1. Abba Doulas disse: “Se il nemico ci induce a rinunciare alla nostra esichia, non dobbiamo ascoltarlo, perché nulla è uguale a questa solitudine e alla privazione del cibo. L’una e l’altra si uniscono per combattere il nemico. Perché rendono acuta la visione interiore”.
2. Disse anche: “Stàccati dall’amore della moltitudine di relazioni, perché il tuo nemico non metta in discussione il tuo spirito e non turbi la tua pace interiore”.
DIOSCORO
ἀββᾶ Διοσκόρου
Molto probabilmente uno dei monaci chiamati «grandi fratelli» per via della loro statura imponente e soggiornanti nel deserto di Nitria. Furono molto noti. Fu consacrato vescovo di Damanhur dal Vescovo Teofilo d’Alessandria e dallo stesso poi perseguitato per la disputa antiorigenista. Dioscuro fu così sollevato dal suo trono episcopale per tramite dell’Imperatore che seguiva i dettami del Patriarca Alessandrino.
1. Di Abba Dioscoro il Nachiasta si diceva che mangiava pane d’orzo e lenticchie. Ogni anno prendeva una decisione su una cosa particolare, dicendo: “Quest’anno non incontrerò nessuno”; oppure: “Non parlerò”; oppure: “Non mangerò cibi cotti”; oppure: “Non mangerò frutta o verdura”. In tutto la sua fatica agiva in questo modo, e quando aveva finito una fatica, ne iniziava un’altra. Ogni anno faceva così.
2. Un fratello interrogò Abba Poemen in questo modo: “I miei pensieri mi turbano, facendomi mettere da parte i miei peccati e preoccupandomi delle colpe di mio fratello”. Il vecchio gli raccontò la seguente storia di Abba Dioscoro: “Nella sua cella piangeva su sé stesso, mentre il suo discepolo era seduto in un’altra cella. Quando quest’ultimo venne a trovare l’anziano, gli chiese: “Padre, perché piangi?”. “Piango per i miei peccati”, gli rispose l’anziano. Allora il discepolo gli disse: “Tu non hai peccati, padre”. L’anziano rispose: “In verità, figlio mio, se mi fosse concesso di vedere i miei peccati, non basterebbero tre o quattro uomini per piangerli”.
3. Abba Dioscoro disse: “Se indossiamo la veste celeste, non saremo trovati nudi; ma se ci trovano senza questa veste, che cosa faremo, fratelli? Anche noi sentiremo la voce che dice: “Gettateli nelle tenebre esterne; là gli uomini piangeranno e digrigneranno i denti”. (Mt 22,13) Eh, fratelli, ci aspetta una grande vergogna se, dopo aver indossato questo abito per tanto tempo, nel momento del bisogno ci troveremo a non aver indossato la veste nuziale. Oh, quale compunzione ci coglierà! Quale oscurità cadrà su di noi, alla presenza dei nostri padri e dei nostri fratelli, che ci vedranno torturati dagli angeli del castigo!”.
DANIELE
ἀββᾶ Δανιὴλ
Daniele fu discepolo di Arsenio e colui che ricordò i suoi insegnamenti. Dimorò a Scetis fino a che non fu presa d’assedio dai barbari così come ci ricorda il primo apoftegma.
1. Di Abba Daniele si dice che, quando i barbari invasero Scetis e i Padri fuggirono, l’anziano disse: “Se Dio non si cura di me, perché vivere ancora?”. Così passò in mezzo ai barbari senza essere visto. Allora disse a sé stesso: “Vedi come Dio si è preso cura di te, visto che non sei morto. Ora fai ciò che è umano e fuggi con i Padri”.
2. Un fratello chiese all’Abba Daniele: “Dammi un comandamento e lo osserverò”. Egli rispose: “Non mettere mai la mano nel piatto con una donna e non mangiare mai con lei; così sfuggirai un po’ al demone della fornicazione”.
3. Abba Daniele disse: “A Babilonia la figlia di una persona importante era posseduta da un demonio. Un monaco, per il quale il padre nutriva un grande affetto, gli disse: “Nessuno può guarire tua figlia, tranne alcuni anacoreti che conosco; ma se glielo chiedi, non acconsentiranno a causa della loro umiltà. Facciamo dunque così: quando verranno al mercato, fai finta di voler comprare i loro beni e quando si avvicineranno a ricevere il prezzo, chiederemo loro di recitare una preghiera e credo che sarà guarita”. Quando arrivarono al mercato, trovarono un discepolo degli anziani che stava vendendo le loro merci e lo condussero via con le ceste, affinché ne ricevesse il prezzo. Ma quando il monaco raggiunse la casa, la donna posseduta dal demonio arrivò e lo schiaffeggiò. Ma egli si limitò a porgere l’altra guancia, secondo il comando del Signore. (Mt 5,39) Il diavolo, torturato da questo atteggiamento, gridò: “Che violenza! Il comandamento di Gesù mi scaccia”. Immediatamente la donna fu purificata. Quando arrivarono gli anziani, raccontarono loro l’accaduto e glorificarono Dio dicendo: “Ecco come si abbassa l’orgoglio del diavolo, attraverso l’umiltà del comandamento di Cristo”.
4. Abba Daniele disse anche: “Il corpo prospera nella misura in cui l’anima è indebolita, e l’anima prospera nella misura in cui il corpo è indebolito”.
5. Un giorno Abba Daniele e Abba Ammoes fecero un viaggio insieme. Abba Ammoes disse: “Quando ci sistemeremo anche noi in una cella, padre?”. Abba Daniele rispose: “Chi ci separerà d’ora in poi da Dio? Dio è nella cella e, d’altra parte, è anche fuori”.
6. Abba Daniele racconta che quando Abba Arsenio era a Scetis, c’era un monaco che era solito rubare i beni degli anziani. Abba Arsenio lo accolse nella sua cella per convertirlo e dare pace agli anziani. Gli disse: “Tutto ciò che vuoi te lo procurerò, ma non rubare”. Così gli diede oro, monete, vestiti e tutto ciò di cui aveva bisogno. Ma il fratello ricominciò a rubare. Allora gli anziani, vedendo che non aveva smesso, lo scacciarono dicendo: “Se c’è un fratello che commette un peccato per debolezza, bisogna sopportarlo, ma se ruba, scacciatelo, perché fa male alla sua anima e dà fastidio a tutti quelli che vivono nei dintorni”.
7. Questo è ciò che disse Abba Daniele, il faranita: “Il nostro padre Abba Arsenio ci ha raccontato di un abitante di Scetis, di vita notevole e di fede semplice; per la sua ingenuità fu ingannato e disse: “Il pane che riceviamo non è veramente il corpo di Cristo, ma un simbolo”. Due anziani, avendo appreso che aveva pronunciato questa frase, sapendo che era un uomo eccezionale per il suo stile di vita, capirono che non aveva parlato per malizia, ma per semplicità. Vennero quindi a cercarlo e gli dissero: “Padre, abbiamo sentito una parola contraria alla fede da parte di qualcuno che dice che il pane che riceviamo non è veramente il corpo di Cristo, ma un simbolo”. L’anziano rispose: “Sono io che l’ho detto”. Allora gli anziani lo esortarono dicendo: “Non tenga questa posizione, padre, ma ne tenga una conforme a quella che la Chiesa cattolica ci ha dato. Noi crediamo, da parte nostra, che il pane stesso è il corpo di Cristo e che il calice stesso è il suo sangue e questo in tutta verità e non come simbolo. Ma come in principio Dio formò l’uomo a sua immagine e somiglianza, prendendo la polvere della terra, senza che nessuno possa dire che non è l’immagine di Dio, anche se non si vede che lo è; così è per il pane di cui ha detto che è il suo corpo; e così noi crediamo che è veramente il corpo di Cristo”. Il vecchio disse loro: “Finché non sarò persuaso dalla cosa stessa, non sarò pienamente convinto”. Allora essi dissero: “Preghiamo Dio su questo mistero per tutta questa settimana e crediamo che Dio ce lo rivelerà”. L’anziano accolse questa parola con gioia e pregò in questo modo: “Signore, tu sai che non è per malizia che non credo e affinché non sbagli per ignoranza, rivelami questo mistero, Signore Gesù Cristo”. Gli anziani tornarono nelle loro celle e anche loro pregarono Dio, dicendo: “Signore Gesù Cristo, rivela questo mistero all’anziano, affinché creda e non perda la sua ricompensa”. Dio ascoltò entrambe le preghiere. Alla fine della settimana vennero in chiesa la domenica e si sedettero tutti e tre sulla stessa stuoia, l’anziano al centro. Allora i loro occhi si aprirono e quando il pane fu posto sulla sacra tavola, apparve come un bambino a loro tre soli. E quando il sacerdote stese la mano per spezzare il pane, ecco che un angelo scese dal cielo con una spada e versò il sangue del bambino nel calice. Quando il sacerdote tagliò il pane in piccoli pezzi, l’angelo tagliò a pezzi anche il bambino. Quando si avvicinarono per ricevere gli elementi sacri, solo il vecchio ricevette un boccone di carne insanguinata. Vedendo ciò, ebbe paura e gridò: “Signore, credo che questo pane sia la tua carne e questo calice il tuo sangue”. Immediatamente la carne che teneva in mano divenne pane, secondo il mistero, ed egli la prese, rendendo grazie a Dio. Allora gli anziani gli dissero: “Dio conosce la natura umana e sa che l’uomo non può mangiare carne cruda; per questo ha cambiato il suo corpo in pane e il suo sangue in vino, per coloro che lo ricevono con fede”. Poi ringraziarono Dio per l’anziano, perché gli aveva permesso di non perdere la ricompensa del suo lavoro. Quindi tutti e tre tornarono con gioia alle loro celle”.
8. Lo stesso abba Daniele raccontò di un altro grande vecchio che abitava nel basso Egitto, il quale, nella sua semplicità, disse che Melchisedec era il figlio di Dio. Quando il beato Cirillo, arcivescovo di Alessandria, ne fu informato, mandò qualcuno da lui. Apprendendo che l’anziano era un operatore di miracoli e che tutto ciò che chiedeva a Dio gli veniva rivelato, e che era a causa della sua semplicità che aveva pronunciato questo detto, con malizia l’arcivescovo gli disse: “Abba, io penso che Melchisedec sia figlio di Dio, mentre un pensiero contrario mi dice: no, che è semplicemente un uomo, sommo sacerdote di Dio. Poiché sono così tormentato, ho mandato qualcuno da te perché tu preghi Dio di rivelarti che cosa sia”. Fiducioso del suo dono, l’anziano disse senza esitare: “Dammi tre giorni, chiederò a Dio di questa faccenda e ti dirò chi è”. Così si ritirò e pregò Dio su questa questione. Tornato tre giorni dopo, disse al beato Cirillo che Melchisedec era un uomo. L’arcivescovo gli disse: “Come fai a saperlo, Abba?” Egli rispose: “Dio mi ha mostrato tutti i patriarchi in modo tale che ognuno, da Adamo a Melchisedec, è passato davanti a me. Sii dunque certo che è così”. Allora il vecchio si ritirò, avendo predicato a sé stesso che Melchisedec era un uomo. Il beato Cirillo si rallegrò molto.
GERONTIOS
ἀββᾶς Γερόντιος
1. Abba Geronzio di Petra diceva che molti, tentati dai piaceri del corpo, commettono fornicazione non nel corpo ma nello spirito e, pur conservando la verginità corporea, si prostituiscono nell’anima. Perciò è bene, mio caro, che tu faccia ciò che è scritto e che ciascuno custodisca il proprio cuore con ogni vigilanza” (Prov. 4, 23).
GELASIO
ἀββᾶ Γελασίου
1. Di Abba Gelasio si diceva che possedeva una Bibbia di cuoio del valore di diciotto pezzi d’argento. In effetti conteneva tutto l’Antico e il Nuovo Testamento. L’aveva messa in Chiesa perché tutti i fratelli che lo desideravano potessero leggerla. Un fratello sconosciuto venne a trovare il vecchio e, vedendo la Bibbia, volle averla e la rubò mentre se ne andava. L’anziano non gli corse dietro per prenderla, pur sapendo cosa stava facendo. Allora il fratello andò in città e cercò di venderla e, trovato un acquirente, gli chiese tredici pezzi d’argento. L’acquirente gli disse: “Prima prestamela, così la esaminerò e poi ti darò il prezzo”. Così gliela diede. Prendendola, l’acquirente la portò ad Abba Gelasio perché la esaminasse e gli comunicò il prezzo che il venditore aveva stabilito. Il vecchio gli disse: “Comprala, perché è bella e vale il prezzo che mi hai detto”. Quest’uomo, quando tornò, disse al venditore qualcosa di molto diverso e non quello che gli aveva detto l’anziano. L’ho mostrata ad Abba Gelasio”, disse, “e mi ha risposto che era cara e non valeva il prezzo che dicevi tu”. Sentendo questo, chiese: “L’anziano non ha detto altro?” “No”, rispose. Allora il venditore disse: “Non voglio più venderla”. Pieno di rimorsi, andò a cercare l’anziano, per fare penitenza e chiedergli di riprendersi il libro. Ma l’anziano non voleva porre rimedio alla perdita. Allora il fratello gli disse: “Se non la riprendi, non avrò pace”. L’anziano rispose: “Se non avrai pace, allora la riprenderò”. Così il fratello rimase lì fino alla morte, edificato dallo stile di vita dell’anziano.
2. Una cella circondata da un appezzamento di terreno era stata lasciata ad Abba Gelasio da un anziano, anch’egli monaco, che aveva la sua dimora nei pressi di Nicopoli. Ora, un parente del defunto che era un contadino al servizio di Bacato, che allora era governatore a Nicopoli in Palestina, andò a cercare Bacato, chiedendogli di ricevere l’appezzamento di terra, perché, secondo la legge, doveva tornare a lui. Bacato era un uomo violento e cercò di sottrarre il campo ad Abba Gelasio con la forza. Ma il nostro Abba Gelasio, non volendo che una cella monastica fosse ceduta a un secolare, non volle cedere il terreno. Bacato, accortosi che le bestie da soma di Abba Gelasio trasportavano olive dal campo che gli era stato lasciato, le fece deviare con la forza dal loro percorso e prese le olive per sé; a stento restituì le bestie con i loro conducenti, avendo fatto subire loro degli oltraggi. Il vecchio benedetto non reclamò i frutti, ma non cedette il possesso della terra per il motivo che abbiamo esposto sopra. Furioso con lui, Bacato, che aveva anche altre questioni da sbrigare (perché amava le cause), si diresse a Costantinopoli, facendo il viaggio a piedi. Giunto nei pressi di Antiochia, dove la fama di San Simeone brillava di grande splendore, sentì parlare di lui (era davvero un uomo eminente) e, da cristiano, desiderò vedere il santo. Il beato Simeone, dall’alto della sua colonna, lo vide appena entrato nel monastero e gli chiese: “Da dove vieni e dove vai?” Egli rispose: “Vengo dalla Palestina e sto andando a Costantinopoli”. E continuò: “E per quali ragioni?”. Bacato rispose: “Per molte questioni. Spero, grazie alle preghiere della vostra santità, di tornare e di inchinarmi davanti alle vostre orme sante”. Allora San Simeone gli disse: “Disgraziato, non vorrai dire che stai per agire contro l’uomo di Dio. Ma la tua strada non ti è favorevole e non rivedrai più la tua casa. Se vuoi seguire il mio consiglio, lascia queste parti e corri da lui a chiedergli perdono, se sarai ancora vivo quando arriverai in quel luogo”. Immediatamente Bacato fu colto dalla febbre. I suoi compagni di viaggio lo misero su una lettiga ed egli si affrettò, secondo la parola di San Simeone, a raggiungere Abba Gelasio e a chiedergli perdono. Ma quando giunse a Beirut, morì senza rivedere la sua casa, secondo la profezia del vecchio. È stato suo figlio, anch’egli chiamato Bacato, a raccontarlo a molti uomini fidati, nello stesso momento in cui raccontava la morte del padre.
3. Molti dei suoi discepoli raccontavano anche quanto segue: Un giorno qualcuno aveva portato loro un pesce e, una volta cotto, il cuoco lo portò al cellerario. Un motivo urgente costrinse quest’ultimo a lasciare il magazzino. Così lasciò il pesce a terra in un piatto, chiedendo a un giovane discepolo di Abba Gelasio di occuparsene per un po’ fino al suo ritorno. Il ragazzino fu preso dal desiderio e cominciò a mangiare il pesce con avidità. Il cellerario al suo ritorno, trovandolo che mangiava, si arrabbiò con il bambino che era seduto a terra e senza badare a ciò che faceva gli diede un calcio. Colpito in una parte mortale, per la forza demoniaca, il giovinetto emise lo spirito e morì. Il cantiniere, preso dalla paura, lo adagiò sul proprio letto, lo coprì e andò a gettarsi ai piedi di Abba Gelasio, raccontandogli l’accaduto. Gelasio gli consigliò di non parlarne con nessuno e gli ordinò di portare il ragazzo, quando tutti fossero andati a riposare la sera, al diaconicum, di metterlo davanti all’altare e poi di ritirarsi. Giunto al diaconicum, il vecchio continuò a pregare; all’ora della salmodia notturna, quando i confratelli si riunirono, il vecchio si ritirò, seguito dal piccolo discepolo. Nessuno seppe cosa era stato fatto, tranne lui e il cellerario, fino alla sua morte.
4. Non solo i suoi discepoli, ma anche molti di coloro che lo incontrarono, raccontarono spesso di Abba Gelasio. Al tempo del sinodo ecumenico di Calcedonia, Teodosio, che aveva preso l’iniziativa nello scisma di Dioscoro in Palestina, prevedendo che i vescovi sarebbero tornati alle loro chiese particolari (perché anche lui era presente a Calcedonia, espulso dalla patria perché il suo destino era quello di fomentare problemi), si precipitò da Abba Gelasio nel suo monastero. Gli parlò, opponendosi al sinodo, dicendo che l’insegnamento di Nestorio aveva prevalso. Con questo mezzo pensava di conquistare il santo uomo e di portarlo alla sua stessa delusione e al suo scisma. Ma egli, per il portamento del suo interlocutore e per la prudenza che Dio gli aveva ispirato, comprese la natura dannosa delle sue parole. Non solo non si unì a questo apostata, come fecero quasi tutti gli altri, ma lo mandò via coperto di rimproveri. Anzi, fece venire in mezzo a loro il giovane bambino che aveva risuscitato dai morti e parlò così, con grande rispetto: “Se vuoi discutere sulla fede, hai vicino a te chi ti ascolterà e ti risponderà; per quanto mi riguarda, non ho tempo di ascoltarti”. Queste parole riempirono Teodosio di confusione. In fretta e furia partì per la città santa e lì portò tutti i monaci dalla sua parte, con il pretesto di un fervente zelo. Poi, sfruttando questo aiuto, si impadronì del trono di Gerusalemme. Aveva preparato tale posizione per sé con assassinii e fece molte cose contrarie alla legge divina e ai precetti canonici. Divenuto padrone e raggiunto il suo scopo, imponendo le mani a molti vescovi per metterli sui troni dei vescovi che non si erano ancora ritirati, fece venire da sé Abba Gelasio. Lo invitò nel santuario, cercando di conquistarlo, pur temendolo. Quando Gelasio entrò nel santuario, Teodosio gli disse: “Anatemizza Giovenale”. Ma egli rimase impassibile e rispose: “Non conosco altro vescovo di Gerusalemme all’infuori di Giovenale”. Teodosio, temendo che altri imitassero il suo santo zelo, ordinò di cacciarlo dalla chiesa, coprendolo di ridicolo. Gli scismatici lo presero e gli misero intorno delle fascine, minacciando di bruciarlo. Ma vedendo che nemmeno questo lo faceva desistere né lo spaventava e temendo una sollevazione popolare, poiché era molto celebre (tutto ciò gli era stato concesso dalla Provvidenza dall’alto), mandarono via sano e salvo il nostro martire, che si era offerto in olocausto a Cristo.
5. Di lui si diceva che in gioventù aveva condotto una vita di povertà come anacoreta. A quel tempo nella stessa regione c’erano molti altri uomini che, con lui, avevano abbracciato la stessa vita. Tra loro c’era un anziano di grandissima semplicità e povertà, che visse fino alla fine in una sola cella, anche se in età avanzata aveva dei discepoli. I particolari atti di ascetismo di questo vecchio erano stati di guardarsi dall’avere due tuniche e fino al giorno della sua morte di non pensare all’indomani mentre era con i suoi compagni. Quando Abba Gelasio, con l’assistenza divina, fondò il suo monastero, ricevette molti doni e acquistò anche bestie da soma e bestiame, necessari per il monastero. Colui che all’inizio rivelò al divino Pacomio che avrebbe costruito un monastero, gli venne in aiuto per tutta la durata della fondazione. L’anziano, di cui abbiamo parlato sopra, vedendolo impegnato in questo, e volendo conservare il grande amore che aveva per lui, gli disse: “Abba Gelasio, temo che il tuo spirito sarà reso schiavo dalle terre e da tutti gli altri beni del monastero”. Ma egli rispose: “Il tuo spirito è più schiavo dell’ago con cui lavori che lo spirito di Gelasio di questi beni”.
6. Si dice che Abba Gelasio fosse spesso assalito dal pensiero di andare nel deserto. Un giorno disse al suo discepolo: “Fammi il favore, fratello, di sopportare qualsiasi cosa io faccia e non dirmi nulla per tutta questa settimana”. Presa una canna, cominciò a camminare nel suo piccolo atrio. Quando fu stanco, si sedette un po’, poi si alzò di nuovo per camminare. Quando arrivò la sera, disse a sé stesso: “Chi cammina nel deserto non mangia pane, ma erbe; quindi, poiché sei stanco, mangia qualche verdura”. Lo fece, poi disse di nuovo a sé stesso: “Chi è nel deserto non si corica in un letto, ma all’aria aperta; fai lo stesso”. Così si sdraiò e dormì nell’atrio. Camminò così per tre giorni nel monastero, mangiando qualche foglia di cicoria la sera e dormendo tutta la notte all’aria aperta e si stancò. Allora, riprendendo il pensiero che lo turbava, lo confutò con queste parole: “Se non sei in grado di compiere le opere del deserto, vivi pazientemente nella tua cella, piangendo i tuoi peccati, senza vagare qua e là. Perché l’occhio di Dio vede sempre le opere dell’uomo e nulla gli sfugge ed egli conosce coloro che fanno il bene”.
GREGORIO IL TEOLOGO
ἀββᾶς Γρηγόριος
I tre gerarchi. Basilio di Cesarea che abbiamo già incontrato su, Giovanni Crisostomo Patriarca di Costantinopoli e Gregorio Vescovo di Nanzianzo detto “il Teologo”. Gregorio nacque a Nazianzo nel 330 e morì nel 390. Fu compagno di studi del Grande Basilio ma con un temperamento molto differente. Molto battagliero il primo, più contemplativo il secondo. Non resistette infatti nel ruolo di Patriarca di Costantinopoli e preferì rifugiarsi fino alla morte nella tranquillità della sua Nanzianzo da dove illuminò l’ortodossia grazie alla sua teologia divinamente ispirata. Non fu un eremita anche se condivise delle esperienze con lo stesso Basilio e compare in questa raccolta per l’onore che gli era tributato in tutta la Chiesa.
1. Abba Gregorio diceva: “Queste tre cose Dio le richiede a tutti i battezzati: la retta fede nel cuore, la verità sulla lingua, la temperanza nel corpo”.
2. Disse anche: “L’intera vita di un uomo non è che un solo giorno per coloro che lavorano duramente e con desiderio”.
BENIAMINO – BIARE
BENIAMINO
ἀββᾶς Βενιαμὶν
1. Abba Beniamino disse: “Quando tornammo a Scete, una volta terminato il raccolto, in cambio portarono a ciascuno di noi un vaso di gesso contenente una pinta di olio da Alessandria. Quando tornò il tempo del raccolto, i fratelli portarono alla chiesa ciò che era rimasto. Da parte mia, non stappai il mio vaso, ma ne presi un po’ bucandolo con uno stiletto, immaginando in cuor mio di aver ottenuto qualcosa di splendido. Ma quando i fratelli portarono i loro vasi di gesso così com’erano mentre il mio era stato trafitto, mi sono vergognato come se avessi commesso una fornicazione”.
2. Abba Beniamino, sacerdote delle Celle, disse: “Un giorno a Scete andammo da un anziano, con l’intenzione di portargli un po’ d’olio, ma egli ci disse: “Guardate il piccolo recipiente che mi avete portato tre anni fa: è rimasto lì dove l’avete messo”. A queste parole ci siamo meravigliati della virtù dell’anziano”.
3. Lo stesso Abba disse: “Siamo andati da un altro anziano che ci ha trattenuto per un pasto e ci offrì dell’olio di rafano. Gli abbiamo detto: “Padre, dacci piuttosto un po’ di olio buono”. A queste parole si fece il segno della croce e disse: “Non sapevo che ce ne fosse un altro tipo”.
4. Mentre stava morendo, Abba Beniamino disse ai suoi figli: “Se osserverete quanto segue, potrete essere salvati: “Siate sempre gioiosi, pregate senza sosta e rendete grazie per ogni cosa”.
5. Disse anche: “Camminate nella via regale, contate le miglia senza scoraggiarvi”.
BIARE
ἀββᾶν Βιαρὲ
1. Qualcuno interrogò Abba Biare con queste parole: “Cosa devo fare per essere salvato?” Egli rispose: “Vai, riduci l’appetito e il lavoro manuale, dimora senza preoccupazioni nella tua cella e sarai salvato”.
BESSARIONE
ἀββᾶ Βισαρίωνος
I detti di Bessarione qui registrati sono riportati in prima persona dal suo discepolo Doulas. Il n. 4 lo ritrae in visita a Giovanni di Licopoli al momento della distruzione dei templi pagani di Alessandria nel 391, quando il Serapione fu rovesciato. Teofilo di Alessandria, sembra che abbia usato i monaci copti più semplici come truppe d’assalto nei suoi conflitti contro il paganesimo e l’eresia. Nello stesso detto n. 4 si apprendela presenza nel deserto anche di donne ascete.
1. Abba Doulas, discepolo di Abba Bessarione, disse: “Un giorno, mentre camminavamo lungo il mare, ebbi sete e dissi ad Abba Bessarione: “Padre, ho molta sete”. Egli fece una preghiera e mi disse: “Bevi un po’ di acqua del mare”. L’acqua si rivelò dolce quando ne bevvi. Ne versai anche un po’ in una bottiglia di cuoio per paura di avere sete più tardi. Vedendo questo, il vecchio mi chiese perché ne prendevo un po’. Gli ho detto: “Perdonami, è per paura di avere sete più tardi”. Allora il vecchio disse: “Dio è qui, Dio è ovunque”.
2. Un’altra volta, quando Abba Bessarione ebbe l’occasione di farlo, disse una preghiera e attraversò il fiume Chrysoroas a piedi e poi continuò il suo cammino. Pieno di meraviglia, chiesi perdono e gli dissi: “Come sentivi i tuoi piedi mentre camminavi sull’acqua?”. Egli rispose: “Sentivo l’acqua solo fino ai talloni, ma il resto era asciutto”.
3. Un altro giorno, mentre andavamo a trovare un anziano, il sole stava tramontando. Allora Abba Bessarione disse questa preghiera: “Ti prego, Signore, che il sole si fermi finché non raggiungiamo il tuo servo”. E questo è ciò che accadde.
4. Un altro giorno, quando arrivai alla sua cella, lo trovai in piedi a pregare con le mani alzate verso il cielo. Per quattordici giorni rimase così. Poi mi chiamò e mi disse di seguirlo. Andammo nel deserto. Avendo sete, gli dissi: “Padre, ho sete”. Allora, prendendo la mia pelle di pecora, il vecchio andò lontano quanto un tiro di sasso, dopo aver pregato, la riportò indietro, piena d’acqua. Poi ci incamminammo e arrivammo a una grotta dove, entrando, trovammo un fratello seduto, impegnato a intrecciare una corda. Egli non alzò gli occhi verso di noi, né ci salutò, poiché non voleva conversazione con noi. Allora il vecchio mi disse: “Andiamo; senza dubbio l’anziano non è sicuro di dover parlare con noi”. Continuammo il nostro viaggio verso Licopoli, fino a raggiungere la cella di Abba Giovanni. Dopo averlo salutato, pregammo, poi il vecchio si sedette per parlare della visione che aveva avuto. Abba Bessarione disse che gli era stato comunicato che i templi sarebbero stati abbattuti. E così è stato: sono stati abbattuti. Al nostro ritorno, tornammo alla grotta dove avevamo visto il fratello. Il vecchio mi disse: “Entriamo a vederlo; forse Dio gli ha detto di parlarci”. Quando entrammo, lo trovammo morto. Il vecchio mi disse: “Vieni, fratello, prendiamo il corpo; è per questo motivo che Dio ci ha mandato qui”. Quando prendemmo il corpo per seppellirlo, ci accorgemmo che era una donna. Pieno di stupore, il vecchio disse: “Vedi come le donne trionfano su Satana, mentre noi ci comportiamo ancora male nelle città”. Dopo aver reso grazie a Dio, che protegge coloro che lo amano, ce ne andammo.
5. Un giorno giunse a Scete un uomo posseduto da un demonio; si pregò su di lui, ma il demonio non lo lasciava, perché era ostinato. I sacerdoti dissero: “Cosa possiamo fare contro questo demonio? Nessuno può scacciarlo, eccetto Abba Bessarione, ma se lo chiamiamo, non verrà nemmeno in Chiesa. Allora facciamo così: visto che viene in chiesa presto, prima di tutti gli altri, facciamo dormire il posseduto qui e quando viene, manteniamo la nostra preghiera e diciamogli: “Abba, sveglia il fratello”. Questo è ciò che fecero. Quando il vecchio arrivò di buon’ora, si attennero alla loro preghiera e gli dissero: “Sveglia il fratello”. Il vecchio gli disse: “Alzati e vai”. Immediatamente il demonio si allontanò da lui e da quel momento fu guarito.
6. Abba Bessarione disse: “Per quattordici giorni e notti sono rimasto in piedi in mezzo ai cespugli di spine, senza dormire”.
7. Un fratello che aveva peccato fu allontanato dalla Chiesa dal sacerdote. Abba Bessarione si alzò e andò con lui, dicendo: “Anch’io sono un peccatore”.
8. Lo stesso Abba Bessarione disse: “Per quattordici anni non mi sono mai sdraiato, ma ho sempre dormito seduto o in piedi”.
9. Lo stesso Abba disse: “Quando sei in pace, senza dover lottare, umiliati per paura di essere sviato dalla gioia, che è inopportuna; noi ci magnifichiamo e siamo così consegnati alla guerra. Spesso, infatti, a causa della nostra debolezza, Dio non permette che siamo tentati, per paura che veniamo sopraffatti”.
10. Un fratello che condivideva l’alloggio con altri fratelli chiese a Abba Bessarione: “Cosa devo fare?”. L’anziano rispose: “Stai in silenzio e non fare paragoni con gli altri”.
11. Abba Bessarione, in punto di morte, disse: “Il monaco deve essere come i Cherubini e i Serafini: tutto occhio”.
12. I discepoli di Abba Bessarione raccontarono che la sua vita era stata come di un uccello dell’aria, o di un pesce, o di un animale che vive sul terreno, passando tutto il tempo della sua vita senza problemi o inquietudini. La cura di una casa non lo turbava e il desiderio di un luogo particolare non sembrava mai dominare la sua anima, così come non lo faceva l’abbondanza di piaceri, o il possesso di case o la lettura di libri. Ma sembrava completamente libero da tutte le passioni del corpo. Sostenendosi con le cose buone a venire, saldo nella forza della sua fede, viveva nella pazienza, come un prigioniero che viene condotto dappertutto, soffre sempre il freddo e la nudità, bruciato dal sole e sempre all’aria aperta, affliggendosi ai margini del deserto come un vagabondo. Trovava il suo piacere ad essere trasportato nelle vaste estensioni delle sabbie inabitate come davanti ad un mare. Quando gli capitava di arrivare in luoghi più piacevoli, dove i fratelli vivevano una vita in comune, si sedeva fuori dal cancello, piangendo e lamentandosi come un naufrago che viene scaraventato dai flutti sulla terra. Così, se uno dei fratelli che usciva lo trovava lì, seduto come uno dei poveri mendicanti che vivono nel mondo e pieno di compassione si avvicinasse a lui, chiedendogli: “Uomo, perché piangi? Se hai bisogno di qualcosa per quanto ci è possibile faremo in modo che tu la riceva. Entra, condividi la nostra tavola e riposati”, lui rispondeva: “Non posso vivere sotto un tetto finché non avrò ritrovato le ricchezze della mia casa”, aggiungendo che aveva perso grandi ricchezze in vari modi. Sono caduto tra i pirati, ho subito un naufragio, ho disonorato il mio rango, passando dalla gloria all’ignominia”. Il fratello, commosso da queste parole, tornò indietro, portando un boccone di pane e glielo diede, dicendo: “Prendi questo, padre, tutto il resto, come dici tu, te lo restituirà Dio: la casa, l’onore e le ricchezze di cui parli”. Ma egli, lamentandosi ancora di più, sospirò profondamente e aggiunse: “Non posso dire se ritroverò le cose buone perdute che cerco, ma preferisco ancora di più ogni giorno rischiare di morire, senza avere tregua a causa delle mie grandi calamità: così devo sempre vagare, per terminare la mia corsa”.
BASILIO IL GRANDE
ἄγιος Βασίλειος
Basilio il Grande (330 ca. – 379 ca.) era fratello di Gregorio di Nissa e Macrina. Dopo aver ricevuto un’eccellente educazione si fece monaco in Siria e in Egitto e si stabilì per un certo periodo come eremita a Neocaesarea (358). Nel 370 Eusebio come vescovo di Cesarea fu il difensore dell’ortodossia contro l’eresia di Ario. Organizzò la vita monastica a Cesarea riportando la struttura e l’organizzazione appresi in Egitto anche se San Basilio prediligeva la vita cenobitica a quella eremitica. Presentò in due libri i precetti per la vita monastica, chiamati Regola lunga e Regola breve; quest’ultima fu rivista da Teodoro lo Studita all’inizio del IX secolo. Sono un documento fondamentale per il monachesimo orientale.
1. Uno degli anziani disse: “Quando un giorno San Basilio venne al monastero, dopo la consueta esortazione disse all’abate: “Hai qui un fratello che sia obbediente?”. L’altro rispose: “Sono tutti tuoi servitori, maestro, e impegnati per la loro salvezza”. Ma egli ripeté: “Hai un fratello che sia veramente obbediente?”. Allora l’abate gli condusse un fratello e San Basilio lo utilizzò per servire durante il pasto. Quando il pasto fu terminato, il fratello gli portò dell’acqua per sciacquarsi le mani e San Basilio gli disse: “Vieni qui, così che anch’io possa offrirti dell’acqua”. Il fratello permise al vescovo di versare l’acqua. Poi San Basilio gli disse: “Quando entrerò nel santuario, vieni, così ti ordinerò diacono”. Fatto questo, lo ordinò sacerdote e lo portò con sé nel palazzo vescovile per la sua obbedienza”.
AIO – AMMONATA
AIO
ἀββᾶ Ἀϊώ
1. Dicono che nella Tebaide c’era un anziano, Abba Antiano, che da giovane aveva fatto molte opere buone, ma quando invecchiò si ammalò e divenne cieco. Poiché era malato, i fratelli lo sollevavano prendendosi molta cura di lui, mettendogli persino il cibo in bocca. Chiesero ad Abba Aio cosa ne sarebbe stato di questi sollievi. Egli rispose: “Vi dico che se quando mangia anche un solo dattero lo fa volentieri e con desiderio, Dio glielo toglie. e di buon grado, Dio lo toglie dalle sue opere; ma se lo riceve a malincuore e di malavoglia, Dio manterrà intatte le sue opere, poiché egli ha accettato di farlo contro la sua volontà. I fratelli riceveranno la loro ricompensa”.
AMMONATA
ἀββᾶ Ἀμμωναθᾶ
1. Un giorno giunse in Pelusia un magistrato per imporre ai monaci la tassa elettorale, come per la popolazione secolare. Tutti i frati si riunirono per questa imposizione e si recarono da Abba Ammonata. Alcuni dei padri pensarono di andare a parlare con l’imperatore, ma Abba Ammonata disse loro: “Non è necessario disturbare tanto. Rimanete piuttosto tranquilli nelle vostre celle, digiunate per due settimane e io solo, con la grazia di Dio, mi occuperò della questione”. Così i fratelli tornarono nelle loro celle. Il vecchio rimase nella pace della sua cella. Dopo quindici giorni i confratelli erano insoddisfatti del vecchio perché non lo avevano più visto agitarsi, e dissero: “Il vecchio non ha fatto nulla per la nostra questione”. Il quindicesimo giorno, secondo il loro accordo, i fratelli si riunirono di nuovo e il vecchio si presentò con una lettera con il sigillo dell’imperatore. Vedendola, i confratelli gli dissero, con grande stupore: “Quando l’hai avuta, Abba?”. Allora il vecchio rispose: “Credetemi fratelli, questa notte sono andato dall’imperatore, che ha scritto questa lettera; poi, recandomi ad Alessandria, l’ho fatta controfirmare dal magistrato e così sono tornato da voi”. Sentendo questo, i fratelli furono pieni di paura e fecero penitenza davanti a lui. Così i loro affari furono risolti, e il magistrato non li disturbò più.