segno di progresso]
1. Lo Spirito soffia dove vuole (Gv 3,8). Soffia sulle anime pure e rette, e se gli obbediscono, dà loro, all’inizio 111, timore e fervore. Quando ha piantato questo in loro, fa loro odiare tutte le cose di questo mondo112, siano oro, argento, ornamenti; che si tratti di padre, madre, moglie o figlio. E l’opera di Dio rende l’uomo più dolce del miele e del favo (Sal 18,10), sia che si tratti dell’opera di digiuni, veglie, solitudine o elemosina. Tutto ciò è113 di Dio gli sembra dolce114, e gli insegna tutto (Gv 14,26).
2. Quando gli ha insegnato tutto, allora concede all’uomo115 di essere tentato. Da quel momento in poi, tutto ciò che prima era dolce per lui diventa pesante. Ecco perché molti, quando sono tentati, rimangono nello sconforto116 e diventano carnali. Sono quelli di cui dice l’Apostolo: Tu cominciasti con lo spirito e ora finisci con la carne; patirono tutto ciò invano (Gal 3,3-4).
3. Se l’uomo resiste a Satana117 nella prima tentazione, e la vince, Dio gli concede un fervore stabile, calmo e indisturbato118. Perché il primo fervore è agitato e instabile119, mentre il secondo fervore è migliore. Questo genera la visione delle cose spirituali e gli fa fare molta strada120 con implacabile pazienza. Come una nave con un buon vento è spinta forte dai suoi due remi e percorre una grande distanza, così che i marinai sono allegri e riposano, così il secondo fervore concede ampio riposo. 4. Ora dunque, figli miei prediletti, acquistate il secondo fervore per essere saldi in tutto. Perché il fervore divino estirpa tutte le passioni (che vengono) dalle seduzioni, distrugge la vetustà del vecchio uomo e fa diventare l’uomo il tempio di Dio, come sta scritto: Io abiterò e camminerò in essi (2 Cor 6,16). 5. Se vuoi che torni a te il fervore che è andato via, ecco cosa deve fare l’uomo: faccia un patto con Dio121 e dica davanti a lui: “Perdonami per ciò che ho fatto con negligenza, non sarò più disobbediente”. E quell’uomo non cammini più come vuole122, per soddisfare la propria volontà fisicamente o spiritualmente, ma perché i suoi pensieri siano vigili davanti a Dio notte e giorno, e che pianga in ogni momento davanti a Dio addolorandosi, rimproverandosi e dicendo: «Come sei stato (così) negligente fino ad ora e sterile ogni giorno?” Si ricordi tutti i tormenti e il regno eterno, rimproverandosi e dicendo: “Dio ti ha gratificato di tutto questo onore e sei negligente! Il mondo intero ti ha soggiogato e sei negligente! Quando qualcuno si accusa così notte e giorno e a tutte le ore, il fervore di Dio ritorna in quell’uomo, e il secondo fervore è migliore del primo.
6. Il beato Davide quando vede arrivare lo sconforto123 dice: “Ho ricordato gli anni eterni, ho meditato e ricordato i giorni dell’eternità, ho meditato su tutte le tue opere, ho meditato sulle opere delle tue mani. Ho alzato le mani verso di te. L’anima mia ha sete di te come terra asciutta» (Sal 76,6; 142,5-6)124. E dice anche Isaia: «Quando avrai di nuovo gemito, allora sarai salvato e tornerai come eri» (Is 30,15).
NOTE:
110È conservato in siriaco (n. 10b), georgiano (n. 12), greco (n. 8), armeno (n. 1) ed etiope (n. 1). I traduttori francesi (Lettres, p. 12), danno questa epistola numero 10b, nel testo siriaco, poiché la lettera precedente (che sarebbe quindi IX e Xa) copre la prima parte di quella attuale (paragrafi 1, completo, e 2, fino alla citazione dal Vangelo di Gv, escluso).
111 “All’inizio”: aggiunge il siriaco.
112 Il siriaco suona un po’ più radicale: “Il mondo intero”.
113 Siriaco: “Tutto ciò che è fatto per Dio”; Georgiano: “Ogni volontà di Dio”.
114 Passaggio citato in copto, sotto il nome di Antonio, dal Besa; CSCO 157, pag. 100 e CSCO 158, pag. 96-97 (Lettres, p. 35).
115 “All’uomo”, aggiunge il siriaco.
116 Siriaco: “Pesantezza”; vedere Lettera IX, 4-5
117 Non si legge “Satana” in siriaco.
118 Siriaco: “Pacifico, saggio (razionale) e paziente”; georgiano: “Tranquillo e una pazienza senza turbamento”; Etiope: “fermo, costante e senza turbamento”; Armeno: “fermo e una pazienza senza turbamento”.
119Siriaco: “Senza saggezza.”
120Siriaco: “Ingaggia una grande battaglia.”
121 Siriaco: “E ho gridato con il dolore nel cuore.”
122 Il georgiano porta: “nel riposo del corpo”, invece di “a sua volontà”.
123Siriaco: “La pesantezza.”
124 Il siriano omette l’aggettivo “asciutta” (o arida).
Lettera XI125 [Discernere la volontà di Dio. Stabilità]
Ai carissimi nel Signore.
1. Voi sapete che quando la vita dell’uomo cambia e lui inizia anche una nuova vita gradita a Dio e superiore alla precedente, cambia anche il suo nome. Perché, infatti, quando i nostri santi padri andavano avanti nella perfezione cambiava anche il loro nome e ad essi si aggiungeva un nome nuovo, scritto sulle tavole del cielo. Quando Sara progredì gli disse: Non ti chiamerai più Sara, ma Sarra (Gn 17,15), e Abram fu chiamato Abraham;; Isac, Isaac e Giacobbe, Israele; Saulo, Paolo; e Simone, Cefa, poiché le loro vite sono state cambiate e sono diventati più perfetti che prima. Per questo, anche voi siete cresciuti in Dio ed è necessario che i vostri nomi siano cambiati a causa del vostro progresso secondo Dio. Orbene, carissimi nel Signore, che amo di tutto cuore, io cerco il vostro profitto come il mio, perché mi siete stati dati come figli secondo Dio126.
Ho sentito dire che la tentazione li preme, e temo che derivi da una loro colpa: perché ho sentito che vogliono lasciare il loro posto127, e mi sono rattristato, anche se è passato molto tempo da quando mi sono sentito preso dalla tristezza. Perché so benissimo che se ora lasciate il vostro posto, non farete alcun progresso, perché non è la volontà di Dio. Se farete questo e ve ne andrete per vostra stessa decisione, Dio non vi aiuterà né uscirà con voi, e temo che cadrete in una moltitudine di mali. Se seguiamo la nostra volontà, Dio non ci manderà la sua forza, che fa prosperare tutte le vie degli uomini. Se un uomo fa qualcosa pensando che piace a Dio128, mentre ci mescola la sua volontà129, Dio non lo aiuta e il cuore dell’uomo è triste e senza forza in tutto ciò che intraprende. Perché i fedeli si sbagliano, lasciandosi catturare dall’illusione del progresso spirituale. All’inizio, Eva non fu ingannata se non con il pretesto del bene e del progresso. Infatti, avendo udito: Sarete come dèi (Gen 3,5), non ha fatto discernimento della voce di colui che gli parlava130, ha trasgredito il comandamento di Dio e non solo non ha ricevuto il bene, ma è anche caduta sotto la maledizione.
2. Salomone dice nei Proverbi: Ci sono modi che sembrano buoni agli uomini, e conducono negli abissi dell’Ades (Pr 14,12). Dice questo di coloro che non comprendono la volontà di Dio, ma seguono la propria volontà. Coloro che seguono la propria volontà131 e non comprendono la volontà di Dio132, ricevono da Satana, dapprima, un fervore simile alla gioia, ma che non è gioia; e poi porta tristezza e vergogna. Chi invece segue la volontà di Dio prova un grande dolore all’inizio e alla fine trova riposo e gioia. Quindi non fare niente133 finché non vengo a trovarti per parlarti.
3. Ci sono tre volontà che accompagnano costantemente l’uomo, ma pochi monaci le conoscono, tranne quelli che sono diventati perfetti; l’Apostolo dice di loro: Il cibo solido è per i perfetti, per coloro che attraverso la pratica134hanno i sensi allenati a discernere il bene e il male (Eb 5,14). Quali sono queste tre volontà? Una è quella suggerita dal Nemico; l’altra è quella che sgorga nel cuore dell’uomo; e la terza è quella che Dio semina nell’uomo. Ma di queste tre, Dio accetta solo la suo.
4. Esaminatevi dunque: quale di queste tre vi spinge a lasciare il vostro posto? Non partite prima che io vi visiti. Perché conosco la volontà di Dio in questa (materia)135 meglio di te. È difficile, infatti, conoscere in ogni momento la volontà di Dio136. Perché se l’uomo non rinuncia a tutte le sue volontà e si sottomette ai suoi padri secondo lo Spirito, non può comprendere la volontà di Dio. Anche se l’avesse capito, gli mancherebbe la forza per portarlo a termine.137
5. È cosa grande conoscere la volontà di Dio, ma è più grande adempierla. Giacobbe aveva quei punti di forza perché obbediva ai suoi genitori. Quando gli dissero: «Va’ in Mesopotamia, insieme a Labano» (Gn 27,43; 28,2), lui prontamente obbedì, sebbene non volesse lasciare i suoi genitori. Ma poiché ha obbedito, ha ereditato la benedizione dei suoi genitori138. E io, vostro padre, se prima non avessi obbedito ai miei genitori spirituali, Dio non mi avrebbe rivelato la sua volontà. Infatti sta scritto: La benedizione dei padri stabilisce la casa dei figli (Si 3,11). E poiché ho sopportati molti travagli nel deserto e sul monte139, chiedendo a Dio notte e giorno, finché Dio mi abbia rivelato la sua volontà; ora anche voi ascoltate vostro padre per ottenere riposo e progresso.
6. Ho sentito che dici: “Nostro padre non conosce il nostro dolore”, e: “Giacobbe fuggì da Esaù”; ma sappiamo che non è scappato ma è stato inviato dai genitori140. Quindi imita Giacobbe e aspetta che tuo padre ti mandi e ti benedica quando te ne vai, affinché Dio ti faccia prosperare. Comportatevi bene nel Signore, miei cari.
NOTE:
125 Si conserva in siriaco (n. 11), georgiano (n. 10), greco (n. 5) e arabo (n. 20).
126 In siriaco e arabo manca questa prima parte del paragrafo. 127 Cfr. l’Apotegma Ammonas 1. 128 Siriaco: “Questo è da Dio”; Greco: “Se un uomo fa qualcosa per se stesso”; Arabo: “Questa è la volontà del Signore”. 129 Questa frase è omessa in greco e arabo. 130 Siriaco e arabo: “Quello che gli è stato detto”. 131 Questa frase non è né nel greco né nel georgiano né nell’arabo.
132 Questo non compare nel georgiano e arabo. 133 Il siriaco aggiunge: «Per sua propria volontà». 134 Il siriaco legge: A causa della sua coscienza. 135 Siriaco: “Su di te.” 136 “In ogni momento” non si legge in siriaco. 137 Greco: “Quando l’avrà capito, allora chiederà a Dio la forza per poterlo fare”. 138 “Dei suoi genitori” mancante in greco.
139 Cfr. apotegma Ammonas 9; Vita di Antonio 11, 12, 14, 41, ecc.: “l’associazione” deserto-montagna (Lettres, p. 38). 140 Il testo greco è piuttosto confuso su questa parte.
Lettera XII 141[Solitudine]
1. Agli amati nel Signore, un gioioso saluto!142
Miei carissimi fratelli, sapete anche voi che dopo la caduta, l’anima non può conoscere Dio143, se non si allontana dagli uomini e da ogni distrazione. Perché allora potrà vedere l’attacco dei nemici che la combattono; ma quando vede il nemico combattere contro di lei e trionfa sui suoi attacchi, che di tanto in tanto le vengono addosso, allora lo Spirito di Dio dimorerà in lei e tutto il suo dolore si trasformerà in gioia ed esultanza. Se viene sconfitto di nuovo in combattimento, allora gli vengono la tristezza, il disgusto e molte altre varie afflizioni144.
2. Perciò i Santi Padri145 vivevano solitari in luoghi deserti: Elia il Tesbita, Giovanni Battista e gli altri Padri. Non pensate che fu quando furono in mezzo agli uomini che i giusti progredirono, insieme a loro, nella virtù146, ma piuttosto che prima vivevano in grande solitudine, per far abitare in loro la potenza di Dio147. Allora Dio li mandò in mezzo agli uomini, quando già possedevano le virtù, a servire per l’edificazione degli uomini148 e curare le loro malattie, poiché erano i dottori delle anime e potevano curare le loro malattie 149. Per questo dunque, strappati dalla solitudine, furono mandati agli uomini; ma non furono mandati finché tutte le loro malattie non fossero guarite. È impossibile, infatti, che Dio li mandi a servire per l’edificazione degli uomini se sono ancora malati. Ma coloro che se ne vanno prima di essere perfetti, se ne vanno per volontà propria e non per volontà di Dio. E Dio dice di questi: «Io non li ho mandati, ma sono corsi» (Ger 23,21), ecc. Per questo non possono né custodire se stessi né servire l’edificazione di un’altra anima.
3. Al contrario, coloro che sono inviati da Dio non vogliono abbandonare la solitudine150, perché sanno che è grazie ad essa che hanno acquisito la forza divina; ma per non disobbedire al loro Creatore, escono a servire per l’edificazione degli altri, imitando il Signore, perché il Padre ha mandato dal cielo il suo vero Figlio perché guarisse tutte le debolezze e tutte le malattie degli uomini151. Sta scritto: Ha preso le nostre debolezze e ha portato le nostre malattie (Is 53,4). Per questo tutti i santi che vanno dagli uomini per guarirli, imitano in tutto il Creatore, per diventare degni di farsi figli adottivi di Dio e per vivere, anche loro, come il Padre e il Figlio, nei secoli dei secoli152.
4. Ecco, diletti, vi ho mostrato la forza153 della solitudine, come guarisce in tutti gli aspetti154 e come piace a Dio155. Ecco perché ho scritto loro per essere forti in ciò che intraprendono. Sappilo, è attraverso la solitudine che i santi progredirono e la forza divina abitò in loro, facendo loro conoscere i misteri celesti, e fu così che cacciarono tutta la vetustà di questo mondo. Chi vi scrive ha raggiunto anche quella meta lungo lo stesso cammino.
5. Siriaco Molti sono i monaci del nostro tempo che non hanno saputo perseverare in solitudine, perché non hanno potuto vincere la loro volontà. Per questo vivono sempre tra gli uomini, non potendo rinunciare, fuggire dalla compagnia degli uomini e impegnarsi in combattimento. Rinunciando alla solitudine, si accontentano di confortarsi con i loro simili per tutta la vita. Per questo non raggiungono la dolcezza divina né abita in loro la forza divina. Perché quando si presenta loro quella forza, li trova a cercare la loro felicità nel mondo presente e nelle passioni dell’anima e del corpo. E non può discendere su di loro. L’amore per il denaro, la vanagloria, tutte le altre malattie e distrazioni dell’anima impediscono alla forza divina di discendere su di loro.
5. Greco La maggior parte non hanno potuto progredire in questo, perché sono rimasti in mezzo agli uomini e non sono riusciti, per questo, a vincere tutte le loro volontà. Non hanno voluto, infatti, superarsi fino a sfuggire alle distrazioni provocate dagli uomini, ma restano distratti l’uno con l’altro. Perciò non hanno conosciuto la dolcezza di Dio e non sono stati giudicati degni di far dimorare in loro la sua forza e di conferire loro il carattere celeste. Così, la forza di Dio non abita in loro, poiché sono monopolizzati dalle cose di questo mondo, arresi alle passioni dell’anima, alle glorie umane e alle volontà del vecchio uomo. È così che Dio ci testimonia ciò che deve accadere.
6. Rafforzatevi, quindi, in quello che fate. Perché chi abbandona la solitudine non può vincere la propria volontà né prevalere nella lotta che si fa contro il proprio avversario. Per questo non hanno più la forza di Dio che abita in loro. Non si sofferma su coloro che servono le loro passioni156. Però avete vinto le passioni e la forza di Dio verrà da sola a voi157.
Comportati bene nello Spirito Santo.
NOTE:
141 È conservato nel siriaco (n. 12), georgiano (n. 3), greco (n. 1), arabo (n. 18), armeno (n. 3) ed etiope (n. 2).
142 Questo saluto manca in greco.
143 Il greco aggiunge: “a seconda dei casi” (o: è necessario). Altre versioni aggiungono: “Facilmente”.
144 Il greco porta un testo un po’ diverso: “Durante quelle lotte, ti infliggeranno afflizioni e dolori con molti altri vari guai, ma non temere, perché non prevarranno contro chi vive nella solitudine”.
145 Greco: “I nostri santi padri”; Georgiani ed etiopi aggiungono: “I primi santi padri”.
146 La traduzione segue il testo greco, la versione siriaca sembra un po’ più cupa: “Non considerare che erano giusti perché facevano opere di giustizia dimorando tra gli uomini…”.
147 “Se vuoi che la forza di Dio scenda su di te, ama il digiuno e fuggi dagli uomini”; Lettera di Arsenio, 32 (Lettres, p. 41).
148 Il testo siriaco dice: “Essere dispensatori di Dio”; si segue la lettura del georgiano, del greco e dell’armeno.
149 Cfr Vita di Antonio 87: Antonio “medico di tutto l’Egitto” (Lettres, p. 41).
150 Vita di Antonio 85.
151 Cfr. le Lettere di S. Antonio: III, 2; IV,2-3; V,2; VI,2.
152 Da “imitare il Signore” alla fine di questo paragrafo, il testo manca in georgiano, greco, armeno ed etiope.
153 georgiano e armeno: “Il frutto”; Etiope: “I frutti”.
154 Lettura siriaca, che manca in georgiano, greco, armeno ed etiope.
155 Quanto segue, fino alla fine del paragrafo, non si trova in georgiano, greco, armeno ed etiope.
156 Tale è il testo delle versioni georgiana, greca, armena ed etiope. Il siriaco recita: “Perché coloro che abbandonano la solitudine non possono vincere le loro volontà né prevalere nel combattimento che si fa contro il loro avversario, poiché sono soggetti alle loro passioni”. Invece di “passioni”, il georgiano porta: “Chi fa la propria volontà”; e l’etiope: “Che siano soggetti alla legge dei loro membri”.
157 Siriano: “Lui è con te”; Etiope aggiunge: “E abiterà in te”.
Lettera XIII158 [Lo Spirito di penitenza e lo Spirito Santo]
1. Carissimi nel Signore, vi saluto nello Spirito di dolcezza, che è pacifico e profuma le anime159 dei giusti. Questo Spirito viene solo alle anime totalmente purificate dalla vecchiaia, perché è santo e non può entrare nell’anima impura (Sap 1,4-5)160. 2. Nostro Signore l’ha dato agli apostoli solo dopo che si sono purificati. Per questo ha detto loro: «Se vado, vi manderò il consolatore, lo Spirito di verità, ed Egli vi farà conoscere ogni cosa» (Gv 16,7.13). Perché questo Spirito, da Abele ed Enoc fino ad oggi, è dato alle anime dei giusti che sono totalmente purificate. Ma quello che raggiunge le altre anime non è quello, ma lo Spirito di penitenza161; arriva alle altre anime per chiamarle tutte alla purificazione dalla loro impurità. E quando li ha totalmente purificati, li consegna162 allo Spirito Santo, affinché incessantemente diffonda su di loro un soave profumo, come disse Levi: «Chi ha conosciuto il profumo dello Spirito se non coloro nei quali abita?».163. Pochi sono favoriti anche dallo Spirito di penitenza, ma lo Spirito di verità, di generazione in generazione, abita a malapena solo in poche anime.
3. Come una perla preziosa non si trova in ogni casa, ma talvolta solo nei palazzi reali164, così questo Spirito si trova solo nelle anime dei giusti divenuti perfetti. Dal momento in cui Levi fu gratificato con Lui, offrì un grande ringraziamento a Dio e disse: «Ti canto, Signore, perché mi hai dato lo Spirito che dai ai tuoi servi»165. E tutti i giusti ai quali era stato mandato resero un grande ringraziamento a Dio. Perché è la perla di cui parla il vangelo, comprata da colui che ha venduto tutti i suoi averi (Mt 13,46). Ebbene, è il tesoro nascosto in un campo, che un uomo trovò e per il quale fu molto felice (Mt 13,44). Alle anime in cui abita, rivela grandi misteri; per loro la notte è come il giorno. Ecco, io ti ho fatto conoscere l’azione di quello Spirito. 4. Voglio166 far loro sapere che dal giorno in cui li ho lasciati, Dio mi ha fatto prosperare in ogni cosa, finché sono venuto al mio posto. E quando sono nella mia solitudine, Egli rende il mio cammino ancora più prospero167 e mi aiuta, segretamente o apertamente. E avrei voluto che tu mi fossi vicino per le rivelazioni che mi furono date168, perché ogni giorno ne concede nuove (rivelazioni)169.
5. Quindi voglio che tu sappia qual è la tentazione. Sai che la tentazione non viene sull’uomo se non ha ricevuto lo Spirito. Quando ha ricevuto lo Spirito, viene consegnato al diavolo per essere tentato. Ma chi lo consegna se non lo Spirito di Dio? Perché è impossibile che il diavolo tenti un credente, se Dio non lo libera.
6. Infatti, nostro Signore prendendo la carne è diventato per noi un esempio in tutto. Quando fu170 battezzato, lo Spirito Santo scese su di lui in forma di colomba (Mt 3,16), perché lo Spirito lo condusse nel deserto171 per essere tentato (Mt 4,1), e il diavolo non poteva fare nulla contro di Lui. Ma la potenza dello Spirito, dopo le tentazioni, aggiunge ai santi un’altra grandezza e una forza maggiore172.
È necessario che tu conosca173 la mia tentazione, che mi ha reso simile a nostro Signore. Quando discese dal cielo vide un’atmosfera diversa, tenebrosa, e di nuovo mentre stava per scendere nell’Ade, vide un’aria più densa e disse: “Ora l’anima mia è turbata” (Gv 12,27). Allo stesso modo io, in modo simile, ho subito recentemente questa tentazione che mi turbava da tutte le parti174. Tuttavia, ho lodato Dio, che servo con tutto il cuore fin dalla mia giovinezza e al quale obbedisco, sia in onore che in umiliazione. Mi ha portato fuori da quell’ariatenebrosa e mi ha riportato alla prima altezza. E penso che questa tentazione sia l’ultima175.
7. Quando il beato Giuseppe sopportò l’ultima tentazione in carcere (Gn 29,20), fu più afflitto anche da tutte le altre tentazioni. Ma dopo la prigione, che è l’immagine dell’Ade, ricevette tutti gli onori, perché divenne re (Gn 41,40). Da quel momento in poi la tentazione non lo tentò più. Ti ho fatto conoscere quali tentazioni ho incontrato e come sono ora176.
8. Dopo aver scritto questa lettera mi è venuta in mente la parola scritta in Ezechiele, che presenta l’immagine delle anime divenute perfette. Vide una creatura vivente sul fiume Chobar, che aveva quattro facce, quattro piedi e quattro ali. Un volto di cherubino, uno di uomo, uno di aquila e uno di toro (Ez 1,1-10). Il volto dei Cherubini è lo Spirito di Dio, che riposa in un’anima e la dispone a lodare con voce soave e bella177. E quando vuole, scende ed edifica gli uomini, poi assume il volto di un uomo. E quella del toro, è quando l’anima fedele è in combattimento: lo Spirito di Dio l’aiuta e le dà la forza di un toro, perché possa incornare il diavolo. E l’aquila, perché l’aquila vola più in alto di tutti gli altri uccelli. E quando l’anima dell’uomo vola in alto, lo Spirito Santo viene ad essa, insegnandole a stare in alto e ad essere vicino a Dio.
9. Ti ho fatto sapere poco di questo essere. Ma se pregate e lo visitate, entrerò nella Betel, che è la casa di Dio (Gn 28,19), e adempirò i miei voti (Sal 65,13), quelli che le mie labbra hanno promesso178. Allora ti parlerò più chiaramente179 su questo180.
10. Betel, infatti, significa la casa di Dio (Gn 28,19). Dio combatte, dunque, per la casa su cui è invocato il suo nome. E fu Ezechiele a vedere quell’essere vivente.
Salutate tutti coloro che sono stati associati al lavoro e al sudore dei padri nella tentazione, come dice altrove Giovanni: «Dio è glorificato dal sudore dell’anima»181. Così, per il seme di sudore che semina, l’anima è associata a Dio. E anche quelli sono legati alla sua messe, poiché sta scritto: Se soffriamo con lui, vivremo con lui (Rm 8,17), ecc. Il Signore disse anche ai suoi discepoli: «Voi avete sofferto con me nelle mie tentazioni, io stabilirò con voi un contratto regale, come il Padre mi ha promesso che vi sareste seduti alla mia mensa» (Lc 22,29), ecc.
11. Vedo che coloro che condividono le fatiche condividono anche il resto, e chi partecipa all’umiliazione, partecipa ugualmente all’onore. Sta scritto, infatti, nei Padri: «Il figlio buono eredita la primogenitura e le benedizioni paterne»182. È così con ciò che seminiamo. Sono i semi di Dio e i buoni figli che ereditano il diritto di primogenitura e le nostre benedizioni. Quando sarò via, al mio posto, l’arrivo dei frutti mi ricorderà questi raccolti.
Ma tu, da buon maestro, esortali con cura. Dio ti conceda di lasciare questa dimora183 lasciando un buon raccolto! Perché sappiamo che sei un buon padre e un ottimo educatore. Tuttavia, vi ricordo che è a causa di questo raccolto che Dio vi ha lasciato in questa dimora.
Comportatevi bene nel Signore, nello Spirito dolce e pacifico che abita le anime dei giusti.
NOTE:
158 È conservato in siriaco (n. 13), georgiano (n. 11), greco (n. 7) e arabo (n. 19). 159 Invece di quanto segue (fino alla “vecchiaia”), il siriaco porta: “Di coloro che sono completamente purificati dalle loro passioni”.
160 Cfr Lettere di S. Antonio, VII.
161 Anche sant’Antonio nelle sue Lettere (I,2 e 4) parla di spirito di penitenza o di conversione (Lettres, p. 45).
162 È la lezione del georgiano; Il greco e l’arabo leggono: “trasmette”; il siriaco: “conduce” (o: guida).
163 Citazione non identificata.
164 Dice solo il greco: “Come una perla di gran prezzo…”.
165 Citazione non identificata.
166 Questo paragrafo manca del tutto nella versione greca.
167 Seguo il testo siriaco.
168 Georgiano: “Fai loro sapere quante rivelazioni ci sono”; Arabo: “Affinché io vi faccia conoscere tutto ciò che lo Spirito Santo mi ha rivelato in ogni momento”.
169 georgiano: “Poiché di giorno in giorno avranno una gioia ancora più grande”; L’arabo omette questa frase.
170 Questa prima parte, fino a qui, manca nel georgiano.
171 Il siriaco aggiunge: “E lo consegnò a Satana…”
172 Al siriaco manca “E una forza maggiore”.
173 È la lettura georgiana; dispersa nel siriaco. L’arabo porta: “Carissimi figli, vorrei che mi foste vicino perché sapeste…”
174 Il testo greco omette “è necessario” fino a qui.
175 Tutta quest’ultima parte è diversa nel greco: «In ogni cosa, dunque, lodiamo Dio e rendiamolo grazie, sia in onore che in umiliazione, perché Egli ci ha tratto da quell’aria oscura e ci ha restaurati nella nostra prima altezza. Quindi quanto segue non esiste nella versione greca curata da F. Nau.
176 Georgiano: “Ecco, ti ho fatto conoscere la grandezza delle tentazioni che ho sopportato”.
177 La versione francese in questa parte sembra seguire la versione georgiana; il testo siriaco è piuttosto vario: “Una faccia del Cherubino era quella di un leone, una di uomo, una di aquila e una di toro (Ez 1,1-10). Ora, la faccia leonina di Cherubino, che cos’è? Infatti, quando lo Spirito di Dio si posa sull’anima di un uomo, gli dona la forza di Dio, lo incoraggia fortemente e gli insegna un canto con una voce dolce e bella.
178 Il siriaco dice: “Entreranno alla Betel e lì adempiremo i nostri voti e offriremo i nostri sacrifici di pace, che le nostre labbra hanno promesso”.
179 È la lettura georgiana. Il siriaco porta: “Per quanto possibile, vi diamo la spiegazione…”.
180 Qui il georgiano sembra finire, aggiungendo solo il saluto: “Sii forte in Cristo e comportati bene”.
181 Citazione non identificata.
182 Citazione non identificata.
183 Il siriaco dice: “Questo mondo”.
Lettera XIV 184 [Giustizia] 1. Ecco la lettera che tuo padre ti ha scritto; questa è l’eredità dei padri giusti185, che lasciano in eredità giustizia ai loro figli186. I genitori secondo la carne lasciano l’oro e l’argento in eredità ai loro figli; però i giusti187 lasciano questo ai loro figli: la giustizia188. I patriarchi erano ricchissimi d’oro e d’argento e, prossimi alla morte, non diedero loro alcun ordine, se non per quanto riguarda la giustizia, poiché essa rimane per sempre. 2. L’oro e l’argento sono corruttibili (1P 1,18), appartengono alla misera scorta di questo breve tempo. Ma la giustizia appartiene alla dimora in alto e rimane con l’uomo per sempre. Perché l’eredità che danno loro i genitori è giustizia189. 3. Comportati bene nel Signore e nella buona volontà della giustizia che Dio ti dona giorno dopo giorno, fino alla tua partenza da quaggiù.
NOTE: 184 È conservato solo nel siriaco (n. 14) e nell’arabo (n. 19). 185 L’arabo porta “spirituale”. 186 Arabo: “La benedizione”. 187 Arabo: “Padri spirituali”. 188 Arabo: “La benedizione”. 189 Arabo: “La benedizione”.
PADRI DEL DESERTO: AMMONAS (Ammone) – Introduzione
Discepolo di Antonio il Grande che, alla morte di quest’ultimo, prima di diventare Vescovo, pare che passò a dirigere la colonia di monaci di Pispir. Non ci sono dati certissimi ed il dubitativo lo mettiamo perché all’epoca in Egitto il nome Ammonas era abbastanza diffuso. A lui sono state attribuite 14 lettere che rappresentano un’ottima fonte – una delle più importanti dopo gli Apoftegmi – per conoscere il monachesimo primitivo fiorito nel deserto egiziano.
Alcune brevi note biografiche possono essere tracciate esaminando gli scritti che ci sono pervenuti a suo nome. Abbracciò la vita monastica in gioventù (XIII,6)1, svolse «molti lavori nel deserto e sui monti» (XI,5); fu discepolo di sant’Antonio e come sia diventato anche un padre spirituale. Nelle lettere, infatti, si rivolge autorevolmente ai suoi corrispondenti, chiamandoli “figli carissimi” (IV,1). Visse per qualche tempo con i suoi discepoli, ma poi li lasciò per vivere in maggiore solitudine: «Voglio che tu sappia che dal giorno in cui ti ho lasciato, Dio mi ha fatto prosperare in ogni cosa, fino a quando sono venuto al mio posto. E quando sono solo, Egli rende il mio cammino ancora più prospero e mi aiuta, segretamente o apertamente». (XIII,4). Questo non gli ha impedito di continuare a mantenere uno stretto rapporto con loro e, a quanto pare, li visitava periodicamente: “ … Se vado a visitarli, li affermerò molto con la dottrina dello stesso Spirito, e farò conoscere loro anche altre cose che non posso scrivere loro per lettera» (V,2).
L’ Historia Monachorum e gli Apotegmi della serie alfabetica attribuita ad Ammonas Offrono alcune informazioni che consentono di confermare e ampliare i dati sulla vita dell’autore delle lettere:
– fu discepolo di Antonio (Ammonas 7 e 8; Historia Monachorum 15);
– visse 14 anni nel deserto di Scete nell’ascesi (Ammonas 3);
– dovette subire varie prove, per un tempo abbastanza lungo, nei deserti (Ammonas 9);
– Alla morte di sant’Antonio, gli succedette alla guida della comunità da lui diretta a Pispir, sulla sponda destra del fiume Nilo, nel basso Egitto (cfr Historia Monachorum 15);
– si distinse per la sua grande gentilezza, tranquillità e dolcezza (Ammona 6, 8 e 10);
– ad un certo momento, che non possiamo precisare, lasciò il suo posto, a capo della comunità semianacoretica del Pispir, venendo succeduto in quel ministero da un certo Pityrion (cfr Historia Monachorum 15); forse è a lui che si rivolge nella lettera XIII.
– fu nominato vescovo.
– Non conosciamo la data precisa della morte di Ammonas. Dobbiamo comunque porla sicuramente prima della stesura dell’Historia Monachorum, cioè alla fine del IV secolo (396?). Ammonas quindi visse, molto presumibilmente, nella seconda metà del IV secolo.
La Chiesa greca lo ricorda il 26 gennaio e il sabato prima del cinquantesimo (dedicato agli “asceti”). La Menologia della Chiesa siriana lo celebra il 10 giugno.
GLI APOFTEGMI (detti)
“IL CAMMINO DI UN PELLEGRINO” E IL VESCOVO IGNAZIO (BRIANCHANINOV) INSEGNAMENTO SULLA PREGHIERA
Basandosi sull’eredità di sant’Ignazio del Caucaso, Alexey Ilyich Osipov, il noto professore dell’Accademia teologica di Mosca, riflette sulle questioni delle pratiche spirituali nelle tradizioni cristiane orientali e occidentali, nonché sul posto del libro ‘Racconti di un pellegrino russo’ nella vita spirituale cristiana.
Ieromonaco Adrian (Pashin): Alexey Ilyich, il tuo opuscolo sulla preghiera di Gesù è stato pubblicato di recente. Cosa ti ha spinto ad affrontare questo argomento esclusivamente (come potrebbe sembrare) monastico?
Alexey Ilyich Osipov: Il fatto è che sono stato invitato a tenere una conferenza in Italia, nel famoso monastero di Bose, dove ogni anno si tengono conferenze su vari argomenti. Sono invitati rappresentanti di diverse Chiese, non solo della Chiesa cattolica, ma anche delle Chiese ortodosse e persino protestanti. Era il settembre 2004. L’argomento della conferenza era la preghiera e, credo, anche la preghiera di Gesù, ma non ricordo con certezza. Come è venuto fuori il tema del mio intervento? Il Rettore di uno dei Pontifici Istituti di Roma ha visitato la nostra Accademia circa vent’anni fa. Durante il suo discorso in sala conferenze ha detto, in particolare, che i monaci cattolici sono attualmente molto interessati alle pratiche di meditazione indù e ai Racconti di un pellegrino, dove viene esposto un insegnamento del tutto peculiare sulla preghiera di Gesù. Per questo ho deciso di scrivere una relazione sul tema: “L’insegnamento sulla preghiera di Gesù secondo il vescovo Ignazio (Brianchaninov) e i Racconti di un pellegrino”. Ho pensato che l’argomento sarebbe stato di interesse sia per i cattolici che per me perché avevo letto i Racconti di un pellegrino che avevo 16 o 17 anni e all’epoca mi aveva lasciato un’impressione di grande ispirazione. Ricordo di aver provato a praticare la Preghiera di Gesù per un giorno o due, usando il metodo del Pellegrino – non potevo farlo ancora per molto; più tardi, quando ho iniziato a lavorare sul mio discorso, ho capito che era stata una fortuna. Ho tenuto il mio discorso alla conferenza. Gli ortodossi hanno mostrato interesse mentre il pubblico cattolico lo ha ricevuto in silenzio. Tuttavia, uno dei famosi (non lo nominerò) studiosi secolari di San Pietroburgo (non un teologo), partecipante regolare a tutte le conferenze di Bose, ha espresso il suo dispiacere per il mio intervento. Il talk è stato poi tradotto in italiano e pubblicato sia in Italia che in Russia. Questo è lo sfondo in cui è maturato il libro.
Hierom. Adrian: Quindi sembra che The Way of a Pilgrim, un libro di un autore sconosciuto che è piuttosto popolare qui in Russia, sia noto anche all’estero?
AI Osipov: Non è semplicemente noto all’estero, ma, come ha detto quel cancelliere, i monasteri cattolici vi prestano molta attenzione. Viene letto, studiato, seguito come guida.
Hierom. Adrian: Perché pensi che i cattolici siano così interessati al libro?
AI Osipov: Ecco come stanno le cose. In primo luogo, il Pellegrino ha raggiunto l’incessante Preghiera di Gesù e ha raggiunto speciali stati dell’anima e del corpo a una velocità sorprendente – in poche settimane, beh, forse in pochi mesi, mentre il Vescovo Ignazio scrive che secondo l’insegnamento del Santo Padri “ci vogliono molti anni”. Il Pellegrino afferma che quando all’inizio l’anziano gli diede l’obbedienza di dire tremila preghiere al giorno, sentì che la preghiera diventava facile e desiderabile in soli due giorni. Dopodiché, l’anziano gli ordinò di dire seimila preghiere e, dopo soli dieci giorni, dodicimila. E “terminava facilmente le dodicimila preghiere la sera presto” e “in circa tre settimane . . . Ho cominciato a sentire. . . quel piacere ribolliva nel mio cuore… e io stesso mi trasformai in estasi. [AZJ] ha raggiunto lo stesso stato nello stesso modo fulmineo – in meno di una settimana (!); iniziò a seguire il metodo mostratogli dal Pellegrino. “In circa cinque giorni ho iniziato a sentire un calore intenso e… . . cominciavo a vedere la luce di tanto in tanto. . . a volte, quando entrava nel suo cuore nella sua immaginazione, era come se la fiamma potente di una candela accesa si accendesse di dolcezza nel suo cuore e, saltandogli fuori dalla gola, lo illuminasse; alla luce di quella fiamma poteva vedere anche cose lontane.
Un metodo così facile e veloce, rispetto alla rigorosa impresa della lotta con le passioni intrapresa per molti anni dai Santi Padri, è molto allettante per tutti coloro che vorrebbero evitare la via «senza pene, senza guadagni».
Il secondo e non meno stimolante motivo di interesse per questo libro è la vanità e l’orgoglio che attirano le persone a raggiungere immediatamente stati elevati, senza compiere i passi preliminari del viaggio spirituale. Queste passioni trasformano un asceta in un sognatore ad occhi aperti, con conseguenze abbastanza logiche e spesso terribili per la sua vita.
Il Vescovo Ignazio caratterizza molto chiaramente tali aspirazioni degli asceti cattolici: “Sono subito attirati e attirano i loro lettori ad altezze inaccessibili al novizio, diventano essi stessi presuntuosi e rendono gli altri presuntuosi. Un sogno acceso, spesso frenetico, sostituisce tutto ciò che è spirituale per loro: non hanno idea della vera spiritualità. Considerano questo sogno come grazia. «Li riconoscerete dai loro frutti» (Mt 7,16) disse il Salvatore. Sappiamo tutti fin troppo bene attraverso quali crimini, torrenti di sangue e comportamenti decisamente anticristiani i fanatici occidentali hanno espresso il loro brutto modo di pensare, il loro brutto sentimento del cuore”.
Queste sono le ragioni nascoste dell’interesse per I Racconti .
Hierom. Adrian: Pensi che un modo così rapido sia pericoloso?
AI Osipov: In questo caso non voglio assolutamente parlare per me, perché non ho alcuna esperienza in materia. La mia comprensione si basa sullo studio teorico dei Santi Padri della vita ascetica e, soprattutto, sugli scritti del santo Vescovo Ignazio (Brianchaninov).
Perché mi sono rivolto in particolare alle sue opere? Come è noto, i resoconti orali e scritti di lui da parte di tutti gli Anziani di Optina e di molti altri pii asceti russi non sono semplicemente positivi, ma piuttosto, direi, sono pieni di ammirazione. Parlavano e scrivevano di lui come di un vero maestro che aveva una profonda comprensione della vita spirituale e nei suoi scritti esponeva il cammino dei Santi Padri. Citerò le loro affermazioni. San Macario di Optina lo definì “una grande mente”. San Barsanufio di Optina scrisse: “Quando leggo i suoi scritti, mi meraviglio della sua mente veramente angelica, della sua comprensione sorprendentemente profonda delle Sacre Scritture. Per qualche ragione, sono particolarmente favorevole ai suoi scritti; in qualche modo hanno un appello speciale per il mio cuore e la mia mente, illuminandolo di una luce veramente evangelica”. “Il quinto volume degli scritti del Vescovo Ignazio contiene l’insegnamento dei Santi Padri applicato al monachesimo moderno e insegna come devono essere letti gli scritti dei Santi Padri. Il Vescovo Ignazio aveva una visione profonda ed era, a questo riguardo, probabilmente anche più profondo del Vescovo Teofane [il Recluso – AZJ]. La sua parola ha un potente effetto sull’anima perché procede dall’esperienza. L’abate Nikon (Vorobyev) esprime lo stesso pensiero cinquant’anni dopo: “Come gli sono grato per i suoi scritti! Non capirlo e non apprezzarlo significa non capire nulla della vita spirituale. Oserei dire che gli scritti del vescovo Teofane (possa il santo Vladyka perdonarmi) sono opere di uno scolaro paragonate a quelle di un professore: gli scritti del vescovo Ignazio (Brianchaninov). San Nikon (Belyaev) di Optina definì l’opera del vescovo Ignazio “l’ABC della vita spirituale” – la teneva in così alta considerazione. E sono gli scritti di Sant’Ignazio che tutti gli altri Anziani di Optina raccomandarono di studiare, in particolare il suo insegnamento sulla preghiera, vera guida alla vita spirituale.
Troviamo parole notevoli sul vescovo Ignazio negli scritti della badessa Arsenia (Sebryakova): “L’ho letto con grande piacere, con conforto ed edificazione della mia anima. Le parole dello stesso Vladyka mi sono care”. Giovanni di Valaam si riferisce al vescovo Ignazio e offre il consiglio del vescovo ai suoi figli spirituali come il più autorevole per i nostri tempi. (A questo proposito, vorrei sottolineare tra parentesi che qualsiasi predicatore o scrittore della Chiesa che, parlando di vita spirituale nei suoi scritti, non si rivolga agli scritti di Sant’Ignazio, dà una chiara testimonianza di «di quale spirito è” [Lc 9,55 – AZJ] Tuttavia, il ricorso a quelle opere non è di per sé indice della spiritualità dello scrittore). Quindi, tenendo conto di questa moltitudine di indubbie testimonianze spirituali, ho deciso di confrontare l’insegnamento sulla preghiera di Gesù ne I Raccinti di un pellegrino con quello del vescovo Ignazio.
Hierom. Adrian: È necessaria una guida nella pratica della preghiera di Gesù; senza di essa, come scrivi, possiamo cadere nell’illusione spirituale (prelest). Ma cosa dobbiamo fare oggi, quando, nelle parole del Vescovo Ignazio (e voi siete d’accordo con loro), la guida spirituale e la paternità spirituale sono diventate così scarse? Come possiamo allora imparare a pregare correttamente?
AI Osipov: Prima di tutto, vorrei ricordarti ancora una volta che quando si tratta dei miei consigli sull’attenta pratica della Preghiera di Gesù, non parlo da me stesso. È noto che gli Anziani di Optina davano questo consiglio a chi aveva più zelo che buonsenso perché, come scrive sant’Isacco di Siria, «Tutto è reso bello dalla moderazione. Anche qualcosa considerato bello diventerà dannoso se fatto senza moderazione”. A questo punto le persone che non capiscono le condizioni richieste per praticare la Preghiera di Gesù e che hanno lo scopo sbagliato nel praticarla, generalmente cadono nella presunzione, nell’illusione spirituale e nell’orgoglio. Il vescovo Ignazio avanza la stessa idea. Quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento nei confronti della preghiera di Gesù oggigiorno? Dipende da chi la pratica.
Per quanto riguarda i maestri portatori di spirito, il vescovo Ignazio ha dato quel nome a coloro che avevano realizzato l’incessante preghiera di Gesù data da Dio, raggiunto il distacco e ricevuto da Dio il raro dono di vedere nell’anima umana. Tali insegnanti potrebbero davvero evidenziare quelle passioni nascoste e le loro cause che le persone non potevano vedere in se stesse. Tuttavia, parlando del suo tempo, il vescovo Ignazio ha pronunciato parole estremamente offensive per coloro che si consideravano padri spirituali: “Non abbiamo insegnanti ispirati da Dio!” E non lo ha detto semplicemente, lo ha detto con un punto esclamativo. E conosceva abbastanza bene lo stato del monachesimo del suo tempo.
Tuttavia, in assenza di consiglieri ispirati da Dio, il vescovo Ignazio offre alcuni consigli molto importanti a coloro che cercano la vita spirituale.
Il primo consiglio è di lasciarsi guidare soprattutto dagli scritti e dall’esperienza di quegli antichi Padri e asceti russi che davano consigli a persone dello stesso livello spirituale del cristiano moderno. Naturalmente a questi scritti vanno aggiunte tutte le opere dello stesso Vescovo Ignazio, poiché egli perseguì la sua vocazione monastica e scrisse in un periodo spiritualmente molto simile a quello moderno – ecco perché è il miglior consigliere spirituale del nostro tempo .
Il secondo consiglio è di consultare coloro che sono del nostro stesso spirito, che cercano sinceramente la vita spirituale, studiano e conoscono gli scritti dei Santi Padri e, cosa molto importante, hanno il dono del discernimento. Rispetto all’ultima condizione (il discernimento), il vescovo Ignazio avverte che vi erano anche santi che avevano raggiunto stati spirituali elevati, ma, non possedendo il dono del discernimento, talvolta offrivano consigli che danneggiavano gravemente l’anima. Monsignor Ignazio cita a questo proposito il pensiero dei santi Macario il Grande e Isacco il Siro: “San Macario il Grande diceva che . . . ci sono anime che, divenute partecipi della grazia divina. . . allo stesso tempo dimorano come nell’infanzia, a causa della mancanza di esperienza reale. . . in uno stato che è molto insoddisfacente per la vera lotta ascetica”. Hanno un detto su tali anziani nei monasteri – “santi ma non abili” – e si prendono cura di consultarli. . . per evitare di affidarti frettolosamente e sconsideratamente alla guida di tali anziani. Sant’Isacco il Siro dice addirittura che un tale anziano «non è degno di essere chiamato santo». È con tale cura, si scopre, che dovremmo avvicinarci alla scelta di coloro che possiamo consultare.
Ecco perché nel nostro tempo le persone che vogliono imparare a pregare e vivere rettamente, senza delusioni spirituali, devono studiare gli scritti del Vescovo Ignazio molto meticolosamente, poiché conosceva molto bene l’insegnamento dei Padri e seguiva la via della preghiera in modo esperienziale. Ma, naturalmente, se riusciamo a trovare una persona esperta, comprensiva e ragionevole, dovremmo anche chiedere il suo consiglio. Tuttavia, dovremmo consultarlo come consulteremmo gli amici, non come leader di una setta “ortodossa” assolutista che richiede obbedienza incondizionata. Data l’assenza di maestri oggi ispirati da Dio, non si può parlare di obbedienza completa anche nei monasteri; e quanto alla vita nel mondo, tale obbedienza non è mai esistita, tranne forse nel rapporto tra falsi padri spirituali e falsi figli spirituali, soprattutto false figlie spirituali. È vero, però, che dobbiamo distinguere tra l’obbedienza nelle questioni amministrative (secondo il grado), che è utile per la vita spirituale, e l’obbedienza spirituale, che il vescovo Ignazio chiama grande atto monastico.
Scrisse: “Invano desideri essere completamente obbediente a un insegnante esperto. Questo tipo di lotta ascetica non è stata concessa ai nostri tempi. È assente non solo tra i cristiani che vivono nel mondo, ma anche nei monasteri”.
“E molti pensavano che stessero operando in obbedienza, ma in realtà si è scoperto che avevano assecondato i propri capricci e si erano lasciati trasportare dal loro zelo. Felice è l’uomo che nella sua vecchiaia avrà il tempo di versare una lacrima pentita sulle passioni della sua giovinezza. Il Signore ha detto dei capi ciechi e di quelli da loro condotti: «E se il cieco guida il cieco, entrambi cadranno nel fosso» (Mt 15,14).
Hierom. Adrian: Tuttavia, alcuni potrebbero obiettare che ai tempi del vescovo Ignatius (Brianchaninov) c’erano gli anziani di Optina e ora ci sono parecchi padri spirituali e anziani che sono stimati tra la gente. Molti cercano la loro guida spirituale e sono disposti a consegnare completamente la loro volontà nelle loro mani. Le persone semplici non possono fare lo stesso adesso?
AI Osipov: Secondo l’insegnamento dei Santi Padri, dovremmo esercitare molta cautela in questa materia. Lo avvertono tutti i santi, a cominciare dai tempi antichi, quando fiorirono gli asceti. Per esempio, san Giovanni Cassiano da Roma scriveva nel V secolo: «È utile rivelare ai padri il nostro pensiero; non a chiunque si trovi lì, però, ma piuttosto agli anziani spirituali che hanno discernimento, che sono anziani non solo a causa dell’età dei loro corpi e dei capelli grigi. Molti, essendo stati attratti dall’apparenza della vecchiaia e avendo espresso i loro pensieri [a tali anziani – AZJ], sono stati danneggiati invece di ricevere un rimedio”. E guarda con quanta enfasi San Giovanni della Scala (sec. VI) ne parla: «Quando noi… desideriamo… affidare la nostra salvezza ad un altro, allora, anche prima di intraprendere questa strada, se abbiamo solo un po’ di perspicacia e discernimento, dobbiamo studiare, provare e mettere questa guida alla prova, per così dire. Dobbiamo farlo per non procurarci un semplice vogatore invece di un timoniere, invece di un medico – un malato, invece di un uomo spassionato – uno posseduto dalle passioni, invece di un rifugio – un abisso, – così, per evitare di trovare la nostra distruzione pronta per noi” (La scala. Sermone 4, cap. 6). Il vescovo Theophan (Govorov) era solito mettere in guardia: “Nel determinare chi diventerà [il nostro padre spirituale – AO], dovremmo esercitare molta cautela e usare un giudizio rigoroso, per evitare di fare del male invece del bene, per evitare di provocare devastazione invece di fare un lavoro costruttivo”.
Ma come predicevano gli antichi Padri e ripetevano costantemente i Padri degli ultimi giorni, la Chiesa sta assistendo al processo per cui gli insegnanti stanno diventando scarsi: gli insegnanti che possono vedere nell’anima e possono realizzare ciò che San Serafino di Sarov chiamava acquisire lo Spirito di Dio. Chiaramente, secondo le stesse parole del vescovo Ignazio, tali maestri erano già scomparsi ai suoi tempi.
Se torniamo ora agli anziani di Optina, sono pienamente d’accordo con il vescovo Ignatius su questo tema. Ciò è evidente dall’alta stima in cui tenevano il suo insegnamento e dalla ua guida spirituale. Nessuno di loro indicherebbe in questo modo qualcun altro, il suo predecessore o padre spirituale: «Non è p. Macario, p. Ambrose, o p. Barsanuphius, o… un maestro ispirato da Dio?». Essi infatti comprendevano bene il senso delle parole dell’apostolo Paolo: «Una è la gloria del sole, un’altra la gloria della luna e un’altra quella delle stelle: perché una stella differisce dall’altra in gloria» (1 Cor 15: 41). Quindi, anche se stiamo parlando di persone spirituali e persino sante, comprendiamo comunque che un uomo spirituale differisce da un altro in gloria.
La ricerca di persone spirituali è del tutto naturale e comprensibile. Ma quando quella ricerca si trasforma in miti creatori, quando spesso sacerdoti piuttosto dubbiosi vengono costituiti come anziani, o quando alcuni padri spirituali iniziano a comportarsi come se fossero anziani, allora arrivano i guai. Monsignor Ignatius ha detto di loro in modo molto enfatico e preciso: “Quegli anziani che accettano su di sé il ruolo [di anziano – AO]. . . (se possiamo usare quella parola sgradevole ‘ruolo’) . . . sono essenzialmente attori che distruggono l’anima e i più tristi tra i comici. Che quegli anziani che assumono su di sé il ruolo degli antichi Anziani, privi dei loro doni spirituali, sappiano che la loro stessa intenzione, i loro stessi pensieri e nozioni di questo grande atto monastico – l’obbedienza – sono falsi; il loro stesso modo di pensare, la loro mentalità e la loro conoscenza sono l’autoillusione e l’illusione spirituale demoniaca”. Sfortunatamente, la gente comune non ha una comprensione di questo. Vogliono un anziano, un chiaroveggente di natura, un taumaturgo, un guaritore, si inseriranno nel gregge come pecore senza alcun discernimento verso chiunque sia loro menzionato. Da qui derivano tante disgrazie, sia di ordine spirituale che di vita quotidiana.
Ho incontrato persone le cui vite sono state completamente rovinate dopo aver creduto in un falso anziano. Approfittando della sua autorità morale, un tale anziano dà letteralmente l’ordine – scusate, “dà una benedizione” – a coloro che si avvicinano a lui di compiere passi così decisi che ne rovinano il corpo e l’anima. Egli “dà una benedizione” per cambiare casa, per abbandonare i buoni lavori, precipitando così la famiglia nella più assoluta povertà e provocando la disintegrazione dei rapporti familiari. Egli “le dà una benedizione” per vendere il suo appartamento e i suoi beni ed entrare in un monastero. Quando tra un anno ne viene licenziata, invece di aiutarla, l’anziano le dice: avresti dovuto pensarci tu, ora vai dove vuoi. Conosco una famiglia la cui madre ha ricevuto “una benedizione” da un anziano per assegnare tutte le sue giovani figlie e il figlio ai monasteri. Il figlio divenne uno ieromonaco, ma poi tre anni dopo si sposò. La stessa cosa accadde alle figlie e solo una delle quattro rimase monaca; gli altri, dopo aver vissuto in convento, si sono sposati.
Perché parlo di questo? Innanzitutto, per mostrare fino a che punto possono spingersi la fiducia indiscriminata dei semplici credenti, così come la cecità spirituale e l’insensibilità morale degli stessi “anziani”: essi continuano a credere e a dare queste benedizioni anche dopo aver assistito alle loro catastrofiche conseguenze. È ovvio che un anziano chiaroveggente non avrebbe potuto benedire un atto che avrebbe portato allo svincolo e al licenziamento dal monachesimo. E se non è chiaroveggente ma continua comunque a incoraggiare tali atti, allora qual è il livello morale (o lo stato psichico) di quell’ “anziano”?! A questa seria domanda risponde Sant’Ignazio: “La vanità e la presunzione amano insegnare e dare indicazioni. Non si preoccupano della qualità dei loro consigli! Non gli viene in mente che potrebbero infliggere una ferita incurabile al loro prossimo con il loro consiglio incongruo. Il novizio inesperto accetta i loro consigli con credulità acritica, con eccitazione in carne e ossa! Desiderano il successo, indipendentemente dalla sua qualità e dalla sua origine! Devono impressionare il novizio e farne il loro suddito morale! Desiderano la lode dell’uomo! Desiderano la reputazione di santi, anziani e insegnanti intelligenti e chiaroveggenti! Devono soddisfare la loro insaziabile vanità, il loro orgoglio!”
Questo è esattamente ciò che i Padri chiamavano illusione spirituale (prelest). E l’illusione spirituale è l’illusione che porta a disturbi mentali.
Quindi ai nostri giorni dovremmo affrontare il rapporto con un anziano con estrema cautela, seguendo la saggia regola comandata dai nostri grandi vescovi sant’Ignazio e san Teofane: vivere di consiglio, non di obbedienza. Il Vescovo Ignazio ci esorta ad ascoltare san Nilo di Sora, vissuto nel XV secolo e che già allora comandava: «Oggi, vista l’estrema scarsità di guide spirituali, un’asceta praticante la preghiera deve essere guidata esclusivamente dal Sacre Scritture e dagli scritti dei Padri”. E san Pimen il Grande ci ha comandato di allontanarci subito da un anziano che si è rivelato dannoso per l’anima». Altrimenti, «la fede nell’uomo, – dice il vescovo Ignazio, – porta a un frenetico fanatismo».
Il vescovo Ignazio scrive che il consiglio non implica l’obbligo di seguirlo. Se vedi qualcosa di strano, poco chiaro o contraddittorio nel consiglio, allora hai il pieno diritto morale di rivolgerti a qualcun altro, di dissentire o di rivolgerti ai Santi Padri. E se un padre spirituale è veramente intelligente e umile, ringrazierebbe anche suo figlio spirituale per aver agito correttamente e disobbedendogli. «In nessun modo – scrive il vescovo Ignazio – fate il male con l’obbedienza, anche se vi capita di soffrire qualche tribolazione per dispiacere a qualcuno e per essere saldi. Consulta padri e fratelli virtuosi e intelligenti, ma segui i loro consigli con la massima cura e discrezione. Non lasciarti trasportare dalla prima impressione che ti fanno i loro consigli!”
Ai nostri tempi dovremmo vivere di consiglio, non di obbedienza. A questo proposito il Vescovo Ignazio risponde alla più diffusa contro argomentazione: “Si obietteranno: la fede di chi compie un’obbedienza può sostituire l’inadeguatezza dell’anziano. Questo è falso: il credere alla verità salva, mentre il credere alla menzogna e l’illusione demoniaca distrugge, secondo l’insegnamento dell’Apostolo» (2Ts 2,10-12). [Qui, il Vescovo Ignazio parafrasa le parole di Paolo “E con ogni ingannevolezza dell’ingiustizia in quelli che muoiono; perché non hanno ricevuto l’amore della verità, per essere salvati. E per questo Dio manderà loro una forte illusione, affinché credano a una menzogna; affinché fossero dannati tutti coloro che non credevano alla verità, ma si compiacevano dell’ingiustizia” – AZJ] Cristo disse ai suoi discepoli: «D’ora in poi non vi chiamo servi . . . ma vi ho chiamati amici» (Gv 15,15). Gli amici possono ricevere ordini? Non credo.
Hierom. Adrian: Un’altra domanda. Perché alcune persone collegano la preghiera di Gesù ad altre pratiche, ad esempio ai mantra e alla meditazione indù e buddisti? Molte persone non capiscono la differenza tra quelle pratiche ascetiche e la preghiera noetica di Gesù, la preghiera cristiana.
AI Osipov: Se rivolgiamo la nostra attenzione all’essenziale, i tipi di meditazione di cui parli sono riflessioni, discussioni interne. Non portano con sé la condizione principale per la preghiera: il pentimento. Il pentimento è supplica. Supplica per cosa? Per la nostra peccaminosità, la nostra inadeguatezza, la nostra incapacità di vivere come comanda il Vangelo. La preghiera, come scrive il vescovo Ignazio, va recitata con attenzione, timore reverenziale e sentita contrizione. Queste cose non sono richieste dalla meditazione. La meditazione, lo ripeto, è una riflessione concentrata su una grande varietà di argomenti: teologici, quotidiani, spirituali e morali, di ogni genere.
Esiste un atto molto importante e vitale nella pratica cristiana: la contemplazione di Dio. Tuttavia, questo differisce anche dai suddetti tipi di meditazione. Questa contemplazione delle questioni della fede e della vita cristiana va di pari passo con l’umiltà, la corretta preghiera e la riverente sottomissione interiore della nostra possibile comprensione di qualsiasi questione alla volontà di Dio.
Questa è la cosa principale che distingue la preghiera e la contemplazione di Dio dalla meditazione.
Ora per la seconda cosa. Passando ai mantra, entriamo nell’ambito di un insegnamento che è decisamente, potremmo dire, diverso da quello cristiano o, più esattamente, ortodosso. I mantra, in qualche modo esteriormente somiglianti alle preghiere o piuttosto alle preghiere incantatrici, sono di natura completamente diversa. Intrinsecamente implicano la fede nell’efficacia delle stesse parole pronunciate, spesso indipendentemente dalla comprensione del loro significato. Lo vediamo nella pratica indù, ad esempio, nel Japa mantra, che invita le persone a ripetere il nome di un dio il più spesso e il più rapidamente possibile, poiché il nome stesso purifica l’uomo e lo porta allo stato di Samadhi. I mantra, se lo si desidera, sono uno degli elementi della magia e sono usati nei riti delle religioni misteriche pagane.
Un’idea simile è stata promossa dagli adoratori di nomi russi. Tuttavia, non è il Nome di Dio in sé che santifica. Il Nome di Dio è simile a un’icona: è un collegamento per rivolgere le nostre preghiere all’Archetipo. E la purificazione umana si compie non mediante il Nome stesso, ma mediante la retta preghiera dove in essa è pronunciato il nome di Dio, come insegnavano i Santi Padri. Quando la preghiera viene ripetuta meccanicamente, quante più volte e il più rapidamente possibile, allora «non è affatto preghiera. È pratica morta! È inutile, dannosa per l’anima e offensivo a Dio”, ha scritto il vescovo Ignatius (Brianchaninov).
Anche oggi possiamo vedere questa tendenza a intendere la preghiera come un mantra. Vengono pubblicati libri che raccomandano di recitare la preghiera di Gesù – “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me” – un numero enorme di volte (14.400 preghiere in una volta!) fin dall’inizio. Consigliano di dirlo molto, molto velocemente: 3.600 preghiere all’ora, cioè una preghiera al secondo (“la sua lingua, come un motorino, ripeteva senza sosta la breve preghiera di Gesù”). Questa pratica è assolutamente contraria all’esperienza dei Santi Padri, che dice che dobbiamo dire qualsiasi preghiera, inclusa la Preghiera di Gesù, senza fretta, prestando attenzione alle parole della preghiera, con timore reverenziale e un sentimento di pentimento.
Hierom. Adrian: In Occidente c’è un’opinione secondo cui il divieto di usare l’immaginazione nella preghiera che esiste nell’Ortodossia, in Oriente, è solo a causa della maggiore emotività degli orientali, e in Occidente, dove le persone sono presumibilmente meno emotive, tale immaginazione non è pericolosa.
AI Osipov: Questa è autogiustificazione. Guarda gli spagnoli, i portoghesi, gli italiani: quelle persone sono così focose che devi stare costantemente all’erta. Non è stato in Italia che le stimmate sono emerse per la prima volta nella storia del cristianesimo, con Francesco d’Assisi? Non è affatto l’emotività che conta. La ragione per cui il cattolicesimo protegge così ardentemente la possibilità e persino il bisogno di immaginazione è ben diversa. La psicologia, lo yoga e l’esperienza ascetica cattolica testimoniano in modo convincente il fatto che sviluppare l’immaginazione e concentrarsi costantemente sulle immagini mentali è un modo efficace per le persone di raggiungere stati speciali esaltati molto facilmente. Ad esempio, compassione per Cristo (сompassio)– una conquista ascetica dello stesso Francesco – consistette nell’immaginare mentalmente e nel tentare di entrare in empatia con le sofferenze di Cristo e il suo amore per il mondo intero, nonché con le sofferenze e le esperienze della Madre di Dio e degli altri santi.
Quando gli asceti immaginano sognanti scene di amore, sofferenza, ecc., i loro nervi e la loro psiche si eccitano molto, la loro immaginazione si infiamma e di conseguenza si verificano allucinazioni e apparizioni demoniache. Tali asceti sviluppano un’altissima opinione di se stessi come pieni della grazia divina e vicini a Cristo e ai santi. Gli asceti occidentali considerano quegli stati dati da Dio. Ma non c’è né Dio, né la grazia in questo fenomeno. Scrive il Vescovo Ignazio: “I Santi Padri vietano rigorosamente di usare la facilità dell’immaginazione; ci comandano di mantenere la mente senza forma, non sigillata da nulla di materiale”. “Durante la preghiera, dobbiamo avere la mente senza forma e prestare particolare attenzione a mantenerla tale, rifiutando tutte le immagini fantasticate attraverso la facilità dell’immaginazione. . . Le immagini, se consentite dalla mente in preghiera, diventerà una cortina impenetrabile, un muro tra la mente e Dio”. Al contrario, avverte, “gli spiriti caduti cercano di incitare la nostra immaginazione”. “Sangue e nervi, – ha scritto, – sono attivati da molte passioni: rabbia, cupidigia, lussuria e vanità. Queste ultime due passioni infiammano enormemente il sangue degli asceti che intraprendono le loro lotte illegalmente e li trasformano in fanatici deliranti.
Il vescovo Ignazio racconta di un impiegato d’ufficio di San Pietroburgo che cadde in un’illusione spirituale e tentò il suicidio: “Si è scoperto che l’impiegato aveva usato l’immagine della preghiera descritta da san Simeone; aveva infiammato la sua immaginazione e il suo sangue, il che rende l’uomo abbastanza capace di digiunare rigorosamente e di vigilare. . . L’impiegato aveva visto la luce con i suoi occhi corporei, profumo e calore che aveva sentito altrettanto tangibilmente”.
“I cristiani occidentali si sono sforzati di ravvivare i loro sentimenti, sangue e immaginazione; ci riuscirono presto e presto raggiunsero lo stato di delusione e di frenesia spirituale, che chiamarono santità. Tutte le loro visioni provengono da quel regno. I cristiani orientali e tutti i figli della Chiesa universale camminano verso la santità e la purezza in un modo che è esattamente l’opposto di quello sopra menzionato: sottomettendo i loro sentimenti, sangue, immaginazione e persino ‘le loro opinioni’.
Il motivo principale della triste situazione degli asceti occidentali è che hanno smesso di seguire la guida dei Padri asceti della Chiesa antica e hanno iniziato a vivere secondo la propria comprensione, riproducendo “film” nella loro immaginazione e adorando le immagini in essi contenute. Hanno sostituito fantasie d’amore per Cristo alla lotta contro le passioni.
Vorrei citare qui un breve passo da La storia di un’anima , libro di una grande santa cattolica, dottore della loro Chiesa, Teresa di Lisieux (sec. 19), affinché sia chiaro ciò di cui stiamo parlando: era davvero un abbraccio d’amore. Mi sono sentito amato e ho detto: “Ti amo e mi do a te per sempre”. Gesù non mi chiese nulla e non pretese alcun sacrificio; Lui e la piccola Teresa da tempo si conoscevano e si capivano. Quel giorno il nostro incontro è stato più di un semplice riconoscimento, è stato un connubio perfetto. Non eravamo più due. Teresa era scomparsa come una goccia d’acqua persa nell’immensità dell’oceano. [Capitolo 4. “Prima Comunione e Cresima” – AZJ ]. Questo tipo di “amore” non ha bisogno di commenti.
Tale “spiritualità” è molto contagiosa, si conforma ai gusti del “vecchio”, alla sua ricerca della dolcezza spirituale, alla sua vanità, al suo orgoglio. Sfortunatamente, anche il Pellegrino dei Racconti ha seguito questo facile sentiero, attirando via con sé cristiani inesperti che cercavano il piacere spirituale. A questo proposito il suo consiglio che segue è abbastanza rivelatore: “Con la tua immaginazione, trova il punto in cui si trova il tuo cuore, sotto il tuo capezzolo sinistro (la nostra sottolineatura – А.О.), e fissa lì la tua attenzione. Mentre il Vescovo Ignazio avverte: “Chi si sforza di attivare e riscaldare la parte inferiore del cuore, attiva la forza della lussuria…” Questo è uno dei motivi per cui Teofane ha scritto: “Non guardare nel libro – I Racconti. Ci sono consigli in esso che non ti fanno bene e possono sfociare in un’illusione spirituale.
Hierom. Adrian: Grazie mille per l’intervista e per averci parlato del tuo libretto, Alexey Ilyich. Il nostro sito web “Bogoslov.ru” ti augura l’aiuto divino nel tuo lavoro di insegnamento e teologia. Attendiamo con impazienza i tuoi nuovi libri.
Intervista dello ieromonaco Adrian (Pashin)
Padre Seraphim Rose: una breve biografia
Uno strano “segno dei tempi” ha visto sorgere in un territorio apparentemente inconsueto (la California) e in un ambiente culturale dei più impensabili (la Beat generation) una delle voci più profetiche dell’Ortodossia del ventesimo secolo. Un umile convertito americano, vissuto per gran parte della sua vita in uno stretto isolamento, e morto (per i criteri di questo mondo) nel fiore dei suoi anni, è oggi a livello internazionale una delle figure più conosciute del monachesimo ortodosso. Eugene Rose nasce nel 1934 a San Diego, sulla costa meridionale della California, da una famiglia che incarnava il tipico “sogno americano” (laboriosità, benessere economico, una vaga religiosità vissuta all’interno di “rispettabili” comunità protestanti, valori morali perseguiti in modo onesto ma superficiale). La sua educazione è il prodotto tipico dell’America del dopoguerra, e di tutte le sue inquietudini e contraddizioni. Avvertendo un vuoto di fondo alla base di questa visione del mondo, lo spirito intelligente e analitico di Eugene lo porta negli anni universitari a immergersi nel mondo della contro-cultura californiana degli anni ’60. Come molti suoi contemporanei, Eugene inizia un cammino di conoscenza delle religioni e filosofie dell’estremo Oriente, ma rimane presto insoddisfatto della gerarchia di valori “alternativi” proposti dall’incontro tra queste millenarie tradizioni e la mentalità moderna dell’Occidente. La debolezza e il relativismo delle risposte della contro-cultura stimolano in lui un cammino di scoperta di una verità più profonda. In un periodo di ricerca di un nucleo di verità comuni alle grandi tradizioni religiose, viene in contatto con la Chiesa ortodossa, e inizia a frequentare la cattedrale della Chiesa Russa all’Estero a San Francisco. Questo incontro è il seme di una trasformazione interiore che, in capo a un paio di anni, gli fa acquisire una visione rinnovata. A contatto con l’Ortodossia, la fede cristiana dei suoi anni di infanzia gli si ripresenta nella pienezza di una verità trasformante, fattasi persona (un tratto di netta distinzione con le filosofie spiritualiste allora in crescita), ed espressa in una continuità ininterrotta di fede e di dottrina. Trovando finalmente un’autentica alternativa agli approcci parziali e accomodanti del cristianesimo occidentale, e alle soluzioni altrettanto ristrette della contro-cultura, Eugene entra a far parte della Chiesa ortodossa nel Febbraio 1962. Con la nuova prospettiva fornitagli dalla visione ecclesiale ortodossa, Eugene può sviluppare un’analisi critica del mondo moderno: inizia a dedicarsi alla stesura di un libro che passa in rassegna le tappe della progressiva scristianizzazione degli ultimi secoli, e mostra come il graduale allontanamento dall’ordine tradizionale apre la strada a un futuro ben più inquietante di quanto si creda. Quest’opera, il cui titolo avrebbe dovuto essere Il regno dell’uomo e il Regno di Dio, è rimasta incompleta: Il testo pubblicato anche in italiano, Nichilismo. Le radici della rivoluzione nell’età moderna (Schio: Interlogos 1998), non ne copre che un singolo capitolo. Tra i numerosi incontri che arricchiscono la vita ecclesiale di Eugene, è decisivo quello con Gleb Podmoshensky, un seminarista di famiglia russo-lettone, che è al suo fianco nel cammino di approfondimento della fede ortodossa, e che in seguito condividerà con lui la vocazione eremitica e monastica e il sacerdozio. Nel Novembre 1962, viene insediato a San Francisco uno dei più straordinari vescovi ortodossi del ventesimo secolo, che avrebbe lasciato una decisiva impronta su Eugene e sul suo cammino: si tratta del santo Arcivescovo John Maximovich (la cui canonizzazione ha avuto luogo a San Francisco nel 1994, a opera delle gerarchie della Chiesa Russa all’Estero e del Patriarcato di Serbia). L’Arcivescovo John giunge in California dopo una vita di infaticabile opera missionaria in Asia (era stato consacrato in origine come Vescovo di Shanghai), Africa, e in vari paesi d’Europa. La sua fama di asceta e taumaturgo lo ha preceduto da tutti questi luoghi, così come i frutti della sua visione apostolica, non sempre compresa dalle stesse gerarchie ortodosse. L’ideale perseguito dall’Arcivescovo John è la costituzione di un’Ortodossia occidentale, non tramite la fondazione di “filiali” delle Chiese orientali storiche, ma attraverso la rigenerazione, compiuta all’interno della vita ecclesiale ortodossa, delle radici cristiane ortodosse dell’Occidente contemporaneo. Questo compito davvero arduo ha ricondotto molti francesi all’Ortodossia, e ha aiutato a creare in altri paesi (tra cui i Paesi Bassi e la stessa Italia) un clima favorevole alla costituzione di una Chiesa ortodossa genuinamente locale. Ispirati dall’Arcivescovo John, Eugene e Gleb, assieme ad alcuni amici, si costituiscono in una fraternità, posta sotto il patronato di uno dei primi evangelizzatori ortodossi in America: il beato Herman dell’Alaska. Tra gli scopi della fraternità, oltre a un esperimento di vita comune tra giovani attivisti della Chiesa, vi è la diffusione degli insegnamenti patristici e ascetici dell’Ortodossia: un campo per il quale l’Occidente inizia in questi anni a mostrare i primi, timidi segni di interessamento.
I fratelli preferiscono operare attraverso modalità non necessariamente vincolate alle strutture parrocchiali esistenti, e decidono di aprire un negozio di libri e icone a San Francisco: in questo modo sono in grado di estendere una testimonianza di fede ortodossa a molte persone per diverse ragioni estranee agli ambienti ecclesiali, per ignoranza, distanza culturale o per un esplicito rigetto delle tradizioni. Molte sono le persone che scoprono l’Ortodossia attraverso la libreria gestita dalla fraternità, e diversi iniziano qui un cammino di fede che li porta in seno alla Chiesa. Con la benedizione dell’Arcivescovo John, la fraternità inizia nel 1964 la pubblicazione della rivista The Orthodox Word (La parola ortodossa), che per oltre un trentennio ha continuato a fornire traduzioni di testi patristici (molti dei quali apparsi per la prima volta in una lingua occidentale), scritti spirituali, vite di santi e testimonianze dell’Ortodossia sofferente. Un compito particolarmente sentito dai fratelli, attraverso le pagine della rivista e l’impegno di testimonianza personale, è quello di suonare una nota di cautela nei confronti del gusto di compromesso con il mondo che sta inizando a intaccare, in quegli anni, alcuni ambienti delle giurisdizioni ortodosse più propense al dialogo ecumenico e ai confronti con la civiltà contemporanea. Dopo la morte (nell’estate del 1966) dell’Arcivescovo John, il timore di coinvolgimento dell’attività missionaria ortodossa in una politica di rivalità ecclesiastiche, a livello parrocchiale e diocesano, è la molla che spinse Eugene e Gleb ad abbandonare San Francisco e a ritirarsi in solitudine, fondando uno skit (eremo). Nel 1967, dopo avere trovato un terreno boschivo a Platina, nella California settentrionale, Eugene e Gleb abbandonano il mondo e vi si trasferiscono, combinando la loro missione di traduzione, stampa e diffusione di testi patristici con una vita di stile monastico nella frontiera occidentale americana.
La vita di fratellanza nel deserto, iniziata tra mille difficoltà pratiche, è però sostenuta dalla sapiente esperienza di secoli di monachesimo ortodosso: i fratelli sono in grado di applicarne gli insegnamenti in un modo più efficiente (e senza dubbio più vissuto) di quanto avevano potuto fare nel loro periodo di apostolato urbano. Nel 1970 ha luogo la canonizzazione del Beato Herman dell’Alaska, il patrono delle attività missionarie della piccola fraternità: pochi mesi dopo, anche i due fratelli accettano di essere tonsurati monaci, Eugene con il nome di Seraphim, e Gleb con quello di Herman. La tonsura monastica, che era sembrata ai due fratelli il naturale coronamento della loro scelta di vita eremitica, dà luogo a vari problemi con l’Arcivescovo locale; il desiderio di quest’ultimo di assegnare Padre Seraphim e Padre Herman come parroci in chiese prive di pastore rischia di distruggere le attività missionarie e la loro esperienza di monachesimo del deserto. Con il tempo, tuttavia, cresce l’affluenza di pellegrini e fedeli, che cercavano attraverso i due padri una luce spirituale per orientare la propria vita cristiana; arrivano anche novizi, e all’eremo di Platina si istituisce un percorso di studi religiosi monastici. L’esperienza missionaria della fraternità aveva preparato i padri Herman e Seraphim ad affrontare i casi più diversi, e talvolta più disperati, di necessità spirituali. Nella sua opera di trasmissione dell’esperienza monastica, Padre Seraphim si adopera con incredibile energia per far comprendere la validità del monachesimo ortodosso anche in un mondo pieno di alternative religiose: dalle sue lezioni ai novizi, si sviluppa un vero e proprio “corso di sopravvivenza ortodossa”, che spazia su ogni campo dello scibile umano. L’isolamento dell’eremo di Platina, lungi dall’attenuare la sensibilità ecclesiale dei padri, permette loro di valutare con un maggiore distacco alcuni temi delicati della vita ortodossa americana, tra cui lo stesso zelo per la tradizione, che aveva portato in altri contesti a un certo intransigentismo. Sono interessanti alcuni tentativi, compiuti da Padre Seraphim nei suoi ultimi anni, di contrastare con un approccio di moderazione gli eccessi di “rinnovamento” all’interno dell’Ortodossia, sia in senso modernista che conservatore. Solo alla fine del 1976 Padre Herman e Padre Seraphim accettano di essere ordinati sacerdoti, quasi a malincuore, sicuri che le necessità del ministero avrebbero sottratto tempo prezioso all’attività di traduzione e diffusione di testi patristici. L’attività sacerdotale dei due padri è comunque fondata sulla roccia degli insegnamenti spirituali che essi avevano fatti propri e cercato di vivere da oltre un decennio, e, a quel punto, lo sforzo missionario della piccola fraternità non tarda a far vedere i suoi primi importanti frutti. Nel corso di pochi anni, i padri accolgono centinaia di nuovi membri nella Chiesa ortodossa; attraverso un’opera iniziata in piccole missioni domestiche, si aprono numerose chiese nella California settentrionale e negli stati confinanti. Un ulteriore numero di novizi e monaci viene a stabilirsi nell’eremo, non lontano dal quale si fonda anche un eremo femminile dedicato a Santa Xenia. Platina diviene il centro di un movimento che coinvolge un numero crescente di ortodossi negli Stati Uniti, e che dopo la morte di Padre Seraphim riuscirà ad aprire un monastero in Alaska, nelle terre originariamente evangelizzate dal Santo Herman. Padre Seraphim muore il 20 Agosto/2 Settembre 1982, dopo una breve ma intensa agonia, per i postumi di una malattia giovanile che già avrebbe potuto stroncarlo negli anni in cui era divenuto ortodosso. Egli aveva anzi vissuto tutti gli anni della sua missione nella certezza che questi fossero un “tempo regalato”, un dono fattogli al solo scopo di diffondere la conoscenza dell’Ortodossia in Occidente. Dopo la sua morte (come già era accaduto per l’Arcivescovo John Maximovich) ha luogo una serie di guarigioni e di conversioni in seguito a preghiere a lui rivolte; forse l’episodio più significativo è la conversione all’Ortodossia, tramite ispirazione alla sua figura, di centinaia di membri di un gruppo monastico indipendente, l’Ordine di MANS, partito da posizioni sincretiste comuni all’ambiente New Age, ed evolutosi in una attiva fraternità ortodossa. Oltre a questi numerosi eventi (per nulla insoliti per coloro che credono), ci resta di Padre Seraphim un gran numero di scritti di notevole valore, e un esempio di come, anche in questa civiltà sempre più aliena dal cristianesimo, sia possibile vivere una vita del tutto simile a quella degli antichi Padri e santi asceti. Per le persone che sperimentano maggiore inquietudine nella ricerca della verità, soprattutto i più giovani, e coloro che si sono rivolti a religioni e spiritualità orientali non cristiane, Padre Seraphim è il punto di riferimento ideale nel mondo ortodosso, in grado di comprendere le tappe dei più diversi pellegrinaggi verso la fede cristiana. L’approccio di Padre Seraphim ai problemi dell’Ortodossia contemporanea, pur muovendosi in una totale fedeltà alla Tradizione, è caratterizzato dalla mancanza di qualsiasi polemica a livello giurisdizionale: egli è rimasto leale per tutta la vita, scontrandosi spesso con l’ostilità della propria gerarchia, alla Chiesa Russa all’Estero, che lo aveva accolto come convertito; tuttavia, non ha voluto cadere negli eccessi di zelo e di rivalità che talora dividono le giurisdizioni ortodosse, adoperandosi anzi per promuovere uno spirito di mutua comprensione: ne è una testimonianza il suo spirito di profonda comunione con i confessori dell’Ortodossia nel Patriarcato di Mosca, come Padre Dimitri Dudko. A fianco del suo prezioso impegno di traduzione e diffusione di letteratura patristica, Padre Seraphim ci ha lasciato anche contributi letterari di notevole chiarezza, che tentano di offrire una risposta ortodossa ad alcuni grandi problemi contemporanei. Affrontando nel 1978 il tema dei nuovi movimenti religiosi nell’opera Orthodoxy and the Religion of the Future (L’Ortodossia e la religione del futuro), ci mostra quanto la tradizione patristica ortodossa abbia da dirci in proposito alle tendenze della religiosità contemporanea (inclusi alcuni nuovi movimenti orientali, il fenomeno degli UFO, i movimenti carismatici e certe tendenze dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso). Altri scritti provano a rivalutare una posizione cristiana di fronte a ideologie costruite su dati presi per scontati (come l’intero mondo dell’evoluzionismo contemporaneo). Di fronte a casi di incapacità pastorale di rispondere alle domande sulla vita oltre la morte (una incapacità manifestata purtroppo anche all’interno di strutture ecclesiali ortodosse), Padre Seraphim ha voluto presentare l’escatologia ortodossa, le esperienze dei santi e la dottrina dei Padri della Chiesa a fianco delle esperienze extracorporee e di “pre-morte”, e delle loro spiegazioni provenienti da antiche tradizioni pre-cristiane o da moderne ipotesi occultiste o parapsicologiche. Quest’opera, intitolata The Soul After Death (L’anima dopo la morte), è probabilmente il più diffuso tra i libri di Padre Seraphim, e le sue traduzioni in varie lingue sono diffuse in tutto il mondo ortodosso. La traduzione italiana è del 1999 (L’anima dopo la morte, Schio: Interlogos). Una delle opere patristiche di Padre Seraphim ha un valore particolare per la riscoperta dell’Ortodossia nei paesi dell’Europa occidentale. Traducendo una raccolta di vite di santi dell’antico Occidente cristiano, la Vita Patrum di San Gregorio di Tours, Padre Seraphim l’ha corredata di uno studio sull’antica Gallia cristiana: da questo, e dalle esperienze dei santi monaci narrate da San Gregorio, vengono alla luce impensabili paralleli tra i primi secoli dell’Occidente cristiano e la realtà attuale della Chiesa ortodossa. Uno sforzo simile, attuato anche per il nostro paese, potrebbe aprirci gli occhi sulle radici ortodosse del nostro passato. Di tutta la notevole produzione letteraria di Padre Seraphim, solo un paio di opere sono oggi disponibili in lingua italiana (tuttavia, all’interno della comunità torinese del Patriarcato di Mosca, abbiamo anche tradotto alcuni capitoli della sua biografia). Ci auguriamo una maggiore diffusione delle opere che furono oggetto della missione di approfondimento e di trasmissione spirituale di uno dei più straordinari testimoni della Fede ortodossa dei nostri tempi.
FONTE: http://www.santiebeati.it/dettaglio/93686
BIOGRAFIA: San Giovanni Climaco
BREVE VITA DEL BEATO GIOVANNI, IGUMENO DEL SANTO MONTE SINAI, DETTO SCOLASTICO E AUTORE DELLE “TAVOLE SPIRITUALI”, OVVERO DELLA “SCALA SANTA”
Scritta dal monaco Daniele di Raito, uomo venerabile e virtuoso
1. Non sono in grado di dire con precisione ed esattezza quale città abbia dato alla luce e allevato quest’uomo divino prima che egli intraprendesse la lotta della vita ascetica; ma quale città lo ospiti e lo nutra ora con delizie di ambrosia, il grande apostolo Paolo lo aveva già scoperto prima di noi: certamente infatti anch’egli appartiene a quella Gerusalemme celeste, dove si trova l’assemblea dei primogeniti (cf. Eb 12,23) la cui patria è nei cieli (Fil 3,20), come sta scritto. Là, saziandosi con il senso spirituale dei beni di cui non si può mai essere sazi e contemplando le bellezze invisibili, riceve ora adeguate ricompense dei propri sudori; e avendo ottenuto come dolce premio delle proprie fatiche l’eredità celeste, si unisce oramai per l’eternità al coro di quelli il cui piede è rimasto sulla viaretta (Sal 25,12). Ma ora voglio raccontare in che modo quest’uomo glorioso sia riuscito a ottenere una tale beatitudine.
2. Costui, all’età di sedici anni, si offrì a Cristo come sacrificio accetto e a lui gradito (cf. Fil 4,18), sottoponendosi al giogo della vita monastica sul monte Sinai, e lo stesso luogo visibile in cui dimorava contribuiva – credo – a guidarlo e condurlo verso il Dio invisibile. Abbracciò così l’estraneità, che è la custode di tutte le fanciulle spirituali, e respinta, grazie a essa, ogni forma di eccessiva e sconveniente familiarità, e acquistata l’onesta umiltà, scacciò una volta per tutte lontano da sé, fin dalla sua entrata nella vita monastica, il demone dell’autocompiacimento e della fiducia in se stesso. Avendo piegato il collo ed essendosi affidato, nel Signore, al padre che l’aveva accolto, come a un ottimo pilota, attraversava senza pericolo questa aspra e violenta tempesta della vita: era talmente morto al mondo e alle proprie volontà, che la sua anima era veramente come priva di ragione e di volontà, e totalmente spogliata delle proprie facoltà naturali; e ciò, nonostante egli avesse ricevuto un’istruzione completa nella scienza mondana prima di giungere a questa celeste ignoranza: cosa sorprendente, perché l’arroganza della filosofia è per lo più estranea all’umiltà di Cristo!
3. Dopo aver vissuto così per diciannove anni sostenendo le lotte della beata sottomissione, allorché il santo anziano che lo aveva formato lasciò questa vita, anch’egli uscì nello stadio dell’esichia tenendo in mano le divine preghiere del suo anziano come armi capaci di distruggere le fortezze di Satana (cf. 2Cor 10,3-4). Come palestra della sua lotta scelse un luogo solitario chiamato Tola, distante cinque miglia dalla chiesa del monastero, e là trascorse con fervore quarant’anni, sempre infiammato da un amore ardente e dal fuoco della divina carità. Ma chi è in grado di descrivere e celebrare a parole le fatiche ascetiche che egli sostenne in quel luogo? E come è possibile parlarne apertamente, dal momento che ogni sua fatica fu seminata nel segreto e senza testimoni? Tuttavia, partendo da alcuni fatti noti e servendocene come di piccoli indizi, possiamo intuire quale fu la santa condotta di quest’uomo tre volte beato.
4. Mangiava di tutto ciò che gli era consentito dal proprio stato di vita, ma molto poco; e così, con molta sapienza, riusciva a vincere l’orgoglio e ad abbassare le corna della presunzione. Mangiando poco, infatti, schiacciava quanto più possibile il suo folle e insaziabile tiranno gridandogli nella sua fame: Taci, calmati! (Mc 4,39); e mangiando un po’ di tutto riusciva ad abbattere la tirannia della vanagloria. Oltre a ciò, con la solitudine e la mancanza di qualsiasi rapporto umano, spense le fiamme di questa fornace, riuscendo a ridurla in cenere e a calmarla completamente. All’idolatria, poi, quell’uomo valoroso sfuggì valorosamente, grazie alla misericordia di Dio e alla mancanza di ogni mezzo necessario. Fece risorgere l’anima da quella morte e da quella paralisi in cui essa rischia di cadere in ogni momento stimolandola con il pungolo del ricordo della morte. Spezzò la catena della tristezza liberandosi da ogni attaccamento passionale, o forse anche gustando i beni invisibili. Se la tirannia dell’ira l’aveva uccisa già prima con la spada dell’obbedienza, impedendo al proprio corpo di uscire fuori dalla cella, e ancora più alla propria parola di uscire dalle labbra, poi mise a morte anche quella sanguisuga, simile a un ragno, che è la vanagloria. Cosa rimane ancora? La vittoria sull’ottava passione, cioè la perfetta purificazione dall’empia superbia. Questo novello Beseleèl iniziò quest’impresa attraverso l’obbedienza, ma fu il Signore della Gerusalemme celeste a portarla a termine visitandolo con la propria presenza, ed esaltando contro la superbia la sua umiltà, virtù senza la quale è impossibile vincere il diavolo e tutta la sua compagnia.
5. Ma dove posso collocare, nella corona che sto intrecciando, la fontana delle sue lacrime, che è un dono concesso a pochissimi? L’officina segreta di queste lacrime esiste ancora oggi: una strettissima spelonca situata in un luogo sperduto ai piedi della montagna, che distava dalla sua cella e da tutte le altre quel tanto da consentirgli di sfuggire alle orecchie che avrebbero suscitato in lui la vanagloria, ma che arrivava quasi a toccare il cielo con i gemiti e le grida che egli vi emetteva, simili a quelli di persone trafitte da spade o bruciate da ferri incandescenti, o a cui vengano cavati gli occhi.
Dormiva il minimo indispensabile per non danneggiare le proprie facoltà mentali con le veglie, e prima di addormentarsi pregava a lungo e scriveva sopra delle tavolette: questo infatti era l’unico mezzo che aveva per vincere l’acedia. Del resto l’intero corso della sua vita fu una preghiera incessante e un amore appassionato e indescrivibile per Dio: di notte e di giorno lo contemplava nel limpido specchio della propria purezza, e non voleva mai saziarsene, o piuttosto – per essere più corretti – non poteva.
6. Stimolato dallo zelo del nostro padre teoforo, un tale di nome Mosè, che già aveva abbracciato la vita monastica, lo supplicò con insistenza, attraverso le intercessioni di molti padri, di farlo diventare suo discepolo e di istruirlo nei primi rudimenti della vera filosofia, e perciò il beato, costretto da tali preghiere, lo prese con sé.
Un giorno il santo padre ordinò a questo Mosè di trasportare da un luogo a un altro una certa quantità di terra fertile per la coltivazione degli ortaggi, ed egli, raggiunto il luogo indicato, cominciò a eseguire con impegno quanto gli era stato ordinato; ma quando arrivò l’ora del mezzogiorno e la calura rovente cominciò a bruciare quel luogo come una fornace – infatti era già l’ultimo mese dell’anno – Mosè, poiché gli venivano meno le forze, stanco com’era per il trasporto della terra, pensò di doversi riposare un po’, e così, sdraiatosi all’ombra di un’enorme macigno, si addormentò, com’era normale. Ma il Dio amico degli uomini, che non vuole contristare in nulla i suoi servi più fedeli, prevenne – come è sua abitudine fare – il pericolo che Mosè stava per correre, e dirò subito in che modo.
Il nostro padre Giovanni, quel grand’uomo, mentre stava nella sua cella raccolto in se stesso e in Dio, come soleva fare, cadde in un leggerissimo sonno e vide una persona dall’aspetto venerabile che lo svegliava e, come rimproverandolo di essersi addormentato, gli diceva: “Giovanni, come puoi dormire così spensieratamente, mentre Mosè si trova in pericolo?”. Ritornato in se stesso all’istante, imbracciò subito le armi della preghiera a difesa del discepolo, e quando costui a sera fu di ritorno gli chiese: “Ti è forse successo qualche spiacevole imprevisto?”. Ed egli rispose: “Un enorme macigno mi avrebbe schiacciato e fracassato completamente, mentre dormivo profondamente alla sua ombra, se io, credendo di udire la tua voce, non mi fossi alzato di soprassalto da quel luogo, tutto confuso; e così vidi subito il macigno staccarsi e cadere a terra”. E quell’uomo veramente umile, senza dir nulla al discepolo della visione che aveva avuto, rese grazie a Dio lodandolo dentro di sé con segrete grida e forti slanci d’amore.
7. Quest’uomo di Dio era capace di guarire anche le ferite invisibili. Una volta, infatti, un monaco di nome Isacco, che era gravemente afflitto dal demonio della fornicazione, preso dallo sconforto, non sapendo più cosa fare, corse da quest’uomo meraviglioso e con gemiti e lacrime gli manifestò la guerra che era dentro di lui; e il divino padre, ammirando la sua fede e la sua umiltà, disse: “Mettiamoci tutti e due in preghiera, fratello, e certamente Dio, che è pieno di misericordia, non disprezzerà la nostra supplica!”. Si misero dunque a pregare, e non avevano ancora terminato la preghiera e il poveretto era ancora prostrato con la faccia a terra, che Dio fece la volontà del suo servo, per dimostrare ancora una volta la verità delle parole del profeta David. Il serpente della fornicazione, vinto dalle frustate di quell’intensa preghiera, fuggì via, e il malato, vedendosi ormai guarito e liberato da ogni turbamento, fu preso da grande stupore e rese grazie a Dio che aveva glorificato il suo servo, e al suo servo che da lui era stato glorificato.
8. Questo padre venerabile elargiva con abbondanza le sue parole di grazia a tutti coloro che venivano a visitarlo e versava loro con grande generosità e larghezza le acque del suo insegnamento: perciò alcuni uomini maligni, rosi dall’invidia, cercando di por fine a tutto il bene che faceva, lo accusarono di essere un chiacchierone e un ciarlatano. Ma egli, sapendo di poter tutto nel Cristo che gli dava la forza (cf. Fil 4,13) e volendo istruire chi gli si avvicinava per la propria edificazione, non soltanto con le proprie parole ma ancor più con il proprio silenzio e con la sapienza delle proprie opere – per troncare così ogni pretesto a quelli che cercavano un pretesto (cf. 2Cor 11,12), come sta scritto -, rimase in silenzio per un certo tempo e interruppe il flusso del suo insegnamento dolce come il miele. Riteneva preferibile infatti recare un leggero danno agli amanti del bene – che forse avrebbe comunque potuto aiutare con il proprio silenzio – piuttosto che irritare ancor di più quei giudici maldisposti, esasperando la loro cattiveria. Questi ultimi perciò, rimasti ammirati del suo comportamento umile e modesto e avendo compreso quale grande sorgente di salvezza avevano chiuso e quale grande danno avevano arrecato a tutti, cominciarono a supplicarlo e a implorare insieme agli altri i suoi insegnamenti, pregandolo di non rovinare con il proprio silenzio quanti cercavano la salvezza attraverso le sue parole. Ed egli, che era incapace di contraddire, cedette immediatamente e riprese a comportarsi come prima.
9. Poiché dunque era superiore a tutti in ogni virtù e tutti lo ammiravano, di comune accordo, ma contro la sua volontà, lo posero alla guida dei fratelli come nuovo Mosè, innalzandolo come una lucerna sul lucerniere (cf. Mt 5,15 par.), loro che in tali cose erano giudici eccellenti. E non rimasero delusi nelle loro speranze, perché anch’egli [come Mosè] salì sul monte e, entrato nella nube oscura e impenetrabile (cf. Es 24,18), ricevette la legge scritta da Dio, elevandosi alla contemplazione attraverso dei gradini spirituali. Aprì la bocca alla parola di Dio e, attirato lo Spirito (cf. Sal 118,131), riversò la parola buona dal buon tesoro del proprio cuore (cf. Mt 12,35 par.).
Così giunse al termine di questa vita visibile guidando gli israeliti, cioè i monaci; e l’unica differenza tra lui e Mosè fu che, mentre egli ascese alla Gerusalemme celeste senza alcuna difficoltà, quello – non so come mai – non riuscì a raggiungere quella terrena (cf. Dt 34,4).
Possono testimoniare la verità di quanto abbiamo raccontato tutti coloro che, grazie a quest’uomo, hanno ricevuto le parole dello Spirito, e i molti che sono stati salvati e continuano a esserlo. Testimone d’eccezione della salvezza ottenuta grazie a questo sapiente, e insieme della sua sapienza, è quel novello David; ma ne è testimone anche il nostro buon pastore Giovanni, grazie alle cui preghiere insistenti quel grande scese dal monte Sinai verso di noi e, avendo anch’egli visto Dio [come Mosè], ci mostrò le tavole scritte dal dito di Dio, che contengono all’esterno gli insegnamenti pratici, e all’interno, quelli relativi alla contemplazione (cf. Es 32,15-16).
DAI “RACCONTI SUI SANTI PADRI DEL SINAI” DI ANASTASIO SINAITA
1. Abba Martirio, dopo aver tonsurato il nostro igumeno, il santo padre Giovanni, che allora aveva sedici anni, si recò insieme a lui dalla “colonna” del nostro deserto, abba Giovanni il Sabaita, che allora viveva nel deserto di Guda insieme al suo discepolo abba Stefano di Cappadocia. Appena dunque l’anziano Sabaita li vide, si alzò: prese dell’acqua, la versò in una bacinella e lavò i piedi del discepolo, baciando anche la sua mano, mentre non lavò i piedi del suo maestro, abba Martirio. Abba Stefano si scandalizzò del fatto, e dopo che abba Martirio e il suo discepolo furono partiti, abba Giovanni, avendo visto con la sua chiaroveggenza che il suo discepolo si era scandalizzato, gli disse: “Perché ti sei scandalizzato? Credimi, non so chi sia quel ragazzo, ma io ho accolto l’igumeno del Sinai e ho lavato i suoi piedi!”. E dopo quarant’anni egli diventò il nostro igumeno, secondo la profezia dell’anziano. E non solo abba Giovanni il Sabaita, ma anche abba Strategio il Recluso, sebbene non uscisse mai, fece la stessa profezia, nel giorno in cui abba Giovanni fu tonsurato.
2. Una volta abba Anastasio vide scendere abba Giovanni dalla santa vetta insieme ad abba Martirio. Chiamò dunque abba Martirio e il ragazzo, e disse all’anziano: “Dimmi, abba Martirio, da dove viene questo ragazzo? E chi lo ha tonsurato?”. E quello gli rispose: “È tuo servo, padre, e l’ho tonsurato io”. Riprese l’altro: “Oh! abba Martirio! Chi avrebbe mai detto che tu avresti tonsurato l’igumeno del Sinai?”.
Ed è veramente a buon diritto che i santi padri fecero queste profezie riguardo al nostro santissimo padre Giovanni: egli infatti era adorno di tutte le virtù e risplendeva a tal punto che i padri del luogo lo chiamavano “secondo Mosè”.
3. Un giorno vennero quassù circa seicento ospiti e, mentre erano seduti a tavola e mangiavano, il nostro santo padre Giovanni vide un uomo dai capelli corti, vestito secondo l’uso dei giudei di una tunica bianca, che andava avanti e indietro e dava ordini ai cuochi, agli economi, ai cellerari e agli altri servitori. Quando dunque tutte quelle persone se ne furono andate, mentre i servitori erano seduti a tavola a mangiare, si cercò quell’uomo che andava avanti e indietro e dava ordini, ma non lo si trovò. Allora il servo di Dio, il nostro santo padre Giovanni, disse: “Smettete di cercarlo! Il nostro signore Mosè non ha fatto nulla di strano mettendosi a servire a casa sua!”.
4. Quando l’anno passato il nostro “nuovo e secondo Mosè”, il venerabilissimo igumeno Giovanni, era sul punto di passare al Signore, il vescovo abba Giorgio, suo fratello gli era accanto e tra le lacrime gli disse: “Ecco che mi abbandoni e te ne vai! Io ti pregavo di mandarmi avanti, perché senza di te, mio signore, non sono capace di pascere questa comunità, ma ora sono io che devo lasciarti partire!”. Allora abba Giovanni gli disse: “Non ti affliggere, non ti preoccupare! Se trovo grazia davanti a Dio, non ti lascerò neanche terminare un anno dopo di me”. E ciò avvenne. Dopo dieci mesi, infatti, anche il vescovo passò al Signore, nei giorni dell’inverno appena passato.
ANZIANO PORFIRIO: Una biografia
Tratta da: ANZIANO PORFIRIO Testimonianze ed esperienze
Originale: KLITOS IOANNIDIS, ELDER PORPHYRIOS. Testimonies and experiences, THE HOLY CONVENT OF THE TRANSFIGURATION OF THE SAVIOR, MILESSI 2013
UNA BREVE BIOGRAFIA
La sua famiglia
L’anziano Porfirio è nato il 7 febbraio 1906, nel villaggio di San Giovanni Karystia, vicino ad Aliveri, nella provincia di Evia. I suoi genitori erano contadini poveri ma devoti. Il nome di suo padre era Leonidas Bairaktaris e quello di sua madre era Eleni, la figlia di Antonios Lambrou.
Al battesimo gli fu dato il nome di Evangelos. Era il quarto di cinque figli e il terzo dei quattro sopravvissuti. Sua sorella maggiore, Vassiliki, è morta quando aveva un anno. Oggi è ancora viva solo la sorella minore, che è una suora.
Suo padre aveva una vocazione monastica ma ovviamente non divenne monaco. Era, tuttavia, il cantore del villaggio e St. Nectarios chiese i suoi servizi durante i suoi viaggi attraverso la zona, ma la povertà lo costrinse a emigrare in America per lavorare alla costruzione del canale di Panama.
I suoi anni d’infanzia
L’Anziano ha frequentato la scuola nel suo villaggio solo per due anni. L’insegnante era malato la maggior parte del tempo e i bambini non imparavano molto. Vedendo come stavano le cose, Evangelos lasciò la scuola, lavorò nella fattoria di famiglia e si prese cura dei pochi animali che possedeva. Ha iniziato a lavorare dall’età di otto anni. Nonostante fosse ancora molto giovane, per guadagnare di più andò a lavorare in una miniera di carbone. In seguito ha lavorato in un negozio di alimentari a Halkhida e nel Pireo.
Suo padre gli aveva insegnato il Canone Supplicativo (Paraklisis) alla Madre di Dio (Panaghia); e qualunque altra cosa della nostra fede poteva. Da bambino si è sviluppato rapidamente. Lui stesso ci ha detto che aveva otto anni quando ha iniziato a radersi. Sembrava molto più vecchio di quanto non fosse in realtà. Fin dall’infanzia fu molto serio, operoso e diligente.
Chiamata monastica
Mentre si prendeva cura delle pecore, e anche quando lavorava nel negozio di alimentari, leggeva lentamente la storia della vita di San Giovanni, l’abitante della capanna. Voleva seguire l’esempio del santo. Così partì molte volte per il Monte Athos, ma per vari motivi non ce la fece e tornò a casa. Infine, quando aveva circa quattordici o quindici anni, partì di nuovo per il Monte Athos. Questa volta era determinato a farcela e questa volta ce l’ha fatta.
Il Signore, che veglia sui destini di tutti noi, fece sì che Evangelos incontrò il suo futuro padre spirituale, lo ieromonaco Panteleimon, mentre si trovava sulla barca tra Salonicco e la Montagna Sacra (Mont. Athos). Padre Panteleimon prese subito il ragazzo sotto la sua ala protettrice. Evangelos non era ancora adulto, quindi non avrebbe dovuto essere ammesso sulla Montagna Sacra. Padre Panteleimon ha detto che era suo nipote e il suo ingresso fu assicurato.
La vita monastica
Il suo maggiore, P. Panteleimon, lo portò a Kavsokalyvia alla Capanna di San Giorgio (una capanna o kalyvi è il termine usato sul Monte Athos per ciascuna delle piccole abitazioni monastiche). P. Panteleimon visse lì con il fratellastro P. Ioannichio. Anche il famoso monaco, il beato Hatzigeorgios, aveva vissuto lì.
In questo modo l’anziano Porfirio acquisì contemporaneamente due padri spirituali. Ha dato volentieri obbedienza assoluta a entrambi. Abbracciò la vita monastica con grande zelo. La sua unica lamentela era che i suoi anziani non gli chiedevano abbastanza. Ci ha parlato molto poco delle sue lotte ascetiche e abbiamo pochi dettagli. Da ciò che ha detto molto raramente ai suoi figli spirituali al riguardo, possiamo concludere che ha lottato felicemente e duramente. Camminava a piedi nudi tra i sentieri rocciosi e innevati del Monte Santo. Dormiva pochissimo, e poi con una sola coperta si trovava sul pavimento della capanna, anche tenendo la finestra aperta quando nevicava. Durante la notte faceva molte prostrazioni, spogliandosi fino alla cintola perché il sonno non lo sopraffacesse. Ha lavorato: intaglio del legno o abbattimento di alberi all’aperto.
Si è immerso anche nelle preghiere, nei servizi e negli inni della Chiesa, imparandoli a memoria mentre lavorava con le sue mani. Alla fine dalla ripetizione continua del Vangelo e dall’impararlo a memoria allo stesso modo, non poteva avere pensieri che non erano buoni o che erano oziosi. Si caratterizzava, in quegli anni, come “perennemente in movimento”.
Tuttavia, il segno distintivo della sua lotta ascetica non era lo sforzo fisico che fece, ma piuttosto la sua totale obbedienza al suo maggiore. Era completamente dipendente da lui. La sua volontà scomparve nella volontà del suo maggiore. Aveva totale amore, fede e devozione per il suo anziano. Si identificò completamente con lui, facendo propria la condotta del suo anziano nella vita. È qui che troviamo l’essenza di tutto. È qui, nella sua obbedienza che scopriamo il segreto, la chiave della sua vita.
Questo ragazzo ignorante della seconda elementare, usando le Sacre Scritture come suo dizionario, ha saputo educare se stesso. Leggendo del suo amato Cristo è riuscito in pochi anni ad apprendere quanto, se non di più, abbiamo mai fatto con tutte le nostre comodità. Avevamo scuole e università, insegnanti e libri, ma non avevamo l’entusiasmo focoso di questo giovane novizio.
Non sappiamo esattamente quando, ma certamente non molto tempo dopo aver raggiunto il Monte Santo, fu tonsurato come monaco e gli fu dato il nome di Nikitas.
La visitazione della grazia divina
Non dovremmo trovare strano che la grazia divina riposi su questo giovane monaco che è stato ripieno di fuoco per Cristo e ha dato tutto per il suo amore. Non ha mai considerato tutte le sue fatiche e lotte.
Era ancora l’alba e la chiesa principale di Kavsokalyvia era chiusa a chiave. Nikitas, invece, era fermo all’angolo dell’ingresso della chiesa in attesa che le campane suonassero e che le porte si aprissero.
Fu seguito dal vecchio monaco Dimas, ex ufficiale russo, ultranovantenne, asceta e nascostamente santo. P. Dimas si guardò intorno e si assicurò che non ci fosse nessuno. Non notò il giovane Nikitas che aspettava all’ingresso. Cominciò a prosternarsi completamente e a pregare davanti alle porte chiuse della chiesa.
La grazia divina si riversò sul santo P. Dimas e scese a cascata sul giovane monaco Nikitas che era allora pronto a riceverlo. I suoi sentimenti erano indescrivibili. Sulla via del ritorno alla capanna, dopo aver ricevuto quella mattina la Santa Comunione nella Divina Liturgia, i suoi sentimenti erano così intensi che si fermò, tese le mani e gridò forte “Gloria a Te, Ο Dio! Gloria a Te, Ο Dio! Gloria a Te, Ο Dio!”
Il cambiamento operato dallo Spirito Santo.
Dopo la visita dello Spirito Santo, si verificò un cambiamento fondamentale nella struttura psicosomatica del giovane monaco Nikitas. Era il cambiamento che viene direttamente dalla mano destra di Dio. Ha acquisito doni soprannaturali ed è stato investito di potere dall’alto.
Il primo segno di questi doni (charismata – si riferisce a doni specifici dello Spirito Santo verso l’uomo. In questo libro indicato semplicemente come “dono”. Da non confondere con il significato comune della parola inglese “charisma”) fu quando i suoi anziani tornavano da un viaggio lontano, poté “vederli” a grande distanza. Li “vide” là, dov’erano, anche se non potevano essere visti dagli occhi umani. Lo ha confessato a P. Panteleimon che gli consigliò di essere molto cauto riguardo al suo dono e di non dirlo a nessuno. Consiglio che seguì con molta attenzione finché non gli fu detto di fare diversamente.
Altri seguirono. La sua sensibilità per le cose intorno a lui divenne molto acuta e le sue capacità umane si svilupparono al massimo. Ascoltava e riconosceva voci di uccelli e animali nella misura in cui sapeva non solo da dove venivano, ma cosa stavano dicendo. Il suo senso dell’olfatto era sviluppato a tal punto da poter riconoscere le fragranze a grande distanza. Conosceva i diversi tipi di aroma e il loro trucco. Dopo umile preghiera poté “vedere” le profondità della terra e gli angoli più remoti dello spazio. Poteva vedere attraverso l’acqua e attraverso le formazioni rocciose. Poteva vedere giacimenti di petrolio, radioattività, monumenti antichi e sepolti, tombe nascoste, fessure nelle profondità della terra, sorgenti sotterranee, icone perdute, scene di eventi accaduti secoli prima, preghiere che erano state innalzate in passato, spiriti buoni e cattivi, l’anima umana stessa, quasi tutto. Assaggiò la qualità dell’acqua nelle profondità della terra. Avrebbe interrogato le rocce e loro gli avrebbero parlato delle lotte spirituali degli asceti che lo hanno preceduto. Guardava le persone ed era in grado di guarire. Ha toccato persone beneficandole. Pregò e la sua preghiera divenne realtà. Tuttavia, non ha mai cercato consapevolmente di usare questi doni di Dio per trarne beneficio. Non ha mai chiesto che i suoi stessi disturbi venissero guariti. Non ha mai cercato di ottenere un guadagno personale dalla conoscenza estesa a lui dalla grazia divina.
Ogni volta che usava il suo dono del discernimento, (diakrisis) gli venivano rivelati i pensieri nascosti della mente umana. Egli è stato in grado, per grazia di Dio, di vedere il passato, il presente e il futuro tutti allo stesso tempo. Ha confermato che Dio è onnisciente e onnipotente. È stato in grado di osservare e toccare tutta la creazione, dai confini dell’Universo alla profondità dell’anima umana e della storia. La frase di san Paolo “Un solo e medesimo Spirito opera tutte queste cose, distribuendo a ciascuno individualmente come vuole” ( 1 Cor 12,11) certamente valeva per l’anziano Porfirio. Naturalmente era un essere umano e ricevette la grazia divina, che viene da Dio. Questo Dio che per ragioni sue a volte non rivelava tutto. La vita vissuta nella grazia è per noi un mistero sconosciuto. Qualsiasi altro discorso sull’argomento sarebbe una rude invasione di questioni che non capiamo. L’anziano lo faceva sempre notare a tutti coloro che attribuivano le sue capacità a qualcosa di diverso dalla grazia. Ha sottolineato questo fatto, ancora e ancora, dicendo: “Non è qualcosa che si impara. Non è un’abilità. È GRAZIA”.
Ritorno nel mondo
Anche dopo essere stato toccato dalla grazia divina, questo giovane discepolo del Signore ha continuato le sue lotte ascetiche come prima, con umiltà, zelo divino e amore per l’apprendimento senza precedenti. Il Signore ora voleva fare di lui un maestro e un pastore delle sue pecore razionali. Lo ha provato, misurato e trovato adeguato.
Il monaco Nikitas non ha mai pensato di lasciare la Montagna Sacra e di tornare nel mondo. Il suo divino amore divorante per il nostro Salvatore lo spingeva a desiderare e sognare di ritrovarsi nel deserto aperto e, salvo il suo dolce Gesù, completamente solo.
Tuttavia, una grave pleurite, trovandolo esausto dalle sue lotte ascetiche sovrumane, lo afferrò mentre stava raccogliendo lumache sulle scogliere rocciose. Questo costrinse i suoi anziani a ordinargli di stabilirsi in un monastero nel mondo, in modo che potesse guarire di nuovo. Obbedì e tornò nel mondo, ma, appena guarito, tornò al luogo del suo pentimento. Si ammalò di nuovo; questa volta i suoi anziani, con molta tristezza, lo rimandarono nel mondo per sempre.
Così, a diciannove anni, lo troviamo a vivere come monaco nel monastero Lefkon di St. Charalambos, vicino alla sua città natale. Tuttavia continuò con il regime che aveva appreso sul Monte Santo, con i suoi salmi e simili uffici. Tuttavia, è stato costretto a ridurre il digiuno fino a quando la sua salute non è migliorata.
Ordinazione al sacerdozio
Fu in questo monastero che incontrò l’arcivescovo del Sinai, Porfirio III, ospite in visita lì. Dalla sua conversazione con Nikitas, ha notato la virtù e i doni divini che possedeva. Ne fu così colpito che il 26 luglio 1927, festa di San Paraskevi, lo ordinò diacono. Il giorno successivo, festa di San Panteleimon, lo promosse al sacerdozio, come membro del monastero del Sinai. Gli fu dato il nome Porfirio. L’ordinazione è avvenuta nella Cappella della Santa Metropoli di Karystia, nella diocesi di Kymi. Al servizio ha preso parte anche il metropolita di Karystia, Panteleimon Phostinis. L’anziano Porphyrios aveva solo ventuno anni.
Il Padre Spirituale
Dopo questo il metropolita residente di Karystia, Panteleimon, lo nominò con una lettera ufficiale ad essere padre confessore. Ha realizzato questo nuovo “talento” che gli è stato donato con umanità e fatica. Ha studiato il “Manuale del confessore”. Tuttavia, quando cercò di seguire alla lettera ciò che diceva sulla penitenza, ne fu turbato. Capì che doveva occuparsi individualmente di ciascuno dei fedeli. Trovò la risposta negli scritti di san Basilio, il quale consigliò: “Noi scriviamo tutte queste cose perché possiate assaporare i frutti del pentimento. Non consideriamo il tempo necessario, ma prendiamo atto delle modalità del pentimento”. (Ep. 217 n. 84) Ha preso a cuore questo consiglio e lo ha messo in pratica. Anche nella sua vecchiaia ha ricordato questo consiglio ai giovani padri confessori.
Così maturato il giovane ieromonaco Porfirio, per grazia di Dio, si dedicò con successo all’opera di padre spirituale in Evia fino al 1940. Riceveva un gran numero di fedeli per la confessione, ogni giorno. In molte occasioni ascoltava la confessione per ore senza interruzione. La sua reputazione di padre spirituale, conoscitore di anime e guida sicura, si diffuse rapidamente in tutta l’area vicina. Ciò significava che molte persone si sono accalcate al suo confessionale presso il Santo Monastero di Lefkon, vicino ad Avlonarion, nell’Evia.
A volte interi giorni e notti trascorrevano senza tregua e senza riposo, mentre compiva questa opera divina, questo sacramento. Aiutando coloro che si avvicinano a lui con il suo dono del discernimento, guidandoli alla conoscenza di sé, alla vera confessione e alla vita in Cristo. Con questo stesso dono ha scoperto le insidie del diavolo, salvando le anime dalle sue trappole e congegni malvagi.
Archimandrita
Nel 1938 fu insignito della carica di Archimandrita dal Metropolita di Karystia, «in onore del servizio che finora hai reso alla Chiesa come Padre spirituale, e per le virtuose speranze che la nostra Santa Chiesa nutre per te» ( protocollo n . . 92/10-2-1938) come scritto dal Metropolita. Le loro speranze, per grazia di Dio, si sono realizzate.
Sacerdote, per un breve periodo alla parrocchia di Tsakayi, Evia e al Monastero di San Nicola di Ano Vathia
Fu assegnato dal metropolita residente come sacerdote al villaggio di Tsakayi, nell’Evia. Alcuni degli abitanti del villaggio più anziani, fino ad oggi, conservano bei ricordi della sua presenza lì. Aveva lasciato il Santo Monastero di S. Charalambos perché era stato trasformato in convento. Così, intorno al 1938 lo troviamo a vivere nel Santo Monastero in rovina e abbandonato di San Nicola, Ano Vathia, Evia, nella giurisdizione del metropolita di Halkhida.
Nel deserto della città
Quando il tumulto della seconda guerra mondiale si avvicinò alla Grecia, il Signore arruolò il suo obbediente servitore, Porfirio, assegnandolo a un nuovo incarico, più vicino al suo popolo assediato. Il 12 ottobre 1940 ricevette l’incarico di sacerdote provvisorio presso la Cappella di San Gerasimos nel Policlinico di Atene, che si trova all’angolo tra via Socrate e via Pireo, vicino a piazza Omonia. Egli stesso ha chiesto la posizione per l’amore compassionevole che aveva per i suoi simili che stavano soffrendo. Voleva essere loro nei momenti più difficili della loro vita, quando la malattia, il dolore e l’ombra della morte mostravano la disperazione di ogni altra speranza tranne quella in Cristo.
C’erano altri candidati con ottime credenziali che erano anche interessati alla carica, ma il Signore ha illuminato il direttore del Policlinico. Umile e affascinante, fu scelto Porfirio, che era ignorante secondo gli standard del mondo ma saggio secondo Dio. La persona che ha fatto questa scelta ha poi espresso stupore e gioia nel trovare un vero sacerdote dicendo: “Ho trovato un padre perfetto, proprio come vuole Cristo”.
Ha servito il Policlinico come suo cappellano dipendente, per trent’anni interi e poi per essere al servizio dei suoi figli spirituali che lo hanno cercato, volontariamente, per altri tre anni.
Qui anche il ruolo di cappellano, che svolse con pieno amore e devozione, celebrando i servizi con meravigliosa devozione; confessando, ammonendo, guarendo anime e molte volte anche malattie corporali, agiva anche come padre spirituale per tanti di coloro che venivano da lui.
“Sì, voi stessi sapete che queste mani sono state provvedute per le mie necessità e per coloro che erano con me”. (Atti 20:34)
L’anziano Porphyrios, con la sua mancanza di qualifiche accademiche, accettò di essere cappellano del Policlinico per uno stipendio quasi nullo. Non bastava per mantenere se stesso, i suoi genitori e i pochi altri parenti stretti che facevano affidamento su di lui. Doveva lavorare per vivere. Organizzò in successione un allevamento di pollame e poi una tessitura. Nel suo zelo per i servizi da celebrare nel modo più edificante, si applicò alla composizione di sostanze aromatiche che potevano poi essere utilizzate nella preparazione degli incensi usati nel culto divino. Infatti negli anni ’70 fece una scoperta originale. Unì il carbone con essenze aromatiche incensando la chiesa con il suo carbone a combustione lenta che emanava un dolce profumo di spiritualità. Sembra che non abbia mai rivelato i dettagli di questa scoperta.
Dal 1955 ha affittato il piccolo monastero di San Nicola, Kallisia, che appartiene al Santo Monastero di Pendeli. Coltivò sistematicamente la terra circostante. facendo un sacco di duro lavoro. Fu qui che volle fondare il convento, che poi costruì altrove. Migliorò i pozzi, costruì un sistema di irrigazione, piantò alberi e dissodò il terreno con uno scavatore che utilizzava lui stesso. Tutto questo insieme al dovere, ventiquattr’ore su ventiquattro, come cappellano e confessore.
Apprezzò molto il lavoro e non si concedeva riposo. Apprese dall’esperienza le parole di abba Isacco il Siro: «Dio e i suoi angeli trovano gioia nella necessità; il diavolo e i suoi operai trovano gioia nell’ozio”.
Partenza dal Policlinico
Il 16 marzo 1970, dopo aver compiuto trentacinque anni di servizio sacerdotale, ricevette una piccola pensione dalla Cassa ellenica di assicurazione del personale e lasciò l’incarico presso il Policlinico. In sostanza, però, rimase fino all’arrivo del suo sostituto. Anche dopo ha continuato a visitare il Policlinico per incontrare il suo gran numero di figli spirituali. Infine, intorno al 1973, ridusse al minimo le sue visite al Policlinico e invece ricevette i suoi figli spirituali a San Nicola a Kallisia, Pendeli, dove celebrò la liturgia e confessò.
La mia forza è resa perfetta dalla debolezza
L’anziano Porfirio, oltre alla malattia che lo costrinse a lasciare il Monte Athos, e che mantenne particolarmente sensibile il suo fianco sinistro, soffrì di molti altri disturbi, in tempi diversi.
Verso la fine del suo servizio al Policlinico si ammalò di problemi ai reni. Tuttavia, è stato operato solo quando la sua malattia era in fase avanzata. Questo perché ha lavorato instancabilmente nonostante la sua malattia. Si era abituato a essere obbediente “fino alla morte”. Fu obbediente anche al direttore del Policlinico, che gli disse di rimandare l’operazione, per poter celebrare le funzioni per la Settimana Santa. Questo ritardo lo ha portato a scivolare in coma. I medici hanno detto ai suoi parenti di prepararsi per il suo funerale. Tuttavia, per volontà divina, e nonostante tutte le aspettative mediche, l’anziano è tornato alla vita terrena per continuare il suo servizio ai membri della Chiesa.
Qualche tempo prima, si era fratturato una gamba. Collegato a questo incidente è un esempio miracoloso della preoccupazione di San Gerasimos (di cui ha servito la cappella del Policlinico).
Oltre a questo la sua ernia, di cui soffrì fino alla morte, peggiorò, a causa dei pesanti carichi che era solito portare a casa sua, a Turkounia, dove visse per molti anni.
Il 20 agosto 1978, mentre si trovava a San Nicola, Kallisia, ebbe un infarto (infarto del miocardio). Fu portato d’urgenza all’ospedale “Hygeia”, dove rimase per venti giorni. Quando lasciò l’infermeria, continuò la sua convalescenza ad Atene, nelle case di alcuni suoi figli spirituali. Questo per tre ragioni. In primo luogo, non poteva andare a San Nicola, Kallisia, perché non c’era strada, e avrebbe dovuto fare una lunga strada a piedi. Inoltre, la sua casa a Turkounia non aveva nemmeno i comfort più elementari. Infine, doveva essere vicino ai medici.
In seguito, quando si era stabilito in un ricovero provvisorio a Milessi, sede del convento da lui fondato, si è operato all’occhio sinistro. Il dottore ha commesso un errore, distruggendo la vista in quell’occhio. Dopo alcuni anni il Vecchio divenne completamente cieco. Durante l’operazione, senza il permesso dell’anziano Porfirio, il medico gli ha somministrato una forte dose di cortisone. L’anziano era particolarmente sensibile ai farmaci, e soprattutto al cortisone. Il risultato di questa iniezione fu un’emorragia allo stomaco continua che durò per tre mesi circa. A causa del suo stomaco costantemente sanguinante non poteva mangiare cibo normale. Si sosteneva con qualche cucchiaio di latte e acqua ogni giorno. Ciò lo ha portato a diventare così esausto fisicamente che ha raggiunto il punto in cui non poteva nemmeno stare seduto dritto. Ricevette dodici trasfusioni di sangue, tutti nel suo alloggio a Milessi. Alla fine, sebbene fosse di nuovo alla porta della Morte, per grazia di Dio sopravvisse.
Da quel momento in poi, la sua salute fisica fu terribilmente compromessa. Tuttavia, ha continuato il suo ministero di padre spirituale per quanto poteva, confessando continuamente per periodi più brevi e spesso soffrendo di vari altri problemi di salute e nel dolore più spaventoso. In effetti, ha perso lentamente la vista fino a quando nel 1987 è diventato completamente cieco.
Diminuì costantemente le parole di consiglio che dava alle persone e aumentò le preghiere che diceva a Dio per loro. Pregò silenziosamente con grande amore e umiltà per tutti coloro che cercavano la sua preghiera e il suo aiuto da Dio. Con gioia spirituale vide agire su di loro la grazia divina. Così, l’anziano Porfirio divenne un chiaro esempio delle parole dell’apostolo Paolo: “La mia forza è resa perfetta nella debolezza”.
Costruisce un nuovo convento
Era un desiderio radicato nell’anziano di fondare un suo santo convento, di costruire una fondazione monastica in cui potessero vivere alcune donne devote, che erano sue figlie spirituali. Aveva giurato a Dio che non avrebbe abbandonato queste donne quando avrebbe lasciato il mondo perché erano state sue fedeli aiutanti per molti anni. Col passare del tempo sarebbe stato possibile per altre donne che volevano dedicarsi al Signore stabilirsi lì.
Il suo primo pensiero fu di costruire il Convento nel luogo di Kallisia, Pendeli, che aveva affittato nel 1955 dal Santo Monastero di Pendeli. Cercò più volte di convincere i proprietari a donargli o a vendergli la terra richiesta. Non è servito a nulla. Ora sembrava che il Signore, saggio regolatore e dispensatore di tutto, destinasse un altro posto a questa particolare impresa. Quindi l’anziano rivolse gli occhi a un’altra area nella sua ricerca di immobili.
Nel frattempo, però, con la collaborazione dei suoi figli spirituali, redasse lo statuto legale per la fondazione del Convento e lo sottopose alle autorità ecclesiastiche competenti. Poiché non aveva ancora scelto il luogo specifico dove sarebbe stato costruito il suo convento, identificò Turkounia ad Atene come il luogo in cui sarebbe stato fondato. Qui aveva un’umile casetta in pietra, che, senza nemmeno le comodità di base, era stata la sua povera dimora dal 1948.
L’anziano Porfirio non ha fatto nulla senza la benedizione della Chiesa. Così, in questo caso, ha chiesto e ricevuto l’approvazione canonica sia di Sua Eminenza l’Arcivescovo di Atene che del Santo Sinodo. Sebbene le relative procedure fossero iniziate nel 1978, solo nel 1981, dopo aver superato molta burocrazia procedurale e altre difficoltà, ebbe il privilegio di vedere il “Santo Convento della Trasfigurazione del Salvatore” riconosciuto con decreto presidenziale e pubblicato in la gazzetta governativa.
La ricerca di un luogo adatto per fondare il Convento era stata avviata dall’Anziano molto prima del suo infarto, quando era più che certo che non sarebbe stato a Kallisia. Con estrema cura e grande zelo, cercò instancabilmente un sito che avesse i maggiori vantaggi. Quando le sue forze si furono moderatamente recuperate dopo l’infarto e quando sentì di poterlo fare, continuò l’intensa ricerca del posto che desiderava. Non ha risparmiato sforzi. Percorse tutta l’Attica, l’Evia e la Beozia nelle auto di vari suoi figli spirituali. Ha esaminato la possibilità di costruire il suo convento a Creta o in qualche altra isola. Ha lavorato incredibilmente duro. Ha chiesto informazioni su centinaia di proprietà e ne ha visitate la maggior parte. Ha consultato molte persone. Ha viaggiato per migliaia di chilometri. Ha fatto innumerevoli calcoli. Ha soppesato tutti i fattori; e, infine, scelse e acquistò alcune proprietà sul sito di Hagia Sotira, Milessi di Malakasa, Attica, vicino a Oropos.
All’inizio del 1979 si stabilisce in questa proprietà a Milessi, che era stata acquistata per la costruzione di un convento. Per più di un anno, all’inizio, ha vissuto in una casa mobile in condizioni molto difficili, soprattutto in inverno. Successivamente si stabilì in una casa piccola e squallida, nella quale subì tutte le fatiche di tre mesi di continue emorragie allo stomaco e dove ricevette anche numerose trasfusioni di sangue. Il sangue è stato donato con molto amore dai suoi figli spirituali.
Nel 1980 sono iniziati anche i lavori di costruzione, che l’anziano ha seguito da vicino, e ha pagato i lavori con i risparmi che lui, i suoi amici e i suoi parenti avevano realizzato negli anni con questo obiettivo in mente. Fu anche aiutato da vari figli spirituali.
La costruzionedella Chiesa della Trasfigurazione
Il suo grande amore per il prossimo era centrato nel guidarlo alla gioia della trasfigurazione secondo Cristo. Insieme a san Paolo apostolo, ha implorato noi, suoi fratelli e sorelle, per la compassione di Dio: «Non conformatevi a questo mondo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, affinché possiate provare ciò che è buono e accettevole e perfetta volontà di Dio”. ( Rom. 12:2 ). Ha voluto guidarci allo stato in cui visse, secondo il quale: «Noi tutti con il volto scoperto, contemplando come in uno specchio la gloria del Signore, ci trasformiamo di gloria in gloria nella stessa immagine, così come da lo Spirito del Signore”. ( 2 Cor.3:18 )
Per questo chiamò anche il suo Convento la “Trasfigurazione” e volle che la chiesa fosse dedicata alla Trasfigurazione. Infine, attraverso le sue preghiere, influenzò i suoi compagni di lavoro in questa impresa e riuscì nel suo scopo. Dopo molte consultazioni e un duro lavoro da parte dell’Anziano, si è arrivati a un design semplice, gradevole e perfetto.
Nel frattempo, per intervento canonico di Sua Eminenza, l’Arcivescovo di Atene, (poiché il Convento rientra nell’Arcidiocesi ateniese) il Metropolita locale, diede il permesso di costruire la chiesa sotto la sua giurisdizione presso l’annesso del Convento, a Milessi.
La posa delle fondamenta è avvenuta a mezzanotte tra il 25 e il 26 febbraio 1990 durante una veglia notturna in onore di San Porfirio, Vescovo di Gaza, Taumaturgo. L’anziano Porfirio, malato e incapace di salire gli undici metri fino al luogo dove doveva essere posta la prima pietra, con grande commozione offrì la sua croce per la pietra angolare. Dal suo letto pregava con queste parole: «O Croce di Cristo, rendi salda questa casa. Ο Croce di Cristo, salvaci con la tua forza. Ricordati, Ο Signore, del tuo umile servitore Porfirio e dei suoi compagni…” Dopo aver pregato per tutti coloro che hanno lavorato con lui, ordinò che i loro nomi fossero posti in una posizione speciale nella chiesa, per la loro eterna commemorazione.
Immediato il lavoro di costruzione della Chiesa (in cemento armato). Accompagnato dalle preghiere del Vecchio, procedette senza interruzioni. Poteva vedere con i suoi occhi spirituali – poiché molti anni prima aveva perso la vista naturale – la chiesa che raggiungeva le fasi finali della sua costruzione. Vale a dire, alla base della cupola centrale. In realtà ha raggiunto questo punto il giorno della partenza finale dell’anziano.
Si prepara al ritorno sul Sacro Monte
L’anziano Porfirio non aveva mai lasciato emotivamente il Monte Athos. Non c’era nessun altro argomento che lo interessasse più della Montagna Sacra, e soprattutto Kavsokalyvia. Quando nel 1984 seppe che l’ultimo abitante della capanna di San Giorgio era partito definitivamente e si era stabilito in un altro monastero, si affrettò alla Santa Grande Lavra di Sant’Atanasio, a cui apparteneva e chiese che gli fosse data. Fu a St. George’s che aveva preso per la prima volta i voti monastici. Aveva sempre voluto tornare, mantenere il voto fatto alla tonsura circa sessant’anni prima, rimanere nel suo monastero fino al suo ultimo respiro. Adesso si stava preparando per il suo ultimo viaggio.
La capanna gli fu data secondo le usanze del Monte Athos, con il pegno sigillato del monastero, datato 21 settembre 1984. L’anziano Porfirio vi stabilì diversi suoi discepoli in successione. Nell’estate del 1991 erano cinque. Questo è il numero che aveva menzionato a un suo figlio spirituale circa tre anni prima come il totale che indicava l’anno della sua morte.
Torna al suo pentimento
Durante gli ultimi due anni della sua vita terrena parlava spesso della sua preparazione per la sua difesa davanti al terribile tribunale di Dio. Diede ordini severi che se fosse morto qui, il suo corpo sarebbe stato trasportato senza clamore e sepolto a Kavsokalyvia. Alla fine decise di andarci mentre era ancora vivo. Ha parlato di una certa storia nei Detti dei Padri:
Un anziano, che aveva preparato la sua tomba quando sentiva che la sua fine era vicina, disse al suo discepolo: «Figlio mio, le rocce sono scivolose e scoscese e metterai in pericolo la tua vita se tu solo mi porterai alla mia tomba. Vieni, andiamo ora che sono vivo”. E sicuramente il suo discepolo lo prese per mano e l’anziano si sdraiò nella tomba e diede in pace la sua anima.
Alla vigilia della festa della Santissima Trinità, 1991, recatosi ad Atene per confessarsi al suo anziano e malaticcio padre spirituale, ricevette l’assoluzione e partì per la sua capanna sul monte Athos. Si stabilì e aspettò la fine, pronto a dare una buona difesa davanti a Dio.
Poi, quando gli ebbero scavato una fossa profonda, secondo le sue istruzioni, dettò una lettera d’addio di consiglio e di perdono a tutti i suoi figli spirituali, attraverso un suo figlio spirituale. Questa lettera, datata 4 giugno (vecchio calendario) e 17 giugno (nuovo calendario), è stata trovata tra gli abiti monastici che erano stati disposti per il suo funerale il giorno della sua morte.
“Attraverso la mia venuta di nuovo da te”
L’anziano Porfirio lasciò l’Attica per il Monte Athos con l’intenzione nascosta di non tornare mai più qui. Aveva parlato a un numero sufficiente di suoi figli spirituali in modo tale che sapevano che lo stavano vedendo per l’ultima volta. Ad altri ha appena accennato. Fu solo dopo la sua morte che si resero conto di cosa intendeva. Naturalmente, a coloro che non avrebbero sopportato la notizia della sua partenza, disse loro che sarebbe tornato. Ha detto tante cose della sua morte, in modo chiaro o criptico, tanto che solo la certezza di chi gli sta intorno che sarebbe sopravvissuto come tutte le altre volte (una speranza nata dal desiderio), può forse spiegare il non subitaneo annuncio della sua morte.
Forse lui stesso esitò, come l’apostolo Paolo, che scrisse ai Filippesi: «Perché sono stretto tra i due, avendo il desiderio di separarmi e di stare con Cristo, il che è molto meglio. Tuttavia, per te è più necessario rimanere nella carne». ( Fil 1:23-24 ) Forse…
I suoi figli spirituali ad Atene lo invocavano costantemente e per due volte fu costretto a tornare al Convento contro la sua volontà. Qui ha dato consolazione a tutti coloro che ne avevano bisogno. Ogni volta si fermava solo per pochi giorni, «affinché la nostra gioia per lui fosse più abbondante in Gesù Cristo, venendo a noi». (Parafrasando le parole dell’Apostolo, Fil. 1:26 ) Sarebbe poi tornato di corsa al Monte Athos il più presto possibile. Desiderava ardentemente morire lì ed essere sepolto tranquillamente in mezzo alla preghiera e al pentimento.
Verso la fine della sua vita fisica si sentì a disagio per la possibilità che l’amore dei suoi figli spirituali influisse sul suo desiderio di morire da solo. Era abituato a essere obbediente e a sottomettersi agli altri. Perciò lo disse a uno dei suoi monaci. “Se ti dico di riportarmi ad Atene, impediscimelo, sarà una tentazione.” In effetti, molti suoi amici avevano fatto diversi piani per riportarlo ad Atene, poiché l’inverno si avvicinava e la sua salute stava peggiorando.
Dorme nel Signore
Dio, che è tutto buono e che soddisfa i desideri di coloro che lo temevano, ha esaudito il desiderio dell’anziano Porfirio. Lo rese degno di avere una fine benedetta nell’estrema umiltà e nell’oscurità. Era circondato solo dai suoi discepoli sul monte Athos che pregavano con lui. L’ultima notte della sua vita terrena si confessò e pregò noeticamente (cioè la preghiera di Gesù). I suoi discepoli leggono il Cinquantesimo e altri salmi e il servizio per i moribondi. Dissero la breve preghiera: “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me”, finché non ebbero completato la regola di un monaco megaloschema.
Con grande amore i suoi discepoli gli offrirono ciò di cui aveva bisogno, un po’ di conforto corporeo e molto spirituale. Per molto tempo poterono sentire le sue sante labbra sussurrare le ultime parole che uscivano dalla sua venerabile bocca. Queste erano le stesse parole che Cristo pregò alla vigilia della sua crocifissione “affinché possiamo essere uno”.
Dopo questo lo sentirono ripetere solo una parola. La parola che si trova alla fine del Nuovo Testamento, a conclusione della Divina Apocalisse (Apocalisse) di San Giovanni. “Vieni” (“Sì, vieni, Signore Gesù”).
Il Signore, il suo dolce Gesù è venuto. L’anima santa dell’anziano Porfirio lasciò il suo corpo alle 4:31 della mattina del 2 dicembre 1991 e si diresse verso il cielo.
Il suo venerabile corpo, vestito alla maniera monastica, fu deposto nella chiesa principale di Kavsokalyvia. Secondo l’usanza, i padri lì leggevano il Vangelo tutto il giorno e durante la notte vegliavano tutta la notte. Tutto è stato fatto in accordo con le dettagliate istruzioni verbali dell’anziano Porfirio. Erano stati scritti per evitare qualsiasi errore.
All’alba, il 3 dicembre 1991, la terra ricopriva le venerabili spoglie del santo Anziano alla presenza dei pochi monaci del santo skete di Kavsokalyvia. Fu solo allora, secondo i suoi desideri, che il suo riposo fu annunciato.
Era quell’ora del giorno in cui il cielo si colorava di rosa, riflettendo la luminosità del nuovo giorno che si avvicina. Un simbolo per molte anime del passaggio dell’Anziano dalla morte alla luce e alla vita.
Un breve schizzo
La caratteristica principale dell’anziano Porfirio per tutta la sua vita è stata la sua completa umiltà. Questo era accompagnata dalla sua assoluta obbedienza, dal suo caldo amore e dalla sua pazienza senza mormorare con un dolore insopportabile. Era noto per la sua saggia discrezione, il suo inconcepibile discernimento; il suo amore sconfinato per l’apprendimento, la sua straordinaria conoscenza (un dono di Dio e non formatasi alla scuola inesistente del mondo); il suo inesauribile amore per il duro lavoro, e la sua continua, umile, (e per questo riuscita) preghiera. Oltre a questo, le sue pure convinzioni ortodosse, senza alcun tipo di fanatismo; il suo vivo interesse, ma per la maggior parte invisibile e sconosciuto, per gli affari della nostra Santa Chiesa; i suoi consigli efficaci; le molteplici sfaccettature del suo insegnamento; il suo spirito longanime; la sua profonda devozione; il modo dignitoso di celebrare i sacri servizi,