Lettera del Vescovo di Alessandria, Alessandro, a tutti i Vescovi della Chiesa Cattolica

Alessandro, ai nostri amati e onoratissimi concelebranti di tutta la Chiesa cattolica.

Saluti nel Signore!

[2] Poiché la Chiesa cattolica è un solo corpo e le divine Scritture ci comandano di mantenere «il vincolo dell’unità e della pace» [Ef 4,3], ne consegue che dobbiamo scriverci e informarci vicendevolmente delle cose accadute tra ciascuno di noi, affinché se un membro soffre o si rallegra, noi possiamo compatire o rallegrarci l’uno con l’altro [1 Cor 12,26]. [3] Nella nostra diocesi sono sorti recentemente uomini empi e anticristiani, che insegnano un’apostasia che si potrebbe ragionevolmente considerare ed etichettare come precorritrice dell’Anticristo.

[4] Avrei voluto passare questa questione sotto silenzio, affinché, se possibile, il male fosse confinato ai soli sostenitori e non si diffondesse in altre regioni e contaminasse le orecchie degli innocenti. Ma Eusebio, ora vescovo a Nicomedia, pensando che gli interessi della Chiesa gravassero inetramente su di sé, dopo aver abbandonato il suo ufficio a Beirut e aver bramato la Chiesa di Nicomedia, senza essere stato per questo punito, si è ora posto alla testa di questi apostati, osando anche scrivere lettere in tutte le direzioni in loro sostegno, sperando di trascinare qualcuno degli ignoranti in questa vergognosa e anticristiana eresia. Quindi, poiché conosco ciò che sta scritto nella legge, non potevo più tacere, ma dovevo informarvi di tutte queste cose, [5] affinché voi siate informati su quali persone sono cadute nell’apostasia e anche delle terribili minacce causate dalla loro eresia e non prestiate attenzione a nulla di ciò che Eusebio vi scrive. Volendo, infatti, ora utilizzare questi avvenimenti per resuscitare la sua vecchia malevolenza, che sembrava essere stata messa a tacere nel tempo, finge di scrivere a loro nome, mentre i fatti dimostrano che lo fa per promuovere la propria causa. [6] Questi dunque sono coloro che sono diventati apostati: Ario, Achilla, Aitale e Carpone, un secondo Ario, Sarmati, che una volta erano tutti presbiteri; Euzoio, Lucio, Giulio, Mena, Elladio e Gaio, che una volta erano tutti diaconi; e con questi anche Secondo e Teona, che un tempo erano chiamati Vescovi.

[7] I dogmi che, andando oltre la Scrittura, hanno inventato e affermato sono i seguenti:

«Dio non è sempre stato il Padre, ma c’è stato un tempo in cui Dio non era il Padre.

Il Verbo di Dio non è sempre esistito, ma è nato dal nulla, perché “il Dio che è” ha creato dal nulla “colui che prima non esisteva”. Per questo c’era una volta in cui non esisteva; poiché il Figlio è una creatura ed un essere creato.

Egli non è né essenzialmente simile al Padre, né è per natura il vero Logos del Padre né la sua vera Sapienza, ma piuttosto una delle cose che ha fatto e una di quelle che ha generato. Egli è chiamato Verbo e Sapienza solo per analogia, poiché egli stesso è nato dall’attuale Logos di Dio e dalla Sapienza che è in Dio, mediante la quale Dio ha creato tutte le cose compreso lui.

[8] La sua natura è mutevole e suscettibile di cambiamento, come lo sono tutti gli esseri razionali. E così il Logos è estraneo, diverso ed escluso dalla sostanza di Dio; e il Padre è invisibile al Figlio. Infatti il Logos non conosce il Padre in modo perfetto e preciso, né lo può vedere perfettamente. Il Figlio infatti non conosce neppure la propria essenza così come essa è, [9] poiché egli è stato fatto per noi, affinché Dio potesse crearci per mezzo di lui, come per mezzo di uno strumento, e non sarebbe mai esistito se Dio non avesse voluto crearci».

[10] Qualcuno chiese loro se la Parola di Dio potesse volgersi al male, come ha fatto il diavolo. E non avevano paura di rispondere: “Sì, potrebbe. In quanto è creato, la sua natura può cambiare”. [11] Noi dunque, riuniti con quasi cento vescovi d’Egitto e di Libia, abbiamo lanciato un anatema su queste cose dette da Ario e da coloro che senza vergogna lo hanno seguito. I seguaci di Eusebio li hanno accolti e hanno cercato di fondere la menzogna con la verità e l’empietà con ciò che è sacro. Ma non ci riusciranno. Perché la verità deve trionfare e «la luce non ha alcuna comunione con le tenebre, né Cristo può essere in accordo con Belial» [2 Cor 6,14].

[12] Chi infatti ha mai udito tali cose? Oppure, chi ora sentendo ciò non si stupisce e non si tappa le orecchie per non sentire espressioni così immonde? Chi, ascoltando Giovanni dire: “In principio era il Logos” [Gv 1,1], non condanna coloro che dicono: “Ci fu un tempo in cui il Logos non esisteva”? Oppure chi, sentendo nel Vangelo del Figlio unigenito [Gv 3,16.18], e che «per mezzo di lui tutte le cose sono state fatte» [Gv 1,3, cfr Rm 11,36], non odierà coloro che proclamano che il Figlio è una delle cose fatte? Come può essere una delle cose fatte per mezzo di lui stesso? Oppure, come può essere unigenito se è annoverato tra le cose create? E come potrebbe nascere dal nulla quando il Padre ha detto: “Il mio cuore ha proferito una parola buona” [LXX Sal 44:2]; e «ti ho generato dal grembo materno davanti alla stella del mattino» [LXX Sal 109,3]?

[13] O come può essere per sostanza diverso dal Padre Colui che è l’immagine perfetta e il riflesso del Padre [Eb 1,3] e che dice: «Chi ha visto me, ha visto il Padre»? [Gv 14,9] Ancora una volta, come mai se il Figlio è il Logos e la Sapienza di Dio, potrebbe esserci un tempo in cui non esisteva? Ciò equivale a dire che Dio una volta era senza Parola e senza Sapienza. [14] Come può essere mutevole e suscettibile al cambiamento chi dice di sé: «Io sono nel Padre e il Padre è in me» [Gv 10,38; 14,10- 11] e «Io e il Padre siamo uno» [Gv 10,30]; e ancora attraverso il profeta: «Guardatemi perché io sono e non sono mutato» [Mal 3,6]? Se qualcuno potesse usare questa espressione per lo stesso Padre, sarebbe ancora più appropriato parlare del Logos, perché egli non è cambiato quando si è fatto uomo, ma, come dice l’Apostolo: «Gesù Cristo, lo stesso ieri, oggi e sempre [Eb 13,8]. Chi allora potrebbe persuaderci a dire che è stato creato per noi, quando Paolo scrive che «per lui e per mezzo di lui esistono tutte le cose» [Rm 11,38]?

[15] Non c’è da meravigliarsi della loro blasfema affermazione secondo cui il Figlio non conosce perfettamente il Padre. Infatti, una volta decisi a combattere contro Cristo, rifiutano anche la sua stessa voce quando dice: «Come il Padre conosce me, anch’io conosco il Padre» [Gv 10,15]. Ma, se il Padre conosce solo parzialmente il Figlio è chiaro che il Figlio può conoscere solo parzialmente il Padre. Ma, se ciò fosse improprio e se il Padre conosce perfettamente il Figlio è anche chiaro che come il Padre conosce il proprio Logos, così anche il Logos conosce il proprio Padre, di cui è Logos. [16]  Affermando queste cose e spiegando le divine Scritture, abbiamo spesso confutato questi uomini, ma essi, come camaleonti, mutarono nuovamente se stessi, trascinandosi ostinatamente fino a ciò che sta scritto: «Quando l’empio sprofonda negli abissi del male, diventa sprezzante» [LXX Prov 18,3]. Sebbene davanti a loro siano sorte molte eresie che andando ben oltre ciò che si dovrebbe osare cadevano nella totale stoltezza, costoro, tentando in tutti i loro discorsi di eliminare la divinità del Logos, si sono avvicinati all’Anticristo e hanno superato tutti i loro predecessori.   Per questo motivo sono stati denunciati pubblicamente e anatematizzati dalla Chiesa.

[17] Siamo davvero addolorati per la loro distruzione e soprattutto perché ora si sono allontanati dagli insegnamenti che un tempo avevano appreso nella Chiesa, anche se non ne siamo sorpresi. Allo stesso modo caddero Imeneo e Fileto e prima di loro Giuda, che era stato seguace del Salvatore, ma poi divenne traditore e apostata.

[18] Né dovremmo essere ignoranti riguardo a questi uomini, poiché il Signore stesso ha detto: «Guardate che nessuno vi inganni; poiché molti verranno nel mio nome, dicendo: “Io sono Cristo”, e “il tempo è vicino”, e inganneranno molti. Non seguiteli» [Lc 21,8, Mt 24,5]. E Paolo, avendo imparato queste cose dal Salvatore, scrisse:

«Che negli ultimi tempi alcuni apostateranno dalla sana fede, seguendo spiriti ingannatori e insegnamenti di demoni, allontanandosi dalla verità» [1 Tim 4,1 – 2 Tim 4,4]. [19] Poiché il Signore e Salvatore nostro, Gesù Cristo, ci ha ordinato personalmente e predetto per mezzo dell’Apostolo a riguardo a questi uomini, ne consegue che noi stessi, avendo udito la loro empietà, li abbiamo condannati – come abbiamo già detto – e li abbiamo dichiarati estranei alla Chiesa cattolica e alla fede

[20] Abbiamo anche chiarito alle vostre pie menti, carissimi e onoratissimi concelebranti, che non dovreste accogliere nessuno di questi uomini, se avessero la temerarietà di avvicinarsi a voi, né lasciarvi persuadere a ricevere alcuna lettera in loro difesa da Eusebio o chiunque altro. È giusto per noi cristiani allontanarci da tutti coloro che parlano o ragionano contro Cristo, perché sono resistenti a Dio e distruttori di anime; né dobbiamo salutare tali uomini per non essere resi partecipi del loro peccato, come insegnò il beato Giovanni [cf. 2 Gv 9-11].

Salutate i fratelli che sono con voi. Quelli che sono con me vi salutano.

I presbiteri di Alessandria:

Io, il Presbitero Colluto, sono d’accordo con quanto è stato scritto e con la deposizione di Ario e di coloro che commisero empietà con lui.

Allo stesso modo i Presbiteri: Alessandro, Dioscoro, Dionisio, Eusebio, Alessandro, Neilaras, Arpocrazione, Agato, Nemesio, Longo, Silvano, Peröous, Api, Proterio, Paolo, Ciro.

Allo stesso modo i Diaconi: Ammonio, Macario, Pistus, Atanasio, Eumene, Apollonio, Olimpio, Aftonio, Atanasio, Macario, Paolo, Pietro, Aminziano, Gaio, Alessandro, Dionisio, Agatone, Polibio, Teona, Marco, Commodo, Serapione, Neilo, Romano.

I presbiteri di Mareoti:

Io, il presbitero Apollonio, sono d’accordo con quanto è stato scritto e con la deposizione di Ario e di coloro che con lui commisero empietà.

Allo stesso modo i Presbiteri: Ingenio, Ammonio, Dioscoro, Sostra, Teone, Tiranno, Coprys, Ammona, Orione, Sereno, Didimo, Eracle, Bocco, Agato, Achille, Paolo, Telelio, Dionisio.

I Diaconi: Sarapione, Giusto, Didimo, Demetrio, Mauro, Alessandro, Marco, Comone, Trifone, Ammonio, Didimo, Ptollarione, Sera, Gaio, Hierax, Marco, Teona, Sarmatone, Carpo, Zoilo.




San Nicodimo Aghiorita

San Nicodimo dell’Athos nacque sull’isola greca di Naxos nell’anno 1748 e fu chiamato Nicola al battesimo (Νικόλαος Καλλιβρούτσης). Passò dalla guida del suo parroco a quella dell’archimandrita Crisanto, che era il fratello del Santo Kosmas d’Etolia. Ricevette la sua prima istruzione a Smirne, dove studiò teologia e lingue. La persecuzione da parte dei turchi, che all’epoca governavano la maggior parte del mondo greco, interruppe la sua scolarizzazione e tornò a Naxos nel 1770 dove divenne segretario del Metropolita Antimo.

All’età di ventisei anni, arrivò sul Monte Athos e ricevette la tonsura monastica nel monastero di Dionysiou con il nome di Nicodimo.

Come sua prima obbedienza, Nicodimo servì come segretario del suo monastero. Due anni dopo il suo ingresso nel monastero di Dionysiou, il Metropolita di Corinto, San Macario (17 aprile), arrivò lì e assegnò al giovane monaco la cura del manoscritto della Filocalia, che trovò nel 1777 nel monastero di Vatopedi. L’edizione di questo libro fu l’inizio di molti anni di duro lavoro letterario da parte di San Nicodimo. Il giovane monaco si trasferì presto allo skete del Pantokrator, dove era sotto l’obbedienza dell’anziano Arsenio del Peloponneso, sotto la cui guida studiò con zelo la Sacra Scrittura e le opere dei Santi Padri.

Sull’Athos, Nicodimo si schierò con i monaci conosciuti come Kollyvades, che premevano per un ritorno delle pratiche ortodosse tradizionali.

Nel 1783, San Nicodimo fu tonsurato nel Grande Schema e visse in completo silenzio per sei anni. Quando San Macario di Corinto visitò di nuovo Athos, gli diede l’obbedienza di curare gli scritti di San Simeone il Nuovo Teologo, e così abbandonò il suo silenzio ascetico e si occupò ancora una volta di lavoro letterario. Da quel momento fino alla sua morte continuò a lavorare con zelo in questa impresa.

Non molto prima del suo riposo, l’Anziano Nicodimo sfinito dal suo lavoro letterario e dagli sforzi ascetici, andò a vivere presso lo skete di alcuni iconografi, lo Ieromonaco Stefano e Neophytus Skourtaius, che erano fratelli di nascita. Chiese loro di aiutarlo nella pubblicazione delle sue opere, poiché era ostacolato dalla sua infermità. Lì, San Nicodimo si addormentò pacificamente nel Signore il 14 luglio 1809.

Fu glorificato dalla Chiesa greco-ortodossa il 31 maggio 1955. La sua festa è il 14 luglio.

Secondo la testimonianza dei suoi contemporanei, San Nicodimo era un uomo semplice, senza malizia, modesto e distinto per la sua profonda concentrazione. Possedeva notevoli capacità mentali: conosceva a memoria le Sacre Scritture, ricordandone persino il capitolo, il versetto e la pagina, e sapeva persino recitare a memoria lunghi passaggi degli scritti dei Santi Padri.

L’opera letteraria di San Nicodimo fu varia. Scrisse una prefazione alla Filocalia e brevi vite di asceti. Tra le opere più importanti ci fu la sua edizione del libro di Lorenzo Scupoli, “Lotta invisibile”, che fu poi anche tradotta in russo dal santo Teofane il Recluso, in inglese e in altre lingue. Un’opera notevole dell’asceta fu il suo “Manuale della Confessione” (Venezia, 1794, 1804, ecc.), riassunto nel suo trattato, “Tre Discorsi sul Pentimento”. Il suo libro più edificante “Morale Cristiana” fu pubblicato a Venezia nel 1803.

Il santo diede anche un grande contributo pubblicando libri liturgici. Utilizzando materiali provenienti dalle collezioni di manoscritti del Monte Athos, pubblicò sessantadue Canoni alla Santissima Theotokos sotto il titolo, NUOVO THEOTOKARION (Venezia, 1796, 1849).

San Nicodimo preparò una nuova edizione del PEDALION o TIMONE, comprendente i canoni dei Santi Apostoli, dei Santi Sinodi Ecumenici e Locali e dei Santi Padri.

San Nicodimo aveva un amore speciale per l’agiografia, come attestato dalla sua opera, Nuovo Eucologio (Venezia, 1803), e dal suo libro postumo, Nuovo Sinnassario in tre volumi (Venezia, 1819). Completò una traduzione in greco moderno di un libro di San Teofilatto, arcivescovo di Bulgaria, “Le 14 Lettere di Paolo” in tre volumi. Lo stesso San Nicodimo scrisse “Un’interpretazione delle sette epistole cattoliche” (pubblicato anche a Venezia nel 1806 e nel 1819).

L’estremamente saggio Nicodimo è anche noto come autore e traduttore di inni liturgici




San Pietro Damasceno

Il nostro Padre tra i santi Pietro, che fu vescovo di Damasco, visse sotto Costantino Kopronymos, nell’anno 775. Egli iniziò la vita solitaria e anacoretica nella più grande povertà, non possedendo nemmeno un libro, come lui stesso dice. Cioè, prese in prestito dagli altri solo l’Antico e il Nuovo Testamento, i libri dei grandi maestri della Chiesa e, sintetizzando, di tutti gli altri padri niptici e portatori di Dio, divenendo così industrioso che – meditando notte e giorno sulla legge del Signore e irrigando la sua vita con i ruscelli che sgorgano da lì – fu considerato alla stregua di quell’albero cantato nel Salmo, con il suo fogliame alto e celeste, piantato accanto alla sorgente stessa delle acque dello Spirito. Ma, mentre si dice che quell’albero dia i suoi frutti solo in una stagione, non fu così per lui: al contrario, rimanendo verde in ogni stagione, senza sosta e senza requie, produsse frutti spirituali, piacevoli alla vista, dolci al gusto, profumati all’olfatto e che, con le dolcezze imperiture e fragranti che ne scaturiscono, offrono un banchetto a ogni senso del corpo e dell’anima.

In effetti, produsse, mentre era in vita, molti grandi frutti attraverso i suoi sforzi ascetici e molti altri molto più grandi con la sua morte, guadagnando la corona con il suo martirio: in effetti, avendo dimostrato come falsa l’eresia eterodossa degli arabi e dei manichei, gli fu tagliata la lingua da al-Walid, figlio del capo degli arabi, Hishim, e fu esiliato in Arabia Felice; lì mori, ancora parlando correttamente ed esercitando il sacerdozio in modo impeccabile. Dopo la sua morte egli produsse un’abbondanza traboccante di frutti numerosissimi e grandissimi, lasciandoci come eredità paterna e inalienabile questo libro veramente bellissimo, ornato di ogni virtù, sul quale lavorò con tanta eloquenza e grazia che non saprei neppure come esprimerlo: é l’orgoglio di tutti e il più utile all’anima in tutte le virtù, un tesoro di contemplazioni, un elenco di carismi spirituali, un’Elicona di beatitudini divine, un santuario di pratica corporale, un’analisi meticolosissima delle passioni una per una, un corno dell’ascetica Amaltea, un deposito di conoscenza e saggezza divine: in una parola, è la summa della sacra nepsis.

Sapendo noi, quindi, come questa sintesi sia naturalmente legata al presente libro e come aggiunga un enorme contributo all’obiettivo che abbiamo in mente, abbiamo pensato che fosse estremamente importante conservarla. Si potrebbe ben dire: come un cerchio sta a un cerchio, cosi una filocalia ad una filocalia: il grande al più grande e il più vasto al più ristretto. Non ci é sembrato giusto, infatti, separare quest’opera che è carica di frutti spirituali – come abbiamo detto sopra – dal coro dei padri santi e sobri: questo libro stesso ci avrebbe accusato di incapacità di riconoscere il bello, non permettendo che si separassero dai padri i loro amici e familiari. Né in nessuna circostanza ci é sembrato lecito mutilare la nostra opera in questo modo – visto che ha bisogno della collaborazione di questo libro – e privare i fratelli di un così grande profitto: perché l’aumento del bene produce sempre un aumento del beneficio.

Se poi qualcuno vuole prendere le doppie ali della colomba spirituale, che anche Davide cercò ma non trovò, sfogli con laboriosa cura le pagine di questo libro e le troverà meravigliosamente; qui l’ala tutta d’argento della proxis e li quella d’oro della contemplazione. Sollevandosi con entrambe le ali sopra tutte le cose della terra, volerà verso le altezze eterne e, dopo aver fatto nidificare quella colomba nei nidi di lassù, troverà riposo nella beatitudine celeste.


Alcuni pensano che Pietro Damasceno sia vissuto nell’ottavo secolo e altri pensano che sia vissuto nel dodicesimo secolo. Questa differenza di pensiero deriva dal fatto che ci furono due Pietro Damasceno. Quello di cui stiamo parlando era un grande asceta. Era altruista oltre misura. Pietro Damasceno non possedeva nemmeno un singolo libro, ma piuttosto prendeva libri in prestito e li leggeva. Leggeva assiduamente, raccogliendo saggezza come un’ape raccoglie il miele. Per un po’ fu vescovo a Damasco, ma quando si espresse contro l’Islam e l’eresia manichea, gli arabi gli mozzarono la lingua e lo bandirono in esilio nel profondo dell’Arabia. Tuttavia, Dio gli concesse il potere della parola, così che, anche in esilio, predicò il Vangelo e convertì molti alla fede cristiana. Compilò e lasciò in eredità ai posteri un prezioso libro sulla vita spirituale. Morì come confessore e martire e prese dimora nel Regno di Cristo.

INNO DI LODE

INNO DI LODE
SAN PIETRO DAMASCENO




Didaché: La dottrina dei dodici Apostoli

INTRODUZIONE

La Tradizione della Chiesa è l’insegnamento orale che dal Dio-Uomo è passato attraverso gli Apostoli giongendo fino a noi. Una parte di questa Tradizione è stata scritta nei testi che conosciamo come Nuovo Testamento. Un’altra parte della Tradizione ci è pervenuta negli scritti sub-apostolici, che normalmente hanno avuto una genesi molto antica, alcune volte coeva alla scrittura del Nuovo Testamento, e provenienti dalla penna di coloro che conobbero direttamente gli Apostoli e ne ascoltarono fisicamente la predicazione. Risalgono alla fine del I secolo e alla prima metà del II secolo, quegli scritti oramai conosciuti e catalogati col nome di collettivo di “Padri Apostolici”. Tale etichetta è abbastanza recente essendo stato il primo ad usarla J. B. Cotelier nellìetà moderna. Questo studioso si riferiva precisamente alle lettere di Barnaba, Clemente Romano, Ignazio di Antiochia, Policarpo di Smirne ed al Pastore d’Erma. Solo successivamente furono ritrovate e ripubblicate e quindi inserite nel corpus sub-apostolico i frammenti di Papia di Gerapoli, l’epistola ‘a Diogneto’ e la Didaché.

Quando i Padri Apostolici scrivevano, come abbiamo detto, non era ancora completo tutto il Nuovo Testamento. Con molta probabilità la Didachè è più antica dell’Apocalisse e del quarto Vangelo di San Giovanni il Teologo. Il testo della Didaché è sia un testo catechetico che liturgico. Da essa possiamo conoscere la pulsante dottrina apostolica che era stata diffusa nelle antiche comunità cristiane con le rubriche liturgiche utilizzate per i principali sacramenti. La Dottrina dei dodici Apostoli si può considerare il più venerando ed antico catechismo cristiano, essendo stata scritta solo una sessantina di anni dopo la morte di Cristo. Citazioni di questo scritto si possano trovare infatti già nella Lettera di Barnaba che si ritiene essere stata scritta verso l’anno 97 dell’era cristiana. L’autore è anonimo ed alcuni studiosi pensano sia possibile che attinga alla stessa fonte Q dei vangeli sinottici, spingendosi quindi a datarla addirittura alla metà del I secolo. A prescindere dalla critica testuale, la Didaché, che è stata ‘riscoperta’ integralmente solo nella seconda metà del 1800, era comunque conosciuta perché citata da tanti Padri della Chiesa.

La Didachè è infatti citata da Erma (circa 150 d.C.) nel Pastore, da Clemente Alessandrino (145-216 d.C.), da Origene (185-255 d.C.), da Eusebio, da Atanasio Vescovo di Alessandria che la consiglierà per la lettura a tutti i catecumeni.

Nel 1873 in un codice greco di Costantinopoli (ora conservato a Gerusalemme) il Metropolita Filoteo Bryennios ne scoprì un manoscritto risalente all’anno 1056. In seguito se ne trovarono frammenti in papiri del IV sec., nonché una versione in georgiano fatta sul testo greco nell’anno 430 da un vescovo di nome Geremia.

La Didaché è un testo importantissimo anche perché dimostra come le parti fondamentali della dottrina e i fondamenti della liturgia erano già codificati quando non erano ancora passati cinquant’anni dacché il «Logos si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». (Gv 1,14)

I sacramenti del Battesimo, dell’Eucarestia e della Penitenza sono descritti nel loro significato teologico e nelle loro espressioni liturgiche del tutto simili a quelle ancora oggi in uso nella Chiesa Ortodossa. 

1. Ci sono due vie, una della vita e una della morte, ma c’è una grande differenza tra le due vie. La via della vita, dunque, è questa:

Primo: amerai Dio che ti ha creato.

Secondo: ama il tuo prossimo come te stesso e non fare a un altro ciò che non vorresti fosse fatto a te.

E di questi detti l’insegnamento è questo: benedite coloro che vi maledicono, pregate per i vostri nemici e digiunate per coloro che vi perseguitano. Perché quale merito c’è nell’amare coloro che vi amano? I Gentili non fanno lo stesso? Ma amate coloro che vi odiano e non avrete nemici.

Astieniti dalle concupiscenze carnali e mondane. Se qualcuno ti colpisce sulla guancia destra, porgigli anche l’altra e sarai perfetto. Se qualcuno ti impone [di camminare] per un miglio, accompagnalo per due. Se qualcuno ti prende il mantello, dagli anche la tunica. Se qualcuno ti toglie ciò che è tuo, non chiederglielo indietro, perché infatti non potrai. Date a chiunque vi chiede e non chiedete indietro; perché il Padre vuole che a tutti siano date le benedizioni [doni gratuiti]. Beato è chi dona secondo il comandamento, perché è senza colpa. Guai a chi riceve; perché se uno riceve essendo nel bisogno, è senza colpa, ma chi riceve non avendo bisogno pagherà la pena, perché ha ricevuto senza motivo. Ed entrato in prigione, sarà interrogato riguardo alle cose che ha fatto, e non uscirà di lì finché non avrà restituito fino all’ultimo centesimo. E anche a questo riguardo è stato detto: La vostra elemosina sudi nelle vostre mani, finché non saprai a chi devi dare.

2. Secondo comandamento della dottrina.

Non commetterai omicidio,

non commetterai adulterio,

non commetterai pederastia,

non commetterai fornicazione,

non ruberai,

non praticherai la magia,

non praticherai la stregoneria,

non ucciderai un bambino mediante l’aborto né lo ucciderai alla nascita,

non desidererai le cose del tuo prossimo,

non giurerai, non farai falsa testimonianza, non dirai male di nessuno, non serberai rancore,

non sarai doppio di animo né doppio nella parola, perché essere ambigui in ciò che si dice è un laccio di morte. Le tue parole non saranno false, né vuote, ma adempiute con i fatti.

Non sarai avido, né rapace, né ipocrita, né malvagio, né altezzoso.

Non avrai cattivi pensieri contro il tuo prossimo. Non odierai nessuno; ma alcuni li riprenderai e per altri pregherai e altri ancora amerai più della tua stessa vita.

3. Figlio mio, fuggi ogni male e da ogni cosa che gli sia simile. Non essere incline all’ira, perché l’ira porta all’omicidio. Non essere né geloso, né litigioso, né irascibile, perché da tutto ciò nascono gli omicidi. Figlio mio, non essere lussurioso, poiché la lussuria porta alla fornicazione. Non fare chiacchiere oscene, né avere uno sguardo malizioso, perché da tutto questo nascono gli adulteri. Figlio mio, non essere un osservatore di presagi, poiché ciò porta all’idolatria. Non essere né un incantatore, né un astrologo, né un superstizioso, né essere disposto ad occuparti di queste cose, perché da tutte queste nasce l’idolatria. Figlio mio, non essere bugiardo, poiché la menzogna porta al furto. Non essere né avido di denaro né vanaglorioso, perché da tutto ciò nascono i furti. Figlio mio, non essere mormoratore, poiché ciò apre la strada alla blasfemia. Non essere né arrogante né malvagio, perché da tutto ciò nascono le bestemmie.

Sii piuttosto mite, perché i miti erediteranno la terra. Sii longanime, pietoso, sincero, gentile e buono e trema sempre per le parole che hai udito. Non ti esaltare, né dare eccessiva fiducia alla tua anima. La tua anima non si unirà ai superbi, ma ti legherai con i giusti e gli umili. Accetta come bene qualunque cosa ti accada, sapendo che senza Dio nulla accade.

4. Figlio mio, ricordati notte e giorno di colui che ti predica la parola di Dio e onoralo come fai con il Signore. Perché dovunque si pronuncino i comandamenti del Signore, lì è il Signore. E cerca ogni giorno i volti dei santi, per poter riposare sulle loro parole. Non lavorare alla divisione, ma porta piuttosto alla pace coloro che litigano. Giudica con rettitudine e non guardare alle persone nel rimproverare le trasgressioni. Non sarete indecisi se farlo o meno. Non essere svelto a tendere le mani per ricevere e a tenerle ritratte per dare. Se hai qualcosa dal lavoro delle tue mani darai in espiazione dei tuoi peccati. Non esitare nel dare, né essere lamentoso quando dai; poiché conoscerai chi è il buon elargitore del tuo salario. Non allontanarti da chi è nel bisogno; condividi piuttosto tutte le cose con il tuo fratello e non dire che sono tue. Se infatti siete partecipi delle cose immortali, quanto più delle cose mortali? Non alzare la mano su tuo figlio o tua figlia; piuttosto, insegna loro il timore di Dio fin dalla giovinezza. Nella tua amarezza, non comandare nulla al tuo schiavo o alla tua serva, che sperano nello stesso Dio, affinché rimangano nel timore di Dio che è sopra entrambi; poiché Egli non viene a chiamare secondo l’apparenza esteriore, ma coloro che lo Spirito ha preparato. E voi servi sarete soggetti ai vostri padroni come immagine di Dio, con modestia e timore. Odierai ogni ipocrisia e tutto ciò che non piace al Signore. Non abbandonare in alcun modo i comandamenti del Signore; conserva invece ciò che hai ricevuto, senza aggiungere né togliere nulla. Nella Chiesa riconoscerai le tue trasgressioni e non ti avvicinerai alla preghiera con cattiva coscienza. Questa è la via della vita.

5. E la via della morte è questa: prima di tutto è cattiva e maledetta: omicidi, adulteri, lussuria, fornicazione, furti, idolatrie, arti magiche, stregonerie, stupri, false testimonianze, ipocrisia, doppiezza, inganno, superbia, depravazione, ostinazione, avidità, turpiloquio, gelosia, eccessiva fiducia, altezzosità, vanagloria. Persecutori del bene, che odiano la verità, amano la menzogna, non conoscono la ricompensa per la giustizia, non si attaccano al bene né al giusto giudizio, attenti non a ciò che è bene, ma a ciò che è male; da cui sono lontane la mansuetudine e la perseveranza, che amano le vanità, cercano la vendetta, non hanno pietà del povero, non si adoperano per gli afflitti, non conoscono Colui che li ha creati, assassini dei figli, distruttori dell’opera di Dio, incuranti dei bisognosi, affliggono chi è nell’afflizione, avvocati dei ricchi e giudici ingiusti dei poveri, peccatori totali. Liberatevi, figli, da tutto questo.

6. Badate a che nessuno vi faccia deviare da questa via della dottrina, poiché vi insegnerebbe ciò che Dio non è. Perché se sarete capaci di sopportare tutto il giogo del Signore, sarete perfetti, ma, se non potete farlo, fate quello che potete. Quanto al cibo, sopportate ciò che potete, ma astenetevi assolutamente da ciò che viene sacrificato agli idoli, poiché è il culto degli dèi morti.

7. Riguardo al battesimo, battezza in questo modo: Dopo aver detto prima tutte queste cose, battezza nel nome del Padre e del Figlio e del Santo Spirito in acqua viva. Ma se non hai acqua viva, battezza in altra acqua, e se non puoi farlo nell’acqua fredda, fallo in quella calda. Ma se non hai né l’uno né l’altro, versa tre volte l’acqua sul capo, nel nome del Padre e del Figlio e del Santo Spirito. Ma prima del battesimo digiuni il battezzatore, il battezzato e chiunque altro può: ordinerai ai battezzati di digiunare uno o due giorni prima.

8. I vostri digiuni non siano con gli ipocriti, perché digiunano il secondo e il quinto giorno della settimana. Piuttosto digiunate il quarto giorno e la Parasceve (venerdì). Non pregate come gli ipocriti, ma piuttosto come ha comandato il Signore nel suo Vangelo, così:

«Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo Regno. Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano (sovraessenziale), e rimetti a noi il nostro debito come anche noi lo rimettiamo ai nostri debitori. E non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal maligno; perché tua è la potenza e la gloria nei secoli..»

Pregate così tre volte al giorno.

9. Ora, riguardo all’Eucaristia, ringraziate così.

Innanzitutto, riguardo alla coppa:

“Ti ringraziamo, Padre nostro, per la santa vite di Davide tuo servo, che ci hai fatto conoscere per mezzo di Gesù tuo servo; a te la gloria nei secoli..”

E riguardo al pane spezzato:

“Ti ringraziamo, Padre nostro, per la vita e la conoscenza che ci hai fatto conoscere per mezzo di Gesù tuo servo; a te la gloria nei secoli. Come questo pane spezzato fu sparso sui colli e, raccolto, divenne uno, così sia raccolta la tua Chiesa dalle estremità della terra nel tuo regno; poiché Tua è la gloria e la potenza per mezzo di Gesù Cristo nei secoli..”

Nessuno mangi o beva della vostra Eucaristia, se non è stato battezzato nel nome del Signore; Infatti anche a questo riguardo il Signore ha detto: “Non date ciò che è santo ai cani”.

10. Poi dopo, quando sarete sazi, ringraziate così:

“Ti ringraziamo, Padre santo, per il tuo santo nome di cui hai fatto tabernacolo i nostri cuori, e per la conoscenza, la fede e l’immortalità, che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo servo; a te la gloria nei secoli. Tu, Signore onnipotente, hai creato tutte le cose per amore del tuo nome; Hai dato cibo e bevanda agli uomini in godimento, affinché ti rendessero grazie, ma a noi hai dato gratuitamente il cibo e la bevanda spirituale e la vita eterna per mezzo del tuo servo. Prima di tutto ti ringraziamo perché sei potente: a te la gloria nei secoli. Ricordati, Signore, della tua Chiesa, per liberarla da ogni male e renderla perfetta nel tuo amore, e raccoglierla dai quattro venti, santificata per il regno che Tu le hai preparato: poiché tua è la potenza e la gloria nei secoli. Venga la grazia e passi questo mondo. Osanna al Dio di Davide! Se qualcuno è santo, venga; se non lo è, si converta. Maranatha. Amin”.

Ma permettete ai profeti di rendere grazie come desiderano.

11. Chiunque, dunque, viene e vi insegna tutte queste cose così come sono state dette prima, accoglietelo. Ma se il maestro stesso cambia, insegnando un’altra dottrina per distruggere questa, non ascoltatelo. Ma se insegna in modo da aumentare la giustizia e la conoscenza del Signore, accoglietelo come il Signore. Ora, riguardo agli apostoli e ai profeti agite secondo il decreto del Vangelo. Ogni apostolo che viene a voi sia accolto come il Signore. Ma non resterà più di un giorno; o due giorni, se ce n’è bisogno. Se rimane tre giorni, è un falso profeta. E quando l’apostolo se ne va, non prenda altro che il pane sufficiente al viaggio. Se chiede soldi è un falso profeta. E tu non metterai alla prova né giudicherai ogni profeta che parla nello Spirito, poiché ogni peccato sarà perdonato, ma questo peccato non sarà perdonato. Ma non chiunque parla nello Spirito è profeta, ma solo se mantiene le vie del Signore. Perciò dalle loro vie si riconoscerà il falso profeta dal vero profeta. Ogni profeta che ordina un pasto nello Spirito non lo mangia, a meno che non sia davvero un falso profeta. E ogni profeta che insegna la verità, ma non fa ciò che insegna, è un falso profeta. E ogni profeta, che si sia dimostrato veritiero, operando per il mistero della Chiesa nel mondo, senza tuttavia insegnare agli altri a fare ciò che fa lui stesso, non sarà giudicato tra voi, poiché presso Dio ha il suo giudizio; poiché così facevano anche gli antichi profeti. Ma a chiunque dica nello Spirito: ‘Dammi del denaro’ o qualche altra cosa, non gli darete ascolto. Ma se vi dice di dare per gli altri che sono nel bisogno, nessuno lo giudichi.

12. Accogliete chiunque viene nel nome del Signore, e poi mettetelo alla prova per riconoscerlo: perché avrete intendimento per quanto concerne la destra e la sinistra. Se colui che viene è un viandante, aiutatelo per quanto potete, ma non resterà con voi più di due o tre giorni, se necessario. Ma se vuole restare tra di voi ed è un artigiano, lavori e mangi. Ma se, secondo la vostra comprensione, non ha alcun mestiere, badate che, come cristiano, non viva tra voi in ozio. Ma se non vuole farlo, è un mercante di Cristo. Badate di tenerti lontano da costoro.

13. Ogni vero profeta che vuole vivere in mezzo a voi è degno del suo sostegno. Così anche il vero dottore è egli stesso degno, come l’operaio, del suo salario. Prenderai dunque ogni primizia dei prodotti del torchio e dell’aia, dei buoi e delle pecore e la darai ai profeti, perché essi sono i tuoi sommi sacerdoti. Ma se non hai un profeta, dallo ai poveri. Se fai il pane, prendine le primizie e dona secondo il comanda-mento. Così anche quando apri un vaso di vino o di olio, prendi la primizia e dallo ai profeti; e anche del denaro, del vestito e di ogni cosa, prendi le primizie, come ti sembrerà bene, e dà secondo il comandamento.

14. Nel giorno del Signore riunitevi, spezzate il pane e rendete grazie dopo aver confessato le vostre trasgressioni, affinché il vostro sacrificio sia puro. Ma nessuno che è in contrasto con il suo prossimo si unisca a voi, finché non si sia riconciliato, affinché il vostro sacrificio non venga profanato. Poiché questo è ciò che è stato detto dal Signore: «In ogni luogo e in ogni tempo offritemi un sacrificio puro, perché io sono un re grande, dice il Signore, e il mio nome è mirabile tra le nazioni».

15. Nominatevi dunque vescovi e diaconi degni del Signore, uomini miti, non amanti del denaro, veritieri e provati; poiché anch’essi vi rendono il servizio di profeti e di maestri. Non disprezzarli dunque, perché sono tra voi onorati insieme ai profeti e ai dottori. E rimproveratevi a vicenda, non con ira, ma in pace, come dice il Vangelo. Ma a chiunque agisce male contro un altro, nessuno parli e non venga ascoltato in nulla da voi finché non si sia pentito. Le vostre preghiere, le elemosine e tutte le vostre azioni fatele così come avete letto nel Vangelo di nostro Signore.

16. Fate molta attenzione per il bene della vostra vita. Non si spengano le vostre lampade, né si sciolgano i vostri fianchi; ma state pronti, perché non sapete l’ora in cui il nostro Signore verrà. Ma riunitevi spesso, cercando ciò che conviene alle vostre anime: perché tutto il tempo vissuto nella fede non vi gioverà, se non sarete trovati perfetti nell’ultimo tempo. Poiché negli ultimi giorni si moltiplicheranno i falsi profeti e i corruttori, le pecore si muteranno in lupi e l’amore si muterà in odio. Poiché quando l’iniquità aumenterà, si odieranno, si perseguite-ranno e si tradiranno a vicenda, e allora apparirà l’ingannatore del mondo come Figlio di Dio, e farà segni e prodigi, e la terra sarà consegnata nelle sue mani, e commetterà azioni inique, cose che non si sono mai verificate fin dal principio del mondo. Allora il genere umano sarà avvolto nel fuoco della prova, e molti saranno fatti inciampare e periranno; ma coloro che perseverano nella loro fede saranno salvati dalla stessa maledizione. E allora appariranno i segni della verità: prima il segno dell’espansione nel cielo, poi il segno del suono della tromba. E in terzo luogo, la risurrezione dei morti, ma non di tutti, ma come è detto: “Il Signore verrà e tutti i suoi santi con lui”. Allora il mondo vedrà il Signore venire sulle nuvole del cielo.




San Giovanni Damasceno: L’incarnazione del Verbo

Pertanto l’uomo soggiacque all’invidia del diavolo: infatti il demonio invidioso e odiatore del bene, caduto in basso a causa della sua ribellione, non sopportava che noi ottenessimo i beni di sopra, e perciò egli il mentitore adescò il misero con la speranza della divinità; e avendolo innalzato all’altezza della sua sollevazione, lo menò giù verso l’abisso di caduta simile al suo.

Dunque in questo modo l’uomo era stato abbindolato dall’assalto dell’iniziatore del male e non aveva custodito il comando del Creatore, si era denudato della grazia, si era spogliato della confidenza in Dio, si era rivestito della scabrosità di una vita miserevole (questo indicano infatti le foglie di fico), si era cinto della condizione di morte, ossia della mortalità e della grossezza della carne (infatti questo indica il vestimento delle pelli morte), era stato bandito dal paradiso secondo il giusto giudizio di Dio, era stato condannato alla morte ed era stato assoggettato alla corruzione. Ma il Compassionevole, che gli aveva dato l’essere e gli aveva donato il ben-essere, non lo trascurò e anzi in un primo tempo lo ammaestrò e lo chiamò alla conversione in molti modi: con il gemito e il tremore, con il diluvio dell’acqua e la quasi totale rovina di tutta la stirpe, con la confusione e la divisione delle lingue, con la tutela degli angeli e con l’incendio delle città, con teofanie attraverso figure, con guerre, con vittorie, con sconfitte, con segni e con portenti, con varie potenze, con la legge, con i profeti. E attraverso queste cose lo scopo era la rimozione del peccato – che si era diffuso in molti modi, aveva asservito l’uomo e aveva ammassato sulla vita ogni specie di malvagità – e il ritorno dell’uomo al ben-essere.

D’altra parte, poiché a causa del peccato la morte era entrata nel mondo rovinando la vita umana come un animale selvaggio e feroce, di conseguenza era necessario che colui che si accingeva a riscattarla fosse senza peccato e non soggetto alla morte a causa di esso.

Ma anche era necessario che la natura fosse rinforzata e rinnovata e che con l’esempio concreto fosse indicata e insegnata la strada della vita, che allontana dalla corruzione e conduce alla vita eterna: e perciò infine fu mostrato il grande mare dell’amore per l’uomo. Infatti lo stesso Creatore e Signore assume su di sé la lotta per la creatura da lui plasmata e diventa maestro con i fatti; e poiché il nemico inganna l’uomo con la speranza della divinità, ora viene ingannato con il dispiegamento della carne e contemporaneamente è mostrata la bontà, la sapienza, la giustizia e la potenza di Dio. È mostrata la bontà, perché egli non trascurò la debolezza della sua propria creatura, ma ebbe compassione di essa che era caduta e le stese la mano. È mostrata la giustizia, perché – dopo che l’uomo era stato sconfitto – egli non fece che un altro vincesse il tiranno, e non strappò l’uomo alla morte con la violenza, ma egli, il Buono e il Giusto, rese di nuovo vincitore colui che la morte aveva prima asservito attraverso il peccato, e salvò – cosa impossibile – il simile con il simile. Ed è mostrata la sapienza, poiché trovò la più conveniente soluzione dell’impossibilità: infatti con il beneplacito di Dio Padre il Figlio unigenito Verbo di Dio e Dio, che è nel seno di Dio Padre, consustanziale al Padre e al Santo Spirito, precedente al tempo, senza principio, che era in principio ed era presso Dio Padre ed era Dio, pur sussistendo nella forma di Dio abbassò i cieli e discese: e cioè, abbassando senza abbassamento la sua inabbassabile altezza, discende presso i suoi servi con una discesa indicibile e incomprensibile (infatti la sua discesa mostra proprio questo) e, pur essendo Dio perfetto, diventa uomo perfetto e compie la cosa più nuova di tutte le cose nuove, l’unica cosa nuova sotto il sole, attraverso cui si manifesta l’infinita potenza di Dio. Infatti che cosa può essere più grande del fatto che Dio diventa uomo? Senza mutamento il Verbo si fece carne dallo Spirito Santo e dalla santa semprevergine Maria Madre di Dio: e diventa mediatore fra Dio e gli uomini, non per volontà, o per desiderio o per congiunzione di un uomo, e neanche per una generazione compiuta col piacere, essendo stato concepito nel seno immacolato della Vergine per opera dello Spirito Santo e secondo la prima nascita di Adamo. E si fa obbediente al Padre per sanare la nostra disobbedienza con l’aggiunta di ciò che è simile a noi e proviene da noi, essendo diventato per noi modello dell’obbedienza senza cui non è possibile ottenere la salvezza. Infatti l’angelo del Signore fu mandato alla santa Vergine, discendente dalla tribù di Davide: «È noto infatti che il Signore nostro è germogliato da Giuda», «e di questa tribù nessuno si accostò all’altare», come dice il divino Apostolo (e intorno a ciò diremo poi più accuratamente). E portando a lei l’annunzio disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». Ella fu turbata dal discorso, e l’angelo disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio, e genererai un figlio e lo chiamerai Gesù. Infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Perciò anche il nome «Gesù» significa «salvatore». E poiché ella dubitava: «Come ciò mi avverrà? Poiché non conosco uomo», l’angelo di nuovo le disse: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su di te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà da te sarà santo e chiamato Figlio di Dio». Ed ella a lui: «Ecco la serva del Signore: avvenga a me secondo la tua parola».

Quindi, dopo il consenso della santa Vergine lo Spirito Santo venne su di lei secondo la parola del Signore che l’angelo aveva proferito, purificandola, fornendole una facoltà ricevitrice della divinità del Verbo e, insieme, anche generatrice. E allora la Sapienza e la Potenza in sé sussistente di Dio Altissimo, il Figlio di Dio consustanziale al Padre, stese la sua ombra su di lei, a guisa di seme divino, e dal sangue casto e purissimo di lei si costituì una carne animata da un’anima razionale e intelligente, primizia della nostra massa: non mediante un seme ma per creazione per mezzo del Santo Spirito, e non completandosi la forma per aggiunte poco alla volta ma essendosi compiuta in una sola volta. Lo stesso Verbo di Dio fece da ipostasi alla carne: infatti il Verbo di Dio non si unì a una carne precedentemente sussistente per se stessa ma, avendo preso dimora nel seno della santa Vergine senza esserne circoscritto, fece sussistere nella sua propria ipostasi dal sangue casto della semprevergine una carne animata da un’anima razionale e intelligente, e assunse la primizia della nostra massa, egli stesso il Verbo diventando ipostasi per la carne. Cosicché questa contemporaneamente fu carne e contemporaneamente carne di Dio Verbo, contemporaneamente carne animata, razionale e intelligente e contemporaneamente carne animata, razionale e intelligente di Dio Verbo.

Perciò noi non diciamo un uomo diventato Dio, ma un Dio diventato uomo. Infatti Colui che per natura era Dio completo, il medesimo diventò uomo completo, non essendosi mutato nella sua natura né avendo realizzato illusoriamente il suo piano, ma essendosi unito secondo l’ipostasi alla carne che egli aveva assunto dalla santa Vergine – animata di ragione e di intelligenza e avente in lui il suo essere: senza confusione, senza cambiamento e senza divisione, senza mutare la natura della sua divinità nella sostanza della carne oppure la sostanza della sua carne nella natura della sua divinità, e anche senza costituire una sola natura composta insieme dalla sua natura divina e dalla natura umana che egli aveva assunto.

In realtà, le nature si unirono l’una con l’altra senza mutamento e senza alterazione, senza che la natura divina si allontanasse dalla sua propria semplicità e senza che la natura umana si mutasse in quella della divinità o indietreggiasse alla non-esistenza, e senza che dalle due nascesse una sola natura composta. Infatti la natura composta non può risultare consustanziale né all’una né all’altra fra quelle da cui essa è stata costituita, perché da cose diverse ne sorge un’altra diversa: come, ad es., il corpo – che è composto dai quattro elementi – non può essere detto consustanziale al fuoco né è chiamato fuoco, e neanche è detto aria, o acqua, o terra, e non è consustanziale ad alcuna di queste. E quindi se, conformemente agli eretici, dopo l’unione il Cristo fosse risultato di una sola natura composta, di conseguenza si sarebbe mutato da natura semplice in natura composta, e non sarebbe più consustanziale al Padre – che è di natura semplice – e neanche a sua madre (giacché questa non è composta da divinità e umanità): inoltre non sarebbe nella divinità e neanche nell’umanità, e non sarebbe chiamato né Dio né uomo ma soltanto Cristo: e la parola «Cristo» non sarebbe nome della persona ma dell’unica natura conforme alla loro opinione. Invece noi insegniamo che il Cristo non è di una sola natura composta e non è derivante da cose diverse che diventano un’altra cosa – come dall’anima e dal corpo l’uomo, oppure come il corpo dai quattro elementi –, ma è derivante da cose diverse le medesime: infatti proclamiamo che, composto dalla divinità
dall’umanità, egli il medesimo è ed è detto Dio perfetto e uomo perfetto, da due e in due nature. Diciamo il nome «Cristo» come proprio dell’ipostasi, ma non lo diciamo unilateralmente bensì come significante delle due nature. Infatti egli stesso unse se stesso: come Dio, ungendo il corpo con la sua divinità, ma essendo unto in quanto uomo: infatti egli è questo e quello. E l’unzione dell’umanità fu la divinità. Infatti se il Cristo fosse consustanziale al Padre essendo di una sola natura composta, allora anche il Padre sarebbe composto, e consustanziale alla carne: il che è assurdo e colmo di ogni bestemmia. D’altra parte, come una sola natura sarebbe capace di accogliere opposte differenze essenziali? Come è possibile che una stessa natura sia nel medesimo tempo creata e increata, mortale e immortale, circoscritta e incircoscritta? Inoltre se – affermando Cristo di una sola natura – la dicono semplice, allora o lo riconoscono soltanto Dio, e introducono la sua in-umanizzazione come un’illusione, oppure lo riconoscono semplice uomo, conformemente a Nestorio. E dove starebbe «ciò che è perfetto in divinità» e «ciò che è perfetto in umanità»? E se dicono che dopo l’unione il Cristo è di una sola natura composta, in quale momento diranno che egli è di due nature? Infatti è chiaro a chiunque che prima dell’unione Cristo sarebbe stato di una sola natura. In effetti questo è ciò che produce l’errore agli eretici, e cioè il dire che la natura e l’ipostasi sono la medesima cosa. Poiché noi diciamo che una è la natura degli uomini, bisogna sapere che noi non lo diciamo pensando alla definizione dell’anima e del corpo: infatti sarebbe impossibile dire che l’anima e il corpo, confrontati fra loro, sono di un’unica natura. Ma poiché le ipostasi degli uomini – che sono moltissime – ricevono tutte la medesima definizione della natura (infatti esse sono composte tutte di anima e di corpo, e tutte partecipano della natura dell’anima e posseggono la sostanza del corpo), diciamo una sola natura per la comune specie delle moltissime e differenti ipostasi, mentre è chiaro che a sua volta ogni ipostasi porta con sé due nature e si compie in due nature, cioè quella dell’anima e quella del corpo. Invece, in riguardo a nostro Signore Gesù Cristo non è possibile pensare a una specie comune. Infatti non ci fu, né c’è, né mai ci sarà un altro Cristo di divinità e di umanità, egli che è il medesimo, Dio perfetto e uomo perfetto in divinità e in umanità. E quindi non è possibile dire una sola natura in riguardo al Signore nostro Gesù Cristo. Perciò diciamo che l’unione è avvenuta da due nature perfette, quella divina e quella umana: non per impastamento, o per confusione, o per mescolanza, come dissero Dioscoro scacciato da Dio, Eutiche, Severo e la loro empia compagnia; e neanche facciale, oppure relativa, o per dignità, o per identità di volontà, o per uguaglianza di onore, o per omonimia, o secondo il beneplacito, come dissero Nestorio odioso a Dio, Teodoro di Mopsuestia e la loro diabolica adunanza; ma invece per composizione e cioè secondo l’ipostasi, senza mutamenti, senza confusione, senza divisione e senza separazione. E confessiamo una sola ipostasi dell’incarnato Figlio di Dio in due nature che sono perfette, dicendo la medesima ipostasi della sua divinità e della sua umanità e proclamando che le due nature sono conservate in lui dopo l’unione: non ponendole ciascuna per sé e a parte, ma unite fra loro in una sola ipostasi composta. Infatti diciamo essenziale l’unione, e cioè vera e non per apparenza; e inoltre «essenziale» non come se le due nature compissero una sola natura composta, ma perché esse sono unite veramente tra di loro nell’unica ipostasi composta del Figlio di Dio. E anche definiamo che
la loro differenza essenziale è conservata integra: infatti ciò che era stato creato rimase creato e l’increato rimase increato, il mortale rimase mortale e l’immortale rimase immortale, il circoscritto rimase circoscritto e l’incircoscritto rimase incircoscritto, il visibile rimase visibile e l’invisibile rimase invisibile: «l’uno risplende con i miracoli, l’altro soccombe alle violenze». Il Verbo si appropria le cose umane (infatti è suo tutto ciò che è della sua santa carne) e partecipa alla carne ciò che è suo proprio, secondo il principio dello scambio – attraverso la compenetrazione delle parti fra di loro e attraverso l’unione secondo l’ipostasi – e proprio perché era uno e il medesimo Colui che «operava» le cose divine e le cose umane «in ciascuna forma secondo la comunanza reciproca». Perciò anche il Signore della gloria è detto essere stato crocifisso, benché la sua natura non soffrisse, e il Figlio dell’uomo è confessato essere nel cielo prima della passione, come disse proprio il Signore. Infatti era uno e il medesimo il Signore della gloria e colui che per natura e realmente nacque «Figlio dell’uomo», e cioè uomo: e noi riconosciamo i miracoli e le sofferenze, anche se secondo un operava miracoli e secondo l’altro egli il medesimo sottostava alle sofferenze. Infatti sappiamo che, come una sola è la sua ipostasi, d’altra parte è anche conservata integra la differenza essenziale delle nature. E come si conserverebbe integra la differenza, se non si conservassero integre le cose che hanno la differenza fra loro? Infatti la differenza è
differenza di cose che differiscono. E quindi seguendo il principio essenziale per il quale le nature del Cristo differiscono fra loro – e cioè il principio relativo alla sostanza – noi diciamo che egli partecipa con gli estremi: secondo la divinità, con il Padre e con lo Spirito; secondo l’umanità con la madre e con tutti gli uomini: giacché il medesimo è consustanziale secondo la divinità con il Padre e con lo Spirito, e secondo l’umanità con la madre e con tutti gli uomini. Ma d’altra parte, seguendo il principio per il quale le sue nature si uniscono noi diciamo che egli differisce sia dal Padre e dallo Spirito, sia dalla madre e dagli altri uomini: infatti le sue nature si uniscono per l’ipostasi, avendo esse un’unica ipostasi composta, secondo la quale egli differisce sia dal Padre e dallo Spirito sia dalla madre e da noi.

San Giovanni Damasceno, la Fede Ortodossa, Libro III, cap. I-II-III




San Paisio Velichkovsky: il digiuno

Quella del Natale è l’altra lunga quaresima cui la Santa Madre Chiesa invita i suoi figli. Un periodo di preparazione, di distacco dalle cose del mondo, di conversione per l’accoglienza del Teantropo. Mai come oggi, nella nostra società secolarizzata, dove interessa solo il godimento individuale e l’appagamento egocentrico, è necessario fare esperienza della nostra finitezza per comprendere che c’è altro oltre noi stessi e dentro di noi. Da sempre la spiritualità ortodossa si basa sull’entrare in sé stessi, placare i tumulti della mente per purificare il nous e pacificare il cuore. La preghiera ed il digiuno sono certamente i mezzi, mai i fini, per diradare la nebbia e raffinare la mente per permettere l’ingresso della luce divina. Come in un lago increspato dal vento, come in una pozzanghera fangosa non è possibile vedere in trasparenza il fondo, così non è possibile ‘incontrare’ il nostro Dio unitrino se non spazzando via i nostri pensieri di vanagloria e le nostre pulsioni mondane. Preparandoci alla nascita storica del Signore nostro Gesù Cristo in un ameno rifugio in Betlemme, ci prepariamo ad accoglierlo nei nostri cuori purificati. Di seguito il lettore troverà uno scritto del Santo Paisio Velichkovsky che descrive il corretto modo di digiunare in questo tempo quaresimale secondo i Santi Padri.

di San Paisio Velichkovsky (1722-1794)

“Chiamo digiuno il mangiare un po’ una volta al giorno. Alzarsi da tavola quando si è ancora affamati, prendere il cibo, il pane, il sale e l’acqua da bere, che le sorgenti stesse producono. Ecco il modo regale di ricevere il cibo; in effetti molti sono stati salvati per questo cammino, così ci hanno detto i Santi Padri. Astenersi dal cibo per un giorno, o due giorni, tre, quattro, cinque o una settimana, un uomo non può farlo sempre. Ma siccome ogni giorno si mangia pane e si beve, si può sempre fare così; solo che, dopo aver mangiato, si deve avere un po’ di fame affinché il corpo sia sottomesso allo spirito per capace di fatiche e sensibile ai movimenti mentali, e così che le passioni corporee siano vinte. Il digiuno completo non può mortificare le passioni corporee così come il cibo povero le mortifica. Alcuni digiunano per un po’ e poi si dedicano a cibi deliziosi, perché molti cominciano a digiunare oltre le loro forze e anche altri che fanno lavori pesanti e poi si indeboliscono per la mancanza di misura e l’irregolarità di questo lavoro e quindi cercano cibi gustosi e riposo per il rafforzamento del corpo. Agire così significa costruire e poi ancora distruggere, poiché il corpo per la magrezza dovuta al digiuno brama i dolci e cerca consolazione e i cibi dolci accendono le passioni. Ma se qualcuno si stabilisce una misura precisa di quanto cibo mangiare in un giorno, ne trarrà un grande profitto. Tuttavia, per quanto riguarda la quantità del cibo, bisogna stabilire come regola che sia tanto quanto è necessario per rafforzarsi. Una persona del genere può compiere ogni tipo di lavoro spirituale. Ma se qualcuno digiuna oltre questo limite, in un altro momento si consegnerà al riposo. Il lavoro ascetico secondo misura non ha prezzo. Infatti anche alcuni dei grandi Padri prendevano il cibo con misura e ogni cosa usavano a suo tempo, avendo in tutto misura: fatiche ascetiche, bisogni corporali, possedimenti in cella: tutto secondo una regola determinata e moderata. Pertanto i Santi Padri non comandano di cominciare a digiunare al di sopra delle proprie possibilità e di indebolirsi. Prendi come regola il mangiare tutti i giorni; quindi ci si può astenere in modo più deciso, ma se si digiuna più di così, come si potrà poi astenersi dal mangiare a sazietà e dal mangiare troppo? In nessun modo si potrà farlo. Un inizio così smisurato deriva o dalla vanagloria o da mancanza di comprensione, mentre la continenza è una delle virtù, che aiuta a sottomettere la carne. La fame e la sete sono date all’uomo per la purificazione del corpo, dalla preservazione dai pensieri impuri e dalle passioni lussuriose. Mangiare poco ogni giorno è un mezzo per raggiungere la perfezione, come hanno detto alcuni, e chi mangia ogni giorno ad un’ora determinata non si abbassa in alcun modo moralmente né subisce alcun danno all’anima. San Teodoro Studita loda queste persone nella sua istruzione del venerdì della prima settimana del Grande Digiuno, dove a conferma delle sue parole cita i santi Padri teofori e il Signore stesso. Così dobbiamo agire anche noi.

Il Signore sopportò un lungo digiuno, come fecero Mosè ed Elia, ma solo una volta. E alcuni altri talvolta, supplicando qualcosa al Creatore, si imponevano un certo tempo di digiuno, ma secondo le leggi naturali e l’insegnamento della Divina Scrittura. Dall’attività dei Santi, dalla vita del nostro Salvatore, e dalle regole di coloro che hanno vissuto nel buon ordine, risulta evidente che è splendido e proficuo essere sempre pronti e trovarsi nel lavoro ascetico, nel lavoro e nella resistenza; non indebolirsi però con digiuni smodati e non portare il corpo in uno stato di inattività. Se la carne è infiammata per la giovinezza, bisogna astenersi molto; ma se uno è infermo, bisogna prenderne molto o poco a secondo dalla sua condizione. Guarda e giudica in base alla tua infermità quanto puoi fare. Per ognuno c’è una misura e il maestro interiore è la coscienza; non tutti possono avere la stessa regola e la stessa fatica ascetica, perché alcuni sono forti e altri sono deboli. Alcuni sono come il ferro, altri come il rame, altri ancora come la cera. E così, trovando correttamente la propria misura, prendete il cibo una volta al giorno, esclusi il sabato, la domenica e le grandi feste del Signore. Un digiuno moderato e sensato è il fondamento e il capo di tutte le virtù. Si dovrebbe combattere il male come si combatte un leone e un serpente feroce, nell’infermità del corpo e nella povertà spirituale. Chi desidera che la sua mente sia salda contro i pensieri contaminanti dovrebbe affinare il suo corpo attraverso il digiuno.

Non è possibile, senza il digiuno, servire come sacerdote. Come è indispensabile respirare, lo è anche digiunare. Il digiuno, una volta entrato nell’anima, uccide nel profondo il peccato che vi risiede.

Dalla Piccola Filocalia Russa, vol. IV: San Paisius Velichkovsky, St. Herman Press, Platina,1994, p. 74-75.


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Cirillo di Gerusalemme: Il Padre nostro

Recitando poi la preghiera che il Salvatore lasciò ai suoi discepoli, diamo con pura coscienza a Dio il nome di Padre, dicendo: «Padre nostro che sei nei cieli».

O somma misericordia di Dio! A tal punto accorda perdono totale e comunione di grazia da farsi chiamare padre da chi l’ha abbandonato commettendo i più gravi peccati: nell’espressione «Padre che sei nei cieli», per cieli possiamo intendere anche gli uomini che portano in sé l’immagine dell’uomo celeste, in cui egli abita e con cui cammina.

Preghiamo: «Sia santificato il tuo nome». Il nome di Dio è per natura santo, sia che lo diciamo sia che non lo diciamo; poiché però tra i peccatori c’è chi talora lo profana, secondo il detto biblico: «Per causa vostra il mio nome è bestemmiato tra le genti», noi domandiamo che sia santificato il nome di Dio. Preghiamo così non già perché esso non sia santo o possa passare dal non essere santo ad essere santo, ma perché diventi santo in noi, che ci santifichiamo con opere degne della sua santità.

Venga il tuo regno! È dell’anima pura pregare con tutta libertà: «Venga il tuo regno». Può così pregare chi, avendo compreso le parole di Paolo: «Che il peccato non regni nel vostro corpo mortale», si sia conservato puro nelle opere, nei pensieri e nelle parole.

Preghiamo poi: «Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra». Fare la volontà di Dio è proprio dei divini e santi angeli di Dio, secondo dice Davide nel salmo che canta: «Benedite il Signore, voi tutti suoi angeli, potenti esecutori dei suoi comandi». Prega quindi con la stessa intensità, dicendo: «Come tra gli angeli si compie la tua volontà, Signore, così anche sulla terra essa sia fatta in me».

Dicendo: «Dacci oggi il nostro pane soprasostanziale», chiediamo non il pane che comunemente impastiamo, ma quello santo, soprasostanziale in quanto ordinato a sostentare la sostanza dell’anima. Esso non va a finire nel ventre per esserne poi espulso, ma va ad alimentare ogni tua struttura, dell’anima e del corpo, per l’oggi di cui parla Paolo che dà all’espressione «quotidiano» il senso di una durata «fino al tempo in cui dura quest’oggi»

Aggiungiamo: «E rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori». Commettiamo infatti tante colpe, in parole, in pensieri e in tante opere meritevoli di condanna; come dice Giovanni, «se diciamo di non aver peccato, mentiamo»! Pregando Dio che perdoni a noi come anche noi rimettiamo i debiti del prossimo, noi col Signore facciamo un patto di mutuo perdono, vantaggioso per noi. Commisurando l’utile che ne ricaviamo con quello che diamo in cambio, non c’è da esitare o tergiversare; perché le offese degli altri nei nostri riguardi sono ben poca cosa, leggere e veniali, rispetto alle colpe gravi da noi commesse contro Dio, imperdonabili se non intervenisse la sua misericordia. Bada dunque a te! Per avere ricevuto delle offese piccole e leggere, non chiudere la porta al perdono di Dio per i tuoi gravissimi peccati.

Quando poi il Signore ci insegna a pregare: «E non c’indurre in tentazione», vuole forse dirci di pregare perché non siamo mai tentati? Come mai allora altrove ha potuto dire: «Chi non ha avuto delle prove, poco conosce», e di nuovo: «Considerate, fratelli, perfetta letizia quando subite ogni sorta di prove»? Ma entrare in tentazione vuol dire forse esserne sommersi? No, la tentazione è come un torrente che è difficile attraversare: gli uni, lungi dal venirne sommersi, diventano attraversandolo, valenti nuotatori – quelli che non si fanno trascinare dalle tentazioni –; gli altri si comportano in maniera opposta, e appena entrati ne sono sommersi. Così per esempio Giuda, entrato in tentazione d’avarizia, non seppe nuotare e ne rimase sommerso, affogando materialmente e spiritualmente; Pietro invece, entrato in tentazione di rinnegamento, non se ne fece sommergere appena entrato, ma riuscì con coraggio a nuotare e a vincere la prova. Ascolta ancora un altro passo, dove il coro dei santi vittoriosi ringrazia Dio di essere scampato alla tentazione: «Dio, tu ci hai messo alla prova e ci hai passati al crogiuolo come l’argento; ci hai fatto cadere in un agguato e hai messo un peso ai nostri fianchi facendo cavalcare uomini sulle nostre teste; ci hai fatto passare per il fuoco e per l’acqua, ma poi ci hai sospinto verso il refrigerio». Vedi con quanta fiducia parlano, dal momento che hanno potuto subire i marosi della tentazione senza rimanerne sommersi? Dicono: «Tu ci hai sospinto verso il refrigerio». Giungere al luogo del refrigerio vuol dire essere stati liberati dalla tentazione.

Se l’espressione «non c’indurre in tentazione» fosse da intendere come preghiera di non essere tentati, Gesù non l’avrebbe concluso dicendo: «Ma liberaci dal maligno». L’avversario da cui preghiamo d’essere liberati è il maligno, il demonio. L’amen finale che chiude come con un sigillo l’orazione, vuol dire: «Si compia tutto quello che il Signore ci ha insegnato a chiedere in questa orazione».




LA SINODALITA’ NELLA CHIESA APOSTOLICA

Partendo dalle parole scritte dal Santo Cirillo, Vescovo di Gerusalemme, nella sua diciassettesima catechesi rivolta ai catecumeni. vediamo come egli descriva il ruolo di Pietro, degli Apostoli e del Santo Spirito nella risoluzione di problemi dogmatici e di ortoprassi.

Nel paragrafo 27 della 17^ Catechesi, così San Cirillo definisce l’Apostolo Pietro: “In virtù del medesimo Spirito Santo operò anche Pietro, posto a capo degli apostoli e a custodia delle chiavi del regno dei cieli”.

E’ dunque proprio di ogni sana teologia ortodossa considerare l’uomo Cefa come l’Apostolo Pietro, il primo e a capo degli Apostoli, detentore delle chiavi del Regno dei Cieli. Diversa è l’operazione postuma per cui lo stesso Pietro è divenuto con il tempo capostipite dei soli Vescovi che risiederanno in Roma, Capitale dell’Impero. Questa primazia apostolica – e sappiamo cosa Gesù insegna su chi vuole essere primo nella Chiesa – venne trasformata in primazia di comando: l’infallibilità propria del Santo Spirito fu trasferita all’Apostolo e quindi ai suoi successori. Vediamo.

Pietro, come sappiamo, aprì la porta della predicazione ai pagani, fatto inconsueto per persone di stirpe ebraica. Lo stesso Apostolo ebbe molte difficoltà umane per comprendere e accettare questa apertura tanto che il Signore dovette anticiparla con la nota visione della tovaglia piena di animali impuri che comandò di mangiare e lo stesso San Paolo dovette in merito redarguirlo nella storica diatriba. Per questo motivo il Signore dovette dire a Pietro, a modo di catechesi di preparazione all’incontro con il pagano Cornelio: “Non considerare impuro ciò che Dio ha purificato” (At 10,15) e dovette anche anticipare la discesa del Santo Spirito, prima ancora che quelle persone fossero battezzate.

«Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso; e i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, davano in esclamazioni meravigliati e stupiti che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo». (At 10,44)

Proprio per questa difficoltà tutta giudaica:

“Gli apostoli e i fratelli che si trovavano nella Giudea vennero a sapere che anche gli stranieri avevano ricevuto la Parola di Dio. E quando Pietro salì a Gerusalemme, i credenti circoncisi lo contestavano, dicendo: «Tu sei entrato in casa di uomini non circoncisi e hai mangiato con loro!» (At 11,1-3).

Vediamo, quindi, come il capo infallibile della Chiesa nascente venga contestato addirittura da semplici credenti di stirpe ebraica. Ma continuiamo il racconto. L’apertura della predicazione ai pagani fece molti proseliti nella città di Antiochia.

“Vedendo abbondante ad Antiochia la massa di credenti in Cristo, [Barnaba] vi fece venire Paolo di Tarso perché gli desse una mano nella comune battaglia. E quando essi ebbero istruite e aggregate in comunità le masse dei discepoli, avvenne il fatto che «ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani». Era un nome nuovo benché preannunziato dal Signore; perciò credo ci sia stato l’intervento dello Spirito Santo”. (dalla Catechesi 17^)

A lungo il problema della predicazione e del battesimo dei pagani tenne banco nella Chiesa nascente. Infatti creava disagio ai credenti ebrei il fatto che i pagani non fossero soggetti alle pratiche antiche della religione giudaica. Così spiega questa diatriba il Vescovo di Gerusalemme Cirillo:

“Il medesimo Spirito Santo, che ha stabilito in accordo col Padre e col Figlio una nuova alleanza con la Chiesa cattolica, ci ha anche resi liberi dai pesi insopportabili della Legge, dico da quelli che riguardavano l’astensione dagli alimenti profani e impuri, le prescrizioni dei sabati, dei noviluni, della circoncisione, delle aspersioni e dei sacrifici. Erano prescrizioni valevoli un tempo, che adombravano i beni futuri; ma giustamente soppresse, una volta subentrata all’ombra la verità. Essendo stata tale questione agitata ad Antiochia da quelli che dicevano necessarie la circoncisione e le costumanze mosaiche, furono mandati a dirimerla Paolo e Barnaba. Ma furono gli apostoli della nostra Gerusalemme che mandando una loro lettera liberarono tutto il mondo da ogni osservanza legale e tipologica”.

Nata le questione intorno alla legge mosaica e alle sue prescrizioni, risultava urgente trovare una soluzione condivisa. In questo frangente non ci si appellò direttamente a San Pietro che prima è stato qualificato dallo stesso Cirillo come “capo degli apostoli e custode delle chiavi del Regno dei Cieli”. Si rese urgente un incontro nella comunità Madre di Gerusalemme.

“Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli questa dottrina: «Se non vi fate circoncidere secondo l’uso di Mosè, non potete esser salvi». Poiché Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro andassero a Gerusalemme dagli Apostoli e dagli Anziani per tale questione. […] Giunti poi a Gerusalemme, furono ricevuti dalla Chiesa, dagli Apostoli e dagli Anziani e riferirono tutto ciò che Dio aveva compiuto per mezzo loro”. (At 15,1)

Alla fine dell’assemblea in quel di Gerusalemme, lo stesso Cirillo dice che furono gli Apostoli, sempre collegialmente, ad inviare una lettera per risolvere lo scontro, ma vendiamo a chi intesta la decisione di questo primo concilio:

“e non se ne arrogarono per altro essi [gli Apostoli] l’autorità, ma proclamarono con uno scritto inviato per lettera: «Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenervi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia». Così dichiararono senza ambiguità che, seppure le parole erano state scritte da uomini del livello degli apostoli, la prescrizione era data al mondo dallo Spirito Santo. In questo senso la intesero Barnaba e Paolo con tutta la comunità, e in tal senso fu convalidata dall’uso di tutta la terra”. (dalla Catechesi 17^)

Per altro, queste uniche prescrizione imposte ai credenti provenienti dal paganesimo erano state suggerite durante l’assemblea da Giacomo, l’allora Vescovo della Chiesa Madre di Gerusalemme:

“Quand’essi ebbero finito di parlare, Giacomo aggiunse: «Fratelli, ascoltatemi. Simone ha riferito come fin da principio Dio ha voluto scegliere tra i pagani un popolo per consacrarlo al suo nome. Con questo si accordano le parole dei profeti, come sta scritto:

Dopo queste cose ritornerò e riedificherò la tenda di Davide che era caduta; ne riparerò le rovine e la rialzerò, perché anche gli altri uomini cerchino il Signore e tutte le genti sulle quali è stato invocato il mio nome, dice il Signore che fa queste cose da lui conosciute dall’eternità.

Per questo io ritengo che non si debba importunare quelli che si convertono a Dio tra i pagani, ma solo si ordini loro di astenersi dalle sozzure degli idoli, dalla impudicizia, dagli animali soffocati e dal sangue. Mosè infatti, fin dai tempi antichi, ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe». (At 15,13-21)

Così si risolse la diatriba intorno alla conversione dei pagani, “lo Spirito Santo”, prima “e noi” anche e mai viceversa. Gesù Cristo è a Capo della Chiesa e la governa per il tramite del Santo Spirito. In epoche razionalistiche ed intellettualistiche come la nostra, questa realtà è troppo dura da digerire, all’esterno ma anche all’interno della Chiesa Universale.




IL “TU SEI PIETRO” NELL’ESEGESI PATRISTICA

La tradizione esegetica patristica è unanime sul significato della “pietra”. L’infallibilità della Chiesa non si fonda su una persona umana ma sulla fede che Dio stesso rivela e che va oltre “la carne ed il sangue”. L’infallibilità non risiede in un qualcosa o in un qualcuno che sia magico ma nella disponibilità dei santi ad accogliere la vera fede, rivelata una volta per sempre da Dio. La Chiesa esisterà fino a quando anche un piccolo resto sarà in grado di accogliere questa rivelazione divina. Come si accorderebbe una supposta infallibilità del “Vicario di Cristo” con il detto evangelico: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8). Per di più un uomo che fosse “infallibile” dovrebbe essere sprovvisto di libero arbitrio perché di fatto non sarebbe libero, non potendo fallire, ogni qual volta proclamasse una verità di fede o di morale “ex Cathedra”. I confini di questo ex Cathedra, poi, evolvono e si modificano ogni qual volta si prende in esame una promulgazione papale problematica. Inutile ricorrere ai tanti errori anche gravi in cui tutti i Patriarchi, quello di Roma incluso, sono incorsi anche nello scritto e nella predicazione intorno alla vera fede.

A titolo di esempio, nel decreto dogmatico della XVIII sessione del terzo Concilio Ecumenico di Costantinopoli, si afferma che:

«poiché non restò inattivo colui che fin dall’inizio fu l’inventore della malizia e che, servendosi del serpente, introdusse la velenosa morte nella natura umana, così anche ora, trovati gli strumenti adatti alla propria volontà: alludiamo a Teodoro, che fu vescovo di Faran; a Sergio, Pirro, Paolo, Pietro, che furono presuli di questa imperiale città; ed anche a Onorio, che fu papa dell’antica Roma; (…); trovati, dunque, gli strumenti adatti, non cessò, attraverso questi, di suscitare nel corpo della chiesa gli scandali dell’errore; e con espressioni mai udite disseminò in mezzo al popolo fedele la eresia di una sola volontà e di una sola operazione in due nature di una (persona) della santa Trinità, del Cristo, nostro vero Dio, in armonia con la folle dottrina falsa degli empi Apollinare, Severo e Temistio» (Mansi, XI, coll. 636-637)

«Con essi riteniamo di bandire dalla santa Chiesa di Dio e di anatemizzare anche Onorio, già Papa dell’antica Roma, perché abbiamo trovato nella sua lettera a Sergio che egli ha seguito in tutto la sua opinione e che ha ratificato i suoi empi insegnamenti» (Mansi, XI, col. 556).

Il 9 agosto 681, alla fine della XVI sessione del medesimo Concilio Ecumenico, vennero rinnovati gli anatemi contro tutti gli eretici e i fautori dell’eresia, compreso Onorio: «Sergio haeretico anathema, Cyro haeretico anathema, Honorio haeretico anathema, Pyrro, haeretico anathema» (Mansi, XI, col. 622).

Le copie autentiche degli atti del Concilio, sottoscritte da 174 Padri e dall’Imperatore, furono inviate alle cinque sedi patriarcali, con particolare riguardo per quella di Roma. Ma poiché sant’Agatone morì il 10 gennaio 681, gli atti del Concilio, dopo più di 19 mesi di sede vacante, furono ratificati dal suo successore San Leone II (682-683). Nella lettera inviata il 7 maggio 683 all’imperatore Costantino IV, il Papa scriveva:

«anatemizziamo gli inventori del nuovo errore, vale a dire Teodoro di Faran, Ciro d’Alessandria, Sergio, Pirro, Paolo e Pietro della Chiesa di Costantinopoli, e anche Onorio, che non si sforzò di mantenere pura questa Chiesa apostolica nella dottrina della tradizione apostolica, ma ha permesso con un esecrabile tradimento, che questa Chiesa intemerata fosse macchiata» (Mansi, XI, col. 733)

Per sfuggire a questo dato di fatto e proclamare il dogma dell’infallibilità papale c’è stato bisogno di inserire tanti se e tanti ma, tante formule e distinguo che di fatto rendono nullo questo “dono” se permane il dubbio della possibilità che un Papa possa essere eretico o sbagliare qualche volta nell’esercizio del suo ministero. Quale certezza può avere il fedele sulle dichiarazioni papali? Sono state fatte ex Cathedra o no? Chi lo stabilisce?

Di fatto, la storia della Chiesa ci insegna che a salvare l’ortodossia siano stati nel tempo diversi Vescovi, diversi Patriarchi e addirittura singoli fedeli: pensiamo a San Massimo il Confessore.

Fatto questo preambolo pubblichiamo il testo esegetico del brano “petrino” del vangelo di Matteo che ha come autore San Cirillo di Gerusalemme e contenuto nelle sue Catechesi:

“Mentre essi erano raccolti attorno a lui, l’Unigenito di Dio li interrogò: «Chi dicono sia il Figlio dell’uomo?». Non fece la domanda per vanagloria, ma per mettere in chiaro la verità, perché essi che pur erano a contatto con la sua divinità non lo sottovalutassero come puro e semplice figlio dell’uomo.

Siccome i discepoli avevano dato per risposta «alcuni Elia e altri Geremia», egli intese dire: «Quanti mi dicono un semplice uomo sono scusabili perché non mi hanno conosciuto; ma voi, apostoli, che nel mio nome avete mondato i lebbrosi, scacciato i demoni, risuscitato morti, non dovreste ignorare in nome di chi potete compiere tali miracoli». Di fronte a una verità superiore alle umane capacità, tutti allora ammutolirono, eccetto il primo araldo della Chiesa, Pietro, la cui fede attingeva non a personale ricerca né ad umano ragionamento, ma al Padre che illumina le menti. Gli rispose non soltanto:

«Tu sei il Cristo», ma aggiunse: «Tu sei il Figlio del Dio vivente». Parole davvero al di sopra delle umane capacità! Perciò il Salvatore lo disse beato e con questo macarisma pose un sigillo alle parole di verità rivelategli dal Padre: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli». Di questa beatitudine dunque partecipa chi riconosce che nostro Signore Gesù Cristo è Figlio di Dio. Chi invece ne nega la filiazione divina è un povero disgraziato”.

Lo stesso sentire ebbero anche i Padri Occidentali:

S. Ambrogio vescovo di Milano († 397) nel “De incarnationis dominicae sacramento” , IV, 32, afferma: «Pietro… ottenne un primato, ma un primato di confessione e non d’onore, un primato di fede e non di ordine»

S. Agostino († 430) nel Sermone 76 – vedere anche Ser. 124 del trattato su Giovanni – scrive: «Il salvatore dice: tu sei Pietro e su questa pietra che tu hai confessata, su questa Pietra che tu hai riconosciuta esclamando tu sei il Cristo, il figlio dell’Iddio vivente, io edificherò la mia Chiesa, vale a dire su me stesso, che sono il figlio dell’Iddio vivente»

Infine Origene († 253) che scrisse nel suo Commento a Matteo: «Se tu immagini che solo su Pietro sia stata fondata la Chiesa che cosa potresti dire di Giovanni, il figlio del tuono, o di qualsiasi altro apostolo? E prosegue affermando che chiunque fa sua la confessione di Pietro, può – come lui – essere chiamato Pietro»

Questa è la verità della fede che purtroppo spesso viene barattata per scopi politici o di convenienza, in Occidente come in Oriente. Una vera riappacificazione tra la vera Chiesa Ortodossa e le altre “Chiese” non può che avvenire nella Verità che è il Signore Gesù Cristo nella sua rivelazione.

Anche storicamente lo scisma del Papa del 1054 vide da una parte della barricata l’interpretazione del suo proprio ministero del Vescovo di Roma, dall’altra parte quella degli altri quattro Patriarcati storici che non gli attribuivano, seguendo i canoni dei Concili Ecumenici, che una preminenza onorifica e non giurisdizionale e neanche dogmatica. Un Patriarca da una parte e quattro patriarchi solidali dall’altra. Valutare quindi che lo scisma sia stato operato dai quattro e non dall’uno in solitudine è storicamente abbastanza arduo non solo pensarlo ma anche sostenerlo e provarlo.




Sant’Ignazio Brianchaninov: Sulla lettura dei Santi Padri

Del Vescovo Ignazio Brianchaninov



Originale russo nell’opera omnia del santo: http://xn--80abexxbbim5e6d.xn--p1ai/tom1/6.shtml


Sulla lettura dei Santi Padri

La conversazione e la compagnia dei vicini hanno un grande effetto su una persona. Una conversazione e una conoscenza con uno scienziato rivelano molte informazioni, con un poeta – molti pensieri e sentimenti sublimi, con un viaggiatore – molta conoscenza dei paesi, della morale e dei costumi delle persone. È ovvio: il dialogo e la conoscenza con i santi comunicano santità. “Col santo sarai santo, e con l’uomo innocente sarai innocente, e con l’eletto sarai eletto” (Salmo 17,25–26) .

D’ora in poi, durante la tua breve vita terrena, che la Scrittura non chiama nemmeno vita, ma cammino, conosci i santi. Vuoi appartenere alla loro società in paradiso, vuoi essere partecipe della loro beatitudine? D’ora in poi entra in comunione con loro. Quando lascerai il tempio del corpo, ti accetteranno come loro conoscente, come loro amico (Lc 16,9).

Non esiste conoscenza più stretta, connessione più stretta della connessione mediante unità di pensieri, unità di sentimenti, unità di intenti (1 Cor 1,10).

Se c’è unanimità di mente, c’è anche unanimità di cuore, c’è sempre un unico obiettivo, lo stesso successo nel raggiungere la meta.

Imparate il pensiero e lo spirito dei Santi Padri leggendo i loro scritti. I Santi Padri hanno raggiunto il loro obiettivo: la salvezza. E voi raggiungerete questa meta per il corso naturale delle cose. Avendo una mentalità unica e unanime con i Santi Padri, sarete salvati.

Il Cielo ha accolto i Santi Padri nel suo seno benedetto. Con ciò testimoniò che i pensieri, i sentimenti e le azioni dei Santi Padri gli piacevano. I Santi Padri hanno espresso nei loro scritti il ​​loro pensiero, il loro cuore, il loro modo di agire. Quindi: quale guida fedele al cielo, testimoniata dal cielo stesso, sono gli scritti dei Padri?

Gli scritti dei Santi Padri furono tutti compilati sotto l’ispirazione o l’influenza dello Spirito Santo. Meravigliosa armonia in loro, meravigliosa unzione! Chi si lascia guidare da essi è, senza alcun dubbio, guidato dal Santo Spirito.

Tutte le acque della terra confluiscono nell’oceano e, forse, l’oceano funge da inizio per tutte le acque della terra. Le Opere dei Padri sono tutte unite nel Vangelo; tutte sono propense ad insegnarci l’esatto adempimento dei comandamenti di nostro Signore Gesù Cristo; di tutte, sia la fonte che il fine è il santo Vangelo.

I Santi Padri insegnano come avvicinarsi al Vangelo, come leggerlo, come comprenderlo correttamente, cosa aiuta e cosa ostacola la sua comprensione. E quindi, prima, trascorri più tempo a leggere i Santi Padri. Quando ti insegnano a leggere il Vangelo, allora leggi innanzitutto il Vangelo.

Non ritenere sufficiente per te la sola lettura del Vangelo, senza leggere i Santi Padri! Questo è un pensiero orgoglioso e pericoloso. È meglio lasciare che i Santi Padri vi conducano al Vangelo, come un loro amato figlio, che ha ricevuto una prima educazione ed istruzione attraverso i loro scritti.

Molti, tutti coloro che follemente e con arroganza rifiutarono i Santi Padri, che si avvicinarono direttamente al Vangelo, con cieca audacia, con mente e cuore impuri, caddero in un errore disastroso. Il Vangelo li ha respinti: ammette solo gli umili.

Leggere le opere dei Padri è generatore e re di tutte le virtù. Dalla lettura delle opere dei Padri apprendiamo la vera comprensione delle Sacre Scritture, la retta fede, il vivere secondo i comandamenti del Vangelo, il rispetto profondo che si deve avere per i comandamenti del Vangelo, in una parola, la salvezza e la perfezione.

La lettura degli scritti patristici, in deroga ai maestri spirituali, divenne la guida principale per coloro che desideravano salvarsi e addirittura raggiungere la perfezione cristiana.[1]

I libri dei Santi Padri, come disse uno di loro, sono come uno specchio: guardandoli attentamente e spesso, l’anima può vedere tutti i suoi difetti.

Ancora una volta, questi libri sono come una ricca raccolta di rimedi medici: in essa l’anima può trovare medicine salvifiche per ciascuno dei suoi disturbi.

Sant’Epifanio di Cipro diceva: “Uno sguardo ai libri sacri eccita alla vita pia”.[2]

La lettura dei Santi Padri deve essere approfondita, attenta e costante: il nostro nemico invisibile, “odiando la voce di affermazione” (Proverbi 11,15), odia soprattutto quando questa voce proviene dai Santi Padri. Questa voce smaschera le macchinazioni del nostro nemico, i suoi inganni, rivela le sue reti, il suo modo di agire: e perciò il nemico si arma contro la lettura dei Padri con vari pensieri orgogliosi e blasfemi, cerca di immergere l’asceta in vane preoccupazioni per distrarlo dalla lettura salvifica, lo combatte con lo sconforto e la noia, l’oblio. Da questa battaglia contro la lettura dei Santi Padri dobbiamo concludere quanto sia per noi salvifica l’arma, tanto odiata dal nemico. Il nemico è molto preoccupato di strapparcela dalle mani.

Ognuno sceglie la lettura dei Padri più adatta al proprio stile di vita. L’eremita legga i Padri che hanno scritto sul silenzio; un monaco che vive in un cenobio, i Padri che hanno scritto istruzioni per i cenobi monastici; un cristiano che vive in mezzo al mondo i Santi Padri che hanno pronunciato i loro insegnamenti per tutto il cristianesimo in generale. Tutti, qualunque sia il loro rango, traggano abbondanti insegnamenti dagli scritti dei Padri.

È indispensabile leggere secondo il proprio stile di vita. Altrimenti sarete pieni di pensieri, anche se santi, ma non realizzati dall’azione stessa, suscitando un’attività infruttuosa solo nell’immaginazione e nel desiderio; le opere di pietà non proprie del vostro stile di vita vi sfuggiranno dalle mani. Non solo diventerete dei sognatori infruttuosi, ma i vostri pensieri, essendo in costante contraddizione con il circolo delle azioni, daranno certamente origine a confusione nel vostro cuore e incertezza nel vostro comportamento, che sono pesanti e dannosi per voi e per i vostri vicini. Se non leggete correttamente le Sacre Scritture e i Santi Padri, potete facilmente allontanarvi dalla via della salvezza in un deserto impervio e in profondi abissi, come è successo a molti. Amen.


NOTE:

[1] P. Neil Sorsky. Regole.

[2] Patericon alfabetico