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P. Seraphim Rose: I Santi Padri della Spiritualità Ortodossa (I)

P. Seraphim Rose di Platina

tratto da: The Orthodox Word , vol. 10, n. 5 (settembre-ottobre 1974), pp. 188-195.

I Santi Padri della Spiritualità Ortodossa

Parte I. L’ispirazione e la guida sicura al vero cristianesimo oggi

Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede… Non lasciatevi sviare da dottrine diverse e peregrine, (Ebrei 13,7- 9)

NON C’È MAI STATA un’epoca di falsi maestri come questo pietoso XX secolo, così ricco di doni materiali e così povero di mente e di anima. Ogni opinione immaginabile, anche la più assurda, anche quelle finora respinte dal consenso universale di tutti i popoli civili, ha ora la sua piattaforma e il suo “maestro”. Alcuni di questi insegnanti vengono con dimostrazioni o promesse di “potere spirituale” e falsi miracoli, come fanno alcuni occultisti e “carismatici”; ma la maggior parte dei maestri contemporanei non offre altro che un debole miscuglio di idee non digerite che hanno ricevuto “dal nulla”, per così dire, o da qualche moderno autoproclamatosi “uomo saggio” (o donna) che ne sa più di tutti gli antichi per il solo fatto di vivere nei nostri “illuminati” tempi moderni. Di conseguenza, la filosofia ha mille scuole e il “cristianesimo” mille sette. Dove si trova la verità in tutto questo, se mai si possa trovare in questi tempi forvianti?

In un solo luogo si trova la fonte del vero insegnamento, proveniente da Dio stesso, non diminuito nei secoli ma sempre fresco, unico in tutti coloro che veramente lo insegnano, conducendo coloro che lo seguono alla salvezza eterna. Questo luogo è la Chiesa Ortodossa di Cristo, la fonte è la grazia dello Spirito Santo, e i veri maestri della dottrina divina che scaturisce da questa fonte sono i Santi Padri della Chiesa Ortodossa.

Ahimè! Quanti pochi cristiani ortodossi lo sanno, e ne sanno abbastanza per bere da questa fonte! Quanti gerarchi contemporanei conducono i loro greggi, non sui veri pascoli dell’anima, i Santi Padri, ma lungo i sentieri rovinosi dei moderni saggi che promettono qualcosa di “nuovo” e si sforzano solo di far dimenticare ai cristiani il vero insegnamento dei Santi Padri, un insegnamento che – è del tutto vero – è del tutto in disaccordo con le false idee che governano i tempi moderni.

L’insegnamento ortodosso dei Santi Padri non è qualcosa di un’epoca, sia “antica” che “moderna”. Esso è stato trasmesso ininterrottamente dal tempo di Cristo e dei suoi Apostoli fino ai giorni nostri, e non c’è mai stato un momento in cui sia stato necessario ritrovare un insegnamento patristico “perduto”. Anche quando molti cristiani ortodossi possono aver trascurato questo insegnamento (come avviene, ad esempio, ai nostri giorni), i suoi veri rappresentanti lo stavano ancora tramandando a coloro che erano affamati di riceverlo. Ci sono state grandi epoche patristiche, come l’epoca folgorante del IV secolo, e ci sono stati periodi di declino nella consapevolezza patristica tra i cristiani ortodossi; ma non c’è stato periodo fin dalla fondazione stessa della Chiesa di Cristo sulla terra in cui la tradizione patristica non guidasse la Chiesa; non c’è stato nessun secolo senza i propri Santi Padri. San Niceta Stethatos, discepolo e biografo di San Simeone il Nuovo Teologo, scrisse: “È stato concesso da Dio che di generazione in generazione non cessi la preparazione da parte dello Spirito Santo dei suoi profeti e amici per l’ordine della sua Chiesa”

È molto istruttivo per noi, ultimi cristiani, prendere guida e ispirazione dai Santi Padri dei nostri tempi e di quelli recenti, coloro che vissero in condizioni simili alle nostre e tuttavia conservarono intatto e immutato lo stesso insegnamento sempre fresco, che non è per un tempo o una razza, ma per tutti i tempi fino alla fine del mondo, e per l’intera razza dei cristiani ortodossi.

Prima di considerare due dei recenti Santi Padri, tuttavia, chiariamo che per noi cristiani ortodossi lo studio dei Santi Padri non è un ozioso esercizio accademico. Gran parte di ciò che ai nostri tempi passa per un “revival patristico” è poco più che un giocattolo per studiosi eterodossi e per i loro imitatori “ortodossi”, nessuno dei quali ha mai “scoperto” una verità patristica per la quale fosse pronto a sacrificare la propria vita. Tale “patrologia” è solo una ricerca razionalista che prende per oggetto l’insegnamento patristico, senza mai comprendere che il genuino insegnamento dei Santi Padri contiene le verità da cui dipende la nostra vita o morte spirituale.

Questi studiosi di pseudo-patristica passano il loro tempo a dimostrare che lo “pseudo-Macario” era un eretico messaliano, senza comprendere o praticare il puro insegnamento ortodosso del vero San Macario il Grande; che lo “pseudo-Dionigi” era un calcolato falsificatore di libri le cui profondità mistiche e spirituali sono totalmente al di là dei suoi accusatori; che la vita completamente cristiana e monastica dei SS. Barlaam e Joasaph, tramandata da San Giovanni Damasceno, non è altro che una “riedizione della storia di Buddha”; e centinaia di favole simili fabbricate da “esperti” per un pubblico credulone che non ha idea dell’atmosfera agnostica in cui tali “scoperte” vengono fatte. Se ci sono seri dubbi scientifici su alcuni testi patristici (e naturalmente ce ne sono), non si risolveranno certo rivolgendosi a questi “esperti”, che sono totalmente estranei alla vera tradizione patristica e si guadagnano da vivere solo a sue spese.

Quando gli studiosi “ortodossi” riprendono l’insegnamento di questi studiosi pseudo-patristici o effettuano le proprie ricerche con lo stesso spirito razionalistico, l’esito può essere tragico; poiché tali studiosi sono considerati da molti come “portavoce dell’Ortodossia” e le loro dichiarazioni razionalistiche come parte di una visione “autenticamente patristica”, ingannando così molti cristiani ortodossi. Padre Alexander Schmemann, ad esempio, mentre finge di liberarsi dalla “cattività occidentale”, immagina di aver dominato completamente la teologia ortodossa nei tempi moderni, nella sua ignoranza della vera tradizione patristica degli ultimi secoli (che si trova più nei monasteri che nelle accademie), diventando in realtà lui stesso prigioniero delle idee razionalistiche protestanti riguardo alla teologia liturgica, come ha ben sottolineato il protopresbitero Michele Pomazansky, un autentico teologo patristico dei nostri giorni [nota: “The Liturgical Theology of Fr. A. Schmemann,” in The Orthodox Word, 1970, no. 6, pp. 260-280]. Purtroppo, uno smascheramento così netto deve ancora essere fatto dello pseudo-studioso dei santi e dei santi padri russi G.P. Fedotov, il quale immagina che san Sergio “fosse il primo santo russo che può essere definito un mistico” (con questo ignorando i quattro secoli di Padri russi altrettanto “mistici” che lo hanno preceduto), cerca inutilmente “l’originalità” nell'”opera letteraria” di San Nilo di Sora (dimostrando così di non comprendere nemmeno il significato della tradizione nell’Ortodossia), calunnia il grande santo ortodosso, Tikhon di Zadonsk, definendolo “il figlio del barocco occidentale piuttosto che l’erede della spiritualità orientale” [nota: Una tesi ampiamente confutata da Nadejda Gorodetsky in Saint Tikhon Zadonsky, Inspirer of Dostoyevsky, SPCK, London, 1951] e con grande artificiosità cerca di fare di San Serafino (che in realtà è così sorprendentemente nella tradizione patristica da essere a malapena distinguibile dai grandi Padri del deserto egiziano) un fenomeno “unicamente russo” che è stato “il primo rappresentante conosciuto di questa classe di anziani spirituali (startsi) in Russia”, il cui “approccio al mondo è senza precedenti nella tradizione orientale” e che è stato “il precursore della nuova forma di spiritualità che dovrebbe succedere al monachesimo meramente ascetico”. [nota: Si vedano le introduzioni di Fedotov agli scritti di questi santi in A Treasury of Russian Spirituality, Sheed & Ward, New York, 1948.]

Purtroppo, le conseguenze di tale pseudo-erudizione spesso si manifestano nella vita reale; le anime ingenue che prendono per vere queste false conclusioni cominciano a lavorare per un “risveglio liturgico” su basi protestanti, trasformano San Serafino (ignorando i suoi insegnamenti “scomodi” sugli eretici, che condivide con tutta la tradizione patristica) in uno yogin indù o un “carismatico”, e in generale si avvicina ai Santi Padri proprio come fa la maggior parte degli studiosi contemporanei, senza reverenza e timore reverenziale, come se fossero sullo stesso livello, come un esercizio di esoterismo o come una sorta di gioco intellettuale, invece che come un guida alla vera vita e alla salvezza.

NON SONO COSÌ I VERI studiosi ortodossi; non è così la vera tradizione patristica ortodossa, dove l’insegnamento genuino e immutabile del vero cristianesimo viene tramandato in successione ininterrotta sia oralmente che attraverso la parola scritta e stampata, da padre spirituale a figlio spirituale, da maestro a discepolo.

Nel XX secolo un vescovo ortodosso si distingue soprattutto per il suo orientamento patristico: l’arcivescovo Teofane di Poltava (+ 1940, 6 febbraio), è uno dei fondatori della libera Chiesa russa fuori dalla Russia, e forse il principale artefice della sua intransigente e tradizionalista ideologia. Negli anni in cui era vicepresidente del Sinodo dei vescovi di questa Chiesa (anni ’20), era ampiamente riconosciuto come il più patristico di tutti i teologi russi all’estero. Negli anni ’30 si ritirò in totale isolamento per diventare un secondo Teofane il Recluso; e da allora è stato, purtroppo, in gran parte dimenticato. Fortunatamente, la sua memoria è stata custodita con sacralità dai suoi discepoli e seguaci, e negli ultimi mesi uno dei suoi principali discepoli, l’arcivescovo Averky del Monastero della Santissima Trinità a Jordanville, New York, ha pubblicato la sua biografia insieme ad alcuni suoi sermoni. [nota: una sua breve vita in inglese si può leggere in The Orthodox Word, 1969, n. 5]. In questi sermoni si vede chiaramente il timore reverenziale e il rispetto del vescovo nei confronti dei santi Padri, il suo discepolato verso di loro e la sua straordinaria umiltà che sarà appagata solo quando non trasmetterà nulla di suo ma solo le idee e le stesse parole dei Santi Padri. Così, in un sermone della domenica di Pentecoste, dice: “L’insegnamento della Santissima Trinità è il culmine della teologia cristiana. Perciò non presumo di esporre questo insegnamento con parole mie, ma lo espongo con le parole del teologi santi e devoti e grandi Padri della Chiesa: Atanasio il Grande, Gregorio il Teologo e Basilio il Grande. Mie sono solo le labbra, ma loro le parole e i pensieri. Essi presentano il pasto divino, e io sono solo il servitore del loro banchetto divino”.

In un altro sermone, l’arcivescovo Teofane spiega le ragioni del suo auto-cancellamento davanti ai Santi Padri – una caratteristica così tipica dei grandi trasmettitori dell’insegnamento patristico, anche dei grandi teologi e a pieno titolo come l’arcivescovo Teofane, ma che è così palesemente fraintesa dagli studiosi mondani come una “mancanza di originalità”. Nela sua omelia sulla Domenica dei Santi Padri del Sesto Concilio Ecumenico, tenuta nel 1928 a Varna, in Bulgaria, offre ai fedeli “una parola sul significato dei Santi Padri e Maestri della Chiesa per noi cristiani. In che cosa consiste la loro grandezza e da che cosa dipende il loro speciale significato per noi? La Chiesa, fratelli, è la casa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità (I Tim 3,15). La verità cristiana è conservata nella Chiesa nella Sacra Scrittura e nella Sacra Tradizione; ma richiede una corretta conservazione e una corretta interpretazione. Il significato dei Santi Padri sta proprio in questo: che essi sono i più capaci custodi e interpreti di questa verità in virtù della santità della loro vita, della profonda conoscenza della Parola di Dio e dell’abbondanza della grazia dello Spirito Santo che abita in loro”. Il resto di questo sermone non è composto da altro che da citazioni degli stessi Santi Padri (i santi Atanasio il Grande, Basilio il Grande, Simeone il Nuovo Teologo, Niceta Stethatos) a sostegno di questa tesi.

L’ultimo Santo Padre che l’Arcivescovo Teofane cita, a lungo, nella sua omelia, è uno a lui vicino nel tempo, un suo predecessore nella trasmissione dell’autentica tradizione patristica in Russia: il Vescovo Ignazio Brianchaninov. Egli ha un doppio significato per noi oggi: non solo è un Santo Padre quasi dei nostri tempi, ma anche la sua ricerca della verità è molto simile a quella dei sinceri cercatori di verità di oggi, e ci mostra quindi come sia possibile per l'”uomo moderno illuminato” allontanarsi dalla schiavitù prevalente delle idee e dei modi di pensare moderni ed entrare di nuovo nell’atmosfera pura delle idee e dei modi di pensare patristici, cioè dei veri cristiani ortodossi. È estremamente stimolante per noi leggere, nelle parole dello stesso vescovo Ignazio, come un ingegnere militare abbia rotto i legami del “sapere moderno” e sia entrato nella tradizione patristica, che ricevette, oltre che dai libri, direttamente da un discepolo del beato Paisius Velichkovsky, e che ha tramandato fino ai nostri giorni.

“Quando ero ancora studente”, l’arcivescovo Teofane cita il vescovo Ignazio [nota: dal volume I delle Opere raccolte del vescovo Ignazio in russo, pp. 396-40l] , “non c’erano divertimenti o distrazioni per me! Il mondo non offriva nulla di allettante per me. La mia mente era completamente immersa nelle scienze, e allo stesso tempo ardevo dal desiderio di scoprire dov’era la vera fede, dov’era il suo vero insegnamento, estraneo agli errori sia dogmatici che morali.

“Allo stesso tempo si presentavano già al mio sguardo i confini della conoscenza umana nelle scienze più alte e pienamente sviluppate. Giunto a questi confini, chiesi alle scienze: ‘Che cosa date che un uomo possa chiamare suo? L’uomo è eterno e ciò che è suo deve essere eterno. Mostratemi questo possesso eterno, questa vera ricchezza, che potrei portare con me oltre la tomba! Finora ho visto solo conoscenze che finiscono con la terra, che non possono esistere dopo la separazione dell’anima dal corpo”.

“Il giovane in ricerca si informa a sua volta su matematica, fisica, chimica, filosofia, dimostrando di conoscerle a fondo; poi su geografia, geodesia, nautica, letteratura; ma scopre che sono tutte cose della terra. In risposta a tutte le sue angosciose domande ricevette la stessa risposta che analoghi cercatori ricevono nel nostro ancor più “illuminato” XX secolo: “Le scienze sono silenti”.

Allora, «per una risposta soddisfacente, una risposta veramente necessaria e viva, mi sono rivolto alla fede. Ma dove sei nascosta, o fede vera e santa? Non potevo riconoscerti nel fanatismo [papismo] che non era sigillato dalla mitezza evangelica; respirava passione e magnanimità! Non potevo riconoscerti nell’insegnamento arbitrario [il protestantesimo] che si separò dalla Chiesa, inventando un proprio nuovo sistema, proclamando invano e orgogliosamente la scoperta di una nuova, vera fede cristiana, dopo circa diciotto secoli dall’incarnazione del Verbo di Dio! Oh! In quale grave perplessità era la mia anima! Come era spaventosamente gravata! Quali ondate di dubbio si sollevavano contro di essa, nascendo dalla sfiducia in me stesso, dalla sfiducia in tutto ciò che gridava, gridava intorno a me a causa della mia ignoranza, della mia non conoscenza della verità.

«E cominciavo spesso, con le lacrime, a supplicare Dio che non mi abbandonasse in sacrificio all’errore, ma che mi indicasse la retta via sulla quale dirigere il mio invisibile cammino della mente e del cuore verso di Lui. “Oh meraviglia! All’improvviso mi si presentò un pensiero… Il mio cuore si sentì commosso come all’abbraccio di un amico. Questo pensiero mi ispirò a studiare la fede nelle fonti, negli scritti dei Santi Padri! “La loro santità, ‘ il pensiero mi disse: ‘garantisce la loro affidabilità: sceglili per le tue guide.’ Ubbidii, trovai il modo di procurarmi le opere dei santi di cui Dio si è compiaciuto, e con ansia cominciai a leggerle, a indagarle profondamente, e dopo averne lette alcune, ne riprendevo altre, le leggevo, le rileggevo, le studiavo. Cosa mi ha colpito più di tutto nelle opere dei Padri della Chiesa Ortodossa? Era la loro armonia, la loro meravigliosa, magnifica, armonia. Diciotto secoli, attraverso le loro labbra, hanno testimoniato un unico Insegnamento unanime, un insegnamento Divino!

“Quando in una limpida notte d’autunno guardo il caro cielo, seminato d’innumerevoli stelle, così diverse in grandezza eppure spargenti una sola luce, allora mi dico: tali sono gli scritti dei Padri! Quando in un giorno d’estate guardo nel vasto mare, coperto da una moltitudine di navi diverse con le vele spiegate come ali di cigni bianchi, navi che corrono sotto un unico vento verso un’unica meta, verso un unico porto, mi dico: tali sono gli scritti dei Padri. Quando ascolto un coro armonioso, a più voci, in cui diverse voci in elegante armonia cantano un unico canto divino, allora mi dico: tali sono gli scritti dei Padri!

«E quale insegnamento trovo in essi? Trovo un insegnamento ripetuto da tutti i Padri, e cioè che l’unica via per la salvezza è l’adesione costante alle indicazioni dei Santi Padri. ‘Hai visto’, dicono, ‘ qualcuno che, ingannato da un falso insegnamento, è perito a causa di un’errata scelta di fatiche ascetiche? – sappia allora che ha seguito se stesso, il proprio intelletto, le proprie opinioni e non l’insegnamento dei Padri (Abba Doroteo, Quinta Istruzione), da cui è composta la tradizione dogmatica e morale della Chiesa e con questa Tradizione, come bene inestimabile, la Chiesa nutre i suoi figli.

“Questo pensiero mi è stato inviato da Dio, dal quale viene ogni buon dono, dal quale un buon pensiero è il principio di ogni cosa buona… Questo pensiero è stato per me il primo porto nella terra della verità. Qui la mia anima ha trovato riposo dalle onde e dai venti. Questo pensiero divenne la prima pietra per l’edificio spirituale della mia anima. Questo pensiero divenne la mia stella polare. Cominciò a illuminarmi costantemente il sentiero molto difficile e sofferente, stretto e invisibile della mente e del cuore verso Dio. Ho guardato il mondo religioso con questo pensiero, e ho visto: la causa di tutti gli errori consiste nell’ignoranza, nella dimenticanza, nell’assenza di questo pensiero.

“La lettura dei Padri mi convinse chiaramente che la salvezza nel seno della Chiesa ortodossa russa era indubbia, cosa di cui le religioni dell’Europa occidentale sono prive, poiché non hanno conservato per intero né l’insegnamento dogmatico né quello morale della Chiesa di Cristo fin dal suo inizio. Mi ha rivelato ciò che Cristo ha fatto per l’umanità, in cosa consiste la caduta dell’uomo, perché era necessario un Redentore, in cosa consiste la salvezza procurata dal Redentore. Mi ha inculcato che bisogna sviluppare, percepire, vedere la salvezza in se stessi, senza la quale la fede in Cristo è morta e il cristianesimo è semplicemente una parola e un nome se non è messo in pratica! Mi ha insegnato a guardare all’eternità come eternità, di fronte alla quale mille anni di vita terrena non sono nulla, per non parlare della nostra vita che si misura in mezzo secolo, mi ha insegnato che la vita terrena deve portare a prepararsi all’eternità… Mi ha mostrato che tutte le occupazioni terrene, i piaceri, gli onori, la preminenza sono giocattoli vuoti, con i quali i bambini cresciuti giocano e nei quali perdono la beatitudine dell’eternità… Tutto questo i Santi Padri lo espongono con piena chiarezza nei loro scritti sacralmente splendidi”.

L’arcivescovo Teofano conclude la sua esortazione patristica con questo appello: “Fratelli, questo buon pensiero [il prendere come guida i Santi Padri] sia la vostra stella guida anche nei giorni del vostro pellegrinaggio terreno sulle onde del mare della vita!”.

La verità di questo appello, come delle ispirate parole del vescovo Ignazio, non si è affievolita nei decenni trascorsi da quando sono state pronunciate. Il mondo si è incamminato sulla via dell’apostasia dalla Verità cristiana e diventa sempre più chiaro che non c’è alternativa a questa via se non quella di seguire il cammino intransigente della verità che i Santi Padri ci hanno tramandato.

Ma dobbiamo rivolgerci ai Santi Padri non solo per “conoscerli”; se non facciamo che questo non siamo in condizioni migliori degli oziosi disputanti delle accademie morte di questa civiltà moderna in via di estinzione, anche quando queste accademie sono “ortodosse” e i dotti teologi in esse definiscono e spiegano chiaramente tutto sulla “santità” e sulla “spiritualità” e sulla “theosis“, ma non hanno l’esperienza necessaria per parlare direttamente al cuore delle anime assetate e indurle a desiderare la via della lotta spirituale, né la conoscenza per individuare l’errore fatale dei “teologi” accademici che parlano di Dio con la sigaretta o il bicchiere di vino in mano, né il coraggio di accusare i gerarchi “canonici” apostati del loro tradimento di Cristo. Dobbiamo andare ai Santi Padri, per diventare loro discepoli, ricevere l’insegnamento della vera vita, della salvezza dell’anima, pur sapendo che così facendo perderemo il favore di questo mondo e ne diventeremo emarginati. Se faremo così troveremo la via d’uscita dalla confusa palude del pensiero moderno, che si fonda proprio sull’abbandono del sacro insegnamento dei Padri. Scopriremo che i Santi Padri sono più “contemporanei” nel senso che parlano direttamente alla lotta del cristiano ortodosso oggi, dando risposte alle domande cruciali della vita e della morte che la semplice erudizione accademica di solito ha paura anche di chiedere – e quando le pone dà una risposta innocua che “spiega” queste domande a chi è semplicemente curioso, ma non è assetato di risposte. Troveremo la vera guida dei Padri, imparare l’umiltà e la diffidenza verso la nostra vana saggezza mondana, che abbiamo risucchiato con l’aria di questi tempi pestilenti, attraverso la fiducia in coloro che hanno compiaciuto Dio e non il mondo. Troveremo in loro dei veri padri, così carenti ai nostri giorni, quando l’amore di molti si è raffreddato (Matteo 24,12), padri il cui unico scopo è condurre noi, loro figli, a Dio e al Suo Regno Celeste, dove noi cammineremo e converseremo con questi uomini angelici in gioia indicibile per sempre.

Non c’è problema dei nostri tempi confusi che non possa trovare la sua soluzione in una lettura attenta e riverente dei Santi Padri: sia il problema delle sette e delle eresie oggi abbondanti, sia quello degli scismi e delle “giurisdizioni”; sia la pretesa di vita spirituale portata avanti dal “risveglio carismatico”, sia le sottili tentazioni del comfort e della comodità moderni; che si tratti di complesse questioni filosofiche come “l’evoluzione” o di semplici questioni morali come l’aborto, l’eutanasia e il “controllo delle nascite”; se la raffinata apostasia del “sergianesimo”, che propone un’organizzazione ecclesiastica al posto del Corpo di Cristo, o la crudezza del “rinnovazionismo”, che inizia con la “revisione del calendario” e termina con il “protestantesimo di rito orientale”. In tutte queste questioni i Santi Padri, e i nostri Padri viventi che li seguono, sono la nostra unica guida sicura.

Il vescovo Ignazio e altri Padri recenti hanno indicato per noi ultimi cristiani quali sono i Santi Padri più importanti da leggere e in quale ordine. Queste indicazioni saranno fornite insieme all’insegnamento dei Santi Padri e alle informazioni sulle traduzioni in inglese dei Padri, nei prossimi numeri di The Orthodox Word. Possa questo essere un’ispirazione per tutti noi nel porre l’insegnamento patristico come prima pietra dell’edificazione della nostra anima, per l’eredità della vita eterna! Amen.

ENGLISH VERSION

The Holy Fathers of Orthodox Spirituality

Part I. The Inspiration and Sure Guide to True Christianity Today

Remember your instructors, who have spoken the word of God to you, whose faith follow, considering the end of their life… Be not led away with various and strange doctrines. (Hebrews 13:7, 9)

NEVER HAS THERE BEEN such an age of false teachers as this pitiful 20th century, so rich in material gadjets and so poor in mind and soul. Every conceivable opinion, even the most absurd, even those hitherto rejected by the universal consent of all civilized peoples—now has its platform and its own “teacher.” A few of these teachers come with demonstration or promise of “spiritual power” and false miracles, as do some occultists and ” charismatics”; but most of the contemporary teachers offer no more than a weak concoction of undigested ideas which they received “out of the air,” as it were, or from some modern self-appointed “wise man” (or woman) who knows more than all the ancients merely by living in our “enlightened” modern times. As a result, philosophy has a thousand schools and “Christianity” a thousand sects. Where is the truth to be found in all this, if indeed it is to be found at all in our most misguided times?

In only one place is there to be found the fount of true teaching, coming from God Himself, not diminished over the centuries but ever fresh, being one and the same in all those who truly teach it, leading those who follow it to eternal salvation. This place is the Orthodox Church of Christ, the fount is the grace of the All-Holy Spirit, and the true teachers of the Divine doctrine that issues from this fount are the Holy Fathers of the Orthodox Church.

Alas! How few Orthodox Christians know this, and know enough to drink from this fount! How many contemporary hierarchs lead their flocks, not on the true pastures of the soul, the Holy Fathers, but along the ruinous paths of modern wise men who promise something “new” and strive only to make Christians forget the true teaching of the Holy Fathers, a teaching which—it is quite true—is entirely out of harmony with the false ideas which govern modern times.

The Orthodox teaching of the Holy Fathers is not something of one age, whether “ancient” or “modern.” It has been transmitted in unbroken succession from the time of Christ and His Apostles to the present day, and there has never been a time when it was necessary to discover a “lost” patristic teaching. Even when many Orthodox Christians may have neglected this teaching (as is the case, for example, in our own day), its true representatives were still handing it down to those who hungered to receive it. There have been great patristic ages, such as the dazzling epoch of the fourth century, and there have been periods of decline in patristic awareness among Orthodox Christians; but there has been no period since the very foundation of Christ’s Church on earth when the Patristic tradition was not guiding the Church; there has been no century without Holy Fathers of its own. St. Nicetas Stethatos, disciple and biographer of St. Simeon the New Theologian, has written; “It has been granted by God that from generation to generation there should not cease the preparation by the Holy Spirit of His prophets and friends for the order of His Church.”

Most instructive is it for us, the last Christians, to take guidance and inspiration from the Holy Fathers of our own and recent times, those who lived in conditions similar to our own and yet kept undamaged and unchanged the same ever-fresh teaching, which is not for one time or race, but for all times to the end of the world, and for the whole race of Orthodox Christians.

Before looking at two of the recent Holy Fathers, however, let us make clear that for us, Orthodox Christians, the study of the Holy Fathers is not an idle academic exercise. Much of what passes for a ”patristic revival” in our times is scarcely more than a plaything of heterodox scholars and their “Orthodox” imitators, not one of whom has ever “discovered” a patristic truth for which he was ready to sacrifice his life. Such “patrology” is only rationalist scholarship which happens to take patristic teaching for its subject, without ever understanding that the genuine teaching of the Holy Fathers contains the truths on which our spiritual life or death depends.

Such pseudo-patristic scholars spend their time proving that “pseudo-Macarius” was a Messalian heretic, without understanding or practicing the pure Orthodox teaching of the true St. Macarius the Great; that “pseudo-Dionysius” was a. calculated forger of books whose mystical and spiritual depths are totally beyond his accusers; that the thoroughly Christian and monastic life of Sts. Barlaam and Joasaph, handed down by St. John Damascene, is nothing but a “retelling of the Buddha story”; and a hundred similar fables manufactured by “experts” for a gullible public which has no idea of the agnostic atmosphere in which such “discoveries” are made. Where there are serious scholarly questions concerning some patristic texts (which, of course, there are), they will certainly not be resolved by referring them to such “experts,” who are total strangers to the true patristic tradition, and only make their living at its expense.

When “Orthodox” scholars pick up the teaching of these pseudo-patristic scholars or make their own researches in the same rationalistic spirit, the outcome can be tragic; for such scholars are taken by many to be “spokesmen for Orthodoxy,” and their rationalistic pronouncements to be part of an “authentically patristic” outlook, thus deceiving many Orthodox Christians. Father Alexander Schmemann, for example, while pretending to set himself free from the “Western captivity” which, in his ignorance of the true Patristic tradition of recent centuries (which is to be found more in the monasteries than in the academies), he fancies to have completely dominated Orthodox theology in modern times, has himself become the captive of Protestant rationalistic ideas concerning liturgical theology, as has been well pointed out by Protopresbyter Michael Pomazansky, a genuine Patristic theologian of today. [1] Unfortunately, such a clear unmasking has yet to be made of the pseudo-scholar of Russian Saints and Holy Fathers, G. P. Fedotov, who imagines that St. Sergius “was the first Russian saint who can be termed a mystic” (thereby ignoring the four centuries of equally “mystical” Russian Fathers who preceded him), looks pointlessly for “originality” in the “literary work” of St. Nilus of Sora (thus showing that he does not even understand the meaning of tradition in Orthodoxy), slanders the great Orthodox Saint, Tikhon of Zadonsk, as “the son of the Western Baroque rather than the heir of Eastern spirituality,” [2] and with great artificiality tries to make St. Seraphim (who is actually so stunningly in the patristic tradition that he is scarcely to be distinguished from the great Fathers of the Egyptian desert) into some “uniquely Russian” phenomenon who was “the first known representative of this class of spiritual elders (startsi) in Russia,” whose “approach to the world is unprecedented in the Eastern tradition,” and who was “the forerunner of the new form of spirituality which should succeed merely ascetical monasticism.” [3]

Lamentably, the consequences of such pseudo-scholarship often appear in real life; gullible souls who take these false conclusions for genuine begin to work for a “liturgical revival” on Protestant foundations, transform St. Seraphim (ignoring his “inconvenient” teachings regarding heretics, which he shares with the whole patristic tradition) into a Hindu yogin or a “charismatic,” and in general approach the Holy Fathers just as do most contemporary scholars—without reverence and awe, as though they were on the same level, as an exercise in esotericism or as some kind of intellectual game, instead of as a guide to true life and salvation.

NOT SO ARE TRUE Orthodox scholars; not so is the true Orthodox patristic tradition, where the genuine, unchanging teaching of true Christianity is handed down in unbroken succession both orally and by the written and printed word, from spiritual father to spiritual son, from teacher to disciple.

In the 20th century one Orthodox hierarch stands out especially for his patristic orientation—Archbishop Theophan of Poltava (+ 1940, February 6), one of the founders of the free Russian Church Outside of Russia, and perhaps the chief architect of her uncompromising and traditionalist ideology. In the years when he was vice-chairman of the Synod of Bishops of this Church (1920’s), he was widely acknowledged as the most patristically-minded of all the Russian theologians abroad. In the 1930’s he retired into total seclusion to become a second Theophan the Recluse; and since then he has been, sadly, very largely forgotten. Fortunately, his memory has been sacredly kept by his disciples and followers, and in recent months one of his leading disciples, Archbishop Averky of Holy Trinity Monastery at Jordanville, New York, has published his biography together with a number of his sermons. [4] In these sermons may be clearly seen the hierarch’s awe and reverence before the Holy Fathers, his discipleship toward them, and his surpassing humility which will be content only when he is transmitting nothing of his own but only the ideas and the very words of the Holy Fathers. Thus, in a sermon on Pentecost Sunday he says: “The teaching of the Holy Trinity is the pinnacle of Christian theology. Therefore I do not presume to set forth this teaching in my own words, but I set it forth in the words of the holy and Godbearing theologians and great Fathers of the Church: Athanasius the Great, Gregory the Theologian, and Basil the Great. Mine only are the lips, but theirs the words and thoughts. They present the Divine meal, and I am only the servant of their Divine banquet.”

In another sermon, Archbishop Theophan gives the reasons for his self-effacement before the Holy Fathers—a characteristic so typical of the great transmitters of Patristic teaching, even great theologians in their own right such as Archbishop Theophan, but which is so glaringly misinterpreted by worldly scholars as a “lack of originality.” In his sermon on the Sunday of the Holy Fathers of the Sixth Ecumenical Council, given in 1928 in Varna, Bulgaria, he offers to the faithful “a word on the significance of the Holy Fathers and Teachers of the Church for us Christians. In what does their greatness consist, and on what does their special significance for us depend? The Church, brethren, is the house of the living God, the pillar and ground of the truth (ITim. 3:15). Christian truth is preserved in the Church in Holy Scripture and Holy Tradition; but it requires a correct preservation and a correct interpretation. The significance of the Holy Fathers is to be found precisely in this: that they are the most capable preservers and interpreters of this truth by virtue of the sanctity of their lives, their profound knowledge of the word of God, and the abundance of the grace of the Holy Spirit which dwells in them.” The rest of this sermon is composed of nothing but quotes from the Holy Fathers themselves (Sts. Athanasius the Great, Basil the Great, Simeon the New Theologian, Nicetas Stethatos) to support this view.

The final Holy Father whom Archbishop Theophan quotes, at great length, in his sermon, is one close to him in time, a predecessor of his in the transmission of the authentic patristic tradition in Russia—Bishop Ignatius Brianchaninov. He has a double significance for us today: not only is he a Holy Father of almost our own times, but also his search for truth is very similar to that of sincere truth-seekers today, and he thus shows us how it is possible for the “enlightened modern man” to turn away from the prevailing slavery to modern ideas and modes of thought, and enter once again the pure atmosphere of patristic—that is, true Orthodox Christian ideas and ways of thinking. It is extremely inspiring for us to read, in the words of Bishop Ignatius himself, how a military engineer burst the bonds of “modern knowledge” and entered the patristic tradition, which he received, in addition to books, directly from a disciple of Blessed Paisius Velichkovsky, and handed down to our own day.

“When I was still a student,” Archbishop Theophan quotes Bishop Ignatius, [5] “there were no enjoyments or distractions for me! The world presented nothing enticing for me. My mind was entirely immersed in the sciences, and at the same time I was burning with the desire to find out where was the true faith, where was the true teaching of it, foreign to errors both dogmatic and moral.

“At the same time there was already presented to my gaze the boundaries of human knowledge in the highest, fully developed sciences. Coming to these boundaries, I asked of the sciences: ‘What do you give that a man may call his own? Man is eternal, and what is his own should be eternal. Show me this eternal possession, this true wealth, which I might take with me beyond the grave! Up to now I see only knowledge which ends with the earth, which cannot exist after the separation of the soul from the body.”

The searching youth inquired in turn of mathematics, physics, chemistry, philosophy, showing his profound knowledge of them; then of geography, geodesy, lan. guages, literature; but he finds that they are all of the earth. In answer to all his agonized questioning he received the same reply similar searchers receive in our even more “enlightened” 20th century: “The sciences were silent.”

Then, “for a satisfactory answer, a truly necessary and living answer, I turned to faith. But where are you hidden, O true and holy Faith? I could not recognize you in fanaticism [Papism] which was not sealed with the Gospel meekness; it breathed passion and high-mindedness! I could not recognize you in the arbitrary teaching [Protestantism] which separated from the Church, making up its own new system, vainly and pridefully proclaiming the discovery of a new, true Christian faith, after a lapse of eighteen centuries from the Incarnation of God the Word! Oh! In what a heavy perplexity my soul was! How frightfully it was weighed down! What waves of doubt rose up against it, arising from distrust of myself, from distrust of everything that was clamoring, crying out around me because of my lack of knowledge, my ignorance of the truth.

“And I began often, with tears, to implore God that He might not give me over as a sacrifice to error, but that He might show me the right path on which I should direct towards Him my invisible journey of mind and heart. And, O wonder! Suddenly a thought stood before me… My heart went out to it as to the embrace of a friend. This thought inspired me to study faith in the sources—in the writings of the Holy Fathers! ‘Their holiness,’ the thought said to me, ‘vouches for their trustworthiness: choose them for your guides.’ I obeyed. I found means of obtaining the works of the holy pleasers of God, and in eagerness I began to read them, investigate them deeply. Having read some, I would take up others, read them, re-read them, study them. What was it that above all else struck me in the works of the Fathers of the Orthodox Church? It was their harmony, their wondrous, magnificent, harmony. Eighteen centuries, through their lips, testified to a single unanimous Teaching, a Divine teaching!

“When on a clear autumn night I gaze at the dear sky, sown with numberless stars, so diverse in size yet shedding a single light, then I say to myself: such are the writings of the Fathers! When on a summer day I gaze at the vast sea, covered with a multitude of diverse vessels with their unfurled sails like white swans’ wings, vessels racing under a single wind to a single goal, to a single harbor, I say to myself: such are the writings of the Fathers! When I hear a harmonious, many-voiced choir, in which diverse voices in elegant harmony sing a single Divine song, then I say to myself: such are the writings of the Fathers!

“And what teaching do I find in them? I find a teaching repeated by all the Fathers, namely, that the only path to salvation is the unwavering following of the instructions of the Holy Fathers. ‘Have you seen,’ they say, ‘anyone deceived by false teaching, perishing from an incorrect choice of ascetic labors?—then know that he followed himself, his own understanding, his own opinions, and not the teaching of the Fathers’ (Abba Dorotheus, Fifth Instruction), out of which is composed the dogmatic and moral tradition of the Church. With this Tradition as a priceless possession, the Church nourishes her children.

“This thought was sent by God, from Whom is every good gift, from Whom a good thought is the beginning of every good thing… This thought was for me the first harbor in the land of truth. Here my soul found rest from the waves and winds. This thought became the foundation stone for the spiritual building of my soul. This thought became my guiding star. It began constantly to illumine for me the very difficult and much-suffering, narrow, invisible path of the mind and heart toward God. I looked at the religious world with this thought, and I saw: the cause of all errors consists in ignorance, in forgetfulness, in the absence of this thought.

“The reading of the Fathers clearly convinced me that salvation in the bosom of the Orthodox Russian Church was undoubted, something of which the religions of Western Europe are deprived, since they have not preserved whole either the dogmatic or the moral teaching of the Church of Christ from her beginning. It revealed to me what Christ has done for mankind, in what consists the fall of man, why a Redeemer was necessary, in what consists the salvation procured by the Redeemer. It inculcated in me that one must develop, sense, see salvation in oneself, without which faith in Christ is dead, and Christianity is a word and a name without being put into effect! It instructed me to look upon eternity as eternity, before which a Thousand years of earthly life is nothing, let alone our life which is measured by some half a century, It instructed me that earthly life must lead to preparation for eternity… It showed me that all earthly occupations, enjoyments, honors, pre-eminence are empty toys, with which grown-up children play and in which they lose the blessedness of eternity… All this the Holy Fathers set forth with complete clarity in their sacredly splendid writings.”

Archbishop Theophan concludes his Patristic exhortation with this appeal: “Brethren, let this good thought [the taking of the Holy Fathers as our guide] be your guiding star also in the days of your earthly pilgrimage on the waves of the sea of life!”

The truth of this appeal, as of the inspired words of Bishop Ignatius, has not dimmed in the decades since they were uttered. The world has gone forth on the path of apostasy from Christian Truth, and it becomes ever more clear that there is no alternative to this path save that of following the uncompromising path of truth which the Holy Fathers have handed down to us.

Yet we must go to the Holy Fathers not merely to “learn about them”; if we do no more than this we are in no better state than the idle disputants of The dead academies of this perishing modern civilization, even when these academies are “Orthodox” and the learned theologians in them neatly define and explain all about “sanctity” and “spirituality” and “theosis,” but have not the experience needed to speak straight to the heart of thirsting souls and wound them into desiring the path of spiritual struggle, nor the knowledge to detect the fatal error of the academic “theologians” who speak of God with cigarette or wineglass in hand, nor the courage to accuse the apostate “canonical” hierarchs of their betrayal of Christ. We must go to the Holy Fathers, rather, in order to become their disciples, to receive the teaching of true life, the soul’s salvation, even while knowing that by doing this we shall lose the favor of this world and become outcasts from it. If we do this we shall find the way out of the confused swamp of modern thought, which is based precisely upon abandonment of the sacred teaching of the Fathers. We shall find that the Holy Fathers are most “contemporary” in that they speak directly to the struggle of the Orthodox Christian today, giving answers to the crucial questions of life and death which mere academic scholarship is usually afraid even to ask—and when it does ask them, gives a harmless answer which “explains” these questions to those who are merely curious about them, but are not thirsting for answers. We shall find true guidance from the Fathers, learning humility and distrust of our own vain worldly wisdom, which we have sucked in with the air of these pestilential times, by means of trusting those who have pleased God and not the world. We shall find in them true fathers, so lacking in our own day when the love of many has grown cold (Matt. 24:12)—fathers whose only aim is to lead us their children to God and His Heavenly Kingdom, where we shall walk and converse with these angelic men in unutterable joy forever.

There is no problem of our own confused times which cannot find its solution by a careful and reverent reading of the Holy Fathers: whether the problem of the sects and heresies that abound today, or the schisms and “jurisdictions”; whether the pretense of spiritual life put forth by the “charismatic revival,” or the subtle temptations of modern comfort and convenience; whether complex philosophical questions such as “evolution,” or the straightforward moral questions of abortion, euthanasia, and “birth control”; whether the refined apostasy of “Sergianism,” which offers a church organization in place of the Body of Christ, or the crudeness of “renovationism,” which begins by “revising the calendar” and ends in “Eastern-rite Protestantism.” In all these questions the Holy Fathers, and our living Fathers who follow them, are our only sure guide.

Bishop Ignatius and other recent Fathers have indicated for us last Christians which Holy Fathers are the most important for us to read, and in what order. These indications will be given together with the teaching of the Holy Fathers, and information on English translations of the Fathers, in future issues of The Orthodox Word. May this be an inspiration to us all to place the Patristic teaching as the foundation stone of the building of our own souls, unto the inheritance of everlasting life! Amen.




San Giovanni Crisostomo, Sul Vangelo di Matteo, Omelia 3

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Omelia 3

Matt. I. 1.

“Libro della generazione di Gesù Cristo, Figlio di Davide, Figlio di Abramo”.

Ecco il terzo discorso, e non abbiamo ancora terminato le premesse. Non per nulla dissi che è nella natura di questi pensieri avere una grande profondità.

Su, dunque, parliamo oggi di ciò che resta. Che cos’è dunque che ci domandiamo ora? Perché viene tracciata la genealogia di Giuseppe, che non ha avuto parte alla nascita? Una causa l’abbiamo già menzionata; ma è necessario menzionare anche l’altra, quella più mistica e segreta della prima. Qual è dunque questa? Egli non vuole che al momento della nascita sia manifesto ai Giudei che Cristo è nato da una vergine.

Non turbatevi per la stranezza dell’affermazione, perché non è una mia affermazione, ma dei nostri Padri, uomini meravigliosi e illustri. Infatti, se Egli ha dissimulato molte cose fin dall’inizio, chiamandosi Figlio dell’uomo e non ci ha rivelato ovunque e chiaramente neppure la sua uguaglianza con il Padre, perché vi meravigliate che abbia mascherato per un certo tempo anche questo, in ordine al raggiungimento di un certo scopo grande e meraviglioso? Inoltre, l’avrebbero condannata per adulterio. Infatti, se per quanto riguarda le altre questioni, per le quali esistevano frequenti precedenti anche nell’antico ordinamento, erano abbastanza sfacciati nella loro ostinazione (infatti, poiché aveva scacciato i demoni, lo chiamavano indemoniato; e poiché guariva in giorno di sabato, lo ritenevano un avversario di Dio; eppure spesso anche prima di ciò il sabato era stato infranto), che cosa non avrebbero detto, se questo fosse stato rivelato loro? Tanto più che avevano dalla loro parte tutto il tempo precedente, che non aveva mai prodotto nulla di simile. Infatti, se dopo tanti miracoli lo chiamavano ancora figlio di Giuseppe, come avrebbero potuto credere, prima dei miracoli, che fosse nato da una vergine?

È per questo motivo che Giuseppe ha la sua genealogia e la Vergine gli è stata promessa in sposa. Infatti, se persino lui, che era un uomo giusto e meravigioso, ebbe bisogno di molte prove per accettare ciò che era avvenuto – un angelo, la visione in sogno e la testimonianza dei profeti – come avrebbero potuto i Giudei, ottusi e depravati e di spirito così ostile nei suoi confronti, ammettere questa idea nella loro mente? Infatti, la stranezza e la novità della cosa li avrebbero sicuramente turbati molto e il fatto che non avessero mai sentito parlare di una cosa simile ai tempi dei loro antenati. Infatti, come l’uomo che fosse stato convinto che Egli fosse Figlio di Dio, da quel momento non avrebbe avuto motivo di dubitare anche di questo; così colui che lo riteneva un ingannatore e un avversario di Dio, come avrebbe potuto non essere ancora più offeso da questo, ed essere indotto alla convinzione opposta? Per questo motivo gli apostoli non parlano direttamente di tutto ciò, mentre parlano molto spesso della sua risurrezione (perché di questo c’erano stati esempi nei tempi precedenti, anche se non come questa); che Egli sia nato da una vergine non lo esprimono sempre: anzi, nemmeno sua madre si azzardò a dirlo. Si veda, ad esempio, cosa dice la Vergine anche a sé stessa: “Ecco, tuo padre e io ti abbiamo cercato” (Lc 2,48). Se si fosse nutrito questo sospetto, infatti, non si sarebbe più ritenuto che Egli fosse Figlio di Davide e se non ci fosse stata questa opinione, sarebbero sorti molti altri mali. Per questo motivo, gli angeli non dicono queste cose a tutti, ma solo a Maria e a Giuseppe; ma quando mostrarono ai pastori la lieta novella di ciò che era avvenuto, non aggiunsero anche questo.

2. Ma perché, dopo aver menzionato Abramo e aver detto che egli generò Isacco e Isacco Giacobbe, e non fa’ alcuna menzione di suo fratello, quando arriva a Giacobbe, si ricorda di Giuda e dei suoi fratelli? Alcuni dicono che è stato a causa della perversione di Esaù e degli altri che l’hanno preceduto. Ma io non direi questo, perché se fosse così, come mai poco dopo menziona quelle donne? È per contrasto, è in questo luogo che si manifesta la sua gloria, non avendo grandi antenati, ma bassi e di poco conto. Perché per l’eccelso è una grande gloria potersi abbassare molto. Perché allora non li ha menzionati? Perché i Saraceni, gli Ismaeliti, gli Arabi e tutti coloro che discendono da questi antenati non hanno nulla in comune con la razza degli Israeliti. Per questo motivo li passa sotto silenzio e si affretta a passare ai suoi antenati e a quelli del popolo ebraico. Per questo dice: “Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli”. Perché a questo punto la razza degli Ebrei comincia ad avere il suo marchio peculiare.

3. E Giuda generò Phares e Zara da Thamar. (Mt 1,3) Cosa fai tu, o uomo, ricordandoci una storia che contiene un rapporto illecito? Ma perché si dice questo? Poiché, se si raccontasse la stirpe di un semplice uomo, si sarebbe naturalmente potuto tacere toccando queste cose; ma se si tratta del Dio incarnato, lungi dal tacere, bisognerebbe farne gloria, mostrando la sua tenera cura e la sua potenza. Sì, per questo è venuto, non per sfuggire alle nostre disgrazie, ma per portarle via. Perciò così come è tanto più ammirato, in quanto non solo morì, ma fu anche crocifisso (sebbene la cosa sia oltraggiosa, ma quanto più è oltraggiosa quanto più lo mostra pieno d’amore per l’uomo), così similmente possiamo parlare della sua nascita; non è solo perché si è incarnato e si è fatto uomo che giustamente rimaniamo meravigliati di lui, ma perché si è degnato anche di avere anche tali antenati, senza vergognarsi affatto dei nostri mali. E questo proclamava fin dall’inizio della sua nascita, non vergognandosi di nessuna di quelle cose che ci appartengono; mentre ci insegna anche in questo modo, a non nascondere mai la nostra faccia davanti alla malvagità dei nostri antenati, ma a cercare solo una cosa, la virtù. Perché un tale uomo, anche se ha uno straniero per suo antenato, anche se ha una madre che è una prostituta, o quello che vuoi, non può subire alcun danno da ciò. Infatti, se il fornicatore stesso, essendo cambiato, non è disonorato dalla sua vita precedente, molto più la malvagità della sua stirpe non avrà il potere di svergognare colui che è nato da una meretrice o da un’adultera, se è virtuoso.

Ma ha fatto queste cose non solo per istruirci, ma anche per abbattere la superbia dei Giudei. Poiché essi, trascurando la virtù nelle loro anime, ostentavano il nome di Abramo, pensando di potersi appellare alla virtù dei loro antenati; mostra fin dall’inizio che non è di queste cose che gli uomini devono gloriarsi, ma delle proprie buone azioni.

Oltre a questo, stabilisce anche un altro punto, per mostrare che tutti sono sotto il peccato, anche i loro stessi antenati. In effetti si dimostra che il loro patriarca e omonimo ha commesso un peccato non piccolo, poiché Thamar si erge davanti a lui, per accusare la sua prostituzione. E anche Davide ebbe Salomone dalla moglie che corruppe. Ma se dai grandi la legge non fu adempiuta, molto più dai minori. E se non si è adempiuta, tutti hanno peccato e la venuta di Cristo si rese necessaria.

Per questo fece menzione anche dei dodici patriarchi, abbattendo così di nuovo il loro orgoglio per la nobile nascita dei loro padri. Poiché anche molti di questi sono nati da donne che erano schiave; ma nondimeno la differenza dei genitori non ha fatto differenza nei figli. Perché tutti erano ugualmente sia patriarchi che capi tribù. Perché questa è la precedenza della Chiesa, questa è la prerogativa della nobiltà che è in mezzo a noi, assumendone il tipo fin dall’inizio. Sicché, sia che tu sia schiavo o libero, non ne hai né più né meno; ma la questione riguarda solo una cosa, vale a dire la mente e la disposizione dell’anima.

4. Ma oltre a ciò che abbiamo già detto, c’è anche un’altra causa per cui si cita questa storia; perché, per essere sicuri, il nome di Zara non è stato gettato a caso su quello di Phares. (Infatti, era irrilevante e superfluo, quando aveva già menzionato Phares, da cui doveva risalire alla genealogia di Cristo, menzionare anche Zara). Perché allora la nominò? Quando Thamar era sul punto di partorirli, essendo sopraggiunte le doglie, Zara fece uscire per prima la sua mano. (Gn 38,27) La levatrice, vedendo ciò, per far riconoscere il primo nato, gli legò la mano con lo scarlatto; ma il bambino, una volta legato, ritrasse la mano e, quando l’ebbe ritratta, uscì prima Phares e poi Zara. La levatrice, vedendo ciò, disse: “Perché è stata abbattuta la siepe per voi?” (Gn 38,29)

Vedi l’espressione oscura dei misteri? Infatti non è senza scopo che queste cose siano state registrate per noi, poiché non valeva la pena di studiare cosa avesse detto la levatrice, né valeva la pena di raccontare che colui che era uscito per secondo aveva messo la mano per primo. Qual è dunque la lezione misteriosa? In primo luogo, dal nome del bambino apprendiamo ciò che viene richiesto, perché Phares è una divisione e una rottura. E poi dal fatto stesso che avvenne, poiché non era nell’ordine della natura che, dopo aver spinto fuori la mano, la tirasse di nuovo dentro quando era legata; queste cose non appartengono a un movimento diretto dalla ragione, né avvennero in modo naturale. Infatti, dopo che la mano aveva trovato la sua via d’uscita, forse non era innaturale che un altro bambino nascesse prima. Ma che egli la ritirasse e desse il posto ad un altro, non era più come avviene naturalmente ai bambini al momento della nascita, ma la grazia di Dio era presente con i bambini, ordinando queste cose e tracciando per noi una sorta di immagine delle cose che dovevano venire.

E allora? Alcuni di coloro che hanno esaminato accuratamente queste cose dicono che questi bambini sono un tipo delle due nazioni. Affinché possiate imparare che la polarità di quest’ultimo popolo risplendeva prima dell’origine del primo, il bambino che ha la mano tesa non si mostra intero, ma si ritrae; dopo che suo fratello è uscito via intero, allora anche lui appare intero. E questo avvenne anche per quanto riguarda le due nazioni. Voglio dire che, dopo che la civiltà della Chiesa si era manifestata ai tempi di Abramo, e poi si era ritirata nel bel mezzo del suo corso, arrivò il popolo ebraico e la civiltà legale; allora il nuovo popolo apparve intero con le proprie leggi. Per questo la levatrice dice anche: “Perché la siepe è stata spezzata per voi?”, perché la legge, entrando, ha infranto la civiltà della libertà. Infatti la Scrittura è solita chiamare la legge siepe, come dice il profeta: Tu hai abbattuto la sua siepe, così che tutti quelli che passano per la strada strappano i suoi grappoli; e io ho posto una siepe intorno ad essa; e Paolo, che ha abbattuto il muro di mezzo della siepe. Ma altri dicono che il detto: “Perché è stata abbattuta la siepe per voi?” sia stato pronunciato per il nuovo popolo, perché questo, alla sua venuta, ha abbattuto la legge.

5. Vedete che non è per pochi o futili motivi che ci ha fatto ricordare tutta la storia di Giuda? A questo scopo ha menzionato anche Ruth e Rahab, l’una straniera, l’altra prostituta, affinché impariate che Egli è venuto per eliminare tutti i nostri mali. Infatti è venuto come medico, non come giudice. Perciò, come quelli di un tempo presero per mogli le prostitute, così anche Dio sposò a sé la natura che aveva fatto la prostituta; proprio questo anche i profeti fin dall’inizio dichiarano essere avvenuto nei confronti della Sinagoga. Ma quella sposa fu ingrata nei confronti di Colui che l’aveva sposata, mentre la Chiesa, una volta liberata dai mali ricevuti dai nostri padri, continuò ad abbracciare lo Sposo.

Guardate, per esempio, ciò che accadde a Ruth, come è simile alle cose che ci appartengono. Poiché era di razza straniera e ridotta alla massima povertà, Boaz, quando la vide, non disprezzò la sua povertà né aborriva la sua nascita meschina, così come Cristo, che ha ricevuto la Chiesa, essendo straniero e in grande povertà, la prese come partecipe delle grandi benedizioni. Ma come Ruth, se non avesse prima abbandonato il padre e rinunciato alla famiglia e alla razza, al paese e alla parentela, non sarebbe arrivata a questa alleanza, così anche la Chiesa, avendo abbandonato i costumi che gli uomini avevano ricevuto dai loro padri, allora, e non prima, divenne amabile per lo Sposo. Per questo il profeta le dice: “Dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre, così il re si compiacerà della tua bellezza”. Anche Ruth lo fece, e per questo divenne madre di re, come anche la Chiesa. Da lei, infatti, è nato Davide. Quindi, per svergognarli con tutte queste cose e per convincerli a non essere altezzosi, ha composto la genealogia e ha presentato queste donne. Sì, perché per questo fine, attraverso coloro che sono intervenuti, è stata genitrice del grande re e di queste origini Davide non si vergogna. Perché non può, anzi, non può essere che un uomo sia buono o cattivo, oscuro o glorioso, né per la virtù né per il vizio dei suoi antenati; ma se si deve dire qualcosa di paradossale, risplende di più colui che, non avendo antenati degni, è diventato eccellente.

6. Nessuno, dunque, si faccia un’opinione elevata di simili questioni, ma considerando gli antenati del Signore, metta da parte ogni superbia e faccia delle buone azioni il suo vanto; o meglio, nemmeno di queste. Perché fu così che il fariseo divenne inferiore al pubblicano. Così, se volete dimostrare che l’opera buona è grande, non abbiate pensieri elevati e l’avrete dimostrata tanto più grande. Fate conto di non aver fatto nulla e avrete fatto tutto. Infatti, se da peccatori, quando ci consideriamo tali, diventiamo giusti, come fece il pubblicano, quanto più lo saremo quando, da giusti, ci considereremo peccatori. Poiché se da peccatori gli uomini diventano giusti grazie all’umiltà d’animo (anche se non si trattava di umiltà d’animo, ma di rettitudine d’animo), se l’umiltà d’animo è così utile nel caso dei peccatori, considerate cosa non farà l’umiltà d’animo nei confronti degli uomini giusti.

Non rovinare le tue fatiche, non gettare via i frutti dei tuoi sforzi, non correre invano, non vanificare il tuo lavoro dopo i tanti percorsi che hai fatto. Anzi, il vostro Signore conosce le vostre opere buone meglio di voi. Anche se date solo una tazza d’acqua fredda, Egli non trascura nemmeno questo; anche se contribuite solo con un soldo, anche se emettete solo un sospiro, Egli riceve tutto con grande favore, ne è consapevole e assegna per questo grandi ricompense.

Ma perché prendete le vostre azioni e le portate continuamente davanti a noi? Non sapete che se lodate voi stessi, Dio non vi loderà più? Così come se vi lamentate, Egli non smetterà di proclamarvi davanti a tutti. Perché non è affatto sua volontà che le vostre fatiche siano sminuite. Perché dico “sminuite”? Anzi, Egli sta facendo e progettando ogni cosa, affinché anche per poco possa incoronarvi; e va cercando ogni scusa per liberarvi dall’inferno. Per questo motivo, anche se lavorate solo l’undicesima ora del giorno, Egli vi dà il vostro salario intero; e anche se non offrite alcun motivo di salvezza, Egli dice: “Lo faccio per il mio bene, affinché il mio nome non sia profanato”: (Ez 36,22) anche se tu dovessi solo sospirare, anche se tu dovessi solo piangere, tutte queste cose Egli le coglie al volo per salvarti.

Non innalziamoci dunque, ma dichiariamoci non utili, per diventare utili. Infatti, se ti dichiari approvato, sei diventato inutile, anche se eri approvato; ma se sei inutile, sei diventato utile, anche se eri reprobo.

7. Per questo è necessario dimenticare le nostre buone azioni. Ma come è possibile, si dirà, non sapere quelle cose che conosciamo bene? Come si fa a dire? Offendendo continuamente il tuo Signore, vivi con superficialità e ridi, e non sai nemmeno di aver peccato, ma hai consegnato tutto all’oblio; e delle tue buone azioni non riesci a mettere via il ricordo? Eppure la paura è una cosa più forte. Ma noi facciamo proprio il contrario: da un lato, mentre ogni giorno commettiamo un’offesa, non ce lo ricordiamo nemmeno; dall’altro, se diamo un po’ di soldi a un povero non facciamo che ripensarci. Questo tipo di comportamento è frutto di una totale follia e rappresenta una grande perdita per chi fa i conti in questo modo. Perché il deposito sicuro delle opere buone è dimenticare le nostre opere buone. E come per le vesti e l’oro, quando li esponiamo al mercato, attiriamo molti malintenzionati; ma se li mettiamo in casa e li nascondiamo, li depositeremo tutti al sicuro, così per le nostre buone azioni: se le teniamo continuamente in memoria, provochiamo il Signore, armiamo il nemico, lo invitiamo a rubarle; ma se nessuno le conosce, oltre a Colui che è l’unico a doverle conoscere, giacciono al sicuro.

Non ostentatele sempre, per evitare che qualcuno le porti via. Come accadde al fariseo, che le portava sulle labbra e per questo il diavolo gliele portò via. Eppure ne faceva menzione con gratitudine e rimandava tutto a Dio. Ma nemmeno questo gli bastò. Perché non è ringraziamento rinfacciare agli altri, essere vanagloriosi davanti a molti, esaltare sé stessi contro coloro che hanno offeso. Piuttosto, se state rendendo grazie a Dio, accontentatevi solo di Lui e non fatelo sapere agli uomini, né condannate il vostro prossimo, perché questo non è ringraziamento. Volete imparare le parole di ringraziamento? Ascoltate i tre giovani cosa dicono: “Abbiamo peccato, abbiamo trasgredito. Tu sei giusto, o Signore, in tutto ciò che ci hai fatto, perché hai fatto ricadere tutto su di noi con un vero giudizio” (Dn 3,28ss). Confessare i propri peccati, infatti, significa rendere grazie a Dio con la confessione: un tipo di cosa che implica che uno sia colpevole di innumerevoli reati, senza che gli venga inflitta la pena dovuta. Quest’uomo è soprattutto colui che rende grazie.

8. Guardiamoci dunque dal dire qualcosa di noi stessi, perché questo ci rende odiosi agli uomini e abominevoli a Dio. Per questo motivo, quanto più grandi sono le opere buone che compiamo, tanto meno diciamo di noi stessi; questo è il modo per ottenere la massima gloria sia presso gli uomini che presso Dio. O meglio, non solo gloria da parte di Dio, ma anche una ricompensa, sì, una grande ricompensa. Non chiedete dunque una ricompensa per ricevere una ricompensa. Confessate di essere salvati per grazia, affinché Egli si dichiari debitore nei vostri confronti; e non solo per le vostre buone opere, ma anche per questa rettitudine d’animo. Infatti, quando facciamo opere buone, Lo abbiamo debitore solo per le nostre opere buone; ma quando non pensiamo di aver fatto alcuna opera buona, allora anche per questa disposizione, e più per questa che per le altre cose, nel modo che questa stessa sia considerata equivalente alle nostre opere buone. Infatti, se questa consapevolezza non c’è, non appaiono grandi neanche le opere. Allo stesso modo, infatti, anche noi, quando abbiamo dei servi (Lc 17,10), li approviamo maggiormente quando, dopo aver svolto tutti i loro servizi con buona volontà, non pensano di aver fatto qualcosa di grande. Perciò, se volete rendere grandi le vostre buone azioni, non pensate che siano grandi, e allora saranno veramente grandi.

Così anche il centurione disse: “Non sono degno di ospitarti sotto il mio tetto”; per questo divenne degno e fece rimanere stupefatti (Mt 8,8) soprattutto i Giudei. Così anche Paolo dice: “Non sono adatto a essere chiamato apostolo”; (1 Corinzi 15,9) per questo divenne il primo di tutti. Così anche Giovanni: “Non sono degno di sciogliere il nodo dei tuoi calzari” (Mc 1,6); per questo era l’amico dello Sposo, e la mano che affermava essere indegna di toccare i suoi calzari, Cristo l’ha attirata verso il suo capo. Così anche Pietro disse: “Vattene da me, perché sono un uomo peccatore”; (Luca 5,8) per questo divenne un fondamento della Chiesa. Infatti, nulla è così gradito a Dio come l’annoverarsi tra gli ultimi. Questo è il primo principio di ogni saggezza pratica. Perché chi è umiliato e contrito nel cuore non sarà vanaglorioso, non sarà iracondo, non invidierà il suo prossimo, non coverà altre passioni. Infatti, quando una mano è contusa, anche se ci sforziamo diecimila volte, non riusciamo a sollevarla in alto. Se dunque dovessimo ferire così anche il nostro cuore, anche se fosse agitato da diecimila passioni, non potrebbe essere innalzato, no, nemmeno di poco. Infatti, se un uomo, piangendo per le cose relative a questa vita, scaccia tutte le malattie della sua anima, molto più colui che piange per i peccati, godrà della benedizione della moderazione.

9. Ma chi, si dirà, sarà in grado di ferire così il proprio cuore? Ascoltate Davide, che divenne illustre soprattutto per questo, e vedete la contrizione della sua anima. Dopo aver compiuto diecimila opere buone e quando stava per essere privato della patria, della casa e della vita stessa, proprio nel momento della sua calamità, vedendo un vile ed emarginato soldato comune calpestare la svolta della sua fortuna e disprezzarlo, in contraccambio lungi dal disprezzarlo, fermò del tutto uno dei suoi capitani che desiderava ucciderlo e disse: “Lascialo stare, perché il Signore glielo ha ordinato” (2 Sam 16,10). E ancora, quando i sacerdoti volevano portare con sé l’arca di Dio, non lo permise; ma cosa disse? Lasciatemi posare l’arca nel tempio e, se Dio mi libererà dai pericoli che mi stanno davanti, ne vedrò la bellezza; ma se mi dirà: “Non ho alcun piacere in te, ecco, sono qui; lascia che mi faccia ciò che gli sembra bene”. E ciò che fu fatto nei confronti di Saul, più e più volte, quale eccellenza di autocontrollo non dimostra? Sì, perché superò persino l’antica legge e si avvicinò alle ingiunzioni apostoliche. Per questo motivo sopportò con serenità tutto ciò che veniva dalle mani del Signore, senza contestare ciò che gli accadeva, ma mirando a un solo obiettivo: obbedire e seguire in tutto le leggi da Lui stabilite. E quando, dopo tante nobili azioni da parte sua, vide il tiranno, il parricida, l’assassino del suo stesso fratello, quell’ingiurioso, quel pazzo, possedere al suo posto il suo stesso regno, non si offese nemmeno un po’. Ma se questo piace a Dio, disse, che io sia inseguito, vaghi e fugga, e che lui sia in onore, io lo accetto, lo accetto e ringrazio Dio per le sue molte afflizioni. Non come molti sfaccendati e impudenti che, pur non avendo fatto la benché minima parte delle sue opere buone, se vedono qualche afflizione in prosperità e si scoraggiano un po’, si rovinano l’anima con diecimila bestemmie. Ma Davide non era così; anzi, dava prova di tutta la sua modestia. Per questo Dio disse: “Ho trovato Davide, figlio di Iesse, un uomo secondo il mio cuore”.

Acquistiamo anche noi uno spirito simile, e qualsiasi sofferenza sopporteremo con facilità e, prima del Regno, raccoglieremo qui il guadagno derivante dall’umiltà d’animo. Imparate, dice Egli, da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per le vostre anime. (Mt 11,29). Perciò, affinché possiamo godere del riposo sia qui che nell’aldilà, cerchiamo di impiantare con grande diligenza nelle nostre anime la madre di tutte le cose buone, cioè l’umiltà. In questo modo saremo in grado di attraversare il mare di questa vita senza onde e di terminare il nostro viaggio in quel porto tranquillo, per la grazia e l’amore verso l’uomo del nostro Signore Gesù Cristo, al quale sia gloria e potenza nei secoli dei secoli.

Amen.




San Giovanni Crisostomo, Sul Vangelo di Matteo, Omelia 2

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Omelia 2

Matteo. I. 1.

“Il libro della generazione di Gesù Cristo, Figlio di Davide, Figlio di Abramo”.

Ricordate davvero l’invito che vi abbiamo rivolto di recente, supplicandovi di ascoltare tutte le cose che vengono dette con tutto il silenzio e la mistica quiete? Poiché oggi dobbiamo mettere piede nel santo vestibolo, perciò vi ho anche ricordato dell’invito fattovi.

Se i Giudei, quando dovevano avvicinarsi “al un monte che ardeva, al fuoco, al nero, alle tenebre e alla tempesta” (Es 19,1ss) – o meglio, quando non dovevano solo avvicinarsi, ma vedere e sentire queste cose da lontano – tre giorni prima avevano ricevuto l’ordine di astenersi dalle loro mogli e di lavare le loro vesti, ed erano in trepidazione e paura, sia loro che Mosè con loro; tanto più noi, quando dobbiamo ascoltare queste parole e non ci troviamo lontani dal monte fumante, ma entriamo nel cielo stesso, dovremmo mostrare una maggiore abnegazione; non lavare le nostre vesti, ma pulire la veste della nostra anima e liberarci da ogni mescolanza con le cose del mondo. Perché non vedrete il buio, né il fumo, né la tempesta, ma il Re stesso seduto sul trono di quella gloria indicibile, e gli angeli e gli arcangeli in piedi accanto a Lui, e le tribù dei santi, nelle loro miriadi interminabili.

Perché tale è la città di Dio, “la Chiesa dei primogeniti, gli spiriti dei giusti, l’assemblea generale degli angeli, il sangue dell’aspersione” (Eb 12,18ss), per cui tutti sono uniti in una sola cosa, e il cielo ha ricevuto le cose della terra e la terra le cose del cielo ed è venuta quella pace che anticamente era desiderata sia dagli angeli che dai santi.

Qui c’è il trofeo della croce, glorioso e cospicuo, le spoglie conquistate da Cristo, la primizia della nostra natura, il bottino del nostro Re; tutto questo, dico, lo conosceremo perfettamente dai Vangeli. Se ci seguite con calma, saremo in grado di condurvi dappertutto e di mostrarvi dove la morte è stata crocifissa e dove il peccato è stato impiccato, e dove si trovano le numerose e meravigliose offerte di questa guerra, di questa battaglia.

Vedrete anche il tiranno qui legato, e la moltitudine di prigionieri che lo segue, e la cittadella da cui quel demone empio ha invaso tutte le cose nel tempo passato. Vedrete i nascondigli e le tane dei briganti, ora smantellati e aperti, perché anche lì era presente il nostro Re.

Ma non vi stancate, beneamati, perché se qualcuno vi descrivesse una guerra visibile, trofei e vittorie, non vi sentireste affatto sazi; anzi, non preferireste né la bevanda né la carne a questa storia. Ma se questo tipo di narrazione è gradita, molto di più lo è questa. Considerate, infatti, che cosa c’è da ascoltare, come da una parte Dio dal cielo, che si è alzato dai troni reali, sia balzato giù (Sapienza 18,15) fino alla terra, e persino fino all’inferno stesso, e si sia schierato in battaglia; e come il diavolo, dall’altra parte, si sia schierato contro di Lui; o meglio, non contro il Dio svelato, ma contro il Dio nascosto nella natura dell’uomo.

E ciò che è meraviglioso è che vedrete la morte distrutta dalla morte, la maledizione estinta dalla maledizione e il dominio del diavolo abbattuto proprio da quelle cose per cui aveva prevalso. Svegliamoci dunque bene e non dormiamo, perché ecco, vedo le porte aprirsi per noi; ma entriamo con ordine e con tremore, mettendo subito piede nel vestibolo stesso.

2. Ma che cos’è questo vestibolo? Il libro della generazione di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo.

Che cosa dici? Non avevi promesso di parlare dell’Unigenito Figlio di Dio, e fai riferimento a Davide, un uomo nato dopo mille generazioni, e dici che è padre e antenato?

Fermati, non cercare di imparare tutto in una volta, ma dolcemente e a poco a poco. Perché, è nel vestibolo che vi trovate, proprio davanti al portico; perché allora vi affrettate verso il santuario interno? Per ora non hai ancora ben segnato tutto quello che c’è all’esterno. Infatti, per un po’ di tempo non vi dichiarerò l’altra generazione, o meglio, nemmeno quella che viene dopo, perché è impronunciabile e inenarrabile. E prima di me ve l’ha detto il profeta Isaia, il quale, annunciando la Sua passione e la Sua grande cura per il mondo, e ammirando chi era, cosa divenne e dove discese, gridò forte e chiaro, dicendo: “Chi narrerà la Sua generazione?

Non è dunque di questo che dobbiamo parlare ora, ma al di sotto di questo, di quello che ebbe luogo sulla terra, che si realizzò tra diecimila testimoni. E di questo racconteremo ancora, nella misura in cui ci sarà possibile, avendo ricevuto la grazia dello Spirito. Infatti, nemmeno questo può essere raccontato in modo del tutto chiaro, perché anche questo è veramente terribile. Non pensate dunque che si tratti di cose di poco conto quando sentite parlare di questa nascita, ma risvegliate la vostra mente e tremate subito quando vi viene detto che Dio è venuto sulla terra. Infatti, è stato così meraviglioso e al di là di ogni aspettativa che, a causa di queste cose, gli stessi angeli hanno formato un coro e, a nome del mondo, ne hanno fatto l’elogio, e i profeti fin dal primo momento si sono meravigliati del fatto che Egli fosse visto sulla terra e conversasse con gli uomini (Baruc 3,37). Sì, perché è ben al di là di ogni pensiero sentire che Dio, l’Innominabile, l’Impronunciabile, l’Incomprensibile e Colui che è uguale al Padre, è passato attraverso il grembo di una vergine e ha concesso di nascere da una donna e di avere Abramo e Davide come antenati. Ma perché dico Abramo e Davide? Perché, cosa ancora più sorprendente, ci sono quelle donne di cui abbiamo parlato ultimamente.

3. Sentendo queste cose, alzatevi e non supponete nulla di basso; ma anzi, proprio per questo dovreste soprattutto meravigliarvi che, essendo Figlio del Dio senza origine e suo vero Figlio, abbia sofferto di essere chiamato anche Figlio di Davide, per farvi diventare Figli di Dio. Ha sofferto che uno schiavo fosse come un padre per Lui, per rendere il Signore e Padre schiavo, per voi.

Vedete subito, fin dall’inizio, di che natura sono i Vangeli? Se dubitate delle cose che vi riguardano, da quelle che appartengono a Lui credete anche a queste. Perché è molto più difficile, a giudicare dalla ragione umana, che Dio si faccia uomo, che un uomo sia dichiarato Figlio di Dio. Quando dunque ti viene detto che il Figlio di Dio è figlio di Davide e di Abramo, non dubitare più che anche tu, figlio di Adamo, sarai figlio di Dio. Perché non a caso, né invano, Egli si è abbassato così tanto, ma solo per esaltarci. Così Egli è nato secondo la carne, affinché tu possa nascere secondo lo Spirito; è nato da una donna, affinché tu possa cessare di essere figlio di una donna.

Perciò la nascita è stata duplice: è stato reso simile a noi, ma anche superiore a noi. Infatti, nascere da una donna è stata la nostra sorte, ma nascere non da sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma dallo Spirito Santo (Gv 1,13) significava annunciare in anticipo la nascita che ci supera, la nascita futura, che Egli stava per darci liberamente dallo Spirito. E anche tutto il resto fu così. Così anche il suo battesimo, fu dello stesso tipo, perché partecipava dell’antico e partecipava anche del nuovo. L’essere battezzati dal profeta segnava l’antico, ma la discesa dello Spirito ombreggiava il nuovo. E come se uno si mettesse nello spazio tra due persone separate e, tendendo le mani, le afferrasse da una parte e dall’altra e le legasse insieme, così ha fatto Lui, unendo l’antica alleanza con la nuova, la natura di Dio con quella dell’uomo, le cose che sono sue con le nostre.

Vedete il bagliore della città, con quale grande splendore vi ha abbagliato fin dall’inizio? Come ha mostrato subito il Re nelle vostre stesse sembianze, come in un accampamento? Perché anche lì il re non appare sempre con la sua dignità, ma, lasciati da parte la porpora e il diadema, si traveste spesso con le vesti di un comune soldato. Ma lì è per evitare che, facendosi conoscere, attiri il nemico su di sé; qui, al contrario, per evitare che, se si facesse conoscere, faccia fuggire il nemico dal conflitto con Lui e confonda tutto il suo popolo, perché il suo scopo era salvare, non spaventare.

4. Per questo motivo gli ha dato subito questo titolo, chiamandolo Gesù. Infatti, questo nome, Gesù, non è greco, ma nella lingua ebraica è chiamato così; il che significa, se lo traduciamo nella lingua greca, il Salvatore. Ed è chiamato Salvatore perché ha salvato il suo popolo.

Vedete come ha messo le ali all’uditore, parlando di cose familiari e indicandoci allo stesso tempo cose al di là di ogni speranza? Voglio dire che entrambi i nomi erano ben noti agli ebrei. Infatti, poiché le cose che dovevano accadere erano al di là di ogni aspettativa, i tipi anche dei nomi precedevano, affinché fin dall’inizio fosse tolto il potere inquietante della novità. Così viene chiamato Gesù, come colui che dopo Mosè portò il popolo nella terra della promessa. Avete visto il tipo? Osservate la verità. Quello conduceva nella terra della promessa, questo in cielo e alle cose belle del cielo; quello, dopo che Mosè era morto, questo dopo che la legge era cessata; quello come capo, questo come re.

Tuttavia, per evitare che, avendo sentito la parola Gesù, siate perplessi a causa dell’identità del nome, ha aggiunto: Gesù Cristo, Figlio di Davide. Ma quell’altro non era di Davide, bensì di un’altra tribù.

5. Ma perché lo chiama libro della generazione di Gesù Cristo, mentre in questo libro non c’è solo la nascita, ma l’intera dispensazione? Perché è la somma di tutta la dispensazione ed è l’origine e la radice di tutte le nostre benedizioni. Come Mosè lo chiama libro del cielo e della terra, (Genesi 2,4) sebbene non abbia parlato solo del cielo e della terra, ma anche di tutte le cose che si trovano in mezzo ad essi, così anche quest’uomo ha chiamato il suo libro da ciò che è la somma di tutte le grandi cose fatte. Infatti, ciò che suscita stupore, al di là di ogni speranza e di ogni aspettativa, è che Dio si sia fatto uomo. Ma poiché questo è avvenuto, tutto ciò che segue ne è la ragionevole conseguenza.

6. Ma perché non ha detto: il Figlio di Abramo e poi il Figlio di Davide? Non è, come alcuni suppongono, che intenda procedere verso l’alto dal punto più basso, perché in tal caso avrebbe fatto come Luca, ma ora fa il contrario. Perché allora ha menzionato Davide? Quell’uomo era sulla bocca di tutti, sia per la sua distinzione, sia per il tempo, poiché non era morto da molto tempo, come Abramo. E sebbene Dio abbia fatto promesse a entrambi, l’uno, in quanto antico, è passato sotto silenzio, mentre l’altro, in quanto fresco e recente, è stato ripetuto da tutti. Essi stessi, ad esempio, dicono: “Cristo non viene forse dal seme di Davide e da Betlemme, la città dove si trovava Davide? [E nessuno lo chiamava Figlio di Abramo, ma solo Figlio di Davide; e questo perché quest’ultimo era più presente nella memoria di tutti, sia per il tempo, come ho già detto, sia per la sua regalità. In base a questo principio, tutti i re che hanno avuto in onore dopo il suo tempo sono stati chiamati da lui, sia dal popolo stesso che da Dio. Infatti, sia Ezechiele che altri profeti parlano di Davide che viene e risorge, non intendendo lui che era morto, ma coloro che emulavano le sue virtù. E a Ezechia dice: “Io difenderò questa città, per il mio bene e per il bene del mio servo Davide”. [E anche a Salomone disse che per amore di Davide non avrebbe dato ad altri il regno durante la sua vita. Perché grande era la gloria di quell’uomo, sia presso Dio che presso gli uomini.

Per questo motivo inizia subito da colui che era più conosciuto, per poi risalire fino a suo padre, ritenendo superfluo, per quanto riguarda i Giudei, portare la genealogia più in alto. Infatti, queste erano principalmente le persone che venivano ammirate: l’una come profeta e re, l’altra come patriarca e profeta.

7. “Ma da dove si evince che Egli proviene da Davide?” Si potrebbe dire. Infatti, se non è nato da un uomo, ma solo da una donna, e la Vergine non ha una genealogia, come possiamo sapere che era della stirpe di Davide? Così, sono due le cose che si chiedono: sia perché non viene espressa la genealogia di Sua madre, sia perché viene menzionato Giuseppe, che non ha alcuna parte nella nascita; poiché l’ultimo sembra essere superfluo, e la prima in difetto.

Di che cosa è dunque necessario parlare prima? Di come la Vergine provenga da Davide. Come facciamo a sapere che è da Davide? Ascoltate Dio che dice a Gabriele di andare da una vergine promessa sposa di un uomo (il cui nome era Giuseppe), della casa e della stirpe di Davide. Cosa volete che sia più chiaro di questo, quando avete sentito che la Vergine era della casa e della stirpe di Davide?

È quindi evidente che anche Giuseppe era della stessa stirpe. Sì, perché c’era una legge che imponeva di non prendere moglie da un’altra stirpe, ma dalla stessa tribù. E il patriarca Giacobbe predisse anche che Egli sarebbe sorto dalla tribù di Giuda, dicendo: “Non mancherà un capo da Giuda, né un governatore dai suoi lombi, finché non venga Colui per il quale è stato stabilito; Egli è l’attesa dei Gentili” (Gn 49,10).

Ebbene, questa profezia chiarisce sì che Egli era della tribù di Giuda, ma non anche che era della famiglia di Davide. C’era dunque nella tribù di Giuda una sola famiglia, quella di Davide, o non ce n’erano anche molte altre? E non poteva accadere che uno fosse della tribù di Giuda, ma non anche della famiglia di Davide?

Anzi, per evitare che possiate dire questo, l’evangelista ha eliminato questo vostro sospetto, dicendo che Egli era della casa e della stirpe di Davide.

E se volete apprendere questo anche da un’altra prospettiva, non ci mancherà un’altra prova. Infatti, non solo non era permesso prendere moglie da un’altra tribù, ma nemmeno da un’altra stirpe, cioè da un’altra parentela. Perciò, se colleghiamo alla Vergine le parole “della casa e della stirpe di Davide”, ciò che è stato detto è valido; se lo colleghiamo a Giuseppe, anche questo fatto è provato. Infatti, se Giuseppe fosse stato della casa e della stirpe di Davide, non avrebbe preso moglie da un’altra stirpe che non fosse quella da cui lui stesso era stato generato.

E allora, si dirà, se ha trasgredito la legge? Ma è per questo motivo che si è testimoniato in anticipo che Giuseppe era giusto, affinché non si dicesse questo, ma si fosse certi che egli non avrebbe trasgredito la legge. Infatti, colui che era così benevolo e libero da passioni da non voler, anche se spinto dal sospetto, tentare di infliggere una punizione alla Vergine, come avrebbe potuto trasgredire la legge per lussuria? Colui che mostrò saggezza e autocontrollo al di là della legge (perché allontanarla, e per di più in segreto, significava agire con autocontrollo al di là della legge), come avrebbe potuto fare qualcosa di contrario alla legge; e questo quando non c’era alcun motivo che lo spingesse?

8. Ora, che la Vergine fosse della stirpe di Davide è evidente da queste cose; ma il perché non sia scritta la sua genealogia, ma quella di Giuseppe, richiede una spiegazione. Per quale motivo allora? Non era legge tra i Giudei che la genealogia delle donne dovesse essere tracciata. Affinché dunque si attenesse all’usanza e non sembrasse che facesse delle modifiche fin dall’inizio, e tuttavia ci facesse conoscere la Vergine, per questo motivo ha taciuto i suoi antenati e ha tracciato la genealogia di Giuseppe. Infatti, se avesse fatto questo nei confronti della Vergine, sarebbe sembrato che introducesse delle novità; e se avesse passato sotto silenzio Giuseppe, non avremmo conosciuto gli antenati della Vergine. Perciò, affinché potessimo sapere, a proposito di Maria, chi fosse e di quale origine, e affinché le leggi rimanessero indisturbate, ha tracciato la genealogia del suo sposo e ha mostrato che era della casa di Davide. Infatti, quando questo è stato chiaramente dimostrato, viene dimostrato anche l’altro fatto, cioè che anche la Vergine proviene da lì, perché quest’uomo giusto, come ho già detto, non avrebbe sopportato di prendere una moglie di un’altra stirpe.

C’è anche un’altra ragione, che si potrebbe citare, di natura più mistica, a causa della quale i progenitori della Vergine sono stati passati sotto silenzio; ma non è il caso di dirlo ora, perché tanto è già stato detto.

9. Rimaniamo dunque a questo punto del nostro discorso sulle questioni, e nel frattempo conserviamo con precisione ciò che ci è stato rivelato; come, ad esempio, perché ha menzionato Davide per primo; perché ha chiamato il libro “libro della generazione”; per quale motivo ha detto “di Gesù Cristo”; come la nascita è comune e non comune; perché è stato dimostrato che Maria proviene da Davide; e perché la genealogia di Giuseppe è tracciata, mentre i suoi antenati sono passati sotto silenzio.

Infatti, se conservate queste cose, ci incoraggerete maggiormente rispetto a ciò che verrà; ma se le respingete e le cancellate dalla vostra mente, ci troveremo ancora più arretrati rispetto al resto. Proprio come nessun coltivatore si preoccuperebbe di prestare attenzione a un terreno che ha distrutto il seme precedente.

Perciò vi prego di ritornare su queste cose. Perché dalla riflessione su queste cose scaturisce nell’anima un grande bene, che tende alla salvezza. Infatti, grazie a queste meditazioni saremo in grado di piacere a Dio stesso; la nostra bocca sarà pura dagli insulti, dal turpiloquio e dal vilipendio, mentre si esercita in discorsi spirituali; saremo temibili per i demoni, mentre armiamo la nostra lingua con tali parole; attireremo maggiormente su di noi la grazia di Dio e renderemo il nostro occhio più penetrante. Infatti, sia gli occhi, sia la bocca, sia l’udito, Egli li ha posti in noi a questo scopo, affinché tutte le nostre membra possano servirLo, affinché possiamo pronunciare le Sue parole e compiere le Sue azioni, affinché possiamo cantarGli inni continui, affinché possiamo offrire sacrifici di ringraziamento e con questi purificare completamente le nostre coscienze.

Infatti, come il corpo è più sano quando gode dei benefici di un’aria pura, così l’anima è più dotata di saggezza pratica quando si nutre di esercizi come questi. Non vedete anche gli occhi del corpo che, quando stanno nel fumo, piangono sempre; ma quando sono all’aria pura, in un prato, in fontane e giardini, diventano più luminosi e più sani? Così è anche l’occhio dell’anima, perché se si nutre nel prato degli oracoli spirituali, sarà limpido, penetrante e rapido di vista; ma se si allontana nel fumo delle cose di questa vita, piangerà senza fine e si lamenterà sia ora che in seguito. Infatti le cose di questa vita sono come il fumo. Anche per questo uno ha detto: “I miei giorni sono venuti meno come fumo”. In effetti si riferiva alla loro brevità e alla loro inconsistenza, ma direi che dobbiamo prendere ciò che viene detto non solo in questo senso, ma anche per quanto riguarda il loro carattere torbido.

Infatti, nulla ferisce e offusca così tanto l’occhio dell’anima come la folla delle ansie mondane e lo sciame dei desideri. Perché sono la legna che alimenta questo fumo. E come il fuoco, quando si appoggia a qualsiasi combustibile umido e saturo, genera molto fumo; così anche questo desiderio, così veemente e bruciante, quando si appoggia a un’anima che è (per così dire) umida e dissoluta, produce a sua volta abbondanza di fumo. Per questo c’è bisogno della rugiada dello Spirito e di quell’aria che spegne il fuoco, disperde il fumo e dà ali ai nostri pensieri. Perché non è possibile, non è possibile che uno appesantito da così grandi mali si innalzi verso il cielo; è bene che, senza impedimenti, possiamo aprirci la strada verso di esso; o meglio, non è possibile nemmeno così, se non otteniamo le ali dello Spirito.

Ora, se c’è bisogno di una mente libera e di una grazia spirituale per salire a quell’altezza, cosa succede se non c’è nessuna di queste cose, ma attiriamo su di noi tutto ciò che è opposto ad esse, persino un macigno satanico? Come potremo salire verso l’alto, se siamo trascinati da un carico così grande? Infatti, se qualcuno cercasse di pesare le nostre parole come in una giusta bilancia, in diecimila talenti di discorsi mondani non troverebbe nemmeno cento penny di parole spirituali, anzi, direi, nemmeno dieci quattrini. Non è dunque una vergogna e un’estrema beffa che, se abbiamo un servo, ci serviamo di lui per lo più nelle cose necessarie, ma essendo in possesso di una lingua, non trattiamo il nostro membro così bene nemmeno come uno schiavo, ma al contrario lo usiamo per cose non redditizie o eccessive? E se fosse solo per eccesso: lo fa per cose contrarie e dannose e per nulla vantaggiose per noi. Infatti, se le cose che abbiamo detto fossero vantaggiose per noi, sarebbero certamente anche gradite a Dio. Invece, qualsiasi cosa il diavolo ci suggerisca, noi la diciamo tutta, ora ridendo, ora parlando in modo spiritoso; ora maledicendo e insultando, ora imprecando, mentendo e facendo falsi giuramenti; ora mormorando, ora facendo vane ciance, e parlando di sciocchezze più che di vecchie mogli; dicendo tutte cose che non ci riguardano.

Perché, ditemi, chi di voi qui presenti, se fosse richiesto, potrebbe ripetere un solo Salmo o qualsiasi altra parte delle Scritture divine? Non ce n’è uno.

E non è solo questo l’aspetto doloroso, ma il fatto che, mentre siete diventati così arretrati per quanto riguarda le cose spirituali, per quanto riguarda quelle che appartengono a Satana siete più impetuosi del fuoco. Così, se a qualcuno venisse in mente di chiedervi canzoni diaboliche e impure melodie effeminate, troverà molti che le conoscono perfettamente e le ripetono con molto piacere.

10. Ma qual è la risposta a queste accuse? Non sono, direte, uno dei monaci, ma ho moglie e figli, e la cura di una casa. Ecco, questo è ciò che ha rovinato tutto, il tuo supporre che la lettura delle Scritture divine appartenga solo a quelli, mentre tu ne hai bisogno molto più di loro. Infatti, coloro che abitano nel mondo e ogni giorno ricevono ferite, hanno più bisogno di medicine. Perciò è molto peggio non leggere e considerare la cosa addirittura superflua; perché queste sono parole di invenzione diabolica. Non sentite Paolo che dice che tutte queste cose sono state scritte per ammonirci? (1 Corinzi 10,11)

E voi, se doveste prendere in mano un Vangelo, non scegliereste di farlo con le mani non lavate; ma le cose che sono contenute in esso, non vi sembrano altamente necessarie? È per questo motivo che tutte le cose sono capovolte.

Infatti, se volete imparare quanto sia grande l’utilità delle Scritture, esaminate voi stessi come diventate ascoltando i Salmi e come ascoltando un canto di Satana; e come siete disposti quando state in una Chiesa e come quando siete seduti in un teatro; e vedrete che grande è la differenza tra lo stato di quest’anima e di quella, anche se entrambe sono una. Per questo Paolo disse: “Le comunicazioni cattive corrompono le buone maniere”. (1 Cor 15,33) Per questo motivo abbiamo continuamente bisogno di quei canti che servono come incantesimi dello Spirito. Sì, è per questo che primeggiamo sulle creature irrazionali, dato che rispetto a tutte le altre cose siamo addirittura estremamente inferiori a loro.

Questo è il cibo dell’anima, questo il suo ornamento, questa la sua sicurezza, mentre non ascoltare è penuria e spreco; perché io darò loro, dice Lui, non una fame di pane, né una sete d’acqua, ma una fame di ascoltare la parola del Signore. (Am 8,11)

Cosa può esserci di più miserabile? Quando il male stesso, che Dio minaccia come punizione, ve lo tirate addosso di vostra iniziativa, portando nella vostra anima una sorta di grave carestia e rendendola la cosa più debole del mondo? Perché la sua natura è quella di essere persa o di essere salvata dalle parole. Tutto ciò la porta all’ira, e lo stesso tipo di cose la rende mansueta: un’espressione sconcia è solita accendere la lussuria, e viene educata alla temperanza da discorsi pieni di gravità.

Ma se una parola ha semplicemente un potere così grande, dimmi, come mai disprezzi le Scritture? E se un ammonimento può fare cose così grandi, molto di più se l’ammonimento è fatto con lo Spirito. Sì, perché una parola delle Scritture divine, fatta risuonare all’orecchio, più che il fuoco ammorbidisce l’anima indurita e la rende adatta a tutte le cose buone.

11. Così anche Paolo, quando trovò i Corinzi gonfi e infiammati, li ricompose e li rese più premurosi. Infatti si vantavano proprio di quelle cose di cui avrebbero dovuto vergognarsi, nascondendo la faccia. Ma dopo che ebbero ricevuto la lettera, ascoltate il cambiamento che avvenne in loro, di cui il Maestro stesso ha reso testimonianza, dicendo: “Per questo stesso fatto, che vi siete afflitti per un destino divino, quale prudenza ha prodotto in voi, sì, quale pulizia di voi stessi, sì, quale indignazione, sì, quale zelo, sì, quale vendetta”. In questo modo riportiamo all’ordine servi e figli, mogli e amici, e rendiamo amici i nostri nemici.

In questo modo anche i grandi uomini, quelli che erano cari a Dio, divennero migliori. Davide, per esempio, dopo il suo peccato, quando ebbe il beneficio di certe parole, giunse al più eccellente pentimento; e anche gli apostoli, per questa via, divennero ciò che divennero, e attirarono dietro di loro il mondo intero.

E qual è il vantaggio, si dirà, quando uno ascolta ma non fa ciò che gli viene detto? Non sarà di poco conto nemmeno l’ascolto. Infatti, egli continuerà a condannare sé stesso e a gemere interiormente, e arriverà a tempo debito a fare le cose di cui si parla. Ma colui che non sa nemmeno di aver peccato, quando cesserà dalla sua negligenza? Quando condannerà sé stesso?

Non disprezziamo dunque l’ascolto delle Scritture divine. Perché questa è un’invenzione di Satana, che non ci permette di vedere il tesoro per non guadagnare le ricchezze. Per questo dice che l’ascolto delle leggi divine non è nulla, per non vedere che dall’ascolto acquisiamo anche la pratica.

Conoscendo dunque questa sua arte malvagia, fortifichiamoci contro di lui da tutte le parti, affinché, essendo recintati con questa armatura, possiamo sia rimanere inespugnati, sia colpirlo alla testa; e così, dopo esserci coronati con le gloriose corone della vittoria, potremo raggiungere i beni futuri, per la grazia e l’amore verso l’uomo del nostro Signore Gesù Cristo, al quale sia gloria e potenza nei secoli dei secoli.

Amen.




BASILIO MAGNO: Lettera 2, a Gregorio Nanzianzeno

LETTERA 2

Basilio a Gregorio.

1. [Ho riconosciuto la tua lettera, come si riconoscono i figli degli amici dalla loro evidente somiglianza con i genitori. Il tuo dire con cui descrivi il tipo di luogo in cui vivo, prima di farti sapere qualcosa su come vivo, non sarebbe servito a convincerti a condividere la mia vita; è proprio da te; è degno di un’anima come la tua, che non tiene conto di tutto ciò che riguarda questa vita qui, in confronto alla beatitudine che ci viene promessa nell’aldilà. Quello che faccio io stesso, giorno e notte, in questo luogo remoto, mi vergogno a scriverlo. Ho abbandonato la mia vita in città, come una vita che porta sicuramente a innumerevoli mali; ma non sono ancora riuscito a liberarmi di me stesso. Sono come i viaggiatori in mare, che non hanno mai fatto un viaggio prima, e sono angosciati e malati di mare, che litigano con la nave perché è così grande e fa un tale sballottamento, e, quando escono con la scialuppa, hanno sempre e ovunque mal di mare e angoscia. Ovunque vadano, la nausea e l’infelicità li accompagnano. Il mio stato è più o meno così. Porto con me i miei problemi e quindi ovunque mi trovo in mezzo a disagi simili. Così alla fine non ho ottenuto molto di buono dalla mia solitudine. Quello che avrei dovuto fare, quello che mi avrebbe permesso di tenermi vicino alle orme di Colui che mi ha indicato la via della salvezza – poiché Egli dice: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. (Mt 16,24)

2. Dobbiamo sforzarci di avere una mente tranquilla. Così come l’occhio non può capire un oggetto che gli viene posto davanti mentre vaga inquieto su e giù e di lato, senza fissarvi lo sguardo, così la mente, distratta da mille preoccupazioni mondane, non è in grado di comprendere chiaramente la verità. Chi non è ancora legato da vincoli matrimoniali è assillato da brame frenetiche, impulsi ribelli e attaccamenti senza speranza; chi ha trovato la sua compagna è circondato dal tumulto delle sue stesse preoccupazioni; se è senza figli, c’è il desiderio di averne; ha figli? L’ansia per la loro educazione, le attenzioni per la moglie, la cura della casa, la sorveglianza della servitù, le disgrazie nel commercio, le liti con i vicini, le cause legali, i rischi del mercante, la fatica del contadino. Ogni giorno, man mano che arriva, oscura l’anima a modo suo; e notte dopo notte riprende le ansie del giorno e inganna la mente con illusioni conformi. Ora, un modo per sfuggire a tutto questo è la separazione dal mondo intero; cioè, non la separazione corporea, ma la separazione della simpatia dell’anima con il corpo, e vivere così senza città, casa, beni, società, possedimenti, mezzi di vita, affari, impegni, apprendimento umano, in modo che il cuore possa ricevere prontamente ogni impronta della dottrina divina. La preparazione del cuore consiste nel disimparare i pregiudizi della cattiva conversazione. È come lisciare la tavoletta di cera prima di tentare di scriverci sopra.

3. Lo studio delle Scritture ispirate è il modo principale per trovare la via, perché in esse troviamo sia istruzioni sulla condotta che sulla vita di uomini benedetti, consegnate per iscritto, come immagini ispirate della vita divina, per l’imitazione delle loro buone opere. Perciò, in qualsiasi aspetto ciascuno si senta carente, dedicandosi a questa imitazione, trova, come in un dispensario, la medicina adatta al suo disturbo. Chi è innamorato della castità si sofferma sulla storia di Giuseppe e da lui impara le azioni caste, trovando in lui non solo il controllo di sé sul piacere, ma anche l’abitudine alla virtù. La sopportazione gli viene insegnata da Giobbe [che, non solo quando le circostanze della vita cominciarono a ritorcersi contro di lui e in un solo momento fu precipitato dalla ricchezza alla miseria, e dall’essere padre di bei figli all’assenza di figli, rimase lo stesso, mantenendo per tutto il tempo la disposizione d’animo intatta, ma non fu nemmeno spinto all’ira contro gli amici che vennero a confortarlo, lo calpestarono e aggravarono i suoi problemi]. Oppure, se si chiede come si possa essere allo stesso tempo miti e di gran cuore, coraggiosi contro il peccato, miti verso gli uomini, si troverà Davide nobile nelle imprese belliche, mite e non agitato per quanto riguarda la vendetta sui nemici. Così anche Mosè che si solleva con grande ardimento contro chi pecca contro Dio, ma con animo mite sopporta le loro malignità contro di lui. [Così, in generale, come i pittori, quando dipingono copiando da altri quadri, guardano costantemente il modello e fanno del loro meglio per trasferire i lineamenti nella propria opera, così anche colui che desidera rendersi perfetto in tutti i rami dell’eccellenza deve tenere gli occhi rivolti alla vita dei santi come a statue viventi e in movimento, e fare sua la loro virtù per imitazione.

4. Anche le preghiere, dopo la lettura, trovano l’anima più fresca e più vigorosa nell’amore verso Dio. È buona la preghiera che imprime nell’anima una chiara idea di Dio; e l’avere Dio stabilito in sé per mezzo della memoria è la dimora di Dio. Così diventiamo il tempio di Dio, quando la continuità del nostro ricordo non è interrotta da preoccupazioni terrene; quando la mente non è tormentata da sensazioni improvvise; quando l’adoratore fugge da tutte le cose e si ritira in Dio, allontanando tutti i sentimenti che lo invitano all’autoindulgenza, e trascorre il suo tempo nelle attività che portano alla virtù].

5. Anche questo è un punto molto importante a cui prestare attenzione: sapere come conversare; interrogare senza troppa serietà; rispondere senza desiderio di esibizione; non interrompere un proficuo oratore, o desiderare ambiziosamente di inserire una propria parola; misurarsi nel parlare e nell’udire; non vergognarsi di ricevere, o essere riluttante nel dare informazioni, né far passare la conoscenza di un altro per la propria, come le donne depravate i loro figli supposti, ma riferirla candidamente al vero genitore. Il tono medio della voce è il migliore, né così basso da essere impercettibile, né da essere considerato maleducato per il suo tono acuto. Si dovrebbe prima riflettere su ciò che si sta per dire, e poi esprimerlo: sii cortese quando ti si rivolge una parola; amabile nei rapporti sociali; non mirando a essere piacevole con la facezia, ma coltivando la gentilezza negli ammonimenti. La durezza va sempre messa da parte, anche nella censura. [Più mostri modestia e umiltà, più è probabile che tu sia accettabile per il paziente che ha bisogno del tuo trattamento. Ci sono però molte occasioni in cui faremo bene ad utilizzare il tipo di rimprovero usato dal profeta che non pronunciò di persona la sentenza di condanna su Davide dopo il suo peccato, ma suggerendo un racconto immaginario fece giudice di sé stesso il peccatore, in modo che, dopo aver emesso la propria condanna, non potesse rimproverare il veggente che lo aveva condannato.

6. Dallo spirito umile e sottomesso derivano l’occhio triste e abbattuto, l’aspetto trascurato, i capelli ruvidi, l’abito sporco; in modo che l’aspetto che chi è in lutto si preoccupa di presentare possa essere la nostra condizione naturale. La tunica deve essere fissata al corpo con una cintura, la quale non deve superare il fianco, come quella delle donne, né deve essere lasciata allentata, in modo che la tunica scivoli via, come quella di un fannullone. L’andatura non deve essere fiacca, il che dimostra un carattere privo di energia, né d’altra parte spinta e pomposa, come se i nostri impulsi fossero impetuosi e selvaggi. L’abbigliamento deve essere sufficiente sia in inverno che in estate. Per quanto riguarda i colori, evitate la luminosità; per quanto riguarda i materiali siano morbidi e delicati. Puntare su colori vivaci nel vestire è diventare come le donne che si abbelliscono quando colorano guance e capelli con tinte diverse dalle loro. La tunica deve essere abbastanza spessa da non richiedere altri aiuti per tenere caldo chi la indossa. Le scarpe devono essere economiche ma funzionali. In una parola, ciò che si deve considerare nel vestire è il necessario. Anche per quanto riguarda il cibo, per un uomo in buona salute il pane sarà sufficiente, e l’acqua placherà la sete; si possono aggiungere piatti di verdure che contribuiscono a rafforzare il corpo per lo svolgimento delle sue funzioni. Non si deve mangiare con un’esibizione di golosità selvaggia, ma in tutto ciò che riguarda i nostri piaceri mantenere la moderazione, la tranquillità e l’autocontrollo; e, in tutto ciò, non lasciare che la mente dimentichi di pensare a Dio, ma fare in modo che anche la natura del nostro cibo e la costituzione del corpo che lo assume, sia un motivo e un mezzo per offrire a Lui la gloria, ricordando come i vari tipi di cibo, adatti alle necessità del nostro corpo, siano dovuti alla disposizione del grande Amministratore dell’Universo. Prima della carne si ringrazi, come riconoscimento dei doni che Dio fa ora e di quelli che tiene in serbo per il tempo a venire. Dopo la cena si ringrazi in segno di gratitudine per i doni dati e di supplica per i doni promessi. Ci sia un’ora fissa per prendere il cibo, sempre la stessa in modo regolare, che di tutte le ventiquattro ore del giorno e della notte appena questa possa essere spesa per il corpo. Il resto l’asceta dovrebbe dedicarlo all’esercizio mentale. Che il sonno sia leggero e facilmente interrotto, come avviene naturalmente dopo una dieta leggera; dovrebbe essere volutamente interrotto da pensieri su grandi temi. Essere sopraffatti da un pesante torpore, con le membra non tese, in modo che si apra prontamente una via alle fantasie selvagge, significa immergersi nella morte quotidiana. Ciò che l’alba è per alcuni, questa mezzanotte è per gli atleti della pietà; allora il silenzio della notte dà riposo alla loro anima; nessun suono o visione nociva si intromette nei loro cuori; la mente è sola con sé stessa e con Dio, correggendosi con il ricordo dei suoi peccati, dandosi precetti per aiutarla a evitare il male, e implorando l’aiuto di Dio per il perfezionamento di ciò che desidera.]




San Giovanni Crisostomo, Sul Vangelo di Matteo, Omelia 1

Omelia 2 (in traduzione)

Omelia 1

In effetti, sarebbe opportuno che non avessimo affatto bisogno dell’aiuto della Parola scritta, ma che mostrassimo una vita così pura, che per le nostre anime la grazia dello Spirito fosse al posto dei libri e che come questi sono scritti con l’inchiostro, anche i nostri cuori lo fossero con lo Spirito. Ma poiché abbiamo completamente allontanato da noi questa grazia, veniamo, in ogni caso, ad abbracciare la seconda via migliore.

Perché che la prima via fosse migliore, Dio lo ha dimostrato sia con le sue parole che con le sue azioni. Da quando a Noè, ad Abramo e alla sua discendenza, a Giobbe e anche a Mosè, non parlò per mezzo di scritti, ma direttamente da Sé di Sé stesso, trovando la loro mente pura. Ma dopo che l’intero popolo ebraico era caduto nel baratro della malvagità, allora e in seguito si ebbe una parola scritta, delle tavole e l’ammonimento che viene dato da queste.

E questo si può intuire non solo per i santi dell’Antico Testamento, ma anche per quelli del Nuovo. Infatti, né agli apostoli Dio diede nulla per iscritto, ma invece di parole scritte promise che avrebbe dato loro la grazia dello Spirito, perché Egli, dice nostro Signore, vi farà ricordare ogni cosa. E perché possiate capire che questo era molto meglio, ascoltate ciò che dice il profeta: “Farò con loro una nuova alleanza, metterò le mie leggi nella loro mente, le scriverò nel loro cuore e saranno tutti ammaestrati da Dio” (Ger 31,33). E anche Paolo, sottolineando la stessa superiorità, disse che avevano ricevuto la legge non su tavole di pietra, ma su tavole di carne del cuore (2 Cor 3,2).

Ma poiché col passare del tempo fecero naufragio, alcuni per quanto riguarda le dottrine, altri per quanto riguarda la vita e le maniere, c’era di nuovo bisogno che fossero ricordati con la parola scritta.

2. Riflettete dunque su quanto sia grande il male per noi, che dovremmo vivere in modo così puro da non aver bisogno nemmeno di parole scritte, ma solo di consegnare i nostri cuori, come libri, allo Spirito; ora che abbiamo perso questo onore e siamo arrivati ad aver bisogno di queste ultime, veniamo meno al dovere di impiegare anche questo secondo rimedio. Infatti, se è una colpa avere bisogno di parole scritte e non aver fatto scendere su di noi la grazia dello Spirito, considerate quanto sia pesante l’accusa di non aver scelto di trarre profitto anche da questo aiuto, ma di trattare ciò che è scritto con negligenza, come se fosse stato gettato senza scopo e a caso, facendo così ricadere su di noi, aumentata, la nostra punizione.

Ma affinché non si verifichi un simile effetto, prestiamo rigorosa attenzione alle cose scritte e impariamo come sia stata data l’Antica Legge da un lato e la Nuova Alleanza dall’altra.

3. Come fu data la legge nel passato, quando e dove? Dopo la distruzione degli Egiziani, nel deserto, sul monte Sinai, quando dal monte si levavano fumo e fuoco, una tromba suonava, tuoni e fulmini, e Mosè entrava nella profondità della nube. Ma nella nuova alleanza non è così: né nel deserto, né su un monte, né con fumo e tenebre, né con nubi e tempeste; ma all’inizio del giorno, in una casa, mentre tutti erano seduti insieme, con grande tranquillità, tutto ebbe luogo. Infatti, per quelli che erano più irragionevoli e difficili da guidare, c’era bisogno di una magnificenza esteriore, come un deserto, un monte, un fumo, un suono di tromba e altre cose simili: ma coloro che erano di carattere più elevato e sottomesso, e che si erano elevati al di sopra della mera immaginazione corporea, sì, perché si trattava della rimozione della punizione, della remissione dei peccati, della giustizia, della santificazione, della redenzione, dell’adozione, dell’eredità del cielo e della relazione con il Figlio di Dio, che egli venne a dichiarare a tutti; ai nemici, ai perversi, a coloro che sedevano nelle tenebre. Che cosa potrebbe mai essere all’altezza di questa buona novella?

4. Dio sulla terra, l’uomo in cielo; e tutti si mescolarono, gli angeli si unirono ai cori degli uomini, gli uomini ebbero comunione con gli angeli e con le altre potenze in alto: e si poteva vedere la lunga guerra terminata e la riconciliazione tra Dio e la nostra natura, il diavolo svergognato, i demoni in fuga, la morte distrutta, il Paradiso aperto, la maledizione cancellata, il peccato eliminato, l’errore scacciato, la verità ritornata, la parola di Dio seminata ovunque e fiorente nella sua crescita, la polarità di coloro che sono in alto piantata sulla terra, quelle potenze in rapporti sicuri con noi, e sulla terra gli angeli continuamente perseguitati, e la speranza abbondante riguardo alle cose a venire.

Per questo ha chiamato questa storia “buona novella”, perché tutte le altre cose sono sicuramente solo parole senza sostanza, come, ad esempio, l’abbondanza di ricchezze, la grandezza del potere, i regni, le glorie e gli onori e qualsiasi altra cosa tra gli uomini sia considerata buona; ma quelle manifestate dai pescatori sarebbero legittimamente e propriamente chiamate buone novelle, non solo in quanto benedizioni sicure e inamovibili, e al di là dei nostri meriti, ma anche in quanto ci vengono date con ogni facilità. Infatti, non con fatica e sudore, non con fatica e sofferenza, ma semplicemente in quanto amati da Dio, abbiamo ricevuto ciò che abbiamo ricevuto.

5. E perché mai, quando c’erano tanti discepoli, due soli scrissero tra gli apostoli e due tra i loro seguaci? (Perché uno che era discepolo di Paolo e un altro di Pietro, insieme a Matteo e Giovanni, scrissero i Vangeli). Perché non facevano nulla per vanagloria, ma tutto per l’uso.

E allora? Non bastava un solo evangelista per raccontare tutto? Uno solo era sufficiente; ma se ci sono quattro che scrivono, non negli stessi tempi, né negli stessi luoghi, né dopo essersi riuniti e aver conversato tra loro, e poi dicono tutto come se uscissero da una sola bocca, questa diventa una grandissima dimostrazione della verità.

6. Ma si può dire che si è verificato il contrario, perché in molti punti sono stati condannati per discordanza. Anzi, proprio questo è una prova molto grande della loro verità. Infatti, se si fossero trovati d’accordo in tutto e per tutto, anche per quanto riguarda il tempo, il luogo e le parole stesse, nessuno dei nostri nemici avrebbe creduto se non che si fossero riuniti e avessero scritto ciò che hanno scritto con un accordo umano, perché un accordo così completo non viene dalla semplicità. Ma ora anche quella discordanza che sembra esistere in piccole questioni li libera da ogni sospetto e parla chiaramente a favore del carattere degli scrittori.

Ma se c’è qualcosa che riguarda i tempi o i luoghi, che essi hanno raccontato in modo diverso, questo non pregiudica la verità di ciò che hanno detto. E anche queste cose, per quanto Dio ce lo permetterà, cercheremo di farle notare man mano che procediamo, chiedendovi, insieme a ciò che abbiamo menzionato, di osservare che nei punti principali, quelli fondamentali per la nostra vita e che forniscono i capisaldi della nostra dottrina, in nessun luogo si trova che qualcuno di loro sia in disaccordo, e nemmeno di una qualche seppur piccola misura.

Ma quali sono questi punti? Quelli che seguono: Che Dio si è fatto uomo, che ha compiuto miracoli, che è stato crocifisso, che è stato sepolto, che è risorto, che è asceso, che giudicherà, che ha dato comandamenti che tendono alla salvezza, che ha introdotto una legge non contraria all’Antico Testamento, che è un Figlio, che è unigenito, che è un vero Figlio, che è della stessa sostanza del Padre, e tutte le cose simili; perché su queste troveremo un pieno accordo.

E se i miracoli non sono stati citati tutti, ma uno ha citato questi, l’altro quelli, non è un fatto che debba procurarvi turbamento. Infatti, se uno avesse parlato di tutti, il numero degli altri sarebbe stato superfluo; e se anche tutti avessero scritto cose nuove e diverse l’una dall’altra, la prova del loro accordo non sarebbe stata evidente. Per questo motivo tutti hanno trattato di molte cose in comune, e ognuno di loro ha anche ricevuto e dichiarato qualcosa di proprio; affinché, da un lato, non sembrasse superfluo e gettato nel mucchio senza scopo; dall’altro, rendesse perfetta la nostra prova della verità delle loro affermazioni.

7. Ora Luca ci dice anche il motivo per cui procede a scrivere: “perché ti possa rendere conto”, dice, “della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto”; (Luca 1,4) cioè, affinché, ricordandovi continuamente, manteniate la certezza e rimaniate nella certezza.

Ma per quanto riguarda Giovanni, egli stesso ha mantenuto il silenzio sulla causa; tuttavia, (come dice una tradizione che ci è giunta fin dai primi Padri) non ha scritto senza scopo; ma poiché era stata cura dei tre soffermarsi sul resoconto della dispensazione e le dottrine della Divinità stavano per essere lasciate in silenzio, egli, mosso da Cristo, si mise allora, e non prima di allora, a comporre il suo Vangelo. E questo è evidente sia dalla storia stessa, sia dall’incipit del suo Vangelo. Infatti, non inizia come gli altri dal basso, ma dall’alto, dallo stesso punto a cui mirava, ed è in vista di questo che compose l’intero libro. E non solo all’inizio, ma in tutto il Vangelo, egli è più elevato degli altri.

Di Matteo si dice ancora che quando coloro che tra i Giudei, avendo creduto, venivano da lui e lo pregavano di lasciare loro per iscritto quelle stesse cose che aveva detto loro a voce, egli compose anche il suo Vangelo nella lingua degli Ebrei. E anche Marco, in Egitto, si dice che abbia fatto la stessa cosa su richiesta dei discepoli.

Per questo motivo Matteo, scrivendo agli Ebrei, non volle mostrare altro se non che Egli proveniva da Abramo e da Davide; Luca, invece, parlando a tutti in generale, traccia un resoconto più alto, arrivando fino ad Adamo. L’uno inizia con la sua generazione, perché nulla era così rassicurante per il Giudeo come il fatto che Cristo fosse la discendenza di Abramo e di Davide; l’altro non fa così, ma menziona molte altre cose, e poi procede alla genealogia.

8. Ma l’armonia tra loro sarà stabilita sia dal mondo intero, che ha accolto le loro affermazioni, sia dagli stessi nemici della verità. Dal loro tempo, infatti, sono nate molte sette che sostengono opinioni opposte alle loro parole; alcune hanno accolto tutto ciò che hanno detto, mentre altre hanno tagliato via dal resto alcune parti delle loro affermazioni, tenendole così per sé. Ma se ci fosse stata contraddizione nelle loro affermazioni, le sette che sostengono la parte contraria non avrebbero ricevuto tutto, ma solo ciò che sembrava armonizzarsi con loro stesse; né quelle che hanno tagliato una parte, sarebbero state completamente confutate da quella parte; così che i frammenti stessi non possono essere nascosti, ma dichiarano ad alta voce la loro connessione con l’intero corpo. E come se si prendesse una parte qualsiasi del fianco di un animale, anche in quella parte si troverebbero tutte le cose di cui è composto l’intero corpo – nervi e vene, ossa, arterie e sangue, e un campione, come si direbbe, dell’intera massa – così anche per quanto riguarda le Scritture: in ogni porzione di ciò che vi è scritto, si può vedere chiaramente la connessione con l’intero. Se invece fossero stati in disaccordo, non sarebbe stato possibile evidenziarlo, e la dottrina stessa sarebbe stata da tempo vanificata: perché ogni regno, dice Egli, diviso contro sé stesso non può restare in piedi (Mc 3,24). Ma anche in questo risplende la forza dello Spirito, cioè nel vedere che ha fatto sì che questi uomini, impegnati com’erano nelle cose più necessarie e urgenti, non si facessero scrupolo di queste piccole questioni.

Ora, dove si trovasse ciascuno di loro quando scriveva, non è corretto per noi affermarlo in modo positivo. Ma che non si oppongano l’uno all’altro, cercheremo di dimostrarlo in tutta l’opera. E tu, accusandoli di disaccordo, fai proprio come se insistessi sul fatto che usano le stesse parole e le stesse forme di linguaggio.

9. E non dico ancora che coloro che si gloriano molto di retorica e filosofia, avendo molti di loro scritto molti libri che toccano gli stessi argomenti, non solo si sono espressi in modo diverso, ma hanno addirittura parlato in opposizione l’uno all’altro (perché una cosa è parlare in modo diverso e un’altra è parlare in modo opposto); nessuna di queste cose dico. Lungi da me l’idea di inquadrare la nostra difesa dal punto di vista della frenesia di quegli uomini, ne sono disposto a fare raccomandazioni per la verità a partire dalla falsità.

Ma sarei lieto di chiedere: come sono stati creduti i diversi resoconti? Come hanno prevalso? Come mai, pur dicendo cose opposte, furono ammirati, creduti, celebrati ovunque nel mondo?

Eppure i testimoni di ciò che dicevano erano molti, e molti erano anche gli avversari e i nemici. Infatti, non scrissero queste cose in un angolo e le seppellirono, ma dappertutto, per mare e per terra, le dispiegarono alle orecchie di tutti, e queste cose furono lette in presenza dei nemici, proprio come avviene ora, e nessuna delle cose che dissero offese nessuno. Questo avvenne, naturalmente, perché era una potenza divina che pervadeva tutto e lo faceva prosperare presso tutti gli uomini.

10. Infatti, se così non fosse, come avrebbero potuto il pubblicano, il pescatore e l’ignorante giungere a tale filosofia? Infatti, le cose che i non addetti ai lavori non hanno mai potuto immaginare, neppure in sogno, sono da questi uomini con grande sicurezza rese pubbliche e convincenti, e non solo in vita, ma anche dopo la morte: né a due uomini, né a venti uomini, né a cento, né a mille, né a diecimila, ma a città, nazioni e popoli, sia per terra che per mare, sia in terra di Greci che di barbari, sia abitata che deserta; e tutto ciò riguarda cose molto al di là della nostra natura. Infatti, lasciando la terra, tutti i loro discorsi riguardano le cose del cielo, mentre ci portano un altro principio di vita, un altro modo di vivere: ricchezza e povertà, libertà e schiavitù, vita e morte, il nostro mondo e la nostra politica, tutto cambiato.

Non come Platone, che ha composto quella ridicola Repubblica, o Zenone, o se c’è qualcun altro che ha scritto un’opera politica o ha elaborato leggi. Infatti, per quanto riguarda tutti questi, è stato reso manifesto da loro stessi che uno spirito malvagio, un demone crudele in guerra con la nostra razza, nemico del pudore e del buon ordine, che sovrasta ogni cosa, ha fatto sentire la sua voce nella loro anima. Quando, per esempio, rendono le loro donne comuni a tutti, e spogliano le vergini nella Palæstra, portandole sotto gli occhi degli uomini; e quando istituiscono matrimoni segreti, mescolando tutte le cose insieme e confondendole, e rovesciando i limiti della natura, che altro c’è da dire? Il fatto che questi loro detti siano tutte invenzioni diaboliche e contrarie alla natura, lo testimonierebbe anche la natura stessa, che non tollera ciò che abbiamo menzionato; e questo, anche se essi scrivono non in mezzo a persecuzioni, né a pericoli, né a lotte, ma in tutta sicurezza e libertà, e lo adornano con molti ornamenti di varia provenienza. Ma queste dottrine dei pescatori, inseguiti come erano, flagellati e in pericolo, sia i dotti che i non dotti, sia gli schiavi che i liberi, sia i re che i soldati semplici, sia i barbari che i greci, le hanno accolte con tutta la buona volontà.

11. E non si può dire che, poiché queste cose sono insignificanti e basse, fossero facilmente ricevibili da tutti gli uomini; anzi, queste dottrine sono molto più elevate di quelle altre. Infatti, per quanto riguarda la verginità, non ne hanno mai immaginato il nome nemmeno in sogno, né la povertà volontaria, né il digiuno, né altre cose elevate.

Ma quelli che sono dalla nostra parte non solo sterminano la lussuria, ma castigano non solo l’atto, ma anche lo sguardo non casto, il linguaggio ingiurioso, il riso disordinato, il vestito, l’andatura e il clamore, e portano avanti la loro esattezza anche nelle cose più piccole, e hanno riempito tutta la terra con la pianta della verginità. E anche per quanto riguarda Dio e le cose del cielo, convincono gli uomini di essere sapienti con una conoscenza che nessuno di loro è mai riuscito a concepire nella propria mente. Come avrebbero potuto, infatti, coloro che hanno creato per gli dei immagini di bestie, di mostri che strisciano sulla terra e di altre cose ancora più vili?

Eppure queste alte dottrine sono state accettate e credute, e fioriscono ogni giorno e aumentano mentre le altre sono passate e scomparse, più facilmente delle ragnatele.

Naturalmente, perché erano demoni quelli che manifestavano queste cose; perciò, oltre alla loro impurità, la loro oscurità è grande e il lavoro che richiedono maggiore. Infatti, cosa c’è di più ridicolo di quella repubblica in cui, oltre a ciò che ho menzionato, il filosofo, dopo aver speso righe a non finire per poter mostrare cos’è la giustizia, ha riempito il suo discorso di molta indistinzione oltre a questa prolissità? Questo, anche se contenesse qualcosa di utile, dovrebbe essere considerato di fatto inutile per la vita dell’uomo. Infatti, se il contadino e il fabbro, il costruttore e il pilota e tutti coloro che vivono del lavoro delle proprie mani, devono abbandonare il loro mestiere e le loro oneste fatiche e trascorrere un certo numero di anni per imparare che cos’è la giustizia, prima di averla imparata saranno distrutti dalla fame e moriranno a causa di questa giustizia, non avendo imparato nient’altro di utile da conoscere e avendo terminato la propria vita con una morte crudele.

12. Ma le nostre lezioni non sono tali; piuttosto Cristo ci ha insegnato ciò che è giusto, ciò che è opportuno, ciò che è conveniente e tutte le virtù in generale, comprendendole in poche e semplici parole: a volte dicendo che su due comandamenti si fondano la Legge e i Profeti; (Mt 22,40) cioè sull’amore di Dio e sull’amore del prossimo; a volte dicendo: “Tutto ciò che volete che gli uomini facciano a voi, fatelo anche voi a loro, perché questa è la Legge e i Profeti”. (Mt 7,12)

E queste cose, anche per un operaio, per un servo, per una donna vedova, per un bambino e per colui che sembra essere estremamente lento di comprendonio, sono tutte chiare da capire e facili da imparare. Perché le lezioni della verità sono così, e il risultato concreto ne è testimone. Tutti hanno imparato le cose che devono fare, e non solo le hanno imparate, ma ne sono stati anche emuli; e non solo nelle città o in mezzo ai mercati, ma anche sulle cime dei monti.

Sì, perché lì vedrete la vera saggezza abbondare, cori di angeli risplendere in un corpo umano e la comunità del cielo manifestarsi qui sulla terra. Anche questi pescatori descrissero per noi una comunità, non ordinando di abbracciarla fin dall’infanzia, come gli altri, né imponendo come legge che l’uomo virtuoso debba avere tanti anni, ma rivolgendo il loro discorso in generale a tutte le età. Perché quelle altre lezioni sono giocattoli per bambini, mentre queste sono la verità delle cose.

E come luogo per questa loro comunità hanno scelto il cielo, e Dio l’hanno introdotto come artefice e legislatore degli statuti che vi sono stabiliti, come del resto era loro dovere. E le ricompense del loro paese non sono foglie di alloro o di ulivo, né una porzione di carne nella sala pubblica, né statue di ottone, queste cose fredde e ordinarie, ma una vita che non ha fine, e diventare figli di Dio, unirsi al coro degli angeli, stare accanto al trono reale e stare sempre con Cristo. Le guide del popolo di questa comunità sono pubblicani, pescatori e fabbricanti di tende, non quelli che hanno vissuto per un breve periodo, ma quelli che vivranno per sempre. Per questo, anche dopo la loro morte, possono fare il massimo bene ai governati.

Questa repubblica non è in guerra con gli uomini, ma con i diavoli e le potenze incorporee. Perciò anche il loro capitano non è un uomo, né un angelo, ma Dio stesso. Anche l’armatura di questi guerrieri si adatta alla natura della guerra, perché non è formata da pelli e acciaio, ma dalla verità, dalla rettitudine, dalla fede e da ogni vero amore per la saggezza.

13. Poiché la suddetta repubblica è l’argomento su cui è stato scritto questo libro e ora ci viene proposto di parlarne, prestiamo attenzione a Matteo, che parla chiaramente di questo, perché ciò che dice non è suo, ma tutto di Cristo, che ha fatto le leggi per questa città. Prestiamo attenzione, dico, per essere in grado di iscriverci in essa e di brillare tra coloro che ne sono già diventati cittadini e attendono le corone incorruttibili. A molti, però, questo discorso sembra facile, mentre gli scritti profetici sono difficili. Ma questa è l’opinione di coloro che non conoscono la profondità dei pensieri in essi contenuti. Perciò vi prego di seguirci con molta diligenza, in modo da entrare nell’oceano stesso delle cose scritte, con Cristo come guida in questo nostro ingresso.

Ma affinché la parola sia più facile da imparare, vi preghiamo e vi scongiuriamo, come abbiamo fatto anche per le altre Scritture, di prendere in anticipo la parte della Scrittura che stiamo per spiegare, in modo che la vostra lettura possa preparare la strada per la vostra comprensione (come avvenne anche per l’eunuco – At 8,28), e così facilitare molto il nostro compito.

14. E questo perché le domande sono molte e frequenti. Si veda, ad esempio, subito all’inizio del suo Vangelo, quante difficoltà potrebbero essere sollevate una dopo l’altra. In primo luogo, perché viene tracciata la genealogia di Giuseppe, che non era il padre di Cristo. In secondo luogo, da dove si evince che Egli trae la sua origine da Davide, mentre non si conoscono gli antenati di Maria, che lo ha partorito, poiché la genealogia della Vergine non è tracciata? In terzo luogo, per quale motivo viene tracciata la genealogia di Giuseppe, che non ha nulla a che fare con la nascita; mentre per quanto riguarda la Vergine, che era la madre stessa, non si sa da quali padri, nonni o antenati sia stata generata.

E oltre a queste cose, vale la pena di chiedersi come mai, nel tracciare la genealogia attraverso gli uomini, abbia menzionato anche le donne; e perché, avendo deciso di farlo, non le abbia menzionate tutte, ma, tralasciando le più eminenti, come Sara, Rebecca e tutte le altre simili, abbia menzionato solo quelle famose per qualche malefatta, come, ad esempio, se qualcuna fosse stata una prostituta o un’adultera, o una madre nata da un matrimonio illecito, se qualcuna fosse stata una straniera o una barbara. Infatti, ha menzionato la moglie di Uria, di Thamar, di Rahab e di Ruth, di cui una era di razza straniera, un’altra una prostituta, un’altra ancora era stata contaminata da un suo parente prossimo, e non in un rapporto matrimoniale, ma con un rapporto rubato, quando aveva indossato la maschera della prostituta; e della moglie di Uria nessuno ignora nulla, a causa della notorietà del crimine. Eppure l’evangelista ha tralasciato tutte le altre e ha inserito nella genealogia solo queste. Al contrario, se le donne dovevano essere menzionate, dovevano esserlo tutte; se non tutte, ma solo alcune, allora quelle famose per le virtù e non per le azioni malvagie.

Vedete quanta cura ci viene richiesta subito all’inizio? Eppure l’inizio sembra essere più semplice del resto; per molti forse addirittura superfluo, essendo una mera numerazione di nomi.

Dopo questo, un altro punto merita di essere indagato: perché ha omesso tre re? Se, infatti, a causa della loro empietà, avesse taciuto i loro nomi, non avrebbe dovuto menzionare neanche gli altri che erano come loro. E questa è un’altra domanda: perché, dopo aver parlato di quattordici generazioni, non ha mantenuto il numero nella terza divisione?

E per questo Luca ha menzionato altri nomi, e non solo non tutti uguali, ma anche molti di più, mentre Matteo ne ha di meno e di diversi, pur avendo concluso anch’egli con Giuseppe, con cui anche Luca ha concluso.

Vedete quanto sia necessaria una vigile attenzione da parte nostra, non solo per spiegare, ma anche per imparare quali cose dobbiamo spiegare. Non è una cosa da poco, infatti, riuscire a scoprire le difficoltà; c’è anche un altro punto difficile, ovvero come Elisabetta, che era della tribù levitica, fosse parente di Maria.

15. Ma per non sovraccaricare la vostra memoria, mettendo insieme molte cose, fermiamo qui il nostro discorso per un po’ di tempo. Perché è sufficiente per voi, affinché siate ben svegliati, che impariate solo le domande. Ma se desiderate anche la loro soluzione, anche questo dipende da voi stessi, prima di parlare nuovamente. Infatti, se vi vedo ben svegli e desiderosi di imparare, mi sforzerò di aggiungere anche la soluzione; ma se siete a bocca aperta e non partecipate, nasconderò sia le difficoltà che la loro soluzione, in obbedienza a una legge divina. Infatti, Egli dice: “Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino” (Mt 7,6).

Ma chi è che le calpesta? Colui che non considera queste cose preziose e venerabili. E chi è così miserabile da non considerare queste cose venerabili e più preziose di tutte? Colui che non vi dedica tanto tempo libero quanto alle prostitute nei teatri di Satana. Lì, infatti, la moltitudine passa l’intera giornata e rinuncia a non poche delle proprie faccende domestiche per questo impiego fuori dai normali schemi, e conserva con esattezza tutto ciò che ha ascoltato, anche se a danno della propria anima. Ma qui, dove Dio sta parlando, non sopportano di indugiare nemmeno un po’.

Perciò, vi avverto, non abbiamo nulla in comune con il Cielo, infatti la nostra cittadinanza non va oltre le parole. Eppure, per questo motivo, Dio ha minacciato persino l’inferno, non per gettarci lì, ma per convincerci a fuggire da questa terribile tirannia. Ma noi facciamo il contrario e percorriamo ogni giorno la strada che ci porta lì, e mentre Dio ci ordina non solo di ascoltare, ma anche di fare ciò che dice, noi non ci sottomettiamo nemmeno ad ascoltare.

Quando dunque, vi prego, faremo ciò che ci è stato comandato e metteremo mano alle opere, se non sopportiamo nemmeno di ascoltare le parole che le riguardano, ma siamo impazienti e inquieti per il tempo che restiamo qui, anche se è molto breve?

16. E poi, quando parliamo di cose indifferenti, se vediamo che quelli che sono in compagnia non partecipano, chiamiamo ciò che fanno un insulto; ma riteniamo forse di provocare Dio se, mentre Egli parla di queste cose, disprezziamo ciò che viene detto e guardiamo da un’altra parte? Chi è ormai vecchio e ha viaggiato per molti paesi, ci riferisce con esattezza il numero di stadi, la posizione delle città, i loro piani, i loro porti e mercati; ma noi stessi non sappiamo nemmeno quanto siamo lontani dalla città che è in cielo. Se avessimo conosciuto la distanza, avremmo cercato di accorciarla. Quella città non solo è lontana da noi come il cielo dalla terra, ma anche molto di più, se siamo negligenti; come, d’altra parte, se facciamo del nostro meglio, anche in un solo istante arriveremo alle sue porte. Infatti, queste distanze non sono definite dallo spazio locale, ma dalla disposizione morale.

Ma voi conoscete esattamente gli affari del mondo, sia quelli nuovi che quelli vecchi, e anche quelli più antichi; potete elencare i principi sotto i quali avete servito in passato, e i capi dei giochi, e quelli che hanno vinto il premio, e i capi degli eserciti, cose che non vi interessano; ma chi è diventato il capo di questa città, il primo o il secondo o il terzo, e per quanto tempo, ognuno di loro; e ciò che ognuno ha compiuto e portato a termine, non l’avete immaginato nemmeno in sogno. E le leggi che sono state stabilite in questa città non sopportate di sentirle, né le osservate, anche quando altri ve le raccontano. Come pensi dunque, ti prego, di ottenere le benedizioni promesse, se non ascolti nemmeno ciò che ti viene detto?

17. Ma anche se mai prima d’ora, ora, in ogni caso, facciamolo. Sì, perché stiamo per entrare in una città (se Dio lo permette) d’oro e più preziosa di qualsiasi altro oro. Segniamo allora le sue fondamenta, le sue porte costituite da zaffiri e perle; perché in effetti abbiamo in Matteo una guida eccellente. Infatti, attraverso la sua porta entreremo ora, ed è richiesta molta diligenza da parte nostra. Perché se vede qualcuno non attento, lo caccia dalla città. Sì, perché la città è molto regale e gloriosa; non come le nostre città, divise in una piazza del mercato e in corti reali, perché lì tutto è la corte del Re. Apriamo dunque le porte della nostra mente, apriamo le nostre orecchie e con grande tremore, quando siamo sul punto di mettere piede sulla soglia, adoriamo il Re che è lì. Infatti, il primo approccio ha il potere di confondere subito l’osservatore.

Per ora troviamo le porte chiuse; ma quando le vedremo aperte (perché questa è la soluzione delle difficoltà), allora percepiremo la grandezza dello splendore all’interno. Perché anche lì, guidandovi con gli occhi dello Spirito, c’è uno che si offre di mostrarvi tutto: questo pubblicano. Dove siede il Re e chi della sua schiera sta accanto a Lui; dove sono gli angeli, dove gli arcangeli; e quale posto è riservato ai nuovi cittadini in questa città, e che tipo di strada è quella che vi conduce, e che tipo di porzione hanno ricevuto, i primi che vi sono stati cittadini, e quelli dopo di loro, e quelli che li hanno seguiti. E quanti sono gli ordini di queste tribù, quanti quelli del senato, quante le distinzioni di dignità.

Non entriamo dunque con rumore o tumulto, ma con un mistico silenzio. Perché se in un teatro, quando si fa un grande silenzio, si leggono le lettere del re, tanto più in questa città tutti devono essere composti e stare con l’anima e l’orecchio eretti. Perché non sono le lettere di un maestro terreno, ma del Signore degli angeli, che stanno per essere lette.

Se ci ordiniamo in questo modo, la grazia stessa dello Spirito ci condurrà a una grande perfezione, e arriveremo al trono regale e raggiungeremo tutti i beni, per la grazia e l’amore verso l’uomo del nostro Signore Gesù Cristo, al quale sia la gloria e la potenza, insieme al Padre e allo Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli.

Amen.




San Massimo il Confessore (580 – 662): Lo scopo dell’incarnazione di Dio

San Massimo il Confessore (580 – 662)

dall’opera “Discorso Ascetico”

Lo scopo dell’incarnazione di Dio

1. Un fratello interrogò un vecchio dicendo: — Ti chiedo di dirmi, o padre: quale fu lo scopo per cui il Signore divenne uomo?

Ed il vecchio rispondendo disse: — Mi meraviglio di te, o fratello, perché mi interroghi intorno a ciò, pur ascoltando ogni giorno il simbolo della fede. Tuttavia ti dico che lo scopo per cui il Signore divenne uomo fu la nostra salvezza.

Ed il fratello chiese: — Come dici, o padre?

Ed il vecchio rispose: — Poiché dunque l’uomo, creato all’inizio da Dio e posto nel paradiso, avendo trasgredito il comandamento, soggiacque alla corruzione ed alla morte, di conseguenza, pur governato dalla varia provvidenza di Dio per ogni successiva generazione, continuava a rimanere decaduto nello stato peggiore, spinto dalle diverse passioni della carne alla disperazione della vita. Per questo l’unigenito Figlio di Dio, il Verbo anteriore al tempo procedente da Dio Padre, la fonte della vita e dell’immortalità, apparve a noi che giacevamo nell’oscurità e nell’ombra della morte (Mt 4,16 – Lc 1-79); incarnatosi dallo Spirito Santo e dalla Santa Vergine, ci indicò il modo di una vita divina e, dopo averci impartito santi precetti ed aver annunziato il regno dei cieli a chi vive secondo essi e minacciato eterno castigo a chi li viola, sofferta la passione salvatrice e risorto dai morti, ci donò la speranza della risurrezione e della vita eterna. Tolta mediante la sua ubbidienza la condanna della colpa dei progenitori ed annientata con la morte la potenza della morte (Eb 2,14), affinché, come tutti muoiono in Adamo, cosi tutti siano vivificati (1 Cor 15,22); asceso ai cieli e postosi alla destra del Padre, fece discendere io Spirito Santo in pegno della vita e ad illuminazione e santificazione delle nostre anime ed in aiuto di chi lotta per la propria salvezza per custodire i suoi precetti. Questo fu lo scopo per cui il Signore divenne uomo, a dirla in breve.




Cirillo di Alessandria: TERZA LETTERA A NESTORIO

TERZA LETTERA A NESTORIO

San Cirillo, Patriarca di Alessandria (370–444)

Cirillo e il sinodo convocato ad Alessandria d’Egitto al Religiosissimo e Piissimo collega nel ministero, Nestorio, salute nel Signore.

1. Poiché il nostro Salvatore chiaramente dice: Chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di me; e chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me, che cosa possiamo fare noi, che siamo richiesti dalla tua Pietà di amarti più di Cristo, Salvatore di noi tutti? Chi ci potrà difendere nel giorno del giudizio? Quale scusa troveremo all’essere stati per così lungo tempo in silenzio, di fronte alle bestemmie da te pronunciate su di lui? Se tu danneggiassi soltanto te stesso pensando e insegnando dottrine siffatte, minore sarebbe la preoccupazione. Ma tu hai scandalizzato tutta la Chiesa e hai posto il lievito di una nuova e bizzarra eresia in ogni gente, non solo tra quelli che stanno lì, a Costantinopoli, ma anche in ogni altro luogo (infatti i testi delle tue omelie circolano ampiamente). Quale discorso potrà allora giustificare il nostro silenzio? Come si può non essere memori di quel che Cristo dice: Non pensate che sia venuto a portare la pace sulla terra, ma la spada. Son venuto a dividere l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre? Quando la fede è offesa, vada pure alla malora la riverenza verso i parenti, come qualcosa di stantio e pericoloso; passi in secondo piano anche la norma che ci obbliga all’affetto verso i figli e i fratelli, e sia preferibile per le persone pie la morte alla vita, affinché trovino una migliore risurrezione, come sta scritto. 2. Ecco, dunque, noi, insieme al santo sinodo riunito nella grande Roma, sotto la presidenza del Santissimo e Reverendissimo fratello e collega nel ministero, il vescovo Celestino, con questa terza lettera ti avvisiamo e ti intimiamo di allontanarti da dottrine tanto stolte e perverse, come sono  quelle che tu pensi e insegni, e di accettare la retta fede, data fin dall’inizio alle chiese attraverso i santi Apostoli ed Evangelisti, i quali sono stati testimoni oculari e ministri della parola. E se la tua Pietà non si atterrà alla data stabilita nella lettera del sopra menzionato Santissimo e Reverendissimo fratello e nostro collega nel ministero, il vescovo di Roma, Celestino, sappi che non avrai alcuna parte con noi né luogo o parola tra i sacerdoti di Dio e i vescovi. Non è infatti possibile vedere tutto intorno le chiese turbate, le comunità scandalizzate, la retta fede rifiutata, il gregge disperso a causa tua, che eri stato dato a sua salvaguardia, se mai avessi seguito, insieme a noi, la retta dottrina, procedendo sulle orme della pietà dei santi Padri. Noi tutti siamo in comunione con tutti, laici e chierici, che sono stati scomunicati o deposti dalla tua Pietà, a cagione della fede. Non è giusto che siano condannati da te quanti seppero mantenere la retta dottrina, perché giustamente ti si sono opposti! Di questo tu hai fatto menzione nella lettera scritta al Santissimo e nostro collega nell’episcopato Celestino, vescovo della grande Roma. Non sarà sufficiente alla tua Pietà confessare insieme a noi semplicemente il Simbolo della fede, che un tempo è stato esposto nello Spirito santo dal santo e grande concilio, riunito a suo tempo a Nicea. Anche se confessi le parole con la voce, non lo interpreti e non lo intendi rettamente, bensì in modo distorto. Confessa piuttosto per iscritto e sotto giuramento che anatematizzi le tue scellerate ed empie dottrine, e che al loro posto penserai e insegnerai le stesse dottrine di noi tutti, i vescovi d’Occidente e d’Oriente, maestri e capi delle comunità. Sappi che il santo sinodo di Roma e noi tutti conveniamo con le lettere inviate alla tua Pietà dalla chiesa di Alessandria, in quanto le stimiamo ortodosse e prive di errori. Abbiamo inoltre aggiunto a questa nostra lettera ciò che è necessario tu pensi e insegni e ciò da cui devi dissociarti. La fede della Chiesa cattolica e apostolica, in cui tutti i vescovi ortodossi d’Occidente e d’Oriente convengono è questa:

3. Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili. E in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, generato Unigenito dal Padre, cioè dalla sostanza del Padre; Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato non fatto, consostanziale al Padre; attraverso il quale tutto è stato fatto, in cielo e sulla terra. Per noi uomini e per la nostra salvezza egli è disceso, si è incarnato ed è divenuto uomo, ha patito ed è risuscitato nel terzo giorno; è asceso al cielo; verrà a giudicare i vivi e i morti; e crediamo nello Spirito santo. Coloro che dicono: «Vi fu un tempo in cui egli non esisteva»; o «Prima di essere generato non esisteva»; o «Egli è stato generato dal nulla o da altra ipostasi o sostanza»; oppure «Il Figlio di Dio è mutabile e alterabile», tutti costoro anatematizza la Chiesa cattolica e apostolica.

Noi seguiamo esattamente la confessione espressa dai santi Padri, perché in essi parlava lo Spirito santo, e procediamo secondo l’intenzione del loro pensiero, come per una strada regia; in forza di ciò affermiamo che l’Unigenito Verbo di Dio, quello che è nato dalla stessa sostanza del Padre, il Dio vero da Dio vero, la Luce da Luce, colui attraverso il quale tutto fu fatto, in cielo e sulla terra, colui che è disceso per la nostra salvezza e che si è sottomesso all’umiliazione, proprio lui, affermiamo, si è incarnato e si è fatto uomo; cioè, avendo preso una carne dalla santa Vergine e avendola resa sua propria fin dall’utero, si sottomise alla nostra nascita e venne fuori uomo da una donna. Non perse ciò che era, ma anche assumendo la carne e il sangue, anche così, rimase ciò che era, cioè Dio per natura e verità. Non affermiamo che la carne sia passata nella natura divina né che l’ineffabile natura del Dio Verbo sia passata nella natura della carne: egli è immutabile e, poiché resta sempre il medesimo, come dicono le Scritture, è interamente inalterabile. Una volta divenuto visibile, pur essendo neonato, in fasce e sul seno della Vergine che l’aveva partorito, in quanto Dio riempiva ogni creatura e regnava insieme al Genitore. Infatti la divinità è priva di misura e grandezza, e non ammette limiti.

4. Poiché confessiamo che il Verbo è unito alla carne secondo l’ipostasi, adoriamo un solo Figlio e Signore, Gesù Cristo. Non separiamo in parti e non dividiamo l’uomo e il Dio, come se si fossero uniti insieme l’un l’altro per unità di dignità e autorità (dire questo è puro non senso e nient’altro). Neppure applichiamo propriamente il nome «Cristo» al Verbo da Dio e similmente chiamiamo «Cristo» il nato da donna; ma riconosciamo che Cristo è uno solo, il Verbo da Dio Padre con la sua propria carne. Sebbene infatti egli dia lo Spirito ai giusti senza misura (Gv 3, 34), come dice il beato evangelista Giovanni, egli è stato unto con noi in maniera umana. Non affermiamo però che il Verbo da Dio abbia abitato nel figlio generato dalla santa Vergine, come in un uomo comune, affinché non si pensi che Cristo sia un uomo «teoforo». Sebbene il Verbo abitò tra noi (Gv 1,14), affermiamo anche che in Cristo risiede, in modo corporeo, tutta la pienezza della divinità (Col 2,9). Riconosciamo dunque che si è fatto carne e non dividiamo l’inabitazione, come se la maniera in cui la realizzò in sé stesso fosse stata eguale al tipo di inabitazione che diciamo ci sia nei santi. Ma, essendo uno per natura e non essendo mutato in carne, realizzò questa inabitazione come – si potrebbe dire – l’anima dell’uomo entra in relazione con il proprio corpo.

5. Perciò Cristo, Figlio e Signore, è uno solo. Non è un uomo che sia in rapporto con Dio per semplice congiunzione, mentre l’unità consisterebbe nella dignità e nella sovranità. L’eguaglianza di onore non unisce le nature; infatti Pietro e Giovanni, eguali ambedue per onore, in quanto Apostoli e santi discepoli, non sono affatto uno, ma due. Non riteniamo che il modo della congiunzione avvenga per avvicinamento (non sarebbe infatti sufficiente per un’unione naturale), né per un’unione accidentale, come avviene per noi, i quali, secondo le Scritture, siamo in connessione con il Signore e con lui siamo un solo spirito. Anzi noi rifiutiamo il termine «congiunzione», in quanto inadatto a significare l’unione. E neppure chiamiamo il Verbo da Dio Padre, Dio e Padrone di Cristo, per non tagliare manifestamente in due l’unico Cristo, Figlio e Signore, e così essere imputabili di bestemmia, avendolo reso Dio e Padrone di sé stesso. Il Verbo di Dio, come già abbiamo ribadito, essendo unito alla carne secondo l’ipostasi, è Dio dell’universo e comanda su tutto: non è servo o padrone di sé stesso. Pensare e affermare ciò è sciocco e blasfemo. Infatti egli chiama il Padre suo «Dio», sebbene per natura sia Dio e generato dalla sua stessa sostanza. Non ignoriamo, però, che, pur restando Dio, è divenuto uomo; e che per la legge inerente alla natura umana è sottoposto a Dio. In che modo allora sarebbe divenuto Dio e Padrone di sé stesso? Affermiamo che, come uomo e per quel che riguarda il modo dell’abbassamento, egli è sottoposto a

Dio come noi. Alla stessa maniera è divenuto sotto la legge, sebbene, in quanto Dio, egli stesso sia il promulgatore della legge e il legislatore.

6. Noi rifiutiamo di affermare su Cristo: «Venero colui che è rivestito, a motivo di colui che lo riveste; adoro colui che è visibile, a motivo di colui che è invisibile». È poi cosa terribile aggiungere: «Colui che è

assunto è chiamato Dio insieme con chi assume». Chi dice così divide in due Cristo e propriamente pone in modo separato un uomo e similmente un Dio. Vanifica chiaramente l’unione, secondo la quale l’uno non è adorato insieme con l’altro, ed è chiamato insieme a lui «Dio»; ma affermiamo che uno solo è Cristo Gesù, Figlio Unigenito, onorato con un’unica adorazione, insieme alla sua propria carne. Confessiamo inoltre che egli, il Figlio generato da Dio Padre e Dio Unigenito, sebbene per sua propria natura fosse impassibile, patì con la carne (1 Pt 4,1) per noi, secondo le Scritture, ed era nel corpo crocifisso, sostenendo le sofferenze della sua propria carne, sebbene fosse impassibile. Per grazia di Dio, gustò la morte per tutti (Eb 2,9),

offrendole il proprio corpo, sebbene per natura egli esista come Vita e sia la Risurrezione (Gv 11,25). Con indicibile potere, al fine di soffrire la morte con la sua propria carne, divenne il primogenito dei morti (Col 1,18)e la primizia dei dormienti (1 Cor 15,20), e indicò alla natura umana la strada per il ritorno all’incorruttibilità. Per grazia di Dio, come or ora abbiamo detto, gustò la morte per tutti e, ritornando alla vita dopo tre giorni, spogliò l’Ade. Perciò si può dire che la risurrezione dei morti avvenne attraverso un uomo, ma intendiamo che l’uomo è il Verbo nato da Dio e che per mezzo suo ha sciolto il potere della morte. Egli verrà a tempo opportuno come un unico Figlio e Signore, nella gloria del Padre a giudicare il mondo nella giustizia (At 17,31), secondo la Scrittura.

7. Necessariamente dobbiamo aggiungere anche questo. Noi proclamiamo la morte secondo la carne dell’Unigenito Figlio di Dio, Gesù Cristo, e confessiamo la sua risurrezione dai morti e l’ascesa al cielo, quando nelle chiese celebriamo l’incruento sacrificio e così ci appressiamo alle mistiche benedizioni e siamo santificati, divenendo partecipi della santa carne e del prezioso sangue di Cristo, Salvatore di noi tutti. Non riceviamo una carne comune (non sia mai!) né quella di un uomo santificato e unito al Verbo secondo l’unione della dignità oppure del possesso di una divina inabitazione, ma la carne veramente vivificante e interamente propria del Verbo. In quanto Dio egli è per natura Vita, perché è divenuto uno con la sua propria carne, rendendola vivificante. Cosicché ci ha potuto dire: Amen vi dico, se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue (Gv 6,53). Dobbiamo allora considerare che essa non è quella di un uomo come noi (come può per la sua stessa natura la carne di un uomo essere vivificante?), ma quella veramente fatta propria da colui che per noi è divenuto e si è fatto Figlio dell’uomo.

8. In forza delle espressioni del nostro Salvatore, presenti nei vangeli, noi non lo dividiamo in due ipostasi, né in due prosopa.[1] L’unico e solo Cristo non è infatti duplice; e anche se è pensato di due diversi elementi, è convenuto in una inseparabile unità. Sebbene sia considerato anche un uomo, dotato di anima e corpo, non è duplice, ma uno da due. Allora, pensando rettamente, dobbiamo riferire a uno solo le caratteristiche sia umane sia divine.

Quando, parlando come Dio, dice di sé stesso: Chi ha visto me, ha visto il Padre (Gv 14,9), e Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10,30), comprendiamo la sua divina e ineffabile natura, secondo la quale è una cosa sola con suo Padre, per l’identica sostanza, dato che possiede l’immagine e lo splendore della sua gloria (Eb 1,3).

Quando, non disprezzando i limiti dell’umana natura, disse ai Giudei: Ora cercate di uccidere me, un uomo, io che vi ho detto la verità (Gv 8,40), egualmente riconosciamo che il Dio Verbo è in eguaglianza e

somiglianza del Padre, anche nei limiti della sua natura umana. Se bisogna credere che, essendo Dio per natura, è divenuto carne, cioè un uomo dotato di anima razionale, che scusa può avere chi si vergogna delle parole che egli ha espresse in modo appropriato alla natura umana? Se egli avesse respinto le caratteristiche proprie di un uomo, chi lo avrebbe potuto costringere a divenire uomo come noi? Poiché si è posto per noi in una volontaria umiliazione, con

quale scusa possiamo rifiutare le caratteristiche proprie dell’umiliazione? Perciò tutte le espressioni presenti nei Vangeli devono essere applicate all’unica persona, all’unica ipostasi incarnata del Verbo. Secondo le Scritture uno solo è il Signore Gesù

Cristo.

9. Inoltre, sebbene è chiamato Apostolo e sommo Sacerdote della nostra confessione (Eb 3,1), in quanto offre a Dio e Padre la confessione di fede rivolta da noi a lui e, attraverso lui, a Dio e Padre, oltre che allo Spirito santo, tuttavia affermiamo che egli è per natura il Figlio Unigenito da Dio. Non ascriviamo allora a un uomo diverso da lui il titolo e la realtà del sacerdozio: divenne il mediatore tra Dio e gli uomini (1 Tm 2,5), il conciliatore (At 7,26), quando offrì sé stesso in odore di soavità a Dio e Padre. Per questo dice: Non hai voluto sacrificio e offerta, ma mi hai preparato un corpo. Non hai gradito olocausti e vittime per il peccato. Allora dissi: ecco, vengo. Su di me è scritto nel rotolo del libro di fare, Dio, la tua volontà (Eb 10,5ss). Per noi e non per sé stesso ha offerto in odore di soavità il proprio corpo. Di quale offerta o sacrificio avrebbe avuto bisogno per sé stesso, colui che esisteva, come Dio, al di là di ogni peccato? Se tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio (Rm 3,23), è perché siamo divenuti soggetti alla caduta e la natura dell’uomo è stata infettata dal peccato; egli però non è in questa condizione e per questo siamo vinti dalla sua gloria. Come si può dubitare che il vero Agnello si è immolato per noi a causa nostra? Affermare allora che egli si è immolato per sé stesso e per noi, significherebbe non potere assolutamente evitare l’accusa di empietà. In nessun modo egli ha errato ne ha commesso peccato. Di quale offerta allora avrebbe potuto avere bisogno, dato che non esisteva peccato, a motivo del quale giustamente compiere l’offerta?

10. Quando dice dello Spirito: Egli mi glorificherà (Gv 16,14), noi, pensando rettamente, non diciamo che l’unico Cristo e Figlio, siccome avrebbe avuto bisogno della gloria di un altro, ha acquisito la gloria dallo Spirito santo. Il suo Spirito non è migliore né superiore a lui. Ma poiché, per dimostrare la sua divinità, ha fatto uso del suo proprio Spirito per compiere i miracoli, si afferma che è stato glorificato da lui. Sarebbe come se uno dicesse nei riguardi della propria forza o di una sua conoscenza: «essa mi glorifica». Sebbene lo Spirito sia in una sua propria ipostasi ed è considerato per sé (è Spirito e non Figlio), non è però altro da lui. È chiamato Spirito di verità (Gv 16,13) e Cristo è la Verità (Gv 14,6); inoltre procede da Cristo, come anche da Dio e Padre. Perciò lo Spirito compì miracoli per mano dei santi Apostoli e glorificò il nostro Signore Gesù Cristo dopo la sua ascensione al cielo. È oggetto di fede che Cristo è Dio per natura e che opera attraverso il suo Spirito. Per questo diceva: Egli riceverà dal mio e ve lo farà conoscere (Gv 16,14).  Non stiamo affermando affatto che lo Spirito è sapienza e potenza per partecipazione: egli è assolutamente perfetto e colmo di ogni bene. Poiché egli è Spirito della Potenza e della Sapienza del Padre – cioè del Figlio –, egli è in tutto e per tutto Potenza e Sapienza.

11. Poiché poi la santa Vergine ha partorito carnalmente Dio unito alla carne secondo l’ipostasi, per questo affermiamo che essa è Madre di Dio; non perché la natura del Verbo avrebbe preso inizio dalla carne – egli infatti era all’inizio e il Verbo era Dio e il Verbo era presso Dio (Gv 1,1)ed è il fattore di ogni cosa, coeterno al Padre e artefice di tutto – ma, come abbiamo detto, perché, unita a sé secondo l’ipostasi la natura umana, tollerò una nascita carnale dal seno di lei. Questo non perché aveva bisogno per sua propria natura di una nascita temporale e alla fine dei tempi, ma per benedire l’inizio della nostra esistenza. Dal momento che una donna lo ha partorito, unito alla carne fece cessare la maledizione, che incombeva su tutto il genere umano e che portava alla morte i nostri corpi mondani. Grazie a lui sarebbe stato reso vano il partorirai i figli nel dolore (Gn 3,16), e si sarebbe manifestata vera la parola del profeta: La morte è divenuta forte e Dio asciugherà le lacrime da ogni volto (Is 25,8). Per questo motivo diciamo che egli, per l’economia ha benedetto le nozze e, chiamato, si recò a Cana di Galilea insieme ai santi Apostoli.

12. Così abbiamo appreso a pensare dai santi Apostoli ed Evangelisti, da tutta la Scrittura ispirata da Dio e dalla vera confessione dei beati Padri. Bisogna che la tua Pietà sottoscriva tutto questo e dia il tuo assenso senza inganno.

Quel che la tua Pietà deve necessariamente anatematizzare è stato posto qui di seguito a questa nostra lettera.

– Se uno non confessa che l’Emmanuele è veramente Dio e per questo motivo la santa Vergine è Madre di Dio (essa ha infatti generato secondo la carne il Verbo da Dio divenuto carne), sia anatema.

– Se uno non confessa che il Verbo da Dio Padre è unito alla carne secondo l’ipostasi e che uno solo è Cristo con la sua propria carne, cioè che lo stesso è insieme Dio e uomo, sia anatema.

– Se uno divide dopo l’unione le ipostasi dell’unico Cristo, unendole soltanto per congiunzione secondo dignità, sovranità e potenza, e non per un legame secondo unione naturale, sia anatema.

– Se uno divide in due prosopa o ipostasi le espressioni che negli scritti evangelici e apostolici sono dette dai santi su Cristo o da lui sono riferite a sé stesso, e le applica alcune all’uomo, considerato

indipendentemente dal Verbo da Dio, e altre, come degne di Dio, al solo Verbo da Dio, sia anatema.

– Se uno osa dire che Cristo era un uomo teoforo e non piuttosto che è veramente Dio, in quanto Figlio unico e per natura, poiché il Verbo si è fatto carne e ha partecipato in modo simile a noi del sangue e della carne, sia anatema.

– Se uno dice che il Verbo da Dio Padre è Dio o Signore di Cristo e non confessa piuttosto che il medesimo è insieme Dio e uomo, poiché il Verbo, secondo le Scritture, si è fatto carne, sia anatema.

– Se uno dice che Gesù, come uomo, sia stato attivato dal Dio Verbo e che la gloria dell’Unigenito lo ha circondato, come se fosse un altro, esistente oltre a lui, sia anatema.

– Se uno osa dire che l’uomo assunto deve essere adorato insieme al Verbo, insieme glorificato e insieme chiamato Dio, come se fosse uno insieme con l’altro (il «con» impone sempre di pensare a qualcosa di aggiunto) e non onora piuttosto con una sola adorazione l’Emmanuele e a lui attribuisce un’unica glorificazione, in quanto il Verbo si è fatto carne, sia anatema.

– Se uno afferma che l’unico Signore Gesù Cristo è stato glorificato dallo Spirito, come se, attraverso lui, si fosse servito di una potenza estranea e abbia ricevuto da lui il potere di operare contro gli spiriti immondi e di realizzare i miracoli a favore degli uomini, e non afferma piuttosto che lo Spirito, per mezzo del quale ha operato i miracoli, è propriamente suo, sia anatema.

– La divina Scrittura dice che Cristo è divenuto sommo Sacerdote e Apostolo della nostra confessione e ha offerto sé stesso per noi a Dio e Padre in odore di soavità. Quindi se uno afferma che non lui, il Verbo da Dio, è divenuto sommo Sacerdote e nostro Apostolo, perché si è fatto carne e uomo come noi, ma come se fosse un altro diverso da questo, propriamente un uomo nato da donna; oppure se uno dice che egli ha presentato l’offerta anche per sé stesso e non piuttosto soltanto per noi – non necessitava di offerta, infatti, colui che non conosceva peccato –, sia anatema.

– Se uno non confessa che la carne del Signore è vivificante e che è propria dello stesso Verbo da Dio Padre, ma come se fosse di un altro diverso da questo, unito a lui per dignità o per avere soltanto ricevuto la divina inabitazione, e non confessa piuttosto – come abbiamo detto – che la carne è vivificante, perché è divenuta propria del Verbo, che ha la forza di vivificare ogni cosa, sia anatema.

– Se uno non confessa che il Verbo di Dio ha patito con la carne, è stato crocifisso con la carne, ha gustato la morte con la carne ed è divenuto primogenito dai morti, perché, in quanto Dio, è Vita e Vivificante, sia anatema.

FORMULA DI UNIONE (433)[2]

Confessiamo dunque il Signore nostro Gesù Cristo, il Figlio di Dio, l’Unigenito, Dio perfetto e uomo perfetto per anima razionale e corpo; egli è nato dal Padre prima dei tempi secondo la divinità; negli ultimi giorni però egli stesso, per noi e per la nostra salvezza, è nato dalla Vergine Maria, secondo l’umanità; egli ancora è consostanziale (2) al Padre secondo la divinità e consostanziale a noi secondo l’umanità: si è infatti realizzata l’unione delle nature. Confessiamo allora un solo Cristo, un solo Figlio e un solo Signore.

Secondo questo concetto di non confusa unione, confessiamo la santa Vergine «Madre di Dio», perché il Dio Verbo si è incarnato e si è fatto uomo e per questo concepimento ha unito a sé il Tempio preso da lei. Circa le espressioni che gli Evangelisti e gli Apostoli riferiscono al Signore, sappiamo che quegli uomini, che parlavano di Dio, alcune le hanno considerate in comune, riferendole all’unico

prosopon, altre invece le hanno divise, riferendole alle due nature. Ci hanno perciò trasmesso quelle degne di Dio secondo la divinità di Cristo, e quelle umili, secondo la sua umanità.


[1] Il passo mostra in tutta evidenza come Cirillo assimili hypostasis a prosopon. Invece Nestorio e i vescovi antiocheni si erano formati alla cristologia di Teodoro di Mopsuestia, per il quale «la parola (hypostasis) non è sinonimo di prosopon» (cf. Galtier, L’«unio secundum hypostasim»…, cit., p. 381 e nota 6).

[2] Questa formula di fede, stipulata nel 433, fu il frutto di una non semplice mediazione, guidata da Acacio di Berea e da Paolo di Emesa. Mediazione tra le tradizioni antiochena e alessandrina, tra Giovanni di Antiochia e Cirillo di Alessandria. Come ogni mediazione il testo lasciò non pienamente soddisfatte tutte le parti e quindi la diatriba suscitata da Nestorio covò a lungo sotto la cenere.




Cirillo di Alessandria: SECONDA LETTERA A NESTORIO

SECONDA LETTERA A NESTORIO

Cirillo saluta nel Signore il reverendissimo e piissimo collega nel sacerdozio Nestorio.

1. Alcuni vanno cianciando, come apprendo, contro di me presso la tua Religiosità e fanno questo piuttosto frequentemente, cogliendo soprattutto l’occasione dei sinodi ufficiali, e, ritenendo di dilettare il tuo orecchio, pronunciano parole sconsiderate, sebbene non abbiano subìto alcun torto, ma solo siano stati rimproverati, e ben a ragione, l’uno perché aveva recato offesa ai ciechi e ai poveri, un altro perché aveva puntato la spada contro sua madre, un altro ancora perché aveva rubato, insieme con un’ancella, denaro altrui e da sempre gode di una tale reputazione che non la si augurerebbe nemmeno ai peggiori nemici. Non voglio però dilungarmi su costoro, per non estendere la misura della mia piccolezza al di là del Signore e Maestro né al di là dei Padri. Non è infatti possibile evitare la stoltezza degli sciocchi, qualunque sia il genere di vita scelto.

2. Ma costoro, che hanno la bocca piena di maledizioni e amarezza, renderanno conto al giudice di tutti. Ritornerò invece di nuovo a quello di cui specialmente debbo occuparmi e anche ora riporterò alla tua memoria, come a un fratello in Cristo, la necessità di esporre l’insegnamento sul Verbo e il pensiero sulla fede, facendolo con grande cautela e tenendo presente che scandalizzare anche uno solo dei piccoli di coloro che credono in Cristo è motivo di grave sdegno. Se poi la moltitudine di quanti si lagnano è molto grande, non porremo necessariamente ogni industria per allontanare prudentemente gli scandali e sgomberare la via a una retta intelligenza della fede a coloro che cercano il vero? Realizzeremo ciò molto bene se, accostandoci alle parole dei santi Padri, ci adopereremo a realizzarle; e saggiando noi stessi, se siamo nella fede secondo quanto è stato scritto, accuratamente conformiamo i pensieri che sono in noi con le loro giuste e perfette dottrine.

3. Il santo e grande sinodo dunque afferma che colui il quale è stato generato per natura da Dio Padre, è il Figlio Unigenito, che è Dio vero da Dio vero, Luce da Luce, attraverso il quale il Padre ha fatto ogni cosa; che egli è disceso, si è incarnato, si è fatto uomo, ha patito, è risorto il terzo giorno ed è asceso al cielo. È necessario che anche noi seguiamo queste parole e questi dogmi, considerando cosa significa che il Verbo da Dio si sia incarnato e fatto uomo. Non diciamo infatti che la natura del Verbo, trasformandosi, è divenuta carne, e neppure che fu trasformata in un uomo completo, composto di anima e corpo, ma piuttosto che il Verbo, avendo unito a sé in modo indicibile e inintelligibile, secondo l’ipostasi, una carne animata da anima razionale, è divenuto uomo ed è stato costituito Figlio dell’uomo; e non per semplice volontà e per beneplacito, e neppure per l’assunzione di un semplice prosopon. Sebbene le nature che sono state unite in una vera unità siano diverse, da due è risultato un solo Cristo e Figlio. Non però come se fosse scomparsa, a causa dell’unione, la differenza delle nature, ma piuttosto si è realizzato per noi l’unico Signore, Cristo e Figlio grazie all’indicibile e arcano concorso all’unità della divinità e dell’umanità.

4. Così allora affermiamo che, pur avendo per certo l’esistenza prima dei secoli e pur essendo stato generato dal Padre, egli è stato anche generato secondo la carne da una donna; non come se avesse preso l’inizio della sua natura divina nella santa Vergine, né che avesse necessariamente bisogno di una seconda nascita da lei, dopo quella che ebbe dal Padre (è infatti sciocco e contemporaneamente insensato affermare che colui il quale esiste prima dei secoli ed è coeterno con il Padre abbia bisogno di un secondo inizio per esistere); ma, poiché per noi e per la nostra salvezza, avendo unito a sé secondo l’ipostasi l’umanità, procedette da una donna, per questo affermiamo che è nato secondo la carne. Non affermiamo però che prima nacque dalla santa Vergine un uomo comune e poi il Verbo discese in lui, ma che, essendo già uno, tollerò una nascita secondo la carne dal ventre di lei, rendendo sua la nascita della propria carne.

5. Nella stessa maniera affermiamo che ha patito ed è risorto, non come se il Verbo di Dio abbia patito sulla propria natura le percosse, la perforazione dei chiodi o le altre ferite (la divinità infatti è impassibile perché è anche incorporea), ma, poiché sopportò queste cose quello che era divenuto il suo proprio corpo, per questo motivo affermiamo che egli ha patito per noi: l’impassibile era in un corpo passibile. Allo stesso modo pensiamo anche circa la sua morte. Il Verbo di Dio è per natura immortale e incorruttibile, egli è Vita e datore di vita. Poiché però il suo proprio corpo, per grazia di Dio, come dice Paolo (Eb 11,35), gustò la morte per tutti, affermiamo che egli ha sofferto la morte per noi, non perché quel che atteneva alla sua propria natura avesse sperimentato la morte (dire o pensare tali cose è una pazzia!), ma, come ho detto sopra, perché la sua carne gustò la morte. La stessa cosa anche per la risurrezione della sua carne. Affermiamo la sua risurrezione, non nel senso che sia caduto nella corruzione – non sia mai! – ma perché il suo corpo è risuscitato.

6. Così confesseremo un solo Cristo e Signore, e non che adoriamo un uomo insieme al Verbo, affinché non si introduca un’immagine di taglio con il dire «insieme». Adoriamo invece l’uno e il medesimo, perché il suo corpo non è altro dal Verbo: con questo egli siede accanto allo stesso Padre, non come se sedessero due Figli, bensì uno solo, secondo l’unione con la propria carne. Se rifiutiamo l’unione secondo l’ipostasi come impossibile o indecorosa, cadiamo

nell’affermazione dei due figli. Sarebbe allora assolutamente necessario dividere e affermare che uno è propriamente un uomo particolarmente onorato con l’appellativo di Figlio e un altro è propriamente il Verbo da Dio, il quale possiede per natura il nome e il titolo di Figlio. Non si deve perciò dividere in due figli l’unico Signore Gesù Cristo.

7. Non sarà in alcun modo utile al retto intendimento della fede, affinché si mantenga tale, che alcuni parlino di unione dei prosopa. La Scrittura non ha detto che il Verbo ha unito a sé un prosopon di uomo, ma che divenne carne (Lc 1,2). Che il Verbo sia divenuto carne altro non è se non che ha partecipato del sangue e della carne in modo simile a noi (Gv 3,34), ha preso un corpo proprio uguale al nostro e, come uomo, procedette da una donna, non abbandonando l’essere Dio e l’esser nato da Dio Padre, ma rimanendo quel che era, anche nell’assunzione della carne. Questo è quel che proclama dappertutto la dottrina della retta fede; così troveremo che hanno pensato i santi Padri. Così essi hanno avuto il coraggio di affermare che la santa Vergine è «Madre di Dio», non perché la natura del Verbo – cioè della divinità – abbia preso l’inizio dell’essere dalla santa Vergine, ma perché è nato da lei il santo corpo animato da anima razionale. Dopo che secondo l’ipostasi si è unito a questo, affermiamo che il Verbo è stato generato secondo la carne. Queste cose anche adesso io ti scrivo, mosso dall’amore in Cristo, esortandoti come fratello e scongiurandoti innanzi a Cristo e agli angeli eletti che queste cose tu pensi e insegni, come noi, affinché si preservi la pace delle chiese e permanga integro il vincolo della concordia e dell’amore tra i sacerdoti di Dio. Saluta la fraternità che sta con te. Ti saluta in Cristo quella che sta con me.




San Cirillo, Patriarca di Alessandria (370–444): LETTERA AI MONACI

LETTERA AI MONACI

San Cirillo, Patriarca di Alessandria (370–444)

Cirillo porge il suo saluto nel Signore ai Padri dei monaci, presbiteri e diaconi, e a quanti, dilettissimi e carissimi, insieme con voi conducono vita solitaria e sono saldi nella fede di Dio.

1. Alcuni di voi sono venuti ad Alessandria, come è consuetudine; e io chiesi loro – ed ero veramente desideroso di saperlo – se, procedendo sulle tracce della retta via dei Padri, anche voi foste solleciti a distinguervi nella retta e immacolata fede, se foste nobilitati da un’ottima vita in comune e se menaste vanto delle fatiche dell’ascesi, ritenendo veramente cibo lo scegliere di combattere con coraggio per il bene. Essi mi fecero sapere che le cose, presso di voi, procedevano proprio così; e aggiunsero che vi stavate adoperando con sempre maggiore ardore nelle belle imprese dei vostri predecessori. Ero dunque proprio contento e la mia mente si rallegrava, poiché giustamente facevo mie le virtù dei figli. È cosa assurda che i maestri di ginnastica esultino per le capacità dei giovani; e se questi fanno qualcosa di apprezzabile con la loro arte, essi lo assumano come una corona per la propria testa e menino vanto del loro coraggio. Noi invece siamo padri nello spirito e vi ungiamo coi discorsi in vista del buon combattimento, affinché superando con l’esercizio i moti della carne ed evitando di cadere nel peccato e di essere vinti da Satana tentatore, conseguiate la palma, e non meno di quelli siate riempiti di quella gioia che è cara a Dio.

2. Perciò, come dice il discepolo del Salvatore: Mettendo tutto il vostro zelo, somministrate nella vostra fede la virtù, nella virtù la scienza, nella scienza la temperanza, nella temperanza la pazienza, nella pazienza la pietà, nella pietà l’amore fraterno, nell’amore fraterno la carità. Se avete tutte queste cose e le avete in abbondanza, esse non vi lasceranno vuoti e senza frutto per la conoscenza del Signore nostro Gesù Cristo (2 Pt 1, 5ss). Io ritengo che sia necessario che quelli che scelgono la gloria della vita intelligibile in Cristo e di percorrere un’amabile via, per prima cosa siano abbelliti da una fede semplice ed encomiabile, e a questa aggiungano la virtù; dopo aver fatto questo, si sforzino di arricchirsi della conoscenza del mistero in Cristo e si elevino al massimo grado verso una perfetta conoscenza. Questo, io penso, è pervenire allo stato di uomo perfetto e giungere alla pienezza dell’età propria (Ef 4,13). Perciò con la prudenza conveniente ai monaci, cinti i vostri lombi, combattete contro le passioni dell’anima e del corpo: così sarete illustri e stimati e starete nel bene della speranza preparata per i santi. Ci sia inoltre in voi, superiore a quella degli altri, la retta fede, ed anch’essa sia assolutamente irreprensibile. Così quindi, seguendo anche voi le tracce della pietà dei santi Padri, dimorerete con loro nei monasteri superni e abiterete i tabernacoli celesti, che il divino Isaia ricorda, quando dice: I tuoi occhi vedranno Gerusalemme, la città ricca, i tabernacoli che non saranno mai smossi (Is 33, 20).

3. Non so forse che voi conducete una vita pura e degna di ammirazione e che in voi risiede una fede retta e inviolabile? Sono stato però non poco turbato nel sentire che dei ciarlatani sono giunti presso di voi e alcuni vanno in giro ad indebolire la vostra fede semplice, eccitando la folla con vuote parole, interrogando e chiedendo se bisogna oppure non bisogna chiamare la santa Vergine «Madre di Dio».

Sarebbe stato meglio se vi foste astenuti del tutto da tali questioni. Non avreste mai dovuto accostarvi a cose che a stento possono contemplare come in uno specchio menti bene ordinate e intelletti versati (gli argomenti sottilissimi delle realtà divine trascendono le menti delle persone più capaci). Ma poiché già una volta non siete rimasti sordi a questi discorsi ed è facile che alcuni abbiano scelto di entrare in dispute e che quindi, per persone non ben salde di mente, il danno si conficchi come una spina su loro stessi, ho ritenuto che fosse necessario dirvi poche cose su tali argomenti. E questo non per farvi disputare ancor di più, ma affinché, se qualcuno vi attaccasse, voi, facendo uscire in campo contro i loro vani discorsi la verità, possiate sfuggire il danno derivante dall’errore e possiate giovare anche ad altri, come a fratelli, convincendoli con discorsi appropriati all’antica fede tramandata alla Chiesa dai santi Apostoli, così che essi la posseggano nelle loro anime come una pietra preziosa.

4. Sono rimasto quindi stupito che qualcuno dubiti se la santa Vergine debba o non debba essere chiamata «Madre di Dio». Se il nostro Signore Gesù Cristo è Dio, come può non essere «Madre di Dio» la Vergine che lo partorì? Questa fede ci hanno tramandato i divini discepoli, anche se non hanno usato questa espressione; così abbiamo appreso a pensare dai santi Padri. Perciò il nostro Padre Atanasio, di santa memoria, che ha adornato il seggio della chiesa di Alessandria per 46 anni e che ha contrapposto alle eresie degli esecrabili eretici un inespugnabile e apostolico intelletto e che con i suoi scritti, come con un odoroso profumo, ha allietato tutto il mondo e che da tutti è riconosciuto per la rettitudine e integrità delle dottrine, componendo a nostro vantaggio un libro sulla santa e consostanziale Trinità, nel terzo sermone, nella parte iniziale e in quella finale chiama la santa Vergine «Madre di Dio». Citerò testualmente le sue parole, quando dice: «Questo è il fine e il carattere distintivo della sacra Scrittura, come abbiamo spesso detto: l’annunzio in essa contenuto sul Salvatore è duplice, che egli era sempre Dio ed è Figlio, poiché è Verbo, Splendore e Sapienza del Padre; e che negli ultimi tempi, assumendo per noi la carne, divenne uomo dalla Vergine Maria, Madre di Dio». E, dopo aver detto altre cose, continua: «Certo molti furono santi e puri da ogni macchia: Geremia fu santificato dal seno materno e Giovanni, quando era ancora nell’utero, saltò di gioia alla voce di Maria, Madre di Dio». Egli era un uomo degno e bisogna ammettere che non avrebbe mai detto qualcosa che non fosse in

sintonia con le sacre Scritture. Come infatti avrebbe potuto errare dal vero un uomo illustre e famoso, ammirato da tutti in quel santo e grande concilio, dico in quello opportunamente convocato a Nicea? Non aveva ancora raggiunto il soglio episcopale, ma già spiccava tra i chierici. Grazie alla sua perspicacia, alla mitezza e alla sottilissima e incomparabile mente, in quel tempo fu elevato dal vescovo Alessandro di beata memoria, ed egli era con il vecchio come un figlio

con il padre: lo indirizzava alle cose utili e gli indicava la via per ogni singola azione.

5. Poiché forse alcuni pensano di confutare il nostro discorso con argomenti tratti dalla stessa sacra Scrittura ispirata da Dio, e inoltre affermano che quel santo e grande concilio non disse mai che la Madre del Signore era «Madre di Dio», né ha mai definito alcunché di simile, orsù ora, per quanto è possibile, mostriamo il mistero dell’intelligibile economia in Cristo, il modo come ci è stato annunciato dalla sacra Scrittura e che cosa hanno detto gli stessi Padri – ispirati al vero dallo Spirito santo – quando hanno proclamato la definizione della fede senza macchia. Secondo la parola del Salvatore non erano essi che parlavano, ma lo Spirito di Dio e Padre che parlava in loro. Poiché hanno mostrato che colui il quale è nato dalla Vergine è per natura Dio, credo che correttamente nessuno potrà esimersi dal dover pensare e affermare che la si debba chiamare molto a buon diritto «Madre di Dio». Così recita il simbolo della fede.

6. Crediamo in un solo Dio Padre onnipotente, fattore di tutte le cose visibili e invisibili; e in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, generato unigenito dal Padre, cioè dalla sua sostanza; Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato non fatto, consostanziale al Padre; attraverso di lui ogni cosa fu fatta, in cielo e in terra; il quale, per noi uomini e per la nostra salvezza, discese, si è incarnato, si è fatto uomo, ha patito ed è risuscitato il terzo giorno; ascese al cielo e verrà a giudicare i vivi e i morti; e nello Spirito santo.

7. Gli inventori di eresie, che scavano fosse di perdizione per sé stessi e per gli altri, sono scivolati in così stoltissimi pensieri da ritenere e affermare che il Figlio sia recente; e che sia stato portato all’esistenza da Dio e Padre in modo eguale alle creature. Gli sciagurati non arrossiscono quando circoscrivono all’inizio del tempo colui che è prima di ogni secolo e del tempo, il fattore dei secoli. Abbassando inoltre, secondo come a loro sembra, la sua eguaglianza e gloria con il Padre e Dio, a stento gli concedono di essere superiore alle altre creature, e dicono che egli sta a mezzo tra Dio e gli uomini: non possiede la gloria della somma eccellenza, ma neppure si colloca allo stesso livello delle creature. Ma chi può essere inferiore all’eccellenza divina e superiore al livello delle creature? La cosa è assolutamente senza senso. Non si vede luogo o ragione tra il creatore e la creatura. Ma, stando a quel che costoro dicono, pur tirandolo di forza dalla sede della divinità, lo chiamano Figlio e Dio, e affermano che deve essere adorato, sebbene la legge proclami: Adorerai il Signore Dio tuo e lui solo servirai (Dt 6,13); e ancora, quando dice agli Israeliti per bocca di Davide: Non ci sia in te un Dio recente, né adorerai un Dio straniero (Sal 80,10).

8. Ma quelli, avendo abbandonato la piana strada maestra della verità, si incamminano per fosse e pietraie e, come dice Salomone, hanno deviato dall’asse del proprio campo, e raccolgono con le mani la sterilità (Prv 9,12). Ma noi sui quali risplendette nella mente la luce divina, che abbiamo scelto di avere pensieri incomparabilmente migliori delle loro sciocchezze e che abbiamo seguito la fede dei santi Padri, diciamo che il Figlio è veramente nato dalla sostanza di Dio e

Padre, in modo divino e indicibile, che è pensato nella propria ipostasi, unito al Genitore per la medesima sostanza; è in lui, ma a sua volta possiede in sé stesso il Padre. Confessiamo che è Luce da Luce, Dio da Dio, secondo un’eguale natura, un medesimo carattere

distintivo e un medesimo splendore; e possiede ogni cosa in misura eguale e in nessun modo diminuita (Eb 1,3). Annoverando lo Spirito santo, la santa e consostanziale Trinità è unita nell’unica natura della divinità.

9. Ma la Scrittura ispirata da Dio dice che il Verbo di Dio si è fatto carne (Gv 1,14), cioè si è unito a una carne che possiede un’anima razionale. Seguendo poi le predicazioni evangeliche, il santo e grande concilio disse che egli è l’Unigenito, nato dalla sostanza di Dio e Padre, per il quale e nel quale ogni cosa esiste; che per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso, si è incarnato, si è fatto uomo, ha patito ed è risuscitato, e a suo tempo verrà come giudice. Chiamarono poi Verbo da Dio l’unico Signore Gesù Cristo. Si consideri quindi come dicendo «un solo Figlio», chiamandolo «Signore» e «Cristo Gesù», affermino che egli è nato da Dio e Padre, che è l’Unigenito, Dio da Dio, Luce da Luce, generato e non fatto, della stessa sostanza del Padre.

10. Si può certamente dire che il nome «Cristo» non fu assegnato soltanto all’Emmanuele, ma riscontriamo che esso è stato applicato anche ad altri. Dio infatti dice sugli eletti e santificati nello spirito: Non toccate i miei Cristi e non sparlate dei miei profeti (Sal 104,15). Anche il divino Davide chiama Saul, che era stato unto da Dio per mano di Samuele, «Cristo di Dio» (1 Re 24,7). Ma perché parlo di queste cose, quando si potrebbe facilmente vedere che questo titolo è a buon diritto applicabile a quanti sono stati giustificati nella fede in Cristo e, santificati nello Spirito, sono stati resi degni di onore per questa chiamata? Per questo motivo il profeta Abacuc preannunciò il mistero di Cristo e la salvezza che sarebbe venuta attraverso di lui, dicendo: Sei uscito per la salvezza del tuo popolo, per salvare i tuoi cristi (Ab 3,13). Quindi il nome «Cristo» può convenire non solo e specialmente, come ho detto, all’Emmanuele, ma anche a tutti quelli che furono unti dalla grazia dello Spirito santo. La parola è tratta dall’azione, quindi «Cristi» dall’essere unti. Che anche noi siamo veramente arricchiti dalla gloriosa e preziosa grazia, lo afferma il saggio Giovanni, quando dice: Anche voi avete l’unzione dal Santo (1 Gv 2). E più sotto: Non avete bisogno che qualcuno vi ammaestri, ma la sua unzione vi ammaestra (1 Gv 2,27). È scritto poi sull’Emmanuele: Gesù di Nazareth, come Dio lo unse di Spirito santo e potenza (At 10,38). E anche il divino Davide su di lui dice: Hai amato la giustizia e odiato l’iniquità; per questo Dio, il tuo Dio, ti unse con olio di letizia sui tuoi compagni (Sal 44,8). Che cosa dunque si vedrebbe di più alto nella santa Vergine rispetto alle altre donne, quando si dice che ella ha partorito l’Emmanuele? Non ci sarebbe niente di assurdo se si preferisse chiamare anche la madre di ciascuno degli unti «Madre di Cristo»[1].

11. Ma per le incomparabili diversità di gloria e di eminenza del nostro Salvatore, la differenza è parecchia, tale da escludere tutto ciò che si riferisca a noi. Noi infatti siamo servitori, mentre egli è per natura Signore e Dio, anche se per economia è venuto tra di noi e in ciò che è nostro. Per questo anche il beato Paolo lo chiamò Cristo e Dio, quando disse: Questo sappiate, che nessun fornicatore, impudico, avaro e idolatra possiede eredità nel regno di Cristo e Dio (Ef 5,5). Dunque mentre tutti gli altri, come ho detto, possono essere a buon diritto «cristi», per l’essere stati unti, soltanto Cristo è anche veramente Dio, l’Emmanuele.

Non sbaglierebbe chi volesse affermare che le madri degli altri erano «Madri di Cristo», ma non anche «Madri di Dio», mentre, unica tra di loro, la santa Vergine è intesa ed è detta contemporaneamente «Madre di Cristo» e «Madre di Dio». Non ha generato infatti un semplice uomo come noi, ma il Verbo da Dio Padre, incarnato e fatto uomo. Anche noi per grazia siamo chiamati «dèi», non così però il Dio Figlio, che lo è per natura e verità, anche se è divenuto carne.

12. Verosimilmente tu però ribatti: dimmi, la Vergine diventò forse madre della divinità? A questa domanda rispondiamo che per comune confessione il vivente ed enipostatico[2] suo Verbo è nato dalla stessa sostanza di Dio e Padre e ha l’esistenza senza principio nel tempo; è sempre coesistente al Genitore, in lui e con lui esistente e pensato. Negli ultimi tempi, poiché è divenuto carne, cioè si è unito a una carne che possiede un’anima razionale, si afferma che è nato anche in modo carnale da una donna. Il suo mistero è in qualche modo simile alla nostra nascita. Le madri dei terreni infatti, prestandosi alla natura in vista della nascita, hanno nell’utero la carne che a poco a poco si compone e si sviluppa, grazie a certe ineffabili forze di Dio, finalizzandosi alla specie umana. Dio poi immette nel vivente, nella maniera che egli conosce, lo spirito. Forma infatti lo spirito dell’uomo in lui (Zc 12,1), secondo l’espressione del profeta. Una cosa è la ragione della carne, altra quella dell’anima. Sebbene però esse siano madri soltanto dei corpi terreni, tuttavia partoriscono il vivente, quello, dico, che consta di anima e corpo; e non si dice che partoriscono una parte. Non si dirà che Elisabetta partorì il corpo e non l’anima: partorì il Battista, dotato di anima, un essere unico con due parti, anima e corpo. Dimostreremo che la medesima cosa si è realizzata anche in occasione della nascita dell’Emmanuele. Come ho detto, dalla sostanza del Padre è nato il suo Verbo unigenito; poiché, in grazia del fatto che in seguito ha assunto la carne e l’ha resa cosa sua propria, è stato chiamato anche Figlio dell’uomo ed è divenuto come noi, ritengo che non sia assurdo affermare, e anzi che sia necessario confessare, che è nato secondo la carne da una donna, nello stesso modo come anche l’anima dell’uomo nasce contemporaneamente al proprio corpo e la si considera come una sola cosa con quello, sebbene la seconda natura è considerata per sé ed esiste secondo una propria ragione. Perciò se qualcuno dicesse che la madre di uno è genitrice della carne ma non dell’anima, parlerebbe in maniera eccessivamente pignola. Come ho detto, ha partorito un vivente composto da due elementi dissimili, da due un unico uomo, rimanendo ciascun elemento ciò che è, concorrendo altresì, quasi contemperandosi l’un l’altro, all’unità naturale, ciascuno per la propria parte.

13. Poiché l’unione in Cristo è cosa necessarissima, sarà facile e del tutto agevole considerarla anche attraverso molti altri fattori. Orsù, allora, se sembra opportuno, indaghiamo sulle espressioni del beato Paolo, con acribia e, per quanto è possibile, operando un’analisi sottile. Dice dunque sull’Unigenito: Il quale, pur essendo in forma di Dio, non reputò una rapina l’essere eguale a Dio, ma umiliò sé stesso, prendendo una forma di servo, diventando simile agli uomini ed essendo trovato in figura d’uomo abbassò sé stesso (Fil 2,5-7). Chi è colui il quale è in forma di Dio e non ritenne una rapina essere eguale a Dio? Oppure, in che modo umiliò sé stesso, come discese nell’abbassamento e nella forma di servo? Se dunque costoro, dividendo l’unico Signore Gesù Cristo – dico l’uomo e il Verbo da Dio Padre –, affermano che sopportò l’umiliazione quello nato dalla santa Vergine, separando da lui il Verbo da Dio, devono prima dimostre in che maniera è ritenuto ed era in forma ed eguaglianza col Padre, affinché anche sopportasse il modo dell’umiliazione, discendendo in ciò che non era. Ma ciò che è nell’eguaglianza del Padre, se lo consideriamo secondo la sua propria natura, non ha nulla di creaturale. Come si può affermare che si è umiliato, se, essendo per natura uomo, è nato come noi da una donna? Dimmi, da quale più antica dignità, superiore a quella dell’uomo, discese per essere uomo? Oppure, in che modo si potrebbe intendere l’aver assunto, pur non possedendola in principio, la forma di servo, chi per natura stava tra i servitori ed era posto sotto il giogo della servitù?

14. Ma, dicono, colui che per natura e verità è il libero Figlio, il Verbo da Dio Padre, esistente nella forma del Genitore e uguale a lui, prese dimora in un uomo nato da donna: è questa l’umiliazione, il prezzo dell’abbassamento e l’essersi calato in forma di servo.

Così, amici miei, il solo abitare in un uomo fu sufficiente al Verbo di Dio per umiliarsi, e sarebbe persuasivo affermare che in tal modo prese forma di servo e che questa sarebbe stata la sua maniera di abbassarsi? Sento che egli dice ai santi Apostoli: Se qualcuno mi ama, custodirà la mia parola e il Padre mio lo amerà e verremo a lui e rimarremo presso di lui (Gv 14,21). Ascolta, in forza di che cosa disse che in quelli che lo amavano coabitava insieme a lui anche lo stesso Dio e Padre? Forse considereremo anche il Padre umiliato, che abbia sopportato lo stesso abbassamento del Figlio e abbia preso forma di servo, perché prende dimora presso le anime sante di quelli che lo amano? E anche lo Spirito abita in noi? Forse anch’egli realizza l’economia con il farsi uomo? Oppure affermiamo che questa sia stata realizzata attraverso il solo Figlio, per la salvezza e per la vita di tutti? Lontano da noi una dottrina così strana e insensatissima!

15. Il Verbo esistente in forma ed eguaglianza di Dio e Padre abbassò dunque sé stesso, allorché divenendo carne, come dice Giovanni, è nato attraverso una donna, e colui che ha la nascita da Dio Padre sopportò per noi anche quella come la nostra. Ci insegnino quelli allora in che modo il Verbo da Dio Padre può essere ritenuto e detto da noi «Cristo». Se Cristo è chiamato così dall’essere stato unto, il Padre chi unse con olio di esaltazione (Sal 44,8), cioè di Spirito santo? Se essi affermano che quello nato da lui è propriamente il solo Dio Verbo, e dicono che questa è la verità, sono nell’ignoranza, offendono la natura dell’Unigenito e falsificano il mistero dell’economia per mezzo della carne. Se infatti il Verbo che è Dio è stato unto di Spirito santo, egli sarebbe stato del tutto privo di santità ed essi, pur non volendo, ammetterebbero che egli esisteva in tempi precedenti, durante i quali, non essendo ancora stato unto, era privo di partecipazione, la quale gli sarebbe stata data in seguito come dono. Ciò che è privo di santità per natura è fluttuante e non può essere ritenuto interamente esente da peccato e dalla possibilità di errare. Il Verbo quindi avrebbe subìto un mutamento in meglio. Come allora è il medesimo e non è mutato? E se il Verbo che è Dio era unto e santificato nella forma ed eguaglianza del Padre, qualcuno forse, tratto da questo procedimento verso oscuri pensieri, potrebbe dire che forse anche lo stesso Padre fu privo di santificazione. Allora il Figlio si sarebbe mostrato più grande di lui, se egli, che esisteva prima della santificazione eguale a lui anche nella forma, fu santificato, mentre il Padre è rimasto in ciò che era sempre è e sarà, non assumendo la capacità di migliorare, in modo da essere santificato a somiglianza del Figlio. Maggiore di ambedue appare poi lo Spirito che li santifica, se non c’è da dubitare che senza contraddizione alcuna ciò che è minore è benedetto da ciò che è maggiore (Eb 7,7). Ma tutte queste affermazioni sono vaniloquio, cose orribili e crimini da pazzi. La consostanziale Trinità è santa per natura, santo il Padre, santo anche il Figlio in egual modo consostanziale, e similmente anche lo Spirito. Dunque il Verbo da Dio Padre, per quanto riguarda la sua propria natura, non è santificato in modo unico.

16. Se qualcuno poi ritenesse che colui il quale è nato dalla santa Vergine sia stato unto e santificato e solo per questo è chiamato «Cristo», dica, facendosi innanzi, se è sufficiente l’unzione per mostrare che l’unto abbia la stessa gloria e lo stesso trono di Dio, che è superiore a tutte le cose. E se fosse sufficiente, e afferma che questa è la verità, anche noi allora siamo unti, come testimonia il divino Giovanni quando dice: Anche voi avete l’unzione del santo (1 Gv 2,20). Allora anche noi stessi saremmo in eguaglianza con Dio e, io credo, proprio nulla ci sarebbe proibito, anche sedere con lui, come certamente siede l’Emmanuele; di lui infatti è stato detto: Siedi alla mia destra, finché non porrò i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi (Sal 101,10). Ci adorerebbe la santa moltitudine degli spiriti superni: Quando introduce il primogenito nel mondo dice: lo adorino tutti gli angeli di Dio (Eb 1,6). Ma noi, anche se siamo stati unti di Spirito santo, siamo impreziositi della grazia di figli adottivi. Siamo stati chiamati anche «dèi», ma non ignoreremo i limiti della nostra propria natura. Siamo della terra e stiamo tra i servi. Egli invece non è in ciò che noi siamo, ma è Figlio per natura e verità, Signore di ogni cosa e discende dal cielo.

17. Non diciamo certo, poiché scegliamo di pensare rettamente, che Dio Padre è fatto di carne, né che la natura della divinità sia nata attraverso una donna, non assumendo l’umanità. Ma, indirizzandoci all’unione, adoreremo l’unico Cristo Gesù e Signore, sia il Verbo nato da Dio sia il perfettamente uomo, nato dalla santa Vergine, non ponendolo fuori dalla divinità a causa della carne, né abbassandolo alla semplice umanità per la somiglianza con noi. Si comprenderà così che il Verbo nato da Dio si è sottoposto ad una spontanea umiliazione. In questo modo ha abbassato sé stesso, prendendo la forma di servo, colui che per propria natura è libero. In questa maniera prese il seme di Abramo e condivise il sangue e la carne (Eb 2,16). Se infatti lo si intende un semplice uomo come noi, avrebbe potuto prendere il seme di Abramo come qualcosa di diverso, per natura, da sé stesso? Come si potrebbe dire che ha condiviso la propria carne, per essere simile in tutto ai fratelli? Quel che noi diciamo simile ad altri corre dalla dissomiglianza verso ciò a cui deve essere simile.

18. Quindi il Verbo di Dio prese il seme di Abramo e condivise il sangue e la carne, rendendo proprio il corpo, che è da donna, affinché, non solo rimanendo Dio, ma anche divenendo uomo come noi, fosse compreso in grazia dell’unione. Perciò l’Emmanuele deriva per comune confessione da due cose, la divinità e l’umanità. L’unico Signore Gesù Cristo è l’unico e vero Figlio, Dio e contemporanea-mente uomo; non un uomo divinizzato, come coloro che lo sono per grazia, ma Dio vero, manifestatosi in forma umana per noi. Su di questo ci fornirà le basi della fede il divino Paolo, quando dice: Essendo giunta la pienezza dei tempi, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, divenuto sotto la legge, per redimere quelli che erano sotto la legge, e affinché noi ricevessimo l’adozione (Gal 4,4). Allora chi è colui che è stato mandato sotto la legge e – come ho detto – è nato da donna, se non il medesimo, il quale precedentemente era sopra le leggi, in quanto Dio, dal momento che si è manifestato un uomo, ponendosi sotto la legge, per essere eguale in tutto ai fratelli? Per questo insieme a Pietro pagava la didramma di tributo (Mt 17,27), secondo la legge di Mosè. Ma poiché è libero, in quanto Figlio, e superiore alla legge, in quanto Dio, anche se divenuto, come uomo, sotto la legge, insegnava dicendo: I re della terra da chi ricevono tributi e tasse, dai propri figli o dagli estranei? Rispondendo Pietro: Dagli estranei, egli continuò: Quindi i figli sono liberi (Mt 17,25).

Essendo dunque manifesto che non si può dire che Cristo esista al di fuori della carne e che sia unicamente il Verbo di Dio, ma che piuttosto gli sono propri il primo e il secondo aspetto, dal momento che è divenuto uomo, orsù, allora, dimostriamo, traendo gli argomenti di fede dalle sacre Scritture, che egli è Dio per natura e si è condotto all’unità, dico a quella che ha con la sua propria carne. Dopo aver dimostrato che questo è vero, allora si potrà dire da parte nostra e in

maniera appropriata che la santa Vergine è «Madre di Dio».

19. Perciò il profeta Isaia mostrava in anticipo l’unico Figlio, non ancora fatto uomo e non presente, dicendo: Fortificatevi mani deboli e ginocchia vacillanti, consolatevi avviliti, fatevi coraggio, non temete. Ecco, il nostro Dio siede a giudizio ed emetterà sentenza; egli verrà e ci salverà. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e le orecchie dei sordi udranno; allora lo zoppo salterà come un cervo e la lingua dei muti sarà chiara (Is 35,3ss). Osserva come lo nomina «Signore» e lo chiama «Dio», parlando veramente nello Spirito, perché sapeva che l’Emmanuele non era semplicemente un uomo teoforo, né era stato preso come uno strumento, ma veramente era Dio fatto uomo. Proprio allora furono aperti gli occhi dei ciechi e udirono le orecchie dei sordi; allora lo zoppo saltò come un cervo e divenne chiara la lingua dei muti. Così lo Spirito ordinava di predicarlo ai santi evangelisti: Sali su di un alto monte, tu che evangelizzi Sion; fa’ risuonare con forza la tua voce, tu che evangelizzi Gerusalemme; alzate la voce, non temete. Di’ alle città di Giuda: ecco il nostro Dio, ecco il Signore viene con forza e il braccio con dominazione. Ecco con lui la mercede e l’opera al suo cospetto. Come un pastore pascerà il suo gregge e con il suo braccio unirà gli agnelli (Is 40,9ss). Apparve per noi il Signor nostro Gesù Cristo, con la forza che proviene da Dio e con il braccio di signoria, cioè in potenza e signoria. Appunto per questo diceva al lebbroso lo voglio, sii mondato (Mt 8,3); toccò il letto e resuscitò il figlio della vedova, che era morto (Lc 7,14).

20. Radunò gli agnelli, perché egli è il buon pastore, che dà la sua anima per le pecore. Perciò anche diceva: Come il Padre conosce me, io conosco il Padre e metto la mia anima per le pecore. Possiedo anche altre pecore, che non sono di questo ovile; bisogna che io le porti a me, ed esse udranno la mia voce e ci sarà un solo gregge, un solo pastore (Gv 10,15ss). Iniziando poi la predicazione su di lui, anche il divino Battista lo annunciava a quanti stavano in tutta la Giudea, non come strumento della divinità, né come semplicemente un uomo teoforo, secondo quanto sostengono alcuni, ma piuttosto come Dio con la carne, ovvero divenuto uomo, e diceva: Preparate le vie del Signore, rendete rette le strade del nostro Dio (Mt 3,6). Di chi

ordinò di preparare le vie se non di Cristo, cioè del Verbo apparso in forma umana? È bastevole alla fede, credo, anche il divino Paolo, quando dà testimonianza, dicendo: Che cosa allora diciamo? Se Dio è per noi, chi contro di noi? Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha sacrificato per noi tutti, come non ci donerà anche ogni cosa insieme con lui? (Rm 8,31). Allora, mi si dica, in che modo può essere ritenuto Figlio proprio di Dio, il figlio nato dalla santa Vergine? Come si ritiene e si afferma proprio dell’uomo e non di altri animali quel che secondo natura è nato da lui, parimenti è proprio di

Dio ciò che proviene dalla sua sostanza. In che modo allora Cristo, il quale è stato dato da Dio e Padre per la salvezza e la vita di tutti, è chiamato Figlio proprio di Dio? Fu sacrificato per i nostri peccati; ed egli portò i peccati di molti nel suo corpo sul legno (Rm 4,25; 1 Pt 2,24), secondo la parola del profeta. È chiaro allora come la realizzazione dell’unità necessariamente manifesta che colui il quale

è nato dalla santa Vergine è il Figlio proprio di Dio. Il corpo non era diverso da quello nostro, ed era propriamente suo, del Verbo del Padre, nato da lei.

21. Se poi gli si attribuisse un unico e semplice carattere di aiuto strumentale, si negherebbe, anche senza volerlo, che egli sia Figlio secondo verità. Si prenda, ad esempio, un uomo che abbia un figlio esperto nella lira e ottimamente esercitato nel suonare; forse costui considererà la lira e lo strumento per il canto nell’ordine del figlio, insieme con il figlio? Una tale cosa non è forse interamente sciocca? La lira è da ritenere dimostrazione dell’arte, quello invece è preso come figlio del genitore, separatamente dallo strumento. Se poi si dicesse che il nato da donna è stato preso per aiuto, affinché per mezzo suo si realizzassero i miracoli e risplendesse la predicazione del divino vangelo, si potrebbe dire che anche ciascuno dei santi profeti è stato strumento di Dio, e primo tra tutti il santissimo Mosè. Egli, stendendo la verga, mutò i fiumi in sangue; separando il mare, ordinò ai figli di Israele di passare nel mezzo dei flutti (Es 7,20); ponendo poi la verga sulle pietre, le rese madri di acque e fece vedere una fonte fatta di pietra (Sal 113,8); divenne mediatore tra Dio e gli uomini, fu ministro della legge e precedeva il popolo (1 Tm 2,5). Quindi in Cristo non ci sarebbe stato nulla di più alto e di superiore rispetto a quelli che erano stati prima di lui: anch’egli sarebbe stato preso nell’ordine e nella funzione di strumento. Avrebbe allora parlato a vanvera il divino Davide, quando disse: Chi sulle nubi sarà eguale al Signore e chi sarà simile al Signore tra i figli di Dio? (Sal 88, 7).

22. Ma il sapientissimo Paolo mostra Mosè tra i servitori, mentre chiama Dio e Signore colui che economicamente è nato da una donna, cioè Cristo. Così infatti ha scritto: Perciò, fratelli santi, che siete partecipi della vocazione celeste, considerate l’apostolo e sommo sacerdote della nostra confessione, Gesù, che è stato fedele a colui che l’ha costituito, come anche Mosè, in tutta la sua casa. Ma egli fu insignito di una gloria superiore a quella di Mosè, nella misura in cui chi ha costruito una casa ha un onore maggiore della casa. Ogni casa è fabbricata da qualcuno, ma chi ha costruito ogni cosa è Dio. Mosè fu fedele in tutta la sua casa, come un servo, per testimonianza delle cose che sarebbero state dette; Cristo invece è come Figlio a capo della sua casa, e noi siamo la sua casa (Eb 3, 1ss). Si consideri dunque come gli abbia mantenuto i limiti dell’umanità e gli abbia attribuito l’altezza della gloria superna e della dignità divina. Dicendo Sacerdote e Apostolo, e ribadendo che

è divenuto fedele a colui che lo ha fatto, dice che è stato onorato più di Mosè, nella misura in cui chi ha costruito una casa ha un onore maggiore della casa; e poi continua: Ogni casa è fabbricata da qualcuno, ma chi ha costruito ogni cosa è Dio. Quindi il divino Mosè è stato posto tra le opere e le cose fabbricate, mentre Cristo è indicato come il fattore di tutto. E in verità è di Dio che si dice che fa ogni cosa. Quindi egli è indubitabilmente anche Dio vero. Mentre Mosè è come il ministro fedele in tutta la casa, Cristo invece è come Figlio a capo della sua casa, e noi siamo la sua casa. Attraverso la voce del profeta, Dio dice: Abiterò in loro e camminerò con loro, sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo (2 Cor 6, 16).

23. Forse qualcuno però potrebbe chiedere: che differenza si può pensare ci sia tra Cristo e Mosè, se ambedue sono nati da donna? In che modo l’uno è servitore e come fedele nella casa, mentre l’altro è per natura Signore, in quanto Figlio, e in casa sua, cioè noi? Io credo che la cosa sia chiara per chiunque sia sano di intelletto (2 Cor 6, 16) e abbia su Cristo un pensiero conforme a quanto afferma il beato Paolo. Il primo era un uomo e stava sotto il giogo della servitù, il secondo è per natura libero, in quanto Dio e creatore di tutto, e per noi sopportò una volontaria umiliazione. Ma questo non lo allontanerà dalla gloria divina, né lo rimuoverà dalla sublimità e dall’eminenza su tutte le cose. Come noi, arricchiti dal suo Spirito – ha abitato infatti nei nostri cuori (Ef 3, 17) –, siamo stati posti tra i figli di Dio, a non essere ciò che siamo[3], però non siamo discesi – siamo per natura uomini e diciamo a Dio Abba, Padre (Rm 8, 15) –, nello stesso modo anche lui, il Dio Verbo, che indicibilmente risplendette della sostanza di Dio e Padre, onorò la natura, ma non uscì dalla sua propria sublimità, ed è rimasto Dio anche nell’umanità. Quindi diciamo che il

Tempio, nato dalla Vergine, non fu preso a guisa di strumento, ma, seguendo la fede delle sacre Lettere e le espressioni dei Santi, affermeremo che il Verbo si è fatto carne secondo i modi da noi ampiamente spiegati. Così ha anche posto la sua vita per noi. Poiché la sua morte era salvezza per il mondo, sostenne la croce, disprezzando l’ignominia (Eb 12, 2), pur rimanendo per natura Vita, in quanto Dio. In che senso allora si dice che la Vita morì? Allo scopo di far apparire la Vita, che nuovamente la vivificava, ha sofferto la morte con la propria carne.

24. Allora, se osserviamo il modo della morte in noi stessi, una persona assennata afferma forse che l’anima perisce insieme al corpo? Questo, penso, non è messo in dubbio da nessuno. Peraltro la morte dell’uomo è solo un accidente. Egualmente si pensi anche per lo stesso Emmanuele. Il Verbo era come nel proprio corpo, quello nato da donna, e lo consegnava a suo tempo alla morte, non soffrendo egli nella sua propria natura (è infatti la Vita e il Vivificante), ma, affinché, rese proprie le caratteristiche della carne, si dicesse suo il patire; e, poiché egli da solo era equivalente a tutti, morendo per tutti, affinché redimesse con il proprio sangue quanto c’è sotto il cielo e guadagnasse a Dio e Padre quelli che giacciono giù sulla terra. Il beato profeta Isaia preannunciò come vero tutto questo, quando in spirito diceva: Perciò egli possiederà in eredità molti e dividerà le spoglie dei forti, in cambio la sua anima fu consegnata alla morte e fu annoverato tra i malfattori ed egli portò i peccati di molti e fu consegnato per le loro iniquità (Is 53, 12).

25. Quindi uno solo, più degno di tutti, ha posto la propria anima per tutti e ha permesso che a scopo dell’economia per breve tempo la carne fosse consegnata alla morte. Ma poi ha distrutto la morte, perché non sopportava – come Vita – di subire qualcosa contraria alla propria natura, e per porre fine anche nei corpi di tutti alla corruzione; e così distruggere il potere della morte. Come infatti in Adamo tutti moriamo, così anche in Cristo tutti saremo vivificati (1 Cor 15, 22). Se non avesse sofferto per noi in maniera umana, neppure avrebbe divinamente realizzato quel che era necessario per la nostra salvezza. Si dice infatti che prima era morto in quanto uomo, ma dopo è risuscitato perché era Dio per natura. Se dunque non avesse patito la morte con la carne (1 Pt 3, 18), secondo le Scritture, neppure sarebbe stato vivificato con lo spirito, cioè non sarebbe risuscitato. E se questo fosse vero sarebbe vana la nostra fede, saremmo ancora nei nostri peccati (1 Cor 15,14.17). Siamo stati invece battezzati nella sua morte (Rm 6,3), secondo le parole del beato Paolo, e per mezzo del suo sangue abbiamo ricevuto la remissione dei peccati.

26. Ma se Cristo non è veramente Figlio e non è per natura Dio, ma un semplice uomo come noi e uno strumento della divinità, in che modo saremmo stati salvati non in Dio? Perché sarebbe morto per noi uno maggiore di noi e sarebbe stato risuscitato da forze a lui estranee. Come allora per mezzo di Cristo fu distrutta la morte? Ascolto che saggiamente egli dice sulla propria anima: Nessuno me la toglie, ma la pongo io da me stesso. Ho il potere di porla e di nuovamente riprenderla (Gv 10, 18). Discese con noi verso la morte per mezzo della propria carne colui che non conosce la morte, affinché anche noi risorgessimo con lui alla vita. Risorse spogliando da vincitore l’Ade, non in quanto uomo come noi, ma in quanto Dio con noi e superiore a noi. La natura fu arricchita perché in lui per primo si realizzò l’incorruttibilità; e la morte, entrata come un nemico, fu distrutta dal corpo della vita. Come ella aveva vinto in Adamo, così è stata abbattuta in Cristo. Rivolgendosi a lui, che per noi e da noi ascendeva nei cieli al Padre e Dio, per mostrare accessibile il cielo a

quelli che sono in terra, il divino cantore dedicò epinici, dicendo: Dio s’innalza tra voci di plauso, il Signore tra squilli di tromba. Inneggiate al nostro Dio, inneggiate. Inneggiate al nostro re, inneggiate. Dio regnò sopra tutte le genti (Sal 46, 6ss). Dice inoltre su di lui il beato Paolo: Chi discese è lo stesso che ascese al di sopra dei cieli, per riempire ogni cosa (Ef 4, 10). 27. Poiché dunque egli è veramente Dio e re per natura, e il crocifisso è chiamato anche re della gloria (1 Cor 2,8), come si può dubitare di affermare che la santa Vergine è «Madre di Dio»? Adoralo come uno, non dividendo in due dopo l’unione! Allora invano riderà l’insensato giudeo; allora veramente egli sarà «uccisore del Signore», e sarà condannato non per aver commesso un delitto contro uno come noi, ma contro lo stesso Dio, salvatore di tutti. E sentirà: Guai, gente peccatrice, popolo carico d’iniquità; seme

malvagio, figli scellerati. Avete abbandonato il Signore e avete fatto adirare il Santo d’Israele (Is 1, 4). Inoltre i figli degli Elleni in nessun modo beffeggeranno la fede dei cristiani: veneriamo non un semplice uomo – non sia mai! – ma Dio per natura, non ignorando la sua gloria, anche se è divenuto come noi pur restando ciò che era, cioè Dio. Per lui e con lui a Dio e Padre la gloria con lo Spirito santo nei secoli dei secoli. Amen.


[1] Il riferimento a Nestorio risulta esplicito, se si considera che questo titolo era stato propugnato proprio da lui. Cirillo invece intende dimostrare che dire «Madre di Cristo» è assolutamente inadeguato per individuare il Verbo incarnato.

[2] Il termine enipostatico, qui inequivocabilmente utilizzato in ambito cristologico, era di largo uso nella teologia trinitaria, ma non in cristologia. Qualche anno dopo, nel clima del concilio d’Efeso del 431 verrà usato da Teodoto di Ancira come termine forte della sua cristologia (cf. Teodoto di Ancira, Omelie cristologiche e mariane)

[3] Cioè, grazie all’opera salvifica di Cristo l’uomo è divenuto «dio», quindi è divenuto ciò che per natura non è.




San Leone Magno: OMELIA XCVI – L’eresia eutichiana.

OMELIA XCVI

L’eresia eutichiana.

1. Come è compito dei medici veramente valenti prevenire, o miei cari, con rimedi opportuni le alterazioni proprie dell’infermità umana, ed indicare il modo con cui evitare quanto è dannoso alla salute, così rientra nei doveri pastorali impedire che la perversità delle eresie nuoccia al gregge del Signore, e dimostrare altresì come ci si debba guardare dalla malvagità dei lupi e dei ladroni. Di fatto mai l’empietà degli eretici è riuscita a nascondersi: i nostri santi Padri l’hanno sempre scoperta e giustamente condannata.

Così non è sfuggito al nostro zelo, che dedichiamo alla vostra carità, il fatto che certi Egiziani, per lo più mercanti venuti a Roma, vanno sostenendo delle idee già empiamente diffuse dagli eretici ad Alessandria. Essi dicono che in Cristo c’era soltanto la natura divina, mentre l’umana carne, presa dalla beata Vergine Maria, non avrebbe avuto alcuna reale consistenza: dottrina questa veramente empia, perché presenta Cristo come falso uomo e, in quanto Dio, lo fa passibile1. Riguardo poi allo spirito e alle finalità, che animano la loro audacia, non ci possono esser dubbi per noi: dopo essersi personalmente allontanati dalla verità evangelica, per seguire le menzogne del demonio, essi intendono attirare anche gli altri e farli compagni della loro perdizione.

È per questo che noi con sollecitudine insieme paterna e fraterna vi avvertiamo di non seguire, escludiamo qualsiasi forma di adesione, questi avversari della fede cattolica, nemici della Chiesa, negatori dell’incarnazione del Signore, oppositori del Simbolo stabilito dai santi Apostoli, perché appunto dice l’Apostolo: «Allontana da te, dopo un primo e un secondo ammonimento, l’uomo che provoca scissioni, ben sapendo che chi è tale è un perverso e un peccatore che si condanna da sé stesso». (Tito, 3,10-11)

2. Effettivamente si rovina per la sua stessa ostinazione e si stacca con un atto pazzesco da Cristo, chi aderisce a quella dottrina empia, dalla quale pur sa che in passato molti altri sono stati rovinati, e ritiene cosa perfettamente ortodossa quel che pur gli risulta essere stato formalmente condannato dai santi Padri sia nelle perfide teorie di Fotino, sia nelle folli asserzioni di Mani, sia nei dogmi insensati di Apollinare2: coloro cioè che negano il mistero dell’incarnazione del Signore, non fanno che accettare con grave danno della loro anima un errore sacrilego, come se fosse qualcosa di nuovo e non ancora condannato. Ma che altro ci insegna la lettura di tutto il Vangelo, se non che proprio per questo mistero della divina misericordia è avvenuta, in quelli che credono, la salvezza del genere umano? Il Figlio unigenito di Dio — essa ci insegna — eguale in tutto al Padre, ha assunto la nostra natura, e rimanendo quel che era, si è degnato di essere quel che non era, cioè vero uomo pur essendo vero Dio; egli ha unito a se stesso, senza contrarre macchia alcuna di peccato, la nostra natura nella sua integrità e perfezione, e quindi con un vero corpo ed una vera anima; concepito per opera dello Spirito Santo nel seno della santa Vergine, sua madre, non ha rifiutato di venir alla luce attraverso il suo parto e di passare per i primi gradi propri dell’infanzia. Così il Verbo di Dio Padre proclamava con la potenza della sua divinità ed insieme con la debolezza della sua carne che c’era realmente in lui la natura umana: con il suo corpo era in grado di porre azioni corporee, con la sua divinità era in grado di operare prodigi spirituali.

Difatti è proprio dell’uomo aver fame, aver sete e dormire; è proprio dell’uomo temere, piangere, rattristarsi; è proprio dell’uomo infine esser crocifisso, morire ed esser seppellito. Ma è proprio di Dio camminare sopra le onde, cambiare l’acqua in vino, risuscitare i morti, far tremare il mondo al momento della propria morte ed elevarsi al di sopra di tutti i cieli con la propria carne, ritornata alla vita. Quelli dunque che credono a tutto questo, non possono aver dubbi su ciò che rispettivamente va ascritto all’umanità o attribuito alla divinità, in quanto nell’uno e l’altro principio uno solo è il Cristo, che come non ha perduto la sua potenza divina, così nascendo ha assunto la vera realtà di un uomo perfetto.

3. Queste persone di cui stiamo parlando, o miei cari, dovete dunque — come si evita un veleno mortale — evitarle, detestarle, sfuggirle, astenendovi anche, se dopo le vostre riprensioni rifiutano di correggersi, dal parlare con loro, perché sta scritto: «La loro parola rode come la cancrena» (2 Tim., 2, 17). Non si può infatti accordare rapporto alcuno di comunione a coloro, che una giusta sentenza ha messo fuori dall’unità della Chiesa: essi non per nostro odio, ma per i loro crimini l’hanno perduta!

Quanto a voi, che siete prediletti da Dio ed oggetto di un riconoscimento apostolico che vale una testimonianza, voi a cui l’apostolo san Paolo, il dottore delle genti, dice: «Perché la vostra fede è proclamata in tutto quanto il mondo» (Rom 1,8), dovete sempre mantenere inalterato quel giudizio, che sapete aver avuto di voi un predicatore tanto autorevole. Nessuno di voi diventi indegno di questa lode, sicché, come in tanti secoli grazie all’ispirazione superiore dello Spirito Santo nessuna eresia vi ha mai contaminato, neppure il contagio dell’empietà di Eutiche possa ora macchiarvi.

Nutriamo fiducia che la protezione di Dio custodirà il vostro cuore e la vostra fede: come finora gli avete fedelmente obbedito, così, perseverando nell’osservanza della fede cattolica, per sempre gli piacerete, per il Cristo nostro Signore.

Amen.

1. L’eresia, a cui si allude, è il monofisismo, che affermava l’esistenza di una sola natura nel Cristo. È dunque la dottrina stessa di Eutiche, di cui tratta l’Omilia.

2. L’idea generale di questo passo è che nel monofisismo di Eutiche riappaiono in parte gli elementi di eresie precedenti, in particolare la perfidia di Fotino, la dementia di Mani, la insania di Apollinare.