Abba Daniele diceva di lui: “Non volle mai rispondere a una domanda sulle Scritture, anche se avrebbe potuto farlo se avesse voluto, così come non scrisse mai prontamente una lettera. Quando di tanto in tanto veniva in chiesa, si sedeva dietro un pilastro, in modo che nessuno lo vedesse in faccia e che lui stesso non notasse gli altri. Il suo aspetto era angelico, come quello di Giacobbe. Il suo corpo era aggraziato e snello; la sua lunga barba gli arrivava fino alla vita. A causa di molte lacrime, le sue ciglia erano cadute. Alto di statura, era curvo per la vecchiaia. Aveva novantacinque anni quando morì. Per quarant’anni fu impiegato nel palazzo di Teodosio il Grande di divina memoria, che era il padre dei divini Arcadio e Onorio; poi visse quarant’anni a Scete, dieci anni a Troe’ sopra Babilonia, di fronte a Memphis e tre anni a Canopo di Alessandria. Gli ultimi due anni tornò a Troe’ dove morì, terminando la sua corsa in pace e nel timore di Dio. Era un uomo buono, “pieno di Spirito Santo e di fede”. (At 11,24) Mi ha lasciato la sua tunica di cuoio, un cilicio di pelo bianco e i suoi sandali di foglie di palma. Sebbene non ne sia degno, li indosso per ottenere la sua benedizione”.
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1. Mentre viveva ancora nel palazzo, Abba Arsenio pregò Dio con queste parole: “Signore, guidami sulla via della salvezza”. E una voce gli disse: “Arsenio, fuggi dagli uomini e sarai salvato”.
2. Dopo essersi ritirato nella vita solitaria, fece di nuovo la stessa preghiera e udì una voce che gli diceva: “Arsenio, fuggi, taci, mantieni l’esichia, perché queste sono le sorgenti dell’assenza di peccato”.
3. Accadde che, mentre Abba Arsenio era seduto nella sua cella, fu assalito dai demoni. I suoi servi, al loro ritorno, stavano fuori dalla sua cella e lo sentirono pregare Dio con queste parole: “O Dio, non abbandonarmi! Non ho fatto nulla di buono al tuo cospetto, ma secondo la tua bontà, fammi iniziare”.
4. Si diceva di lui che, come nessuno a corte aveva indossato abiti più splendidi dei suoi quando vi abitava, così nessuno nella Chiesa indossava abiti così poveri.
5. Qualcuno disse al beato Arsenio: “Come mai noi, con tutta la nostra istruzione e la nostra vasta conoscenza, non arriviamo da nessuna parte, mentre questi contadini egiziani acquisiscono tante virtù?”. Abba Arsenio gli rispose: “Noi non otteniamo nulla dalla nostra istruzione secolare, ma questi contadini egiziani acquisiscono le virtù con il duro lavoro”.
6. Un giorno Abba Arsenio consultò un vecchio monaco egiziano sui propri pensieri. Qualcuno se ne accorse e gli disse: “Abba Arsenio, come mai tu, che hai una così buona istruzione latina e greca, chiedi a questo contadino informazioni sui tuoi pensieri? Egli rispose, Ho imparato il latino e il greco, ma non conosco nemmeno l’alfabeto di questo contadino”.
7. Il beato arcivescovo Teofilo, accompagnato da un magistrato, un giorno andò a cercare Abba Arsenio. Interrogò l’anziano, per sentire una parola da lui. Dopo un breve silenzio, l’anziano gli rispose: “Metterete in pratica ciò che vi dico?”. Gli promisero questo. Se sentirete che Arsenio è da qualche parte, non andateci”.
8. Un’altra volta l’arcivescovo, intenzionato a venire a trovarlo, mandò qualcuno a vedere se l’anziano lo avrebbe ricevuto. Arsenio gli disse: “Se vieni, ti riceverò; ma se ricevo te, dovrò ricevere tutti e quindi non potrò più vivere in questo luogo”. Sentendo questo, l’arcivescovo disse: “Se lo scaccio andando da lui, non ci andrò più”.
9. Un fratello interrogò Abba Arsenio per avere una parola da lui e l’anziano gli disse: “Sforzati con tutto te stesso affinché la tua attività interiore sia in accordo con Dio e vincerai così le passioni esteriori”.
10. Ha anche detto: “Se cerchiamo Dio, egli si mostrerà a noi, e se lo custodiamo, resterà vicino a noi”.
11. Qualcuno disse ad Abba Arsenio: “I miei pensieri mi disturbano, dicendo: Non puoi né digiunare né lavorare; almeno vai a visitare i malati, perché anche questa è carità”. Ma il vecchio, riconoscendo le suggestioni dei demoni, gli disse: “Vai, mangia, bevi, dormi, non lavorare, ma non uscire dalla tua cella”. Sapeva infatti che la costanza nella cella mantiene un monaco sulla retta via.
12. Abba Arsenio era solito dire che un monaco in viaggio all’estero non deve farsi coinvolgere in nulla; così rimarrà in pace.
13. Abba Marco disse ad Abba Arsenio: “Perché ci eviti?”. L’anziano gli rispose: “Dio sa che vi amo, ma non posso vivere con Dio e con gli uomini. Le migliaia e le diecimila schiere celesti hanno una sola volontà, mentre gli uomini ne hanno molte. Quindi non posso lasciare Dio per stare con gli uomini”.
14. Abba Daniele disse di Abba Arsenio che era solito passare tutta la notte senza dormire, e al mattino presto, quando la natura lo costringeva ad andare a dormire, diceva al sonno: “Vieni qui, servo malvagio”. Poi, seduto, strappava un po’ di sonno e si risvegliava subito.
15. Abba Arsenio diceva che un’ora di sonno è sufficiente per un monaco se è un buon combattente.
16. L’anziano raccontava che un giorno qualcuno aveva consegnato a Scete alcuni fichi secchi. Poiché erano di poco conto, nessuno ne portò ad Abba Arsenio per non offenderlo. Avendo capito questo, l’anziano non si presentò alla sinassi dicendo: “Mi avete scacciato non dandomi una parte della benedizione che Dio ha dato ai fratelli e che non ero degno di ricevere”. Tutti lo seppero e furono edificati dall’umiltà dell’anziano. Allora il sacerdote andò a prendergli i piccoli fichi secchi e glieli portò e poi lo condusse alla sinassi con gioia.
17. Abba Daniele diceva: “Ha vissuto con noi per molti anni e ogni anno gli portavamo solo un cesto di pane e quando andavamo a cercarlo l’anno successivo mangiavamo un po’ di quel pane”.
18. Dello stesso Abba Arsenio si diceva che cambiava l’acqua per le foglie di palma solo una volta all’anno; il resto del tempo la aggiungeva semplicemente. Un anziano lo implorava con queste parole: “Perché non cambi l’acqua di queste foglie di palma quando puzza? Gli rispose: “Al posto dei profumi e degli aromi che ho usato nel mondo, ora devo sopportare questo cattivo odore”.
19. Abba Daniele raccontava che quando Abba Arsenio sapeva che qualche varietà di frutta era matura, diceva: “Portatemene un po’”. Ne assaggiava pochissima, una sola volta, ringraziando Dio.
20. Una volta a Scete, Abba Arsenio era malato e non aveva neanche uno straccio di lino. Non avendo nulla con cui comprarlo, ne ricevette un po’ grazie alla carità di un altro e disse: “Ti rendo grazie, Signore, per avermi considerato degno di ricevere questa carità in tuo nome”
21. Si diceva di lui che la sua cella era a trentadue miglia di distanza e che non la lasciava volentieri: altri, infatti, facevano per lui le commissioni. Quando Scete fu distrutta se ne andò piangendo e disse: “Il mondo ha perso Roma e i monaci hanno perso Scete”.
22. Abba Marco chiese ad Abba Arsenio: “È bene non avere nulla di superfluo nella cella? Conosco un fratello che aveva delle piante e le ha tirate via”. Abba Arsenio rispose: “Indubbiamente è una cosa buona, ma deve essere fatto secondo le capacità dell’uomo. Perché se egli non ha la forza per questa pratica, presto ne pianterà altre”.
23. Abba Daniele, discepolo di Abba Arsenio, raccontò questo: “Un giorno mi trovai vicino ad Abba Alessandro ed egli era pieno di dolore. Si sdraiò e fissò l’aria a causa del suo dolore. Ora accadde che il beato Arsenio venne a parlare con lui e lo vide sdraiato. Durante la loro conversazione gli disse: “E chi era quell’uomo del mondo che ho visto qui?”. Abba Alessandro rispose: “Dove l’hai visto?” Egli rispose: “Mentre scendevo dalla montagna, ho gettato lo sguardo in questa direzione, verso la grotta e ho visto un uomo disteso supino che guardava in aria”. Così Abba Alessandro fece penitenza, dicendo: “Perdonami, sono stato io; sono stato sopraffatto dal dolore”. L’anziano gli disse: “Bene, allora sei stato tu? Bene; pensavo che fosse un laico ed è per questo che te l’ho chiesto”.
24. Un’altra volta Abba Arsenio disse ad Abba Alessandro: “Quando avrai tagliato le tue foglie di palma, vieni a mangiare con me, ma se vengono dei visitatori, mangia con loro”. Abba Alessandro lavorò lentamente e con attenzione. Quando arrivò il momento, non aveva ancora tagliato le foglie di palma e, volendo seguire le istruzioni del vecchio, aspettò di tagliarle. Quando Abba Arsenio vide che era in ritardo, mangiò, pensando che avesse avuto ospiti. Ma Abba Alessandro, quando finalmente ebbe finito, se ne andò. E il vecchio gli disse: “Hai avuto visite?” “No”, rispose. Allora perché non sei venuto?”. L’altro rispose: “Mi hai detto di venire quando avrei tagliato le foglie di palma; e seguendo le tue istruzioni, non sono venuto, perché non avevo finito”. L’anziano si meravigliò della sua esattezza e gli disse: “Interrompi subito il tuo digiuno per celebrare senza problemi la sinassi e bevi un po’ d’acqua, altrimenti il tuo corpo ne soffrirà presto”.
25. Un giorno Abba Arsenio giunse in un luogo in cui c’erano delle canne che ondeggiavano per il vento. Il vecchio disse ai fratelli: “Cos’è questo frastuono?”. Essi risposero: “Alcune canne”. Allora il vecchio disse loro Quando uno vive in preghiera silenziosa e sente il canto di un passerotto, il suo cuore non ha più la stessa pace. Quanto è peggio per voi se sentite il frastuono di quelle canne”.
26. Abba Daniele raccontò che alcuni fratelli, proponendo di andare nella Tebaide per trovare del lino, dissero: “Approfittiamo dell’occasione per vedere anche Abba Arsenio”. Così Abba Alessandro venne a dire all’anziano: “Alcuni fratelli venuti da Alessandria desiderano vederti”. Il vecchio rispose: “Chiedi loro perché sono venuti”. Avendo saputo che andavano nella Tebaide a cercare il lino, lo riferì all’anziano che rispose: “Non vedranno certo il volto di Arsenio perché non sono venuti per causa mia, ma per il loro lavoro”. Falli riposare e mandali via in pace e dì loro che l’anziano non può riceverli”.
27. Un fratello giunse alla cella di Abba Arsenio a Scete. Aspettando fuori dalla porta, vide l’anziano tutto come una fiamma (il fratello era degno di questo spettacolo). Quando bussò, il vecchio uscì e vide il fratello meravigliato. Gli disse: “Hai bussato a lungo? Hai visto qualcosa qui?”. L’altro rispose: “No”. Allora parlò con lui e lo mandò via.
28. Quando Abba Arsenio viveva a Canopo, una vergine di rango senatoriale, molto ricca e timorata di Dio, venne da Roma a trovarlo. Quando l’arcivescovo Teofilo la incontrò, gli chiese di persuadere l’anziano a riceverla. Così egli glielo chiese con queste parole: “Una certa persona di rango senatoriale è venuta da Roma e desidera vederti”. L’anziano rifiutò di riceverla. Ma quando l’arcivescovo lo disse alla giovane, lei ordinò di sellare la bestia da soma dicendo: “Confido in Dio che lo vedrò, perché non è un uomo quello che sono venuta a vedere (ce ne sono molti nella nostra città), ma un profeta”. Quando giunse alla cella dell’anziano, per una dispensa di Dio, egli era fuori dalla cella. Vedendolo, si gettò ai suoi piedi. Indignato, egli la sollevò e le disse, guardandola fisso: “Se vuol vedere il mio volto, eccolo qui, guardate”. Lei si coprì di vergogna e non guardò il suo volto. Allora il vecchio le disse: “Non ha sentito parlare del mio stile di vita? Dovrebbe essere rispettato. Come osa fare un viaggio del genere? Non si rende conto che è una donna e che non può andare dappertutto? O forse lo ha fatto perché tornando a Roma possa dire alle altre donne: Ho visto Arsenio? Allora il mare diventerà come una un’arteria stradale con le donne che vengono a vedermi”. Lei rispose: “Piaccia al Signore, non permetterà a nessuno di venire qui; ma preghi per me e si ricordi sempre di me”. Ma egli le rispose: “Io prego Dio di allontanare il vostro ricordo dal mio cuore”. Sconvolta all’udire queste parole, si ritirò. Quando tornò in città, nel suo dolore si ammalò di febbre e il beato arcivescovo Teofilo fu informato della sua malattia. Venne a trovarla e le chiese di dirgli qual era il problema. Lei gli disse: “Se solo non fossi andata lì! Poiché ho chiesto al vecchio di ricordarsi di me, mi ha detto: ‘Prego Dio di togliere il suo ricordo dal mio cuore’. Così ora sto morendo di dolore”. L’arcivescovo le disse: “Non si rende conto che lei è una donna e che è proprio attraverso le donne che il nemico guerreggia contro i santi? Questo è il motivo delle parole dell’anziano; ma per quanto riguarda la vostra anima, egli pregherà continuamente per lei”. A questo punto il suo spirito fu guarito e tornò a casa con gioia.
29. Abba Davide raccontò questa storia di Abba Arsenio. Un giorno arrivò un magistrato venne a portargli il testamento di un senatore, membro della sua famiglia, che gli aveva lasciato un’eredità molto grande. Arsenio lo prese e stava per distruggerlo. Ma il magistrato si gettò ai suoi piedi dicendo: “Vi prego, non distruggetelo o mi taglieranno la testa”. Abba Arsenio gli disse: “Ma io sono morto già molto tempo prima di questo senatore che è appena morto”, e gli restituì il testamento senza accettare nulla.
30. Di lui si diceva anche che il sabato sera, per prepararsi alla gloria della domenica, volgeva le spalle al sole e alzava le mani in preghiera verso il cielo, finché ancora una volta il sole non splendeva sul suo volto. Poi si sedeva.
31. Di Abba Arsenio e di Abba Teodoro di Pherme si diceva che, più di tutti gli altri, essi bistrattavano la stima degli altri uomini. Abba Arsenio non incontrava facilmente le persone, mentre Abba Teodoro era affilato come una spada quando incontrava qualcuno.
32. Nei giorni in cui Abba Arsenio viveva nel Basso Egitto, era continuamente disturbato e quindi ritenne opportuno lasciare la sua cella. Senza portare via nulla, si recò dai suoi discepoli a Pharan, Alessandro e Zoilo. Disse ad Alessandro: “Alzati e sali sulla barca”, cosa che egli fece. E disse a Zoilo: “Vieni con me fino al fiume e trovami una barca che mi porti ad Alessandria; poi imbarcati per raggiungere tuo fratello”. Zoilo fu turbato da queste parole, ma non disse nulla. Così si separarono. L’anziano scese nelle regioni di Alessandria dove si ammalò gravemente. I suoi discepoli si dissero l’un l’altro: “forse uno di noi ha infastidito il vecchio e per questo si è allontanato da noi?”. Ma non trovarono nulla di cui rimproverarsi né alcuna disobbedienza. Una volta guarito, l’anziano disse: “Tornerò dai miei padri”. Risalendo la corrente, giunse a Petra, dove si trovavano i suoi discepoli. Mentre era vicino al fiume, una ragazzina etiope si avvicinò e toccò il suo mantello di lana. Il vecchio la rimproverò e lei rispose: “Se sei un monaco, vai sulla montagna”. L’anziano, preso da pentimento a queste parole, diceva fra sé: «Arsenio, se sei monaco, vai sui monti». Mentre pensava a ciò, gli vennero incontro Alessandro e Zoilo che si gettarono ai suoi piedi e anche il vecchio cadde con loro e piansero insieme. Il vecchio disse loro: “Non avete sentito che ero malato?”. Risposero: “Sì”. “Allora”, continuò, “perché non siete venuti a trovarmi?”. Abba Alessandro disse: “Il tuo allontanamento da noi non è stato un bene per noi, e molti non ne sono rimasti soddisfatti, dicendo: Se non avessero contrariato, l’anziano non li avrebbe lasciati”. Abba Arsenio disse: “D’altra parte, ora diranno: La colomba, non trovando dove riposare, tornò da Noè nell’arca”. Così si confrontarono ed egli rimase con loro fino alla morte.
33. Abba Daniele disse: “Abba Arsenio ci ha detto quanto segue, come se si riferisse a qualcun altro, ma in realtà si riferiva a lui stesso. Un anziano era seduto nella sua cella e gli giunse una voce che gli disse: “Vieni e ti mostrerò le opere degli uomini”. Si alzò e la seguì. La voce lo condusse in un certo luogo e gli fece vedere un etiope che stava raccogliendo legna e la sistemava facendo una grande catasta. Poi si sforzò di trasportarla, ma invano. Ora, invece di prendere un po’ di legna alla volta, ne tagliò altra che aggiunse alla catasta. Fece così per molto tempo. Andando un po’ più avanti, al vecchio fu mostrato un uomo in piedi sulla riva di un lago che raccoglieva l’acqua e la versava in un recipiente rotto, in modo che l’acqua tornasse nel lago. Poi la voce disse al vecchio: “Vieni e ti mostrerò qualcos’altro”. Egli vide un tempio e due uomini a cavallo, uno di fronte all’altro, che portavano un pezzo di legno di traverso. Volevano entrare dalla porta, ma non potevano perché tenevano il loro pezzo di legno trasversalmente. Nessuno dei due si ritraeva davanti all’altro, in modo da portare il legno dritto e così rimasero fuori dalla porta. La voce disse all’anziano: “Questi uomini portano il giogo della giustizia con orgoglio e non si umiliano per correggersi e camminare nell’umile via di Cristo. Così essi rimangono fuori dal Regno di Dio. L’uomo che taglia la legna è colui che vive in molti peccati e, invece di pentirsi, aggiunge altre colpe ai propri peccati. Colui che attinge l’acqua è colui che compie buone azioni, ma mescolando quelle cattive con esse, rovina anche le buone opere. Perciò ognuno deve stare attento alle proprie azioni, per non faticare invano”.
34. Lo stesso Abba raccontò di alcuni Padri che un giorno vennero da Alessandria per vedere Abba Arsenio. Tra loro c’era l’anziano Timoteo, arcivescovo di Alessandria, detto il Povero. L’anziano, che era malato, rifiutò di vederli per paura che altri venissero a disturbarlo. In quei giorni viveva a Petra di Troe. Così tornarono indietro, infastiditi. Ora c’era un’invasione di barbari e l’anziano andò a vivere nel basso Egitto. Saputo questo, vennero a trovarlo di nuovo e li accolse con gioia. Il fratello che era con loro gli disse: “Abbà, non sai che siamo venuti a trovarti a Troe e non ci hai ricevuto?”. L’anziano gli rispose: “Voi avete mangiato pane e bevuto acqua, ma in verità, figlio mio, io non ho assaggiato né pane né acqua e non mi sono seduto finché non ho pensato che foste arrivati a casa, per punirmi perché vi siete stancati per colpa mia. Ma perdonatemi, fratelli miei”. Così se ne andarono consolati.
35. Lo stesso Abba disse: “Un giorno Abba Arsenio mi chiamò e mi disse: “Sii di conforto a tuo padre, in modo che quando andrà al Signore pregherà per te, affinché il Signore sia buono con te a tua volta”.
36. Di Abba Arsenio si racconta che una volta, quando era malato a Scete, il sacerdote venne a portarlo in chiesa e lo mise su un letto con un piccolo cuscino sotto la testa. Un anziano che veniva a trovarlo, vedendolo disteso su un letto con un piccolo cuscino sotto la testa, rimase scioccato e disse: “È davvero questo Abba Arsenio, quest’uomo disteso in questo modo?”. Allora il sacerdote lo prese in disparte e gli chiese: “Nel villaggio in cui vivevi, che mestiere facevi?” “Ero un pastore”, rispose. E come vivevi?” “Avevo una vita molto dura”. Allora il sacerdote disse: “E come vivi ora nella tua cella?”. L’altro rispose: “Più comodo”. Allora gli disse: “Vedi questo Abba Arsenio? Quando era nel mondo era come un padre per l’imperatore, circondato da migliaia di schiavi con cinture d’oro, tutti con collari d’oro e abiti di seta. Sotto di lui erano stese ricche coperte. Mentre tu eri nel mondo come pastore non godevi nemmeno delle comodità che hai ora, ma egli non gode più della vita delicata che conduceva nel mondo. Così tu ora sei confortato mentre egli è afflitto”. A queste parole l’anziano fu pieno di compunzione e si prostrò dicendo: “Padre, perdonami, perché ho peccato”. In verità la via seguita da quest’uomo è la via della verità, perché conduce all’umiltà, mentre la mia conduce al benessere”. Così l’anziano si ritirò, edificato.
37. Uno dei Padri andò a trovare Abba Arsenio. Quando bussò alla porta, l’anziano aprì, pensando che fosse il suo servo. Ma quando vide che era un’altra persona, cadde con la faccia a terra. L’altro gli disse: “Alzati, padre, perché possa salutarti”. Ma l’anziano rispose: “Non mi alzerò finché non te ne sarai andato” e, nonostante le molte suppliche, non si alzò finché l’altro non se ne fu andato.
38. Si racconta di un fratello che venne a trovare Abba Arsenio a Scete che, giunto in chiesa, chiese ai chierici se poteva incontrare Arsenio. Gli dissero: “Fratello, prendi un po’ di cibo e poi vai a trovarlo”. Non mangerò nulla”, disse, “prima di averlo incontrato”. Allora, poiché la cella di Arsenio era lontana, mandarono un fratello con lui. Dopo aver bussato alla porta, entrarono, salutarono l’anziano e si sedettero senza dire nulla. Poi il fratello della chiesa disse: “Vi lascio. Pregate per me”. Il fratello in visita, non sentendosi a proprio agio con l’anziano, disse: “Verrò con te” e se ne andarono insieme. Poi il visitatore chiese: “Portami da Abba Mosè, quello che era un ladro”. Quando arrivarono, l’Abba li accolse con gioia e poi li congedò con piacere. Il fratello che aveva portato l’altro disse al suo compagno: “Vedi, ti ho portato dallo straniero e dall’egiziano, quale dei due preferisci?” “Per quanto mi riguarda”, rispose, “preferisco l’egiziano”. Un padre, udito ciò, pregò Dio dicendo: “Signore, spiegami questa faccenda: per amore del tuo nome l’uno fugge dagli uomini e l’altro, per amore del tuo nome, li accoglie a braccia aperte”. Allora gli furono mostrate due grandi barche su un fiume ed egli vide Abba Arsenio e lo Spirito di Dio che navigavano in una, in perfetta pace; e nell’altra c’era Abba Moses con gli angeli di Dio, e tutti mangiavano dolci al miele.
39. Abba Daniele disse: “In punto di morte, Abba Arsenio ci inviò questo messaggio: “Non preoccupatevi di fare offerte per me, perché in verità ho fatto un’offerta per me stesso e la ritroverò”.
40. Quando Abba Arsenio fu in punto di morte, i suoi discepoli erano turbati. Egli disse loro: “Non è ancora giunta l’ora; quando verrà, ve lo dirò. Ma se mai darete le mie spoglie a qualcuno, saremo giudicati davanti al tremendo seggio del giudizio”. Gli dissero: “Che cosa faremo? Non sappiamo come seppellire qualcuno”. Il vecchio disse loro: “Non sapete come legare una corda ai miei piedi e trascinarmi sul monte?
L’anziano diceva spesso a sé stesso: “Arsenio, perché hai lasciato il mondo? Mi sono spesso pentito di aver parlato, ma mai di aver taciuto”. Quando la morte si avvicinava, i fratelli lo videro piangere e gli dissero: “In verità, padre, sei tu a piangere? Padre, hai anche tu paura?” “Certo”, rispose loro, la paura che ho di quest’ora mi accompagna da quando sono diventato monaco”. A questo punto si addormentò.
41. Di lui si disse che aveva un brutto incavo nel petto, che era stato scavato dalle lacrime che gli erano cadute dagli occhi per tutta la vita, mentre era seduto al suo lavoro manuale. Quando Abba Poemen seppe che era morto, disse piangendo: “Veramente sei benedetto, Abba Arsenio, perché hai pianto per te stesso in questo mondo! Chi non piange per sé stesso quaggiù, piangerà eternamente nell’aldilà; quindi è impossibile non piangere, sia volontariamente qui o quando si è costretti dalla sofferenza dei tormenti”.
42. Abba Daniele diceva di lui: “Non volle mai rispondere a una domanda sulle Scritture, anche se avrebbe potuto farlo se avesse voluto, così come non scrisse mai prontamente una lettera. Quando di tanto in tanto veniva in chiesa, si sedeva dietro un pilastro, in modo che nessuno lo vedesse in faccia e che lui stesso non notasse gli altri. Il suo aspetto era angelico, come quello di Giacobbe. Il suo corpo era aggraziato e snello; la sua lunga barba gli arrivava fino alla vita. A causa di molte lacrime, le sue ciglia erano cadute. Alto di statura, era curvo per la vecchiaia. Aveva novantacinque anni quando morì. Per quarant’anni fu impiegato nel palazzo di Teodosio il Grande di divina memoria, che era il padre dei divini Arcadio e Onorio; poi visse quarant’anni a Scete, dieci anni a Troe’ sopra Babilonia, di fronte a Memphis e tre anni a Canopo di Alessandria. Gli ultimi due anni tornò a Troe dove morì, terminando la sua corsa in pace e nel timore di Dio. Era un uomo buono, “pieno di Spirito Santo e di fede”. (At 11,24) Mi ha lasciato la sua tunica di cuoio, un cilicio di pelo bianco[1] e i suoi sandali di foglie di palma. Sebbene non ne sia degno, li indosso per ottenere la sua benedizione”.
43. Abba Daniele raccontava anche questo di Abba Arsenio: “Un giorno chiamò i miei Padri, Abba Alessandro e Abba Zoilo, e per umiliarsi disse loro: “Poiché i demoni mi attaccano e non so se riusciranno a derubarmi quando dormirò stanotte, condividete la mia sofferenza e vegliate affinché non mi addormenti durante la veglia”. A notte fonda si sedettero in silenzio, uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra. I miei Padri dissero: “Quanto a noi, ci siamo addormentati, poi ci siamo svegliati di nuovo, ma non ci siamo accorti che si era assopito”. Al mattino presto (Dio sa se lo fece apposta per farci credere che aveva dormito, o se davvero aveva ceduto al sonno) fece tre sospiri, poi si alzò subito, dicendo: “Ho dormito, vero?”. Noi rispondemmo che non lo sapevamo”.
44. Un giorno alcuni anziani vennero da Abba Arsenio e insistettero per vederlo. Egli li ricevette. Poi gli chiesero di dire loro una parola su coloro che vivono in solitudine senza vedere nessuno. L’anziano disse loro: “Finché una ragazza vive nella casa paterna, molti giovani desiderano sposarla, ma quando ha preso marito non è più gradita a tutti; disprezzata da alcuni, lodata da altri, non gode più della stima un tempo, quando viveva una vita nascosta. Così è per le cose dell’anima; nel momento in cui vengono mostrate a tutti, non sono più in grado di essere apprezzate da tutti”.
[1] Il cilicio anticamente era un tessuto di peli di capra o di cammello, in uso anche fra i soldati dell’esercito romano. Nel mondo greco-romano tali stoffe, utilizzate per tende, vele, sacchi, vesti grossolane, ecc., presero il nome di “cilici”, termine che proviene dal greco κιλίκιον (kilíkion), ovvero della regione della Cilicia, l’odierno Sud della Turchia, in quanto i Cilici ne ebbero quasi il monopolio (Plinio, VI, 143). A scopo ascetico questa stoffa veniva indossata a immediato contatto con la nuda pelle, come viene frequentemente attestato nella Bibbia, nella quale la traduzione abituale di cilicio è “sacco”, in quanto in ebraico cilicio si dice saq. (fonte Wikipedia e Treccani)
GIOVANNI NANO
EVERGHETINòS
5,10. A una giovane di nome Taisia morirono i genitori, ed essa rimase orfana. Allora fece della sua casa un ospizio per gli stranieri, secondo un pensiero dei Padri di Scete e per molto tempo continuò ad accoglierli e a servirli. Ma poi, una volta consumato tutto ciò che aveva, cominciò ad essere nell’indigenza, e uomini perversi si misero con lei e la distolsero dal suo buon proposito. E in seguito visse male, al punto che arrivò a prostituirsi.
I Padri lo vennero a sapere e ne furono grandemente rattristati. Chiamarono abbà Giovanni Nano e gli dissero: “Abbiamo saputo della sorella tale che vive malamente. Essa quando poteva ha mostrato carità nei nostri confronti e adesso noi vogliamo aiutarla come possiamo. Preoccupati dunque di andare da lei e, con la sapienza che Dio ti ha data, vedi di sistemare le sue cose».
L’anziano si recò da lei e disse alla vecchia che stava alla porta: «Annunciami alla tua padrona». Ma quella lo mandò via dicendo: «Prima voi avete divorato i suoi beni, e adesso eccola povera!». Le dice l’anziano: «Dille che vengo appunto per aiutarla». La vecchia allora andò a dirle dell’anziano. E la giovane disse: «Questi monaci passano sempre lungo il Mar Rosso e trovano delle perle». Si adornò, sedette sul letto e disse alla portinaia: «Portalo da me». Abbà Giovanni entrò, si sedette accanto a lei e, fissandola in viso, le disse: «Che hai da lamentarti di Gesù, per essere arrivata a questo punto?». A queste parole, essa restò agghiacciata. L’anziano, chinata la testa, si mise a piangere a dirotto. E lei: «Abbà, perché piangi?». Egli fece un cenno e, piegandosi di nuovo, le dice: «Vedo satana scherzare sul tuo volto e non dovrei piangere?». Allora la ragazza gli chiese: «C’è penitenza, abbà?». E l ‘anziano: «Sì». E lei: «Portami dove vuoi». E l’anziano: «Andiamo». Essa si alzò subito e lo seguì.
L’anziano notò che essa non aveva dato alcuna disposizione per la sua casa e se ne stupì. La sera li colse quando erano ormai vicini al deserto. L’anziano fece per lei un piccolo cuscino, vi fece sopra un segno di croce e le disse:
«Dormi qui». Fece lo stesso per sé a poca distanza, disse le sue preghiere e si sdraiò anche lui. Si svegliò intorno a mezzanotte e vide come una strada di luce che dal cielo arrivava a lei, e vide gli angeli di Dio che portavano in alto la sua anima. Allora si alzò, andò da lei, la toccò col piede; vedendo che era morta, si gettò col viso a terra, pregando Dio, e udì una voce che diceva: «Un’ora del suo pentimento è stata accolta più della penitenza di anni di altri che non danno prova di così fervido pentimento».
1. Raccontavano del padre Giovanni Nano che, ritiratosi a Scete presso un anziano della Tebaide, visse nel deserto. Il suo padre, preso un legno secco, lo piantò e gli disse di innaffiarlo ogni giorno con un secchio d’acqua, finché non desse frutto. L’acqua era tanto lontana che doveva partire alla sera per essere di ritorno al mattino. Dopo tre anni il legno cominciò a vivere e a dare frutti. L’anziano li colse e li portò ai fratelli radunati insieme, dicendo: «Prendete, mangiate il frutto dell’obbedienza» (204c; PJ XIV, 3).
2. Raccontavano che il padre Giovanni Nano disse un giorno al suo fratello maggiore: «Vorrei essere libero da ogni preoccupazione come lo sono gli angeli, che non fanno nessun lavoro, ma adorano Dio incessantemente». Si tolse quindi il mantello e se ne andò nel deserto. Trascorsa una settimana, ritornò dal fratello e bussò alla porta. Questi, prima di aprirgli, gli chiese: «Chi sei?». Disse: «Sono io, Giovanni, tuo fratello!». Ma l’altro replicò: «Giovanni è divenuto un angelo, non è più tra gli uomini». Giovanni supplicava: «Sono io». Ma il fratello non gli aprì e lo lasciò tribolare fino al mattino. Infine lo fece entrare e gli disse: «Sei un uomo, devi ancora lavorare per vivere». Allora si prostrò e disse: «Perdonami» (204d-205a; PJ X, 27)
8. Il padre Giovanni Nano era seduto un giorno davanti alla chiesa. Si radunarono attorno a lui i fratelli e lo interrogavano sui loro pensieri. Vedendo questo, un anziano, tentato d’invidia, disse: «Giovanni, il tuo calice è colmo di veleno!». «È proprio così, padre – gli dice Giovanni –, e dici questo benché tu veda soltanto l’esterno. Se tu vedessi l’interno, cosa avresti da dire?» (PJ XVI, 3).
10. Una volta dei fratelli si recarono dal padre Giovanni Nano per metterlo alla prova, poiché non permetteva alla sua mente di vagare né parlava di alcuna cosa di questo mondo. Gli dicono: «Ringraziamo Dio, perché quest’anno è piovuto molto, le palme hanno bevuto e mettono rami e i fratelli trovano il loro lavoro». Il padre Giovanni dice loro: «Così lo Spirito Santo: quando scende nel cuore degli uomini, essi si rinnovano e mettono rami nel timore di Dio» (PJ XI, 13).
13. Il padre Poemen raccontava che il padre Giovanni Nano aveva pregato Dio e furono allontanate da lui le passioni e fu liberato da ogni sollecitudine. Si recò allora da un anziano e gli disse: «Mi trovo nella quiete, e non devo sostenere nessuna lotta». Gli disse il vecchio: «Va’ e prega Dio perché sopraggiunga su di te la lotta e tu ne tragga quella contrizione ed umiltà che avevi prima. È attraverso la lotta che l’anima progredisce». L’altro pregò Dio per questo e, quando giunse la lotta, non pregò più perché la allontanasse da lui. Chiedeva invece: «Dammi, Signore, pazienza nei combattimenti» (208bc; PJ VII, 8).
16. Parlando dell’anima che vuole convertirsi, l’anziano disse ancora al fratello: «Vi era in una città una bella meretrice, che aveva molti amanti. Un giorno si recò da lei un principe, e le disse: – Promettimi che sarai casta, e io ti prenderò per moglie! Glielo promise, ed egli la prese e la condusse in casa sua. Ma i suoi amanti la cercarono e dissero: – Quel principe l’ha presa con sé: perciò, se andiamo alla porta di casa sua e se ne accorge, ci castiga. Ma se andiamo dietro a casa e fischiamo, lei riconoscerà il fischio, scenderà da noi, e non sarà scoperta la nostra colpa. Ma essa, al suono del fischio, si chiuse le orecchie, andò nella parte più interna delle sue stanze, e chiuse le porte». Il padre Giovanni spiegò che la meretrice è l’anima, i suoi amanti sono le passioni e gli uomini; il principe è Cristo; i recessi della casa sono la dimora eterna; quelli che fischiano sono i demoni malvagi. Ma essa si rifugia sempre nel Signore (209bc).
ANTONIO IL GRANDE
ἀββᾶς Ἀντώνιος
Il padre Antonio disse: “Alcuni hanno afflitto il loro corpo con l’ascesi ma non avevano discernimento e quindi si sono allontanati da Dio”.
Disse ancora: «È dal prossimo che ci vengono la vita e la morte. Perché, se guadagniamo il fratello, è Dio che guadagniamo; e se scandalizziamo il fratello, è contro Cristo che pecchiamo» (PJ XVII, 2)
L’uomo veramente ragionevole ha un’unica sollecitudine: credere in Dio e piacergli in tutto. E a questo – soltanto a questo – formare la sua anima, così da rendersi gradito a Dio, rendendogli grazie per il modo mirabile con cui la sua provvidenza governa tutte le cose, anche gli eventi fortuiti della vita. È infatti fuor di luogo ringraziare per la salute del corpo i medici, anche quando ci somministrano farmaci amari e sgradevoli ed essere invece ingrati nei confronti di Dio per le cose che ci sembrano penose, senza riconoscere che tutto avviene nel modo dovuto, a nostro vantaggio, secondo la sua provvidenza. Filocalia, Vol I, Gribaudi
1. Quando il santo Abba Antonio viveva nel deserto, era assalito da accidenti e da molti pensieri peccaminosi. Diceva a Dio: “Signore, voglio essere salvato, ma questi pensieri non mi lasciano in pace; cosa devo fare nella mia afflizione? Come posso essere salvato?”. Poco dopo, quando si alzò per uscire, Antonio vide un uomo come lui seduto al suo lavoro, che si alzava dal lavoro per pregare, poi si sedeva e intrecciava una corda, poi si alzava di nuovo per pregare. Era un angelo del Signore inviato per correggerlo e rassicurarlo. Sentì l’angelo che gli diceva: “Fai questo e sarai salvato”. A queste parole, Antonio si riempì di gioia e di coraggio. Lo fece e fu salvato.
2. Quando lo stesso Abba Antonio pensava alla profondità dei giudizi di Dio, chiese: “Signore, come mai alcuni muoiono da giovani e altri si trascinano fino all’estrema vecchiaia? Perché c’è chi è povero e chi è ricco? Perché i malvagi prosperano e i giusti sono nel bisogno?”. Sentì una voce che gli rispondeva: “Antonio, preoccupati di te stesso; queste cose sono secondo il giudizio di Dio, e non è a tuo vantaggio sapere qualcosa su di esse”.
3. Qualcuno chiese ad Abba Antonio: “Cosa si deve fare per piacere a Dio? L’anziano rispose: “Fai attenzione a quello che ti dico: dovunque tu vada, abbi sempre Dio davanti agli occhi; qualsiasi cosa tu faccia, falla secondo la testimonianza delle Sacre Scritture; in qualunque luogo tu viva, non lasciarlo facilmente. Osserva questi tre precetti e sarai salvato”.
4. Abba Antonio disse ad Abba Poemen: “Questa è la grande opera di un uomo: assumersi sempre la colpa dei propri peccati davanti a Dio e aspettarsi la tentazione fino all’ultimo respiro”.
5. Disse anche: “Chi non ha sperimentato la tentazione non può entrare nel Regno dei Cieli”. Aggiunse anche: “Senza tentazioni nessuno può essere salvato”.
6. Abba Pambo chiese ad Abba Antonio: “Cosa devo fare?” e l’anziano gli rispose: “Non confidare nella tua propria giustizia e non preoccuparti del passato, ma controlla la tua lingua e il tuo stomaco”
7. Abba Antonio disse: “Ho visto le insidie che il nemico dissemina nel mondo e ho detto gemendo: “Cosa mai può superare tali insidie?”. Poi sentii una voce che mi diceva: “l’Umiltà”.
8. Disse anche: “Alcuni hanno afflitto il loro corpo con l’ascesi ma non avevano discernimento e quindi si sono allontanati da Dio”.
9. Se guadagniamo il nostro fratello, abbiamo guadagnato Dio, ma se scandalizziamo il nostro fratello, abbiamo peccato contro Cristo”.
10. Disse anche: “Come i pesci muoiono se restano troppo a lungo fuori dall’acqua, così i monaci che bighellonano fuori dalle loro celle o passano il loro tempo con gli uomini del mondo, perdono l’intensità della pace interiore. Quindi, come un pesce verso il mare, dobbiamo affrettarci a raggiungere la nostra cella, per paura che se ci attardiamo fuori perdiamo la nostra vigilanza interiore”.
11. Disse anche: “Chi vuole vivere in solitudine nel deserto è liberato da tre lotte: quella con l’udito, la parola e la vista; rimane una solo lotta per lui ed è quella con il cuore”.
12. Alcuni fratelli vennero a cercare Abba Antonio per parlargli delle visioni che stavano avendo e per sapere da lui se erano vere o se provenivano dai demoni. Avevano un asino che morì durante il cammino. Quando raggiunsero il luogo dove si trovava il vecchio, egli disse loro, prima che potessero chiedergli qualcosa: “Come mai l’asinello è morto durante il cammino?”. Gli risposero: “Come fai a saperlo, padre?”. Ed egli rispose: “I demoni mi hanno mostrato ciò che è successo”. Allora essi dissero: “Era su questo che eravamo venuti a interrogarti, per paura di essere ingannati, perché abbiamo visioni che spesso si rivelano vere”. Così il vecchio li convinse, con l’esempio dell’asino, che le loro visioni provenivano dai demoni.
13. Un cacciatore nel deserto vide Abba Antonio divertirsi con i fratelli e ne rimase sconvolto. Volendo dimostrargli che a volte era necessario venire incontro ai bisogni dei fratelli, il vecchio gli disse: “Metti una freccia al tuo arco e tendilo”. Così fece. L’anziano disse poi: “Tendilo ancora”, ed egli lo fece. Poi il vecchio disse: “Tendilo ancora”. Ma il cacciatore rispose: “Se piego tanto l’arco, lo spezzo”. Allora il vecchio gli disse: “È così anche per l’opera di Dio. Se tendiamo i fratelli oltre misura, presto si spezzano. A volte è necessario accondiscendere e soddisfare i loro bisogni”. All’udire queste parole, il cacciatore fu colpito dalla compassione e, molto edificato dall’anziano, se ne andò. Quanto ai fratelli, tornarono a casa rafforzati.
14. Abba Antonio sentì parlare di un monaco molto giovane che aveva compiuto un miracolo sulla strada. Vedendo dei vecchi che camminavano con difficoltà lungo la strada, ordinò agli asini selvatici di venire e di portarli fino a quando non avessero raggiunto Abba Antonio. Quelli che erano stati trasportati raccontarono l’accaduto ad Abba Antonio. Egli disse loro: “Questo monaco mi sembra una nave carica di merci, ma non so se raggiungerà il porto. Dopo un po’, Antonio cominciò improvvisamente a piangere, a strapparsi i capelli e a lamentarsi. I suoi discepoli gli dissero: “Perché piangi, padre?” e l’anziano rispose: “È appena caduta una grande colonna della Chiesa (si riferiva al giovane monaco), ma andate da lui e vedete cosa è successo”. Così i discepoli andarono e trovarono il monaco seduto su una stuoia che piangeva per il peccato che aveva commesso. Vedendo i discepoli del vecchio, egli disse: “Dite al vecchio di pregare affinché Dio mi dia solo dieci giorni di tempo e spero di poter fare ammenda”. Ma nel giro di cinque giorni morì.
15. I fratelli lodarono un monaco davanti ad Abba Antonio. Quando il monaco venne a trovarlo, Antonio volle sapere come avrebbe sopportato gli insulti; e vedendo che non li sopportava affatto, gli disse: “Sei come un villaggio magnificamente decorato all’esterno, ma distrutto all’interno dai ladri”.
16. Un fratello disse ad Abba Antonio: “Prega per me”. L’anziano gli disse: “Non avrò pietà di te, né Dio ne avrà, se tu stesso non farai uno sforzo per pregare Dio””.
17. Un giorno vennero a trovare Abba Antonio alcuni anziani. In mezzo a loro c’era Abba Giuseppe. Volendo metterli alla prova, il vecchio propose un testo delle Scritture e, cominciando dal più giovane, chiese loro cosa significasse. Ognuno di loro disse la sua opinione come era in grado di fare. Ma a ciascuno il vecchio disse: “Non hai capito”. Infine disse ad Abba Giuseppe: “Come spiegheresti questo detto?” ed egli rispose: “Non lo so”. Allora Abba Antonio disse: “In effetti, Abba Giuseppe ha trovato la strada, perché ha detto: “Non lo so””.
18. Alcuni fratelli stavano arrivando da Scete per vedere Abba Antonio. Mentre stavano salendo su una barca per andare lì, trovarono un vecchio che voleva andare anche lui. I fratelli non lo conoscevano. Si sedettero sulla barca, occupandosi a turno delle parole dei Padri, della Scrittura e dei loro lavori manuali. Il vecchio, invece, rimase in silenzio. Quando arrivarono a terra scoprirono che anche il vecchio stava andando presso la cella di Abba Antonio. Quando arrivarono Antonio disse loro: “Avete trovato in questo vecchio un buon compagno di viaggio?”. Poi disse al vecchio, “Hai portato con te molti buoni fratelli, padre”. Il vecchio rispose: “Senza dubbio sono buoni, ma non hanno una porta di casa e chiunque voglia può entrare nella stalla e sciogliere l’asino”. Intendeva dire che i fratelli dicevano tutto quello che gli veniva in bocca.
19. I fratelli vennero da Abba Antonio e gli dissero, “Dimmi una parola: come ci salveremo?”. L’anziano disse loro: “Avete ascoltato le Scritture. Questo dovrebbe insegnarvi come fare”. Ma essi dissero: “Vogliamo sentire anche da te, padre”. Allora il vecchio disse loro: “Il Vangelo dice: “Se qualcuno vi percuote su una guancia, porgetegli anche l’altra”. (Mt 5,39) Essi risposero: “Non possiamo farlo”. L’anziano disse: “Se non potete porgere l’altra guancia, permettete almeno che una guancia sia colpita”. Non possiamo fare neanche questo”, dissero. Allora egli disse: “Se non siete in grado di farlo, non restituite male per male”, ed essi risposero: “Non possiamo fare nemmeno questo”. Allora Il vecchio disse al discepolo: “Preparate un po’ di brodo per questi invalidi. Se non potete fare questo o quello, cosa posso fare per voi? Quello di cui avete bisogno sono le preghiere”.
20. Un fratello rinunciò al mondo e donò i suoi beni ai poveri, ma ne trattenne un po’ per le spese personali. Si recò da Abba Antonio. Quando glielo raccontò, il vecchio gli disse: “Se vuoi farti monaco, vai in paese, compra della carne, copriti il corpo nudo e vieni qui così”. Il fratello lo fece e i cani e gli uccelli gli strapparono la carne. Quando tornò, il vecchio gli chiese se avesse seguito il suo consiglio. Gli mostrò il suo corpo ferito e sant’Antonio disse: “Coloro che rinunciano al mondo, ma vogliono tenere qualcosa per sé, vengono lacerati in questo modo dai demoni che fanno loro guerra”.
21. Un giorno accadde che uno dei fratelli del monastero di Abba Elia fu tentato. Scacciato dal monastero, si recò alla montagna dell’Abba Antonio. Il fratello visse vicino a lui per un po’ di tempo e poi Antonio lo rimandò al monastero da cui era stato espulso. Quando i fratelli lo videro, lo scacciarono di nuovo, ed egli tornò da Abba Antonio dicendo: “Padre mio, non mi ricevono”. Allora il vecchio mandò loro un messaggio: “Una barca è naufragata in mare e ha perso il suo carico; con grande difficoltà raggiunse la riva; ma voi volete rigettare in mare ciò che ha trovato un porto sicuro sulla riva”. Quando i fratelli capirono che era stato Abba Antonio a mandare loro il monaco, lo riaccolsero subito.
22. Abba Antonio disse: “Credo che il corpo possieda un movimento naturale, al quale è adattato, ma che non può seguire senza il consenso dell’anima; significa solo che nel corpo c’è un movimento senza passione. C’è un altro movimento, che deriva dal nutrimento e dal riscaldamento del corpo attraverso il mangiare e il bere, che fa sì che il calore del sangue stimoli il corpo a lavorare. Ecco perché l’apostolo ha detto: “Non ubriacatevi di vino, perché questa è dissolutezza”. (Ef 5,18) E nel Vangelo il Signore raccomanda questo ai suoi discepoli: “Fate attenzione a voi stessi perché i vostri cuori non siano oppressi dalla dissipazione e dall’ubriachezza”. (Lc 21,34) Ma c’è ancora un altro movimento che affligge coloro che combattono e che deriva dalle astuzie e dalla gelosia dei demoni. Dovete capire quali sono questi tre movimenti corporei: uno è naturale, l’altro deriva dal troppo mangiare, il terzo è causato dai demoni”.
23. Disse anche: “Dio non permette che questa generazione abbia le stesse lotte e le stesse tentazioni delle generazioni passate, perché ora gli uomini sono più deboli e non possono sopportare tanto”.
24. Ad Abba Antonio fu rivelato, nel suo deserto, che c’era uno che era suo pari nella città. Era un medico di professione e tutto ciò che aveva in più rispetto alle sue necessità lo dava ai poveri e ogni giorno cantava il Trisaghion con gli angeli.
25. Abba Antonio disse: “Sta per arrivare un tempo in cui gli uomini impazziranno e quando vedranno qualcuno che non è pazzo, lo aggrediranno dicendo: pazzo, non sei come noi!”.
26. I fratelli si recarono da Abba Antonio e gli sottoposero un brano del Levitico. L’anziano uscì nel deserto, segretamente seguito da Abba Ammonas che sapeva che questa era la sua consuetudine. Abba Antonio si allontanò molto e si mise a pregare gridando a gran voce: “Dio, manda Mosè a farmi capire questo detto”. Poi si udì una voce che parlava con lui. Abba Ammonas disse che, pur avendo sentito la voce che parlava con lui, non riusciva a capire cosa dicesse.
27. Tre Padri erano soliti andare a trovare il beato Antonio ogni anno e due di loro discutevano con lui dei loro pensieri e della salvezza delle loro anime ma il terzo rimaneva sempre in silenzio e non gli chiedeva nulla. Dopo molto tempo, Abba Antonio gli disse: “Vieni spesso qui a trovarmi, ma non mi chiedi mai nulla”. E l’altro rispose: “Mi basta vederti, Padre”.
28. Raccontano che un certo anziano chiese a Dio di fargli vedere i Padri e li vide tutti, tranne Abba Antonio. Allora chiese alla sua guida: “Dov’è Abba Antonio?”. Egli gli rispose che nel luogo dove si trova Dio, lì si trovava Antonio.
29. Un fratello di un monastero fu accusato ingiustamente di fornicazione, si alzò e andò da Abba Antonio. Anche i fratelli vennero dal monastero per correggerlo e riportarlo indietro. Si misero a dimostrare che aveva fatto questa cosa, ma egli si difese e negò di aver fatto una cosa del genere. Si trovava lì Abba Pafnuzio, detto Kefala, e raccontò loro questa parabola: “Ho visto un uomo sulla riva del fiume sepolto nel fango fino alle ginocchia e alcuni uomini sono venuti a dargli una mano per aiutarlo a uscire, ma lo hanno spinto ancora più dentro fino al collo”. Allora Abba Antonio disse di Abba Pafnuzio: “Ecco un vero uomo, che può prendersi cura delle anime e salvarle”. Tutti i presenti furono colpiti al cuore dalle parole dell’anziano e chiesero perdono al fratello. Quindi, ammoniti dai Padri, riportarono il fratello al monastero.
30. Alcuni dicono di sant’Antonio che era “pneumatoforo”, ma lui non ne parlava mai a motivo degli uomini. Poteva infatti rivelare ciò che accade nel mondo e le cose che stavano per accadere.
31. Un giorno Abba Antonio ricevette una lettera dall’imperatore Costanzo che gli chiedeva di recarsi a Costantinopoli e si domandava se fosse il caso di andare. Così disse ad Abba Paolo, suo discepolo, “Devo andare?” Egli rispose: “Se andrai, sarai chiamato Antonio; ma se rimani qui, sarai chiamato Abba Antonio”.
32. Abba Antonio disse: “Non temo più Dio, ma lo amo. Perché l’amore scaccia il timore”. (Gv 4,18)
33. Disse anche: “Abbiate sempre il timore di Dio davanti agli occhi. Ricordatevi di Colui che dà la morte e la vita. Odiate il mondo e tutto ciò che è in esso. Odiate tutta la pace che viene dalla carne. Rinunciate a questa vita, per essere vivi a Dio. Ricordate ciò che avete promesso a Dio, perché vi sarà richiesto nel giorno del giudizio. Soffrite la fame, la sete, la nudità, siate vigilanti e addolorati; piangete e gemete nel vostro cuore; mettetevi alla prova per vedere se siete degni di Dio; disprezzate la carne, per conservare le vostre anime”.
34. Una volta Abba Antonio andò a trovare Abba Amoun sul Monte Nitria e quando si incontrarono, Abba Amoun disse: “Grazie alle tue preghiere, il numero dei fratelli aumenta e alcuni di loro vogliono costruire altre celle dove vivere in pace. Quanto lontano da qui pensi che dovremmo costruire le celle?”. Abba Antonio disse: “Mangiamo all’ora nona e poi usciamo a camminare nel deserto per esplorare il paese”. Così uscirono nel deserto e camminarono fino al tramonto e poi Abba Antonio disse: “Preghiamo e piantiamo la croce qui, in modo che chi vuole farlo possa costruirci. Così quando quelli che restano vorranno visitare quelli che sono venuti qui, potranno prendere un po’ di cibo all’ora nona e raggiungerli. Se faranno così, potranno tenersi in contatto gli uni con gli altri senza distrazioni mentali”. La distanza è di dodici miglia.
35. Abba Antonio disse: “Chi martella un pezzo di ferro, prima decide cosa ne farà, una falce, una spada o un’ascia. Anche noi dobbiamo decidere che tipo di virtù vogliamo forgiare, altrimenti lavoriamo invano”.
36. Disse anche: “L’obbedienza con l’astinenza dà agli uomini di ammansire le bestie selvatiche”.
37. Disse anche: “Alcuni monaci dopo molte fatiche si sono allontanati e sono stati ossessionati dall’orgoglio spirituale, perché hanno riposto la loro fiducia nelle proprie opere e, ingannati, non hanno prestato la dovuta attenzione al comandamento che dice: “Chiedi al tuo padre ed egli ti dirà”. (Dt 32,7)
38. E disse questo: “Se è possibile, un monaco deve confidare nei suoi anziani per quanti passi deve fare e quante gocce d’acqua bere nella sua cella; nel caso contrario cade facilmente in errore”.
POEMEN
Il padre Poemen ha detto: «Il segno da cui si riconosce il monaco appare nelle tentazioni» (PJ VII, 13)
Disse anche: «Come la guardia del corpo dell’imperatore gli è sempre accanto pronta, così l’anima deve essere pronta di fronte al demone della fornicazione».
Un fratello interrogò il padre Poemen: «Ho commesso un grave peccato e voglio fare penitenza per tre anni». «È molto», gli dice l’anziano. «Per un anno?», chiese il fratello. «È molto», disse l’anziano. Quelli che erano presenti dissero: «Per quaranta giorni?». «È molto», ripeté. E poi: «Io dico che se l’uomo si pente con tutto il cuore e non ritorna a commettere il peccato, anche in tre giorni il Signore lo accoglie» (325ab; PJ X, 40).
Il padre Isaia interrogò il padre Poemen sui pensieri turpi. Il padre Poemen gli rispose: «È come un cassettone pieno di vestiti; se si lasciano lì, col tempo marciscono. Così i pensieri: se non li traduciamo in atti del corpo, col tempo svaniscono ovvero marciscono» (328a; PJ X, 42).
Quando era giovane, il padre Poemen andò un giorno da un anziano, per sottoporgli tre pensieri. Giunto che fu dall’anziano, ne aveva dimenticato uno. Ritornò nella sua cella e, nel porre la mano sulla chiave per aprire, si ricordò della domanda che aveva dimenticato. Lasciò la chiave nella toppa e ritornò dall’anziano; e questi gli disse: «Hai fatto presto a venire, fratello!». Ed egli gli raccontò: «Nel muovere la mano per prendere la chiave, mi sono ricordato del pensiero che cercavo; per questo non ho aperto e sono ritornato. Ma la strada era molto lunga». L’anziano gli disse: «Pastore di greggi; e il tuo nome sarà rinomato in tutto l’Egitto»
Prima che arrivasse il gruppo del padre Poemen, vi era in Egitto un anziano molto rinomato e stimato. Quando il padre Poemen e i suoi salirono da Scete, la gente lo abbandonò e andò dal padre Poemen. Il vecchio ne era invidioso e parlava male di loro. Il padre Poemen lo seppe, si rattristò e disse ai suoi fratelli: «Che facciamo con questo grande anziano? La gente ci ha messo in una situazione penosa, lasciando lui e venendo da noi che non siamo nulla. Come possiamo guarire quell’anziano?». Disse poi: «Preparate qualcosa da mangiare, prendete un otre di vino, e andiamo da lui per mangiare insieme. Forse in questo modo potremo farlo guarire». Presero il cibo e partirono. Quando bussarono alla porta, il suo discepolo chiese: «Chi siete?». Dissero: «Di’ al padre: – C’è Poemen che vuole essere benedetto da te!». Ma quando il discepolo glielo riferì, l’anziano gli fece dire: «Vattene, non ho tempo!». Ma essi rimasero nella grande arsura, dicendo: «Non ce ne andremo finché l’anziano non ci avrà degnati di vederlo». L’anziano allora, alla vista della sua umiltà e della sua pazienza, preso da compunzione, aprì loro. Entrati, mangiarono con lui. Mentre mangiavano, disse: «In verità, non vi è solo ciò che ho udito di voi, ma quel che io vedo nelle vostre azioni è cento volte di più». E da quel giorno divenne loro amico.
Un presbitero di Pelusio sentì dire di alcuni fratelli: «Spesso sono in città, frequentano i bagni e si corrompono». Quando venne al raduno dei fratelli tolse loro l’abito monastico. E dopo questo il suo cuore lo colpì ed egli fu preso da pentimento; stravolto dai suoi pensieri, come ubriaco, venne dal padre Poemen portando anche gli abiti dei fratelli, e raccontò all’anziano la cosa. E l’anziano gli dice: «Non hai tu nulla dell’uomo vecchio? Svestilo!». Il presbitero disse: «Ho parte con l’uomo vecchio!». E l’anziano a lui: «Dunque tu pure sei come i fratelli; anche se hai solo un po’ dell’uomo vecchio, tuttavia soggiaci al peccato». Il presbitero allora, andatosene, chiamò i fratelli; e, dopo aver chiesto perdono agli undici, li rivestì dell’abito monastico e li congedò (324d-325a).
Il padre Anub interrogò il padre Poemen sui pensieri impuri che il cuore dell’uomo genera, e sui desideri vani. Il padre Poemen rispose: «Forse che la scure si vanta senza colui che con essa taglia? Anche tu non dar loro posto, e non perdere in essi le tue forze; e saranno inefficaci» (325c; PJ X, 41).
Il padre Poemen disse ancora: «Se non fosse venuto Nabuzardan, l’arcicuoco, il tempio del Signore non sarebbe stato incendiato. Ciò significa: se l’anima non cercasse la soddisfazione del cibo, lo spirito non cadrebbe nella lotta contro il nemico».
Raccontavano che il padre Poemen, invitato a mangiare contro la sua volontà, vi andò piangendo, per non disubbidire al fratello e non rattristarlo (325cd; PJ IV, 30).
Il padre Poemen disse: «Non abitare in un luogo in cui vedi alcuni gelosi di te; altrimenti non progredirai» (PJ X, 45).
Raccontarono al padre Poemen di un monaco che non beveva vino. «Il vino, disse, non è per nulla cosa da monaci» (PJ IV, 31).
MACARIO L’EGIZIANO
“SULLA PERFEZIONE NELLO SPIRITO
1. Ciascuno di noi acquista la salvezza per grazia e divino dono dello Spirito e può giungere alla misura perfetta della virtù con la fede, con la carità e con la lotta del libero arbitrio, per ereditare, sia per grazia che per giustizia, la vita eterna. Non è fatto degno del progresso perfetto per la sola potenza e grazia divina, senza offrire insieme i frutti del proprio sudore; né raggiunge la misura perfetta della libertà e della purezza solamente per la propria sollecitudine e la propria potenza, se non concorre dall’alto la mano divina. Giacché dice: Se il Signore non costruisce la casa e non custodisce la città, invano veglia il custode, e ugualmente chi si affatica e chi costruisce”.
MOSE’ L’ETIOPE
MOSE’ L’ETIOPE – Padre del deserto
La Storia Lausiaca
19, 1. Un uomo chiamato Mosè, di origine etiopica e di pelle nera, faceva da domestico a un funzionario. A causa di una grave tendenza al male e di molte ruberie il suo padrone lo scacciò: si diceva addirittura che si spingesse sino ad uccidere. Devo necessariamente esporre le opere della sua malvagità, per manifestare la santità della sua conversione. Si raccontava dunque che era a capo di una banda di ladroni; fra le sue imprese banditesche spicca questo episodio: serbava rancore verso un pastore che con i suoi cani l’aveva ostacolato in una azione. 2. Deciso ad ucciderlo, si mette a percorrere la zona in cui egli teneva lo stabbio delle pecore. Gli fu detto che si trovava al di là del Nilo; il fiume era in piena e si estendeva per quasi un miglio, ma Mosè, serrata fra i denti la daga e avvolta al capo la tunica, nuotando riuscì in tal modo a raggiungere l’altra riva. Or dunque, mentre costui attraversava a nuoto il fiume, il pastore trovò modo di sfuggirgli, seppellendosi nella sabbia. Uccise allora i quattro migliori arieti, li legò con una fune e riattraversò a nuoto. 3. Giunto in un piccolo cortile li scuoiò, e mangiate le carni migliori vendette le pelli in cambio di vino, e dopo avere bevuto un saite (come a dire ben diciotto sestieri italici) se ne andò lontano cinquanta miglia, là dove aveva la sua banda.
Questo grande peccatore tardivamente fu toccato dal pentimento in seguito a un qualche rovescio; si consacrò alla vita dell’eremo e così intensamente si accostò alla pratica della penitenza da indurre a riconoscere apertamente il Cristo persino colui che condivideva la sua colpa, quel demone che era stato complice dei suoi misfatti sin dalla giovinezza!. Per esempio, si racconta che dei ladri fecero irruzione una volta nella sua cella mentre era seduto, ignorando chi fosse. Erano quattro; 4. ed egli li legò tutti assieme e caricatili sulle spalle come un sacco di paglia li portò alla chiesa dei suoi confratelli dicendo: «Poiché non mi è consentito fare del male a nessuno, che cosa volete che si faccia di costoro?». Allora essi si confessarono colpevoli e, avendo saputo che si trattava di quel Mosè tanto famoso un tempo fra i ladroni, glorificarono Dio e rinunziarono anch’essi al mondo imitando il suo cambiamento. Questo fu il loro pensiero: «Se costui, così forte e valente nelle imprese ladresche, ha potuto sentire il timore di Dio, perché noi rimandiamo la salvezza?».
5. Questo Mosè fu assalito dai demoni che lo spingevano alla sua [antica] consuetudine di sfrenata lussuria; com’egli raccontava, fu tentato fino al punto da venir quasi sviato dal suo proposito. Perciò raggiunse il grande Isidoro, l’abitatore della Scete, e gli raccontò la guerra che conduceva. Isidoro gli disse: «Non addolorarti: è la tua iniziazione, e per questo ti hanno assalito con più violenza cercando di sfruttare la tua antica abitudine. 6. Come il cane di una macelleria non se ne allontana a causa dell’abitudine, ma se il negozio viene chiuso, e nessuno gli dà nulla, non si avvicina più, così sarà per te: se saprai resistere, il demonio scoraggiato dovrà allontanarsi da te». Dunque egli ritornò indietro e da quel momento si dedicò più intensamente all’ascesi, astenendosi specialmente dai cibi: non mangiava nulla, tranne pane secco nella misura di dodici once, e ciò mentre realizzava una grande quantità di lavoro e portava a compimento cinquanta preghiere. Ebbene, pur avendo macerato il suo miserabile corpo, continuava a bruciare, e a essere perseguitato da cattivi sogni. 7. Consultò allora un altro santo e gli chiese: «Che cosa devo fare? I sogni della mia anima mi ottenebrano la mente, seguendo il suo abituale istinto di lussuria». E quegli rispose: «Tu non hai liberato la tua mente dal fantasticare su questi temi: ecco perché sei assoggettato a questo tormento. [Rifugiati nella veglia, prega rimanendo digiuno e presto ne sarai liberato]». Udita anche questa esortazione si ritirò, e nella sua cella si ripromise di non dormire per tutta la notte e di non piegare il ginocchio. 8. Rimasto sei anni nella cella, tutte le notti stava in piedi in mezzo alla cella e pregava, senza chiudere gli occhi; ma non riuscì ad averla vinta. Allora s’impose un’altra disciplina: usciva di notte e se ne andava nelle celle dei vecchi e degli asceti più progrediti, e prendendo di nascosto le loro brocche le riempiva d’acqua. Infatti, essi hanno l’acqua lontana, chi due miglia, chi cinque migliaia, chi mezzo miglio. 9. Or dunque una notte il demonio lo spiò e, perduta la pazienza, lo colpì alle reni con un bastone mentre si chinava sul pozzo, e lo lasciò come morto, inacapace di avvertire che cosa avesse subito e da parte di chi. Il giorno seguente, un tale venuto ad attingere acqua lo trovò a giacere lì, e ne diede notizia a Isidoro, il presbitero della Scete. Questi lo prese e lo portò nella chiesa; per un anno stette male, e a stento il suo corpo e la sua anima ripresero forza. 10. Il grande Isidoro gli disse dunque: «Cessa di contendere con i demoni, Mosè, e non insultarli; c’è un limite anche per il coraggio che si esprime nell’ascesi».
Ed egli rispose: «Non potrò cessare finché non cesseranno le visioni prodotte dai demoni». E l’altro disse: «In nome di Gesù Cristo, i tuoi sogni sono cessati; prendi dunque con fiducia la comunione: sei stato oppresso in questo modo per il tuo bene, perché non ti vantassi di aver vinto una passione.» 11. Se ne ritornò quindi nella cella. Interrogato di nuovo da Isidoro dopo circa due mesi, disse di non avere più provato nessuna tentazione. Egli fu giudicato degno di ricevere il carisma contro i demoni, al punto che temeva il demonio meno di quanto noi temiamo le mosche. Questa fu la vita di Mosè l’Etiope: anch’egli annoverato fra i padri, come uno dei grandi. Morì dunque a settantacinque anni nella Scete, dopo essere divenuto presbitero; lasciò anche settanta discepoli.
Apoftegmata
ἀποφθέγματα τῶν ἁγίων γερόντων
1. Un giorno il padre Mosè fu fortemente tentato di fornicazione e, poiché non riusciva più a resistere in cella, andò a manifestarlo al padre Isidoro, e l’anziano [ 36 ] gli consigliò di ritornare nella sua cella. Ma egli non accettò e diceva: «Non ci riesco, padre». Questi allora lo prese con sé, lo condusse sul tetto e gli disse: «Guarda verso occidente». Guardò, e vide una moltitudine innumerevole di demoni, che si agitavano e rumoreggiavano in assetto di guerra. «Guarda anche a oriente – gli disse poi il padre Isidoro –, questi sono gli inviati di Dio in aiuto dei santi. A occidente ci sono coloro che ci fanno guerra; ma quelli che sono con noi sono più numerosi» [ 37 ]. Così il padre Mosè, ringraziando Dio, prese coraggio, e ritornò nella sua cella (281bc; PJ XVIII, 12).
2. Un giorno peccò un fratello a Scete; e i padri, radunatisi, mandarono a chiamare il padre Mosè. Ma, poiché egli non voleva venire, il presbitero gli mandò a dire: «Vieni, la gente ti aspetta!». Egli allora si mosse e venne, portando sulle spalle una cesta forata piena di sabbia. Gli andarono incontro dei fratelli e gli chiesero: «Padre, cos’è mai questo?». Disse loro l’anziano: «Sono i miei peccati che scorrono via dietro di me senza che io li veda. E oggi sono venuto qui, per giudicare i peccati degli altri». A queste parole non dissero nulla al fratello, e gli perdonarono (281d-284a; PJ IX, 4).
3. Una volta in cui si teneva un raduno a Scete, i padri disprezzarono il padre Mosè, per metterlo alla prova. Dissero: «Perché anche questo etiope s’intromette in mezzo a noi?». A queste parole egli rimase in silenzio. Dopo che se ne furono andati, qualcuno gli chiese: «Padre, non ti sei turbato?». «Sì – dice loro – mi sono turbato, ma non ho detto nulla [ 38 ]» (PJ XVI, 7).
4. Del padre Mosè, raccontavano che, quando divenne chierico e gli imposero l’efod [ 39 ], l’arcivescovo gli disse: «Ecco, padre Mosè, sei diventato tutto bianco». Ed egli: «L’esterno forse, signor papa, ma l’interno?». Per metterlo alla prova, l’arcivescovo disse ai chierici: «Quando il padre Mosè entra nel santuario, cacciatelo e quindi seguitelo per udire ciò che dice». L’anziano entrò nel santuario, ed essi lo insultarono e lo cacciarono dicendo: «Va’ fuori, etiope!». Egli uscì dicendo a se stesso: «Ben ti sta, o moro dalla pelle color di terra! Dato che non sei un uomo, perché vuoi andare in mezzo agli uomini?» (284ab; PJ XV, 29).
5. Un giorno fu dato ordine ai monaci di Scete di digiunare per quella settimana. E accadde che dall’Egitto [ 40 ] venissero dei fratelli in visita al padre Mosè, ed egli fece per loro un po’ di brodo. Vedendo il fumo, i vicini dissero ai chierici: «Ecco, il padre Mosè ha infranto il precetto e si è fatto un brodo». Essi dissero: «Ne parleremo con lui quando verrà». Quando giunse il sabato, i chierici, vedendo il nobile atteggiamento del padre Mosè, gli dissero di fronte a tutti: «Padre Mosè, hai infranto il precetto degli uomini, ma hai custodito quello di Dio» (284bc; PJ XIII, 4).
6. Un fratello si recò a Scete dal padre Mosè per chiedergli una parola. L’anziano gli disse: «Va’, rimani nella tua cella, e la tua cella ti insegnerà ogni cosa» [ 41 ] (PJ II, 9).
7. Il padre Mosè disse: «Un uomo che fugge agli uomini assomiglia a una vite matura; ma quello che rimane in mezzo agli uomini è come uva acerba» (284c-285a).
8. Il magistrato sentì parlare del padre Mosè e andò a Scete per vederlo; ma alcuni avvisarono l’anziano, ed egli fuggì verso la palude. Quelli lo incontrarono per strada e gli chiesero: «Dicci, anziano: dov’è la cella del padre Mosè?». Egli chiese loro: «Cosa volete da lui? È uno stolto!». Quando giunse alla chiesa, il magistrato disse ai chierici: «Poiché ho sentito parlare molto del padre Mosè, sono venuto per vederlo [ 42 ]; ma abbiamo incontrato ora un anziano in cammino verso l’Egitto, e gli abbiamo chiesto: – Dov’è la cella del padre Mosè?, e ci ha detto: – Che volete da lui? È uno stolto! [ 43 ]». A queste parole i chierici si rattristarono e chiesero: «Com’era l’anziano che ha parlato in tal modo contro quel santo?». Risposero: «Era un anziano vestito con vecchi indumenti, alto e scuro di pelle». Ed essi: «Ma questi è il padre Mosè! Vi ha risposto così perché non voleva incontrarsi con voi!». Il magistrato se ne andò molto edificato (285ab; PJ VIII, 10).
9. A Scete il padre Mosè soleva dire: «Se custodiamo i precetti dei nostri padri, vi garantisco davanti a Dio che i barbari non verranno qui; ma se non li custodiamo, questo luogo sarà devastato» [ 44 ] (PJ XVIII, 13).
10. Il padre Mosè disse un giorno ai fratelli, che erano seduti attorno a lui: «Ecco, oggi verranno i barbari a Scete. Alzatevi e fuggite!». Gli dicono: «Ma tu non fuggi, padre?». Dice loro: «Aspetto da tanti anni questo giorno perché si adempia la parola di Cristo Signore che ha detto: Tutti quelli che prenderanno la spada, periranno di spada [ 45 ]». Essi dissero: «Nemmeno noi fuggiremo, ma moriremo con te!». Ed egli: «Questo non mi riguarda; consideri ognuno da sé come comportarsi». Erano sette fratelli; e disse loro: «Ecco, i barbari sono vicini alla porta». Entrarono e li uccisero. Uno di essi fuggì spaventato dietro a un mucchio di corde, e vide sette corone scendere a incoronarli (285bc; PJ XVIII, 14).
11. Un fratello interrogò il padre Mosè: «Vedo davanti a me ciò che devo compiere, ma non ci riesco». Gli disse: «Se non diventi morto come coloro che sono sepolti [ 46 ], non puoi venirne a capo».
12. Il padre Poemen raccontò di un fratello che chiese al padre Mosè in che modo si diviene morti al prossimo. L’anziano gli disse: «Se l’uomo non si pone nel cuore di essere già da tre giorni [ 47 ] nella tomba, non giunge a questo stato» (285d; PJ X, 63).
13. A Scete dicevano che un giorno il padre Mosè, andando a Petra, si stancò molto lungo la strada. E disse fra sé: «Come potrò qui raccogliere l’acqua per me?». E venne a lui una voce che disse [ 48 ]: «Entra e non preoccuparti». Entrò allora e incontrò alcuni padri. Ma aveva soltanto una piccola brocca d’acqua. Preparò un po’ di lenticchie e così la consumò tutta. L’anziano, angustiato, entrava e usciva [ 49 ] da quella cella pregando Dio. Ed ecco che una nube, carica di pioggia, venne su Petra e riempì tutti i suoi otri. Chiedono quindi all’anziano: «Perché entravi e uscivi?». Ed egli dice loro: «Ho intentato causa a Dio con queste parole: – Ecco, tu mi hai portato qui e io non ho acqua da dar da bere ai tuoi servi. Per questo entravo e uscivo, pregando Dio finché egli ce l’ha mandata» (285d-288a).
Sette capitoli che il padre Mosè inviò al padre Poemen [ 50 ]
Colui che li metterà in pratica sfuggirà a ogni castigo e vivrà nella pace, sia che viva nel deserto sia in mezzo a dei fratelli.
1 (14). Bisogna che l’uomo sia morto al suo prossimo, per non giudicarlo in nulla (288b).
2 (15). Prima di uscire dal corpo, l’uomo deve rendersi morto a ogni azione malvagia, così da non fare male a nessuno.
3 (16). Se l’uomo non conserva nel cuore il pensiero di essere peccatore, Dio non lo esaudisce. Disse il fratello: «Che cosa significa avere nel cuore il pensiero di essere peccatore?». Dice l’anziano: «Significa che chi porta il peso dei propri peccati non guarda quelli del prossimo».
4 (17). Se l’azione non concorda con la preghiera, l’uomo si affatica invano [ 51 ]. Disse il fratello: «Che cosa significa l’accordo dell’azione con la preghiera?». Dice l’anziano: «Significa non commettere più quei peccati per i quali preghiamo [ 52 ]. Infatti, quando l’uomo ha rinunciato alle proprie volontà, Dio si riconcilia con lui e accoglie la sua preghiera». (18) E il fratello chiese: «Che cosa aiuta l’uomo in ogni sua fatica?». Gli dice l’anziano: «È Dio che aiuta; sta scritto infatti: Dio è nostro rifugio e nostra forza, aiuto nelle tribolazioni che sopravvengono con violenza [ 53 ]» (288bc).
5 (18). Disse il fratello: «A cosa servono i digiuni e le veglie dell’uomo?». Dice a lui l’anziano: «Servono a umiliare l’anima. Sta scritto infatti: Guarda la mia umiliazione e la mia fatica, e perdona tutte le mie colpe [ 54 ]. Se l’anima produce questi frutti, per essi il Signore si impietosisce su di lei».
6 (18). «Che cosa bisogna fare – chiese il fratello – al sopraggiungere di ogni tentazione e di ogni pensiero suggerito dal nemico?». Gli dice l’anziano: «Bisogna piangere di fronte alla bontà di Dio perché ci aiuti; e troveremo presto la quiete, se la nostra invocazione sarà compiuta con conoscenza [ 55 ]. Sta scritto infatti: Il Signore è il mio aiuto e non temerò quel che può farmi l’uomo [ 56 ]».
7 (18). Il fratello chiese: «Se un uomo colpisce il suo servo per una colpa da lui commessa, cosa deve dire il servo?». L’anziano rispose: «Se è un servo buono, dirà: – Abbi pietà, ho peccato». «Non dirà nient’altro?». Dice l’anziano: «No. Dal momento in cui prende su di sé il rimprovero e dice: – Ho peccato, il suo padrone ha subito pietà di lui. Conclusione di tutto questo è: non giudicare il prossimo. Infatti, quando la mano del Signore uccise ogni primogenito in terra d’Egitto, non rimase casa in cui non vi fosse un morto» [ 57 ]. Dice a lui il fratello: «Che cosa significa questo?». «Significa – dice l’anziano – che, se prestiamo attenzione a guardare i nostri peccati, non vediamo quelli del prossimo. Sarebbe follia se un uomo che ha in casa il proprio morto, lo lasciasse, per andare a piangere quello del prossimo. Morire al prossimo significa che tu porti i tuoi peccati e non ti preoccupi di nessuno, se questo è buono, o quest’altro cattivo. Non fare del male a nessuno, e non pensare contro alcuno nulla di male nel tuo cuore. Non disprezzare chi commette il male, non accondiscendere a chi fa del male al suo prossimo [ 58 ] e non gioire con chi fa del male al suo prossimo. Non dire male di nessuno; di’ invece: – Il Signore conosce ogni uomo [ 59 ]. Non essere complice di chi fa maldicenza, non rallegrarti di ciò che egli dice, ma non odiare chi parla male del prossimo [ 60 ]. Questo è non giudicare. Non avere ostilità verso nessuno, non conservare inimicizia nel tuo cuore e non odiare chi nutre inimicizia contro il suo prossimo. La pace è questo. In tutto ciò consolati con il pensiero: la fatica dura breve tempo e il riposo per sempre, grazie al Verbo di Dio. Amen» (288c-289c).
Discepolo di Antonio il Grande che, alla morte di quest’ultimo, prima di diventare Vescovo, pare che passò a dirigere la colonia di monaci di Pispir. Non ci sono dati certissimi ed il dubitativo lo mettiamo perché all’epoca in Egitto il nome Ammonas era abbastanza diffuso. A lui sono state attribuite 14 lettere che rappresentano un’ottima fonte – una delle più importanti dopo gli Apoftegmi – per conoscere il monachesimo primitivo fiorito nel deserto egiziano.
La nostra traduzione e la numerazione sono basate sul testo siriaco tradotto in francese e spagnolo:
Lettres des Pères du désert. Ammonas, Macaire, Arsène, Sérapion de Thmuis, Abbaye de Bellefontaine 1985, pp. 3-54 , publicada por D. Bernard Outtier y D. Lucien Regnault (monjes de Solesmes) in (Spiritualité orientale, nº 42)
Cuadernos Monásticos n. 113 (1995), Introducción a las Cartas de Ammonas
La traduzione del testo greco è disponibile in italiano nel volume: R. Cherubini, Conoscere Dio, Lettere ed altri scritti di Ammonas, Urbaniana University Press, 2011.
Lettera I1[Salute]
1. Prima ditutto, carissimi fratelli, prego per la vostra salute spirituale. Perché le cose visibili sono temporanee, ma le cose invisibili sono eterne (2 Cor 4,18). Ora vedo che il vostro corpo è spirituale e pieno di vita2. Ora, se il corpo ha la vita, Dio gli darà un’eredità3. e sarà considerato erede di Dio. Dio gli pagherà la ricompensa per tutto il suo lavoro, perché ha avuto cura di conservare in vita tutto il suo frutto, per essere considerato erede di Dio. Ora sono felice per voi e per il vostro corpo, perché è pieno di vita. D’altra parte, colui il cui corpo è morto non sarà considerato erede di Dio; inoltre, Dio lo accusa quando parla per mezzo del profeta, in questi termini: Grida forte, non fermarti, alza la voce come una tromba! Fai conoscere al mio popolo i suoi peccati e alla casa di Giacobbe le sue iniquità! Mi cercano giorno dopo giorno e vogliono avvicinarsi a Dio, dicendo: “E allora? Abbiamo digiunato e tu non l’hai visto. Abbiamo umiliato la nostra anima e tu non lo sapevi» (Is 58,1-3).
Ecco cosa risponde loro: Perché nei giorni del loro digiuno si sono trovati a fare la propria volontà, e opprimono tutti i loro operai e maltrattano i loro nemici; digiuni per citare in giudizio e combattere. Non è così che la tua voce sarà ascoltata in alto oggi! Questo non è il digiuno che ho scelto, dice il Signore; Ora puoi chinare il collo come un asino e sdraiarti su sacco e cenere, ma non chiamarlo digiuno accettabile (Is 58,3-5). Questo è un corpo morto4; Per questo il Signore non li ascolta quando pregano Dio, ma, al contrario, li accusa. E inoltre, riguardo a questi, nel Vangelo si dice: Se la luce che è in te è tenebra, quante tenebre ci saranno! (Mt 6,23). Il profeta aggiunge severamente su di loro: Tutta la sua giustizia è come il lino macchiato di una donna (Is 64,6). Quindi ora è un corpo morto. 2. Ma voi, carissimi fratelli, non avete nulla in comune con quel cadavere, perché il vostro corpo è pieno di vita. Prego Dio per voi, perché vegli su di voi, che il vostro corpo non cambi, ma anzi cresca con voi e cresca in grazia e gioia, nell’amore fraterno e nell’amore per i poveri, nei buoni costumi e in tutti i frutti della giustizia, finché non lasceremo questa vita e ci ricevano in quella magione5 dove non c’è tristezza, né pensiero cattivo, né malattia, né tribolazione, ma gioia e felicità6 gloria e luce eterna, paradiso e frutto che non passa; e che arriviamo7 alle dimore degli angeli e all’assemblea dei primogeniti, i cui nomi sono scritti nei cieli (Eb 12,22-23), e a tutte le promesse di cui non possiamo parlare ora. 3. Vi ho scritto queste cose per amor vostro, affinché i vostri cuori si rafforzino. Ci sono ancora molte (altre) cose che vorrei scrivervi, però da un’opportunità al saggio, ed egli diverrà più saggio (Pr 9,9). Possa Dio preservarti da questo mondo malvagio, affinché tu possa essere sano nel corpo, nello spirito e nell’anima; ti dia intelligenza in tutto (2 Tm 2,7), perché tu sia libero dall’errore di questo tempo.
Comportatevi bene nel Signore, miei carissimi fratelli. Ogni corpo morto viene all’uomo per amore della vanagloria e dei piaceri8.
NOTE:
1 È conservato solo in siriano (n. 1), georgiano (n. 13, inedito), arabo (con n. 15) e armeno (con n. 2).
2 Il testo siriaco porta corpo, mentre il georgiano, l’arabo e l’armeno leggono frutti.lettura corpo è la “lectio difficilior”, prediletta da D. Outtier e D. Regnault. Deve essere inteso come «il rinnovamento dello stesso corpo per opera dello Spirito Santo, anticipazione della condizione risorta» (Lettres, p. 17, nota 1).
3 Antonio, Epistola 5,4.
4 Quello che segue, fino alla fine del paragrafo, manca alla versione siriaca.
5 Il siriaco recita: “Dio ci riceva ciascuno in quella magione”.
6 Antonio, Epistola 4,12.
7 Siriaco: “E possa Egli riceverci.”
8 Georgiano, arabo e armeno portano: “E dai piaceri del corpo”.
Lettera II9[Forza]
1. A coloro che sono cari nel Signore, un gioioso saluto!
Se uno ama il Signore con tutto il suo cuore e con tutta la sua anima (Dt 6,5; Mt 22,37), e rimane nel timore con tutte le sue forze10, il timore produrrà il pianto, e le lacrime gli daranno la sua felicità. La gioia produrrà forza e, attraverso di essa, l’anima porterà frutto in ogni cosa. E Dio, vedendo che il suo frutto è così bello, lo riceve come un profumo gradevole. In tutte queste cose si rallegrerà Dio in lei [=l’anima] con i suoi angeli11; e le darà un guardiano che la custodirà in tutte le sue vie (Sal 90,11) per condurla al luogo di riposo12, affinché Satana non la governi. Perché quando il diavolo vede il guardiano, cioè la forza che è intorno all’anima, fugge e non osa avvicinarsi all’uomo, temendo la forza che è intorno a lui. Per questo, amatissimi nel Signore, voi che la mia anima ama, so che siete amici di Dio. Acquisite, dunque, questa forza per voi stessi, affinché Satana vi tema e possiate agire con saggezza in tutte le vostre azioni. Così la dolcezza della grazia verrà su di te e farà crescere il tuo frutto13. Perché la dolcezza della grazia spirituale è più dolce del miele e del favo (Sal 18,11), e pochi14 monaci e vergini hanno conosciuto questa grande dolcezza della grazia15, tranne pochi in certi luoghi, perché non hanno ricevuto la forza divina16. Non hanno coltivato quella forza, e perciò il Signore non gliela ha data; perché a tutti coloro che la coltivano, Dio la dona. Dio non ha riguardo per le persone (At 10,34), ma la dona di generazione in generazione a coloro che la coltivano.
2. Ora, carissimi, so che siete amici di Dio e che, dal momento in cui siete venuti a quest’opera [=vita monastica], amate Dio con tutto il vostro cuore, con la sincerità dei vostri cuori. Acquisite dunque quella forza divina, per trascorrere tutta la vostra vita nella libertà, nella gioia e nella felicità17, affinché l’opera di Dio18 si renda facile per voi. E quella forza che è data all’uomo quaggiù, lo farà riposare, finché non avrà superato tutte le potenze dell’aria (Ef 2,2). Poiché nell’aria ci sono potenze che ostacolano il cammino degli uomini e non vogliono che salgano verso Dio19. Perciò ora preghiamo Dio incessantemente, affinché queste potenze non ci impediscano di ascendere verso Dio, perché finché i giusti hanno con sé la forza divina, nessuno può ostacolarli. Affinché quella forza dimori nell’uomo, ecco come coltivarla20: disprezzare tutti gli oltraggi e gli onori umani, odiare tutti i vantaggi di questo mondo che sono considerati preziosi21 e tutti i piaceri del corpo, purificare il cuore da tutti i pensieri impuri e da tutta la vuota saggezza di questo mondo, e chiedere (forza) giorno e notte, con lacrime e digiuni. E Dio, che è buono, non tarderà a darteli, e quando ve li avrà dati, trascorrerete tutto il tempo della vostra vita in pace e tranquillità; troverete la libertà davanti a Dio ed Egli esaudirà tutte le vostre richieste, come sta scritto (Sal 36,4; Mt 21,22)22.
Ci sono tante altre cose che vorrei scriverti, ma questo poco vi ho scritto per il grande amore che ho per voi. Con tutto il cuore siate buoni nel Signore, onorevoli fratelli, amici di Dio23
NOTE:
9 È conservato in Siriaco (n. 2), georgiano (n. 1), greco (n. 2) e arabo (n. 9).
10Siriaco e arabo: “E con tutte le sue forze acquista paura”.
11 Vedi Lc 15,10; Antonio, Epistola 3,1.
12 Il Siriaco dice: “Finché non sia entrato nel luogo della vita”. L’inizio di questa lettera è conservato in copto, in una raccolta di Apothegms: Annales du Musée Guimet, t. 25, pag. 25 (Lettres, p. 19, nota 2).
13 Siriaco: “La dolcezza di Dio, per quanto è possibile, produrrà forza in te.” Greco: “Affinché la dolcezza della grazia progredisca e faccia crescere il suo frutto”.
14 Greco: “La maggior parte”.
15 Siriaco: “Dolcezza della divinità”; Arabo: “Dolcezza dell’amore divino”.
16 Greco: “Perché non hanno ricevuto la forza celeste”.
17 Siriaco: “In modo che tu possa lavorare in ogni momento con facilità e gioia.” Il greco omette “gioia e letizia”.
18 Siriaco: “Tutta l’opera di Dio”.
19 Cfr Atanasio di Alessandria, Vita di Antonio 65.
20 Siriaco: “L’effetto dell’opera divina”; Georgiano: “Le sue opere”.
21 Il siriaco e l’arabo omettono “che sono considerati preziosi”.
22 Il greco continua con la lettera 3, che è la 4 del siriaco. “Se dopo averlo ricevuto, il fervore divino si allontana e ci abbandona, domandatelo di nuovo e tornerà. Infatti il fervore divino è come fuoco e trasforma il freddo nella propria stessa potenza. Se vedete il vostro cuore ad un certo momento appesantito, mettete la vostra anima davanti a voi ed esaminatela mentalmente con un santo ragionamento, così che per forza si scalderà di nuovo e brucerà in Dio. Il profeta Davide stesso, quando vide il suo cuore appesantito disse: Ho versato la mia anima su di me (Sal 41,5), ho ricorsato i giorni passati e ho meditato su tutte le tue opere (Sal 142,5), e così via. In questo modo ha fatto si che il suo cuore si riscaldasse di nuovo ed ha ricevuto la dolcezza del Santissimo Spirito”
23 “Onorevoli fratelli, amici di Dio”, è la lezione del georgiano; Siriaco: “In ogni opera dell’amore di Dio”.
Lettera III 24 [Umiltà]
Agli onoratissimi fratelli nel Signore, un gioioso saluto!25
1. Vi scrivo questa lettera come grandi amici di Dio, che lo cercano con tutto il cuore. È a loro, infatti, che Dio ascolta quando pregano, li benedice in tutto ed esaudisce tutte le richieste della loro anima quando lo invocano. Ma in quanto a coloro che si accostano a Lui, non con tutto il cuore, ma dubitando e compiendo le loro opere per essere glorificati dagli uomini (Mt 6,2), Dio non ascolta le loro richieste, ma anzi si adira con loro, perché sta scritto: Dio disperderà le ossa di coloro che cercano di piacere agli uomini (Sal 52,6)26. 2. Vedi come Dio è adirato con le loro opere e non esaudisce nessuna delle loro richieste; anzi, li resiste, poiché fanno le loro opere non con fede, ma secondo l’uomo. Per questo la forza divina non abita in loro, sono malati in tutte le opere che compiono. Per questo non conoscono la potenza della grazia, né la sua facilità né la sua gioia, ma la loro anima è ostacolata in tutte le sue opere come da un peso. Tale è la maggioranza dei monaci27, non hanno ricevuto la forza della grazia che anima l’anima, la dispone alla gioia e le dona ogni giorno quella gioia che fa ardere il suo cuore in Dio28. Perché quello che fanno, lo fanno secondo l’uomo; così la grazia non è scesa su di loro. La forza di Dio, infatti, odia chi opera per piacere agli uomini29.
3. Perciò, diletti, che amate la mia anima e i cui frutti sono presi in considerazione da Dio, combattete in tutte le vostre opere lo spirito di vanagloria per vincerla in tutto. In modo che tutto il tuo corpo sia gradevole e rimanga vivo con il Creatore, e che tu riceva la forza della grazia, che supera tutte queste cose. Sono convinto, fratelli, che fate di tutto per questo, resistendo allo spirito di vanagloria e combattendolo sempre. Per questo il vostro corpo ha vita. Perché quello spirito maligno si manifesta davanti all’uomo in ogni opera di giustizia che l’uomo inizia, vuole corromperne il frutto e renderlo inutile, per non permettere30 che gli uomini compiano l’opera della giustizia secondo Dio. In effetti, questo spirito malvagio combatte coloro che vogliono essere fedeli. Se alcuni sono lodati dagli uomini come fedeli o umili o misericordiosi, immediatamente questo spirito malvagio si impegna contro di loro; e certamente è vittorioso, dissolve e distrugge i loro corpi31, perché li incita a compiere le loro azioni virtuose con la preoccupazione di piacere agli uomini e così perde i loro corpi32. Finché gli uomini credono di avere qualcosa, davanti a Dio non hanno nulla33. Per questo Dio non dà loro forza, ma li lascia vuoti, poiché non ha trovato i loro corpi pronti per essere saziati, e li priva della grandissima dolcezza della grazia.
4. Ma voi, carissimi, combattete contro lo spirito di vanagloria e pregate sempre, per vincerlo in tutto; affinché la grazia di Dio sia sempre con voi. Chiederò a Dio, nella sua bontà, di darvi questa forza e questa grazia34 in ogni momento, perché niente è più eccellente di questo35. Se vedi il fervore divino allontanarsi e abbandonarti, chiedilo ancora e ti tornerà. Perché quel fervore è come un fuoco che cambia il freddo nella sua stessa natura. Se vedi il tuo cuore improvvisamente addormentato in certi momenti, poni la tua anima davanti a te, sottoponila alla prova di un pio interrogatorio, e così, necessariamente, sarà di nuovo calda e infiammata in Dio. Perché anche il profeta Davide, vedendo la sua anima travolta dal dolore, parlò così: Ho riversato l’anima su me stesso (Sal 41,6), ho ricordato i tempi antichi, ho meditato tutte le tue opere, ho disteso verso di te le mie mani L’anima mia, come terra arida, sospirò per te (Sal 142,5-6). Così agì Davide quando sentì il suo cuore sopraffatto e freddo, finché non restituì il calore e ricevette la dolcezza della grazia divina36.
Notte e giorno osservava e supplicava. Fai anche tu questo, amatissimo, e crescerai e Dio ti rivelerà i suoi grandi misteri.
Il Signore ti conservi irreprensibile e sano nell’anima, nello spirito e nel corpo, finché non ti conduca alla sua propria dimora37 con i tuoi padri38 che hanno combattuto bene e hanno terminato la loro corsa in Cristo, al quale sia la gloria nei secoli dei secoli.
NOTE:
24 Questa epistola può essere letta nelle versioni siriaca (n. 3), georgiana (n. 2), greca (n. 6), araba (n. 10).
25 Questo saluto manca in siriaco e arabo. In greco si legge solo: “Saluti”.
26 Nell’Epistola Arsenio (nº 68) si trova la stessa citazione biblica (tutto il versetto); vedere Lettere, pag. 112.
27 Siriaco e arabo aggiungono: “Del nostro tempo”.
28 Siriaco: “La dolcezza che rende il cuore ardente per Dio.”
29 Greco: “Fa le sue azioni per rispetto umano”.
30 Siriaco aggiunge: “Per quanto può.”
31Siriaco: “Ma come fa a distruggere (i loro corpi) e sottometterli in modo che perdano il loro modo di vivere e la loro virtù? Quando li incita…”
32 Siriaco: “Quando pensano di possedere qualcosa dall’uomo.”
33Da “prima”, questa frase manca in siriaco.
34Invece di forza e grazia, il siriano porta “gioia”.
35Questo pezzo da “Ma voi” a “eccellente” manca dal greco.
36Da: “Se vedi…”, la traduzione corrisponde all’epistola 2,3 del testo greco. Questa versione non include la citazione dal versetto 6 del Sal 142; e termina dicendo: “Così il suo cuore si infiammò di nuovo e ricevette la dolcezza dello Spirito santissimo”. Ciò che segue non si trova in greco.
37Il siriaco aggiunge: “Nel regno”.
38Il siriaco conclude così: “Che hanno posto fine alla loro vita per sempre. Amen”.
NOTE:
39N. 4 in siriaco e georgiano, n. 3 in greco e n. 11 in arabo.
40 Questo saluto manca in siriano.
41Gal 4.28 .
42Cfr. l’ Apotegma, dalla serie alfabetica, Pastor 52; PG 65.333.
43Il siriaco porta: “E l’illuminazione degli occhi”.
44Siriaco: “figli adottivi”; vedere Rm 8.15.
45“Né uomo né diavolo” non si legge in georgiano e nemmeno in greco.
46Greco: “Conoscerlo”.
47Siriaco: “Affinché conoscano le ricchezze dell’eredità dei santi.
48Siriaco: “Possa questa discrezione essere definitivamente radicata in te.”
49Il siriaco e l’arabo leggono: “tuo padre”, invece di “umile”.
50Greco: “Pochi numerosi benedetti da Dio”.
51Greco: “Dal menzionare tra voi il nome di un monaco…”.
52Siriaco: “Dalla comunità.”
Lettera V 53 [Paternità spirituale]
All’amato nel Signore.
1. Tu sai che l’amore di Dio esige l’amore del prossimo incessantemente. Ora, il prossimo è colui che è stato chiamato alla vocazione celeste. Il servo di Dio prega notte e giorno per il prossimo, come per se stesso. E poiché sei anche il mio prossimo, ti ricordo notte e giorno nelle mie preghiere, affinché la tua fede cresca e tu acquisisca maggiore forza54. Lo faccio per voi, perché in Dio siete considerati figli. Timoteo era considerato un figlio da Paolo, e gli scrisse quanto segue: Ti ricordo notte e giorno nelle mie preghiere e desidero vederti. Ricordo le tue lacrime e sono pieno di gioia, perché ricordo la fede sincera che hai55 (2 Tm 1,3-5). 2. Ora, mio carissimo, come fece Paolo con Timoteo, anche il mio cuore desidera vederti, ricordando i tuoi gemiti e il dolore del tuo cuore.
Ma so che anche tu vuoi vedermi e che è molto redditizio per te. Paolo, infatti, ha detto: voglio andare a vederli, per dare loro qualche grazia spirituale che li rafforzi (Rm 1,11). Perciò, sebbene siano molto istruiti dallo Spirito Santo, se vado a visitarli, li affermerò molto con la dottrina dello stesso Spirito, e farò loro conoscere anche altre cose che non posso scrivere loro con lettera.
Comportati bene nel Signore, nello Spirito di bontà.
NOTE:
53È conservato in siriaco (n. 5), georgiano (n. 5) e arabo (n. 12).
54Cfr. Lettera 2 di Ammonas.
55Siriaco: “Libero dal rispetto delle persone”.
Lettera VI56 [La paternità spirituale. Preghiera per i vostri figli]
1. Notte e giorno prego perché cresca in voi la forza di Dio e vi riveli i grandi misteri della divinità, dei quali non posso parlare con la mia lingua, perché sono grandi; non sono di questo mondo e si rivelano solo a coloro il cui cuore è purificato da ogni macchia e da ogni vanità di questo mondo; coloro che hanno preso la loro croce e che insieme a questo si odiano e sono stati obbedienti a Dio in tutto. In questi dimora la divinità e lei nutre la sua anima. Infatti, come gli alberi non crescono se non sono raggiunti dalla forza dell’acqua, così l’anima non può crescere se non riceve la gioia celeste. E tra coloro che la ricevono, ve ne sono alcuni ai quali Dio rivela i misteri celesti, mostra loro il loro posto57, mentre sono ancora nel corpo, ed esaudisce tutte le loro richieste.
2. Ecco dunque la mia preghiera notte e giorno: che tu raggiunga quel grado e che tu conosca le infinite ricchezze di Cristo (Ef 3,8), poiché sono pochi quelli che sono stati resi perfetti. E sono coloro per i quali sono stati preparati i troni, affinché siedano con Gesù per giudicare gli uomini58. Perché in ogni generazione ci sono uomini giunti a quella misura, per giudicare ciascuno della sua generazione59. Questo è ciò che ti chiedo incessantemente in virtù dell’amore che ho per te. Il beato Paolo disse a coloro che amava: Io voglio dare loro non solo il vangelo di Cristo, ma anche la nostra vita, perché ci sono diventati molto cari (1Ts 2,8 ). Ho mandato a te mio figlio, finché Dio non mi conceda di venire corporalmente a te, per aiutarti a progredire ancora di più. Perché quando i genitori ricevono figli, Dio è in mezzo a loro da entrambe le parti.
Resta in pace e comportati bene nel Signore.
NOTE:
56È conservato solo in siriaco (n. 6), georgiano (n. 6) e arabo (n. 13).
57 Nel senso di dimore celesti.
58 Siriaco: “A chi sono le grandi promesse del Figlio; ricevono grazie e aiutano gli uomini”.
59 Siriaco: “E ciascuno di questi è un esempio per la sua generazione, affinché colui che è considerato perfetto sia un esempio per gli uomini”.
Lettera VII60[Il carisma dei Padri]
1. All’amato nel Signore, che ha una parte nel Regno dei cieli. Allo stesso modo in cui cerchi Dio imitando tuo padre61, credo che anche tu riceverai le stesse promesse, perché sei stato annoverato nel numero dei suoi figli. Perché i figli ereditano la benedizione dei genitori62, imitando il loro zelo. Per questo il beato Giacobbe, imitando in tutta la pietà63 dai suoi genitori ricevette da loro la benedizione; e quando fu benedetto dai genitori, vide subito alzarsi la scala e salire e scendere gli angeli (Gn 22,1-12). Ora, dal momento in cui alcuni sono benedetti dai genitori e vedono le forze divine, nulla può disturbarli. Perché il beato Paolo quando vide quelle stesse forze divine, rimase impassibile64 e gridò dicendo: «Chi mi separerà dall’amore di Cristo?65La spada, la fame, la nudità? Ma né angeli né principati né potenze, né altezza né profondità, né altra creatura potrà separarmi dall’amore di Dio?».66 (Rm 8,35-39).
2. Ora dunque, mio caro, preghiamo incessantemente notte e giorno affinché le benedizioni dei nostri padri e le mie67 vengano a te; e così le forze degli angeli restino con te68, affinché tu trascorra il resto dei tuoi giorni con tutta la gioia del cuore. Se, infatti, qualcuno raggiunge quel grado, la gioia di Dio sarà sempre con lui, e allora farà tutto senza fatica. Perché sta scritto: La luce dei giusti non si spegne mai, ma la luce degli empi si spegnerà (Pr 13,9)69. Chiedo anche che dovunque io vada, venga anche tu70, e lo faccio per la tua obbedienza. Quando il Signore vide l’obbedienza dei suoi discepoli71, pregò per loro il Padre dicendo: «Perché dove sono io siano anche questi, perché hanno ascoltato le mie parole» (Gv 17,24 ). E chiede ancora che siano preservati dal Maligno (Gv 17,15), fino a raggiungere il luogo di riposo. Anch’io prego e chiedo allo stesso Signore che siate preservati dal Maligno fino al vostro arrivo nel luogo del riposo di Dio, e che otteniate la benedizione. Giacobbe infatti dopo la scala vide il capo degli angeli faccia a faccia (Gn 28,12), (poi) combatté con l’angelo e lo sconfisse (Gn 32,24-29). Dio ha fatto questo per benedirlo ancora di più.
Dio, che servo fin dalla mia giovinezza, ti benedica (ancora di più)72, e tu, mio prediletto, comportati bene.
NOTE:
60È conservato in siriano (n. 7), georgiano (n. 7) e arabo (n. 14).
61Siriano: “Ai loro padri nella fede”.
62Siriaco: “I figli ricevono la benedizione dei genitori…”
63Siriaco: “La misericordia di Dio”.
64Siriaco: “E’ stato reso incapace di passione.”
65Cfr Vita di Antonio 8 e 35.
66Georgiano: “Dall’amore di Cristo”; Arabo: “Dall’amore di Dio nel Signore nostro Gesù Cristo”. Viene adottata la lettura siriaca.
67 Siriaco: “Le benedizioni dei miei padri…” 68 Siriaco: “Gli eserciti degli angeli si rallegreranno di te in ogni cosa”. 69 Il testo siriaco omette la seconda parte della citazione dei Proverbi (“ma la luce dei malvagi…”). 70Siraco: “Chiedo che anche tu possa raggiungere la magione della vita.” 71Siriaco: “Verso di Lui”. 72Da qui alla fine, disperso nel siriaco.
Lettera VIII 73[Il carisma che abbiamo ricevuto dai nostri padri]
All’amato nel Signore.
1. Ti scrivo come a figlio carissimo, perché i genitori carnali amano più i figli che gli somigliano. Vedo anche te (così), perché tu progredisci imitando me; e chiedo a Dio che ciò che ha dato a me, tuo padre74, lo dia anche a te. Prego che75 possa comunicarti gli altri misteri che non mi è possibile scriverti per lettera. Siate forti nella pace della misericordia del Padre, affinché il carisma che hanno ricevuto i vostri padri, lo riceviate anche voi76. Se volete riceverlo77, dedicatevi all’opera del corpo e all’opera del cuore, rivolgete i vostri pensieri al cielo notte e giorno, chiedete con tutto il cuore lo Spirito di fuoco78, e vi sarà dato. Perché quello stesso Spirito si ha con Elia il Tesbita, con Eliseo e gli altri profeti. Ma guarda che pensieri di dubbio non si insinuano nel tuo cuore, dicendo: “Chi può riceverlo?” Non permettere che ci entrino79, ma chiedi con retta intenzione e riceverai. 2. Io stesso, tuo padre, prego per te80, perché tu riceva lo Spirito, perché so che hai dato la vita per riceverlo81. Chi lo coltiva di generazione in generazione lo riceverà, e questo Spirito abita nei retti di cuore. Ti assicuro82 che cerchi Dio con cuore retto. Quando riceverai quello Spirito, Egli ti rivelerà tutti i misteri celesti. Perché ti rivelerà molte cose che non posso scrivere su carta. Allora sarai libero da ogni paura, una gioia celeste ti circonderà e ti sentirai come se fossi già stato portato nel regno (dei cieli), mentre sei ancora nel corpo. Non avrai più bisogno di pregare per te stesso, ma solo per il prossimo83. Perché Mosè, dopo aver ricevuto lo Spirito, pregò per il popolo, dicendo: «Se lo distruggi, cancellami dal libro dei viventi» (Es 32,32). Vedi quale preoccupazione che hanno dovuto pregare per gli altri, quando avevano raggiunto quel grado? Anche molti altri raggiunsero quel grado e pregarono per gli altri.
3. Di tutto questo non posso scriverti ora, ma tu sei saggio e capirai tutto. Quando verrò a visitarti, ti spiegherò più approfonditamente lo Spirito di fuoco84, come deve essere realizzato e ti mostrerò tutte le ricchezze che ora non posso affidare alla carta.
Comportati bene in quello Spirito di fuoco85, progredisci e affermati di giorno in giorno.
NOTE:
73È conservato in siriaco (n. 8); georgiano, con n. 8-9; parzialmente in greco con n. 4; e in arabo col numero 8.
74Siriaco: “Ai nostri benedetti genitori.”
75Siriaco aggiunge: “Posso farti visita in modo che…”
76 Seguiamo la lettura siriaca. Il georgiano è ben diverso: “Sii forte nella pace di quel grande fuoco che ha acceso tuo padre, perché anche tu possa accenderlo”.
77Georgiano: “Coprilo”. Qui inizia il testo greco (comma 8 della lettera IV), che recita: «Se vuoi acquistare la grazia spirituale…»
78Il siriaco porta “Spirito Santo”.
79Greco (lettera IV,9): “Non lasciarti dominare da questi pensieri…”
80Il greco omette “per te”; mentre il georgiano porta: “Prego sempre per te”.
81Il siriaco dice letteralmente: “Hanno rinunciato all’anima…” La frase manca in greco e georgiano.
82 Letteralmente: “Vi attesto…”
83Ciò che segue manca nel greco che pone qui la conclusione della lettera: “Gloria al buon Dio, che favorisce con tali misteri coloro che lo servono con sincerità; a Lui gloria eterna. Amen”.
84Siriaco: “Spirito di allegria”.
85 “Della vita”, porta il siriano.
NOTE:
86 Siriano: “In una grande tentazione”.
87 Siriaco: “Lo scettro del peccatore non rimarrà nella porzione del giusto” (Sal 124,3).
88Siriaco: “Ho aspettato, ho pregato, ero forte e il mio Signore mi ha liberato”. Georgiano: “Ho sopportato la volontà di Dio nella speranza e nella preghiera, e mi ha salvato”.
89Dal siriano manca “Sopportatele”.
90“tutte” manca dalla versione siriaca.
91“grande” manca anche al siriano.
92Il greco aggiunge: “E Giacobbe e Giobbe e molti altri furono tentati…”
93Siriaco: “E l’atleta è apparso come il vincitore”.
94Greco: “Allora, quindi, è al giusto che sopraggiunge la comparsa delle tentazioni”.
95Il siriaco recita: “Non sono scelti (o: autenticati)”; e il georgiano: “Non sono saldi nella fede”.
96Dynamin (“virtutem”). Cfr 2 Tim 3.5. Questa stessa citazione è usata da sant’Antonio nelle sue Lettere, III,3; V,4; VI,3
97Apoftegma Antonio 5; HP 65.77.
98Letterale: “pesante”.
99 Il siriaco e il greco aggiungono: “senza movimento”.
100 Georgiano: “Amare”.
101 Siriano: “Sono ciechi ai loro occhi”.
102 Il siriaco dice: «Della tentazione dell’anima dell’uomo che è progredita, e che discende dal grado di perfezione spirituale…».
103 Il georgiano e il greco aggiungono: “Elia”.
104 Siriaco: “Primo grado” (o: ordine).
105 Citazione dall’opera apocrifa chiamata Ascensione di Isaia, VIII,21. Il siriano aggiunge: “Rispetto a questo” (= il secondo cielo).
106 Il siriaco recita: “Al più alto grado di perfezione”.
107 Il siriaco legge ancora: “Al più alto grado di perfezione”. Nel testo greco manca quanto segue nel finale della frase.
108 “Uomini”, dice il siriano.
109 Siriaco: “Al palazzo della vita.”
Lettera X 110[La tentazione è segno di progresso]
1. Lo Spirito soffia dove vuole (Gv 3,8). Soffia sulle anime pure e rette, e se gli obbediscono, dà loro, all’inizio 111, timore e fervore. Quando ha piantato questo in loro, fa loro odiare tutte le cose di questo mondo112, siano oro, argento, ornamenti; che si tratti di padre, madre, moglie o figlio. E l’opera di Dio rende l’uomo più dolce del miele e del favo (Sal 18,10), sia che si tratti dell’opera di digiuni, veglie, solitudine o elemosina. Tutto ciò è113 di Dio gli sembra dolce114, e gli insegna tutto (Gv 14,26).
2. Quando gli ha insegnato tutto, allora concede all’uomo115 di essere tentato. Da quel momento in poi, tutto ciò che prima era dolce per lui diventa pesante. Ecco perché molti, quando sono tentati, rimangono nello sconforto116 e diventano carnali. Sono quelli di cui dice l’Apostolo: Tu cominciasti con lo spirito e ora finisci con la carne; patirono tutto ciò invano (Gal 3,3-4).
3. Se l’uomo resiste a Satana117 nella prima tentazione, e la vince, Dio gli concede un fervore stabile, calmo e indisturbato118. Perché il primo fervore è agitato e instabile119, mentre il secondo fervore è migliore. Questo genera la visione delle cose spirituali e gli fa fare molta strada120 con implacabile pazienza. Come una nave con un buon vento è spinta forte dai suoi due remi e percorre una grande distanza, così che i marinai sono allegri e riposano, così il secondo fervore concede ampio riposo. 4. Ora dunque, figli miei prediletti, acquistate il secondo fervore per essere saldi in tutto. Perché il fervore divino estirpa tutte le passioni (che vengono) dalle seduzioni, distrugge la vetustà del vecchio uomo e fa diventare l’uomo il tempio di Dio, come sta scritto: Io abiterò e camminerò in essi (2 Cor 6,16). 5. Se vuoi che torni a te il fervore che è andato via, ecco cosa deve fare l’uomo: faccia un patto con Dio121 e dica davanti a lui: “Perdonami per ciò che ho fatto con negligenza, non sarò più disobbediente”. E quell’uomo non cammini più come vuole122, per soddisfare la propria volontà fisicamente o spiritualmente, ma perché i suoi pensieri siano vigili davanti a Dio notte e giorno, e che pianga in ogni momento davanti a Dio addolorandosi, rimproverandosi e dicendo: «Come sei stato (così) negligente fino ad ora e sterile ogni giorno?” Si ricordi tutti i tormenti e il regno eterno, rimproverandosi e dicendo: “Dio ti ha gratificato di tutto questo onore e sei negligente! Il mondo intero ti ha soggiogato e sei negligente! Quando qualcuno si accusa così notte e giorno e a tutte le ore, il fervore di Dio ritorna in quell’uomo, e il secondo fervore è migliore del primo.
6. Il beato Davide quando vede arrivare lo sconforto123 dice: “Ho ricordato gli anni eterni, ho meditato e ricordato i giorni dell’eternità, ho meditato su tutte le tue opere, ho meditato sulle opere delle tue mani. Ho alzato le mani verso di te. L’anima mia ha sete di te come terra asciutta» (Sal 76,6; 142,5-6)124. E dice anche Isaia: «Quando avrai di nuovo gemito, allora sarai salvato e tornerai come eri» (Is 30,15).
NOTE:
110È conservato in siriaco (n. 10b), georgiano (n. 12), greco (n. 8), armeno (n. 1) ed etiope (n. 1). I traduttori francesi (Lettres, p. 12), danno questa epistola numero 10b, nel testo siriaco, poiché la lettera precedente (che sarebbe quindi IX e Xa) copre la prima parte di quella attuale (paragrafi 1, completo, e 2, fino alla citazione dal Vangelo di Gv, escluso).
111 “All’inizio”: aggiunge il siriaco.
112 Il siriaco suona un po’ più radicale: “Il mondo intero”.
113 Siriaco: “Tutto ciò che è fatto per Dio”; Georgiano: “Ogni volontà di Dio”.
114 Passaggio citato in copto, sotto il nome di Antonio, dal Besa; CSCO 157, pag. 100 e CSCO 158, pag. 96-97 (Lettres, p. 35).
115 “All’uomo”, aggiunge il siriaco.
116 Siriaco: “Pesantezza”; vedere Lettera IX, 4-5
117 Non si legge “Satana” in siriaco.
118 Siriaco: “Pacifico, saggio (razionale) e paziente”; georgiano: “Tranquillo e una pazienza senza turbamento”; Etiope: “fermo, costante e senza turbamento”; Armeno: “fermo e una pazienza senza turbamento”.
119Siriaco: “Senza saggezza.”
120Siriaco: “Ingaggia una grande battaglia.”
121 Siriaco: “E ho gridato con il dolore nel cuore.”
122 Il georgiano porta: “nel riposo del corpo”, invece di “a sua volontà”.
123Siriaco: “La pesantezza.”
124 Il siriano omette l’aggettivo “asciutta” (o arida).
Lettera XI125 [Discernere la volontà di Dio. Stabilità]
Ai carissimi nel Signore.
1. Voi sapete che quando la vita dell’uomo cambia e lui inizia anche una nuova vita gradita a Dio e superiore alla precedente, cambia anche il suo nome. Perché, infatti, quando i nostri santi padri andavano avanti nella perfezione cambiava anche il loro nome e ad essi si aggiungeva un nome nuovo, scritto sulle tavole del cielo. Quando Sara progredì gli disse: Non ti chiamerai più Sara, ma Sarra (Gn 17,15), e Abram fu chiamato Abraham;; Isac, Isaac e Giacobbe, Israele; Saulo, Paolo; e Simone, Cefa, poiché le loro vite sono state cambiate e sono diventati più perfetti che prima. Per questo, anche voi siete cresciuti in Dio ed è necessario che i vostri nomi siano cambiati a causa del vostro progresso secondo Dio. Orbene, carissimi nel Signore, che amo di tutto cuore, io cerco il vostro profitto come il mio, perché mi siete stati dati come figli secondo Dio126.
Ho sentito dire che la tentazione li preme, e temo che derivi da una loro colpa: perché ho sentito che vogliono lasciare il loro posto127, e mi sono rattristato, anche se è passato molto tempo da quando mi sono sentito preso dalla tristezza. Perché so benissimo che se ora lasciate il vostro posto, non farete alcun progresso, perché non è la volontà di Dio. Se farete questo e ve ne andrete per vostra stessa decisione, Dio non vi aiuterà né uscirà con voi, e temo che cadrete in una moltitudine di mali. Se seguiamo la nostra volontà, Dio non ci manderà la sua forza, che fa prosperare tutte le vie degli uomini. Se un uomo fa qualcosa pensando che piace a Dio128, mentre ci mescola la sua volontà129, Dio non lo aiuta e il cuore dell’uomo è triste e senza forza in tutto ciò che intraprende. Perché i fedeli si sbagliano, lasciandosi catturare dall’illusione del progresso spirituale. All’inizio, Eva non fu ingannata se non con il pretesto del bene e del progresso. Infatti, avendo udito: Sarete come dèi (Gen 3,5), non ha fatto discernimento della voce di colui che gli parlava130, ha trasgredito il comandamento di Dio e non solo non ha ricevuto il bene, ma è anche caduta sotto la maledizione.
2. Salomone dice nei Proverbi: Ci sono modi che sembrano buoni agli uomini, e conducono negli abissi dell’Ades (Pr 14,12). Dice questo di coloro che non comprendono la volontà di Dio, ma seguono la propria volontà. Coloro che seguono la propria volontà131 e non comprendono la volontà di Dio132, ricevono da Satana, dapprima, un fervore simile alla gioia, ma che non è gioia; e poi porta tristezza e vergogna. Chi invece segue la volontà di Dio prova un grande dolore all’inizio e alla fine trova riposo e gioia. Quindi non fare niente133 finché non vengo a trovarti per parlarti.
3. Ci sono tre volontà che accompagnano costantemente l’uomo, ma pochi monaci le conoscono, tranne quelli che sono diventati perfetti; l’Apostolo dice di loro: Il cibo solido è per i perfetti, per coloro che attraverso la pratica134hanno i sensi allenati a discernere il bene e il male (Eb 5,14). Quali sono queste tre volontà? Una è quella suggerita dal Nemico; l’altra è quella che sgorga nel cuore dell’uomo; e la terza è quella che Dio semina nell’uomo. Ma di queste tre, Dio accetta solo la suo.
4. Esaminatevi dunque: quale di queste tre vi spinge a lasciare il vostro posto? Non partite prima che io vi visiti. Perché conosco la volontà di Dio in questa (materia)135 meglio di te. È difficile, infatti, conoscere in ogni momento la volontà di Dio136. Perché se l’uomo non rinuncia a tutte le sue volontà e si sottomette ai suoi padri secondo lo Spirito, non può comprendere la volontà di Dio. Anche se l’avesse capito, gli mancherebbe la forza per portarlo a termine.137
5. È cosa grande conoscere la volontà di Dio, ma è più grande adempierla. Giacobbe aveva quei punti di forza perché obbediva ai suoi genitori. Quando gli dissero: «Va’ in Mesopotamia, insieme a Labano» (Gn 27,43; 28,2), lui prontamente obbedì, sebbene non volesse lasciare i suoi genitori. Ma poiché ha obbedito, ha ereditato la benedizione dei suoi genitori138. E io, vostro padre, se prima non avessi obbedito ai miei genitori spirituali, Dio non mi avrebbe rivelato la sua volontà. Infatti sta scritto: La benedizione dei padri stabilisce la casa dei figli (Si 3,11). E poiché ho sopportati molti travagli nel deserto e sul monte139, chiedendo a Dio notte e giorno, finché Dio mi abbia rivelato la sua volontà; ora anche voi ascoltate vostro padre per ottenere riposo e progresso.
6. Ho sentito che dici: “Nostro padre non conosce il nostro dolore”, e: “Giacobbe fuggì da Esaù”; ma sappiamo che non è scappato ma è stato inviato dai genitori140. Quindi imita Giacobbe e aspetta che tuo padre ti mandi e ti benedica quando te ne vai, affinché Dio ti faccia prosperare. Comportatevi bene nel Signore, miei cari.
NOTE:
125 Si conserva in siriaco (n. 11), georgiano (n. 10), greco (n. 5) e arabo (n. 20).
126 In siriaco e arabo manca questa prima parte del paragrafo. 127 Cfr. l’Apotegma Ammonas 1. 128 Siriaco: “Questo è da Dio”; Greco: “Se un uomo fa qualcosa per se stesso”; Arabo: “Questa è la volontà del Signore”. 129 Questa frase è omessa in greco e arabo. 130 Siriaco e arabo: “Quello che gli è stato detto”. 131 Questa frase non è né nel greco né nel georgiano né nell’arabo.
132 Questo non compare nel georgiano e arabo. 133 Il siriaco aggiunge: «Per sua propria volontà». 134 Il siriaco legge: A causa della sua coscienza. 135 Siriaco: “Su di te.” 136 “In ogni momento” non si legge in siriaco. 137 Greco: “Quando l’avrà capito, allora chiederà a Dio la forza per poterlo fare”. 138 “Dei suoi genitori” mancante in greco.
139 Cfr. apotegma Ammonas 9; Vita di Antonio 11, 12, 14, 41, ecc.: “l’associazione” deserto-montagna (Lettres, p. 38). 140 Il testo greco è piuttosto confuso su questa parte.
Lettera XII 141[Solitudine]
1. Agli amati nel Signore, un gioioso saluto!142
Miei carissimi fratelli, sapete anche voi che dopo la caduta, l’anima non può conoscere Dio143, se non si allontana dagli uomini e da ogni distrazione. Perché allora potrà vedere l’attacco dei nemici che la combattono; ma quando vede il nemico combattere contro di lei e trionfa sui suoi attacchi, che di tanto in tanto le vengono addosso, allora lo Spirito di Dio dimorerà in lei e tutto il suo dolore si trasformerà in gioia ed esultanza. Se viene sconfitto di nuovo in combattimento, allora gli vengono la tristezza, il disgusto e molte altre varie afflizioni144.
2. Perciò i Santi Padri145 vivevano solitari in luoghi deserti: Elia il Tesbita, Giovanni Battista e gli altri Padri. Non pensate che fu quando furono in mezzo agli uomini che i giusti progredirono, insieme a loro, nella virtù146, ma piuttosto che prima vivevano in grande solitudine, per far abitare in loro la potenza di Dio147. Allora Dio li mandò in mezzo agli uomini, quando già possedevano le virtù, a servire per l’edificazione degli uomini148 e curare le loro malattie, poiché erano i dottori delle anime e potevano curare le loro malattie 149. Per questo dunque, strappati dalla solitudine, furono mandati agli uomini; ma non furono mandati finché tutte le loro malattie non fossero guarite. È impossibile, infatti, che Dio li mandi a servire per l’edificazione degli uomini se sono ancora malati. Ma coloro che se ne vanno prima di essere perfetti, se ne vanno per volontà propria e non per volontà di Dio. E Dio dice di questi: «Io non li ho mandati, ma sono corsi» (Ger 23,21), ecc. Per questo non possono né custodire se stessi né servire l’edificazione di un’altra anima.
3. Al contrario, coloro che sono inviati da Dio non vogliono abbandonare la solitudine150, perché sanno che è grazie ad essa che hanno acquisito la forza divina; ma per non disobbedire al loro Creatore, escono a servire per l’edificazione degli altri, imitando il Signore, perché il Padre ha mandato dal cielo il suo vero Figlio perché guarisse tutte le debolezze e tutte le malattie degli uomini151. Sta scritto: Ha preso le nostre debolezze e ha portato le nostre malattie (Is 53,4). Per questo tutti i santi che vanno dagli uomini per guarirli, imitano in tutto il Creatore, per diventare degni di farsi figli adottivi di Dio e per vivere, anche loro, come il Padre e il Figlio, nei secoli dei secoli152.
4. Ecco, diletti, vi ho mostrato la forza153 della solitudine, come guarisce in tutti gli aspetti154 e come piace a Dio155. Ecco perché ho scritto loro per essere forti in ciò che intraprendono. Sappilo, è attraverso la solitudine che i santi progredirono e la forza divina abitò in loro, facendo loro conoscere i misteri celesti, e fu così che cacciarono tutta la vetustà di questo mondo. Chi vi scrive ha raggiunto anche quella meta lungo lo stesso cammino.
5. Siriaco Molti sono i monaci del nostro tempo che non hanno saputo perseverare in solitudine, perché non hanno potuto vincere la loro volontà. Per questo vivono sempre tra gli uomini, non potendo rinunciare, fuggire dalla compagnia degli uomini e impegnarsi in combattimento. Rinunciando alla solitudine, si accontentano di confortarsi con i loro simili per tutta la vita. Per questo non raggiungono la dolcezza divina né abita in loro la forza divina. Perché quando si presenta loro quella forza, li trova a cercare la loro felicità nel mondo presente e nelle passioni dell’anima e del corpo. E non può discendere su di loro. L’amore per il denaro, la vanagloria, tutte le altre malattie e distrazioni dell’anima impediscono alla forza divina di discendere su di loro.
5. Greco La maggior parte non hanno potuto progredire in questo, perché sono rimasti in mezzo agli uomini e non sono riusciti, per questo, a vincere tutte le loro volontà. Non hanno voluto, infatti, superarsi fino a sfuggire alle distrazioni provocate dagli uomini, ma restano distratti l’uno con l’altro. Perciò non hanno conosciuto la dolcezza di Dio e non sono stati giudicati degni di far dimorare in loro la sua forza e di conferire loro il carattere celeste. Così, la forza di Dio non abita in loro, poiché sono monopolizzati dalle cose di questo mondo, arresi alle passioni dell’anima, alle glorie umane e alle volontà del vecchio uomo. È così che Dio ci testimonia ciò che deve accadere.
6. Rafforzatevi, quindi, in quello che fate. Perché chi abbandona la solitudine non può vincere la propria volontà né prevalere nella lotta che si fa contro il proprio avversario. Per questo non hanno più la forza di Dio che abita in loro. Non si sofferma su coloro che servono le loro passioni156. Però avete vinto le passioni e la forza di Dio verrà da sola a voi157.
Comportati bene nello Spirito Santo.
NOTE:
141 È conservato nel siriaco (n. 12), georgiano (n. 3), greco (n. 1), arabo (n. 18), armeno (n. 3) ed etiope (n. 2).
142 Questo saluto manca in greco.
143 Il greco aggiunge: “a seconda dei casi” (o: è necessario). Altre versioni aggiungono: “Facilmente”.
144 Il greco porta un testo un po’ diverso: “Durante quelle lotte, ti infliggeranno afflizioni e dolori con molti altri vari guai, ma non temere, perché non prevarranno contro chi vive nella solitudine”.
145 Greco: “I nostri santi padri”; Georgiani ed etiopi aggiungono: “I primi santi padri”.
146 La traduzione segue il testo greco, la versione siriaca sembra un po’ più cupa: “Non considerare che erano giusti perché facevano opere di giustizia dimorando tra gli uomini…”.
147 “Se vuoi che la forza di Dio scenda su di te, ama il digiuno e fuggi dagli uomini”; Lettera di Arsenio, 32 (Lettres, p. 41).
148 Il testo siriaco dice: “Essere dispensatori di Dio”; si segue la lettura del georgiano, del greco e dell’armeno.
149 Cfr Vita di Antonio 87: Antonio “medico di tutto l’Egitto” (Lettres, p. 41).
150 Vita di Antonio 85.
151 Cfr. le Lettere di S. Antonio: III, 2; IV,2-3; V,2; VI,2.
152 Da “imitare il Signore” alla fine di questo paragrafo, il testo manca in georgiano, greco, armeno ed etiope.
153 georgiano e armeno: “Il frutto”; Etiope: “I frutti”.
154 Lettura siriaca, che manca in georgiano, greco, armeno ed etiope.
155 Quanto segue, fino alla fine del paragrafo, non si trova in georgiano, greco, armeno ed etiope.
156 Tale è il testo delle versioni georgiana, greca, armena ed etiope. Il siriaco recita: “Perché coloro che abbandonano la solitudine non possono vincere le loro volontà né prevalere nel combattimento che si fa contro il loro avversario, poiché sono soggetti alle loro passioni”. Invece di “passioni”, il georgiano porta: “Chi fa la propria volontà”; e l’etiope: “Che siano soggetti alla legge dei loro membri”.
157 Siriano: “Lui è con te”; Etiope aggiunge: “E abiterà in te”.
Lettera XIII158 [Lo Spirito di penitenza e lo Spirito Santo]
1. Carissimi nel Signore, vi saluto nello Spirito di dolcezza, che è pacifico e profuma le anime159 dei giusti. Questo Spirito viene solo alle anime totalmente purificate dalla vecchiaia, perché è santo e non può entrare nell’anima impura (Sap 1,4-5)160. 2. Nostro Signore l’ha dato agli apostoli solo dopo che si sono purificati. Per questo ha detto loro: «Se vado, vi manderò il consolatore, lo Spirito di verità, ed Egli vi farà conoscere ogni cosa» (Gv 16,7.13). Perché questo Spirito, da Abele ed Enoc fino ad oggi, è dato alle anime dei giusti che sono totalmente purificate. Ma quello che raggiunge le altre anime non è quello, ma lo Spirito di penitenza161; arriva alle altre anime per chiamarle tutte alla purificazione dalla loro impurità. E quando li ha totalmente purificati, li consegna162 allo Spirito Santo, affinché incessantemente diffonda su di loro un soave profumo, come disse Levi: «Chi ha conosciuto il profumo dello Spirito se non coloro nei quali abita?».163. Pochi sono favoriti anche dallo Spirito di penitenza, ma lo Spirito di verità, di generazione in generazione, abita a malapena solo in poche anime.
3. Come una perla preziosa non si trova in ogni casa, ma talvolta solo nei palazzi reali164, così questo Spirito si trova solo nelle anime dei giusti divenuti perfetti. Dal momento in cui Levi fu gratificato con Lui, offrì un grande ringraziamento a Dio e disse: «Ti canto, Signore, perché mi hai dato lo Spirito che dai ai tuoi servi»165. E tutti i giusti ai quali era stato mandato resero un grande ringraziamento a Dio. Perché è la perla di cui parla il vangelo, comprata da colui che ha venduto tutti i suoi averi (Mt 13,46). Ebbene, è il tesoro nascosto in un campo, che un uomo trovò e per il quale fu molto felice (Mt 13,44). Alle anime in cui abita, rivela grandi misteri; per loro la notte è come il giorno. Ecco, io ti ho fatto conoscere l’azione di quello Spirito. 4. Voglio166 far loro sapere che dal giorno in cui li ho lasciati, Dio mi ha fatto prosperare in ogni cosa, finché sono venuto al mio posto. E quando sono nella mia solitudine, Egli rende il mio cammino ancora più prospero167 e mi aiuta, segretamente o apertamente. E avrei voluto che tu mi fossi vicino per le rivelazioni che mi furono date168, perché ogni giorno ne concede nuove (rivelazioni)169.
5. Quindi voglio che tu sappia qual è la tentazione. Sai che la tentazione non viene sull’uomo se non ha ricevuto lo Spirito. Quando ha ricevuto lo Spirito, viene consegnato al diavolo per essere tentato. Ma chi lo consegna se non lo Spirito di Dio? Perché è impossibile che il diavolo tenti un credente, se Dio non lo libera.
6. Infatti, nostro Signore prendendo la carne è diventato per noi un esempio in tutto. Quando fu170 battezzato, lo Spirito Santo scese su di lui in forma di colomba (Mt 3,16), perché lo Spirito lo condusse nel deserto171 per essere tentato (Mt 4,1), e il diavolo non poteva fare nulla contro di Lui. Ma la potenza dello Spirito, dopo le tentazioni, aggiunge ai santi un’altra grandezza e una forza maggiore172.
È necessario che tu conosca173 la mia tentazione, che mi ha reso simile a nostro Signore. Quando discese dal cielo vide un’atmosfera diversa, tenebrosa, e di nuovo mentre stava per scendere nell’Ade, vide un’aria più densa e disse: “Ora l’anima mia è turbata” (Gv 12,27). Allo stesso modo io, in modo simile, ho subito recentemente questa tentazione che mi turbava da tutte le parti174. Tuttavia, ho lodato Dio, che servo con tutto il cuore fin dalla mia giovinezza e al quale obbedisco, sia in onore che in umiliazione. Mi ha portato fuori da quell’ariatenebrosa e mi ha riportato alla prima altezza. E penso che questa tentazione sia l’ultima175.
7. Quando il beato Giuseppe sopportò l’ultima tentazione in carcere (Gn 29,20), fu più afflitto anche da tutte le altre tentazioni. Ma dopo la prigione, che è l’immagine dell’Ade, ricevette tutti gli onori, perché divenne re (Gn 41,40). Da quel momento in poi la tentazione non lo tentò più. Ti ho fatto conoscere quali tentazioni ho incontrato e come sono ora176.
8. Dopo aver scritto questa lettera mi è venuta in mente la parola scritta in Ezechiele, che presenta l’immagine delle anime divenute perfette. Vide una creatura vivente sul fiume Chobar, che aveva quattro facce, quattro piedi e quattro ali. Un volto di cherubino, uno di uomo, uno di aquila e uno di toro (Ez 1,1-10). Il volto dei Cherubini è lo Spirito di Dio, che riposa in un’anima e la dispone a lodare con voce soave e bella177. E quando vuole, scende ed edifica gli uomini, poi assume il volto di un uomo. E quella del toro, è quando l’anima fedele è in combattimento: lo Spirito di Dio l’aiuta e le dà la forza di un toro, perché possa incornare il diavolo. E l’aquila, perché l’aquila vola più in alto di tutti gli altri uccelli. E quando l’anima dell’uomo vola in alto, lo Spirito Santo viene ad essa, insegnandole a stare in alto e ad essere vicino a Dio.
9. Ti ho fatto sapere poco di questo essere. Ma se pregate e lo visitate, entrerò nella Betel, che è la casa di Dio (Gn 28,19), e adempirò i miei voti (Sal 65,13), quelli che le mie labbra hanno promesso178. Allora ti parlerò più chiaramente179 su questo180.
10. Betel, infatti, significa la casa di Dio (Gn 28,19). Dio combatte, dunque, per la casa su cui è invocato il suo nome. E fu Ezechiele a vedere quell’essere vivente.
Salutate tutti coloro che sono stati associati al lavoro e al sudore dei padri nella tentazione, come dice altrove Giovanni: «Dio è glorificato dal sudore dell’anima»181. Così, per il seme di sudore che semina, l’anima è associata a Dio. E anche quelli sono legati alla sua messe, poiché sta scritto: Se soffriamo con lui, vivremo con lui (Rm 8,17), ecc. Il Signore disse anche ai suoi discepoli: «Voi avete sofferto con me nelle mie tentazioni, io stabilirò con voi un contratto regale, come il Padre mi ha promesso che vi sareste seduti alla mia mensa» (Lc 22,29), ecc.
11. Vedo che coloro che condividono le fatiche condividono anche il resto, e chi partecipa all’umiliazione, partecipa ugualmente all’onore. Sta scritto, infatti, nei Padri: «Il figlio buono eredita la primogenitura e le benedizioni paterne»182. È così con ciò che seminiamo. Sono i semi di Dio e i buoni figli che ereditano il diritto di primogenitura e le nostre benedizioni. Quando sarò via, al mio posto, l’arrivo dei frutti mi ricorderà questi raccolti.
Ma tu, da buon maestro, esortali con cura. Dio ti conceda di lasciare questa dimora183 lasciando un buon raccolto! Perché sappiamo che sei un buon padre e un ottimo educatore. Tuttavia, vi ricordo che è a causa di questo raccolto che Dio vi ha lasciato in questa dimora.
Comportatevi bene nel Signore, nello Spirito dolce e pacifico che abita le anime dei giusti.
NOTE:
158 È conservato in siriaco (n. 13), georgiano (n. 11), greco (n. 7) e arabo (n. 19). 159 Invece di quanto segue (fino alla “vecchiaia”), il siriaco porta: “Di coloro che sono completamente purificati dalle loro passioni”.
160 Cfr Lettere di S. Antonio, VII.
161 Anche sant’Antonio nelle sue Lettere (I,2 e 4) parla di spirito di penitenza o di conversione (Lettres, p. 45).
162 È la lezione del georgiano; Il greco e l’arabo leggono: “trasmette”; il siriaco: “conduce” (o: guida).
163 Citazione non identificata.
164 Dice solo il greco: “Come una perla di gran prezzo…”.
165 Citazione non identificata.
166 Questo paragrafo manca del tutto nella versione greca.
167 Seguo il testo siriaco.
168 Georgiano: “Fai loro sapere quante rivelazioni ci sono”; Arabo: “Affinché io vi faccia conoscere tutto ciò che lo Spirito Santo mi ha rivelato in ogni momento”.
169 georgiano: “Poiché di giorno in giorno avranno una gioia ancora più grande”; L’arabo omette questa frase.
170 Questa prima parte, fino a qui, manca nel georgiano.
171 Il siriaco aggiunge: “E lo consegnò a Satana…”
172 Al siriaco manca “E una forza maggiore”.
173 È la lettura georgiana; dispersa nel siriaco. L’arabo porta: “Carissimi figli, vorrei che mi foste vicino perché sapeste…”
174 Il testo greco omette “è necessario” fino a qui.
175 Tutta quest’ultima parte è diversa nel greco: «In ogni cosa, dunque, lodiamo Dio e rendiamolo grazie, sia in onore che in umiliazione, perché Egli ci ha tratto da quell’aria oscura e ci ha restaurati nella nostra prima altezza. Quindi quanto segue non esiste nella versione greca curata da F. Nau.
176 Georgiano: “Ecco, ti ho fatto conoscere la grandezza delle tentazioni che ho sopportato”.
177 La versione francese in questa parte sembra seguire la versione georgiana; il testo siriaco è piuttosto vario: “Una faccia del Cherubino era quella di un leone, una di uomo, una di aquila e una di toro (Ez 1,1-10). Ora, la faccia leonina di Cherubino, che cos’è? Infatti, quando lo Spirito di Dio si posa sull’anima di un uomo, gli dona la forza di Dio, lo incoraggia fortemente e gli insegna un canto con una voce dolce e bella.
178 Il siriaco dice: “Entreranno alla Betel e lì adempiremo i nostri voti e offriremo i nostri sacrifici di pace, che le nostre labbra hanno promesso”.
179 È la lettura georgiana. Il siriaco porta: “Per quanto possibile, vi diamo la spiegazione…”.
180 Qui il georgiano sembra finire, aggiungendo solo il saluto: “Sii forte in Cristo e comportati bene”.
181 Citazione non identificata.
182 Citazione non identificata.
183 Il siriaco dice: “Questo mondo”.
Lettera XIV 184 [Giustizia] 1. Ecco la lettera che tuo padre ti ha scritto; questa è l’eredità dei padri giusti185, che lasciano in eredità giustizia ai loro figli186. I genitori secondo la carne lasciano l’oro e l’argento in eredità ai loro figli; però i giusti187 lasciano questo ai loro figli: la giustizia188. I patriarchi erano ricchissimi d’oro e d’argento e, prossimi alla morte, non diedero loro alcun ordine, se non per quanto riguarda la giustizia, poiché essa rimane per sempre. 2. L’oro e l’argento sono corruttibili (1P 1,18), appartengono alla misera scorta di questo breve tempo. Ma la giustizia appartiene alla dimora in alto e rimane con l’uomo per sempre. Perché l’eredità che danno loro i genitori è giustizia189. 3. Comportati bene nel Signore e nella buona volontà della giustizia che Dio ti dona giorno dopo giorno, fino alla tua partenza da quaggiù.
NOTE: 184 È conservato solo nel siriaco (n. 14) e nell’arabo (n. 19). 185 L’arabo porta “spirituale”. 186 Arabo: “La benedizione”. 187 Arabo: “Padri spirituali”. 188 Arabo: “La benedizione”. 189 Arabo: “La benedizione”.