Lettera del Vescovo di Alessandria, Alessandro, a tutti i Vescovi della Chiesa Cattolica
Durante il primo periodo della controversia ariana, il Vescovo di Alessandria, Alessandro, tenne un sinodo regionale con quasi 100 vescovi egiziani e libici che scomunicò Ario. Ciò accadde poco dopo il 318, quando Eusebio lasciò Beirut per diventare Vescovo a Nicomedia e tuttavia già inviava lettere in tutta l’ecumene a sostegno di Ario. Anche il numero dei sostenitori locali di Ario era ancora piuttosto limitato. La lettera contiene l’elenco stilato da Alessandro dei principali principi teologici erronei di Ario, seguito da una confutazione di tali principi e un avvertimento generale contro i falsi maestri.
Alessandro, ai nostri amati e onoratissimi concelebranti di tutta la Chiesa cattolica.
Saluti nel Signore!
[2] Poiché la Chiesa cattolica è un solo corpo e le divine Scritture ci comandano di mantenere «il vincolo dell’unità e della pace» [Ef 4,3], ne consegue che dobbiamo scriverci e informarci vicendevolmente delle cose accadute tra ciascuno di noi, affinché se un membro soffre o si rallegra, noi possiamo compatire o rallegrarci l’uno con l’altro [1 Cor 12,26]. [3] Nella nostra diocesi sono sorti recentemente uomini empi e anticristiani, che insegnano un’apostasia che si potrebbe ragionevolmente considerare ed etichettare come precorritrice dell’Anticristo.
[4] Avrei voluto passare questa questione sotto silenzio, affinché, se possibile, il male fosse confinato ai soli sostenitori e non si diffondesse in altre regioni e contaminasse le orecchie degli innocenti. Ma Eusebio, ora vescovo a Nicomedia, pensando che gli interessi della Chiesa gravassero inetramente su di sé, dopo aver abbandonato il suo ufficio a Beirut e aver bramato la Chiesa di Nicomedia, senza essere stato per questo punito, si è ora posto alla testa di questi apostati, osando anche scrivere lettere in tutte le direzioni in loro sostegno, sperando di trascinare qualcuno degli ignoranti in questa vergognosa e anticristiana eresia. Quindi, poiché conosco ciò che sta scritto nella legge, non potevo più tacere, ma dovevo informarvi di tutte queste cose, [5] affinché voi siate informati su quali persone sono cadute nell’apostasia e anche delle terribili minacce causate dalla loro eresia e non prestiate attenzione a nulla di ciò che Eusebio vi scrive. Volendo, infatti, ora utilizzare questi avvenimenti per resuscitare la sua vecchia malevolenza, che sembrava essere stata messa a tacere nel tempo, finge di scrivere a loro nome, mentre i fatti dimostrano che lo fa per promuovere la propria causa. [6] Questi dunque sono coloro che sono diventati apostati: Ario, Achilla, Aitale e Carpone, un secondo Ario, Sarmati, che una volta erano tutti presbiteri; Euzoio, Lucio, Giulio, Mena, Elladio e Gaio, che una volta erano tutti diaconi; e con questi anche Secondo e Teona, che un tempo erano chiamati Vescovi.
[7] I dogmi che, andando oltre la Scrittura, hanno inventato e affermato sono i seguenti:
«Dio non è sempre stato il Padre, ma c’è stato un tempo in cui Dio non era il Padre.
Il Verbo di Dio non è sempre esistito, ma è nato dal nulla, perché “il Dio che è” ha creato dal nulla “colui che prima non esisteva”. Per questo c’era una volta in cui non esisteva; poiché il Figlio è una creatura ed un essere creato.
Egli non è né essenzialmente simile al Padre, né è per natura il vero Logos del Padre né la sua vera Sapienza, ma piuttosto una delle cose che ha fatto e una di quelle che ha generato. Egli è chiamato Verbo e Sapienza solo per analogia, poiché egli stesso è nato dall’attuale Logos di Dio e dalla Sapienza che è in Dio, mediante la quale Dio ha creato tutte le cose compreso lui.
[8] La sua natura è mutevole e suscettibile di cambiamento, come lo sono tutti gli esseri razionali. E così il Logos è estraneo, diverso ed escluso dalla sostanza di Dio; e il Padre è invisibile al Figlio. Infatti il Logos non conosce il Padre in modo perfetto e preciso, né lo può vedere perfettamente. Il Figlio infatti non conosce neppure la propria essenza così come essa è, [9] poiché egli è stato fatto per noi, affinché Dio potesse crearci per mezzo di lui, come per mezzo di uno strumento, e non sarebbe mai esistito se Dio non avesse voluto crearci».
[10] Qualcuno chiese loro se la Parola di Dio potesse volgersi al male, come ha fatto il diavolo. E non avevano paura di rispondere: “Sì, potrebbe. In quanto è creato, la sua natura può cambiare”. [11] Noi dunque, riuniti con quasi cento vescovi d’Egitto e di Libia, abbiamo lanciato un anatema su queste cose dette da Ario e da coloro che senza vergogna lo hanno seguito. I seguaci di Eusebio li hanno accolti e hanno cercato di fondere la menzogna con la verità e l’empietà con ciò che è sacro. Ma non ci riusciranno. Perché la verità deve trionfare e «la luce non ha alcuna comunione con le tenebre, né Cristo può essere in accordo con Belial» [2 Cor 6,14].
[12] Chi infatti ha mai udito tali cose? Oppure, chi ora sentendo ciò non si stupisce e non si tappa le orecchie per non sentire espressioni così immonde? Chi, ascoltando Giovanni dire: “In principio era il Logos” [Gv 1,1], non condanna coloro che dicono: “Ci fu un tempo in cui il Logos non esisteva”? Oppure chi, sentendo nel Vangelo del Figlio unigenito [Gv 3,16.18], e che «per mezzo di lui tutte le cose sono state fatte» [Gv 1,3, cfr Rm 11,36], non odierà coloro che proclamano che il Figlio è una delle cose fatte? Come può essere una delle cose fatte per mezzo di lui stesso? Oppure, come può essere unigenito se è annoverato tra le cose create? E come potrebbe nascere dal nulla quando il Padre ha detto: “Il mio cuore ha proferito una parola buona” [LXX Sal 44:2]; e «ti ho generato dal grembo materno davanti alla stella del mattino» [LXX Sal 109,3]?
[13] O come può essere per sostanza diverso dal Padre Colui che è l’immagine perfetta e il riflesso del Padre [Eb 1,3] e che dice: «Chi ha visto me, ha visto il Padre»? [Gv 14,9] Ancora una volta, come mai se il Figlio è il Logos e la Sapienza di Dio, potrebbe esserci un tempo in cui non esisteva? Ciò equivale a dire che Dio una volta era senza Parola e senza Sapienza. [14] Come può essere mutevole e suscettibile al cambiamento chi dice di sé: «Io sono nel Padre e il Padre è in me» [Gv 10,38; 14,10- 11] e «Io e il Padre siamo uno» [Gv 10,30]; e ancora attraverso il profeta: «Guardatemi perché io sono e non sono mutato» [Mal 3,6]? Se qualcuno potesse usare questa espressione per lo stesso Padre, sarebbe ancora più appropriato parlare del Logos, perché egli non è cambiato quando si è fatto uomo, ma, come dice l’Apostolo: «Gesù Cristo, lo stesso ieri, oggi e sempre [Eb 13,8]. Chi allora potrebbe persuaderci a dire che è stato creato per noi, quando Paolo scrive che «per lui e per mezzo di lui esistono tutte le cose» [Rm 11,38]?
[15] Non c’è da meravigliarsi della loro blasfema affermazione secondo cui il Figlio non conosce perfettamente il Padre. Infatti, una volta decisi a combattere contro Cristo, rifiutano anche la sua stessa voce quando dice: «Come il Padre conosce me, anch’io conosco il Padre» [Gv 10,15]. Ma, se il Padre conosce solo parzialmente il Figlio è chiaro che il Figlio può conoscere solo parzialmente il Padre. Ma, se ciò fosse improprio e se il Padre conosce perfettamente il Figlio è anche chiaro che come il Padre conosce il proprio Logos, così anche il Logos conosce il proprio Padre, di cui è Logos. [16] Affermando queste cose e spiegando le divine Scritture, abbiamo spesso confutato questi uomini, ma essi, come camaleonti, mutarono nuovamente se stessi, trascinandosi ostinatamente fino a ciò che sta scritto: «Quando l’empio sprofonda negli abissi del male, diventa sprezzante» [LXX Prov 18,3]. Sebbene davanti a loro siano sorte molte eresie che andando ben oltre ciò che si dovrebbe osare cadevano nella totale stoltezza, costoro, tentando in tutti i loro discorsi di eliminare la divinità del Logos, si sono avvicinati all’Anticristo e hanno superato tutti i loro predecessori. Per questo motivo sono stati denunciati pubblicamente e anatematizzati dalla Chiesa.
[17] Siamo davvero addolorati per la loro distruzione e soprattutto perché ora si sono allontanati dagli insegnamenti che un tempo avevano appreso nella Chiesa, anche se non ne siamo sorpresi. Allo stesso modo caddero Imeneo e Fileto e prima di loro Giuda, che era stato seguace del Salvatore, ma poi divenne traditore e apostata.
[18] Né dovremmo essere ignoranti riguardo a questi uomini, poiché il Signore stesso ha detto: «Guardate che nessuno vi inganni; poiché molti verranno nel mio nome, dicendo: “Io sono Cristo”, e “il tempo è vicino”, e inganneranno molti. Non seguiteli» [Lc 21,8, Mt 24,5]. E Paolo, avendo imparato queste cose dal Salvatore, scrisse:
«Che negli ultimi tempi alcuni apostateranno dalla sana fede, seguendo spiriti ingannatori e insegnamenti di demoni, allontanandosi dalla verità» [1 Tim 4,1 – 2 Tim 4,4]. [19] Poiché il Signore e Salvatore nostro, Gesù Cristo, ci ha ordinato personalmente e predetto per mezzo dell’Apostolo a riguardo a questi uomini, ne consegue che noi stessi, avendo udito la loro empietà, li abbiamo condannati – come abbiamo già detto – e li abbiamo dichiarati estranei alla Chiesa cattolica e alla fede
[20] Abbiamo anche chiarito alle vostre pie menti, carissimi e onoratissimi concelebranti, che non dovreste accogliere nessuno di questi uomini, se avessero la temerarietà di avvicinarsi a voi, né lasciarvi persuadere a ricevere alcuna lettera in loro difesa da Eusebio o chiunque altro. È giusto per noi cristiani allontanarci da tutti coloro che parlano o ragionano contro Cristo, perché sono resistenti a Dio e distruttori di anime; né dobbiamo salutare tali uomini per non essere resi partecipi del loro peccato, come insegnò il beato Giovanni [cf. 2 Gv 9-11].
Salutate i fratelli che sono con voi. Quelli che sono con me vi salutano.
I presbiteri di Alessandria:
Io, il Presbitero Colluto, sono d’accordo con quanto è stato scritto e con la deposizione di Ario e di coloro che commisero empietà con lui.
Allo stesso modo i Presbiteri: Alessandro, Dioscoro, Dionisio, Eusebio, Alessandro, Neilaras, Arpocrazione, Agato, Nemesio, Longo, Silvano, Peröous, Api, Proterio, Paolo, Ciro.
Allo stesso modo i Diaconi: Ammonio, Macario, Pistus, Atanasio, Eumene, Apollonio, Olimpio, Aftonio, Atanasio, Macario, Paolo, Pietro, Aminziano, Gaio, Alessandro, Dionisio, Agatone, Polibio, Teona, Marco, Commodo, Serapione, Neilo, Romano.
I presbiteri di Mareoti:
Io, il presbitero Apollonio, sono d’accordo con quanto è stato scritto e con la deposizione di Ario e di coloro che con lui commisero empietà.
Allo stesso modo i Presbiteri: Ingenio, Ammonio, Dioscoro, Sostra, Teone, Tiranno, Coprys, Ammona, Orione, Sereno, Didimo, Eracle, Bocco, Agato, Achille, Paolo, Telelio, Dionisio.
P. Seraphim Rose: Sono validi i sacramenti dei non ortodossi?
Potrebbe illustrarci la dottrina ortodossa del Santo Spirito in relazione alla realtà dei sacramenti non ortodossi: il Santo Spirito è presente in essi?
Il Santo Spirito è stato inviato da nostro Signore Gesù Cristo il giorno di Pentecoste, il cinquantesimo giorno dopo la sua Risurrezione, il decimo giorno dopo che Egli stesso è asceso al cielo per rimanere con la Chiesa fino alla fine dei tempi. Storicamente, c’è stata una sola Chiesa che Egli ha fondato.
Ora, alcune persone studiano la storia per trovare quella Chiesa. Per esempio, c’è un’intera storia della Chiesa in Uganda. Negli anni Venti (del XX secolo), due seminaristi ugandesi stavano studiando in un seminario anglicano e videro che la dottrina insegnata lì non era quella che conoscevano dagli scritti degli antichi Padri. Pensarono allora di guardare al cattolicesimo romano, che doveva essere la Chiesa antica. Nella loro “ricerca della vera Chiesa antica” (come loro stessi la chiamavano), andarono a studiare in un seminario cattolico romano e si accorsero che la dottrina con cui avevano familiarizzato differiva dall’insegnamento degli antichi Padri della Chiesa. Si chiesero: “Se la verità è cambiata qui, allora dove può essere quella giusta del Cristo?”. E così hanno sentito parlare della fede ortodossa e hanno fatto molta strada per trovare dove fosse.
All’inizio trovarono un uomo che si definiva ortodosso, ma era un comune ciarlatano che distribuiva qualcosa che sosteneva essere la Comunione. Quando un laico greco disse loro che c’era qualcosa di impuro in quell’uomo, se ne accorsero, si pentirono, rifiutarono l’inganno e ricominciarono a cercare. Il primo Vescovo ortodosso che incontrarono era un vescovo molto indegno e disse loro: “Non preoccupatevi. Tutte le religioni sono uguali; tornate dagli anglicani”. Ma non si lasciarono sedurre da questo. Alla fine trovarono un Vescovo ortodosso che insegnava correttamente la parola di verità, e allora divennero ortodossi. Così oggi la Chiesa si sta diffondendo in Africa: in Uganda, Kenya, Zaire, Tanzania, ecc. Abbiamo anche filmato le loro funzioni, che erano molto impressionanti. Hanno preso il canto greco bizantino e, senza cercare di cambiarlo (hanno semplicemente cantato nella loro lingua madre), il suono era molto sublime, con una sorta di sapore africano indigeno. Hanno fatto con il canto bizantino quello che un tempo i greci avevano fatto con l’antico canto ebraico.
Cioè, questi africani hanno fatto una ricerca storica e hanno scoperto che c’è una sola Chiesa che viene direttamente da Cristo e che insegna quello che insegnavano nell’antichità: è la Chiesa Ortodossa. Da un punto di vista storico, si può anche facilmente vedere che tutte le altre Chiese si sono separate dalla Chiesa Ortodossa: il cattolicesimo romano si è separato prima degli altri nell’XI secolo, quando la controversia sul ruolo del Papa nella Chiesa ha raggiunto il suo punto di svolta e il Papa ha rifiutato il dogma ortodosso, trascinando tutto l’Occidente dopo di lui nello scisma.
Fino ai nostri giorni, il Santo Spirito opera nell’Ortodossia. Nei gruppi protestanti occidentali moderni, qualsiasi cosa ci sia è raramente chiamata Comunione e quindi non si dovrebbe cercare la grazia del Santo Spirito in qualcosa che loro stessi non considerano Comunione. Naturalmente, il cattolicesimo romano e alcuni altri gruppi credono di avere la Comunione. Ma il punto è che la vera Comunione, così come Cristo l’ha creata, è solo nella Chiesa Ortodossa… Infatti, possiamo vedere storicamente che facciamo tutto come facevano nella Chiesa antica. Filippo, per esempio, portò l’eunuco al fiume e lo battezzò, senza dubbio nello stesso modo in cui lo facciamo noi: per immersione tre volte nel nome del Padre, del Figlio e del Santo Spirito. È per questo che l’Ortodossia è conosciuta come conservatrice: manteniamo consapevolmente le antiche tradizioni che provengono da Cristo, dagli Apostoli e dai primi Padri della Chiesa.
Può parlarci della posizione dell’Ortodossia nei confronti delle religioni non cristiane?
Cristo è venuto per illuminare l’umanità. Ci sono varie religioni al di fuori della sua Rivelazione, i loro seguaci sono sinceri, ma solo dove non c’è il culto del diavolo e l’anima cerca davvero di trovare il Signore. Insomma, prima che la gente senta parlare di Cristo, queste religioni possono essere buone per certi versi, ma non vi porteranno alla meta. L’obiettivo è la vita eterna e il Regno dei Cieli e il Signore si è incarnato per rivelarcelo. Cioè, il cristianesimo è l’unica verità. Si può vedere che ci sono vari elementi relativi di verità in altre religioni e spesso sono molto profondi, ma non aprono il Paradiso. Solo quando Cristo è venuto sulla terra e ha detto al ladrone: “Sarai con me in Paradiso” (Lc 23, 43), il Paradiso è stato effettivamente aperto agli uomini.
Ieromonaco Seraphim Rose di Platina – Arizona
La Dormizione (“Uspenie”, “Koimesis”) della nostra Santissima Signora Madre di Dio e Sempre Vergine Maria
Festa il 15 (28) agosto
Dopo l’Ascensione del Signore, la Madre di Dio rimase nelle cure dell’Apostolo Giovanni il Teologo, mentre durante i suoi viaggi visse nella casa dei suoi genitori, vicino al Monte Eleon (il Monte degli Ulivi, o Monte Oliveto). Fu una fonte di consolazione ed edificazione sia per gli Apostoli che per tutti i credenti. Conversando con loro, raccontò loro di eventi miracolosi: l’Annunciazione (Blagoveschenie), la Concezione (Zachatie) senza seme e senza contaminazione di Cristo nato da Lei, della Sua prima infanzia e di tutta la Sua vita terrena. E proprio come gli Apostoli, aiutò a piantare e rafforzare la Chiesa cristiana con la Sua presenza, il Suo discorso e le Sue preghiere. La riverenza degli Apostoli per la Santissima Vergine era straordinaria. Dopo aver ricevuto il Santo Spirito nel giorno straordinario della Pentecoste, gli Apostoli rimasero sostanzialmente a Gerusalemme per circa 10 anni, occupandosi della salvezza degli ebrei e desiderando inoltre vedere la Madre di Dio e ascoltare il Suo santo discorso. Molti dei nuovi illuminati nella fede vennero persino da terre lontane a Gerusalemme, per vedere e ascoltare la Purissima Madre di Dio. Durante il periodo della persecuzione, iniziata dal re Erode contro la giovane Chiesa di Cristo (Atti 12,1-3), la Santissima Vergine insieme all’Apostolo Giovanni il Teologo si ritirò nell’anno 43 a Efeso. La predicazione del Vangelo lì era toccata in sorte all’Apostolo Giovanni il Teologo. La Madre di Dio era allo stesso modo a Cipro con San Lazzaro (il Quattro Giorni-Sepolto), dove era vescovo. Era anche sul Sacro Monte Athos, di cui, come dice Santo Stefano Svyatogorets (cioè Santo Stefano del “Sacro Monte”), la Madre di Dio parlò profeticamente: “Questo posto mi sarà assegnato, datomi da Mio Figlio e dal Mio Dio. Sarò la Patrona di questo posto e l’Intercessore presso Dio per esso”. Il rispetto degli antichi Cristiani per la Madre di Dio era così grande, che conservarono ciò che potevano della Sua vita, ciò di cui potevano prendere nota riguardo ai Suoi detti e alle Sue azioni, e ci tramandarono persino i riguardi del Suo aspetto esteriore. Seguendo la tradizione – basata sulle parole dei sacerdoti martiri Dionigi l’Areopagita (+ 3 ottobre 96), Ignazio il Teoforo (+ 20 dicembre 107) – Sant’Ambrogio di Milano (Comm. 7 dicembre) ebbe modo di scrivere nella sua opera “Sulle vergini” riguardo alla Madre di Dio:
“Era la Vergine non solo di corpo, ma anche di anima, umile di cuore, circospetta nel parlare, saggia nella mente, non eccessivamente dedita al parlare, amante della lettura e del lavoro e prudente nel parlare. La sua regola di vita era: non offendere nessuno, avere buone intenzioni per tutti, rispettare gli anziani, non essere invidiosa degli altri, evitare di vantarsi, essere sana di mente e amare la virtù. Quando mai lanciò un insulto in faccia ai suoi genitori, quando fu in discordia con i suoi parenti? Quando mai si gonfiò arrogantemente davanti a una persona modesta, o rise dei deboli, o evitò gli indigenti?
Con Lei non c’era possibilità di abbagli, di parole sconvenienti, né di condotta impropria: era modesta nei movimenti del corpo, il suo passo era tranquillo e la sua voce schietta; – tale che il suo volto corporeo era un’espressione dell’anima e una personificazione della purezza. Tutti i suoi giorni era preoccupata del digiuno: dormiva solo quando necessario, e anche allora, quando il suo corpo era a riposo, era ancora vigile nello spirito, ripetendo nei suoi sogni ciò che aveva letto, o l’attuazione ponderata delle intenzioni proposte, o quelle pianificate ancora di nuovo. Era fuori casa solo per raggiungere la Chiesa, e solo in compagnia dei parenti. Altrimenti, appariva solo raramente fuori casa in compagnia di altri, ed era la sua migliore sorvegliante; altri potevano proteggerla solo nel corpo, ma Lei stessa custodiva il suo carattere”.
Secondo la tradizione, quella del compilatore della Storia della Chiesa Nicephoros Kallistos (XIV secolo), la Madre di Dio “era di statura media, o come altri suggeriscono, leggermente più della media; i suoi capelli erano dorati; i suoi occhi erano luminosi con pupille come olive lucide; le sue sopracciglia erano forti e moderatamente scure, il suo naso pronunciato e la sua bocca vibrante che esprimeva un dolce discorso; il suo viso non era né rotondo né angoloso, ma un po’ oblungo; il palmo delle sue mani e le dita erano allungate… Nella conversazione con gli altri conservava il decoro, senza diventare sciocca né agitata, e in effetti non si arrabbiava mai; senza artifici e diretta, non era eccessivamente preoccupata di se stessa, e lungi dal coccolarsi, era decisamente piena di umiltà. Riguardo agli abiti che indossava, era soddisfatta di avere colori naturali, il che è ancora oggi evidenziato dal suo sacro copricapo. Basti dire che una grazia speciale accompagnava tutte le sue azioni”. (Nicephoros Kallistos prese in prestito la sua descrizione dalla “Lettera a Teofilo sulle icone” di Sant’Epifanio di Cipro (+12 maggio 403). Le circostanze dell’Addormentarsi o Dormizione della Madre di Dio erano note nella Chiesa Ortodossa fin dai tempi apostolici. Già nel I secolo, il sacerdote martire Dionigi l’Areopagita scrisse della Sua “Dormizione”. Nel II secolo, il racconto dell’Assunzione corporea della Santissima Vergine Maria al Cielo si trova nelle opere di Melitone, vescovo di Sardi. Nel IV secolo, Sant’Epifanio di Cipro fa riferimento alla tradizione dell'”Addormentarsi” della Madre di Dio. Nel V secolo, Sant’Epifanio di Cipro, Patriarca di Gerusalemme, disse alla santa imperatrice bizantina Pulcheria: “Sebbene nella Sacra Scrittura non vi sia alcun resoconto sulle circostanze della Sua fine, sappiamo diversamente dalla tradizione più antica e credibile”. Questa tradizione in dettaglio era raccolta ed esposta nella storia della Chiesa di Niceforo Callisto durante il XIV secolo.
Al tempo della sua benedetta “Dormizione”, la Santissima Vergine Maria era di nuovo a Gerusalemme. La sua fama di Madre di Dio si era già diffusa in tutta la terra e aveva suscitato contro di Lei molti invidiosi e dispettosi, che volevano attentare alla sua vita; ma Dio la preservò dai nemici.
Giorno e notte trascorreva in preghiera. La Santissima Madre di Dio andava spesso al Santo Sepolcro del Signore e qui offriva incenso e piegava le ginocchia. Più di una volta i nemici del Salvatore cercarono di impedirle di visitare il suo luogo santo implorando il sommo sacerdote una guardia per la sorveglianza della Tomba del Signore. Ma la Santa Vergine Maria, invisibile a chiunque, continuò a pregare di fronte a loro. In una di queste visite al Golgota, l’Arcangelo Gabriele le apparve davanti e annunciò il suo imminente trasferimento da questa vita alla vita Celeste di beatitudine eterna. In pegno di ciò, l’Arcangelo le affidò un ramo di palma. Con queste notizie Celesti la Madre di Dio tornò a Betlemme con le tre ragazze che la assistevano (Sepphora, Evigea e Zoila). Quindi, convocò il Giusto Giuseppe di Arimatea e altri discepoli del Signore e raccontò loro del suo imminente Riposo (Uspenie). La Santissima Vergine pregò anche che il Signore facesse venire da Lei l’Apostolo Giovanni. E il Santo Spirito lo trasportò da Efeso, ponendolo proprio accanto a quel luogo, dove giaceva la Madre di Dio. Dopo la preghiera, la Santissima Vergine offrì incenso e Giovanni udì una voce dal Cielo che chiudeva la sua preghiera con la parola “Amen”. La Madre di Dio notò che questa voce accompagnava il rapido arrivo degli Apostoli e dei Discepoli e delle sante Potenze incorporee. I Discepoli, il cui numero allora era impossibile da contare, si radunarono insieme, – dice San Giovanni Damasceno, – come nuvole e aquile, per ascoltare la Madre di Dio. Nel vedersi l’un l’altro, i Discepoli si rallegrarono, ma nella loro confusione si chiedevano l’un l’altro perché il Signore li avesse riuniti insieme in un unico luogo. San Giovanni il Teologo, salutandoli con lacrime di gioia, disse che per la Madre di Dio era iniziato il tempo del riposo del Signore. Entrati dalla Madre di Dio, la videro augustamente distesa sul lettuccio e piena di felicità spirituale. I discepoli la salutarono, e poi raccontarono di essere stati miracolosamente trasportati dai loro luoghi di predicazione. La Santissima Vergine Maria glorificò Dio, in quanto aveva ascoltato la sua preghiera e adempiuto il desiderio del suo cuore, e cominciò a parlare della sua fine imminente. Durante il tempo di questa conversazione anche l’apostolo Paolo apparve in modo miracoloso insieme ai suoi discepoli: Dionigi l’Areopagita, il meraviglioso Ieroteo e Timoteo e altri tra i Settanta Discepoli. Il Santo Spirito li aveva radunati tutti insieme, in modo che potessero essere degni della benedizione della Purissima Vergine Maria e tanto più opportunamente per provvedere alla sepoltura della Madre del Signore. Ognuno di loro Ella lo chiamò per nome, li benedisse e li esaltò nella loro fede e nelle loro difficoltà nella predicazione del Vangelo di Cristo, e a ciascuno augurò la beatitudine eterna e pregò con loro per la pace e il benessere del mondo intero.
Seguì la terza ora, quando doveva verificarsi l’Uspenie-Riposo della Madre di Dio. Una moltitudine di candele ardeva. I santi Discepoli con canti circondavano il letto della malattia felicemente adornato e su di esso giaceva la Purissima Vergine e Madre di Dio. Pregava in previsione della sua dipartita e dell’arrivo del suo desiderato Figlio e Signore. Improvvisamente la Luce inesprimibile della Gloria Divina brillò, di fronte alla quale le candele ardenti impallidivano al confronto. Tutti coloro che videro si spaventarono. Seduto in cima, come immerso nei raggi della Luce indescrivibile, c’era Cristo, il Re della Gloria stesso disceso, circondato da schiere di Angeli e Arcangeli e altre Potenze Celesti, insieme alle anime degli antenati e dei profeti, che in precedenza avevano predetto della Santissima Vergine Maria. Vedendo il Figlio, la Madre di Dio esclamò: “L’anima mia magnifica il mio Signore, e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua ancella” – e, alzandosi dal letto per incontrare il Signore, si inchinò a Lui. E il Signore le ordinò di entrare nelle dimore della Vita Eterna. Senza alcuna sofferenza fisica, come in un sonno felice, la Santissima Vergine Maria abbandonò la sua anima nelle mani del suo Figlio e Dio.
Poi iniziò un gioioso canto angelico. Accompagnando l’anima pura della promessa sposa di Dio e con riverente timore per la Regina del Cielo, gli Angeli esclamarono: “Salve, o Piena di Grazia, il Signore è con Te, benedetta sei Tu fra le donne! Perché ecco, è la Regina, la Fanciulla di Dio che viene, solleva le porte e con l’Eterno-Esistente sollevate la Madre della Luce; perché da Lei è giunta la salvezza a tutta la razza umana. Su di Lei è impossibile guardare e a Lei è impossibile rendere il dovuto onore” (verso dello Stikherion su “Signore, ho gridato”). Le porte celesti furono sollevate e incontrando l’anima della Santissima Madre di Dio, i Cherubini e i Serafini con gioia La glorificarono. Il volto aggraziato della Madre di Dio era raggiante della gloria della verginità divina e dal Suo corpo trasudava fragranza.
Miracolosa fu la vita della Vergine Purissima, e meraviglioso fu il Suo Riposo, come canta la Santa Chiesa: “In Te, o Regina, il Dio di tutti ha compiuto un miracolo, che trascende le leggi della natura. Proprio come nel parto Egli ha preservato la Tua verginità, così anche nella tomba Egli ha preservato il Tuo corpo dalla decomposizione” (Canone 1, Ode 6, Tropario 1). Dando un bacio al corpo purissimo con riverenza e timore, i Discepoli a loro volta ne furono benedetti e colmati di grazia e gioia spirituale. Attraverso la grande glorificazione della Santissima Madre di Dio, l’onnipotente potere di Dio guarì i malati, che con fede e amore toccarono il sacro giaciglio. Piangendo la loro separazione sulla terra dalla Madre di Dio, gli Apostoli si accinsero a seppellire il Suo corpo purissimo. I santi Apostoli Pietro, Paolo, Giacomo e altri dei 12 Apostoli portarono la bara funebre sulle loro spalle e su di essa giaceva il corpo della sempre Vergine Maria. San Giovanni il Teologo andava in testa con lo splendente ramo di palma del Paradiso e gli altri santi e una moltitudine di fedeli accompagnavano la bara funebre con candele e turiboli, cantando canti sacri. Questa solenne processione andava dal quartiere di Sion attraverso tutta Gerusalemme fino al Giardino del Getsemani.
Con l’inizio della processione, all’improvviso apparve sul corpo purissimo della Madre di Dio e su tutti coloro che la accompagnavano una vasta e splendente nuvola circolare, come una corona, e al coro degli Apostoli si unì il coro degli Angeli. Si udì il canto delle Potenze Celesti, che glorificavano la Madre di Dio, che riecheggiava quello delle voci mondane. Questo cerchio di cantori e di splendore Celesti si muoveva nell’aria e accompagnava la processione fino al luogo stesso della sepoltura. Gli abitanti increduli di Gerusalemme, sorpresi dalla straordinaria grandiosa processione funebre e irritati dagli onori accordati alla Madre di Gesù, denunciarono ciò ai sommi sacerdoti e agli scribi. Ardenti di invidia e di vendetta verso tutto ciò che ricordava loro Cristo, mandarono i loro servi a interrompere la processione e a dare alle fiamme il corpo della Madre di Dio. Una folla inferocita e soldati si mossero contro i cristiani, ma la corona eterea, che accompagnava la processione nell’aria, si abbassò a terra e come un muro la recintò. Gli inseguitori udirono i passi e il canto, ma non riuscirono a vedere nessuno di coloro che accompagnavano la processione. E in effetti molti di loro furono colpiti dalla cecità. Il sacerdote ebreo Aftonia, per dispetto e odio verso la Madre di Gesù di Nazareth, voleva rovesciare la bara funebre, su cui giaceva il corpo della Santissima Vergine Maria, ma un Angelo di Dio gli tagliò invisibilmente le mani, che avevano toccato la bara. Vedendo tale prodigio, Aftonia si pentì e con fede confessò la maestà della Madre di Dio. Ricevette la guarigione e si unì alla folla che accompagnava il corpo della Madre di Dio, e divenne uno zelante seguace di Cristo. Quando la processione raggiunse il Giardino del Getsemani, allora tra il pianto e il lamento iniziò l’ultimo bacio al corpo completamente puro. Solo verso sera gli Apostoli riuscirono a metterlo nella tomba e a sigillare l’ingresso della grotta con una grande pietra. Per tre giorni non lasciarono il luogo di sepoltura, durante questo periodo pregarono e salmodiarono incessantemente. Per la saggia provvidenza di Dio, l’Apostolo Tommaso era destinato a non essere presente alla sepoltura della Madre di Dio. Arrivato tardi il terzo giorno al Getsemani, si sdraiò nella grotta sepolcrale e con lacrime amare espresse ad alta voce il suo desiderio, che gli fosse concessa un’ultima benedizione della Madre di Dio e che potesse avere un ultimo addio con Lei. Gli Apostoli, per sincera pietà nei suoi confronti, decisero di aprire la tomba e di concedergli il conforto di venerare i resti santi della Sempre Vergine Maria. Ma dopo aver aperto la tomba, vi trovarono solo i teli della tomba e furono così convinti dell’ascesa corporea o assunzione della Santissima Vergine Maria al Cielo.
La sera dello stesso giorno, quando gli Apostoli si erano riuniti in una casa per rifocillarsi con il cibo, la Madre di Dio stessa apparve loro e disse: “Rallegratevi! Io sono con voi – per tutta la lunghezza dei giorni”. Ciò rallegrò così tanto gli Apostoli e tutti coloro che erano con loro, che presero una porzione del pane, messa da parte durante il pasto in memoria del Salvatore (“la porzione del Signore”), ed esclamarono anche: “Santissima Madre di Dio, aiutaci”. (Questo segna l’inizio del rito di offerta di una “Panagia” (“Tutta Santa”) – l’usanza di offrire durante i pasti una porzione di pane in onore della Madre di Dio, che anche al giorno d’oggi viene fatta nei monasteri). La fascia della Madre di Dio e il suo abito sacro, – conservati con riverenza e distribuiti sulla faccia della terra a pezzi – sia in passato che nel presente hanno operato miracoli. Le sue numerose icone ovunque escono con effusioni di segni e guarigioni, e il suo corpo santo – assunto in cielo, testimonia del nostro futuro modo di vivere in esso. Il suo corpo non fu lasciato alle casuali vicissitudini del mondo transitorio, ma fu ancor più incomparabilmente esaltato dalla sua gloriosa ascesa al cielo.
La festa della Dormizione della Santissima Madre di Dio è celebrata con speciale solennità nel Getsemani, nel luogo della sua sepoltura. In nessun altro luogo c’è un tale dolore del cuore per la separazione dalla Madre di Dio e in nessun altro luogo un tale sollevamento, persuaso della sua intercessione per il mondo.
La città santa di Gerusalemme è separata dal Monte degli Ulivi dalla valle di Cedron su Giosafat. Ai piedi del Monte degli Ulivi è situato il Giardino del Getsemani, dove gli ulivi danno frutto ancora oggi.
Il santo Antenato di Dio Gioacchino si fece seppellire all’età di 80 anni, alcuni anni dopo l’Ingresso (“Vvedenie vo Khram”) della Santissima Vergine Maria nel Tempio di Gerusalemme (Comm. 21 novembre). Sant’Anna, rimasta vedova, si trasferì da Nazareth a Gerusalemme e visse vicino al Tempio. A Gerusalemme acquistò due proprietà: la prima alle porte del Getsemani e la seconda nella valle di Giosafat. Nel secondo luogo costruì una cripta per il riposo dei membri della sua famiglia e dove anche lei stessa fu sepolta con Gioacchino. E fu lì nel Giardino del Getsemani che il Salvatore spesso pregava con i suoi discepoli.
Il corpo purissimo della Madre di Dio fu sepolto nel cimitero di famiglia. Con la sua sepoltura i cristiani onorarono anche con riverenza il sepolcro della Madre di Dio e costruirono in questo luogo una Chiesa. All’interno della Chiesa era conservato il prezioso lenzuolo funebre che avvolgeva il suo corpo purissimo e profumato. Il santo Patriarca di Gerusalemme Giovenale (420-458) attestò davanti all’imperatore Marciano (450-457) l’autenticità della tradizione sull’assunzione miracolosa della Madre di Dio al cielo, e inviò anche all’imperatrice, Santa Pulcheria (+ 453, Comm. 10 settembre), i teli funebri della Madre di Dio, che aveva preso dalla sua tomba. Santa Pulcheria poi pose questi teli funebri all’interno della Chiesa di Blakhernae. Si sono conservate testimonianze che alla fine del VII secolo una Chiesa sopraelevata era situata in cima alla Chiesa sotterranea della Dormizione della Santissima Madre di Dio e che dal suo alto campanile si poteva vedere la cupola della Chiesa della Resurrezione del Signore. Tracce di questa Chiesa non si vedono più. E nel IX secolo vicino alla Chiesa sotterranea del Getsemani fu costruito un monastero, in cui più di 30 monaci praticavano l’ascesi.
Una grande distruzione colpì la Chiesa nell’anno 1009 dal saccheggiatore dei luoghi santi, Hakim. Cambiamenti radicali, le cui tracce rimangono al giorno d’oggi, si verificarono anche sotto i crociati nell’anno 1130. Durante i secoli XI-XII scomparve da Gerusalemme il pezzo di pietra scavata, su cui il Salvatore aveva pregato la notte del Suo tradimento. Questo pezzo di pietra del VI secolo era stato situato all’interno della basilica del Getsemani. Ma nonostante la distruzione e i cambiamenti, la pianta cruciforme originale della Chiesa è stata preservata. All’ingresso della Chiesa lungo i lati dei cancelli di ferro si trovano quattro colonne di marmo. Per entrare nella chiesa, è necessario scendere una scalinata di 48 gradini. Al 23° gradino sul lato destro c’è una cappella in onore dei santi Antenati di Dio Gioacchino e Anna insieme alle loro tombe, e sul lato sinistro opposto – la cappella del Giusto Giuseppe, il Promesso Sposo, con la sua tomba. La cappella sul lato destro appartiene alla Chiesa Ortodossa, e quella sul lato sinistro – alla Chiesa Armeno-Gregoriana (dal 1814).
Teodoro Studita: un’epistola dogmatica sulle sante icone
Lettera 380, A Naucrazio
Introduzione
Teodoro Studita ( 759 – + 11 novembre 826), un monaco e teologo, igumeno del monastero di Stoudios a Costantinopoli. Nato da una famiglia benestante e socialmente inserita, il padre era un funzionario del tesoro imperiale, la madre era di famiglia senatoria e una sua cugina divenne la seconda moglie di Costantino VI (sed. 780-797). Seguendo il suo esempio, la maggior parte dei membri della sua famiglia divennero monaci e monache. Sotto la sua direzione, il monastero di Stoudios divenne un importante centro di cambiamento sociale e culturale. L’obiettivo di Teodoro era quello di liberare la vita monastica dall’influenza e dal controllo del governo. Zelante oppositore dell’iconoclastia, trascorse più di quindici anni in esilio, in gran parte per la sua difesa delle sante icone, e gli fu conferito il titolo di Confessore della Fede. Fu anche uno scrittore prolifico. Tra le sue opere ci sono tre Confutazioni degli Iconoclasti; una Piccola e Grande Catechesi; più di una dozzina di omelie su feste e santi vari; un’orazione funebre per sua madre; e una celebre Omelia pasquale che incorpora l’Omelia pasquale di San Giovanni Crisostomo. Scrisse anche numerosi canoni e regolamenti riguardanti la vita monastica, e un gran numero di poesie, inni e canoni, compreso il primo canone del Theotokarion, oltre a più di 500 lettere, molte delle quali sono importanti trattati teologici. Le sue ultime parole furono: “Mantieni incrollabile la tua fede e pura la tua vita”.
La lettera tradotta di seguito, Lettera 380: A Naukratios , è datata all’818, quando Teodoro era esiliato in Anatolia. [1] Il monaco Naucrazio fu discepolo di Teodoro e futuro successore; all’epoca era l’amministratore (οἰκονόμος) del Monastero di Studios. Insieme alla lettera 57 (a suo zio Platone), la lettera 380 è per molti versi un epitome della teologia dell’icona di Teodoro. [2]
A mio figlio Naucrazio (Ep. 380)
Mi rallegro di te, fratello mio Naucrazio, perché sei veramente il figlio della mia gioia, il che significa che hai sofferto per Cristo, perché cosa potrebbe esserci di più gioioso e glorioso di questo? A imitazione di Cristo sei stato flagellato; sei stato trascinato da una cella all’altra; e fosti consegnato nelle mani dell’empio Giovanni, [3] col quale anch’io dovetti contendere. E sebbene ti abbia attaccato con veemenza, tu non hai indebolito o annacquato le tue convinzioni, ma al contrario hai resistito a quell’uomo stolto e gli hai risposto con un severo rimprovero, che mi ha fatto rallegrare molto e mi ha riempito di letizia. Possa il Signore continuare ad aiutarti in qualunque cosa ti accada nei giorni a venire! Mi hai informato che, durante il tuo interrogatorio, e nei loro sforzi per indebolire le icone sacre, hanno portato avanti argomenti di Asterio, [4] Epifanio, [5] e Teodoto. [6] Ritengo quindi necessario confutare questi argomenti, anche se ciò estenderebbe la lunghezza della mia lettera.
Secondo Asterio, “Non si deve rappresentare un’immagine di Cristo, poiché l’unica umiliazione della sua incarnazione, che egli accettò di subire volontariamente per il nostro bene, era sufficiente; dovresti invece portare spiritualmente nella tua anima la Parola incorporea”. [7] Ci si chiede, però, perché egli si oppone a fare un’immagine di Cristo, dicendo che «è stata sufficiente la prima umiliazione della sua incarnazione», come se si trattasse di un fatto inglorioso e unico accaduto nel passato, e Cristo voleva evitare una seconda rappresentazione (cioè in un’icona) della sua umiliazione. Ma come potrebbe essere ingloriosa l’incarnazione del Verbo è stata volontaria, dal momento che tutto ciò che è volontario è glorioso e non ha nulla della mancanza di gloria che si trova in ciò che è involontario? Se così non è, e l’icona di Cristo è, come dice lui, una “seconda” umiliazione, come potrebbe essere “seconda” se l’immagine ci mostra proprio la somiglianza della prima umiliazione?
E come potrebbe evitare di ripudiare il ricordo della passione di Cristo, che il racconto scritto offre al nostro udito, se denigra il ricordo visivo in quanto replica dell’evento? Poiché vedere e udire sono capacità uguali, ciascuna operante in congiunzione con l’altra, come ha dichiarato la bocca divina, Basilio il Grande. Consideriamo, ad esempio, che una seconda immagine dell’unica croce è un’altra croce, il che è vero anche per il Vangelo. E poiché entrambi vengono riprodotti e copiati continuamente, ci sono innumerevoli croci e innumerevoli Vangeli, e non semplicemente uno! Allo stesso tempo, esiste solo una croce e non un’altra, anche se riprodotta migliaia di volte. E il Vangelo è uno solo, e non un altro, anche se ne esistono innumerevoli copie. E Cristo è uno, non due o più, anche se, allo stesso modo, la sua forma è riprodotta in innumerevoli immagini. Quando Cristo è raffigurato in un’icona, è come se fosse descritto nella Scrittura, e il nostro udito non è mai sazio del suo suono; né i nostri occhi potranno mai riempirsi di vederlo, perché stiamo ascoltando e vedendo Dio che si è fatto uomo; l’Eterno apparso sulla terra come bambino; Colui che sostiene l’universo bevendo il latte di sua madre; Colui che non può essere contenuto essendo contenuto tra le sue braccia; Colui che è al di là della divinità e tuttavia si è fatto uomo; la Profondità della Saggezza immersa nell’acqua del battesimo, facendo le cose che sono proprie sia a Dio che all’uomo, benché sia al di là di ogni essenza ed essere; il Signore della gloria inchiodato alla croce; la vita del mondo sepolta e risorta; Colui che l’universo non può contenere, assunto in cielo come uomo.
Il confuso Asterio smetta dunque di vietare e di argomentare contro la rappresentazione salvifica di Cristo in queste due forme (cioè immagini e parole), cioè smetta di pensare che la gloria del Signore sia disonorevole, [8] e che la sua umiliazione volontaria era invece involontaria. E cessi inoltre di porsi in opposizione a Basilio Magno, la cui voce – che è la voce di Dio – comanda quanto segue: “Sia raffigurato in un’icona Cristo, che presiede alle nostre lotte”. [9] E si escluda dalla compagnia dei santi anche ciò che Asterio afferma, insieme a ciò che cerca di negare, poiché sono ugualmente illogici e assurdi: “Dovresti portare spiritualmente nella tua anima il Verbo incorporeo”. Che follia è questa? Quale bocca di santo ha mai detto che il Verbo era incorporeo dopo essersi fatto carne? Sebbene l’apostolo Paolo non abbia continuato a chiamare Cristo “carne”, non ha detto che la Parola è ora incorporea. Secondo Gregorio il Teologo, le parole: «Anche se una volta consideravamo Cristo secondo la carne, non lo facciamo più» (2 Cor 5,16), significano che non consideriamo più Cristo soggetto a passioni carnali come le nostre, anche se prive di peccato. E altrove Gregorio dice: «non più secondo la “carne”, ma nemmeno “incorporeo”». [10] Pertanto, chiunque affermi che dopo l’Incarnazione il Verbo è “senza corpo”, contraddice non solo questi due Padri, ma tutti i santi e teofori Padri e maestri della Chiesa.
È stato così dimostrato che un’affermazione illogica segue naturalmente da un’altra. Dopo aver rovesciato le loro bugie, quindi, procediamo a presentare la verità. Come potresti riuscire a farlo? Raffigurando Cristo in un’immagine ovunque sia necessario, e farlo facendolo dimorare nel tuo cuore, affinché quando lo leggi in un libro o lo vedi in un’immagine, sarà conosciuto attraverso questi due sensi e illuminerà la tua mente in duplice modo. In questo modo, Colui che hai conosciuto e sentito attraverso il tuo senso dell’udito, arriverai anche a vedere e conoscere con i tuoi occhi. Infatti, quando viene udito e visto in questo modo, Dio non può che essere glorificato, e l’uomo pio non può che essere mosso a compunzione – e cosa potrebbe esserci di più salvifico di questo, e cosa può avvicinare l’uomo a Dio? Noi dunque, che non siamo nulla e senza valore, comprendiamo la Verità in questo modo, anche se alcuni dei nostri santi Padri prima di noi hanno tentato di spiegare la questione in un altro modo.
Dopo aver trattato le opinioni di Asterio, quali sono le opinioni di Epifanio? [11] «Vostra Reverenza capirà», dice, «se è giusto che noi rappresentiamo Dio con i colori». [12] Ma guarda questo spacciatore di menzogne! Non ha detto “Cristo” – al quale ci riferiamo quando parliamo della possibilità di circoscrizione (in un’immagine), e che affermiamo allo stesso tempo fuori circoscrizione, poiché qui si tratta di indicare ciascuno delle sue due nature – ma dice che noi facciamo “raffigurazioni di Dio “, spogliando il Signore della sua natura umana (alla maniera dei manichei) e proponendo un Dio nudo – e lo dice per convincere l’ascoltatore con l’assurdità della proposizione. E infatti è veramente insensato e irrazionale parlare di un “Dio visibile”, poiché la Scrittura dice che «Dio nessuno lo ha mai visto». E in quanto è Dio e visibile, il Figlio unigenito «lo ha fatto conoscere» (Gv 1,18). Ma è ovvio che un Dio nudo di umanità non è mai stato visto da nessuno, ma poiché l’Unigenito non è nudo di umanità dopo essersi fatto carne, ne consegue che è visibile e può essere visto. E così, il Santo Apostolo proclama: «Dio apparve nella carne, fu confermato dallo Spirito, fu visto dagli angeli, fu annunziato fra le nazioni, fu creduto in tutto il mondo e fu assunto nella gloria» (1 Tm 3,16). Ad ogni dichiarazione in comune va applicata l’espressione “nella carne”, perché la prima formula è una sorta di fondamento non solo di quanto segue, ma di tutte le proprietà umane assunte nell’Incarnazione. Quindi, come Dio «apparve» nella carne, così avvenne di tutte le altre cose appena menzionate (perché senza essere «nella carne» non poteva apparire né essere assunto), così anche nella carne si nutriva di latte, cresceva in età, camminava su due piedi, sudava agonizzante e parlava con la lingua, insieme ad ogni altra attività di questo genere.
Se dunque stanno così le cose e se una delle proprietà del corpo è la circoscrizione, è evidente che Dio è circoscritto nella carne, o mediante l’uso dei colori, o mediante qualche altro mezzo. Questo perché, per necessità, entrambe queste due cose devono essere vere. Se egli «è apparso nella carne», allora necessariamente deve anche essere circoscritto, perché ciascuno è tratto concomitante e corrispondente dell’altro. Se dunque la seconda non è vera, allora non lo è nemmeno la prima. Ma se è vera la prima, lo è anche la seconda. Pertanto, coerentemente sia con la Sacra Scrittura che con il pensiero logico, sarebbe insensato non ammettere che Dio possa essere raffigurato nella carne, per il semplice motivo che Egli è stato visto nella carne. Altrove questo impetuoso disgraziato dice: “Ho sentito che alcuni ordinano ad altri di rappresentare in immagini anche l’inafferrabile Figlio di Dio, cosa che è terrificante anche solo a sentirla”. [13] Ma quale persona, dotata anche di una piccola parte di intelligenza, non riderebbe di un’affermazione così ridicola? Non ha mai letto dove dice: «Arrestarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna», il sommo sacerdote? (Gv 18,12) O dove dice: «Presero il corpo di Gesù e lo avvolsero con bende di lino e con aromi»? (Gv 19,40). Non professa che Gesù è Dio? Se è Dio, come mai l’inafferrabile è stato arrestato e legato, se non era nella carne, proprio come ci ha insegnato il saggio Paolo? Lasciamo dunque che quest’uomo illuso trattenga la sua bocca dall’infierire con follia contro Cristo.
Certo, se dovesse venire a sua attenzione che abbiamo un Dio che viene mangiato (cioè nell’Eucaristia), immagino che non solo tremerebbe di terrore, ma si straccerebbe le vesti, non potendo sopportare ciò che ha. sentito. Ma cosa dice Cristo? «Chi mangia me vivrà per me» (Gv 6,57). Naturalmente non c’è altro modo per mangiarlo che nella carne. Questo perché Cristo, che è allo stesso tempo perfetto Dio e perfetto uomo, può essere nominato e identificato da ciascuna delle due nature di cui è composto, e può essere chiamato sia Dio che uomo, letteralmente e in senso stretto di ciascuna parola, senza che la particolarità dell’una o dell’altra venga sminuita o confusa nella sua singolare ed unica ipostasi. E testimone delle mie parole è Dio Verbo stesso, che in un luogo dice: «Perché cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità?» (Gv 8,40) (anche se chi diceva questo era il Dio immortale), e in un altro: «Perché mi accusi di bestemmia perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”?» (Gv 10,36) (anche se colui che disse questo era anche il Figlio dell’uomo). Ne consegue che quando attribuiamo i nomi propri ad una sola delle nature, non togliamo assolutamente nulla a Cristo.
Poiché ora possiamo mettere da parte anche le parole di quest’uomo, vediamo qual è l’argomentazione di Teodoto? [14] Ecco le sue stesse parole:
Per quanto riguarda le forme esteriori dei santi, non abbiamo ricevuto la tradizione di raffigurarli in icone fatte di colori materiali, ma piuttosto ci è stato insegnato a ricevere le loro virtù come immagini viventi attraverso ciò che ci è stato detto su di loro nei libri e a lasciarci ispirare da uno zelo come il loro. Ma coloro che hanno collocato tali immagini ci dicano quale beneficio ne traggono, o a quale tipo di contemplazione spirituale li eleva il ricordo di tali forme. Ma è abbastanza ovvio che questi espedienti sono inutili e sono l’invenzione di un inganno diabolico. [15]
A dire il vero, il punto di partenza per la riflessione (vale a dire, negli scritti e nelle vite dei santi) non è di per sé degno di condanna, anche se è inteso a prepararci alle cose assurde e insensate che seguono, dal momento che molti di questi maestri sacri considerano le descrizioni verbali più necessarie delle rappresentazioni visive, senza ovviamente condannare queste ultime. Eppure alcuni insegnano il contrario. Quindi i due hanno in realtà lo stesso valore, come dice Basilio Magno: “Infatti le cose che la parola scritta descrive attraverso l’udito, le stesse cose vengono espresse silenziosamente dall’immagine attraverso l’imitazione”. [16] E non tutti sono artisti, come non tutti sono scrittori; ma a ciascuno Dio ha dato una misura di grazia.
Dopo aver ascoltato ciò che dice San Basilio, lo stolto ripeta: “Coloro che hanno collocato tali immagini, ci dicano quale beneficio ne traggono, o a quale tipo di contemplazione spirituale li eleva il ricordo di tali immagini”. Ora quest’uomo avventato e insolente può rispondere da solo: quale beneficio spirituale e quale visione sacra non possiamo ottenere attraverso le sante icone? Perché, se è natura di ogni immagine essere imitazione dell’archetipo – come dice Gregorio il Teologo [17] – e se, inoltre, l’archetipo si manifesta nella sua immagine – secondo il saggio Dionisio [18] – ne deriva che è del tutto evidente che dall’imitazione, con questo intendo, dall’icona, scaturisce un grande beneficio spirituale, e attraverso l’imitazione ci eleviamo ancora di più alla contemplazione spirituale del prototipo. A testimoniare la verità delle mie parole è lo stesso divino Basilio, il quale dice: “L’onore reso all’immagine ascende [19] all’archetipo”. [20] Se essa “ascende”, allora è appena il caso di dire che discende anche all’immagine dall’archetipo, e quindi nemmeno una persona di intelligenza limitata potrebbe dire che onorare l’icona è senza alcun beneficio, o che la l’imitazione non porta l’impronta né la forma di ciò che imita, sicché ciascuna è presente nell’altra, secondo il divino Dionisio. [21] Cosa potrebbe esserci di più benefico o di più efficace nel sollevarci attraverso l’anagogia di questo? Questo perché l’icona è l’impressione di una visione che si è vista con i propri occhi, non dissimile dalla luce simile della luna – se posso usare un esempio familiare tratto dalla nostra esperienza – in relazione alla luce del sole. Perché se questo non è ciò che l’icona è, allora di che beneficio era per gli antichi la Tenda della Testimonianza, che era un’imitazione delle realtà celesti? [22] Infatti in esso erano contenuti, tra le altre cose, i cherubini gloriosi, che sovrastavano l’altare della propiziazione, cioè immagini realizzate con sembianze antropomorfe. Tutte queste cose avevano una funzione anagogica ed erano allegorie del culto nello spirito (cfr Gv 4,23). Ma secondo la vuota teoria di quest’uomo, anche la forma della croce non ci è assolutamente di alcun beneficio; non ci giova a nulla la forma della lancia, o la forma della spugna, perché sono tutte imitazioni (anche se non sono antropomorfe); e non giovano neppure le altre immagini sensibili, che – per parlare alla maniera di Dionisio – ci sono state tramandate e che anagogicamente ci elevano, per quanto ciò ci è possibile, alla contemplazione delle realtà intelligibili.
Dopo viene l’immaginazione (phantasia), che è una delle cinque potenze dell’anima. [23] L’immaginazione stessa può essere considerata una sorta di immagine, poiché entrambe sono somiglianze. [24] Ne consegue dunque che l’immagine non è priva di utilità, poiché è come la potenza dell’immaginazione. E se la prima è senza beneficio, allora la seconda deve essere di beneficio ancora minore e non avrebbe senso averla come parte della nostra natura. E se fosse senza beneficio, sarebbe parimenti senza beneficio tutto ciò che gli corrisponde, intendo la facoltà del sentimento, dell’opinione, del pensiero logico e dell’intelletto. Così, un’indagine razionale della natura mostra, per induzione, che la persona che denigra l’immagine, cioè l’immaginazione, è essa stessa priva di intelletto. Ma ammiro il potere dell’immaginazione per un motivo diverso. Alcuni raccontano che una donna, la quale, al momento del concepimento, immaginò un etiope, successivamente diede alla luce un etiope. [25] Così avvenne al patriarca Giacobbe, quando tolse strisce di corteccia dai rami, affinché le pecore che nascevano dal gregge prendessero le loro macchie e strisce bianche per l’impressione visiva che ne derivava. (Gen 30,38), e – oh, che meraviglia! – ciò che era immaginato nella mente produceva risultati reali e visibili. [26]
Ma torniamo al punto, cioè alla sua affermazione: “Coloro che propongono tali forme ci dicano quale beneficio ne traggono, o a quale contemplazione spirituale sono innalzati dal loro ricordo”. E chi, si potrebbe chiedere a quest’uomo noioso e faticoso, dopo aver osservato con attenzione e chiarezza le raffigurazioni di varie forme, è in grado di allontanarsene senza che il suo intelletto sia pieno da ogni parte della loro somiglianza e impronta? Se le immagini sono ammirevoli, allora le impressioni saranno ottime, ma se sono vergognose, lo saranno anche le riflessioni, e così accade spesso che, anche quando non usciamo di casa, siamo mossi a compunzione da una o subiamo una caduta a causa dell’altra. E non è forse vero che le immagini viste di notte nei sogni possono farci sentire felici o tristi? E se questo è vero nei sogni, quanto più lo è nel caso delle immagini – belle o brutte – viste da svegli? E questo bravissimo ometto non ha mai letto che per mezzo di “copie” e di “ombre” gli uomini dell’Antico Testamento adoravano le realtà celesti? E cosa erano quelle cose se non immagini? E non era attraverso queste immagini che essi venivano condotti alla contemplazione delle realtà celesti? E, per parlare alla maniera di Davide, «l’uomo che segue i suoi malvagi disegni». (Sal 37,7)? E non sei tu stesso, o iconoclasta, un’immagine di Dio? Non sei nato secondo la somiglianza paterna? Non puoi essere raffigurato su una tavola di legno? Oppure solo tu non puoi essere raffigurato, come se non fossi un essere umano ma una sorta di mostro, ed è per questo che pensi la stessa cosa dei santi?
Ma affinché il mio discorso possa trovare ulteriore conferma, e non semplicemente dogmatizzarsi sulla base delle nostre stesse argomentazioni, permettetemi ora di portare avanti quei fari luminosi dell’oikoumene , che risponderanno essi stessi alle vostre domande.
Gregorio di Nissa: “Molte volte ho visto dipinta un’icona della sofferenza (cioè quella di Isacco in Gen 22,9) e non mi sono allontanato dalla sua visione senza versare lacrime, perché l’arte mi ha chiaramente riportato alla vista l’evento storico .” [27]
Giovanni Crisostomo: “Amo anche l’immagine di cera, perché è piena di pietà. Perché ho visto un angelo in un’icona che sconfiggeva schiere di barbari. Ho visto orde di barbari calpestate e ho visto Davide dichiarare con verità: «Signore, tu cancellerai la loro immagine dalla città» (Sal 72,20)». [28]
Cirillo d’Alessandria: “In un dipinto su un muro, ho visto una giovane fanciulla martire, e mi sono commosso fino alle lacrime.” [29]
Gregorio il Teologo: “Quando una cortigiana vide Polemone [30] affacciarsi da un’immagine, subito si allontanò, sconvolta dalla vista (era infatti un’immagine veneranda) e rimase svergognata dal ritratto come se fosse vivo .” [31]
Basilio Magno: “Alzatevi, o eminenti pittori di imprese di combattimento, e glorificate con la vostra abilità l’immagine del generale a cui non ho reso giustizia. Illumina l’incoronato con i colori della tua saggezza, perché l’ho raffigurato troppo debolmente con le mie parole. Possa io andarmene sconfitto dalla tua descrizione delle imprese del martire. Possa io gioire di essere stato sconfitto oggi da questa vittoria del tuo talento superiore. Possa io vedere la lotta della sua mano con il fuoco da te descritta in modo più accurato; potrei vedere il lottatore raffigurato nella tua immagine in modo più luminoso. Piangano ancora una volta i demoni, colpiti dalla prodezza del martire che tu hai reso visibile. Possa la mano, bruciata ma vittoriosa, essere nuovamente mostrata davanti a loro”. [32]
Vedi come quello aggiunge l’immagine dipinta al testo scritto, e come l’esperienza visiva del primo è così grande da far gemere i demoni? Vedi come l’altro chiama un’icona “venerabile”, così che avesse la capacità di portare una cortigiana alla castità? O come mai l’altro non se ne sia andato senza lacrime agli occhi dopo aver visto l’immagine dipinta di un martire che subisce il martirio? O ancora, come un altro dice che l’immagine di cera è amata, poiché in essa ha visto l’archetipo? Oppure colui che li segue, come non ha potuto trattenersi dal piangere alla vista dell’immagine, come se avesse visto l’evento reale? Vedi tutti i vantaggi? Considera per un momento tutti i vantaggi. E poiché ti chiedi quale sia il vantaggio, non ascoltare ciò che dice questo o quell’individuo di poca o nessuna importanza, ma coloro che hanno parlato nello spirito di Dio e la cui voce tuonava attraverso la terra, e vieni alla giusta conclusione, brillante dogmatico! Tu cioè che hai detto: “È evidente che questi artifici sono inutili e che si tratta di un’invenzione di un inganno diabolico”. A queste parole è tempo di gridare con forza: «Stupitene, cieli» (Ger 2,12), che le sacre dottrine dei Padri teologi siano state calunniate come “inutili artifici” e “ingannevoli invenzioni del diavolo”. Ma non è così, o più grande degli ingannatori, anzi tutta la tua appariscente eloquenza si è rivolta contro di te.
Poiché siamo ormai giunti alla fine del nostro argomento, c’è una cosa, fratello, che desidero che tu sappia: qualunque passaggio o testo di prova portato dagli iconoclasti è chiaramente tratto dagli scritti degli eretici (perché la verità non cresce insieme alle falsità, come la zizzania col grano). E se citano passaggi dei Santi Padri, invariabilmente li distorcono e li interpretano male secondo il loro modo di pensare ottenebrato; mentre quei passaggi che identificano l’icona di Cristo con gli idoli dei pagani sono del tutto bizzarri ed estranei alla fede. Non bisogna mai accettare acriticamente ciò che dicono, né entrare in dialogo con gli eretici, cosa contraria al consiglio apostolico. Per quanto riguarda ciò che ci aspetta, possa tu trovare la salvezza, mio caro figlio, e prega affinché anch’io possa essere salvato.
[2] Per il testo della lettera si veda George Fatouros, Theodori Studitae Epistulae , vol. 1 (Corpus Fontium Historiae Byzantinae, Serie Berolinensis 31) (Berlino: De Gruyter, 1991), 511-19.
[3] Giovanni il Grammatico fu l’ultimo patriarca iconoclasta di Costantinopoli (21 gennaio 837 – 4 marzo 843); la sua cultura teologica e il suo potere politico lo resero un avversario formidabile e pericoloso. Sebbene questa lettera sia indirizzata a Naucrazio, è principalmente una risposta alle argomentazioni iconoclaste del patriarca (e quindi Teodoro ammette che la sua “lettera” va oltre la forma propria dell’epistolografia).
[4] Cioè Asterio di Amasea (350-410), vescovo ariano della Cappadocia e autore di sedici omelie sopravvissute (Fozio conosceva altre sue opere). Qui uno dei manoscritti aggiunge a margine il seguente commento: “Va notato che si tratta dello stesso Asterios che fu anatemizzato da san Sofronio di Gerusalemme nelle sue lettere sinodali, così come da un altro Padre, che lo trovò della stessa mente di Apollinario ed Eutiche”.
[5] Cioè Epifanio di Salamina (310-403). Gli iconoclasti invocavano l’autorità di Epifanio, sebbene i passaggi da loro citati fossero interpolazioni o di dubbia autenticità; vedere Kenneth Parry, Depicting the Word: Byzantine Iconophile Thought of the Eighth and Ninth Centuries (Leiden: Brill, 1996), 148-51.
[7] Asterios di Amasea, Omelia sul ricco e Lazzaro 4 (a cura di C. Datema, Asterius di Amasea, Omelie I-XIV [Leiden: Brill, 1970], 10-13); citato nella Sesta Sessione del Settimo Consiglio; trans. Richard Price, Gli Atti del Secondo Concilio di Nicea (787) (Testi tradotti per gli storici 68) (Liverpool: Liverpool University Press, 2018), 505.
[8] Nel Vangelo di Giovanni la “gloria” di Cristo è direttamente associata alla sua crocifissione.
[9] Basilio di Cesarea, Omelia sul martire Barlaam 3 (PG 31:489B).
[10] Gregorio il Teologo, Orazione 30,14: «Egli, anche adesso, come uomo, intercede per la mia salvezza, perché continua a esistere con il corpo che ha assunto, anche se non è più conosciuto secondo la carne, per la quale io significo le passioni carnali” (SC 250:256); e id., Orazione 40,45: «Verrà di nuovo a giudicare i vivi e i morti, non più secondo la carne, ma nemmeno senza il corpo, per ragioni a lui note, ma in un corpo più divino, affinché possa essere visto da coloro che lo trafissero (Gv 19,37; Zac 12,10)» (SC 358,306).
[11] Qui alcuni manoscritti contengono a margine il seguente scolione: “Notare che gli insegnamenti di Valentino e Isidoro si trovano sotto il nome di Epifanio nel capitolo 42 del suo Contro le eresie [PG 41:544 ss.], e che questi due, insieme a Carpocrate, furono anatematizzati da San Sofronio”.
[12] Epifanio, frammento 21 (a cura di K. Holl, Gesammelte Aufsätze zur Kirchengeschichte, II [Tübingen: JCB Mohr (P. Siebeck), 1928; ripr. Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1964]), 360.
[14] Alcuni manoscritti riportano a margine il seguente scolion: “Va notato che questo è uno dei quattro uomini chiamati Teodoto anatematizzati da san Sofronio, anche se solo tre furono menzionati per nome, l’altro implicitamente, e che era condannato anche da un altro Padre, che, come ho letto, lo nominò Teodoto di Ancyra.
[15] Teodoto di Ancira, passaggio citato nella Sesta Sessione del Settimo Concilio (trad. Price 509), e non noto da nessun’altra fonte. Anche Niceforo discute l’autenticità di questo frammento nella sua Refutatio (93), scritta ca. 820-30.
[16] Basilio di Cesarea, Omelia sui Quaranta Martiri 2 (PG 31:509A).
[18] Dionigi l’Areopagita, Sulla gerarchia ecclesiastica IV.3: “Come nel caso delle immagini sensibili, se l’artista guarda senza distrazione la forma archetipica… egli, se si può dire così, duplicherà (εἰ θέμις εἰπεἶν, διπλασιάσει) la stessa persona (αὐτὸν ἐκεῖνον) raffigurata, [e mostrerà la realtà nella somiglianza, e l’archetipo nell’immagine,] e ciascuno essendo presente in ciascuno, salvo la differenza nella sostanza ( ἑκάτερον ἐν ἑκατέρῳ παρὰ τὸ τῆς οὐσίας διάφορον). Così, ai copisti che amano il bello nella loro mente, la contemplazione della bellezza nascosta conferirà l’apparenza infallibile e quasi divina (θειοειδέστατον ἴνδαλμα)” (a cura di Günter Heil e Adolf Martin Ritter, Corpus Dionysiacum II [Berlino: De Gruyter, 1992] , 96, 5-11). Il passaggio tra parentesi sembra essere un’interpolazione successiva, sebbene esistente in molti dei primi manoscritti del corpus Dionysiacum. Sulla frase ἑκάτερον ἐν ἑκατέρῳ, vedi Aristotele, Top. 150a28; Damascio, Parm. 211, 21; e Teodoro, lettere 57, 20; 476, 24; 524, 38, 48; 528, 48-50; 532, 110.
[19] Teodoro ha ἀναβαίνει mentre Basilio ha διαβαίνει, sebbene la differenza sia trascurabile.
[20] Basilio di Cesarea, Sullo Spirito Santo 18,45 (PG 32,149C); citato nella Quarta e Sesta Sessione del Settimo Concilio (Prezzo 312-13; e 518).
[23] La difesa dellaphantasia da parte di Teodoro, che è spesso citata come elemento standard nella teologia iconofila, è in realtà un’opinione minoritaria (anche nel contesto della stessa teologia di Teodoro); Niceforo, ad esempio, non ha praticamente nulla di positivo da dire sull’immaginazione, a lungo denigrata dai filosofi greci. Teodoro probabilmente invocò la categoria perché vide che vi si alludeva implicitamente nella citazione di Teodoto (che parla anche di epinoia). Si noti che la discussione di Teodoro riguarda principalmente l’eccitazione delle passioni attraverso l’immaginazione. Sull’uso da parte della Scrittura di un linguaggio appassionato per descrivere l’attività di Dio e di vari individui, vedere Massimo il Confessore, Risposte a Thalassios, Qu. 1.4 (Constas 2018, 96).
[24] ἰνδάλματα, che significa anche forma o apparenza, ed è spesso usato per descrivere immagini mentali.
[25] L’enfasi qui è sulla trasmissione del colore e non della nazionalità. Eliodoro di Emesa, Aethiopica IX.14, 7 (un romanzo scritto nel III o forse IV secolo d.C.) , racconta la storia di una donna il cui bambino portava le sembianze di un dipinto che lei fissava durante il rapporto; la storia è centrale nella narrazione poiché rivela le vere origini dell’eroina.
[26] Cfr. Aglae Pizzone, “Teodoro e l’uomo nero: immaginare (attraverso) l’icona a Bisanzio”, in Knotenpunkt Byzanz , ed. A Speer e P. Steinkruger (Miscellanea Mediaevalia 36) (Berlino: De Gruyter, 2012), 47-70.
[27] Gregorio di Nissa, Della divinità del Figlio e dello Spirito Santo (PG 46:572C); citato nella Quarta e Sesta Sessione del Settimo Concilio (Prezzo 265-66; e 518).
[28] Giovanni Crisostomo (= Severiano di Gabala), Omelia sul Legislatore 6 (PG 56:407); citato nella Sesta Sessione del Settimo Consiglio (Prezzo 502).
[29] Questa citazione non si trova tra le opere esistenti di san Cirillo, ma è citata da altri autori iconofili, ad esempio, Nikephoros di Costantinopoli, Adversus Epiphanidem 17 (ed. JB Pitra, Spicilegium Solesmense , vol. 4 [Paris: Didot , 1858], 351).
[30] Da non confondere con l’omonimo padre del deserto, Polemone era il capo dell’Accademia platonica nel IV secolo a.C. Era noto per la sua dissolutezza ma si pentì e abbracciò una vita di castità.
[31] Gregorio il Teologo, Carmina 1.2.10 (PG 37:489A); citato da Giovanni Damasceno, Immagini III.109 (a cura di Boniface Kotter, Die Schriften Johannes von Damaskos III [Berlino: De Gruyter, 1975], 189-90); la Quarta Sessione del Settimo Consiglio (Prezzo 268-69); e Nikephoros, Antirrheticus III.17 (PG 100:401AB). Il testo è disponibile in edizione critica a cura di Carmelo Crimi, Gregorio Nazianzeno, Sulla Virtù: Carme giambico [I,2,10] (Pisa: Edizioni ETS, 1995), 170-72.
[32] Basilio di Cesarea, Omelia sul martire Barlaam 3 (PG 31:489AB). Il sermone di San Basilio continua: “Sia raffigurato sulla tavola anche il giudice della gara, cioè Cristo, al quale è la gloria nei secoli dei secoli”.
San Giovanni Damasceno: L’incarnazione del Verbo
di San Giovanni Damasceno
Pertanto l’uomo soggiacque all’invidia del diavolo: infatti il demonio invidioso e odiatore del bene, caduto in basso a causa della sua ribellione, non sopportava che noi ottenessimo i beni di sopra, e perciò egli il mentitore adescò il misero con la speranza della divinità; e avendolo innalzato all’altezza della sua sollevazione, lo menò giù verso l’abisso di caduta simile al suo.
Dunque in questo modo l’uomo era stato abbindolato dall’assalto dell’iniziatore del male e non aveva custodito il comando del Creatore, si era denudato della grazia, si era spogliato della confidenza in Dio, si era rivestito della scabrosità di una vita miserevole (questo indicano infatti le foglie di fico), si era cinto della condizione di morte, ossia della mortalità e della grossezza della carne (infatti questo indica il vestimento delle pelli morte), era stato bandito dal paradiso secondo il giusto giudizio di Dio, era stato condannato alla morte ed era stato assoggettato alla corruzione. Ma il Compassionevole, che gli aveva dato l’essere e gli aveva donato il ben-essere, non lo trascurò e anzi in un primo tempo lo ammaestrò e lo chiamò alla conversione in molti modi: con il gemito e il tremore, con il diluvio dell’acqua e la quasi totale rovina di tutta la stirpe, con la confusione e la divisione delle lingue, con la tutela degli angeli e con l’incendio delle città, con teofanie attraverso figure, con guerre, con vittorie, con sconfitte, con segni e con portenti, con varie potenze, con la legge, con i profeti. E attraverso queste cose lo scopo era la rimozione del peccato – che si era diffuso in molti modi, aveva asservito l’uomo e aveva ammassato sulla vita ogni specie di malvagità – e il ritorno dell’uomo al ben-essere.
D’altra parte, poiché a causa del peccato la morte era entrata nel mondo rovinando la vita umana come un animale selvaggio e feroce, di conseguenza era necessario che colui che si accingeva a riscattarla fosse senza peccato e non soggetto alla morte a causa di esso.
Ma anche era necessario che la natura fosse rinforzata e rinnovata e che con l’esempio concreto fosse indicata e insegnata la strada della vita, che allontana dalla corruzione e conduce alla vita eterna: e perciò infine fu mostrato il grande mare dell’amore per l’uomo. Infatti lo stesso Creatore e Signore assume su di sé la lotta per la creatura da lui plasmata e diventa maestro con i fatti; e poiché il nemico inganna l’uomo con la speranza della divinità, ora viene ingannato con il dispiegamento della carne e contemporaneamente è mostrata la bontà, la sapienza, la giustizia e la potenza di Dio. È mostrata la bontà, perché egli non trascurò la debolezza della sua propria creatura, ma ebbe compassione di essa che era caduta e le stese la mano. È mostrata la giustizia, perché – dopo che l’uomo era stato sconfitto – egli non fece che un altro vincesse il tiranno, e non strappò l’uomo alla morte con la violenza, ma egli, il Buono e il Giusto, rese di nuovo vincitore colui che la morte aveva prima asservito attraverso il peccato, e salvò – cosa impossibile – il simile con il simile. Ed è mostrata la sapienza, poiché trovò la più conveniente soluzione dell’impossibilità: infatti con il beneplacito di Dio Padre il Figlio unigenito Verbo di Dio e Dio, che è nel seno di Dio Padre, consustanziale al Padre e al Santo Spirito, precedente al tempo, senza principio, che era in principio ed era presso Dio Padre ed era Dio, pur sussistendo nella forma di Dio abbassò i cieli e discese: e cioè, abbassando senza abbassamento la sua inabbassabile altezza, discende presso i suoi servi con una discesa indicibile e incomprensibile (infatti la sua discesa mostra proprio questo) e, pur essendo Dio perfetto, diventa uomo perfetto e compie la cosa più nuova di tutte le cose nuove, l’unica cosa nuova sotto il sole, attraverso cui si manifesta l’infinita potenza di Dio. Infatti che cosa può essere più grande del fatto che Dio diventa uomo? Senza mutamento il Verbo si fece carne dallo Spirito Santo e dalla santa semprevergine Maria Madre di Dio: e diventa mediatore fra Dio e gli uomini, non per volontà, o per desiderio o per congiunzione di un uomo, e neanche per una generazione compiuta col piacere, essendo stato concepito nel seno immacolato della Vergine per opera dello Spirito Santo e secondo la prima nascita di Adamo. E si fa obbediente al Padre per sanare la nostra disobbedienza con l’aggiunta di ciò che è simile a noi e proviene da noi, essendo diventato per noi modello dell’obbedienza senza cui non è possibile ottenere la salvezza. Infatti l’angelo del Signore fu mandato alla santa Vergine, discendente dalla tribù di Davide: «È noto infatti che il Signore nostro è germogliato da Giuda», «e di questa tribù nessuno si accostò all’altare», come dice il divino Apostolo (e intorno a ciò diremo poi più accuratamente). E portando a lei l’annunzio disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». Ella fu turbata dal discorso, e l’angelo disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio, e genererai un figlio e lo chiamerai Gesù. Infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Perciò anche il nome «Gesù» significa «salvatore». E poiché ella dubitava: «Come ciò mi avverrà? Poiché non conosco uomo», l’angelo di nuovo le disse: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su di te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà da te sarà santo e chiamato Figlio di Dio». Ed ella a lui: «Ecco la serva del Signore: avvenga a me secondo la tua parola».
Quindi, dopo il consenso della santa Vergine lo Spirito Santo venne su di lei secondo la parola del Signore che l’angelo aveva proferito, purificandola, fornendole una facoltà ricevitrice della divinità del Verbo e, insieme, anche generatrice. E allora la Sapienza e la Potenza in sé sussistente di Dio Altissimo, il Figlio di Dio consustanziale al Padre, stese la sua ombra su di lei, a guisa di seme divino, e dal sangue casto e purissimo di lei si costituì una carne animata da un’anima razionale e intelligente, primizia della nostra massa: non mediante un seme ma per creazione per mezzo del Santo Spirito, e non completandosi la forma per aggiunte poco alla volta ma essendosi compiuta in una sola volta. Lo stesso Verbo di Dio fece da ipostasi alla carne: infatti il Verbo di Dio non si unì a una carne precedentemente sussistente per se stessa ma, avendo preso dimora nel seno della santa Vergine senza esserne circoscritto, fece sussistere nella sua propria ipostasi dal sangue casto della semprevergine una carne animata da un’anima razionale e intelligente, e assunse la primizia della nostra massa, egli stesso il Verbo diventando ipostasi per la carne. Cosicché questa contemporaneamente fu carne e contemporaneamente carne di Dio Verbo, contemporaneamente carne animata, razionale e intelligente e contemporaneamente carne animata, razionale e intelligente di Dio Verbo.
Perciò noi non diciamo un uomo diventato Dio, ma un Dio diventato uomo. Infatti Colui che per natura era Dio completo, il medesimo diventò uomo completo, non essendosi mutato nella sua natura né avendo realizzato illusoriamente il suo piano, ma essendosi unito secondo l’ipostasi alla carne che egli aveva assunto dalla santa Vergine – animata di ragione e di intelligenza e avente in lui il suo essere: senza confusione, senza cambiamento e senza divisione, senza mutare la natura della sua divinità nella sostanza della carne oppure la sostanza della sua carne nella natura della sua divinità, e anche senza costituire una sola natura composta insieme dalla sua natura divina e dalla natura umana che egli aveva assunto.
Delle due nature
In realtà, le nature si unirono l’una con l’altra senza mutamento e senza alterazione, senza che la natura divina si allontanasse dalla sua propria semplicità e senza che la natura umana si mutasse in quella della divinità o indietreggiasse alla non-esistenza, e senza che dalle due nascesse una sola natura composta. Infatti la natura composta non può risultare consustanziale né all’una né all’altra fra quelle da cui essa è stata costituita, perché da cose diverse ne sorge un’altra diversa: come, ad es., il corpo – che è composto dai quattro elementi – non può essere detto consustanziale al fuoco né è chiamato fuoco, e neanche è detto aria, o acqua, o terra, e non è consustanziale ad alcuna di queste. E quindi se, conformemente agli eretici, dopo l’unione il Cristo fosse risultato di una sola natura composta, di conseguenza si sarebbe mutato da natura semplice in natura composta, e non sarebbe più consustanziale al Padre – che è di natura semplice – e neanche a sua madre (giacché questa non è composta da divinità e umanità): inoltre non sarebbe nella divinità e neanche nell’umanità, e non sarebbe chiamato né Dio né uomo ma soltanto Cristo: e la parola «Cristo» non sarebbe nome della persona ma dell’unica natura conforme alla loro opinione. Invece noi insegniamo che il Cristo non è di una sola natura composta e non è derivante da cose diverse che diventano un’altra cosa – come dall’anima e dal corpo l’uomo, oppure come il corpo dai quattro elementi –, ma è derivante da cose diverse le medesime: infatti proclamiamo che, composto dalla divinità dall’umanità, egli il medesimo è ed è detto Dio perfetto e uomo perfetto, da due e in due nature. Diciamo il nome «Cristo» come proprio dell’ipostasi, ma non lo diciamo unilateralmente bensì come significante delle due nature. Infatti egli stesso unse se stesso: come Dio, ungendo il corpo con la sua divinità, ma essendo unto in quanto uomo: infatti egli è questo e quello. E l’unzione dell’umanità fu la divinità. Infatti se il Cristo fosse consustanziale al Padre essendo di una sola natura composta, allora anche il Padre sarebbe composto, e consustanziale alla carne: il che è assurdo e colmo di ogni bestemmia. D’altra parte, come una sola natura sarebbe capace di accogliere opposte differenze essenziali? Come è possibile che una stessa natura sia nel medesimo tempo creata e increata, mortale e immortale, circoscritta e incircoscritta? Inoltre se – affermando Cristo di una sola natura – la dicono semplice, allora o lo riconoscono soltanto Dio, e introducono la sua in-umanizzazione come un’illusione, oppure lo riconoscono semplice uomo, conformemente a Nestorio. E dove starebbe «ciò che è perfetto in divinità» e «ciò che è perfetto in umanità»? E se dicono che dopo l’unione il Cristo è di una sola natura composta, in quale momento diranno che egli è di due nature? Infatti è chiaro a chiunque che prima dell’unione Cristo sarebbe stato di una sola natura. In effetti questo è ciò che produce l’errore agli eretici, e cioè il dire che la natura e l’ipostasi sono la medesima cosa. Poiché noi diciamo che una è la natura degli uomini, bisogna sapere che noi non lo diciamo pensando alla definizione dell’anima e del corpo: infatti sarebbe impossibile dire che l’anima e il corpo, confrontati fra loro, sono di un’unica natura. Ma poiché le ipostasi degli uomini – che sono moltissime – ricevono tutte la medesima definizione della natura (infatti esse sono composte tutte di anima e di corpo, e tutte partecipano della natura dell’anima e posseggono la sostanza del corpo), diciamo una sola natura per la comune specie delle moltissime e differenti ipostasi, mentre è chiaro che a sua volta ogni ipostasi porta con sé due nature e si compie in due nature, cioè quella dell’anima e quella del corpo. Invece, in riguardo a nostro Signore Gesù Cristo non è possibile pensare a una specie comune. Infatti non ci fu, né c’è, né mai ci sarà un altro Cristo di divinità e di umanità, egli che è il medesimo, Dio perfetto e uomo perfetto in divinità e in umanità. E quindi non è possibile dire una sola natura in riguardo al Signore nostro Gesù Cristo. Perciò diciamo che l’unione è avvenuta da due nature perfette, quella divina e quella umana: non per impastamento, o per confusione, o per mescolanza, come dissero Dioscoro scacciato da Dio, Eutiche, Severo e la loro empia compagnia; e neanche facciale, oppure relativa, o per dignità, o per identità di volontà, o per uguaglianza di onore, o per omonimia, o secondo il beneplacito, come dissero Nestorio odioso a Dio, Teodoro di Mopsuestia e la loro diabolica adunanza; ma invece per composizione e cioè secondo l’ipostasi, senza mutamenti, senza confusione, senza divisione e senza separazione. E confessiamo una sola ipostasi dell’incarnato Figlio di Dio in due nature che sono perfette, dicendo la medesima ipostasi della sua divinità e della sua umanità e proclamando che le due nature sono conservate in lui dopo l’unione: non ponendole ciascuna per sé e a parte, ma unite fra loro in una sola ipostasi composta. Infatti diciamo essenziale l’unione, e cioè vera e non per apparenza; e inoltre «essenziale» non come se le due nature compissero una sola natura composta, ma perché esse sono unite veramente tra di loro nell’unica ipostasi composta del Figlio di Dio. E anche definiamo che la loro differenza essenziale è conservata integra: infatti ciò che era stato creato rimase creato e l’increato rimase increato, il mortale rimase mortale e l’immortale rimase immortale, il circoscritto rimase circoscritto e l’incircoscritto rimase incircoscritto, il visibile rimase visibile e l’invisibile rimase invisibile: «l’uno risplende con i miracoli, l’altro soccombe alle violenze». Il Verbo si appropria le cose umane (infatti è suo tutto ciò che è della sua santa carne) e partecipa alla carne ciò che è suo proprio, secondo il principio dello scambio – attraverso la compenetrazione delle parti fra di loro e attraverso l’unione secondo l’ipostasi – e proprio perché era uno e il medesimo Colui che «operava» le cose divine e le cose umane «in ciascuna forma secondo la comunanza reciproca». Perciò anche il Signore della gloria è detto essere stato crocifisso, benché la sua natura non soffrisse, e il Figlio dell’uomo è confessato essere nel cielo prima della passione, come disse proprio il Signore. Infatti era uno e il medesimo il Signore della gloria e colui che per natura e realmente nacque «Figlio dell’uomo», e cioè uomo: e noi riconosciamo i miracoli e le sofferenze, anche se secondo un operava miracoli e secondo l’altro egli il medesimo sottostava alle sofferenze. Infatti sappiamo che, come una sola è la sua ipostasi, d’altra parte è anche conservata integra la differenza essenziale delle nature. E come si conserverebbe integra la differenza, se non si conservassero integre le cose che hanno la differenza fra loro? Infatti la differenza è differenza di cose che differiscono. E quindi seguendo il principio essenziale per il quale le nature del Cristo differiscono fra loro – e cioè il principio relativo alla sostanza – noi diciamo che egli partecipa con gli estremi: secondo la divinità, con il Padre e con lo Spirito; secondo l’umanità con la madre e con tutti gli uomini: giacché il medesimo è consustanziale secondo la divinità con il Padre e con lo Spirito, e secondo l’umanità con la madre e con tutti gli uomini. Ma d’altra parte, seguendo il principio per il quale le sue nature si uniscono noi diciamo che egli differisce sia dal Padre e dallo Spirito, sia dalla madre e dagli altri uomini: infatti le sue nature si uniscono per l’ipostasi, avendo esse un’unica ipostasi composta, secondo la quale egli differisce sia dal Padre e dallo Spirito sia dalla madre e da noi.
San Giovanni Damasceno, la Fede Ortodossa, Libro III, cap. I-II-III
PROSPETTIVA ORTODOSSA SULL’IMMACOLATA CONCEZIONE
L’8 dicembre 1854, Papa Pio IX dichiarò un dogma nella Chiesa cattolica romana chiamato Immacolata Concezione. Ogni anno, dalla memoria di questo dogma, si celebra una festa in onore della sua promulgazione. È un giorno di festa molto importante per i cattolici ed è un evento significativo il fatto che molte chiese e scuole siano chiamate Immacolata Concezione. Ma cosa dichiara questo dogma?
Essa afferma: Dichiariamo, pronunciamo e definiamo che la dottrina secondo la quale la Beatissima Vergine Maria, nel primo momento del suo concepimento, per grazia e privilegio singolari concessi da Dio Onnipotente, in considerazione dei meriti di Gesù Cristo, il Salvatore del genere umano, è stato preservato immune da ogni macchia del peccato originale, è una dottrina rivelata da Dio e pertanto da credere fermamente e costantemente da tutti i fedeli.
Fondamentalmente, il dogma dell’Immacolata Concezione si fonda sulla teologia del peccato originale della Chiesa latina. Tra i numerosi Padri latini che hanno trattato questo argomento, sant’Agostino di Ippona ha affermato che l’umanità eredita la colpa del peccato originale. Questa era la sua argomentazione a favore della Chiesa latina a favore del battesimo dei bambini. I neonati dovrebbero essere battezzati il più presto possibile per lavare via la colpa del peccato originale.
Tuttavia, la Chiesa ortodossa ha una posizione diversa. San Giovanni Crisostomo sosteneva che lo scopo del battesimo non era quello di lavare il peccato originale ma piuttosto di unirsi a Cristo. Il nostro battesimo è la nostra prima morte in cui moriamo al peccato e risorgiamo con Cristo.
Quando il sacerdote tiene in braccio un bambino al battesimo, subito prima dell’immersione, significa Cristo sulla croce. L’immersione nell’acqua significa la Sua discesa nell’Ade e i Suoi tre giorni nella tomba. Quando il sacerdote solleva il bambino dal fonte battesimale significa la sua risurrezione.
L’Ortodossia insegna che l’umanità non eredita la colpa del peccato originale ma piuttosto la sua conseguenza che è la morte. Ereditiamo la nostra natura decaduta e il peccato perché siamo mortali. Ancora una volta, questa è una conseguenza del peccato originale commesso dai nostri antenati, Adamo ed Eva.
Le differenze in teologia si basano sull’interpretazione di Romani 5:12. La Vulgata usata dalla Chiesa Cattolica Romana si traduce in inglese dal latino come: Pertanto, come per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato in questo mondo e per il peccato la morte: e così la morte è passata su tutti gli uomini, nei quali tutti hanno peccato.
D’altra parte, il testo greco tradotto in inglese, afferma correttamente: Dunque, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e con il peccato la morte, e così la morte è passata a tutti gli uomini, a causa della quale tutti hanno peccato.
“Per questo” si riferisce alla morte. Pertanto, è a causa della morte che l’umanità pecca. “In chi” nella traduzione precedente implica che in qualche modo tutti hanno peccato in Adamo, cioè ereditano la colpa del peccato di Adamo.
Quindi il dogma dell’Immacolata Concezione deriva dalla dottrina del peccato originale della Chiesa latina. Lo stesso vale per il dogma dell’Assunzione, emanato il 1° novembre 1950 da Papa Pio XII che affermava: Per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei Beati Apostoli Pietro e Paolo, e per nostra propria autorità, pronunciamo, dichiariamo , e definirlo dogma divinamente rivelato: che l’Immacolata Madre di Dio, la sempre Vergine Maria, terminato il corso della sua vita terrena, fu assunta in anima e corpo alla gloria celeste.
Questo dogma lasciava incertezza sul fatto se la Vergine Maria avesse effettivamente avuto una morte fisica o se il Suo corpo e la Sua anima fossero stati assunti in cielo. La Chiesa ortodossa celebra la Dormizione della Theotokos, ovvero la convinzione che Ella morì di morte fisica ma che quando gli Apostoli aprirono la sua tomba il terzo giorno, era vuota. Così il suo corpo ascese al cielo. Se Maria fosse preservata libera dal Peccato Originale, quindi esente da esso, allora non sarebbe soggetta alla conseguenza di esso che è la morte. Ciò spiegherebbe l’idea che ella fu assunta in cielo in corpo e anima. La Chiesa ortodossa non sostiene tale convinzione, piuttosto sostiene che morì di morte fisica proprio come tutta l’umanità ma poiché il suo corpo era sacro, ascese al cielo.
Ci sono altre preoccupazioni riguardo al dogma dell’Immacolata Concezione. Se Maria fosse libera dal Peccato Originale, quindi purificata fin dalla Sua nascita affinché potesse partorire Gesù, allora sarebbe necessario che i suoi genitori fossero puri dal Peccato Originale e poi i loro genitori e così via. Se questo fosse vero, allora qual è il motivo dell’Incarnazione di Cristo?
Se tutti gli antenati dovessero essere purificati allora Cristo non avrebbe bisogno di incarnarsi e di vivere in mezzo a noi. C’è bisogno di redenzione tra i giusti? Ovviamente questo dogma non è accurato. Certamente Adamo ed Eva non erano puri perché il loro peccato era il Peccato Originale. Così Cristo si è incarnato ed è vissuto in mezzo a noi per annientare il peccato e salvarci.
Inoltre, se Maria fin dal grembo di sua madre fu preservata dalla grazia di Dio da ogni impurità e per essa grazia fu preservata dal peccato anche dopo la sua nascita, allora perché è più onorevole dei cherubini e senza paragone più gloriosa dei serafini? Se Lei, senza alcuno sforzo e senza avere alcuna tentazione, è rimasta pura, allora perché viene incoronata più di tutti gli altri? Non c’è vittoria senza prove e tribolazioni.
La Theotokos era altrettanto umana e soggetta alla tentazione del peccato come ognuno di noi. Tuttavia, non ha commesso alcun peccato personale. Fu grazie alla Sua purezza e rettitudine che fu ritenuta degna da Dio di essere la Theotokos, H Κεχαριτωμένη. Ci sono santi cattolici romani come Tommaso d’Aquino e Bernardo di Clarivaux che rifiutarono l’insegnamento dell’Immacolata Concezione. Quindi certamente c’è divisione anche all’interno della Chiesa latina con questo dogma.
Sebbene la Chiesa ortodossa non sostenga il dogma dell’Immacolata Concezione, celebra comunque la Concezione della Theotokos e di sua madre, Sant’Anna. Ciò che è miracoloso nel suo concepimento è che Gioacchino e Anna erano vecchi e senza figli da molti anni. Non avere figli era considerato una maledizione o una punizione di Dio nella cultura semitica. Eppure, nonostante Anna fosse sterile, a causa della fervida preghiera sia di Gioacchino che di Anna e della loro promessa di consacrare a Dio il loro figlio. Gioacchino e Anna trovarono grazia davanti al Signore che aprì il grembo di Anna e così ella diede alla luce Maria. Come sentiamo nell’Apolytikion della Festa:
Oggi i vincoli della mancanza di figli sono spezzati. Per aver ascoltato le preghiere di Gioacchino e Anna, Dio promise che contro ogni speranza avrebbero dato alla luce la Fanciulla di Dio. Da lei sarebbe nato Lui, l’Incircoscritto, quando si sarebbe fatto uomo, e sull’esempio dell’Angelo, ci comanda di invocarla: “Rallegrati, fanciulla piena di grazia, il Signore è con te”.
Si dice anche in una stichera dei Vespri della festa: Colui che fece sgorgare le acque dalla roccia, ha permesso al tuo seno di portare la sempre Vergine Maria, per mezzo della quale verrà la nostra salvezza.
Nell’Oikos del Mattutino della Festa sentiamo: Colui che mantenne la tua promessa e con la tua autorità diede a Sara un figlio, il grande Isacco, sebbene fosse molto vecchia; Tu, Dio Onnipotente, che hai aperto il grembo sterile di Anna, la madre del tuo profeta Samuele; guarda ora a me, accetta le mie preghiere e rispondi alle mie richieste”. Così disse piangendo la temperante e sterile Anna, e fu esaudita dal Benefattore. Perciò con gioia concepì la Vergine che portò il Logos divino, in modi che trapassano la parola e il pensiero…
Intercedi per tutti noi, o Madre della Theotokos, Sant’Anna!
Settimo Concilio Ecumenico: Nicea II 786 d.C.
DEFINIZIONE
Il santo, grande e universale concilio, per grazia di Dio e per decreto dei pii e cristiani nostri imperatori Costantino ed Irene, sua madre, riunito per la seconda volta nella illustre metropoli di residenza imperiale, nel tempio della santa e inviolata Theotokos e sempre vergine Maria, seguendo la tradizione della chiesa cattolica, definisce quanto segue.
Satana ha fuorviato gli uomini, in modo che venerassero la creatura invece del Creatore. La Legge Mosaica e i Profeti hanno cooperato per annullare questa rovina; ma per salvare l’umanità, Dio ha mandato il suo Figlio, che ci ha allontanato dall’errore e dall’adorazione degli idoli, e ci ha insegnato l’adorazione di Dio in spirito e in verità. Come messaggeri della sua dottrina di salvezza ci ha lasciato i suoi Apostoli e discepoli, e questi hanno adornato la Chiesa, la sua Sposa, con le sue gloriose dottrine. Questo ornamento della Chiesa i santi Padri e i sei Concili Ecumenici hanno conservato inviolato.
Cristo, nostro Dio, ci fece dono della sua conoscenza e ci liberò dalle tenebre e dal furore degli idoli. E dopo aver fatta sua sposa la sua Chiesa, senza macchia e senza ruga promise di conservarla e confermò questa promessa dicendo ai suoi discepoli Io sono con voi ogni giorno, fino alla fine dei secoli. Ma questa promessa egli non la fece solo a loro ma anche a noi, che attraverso loro abbiamo creduto nel suo nome.
Alcuni, dunque, incuranti di questo dono, come se avessero ricevuto le ali dal nemico ingannatore, hanno deviato dalla retta ragione opponendosi alla Tradizione della Chiesa Cattolica, hanno riportato l’idolatria sotto l’apparenza del cristianesimo e non hanno più raggiunto la conoscenza della verità. E, come dice il proverbio, sono andati errando per i viottoli, del proprio campo e hanno riempito le loro mani di sterilità; hanno tentato, infatti, di screditare le immagini dei sacri monumenti dedicati a Dio; sacerdoti, certo, di nome, ma non nell’essenza. Di questi il Signore dice cosi nella profezia: Molti Pastori hanno devastato la mia vigna; hanno contaminato la mia parte, seguendo, infatti, uomini scellerati, e trascinati dalle loro passioni, hanno accusato la santa Chiesa, sposata a Cristo Dio, e non distinguendo il sacro dal profano, hanno messo sullo stesso piano le immagini di Dio e dei suoi santi e le statue degli idoli diabolici.
Come allora Cristo armò i suoi Apostoli contro l’antica idolatria con la potenza dello Spirito Santo, e li mandò in tutto il mondo, così egli ha risvegliato contro la nuova idolatria i suoi servi, i nostri fedeli imperatori, e li ha dotati della sua stessa saggezza dello Spirito Santo. Spinti dallo Spirito Santo, essi non potevano più essere testimoni della distruzione della Chiesa a causa dell’inganno dei demoni, e convocarono l’assemblea santificata dei Vescovi amati da Dio, per istituire in un Concilio un esame scritturale sulla teologia ingannevole delle immagini, che trascina lo spirito dell’uomo dall’adorazione alta di Dio all’adorazione bassa e materiale della creatura: tutto ciò perché la divina Tradizione della Chiesa Cattolica riuscisse rafforzata da un voto comune. Dopo indagini, quindi, e discussioni scrupolosissime, con l’unico scopo di seguire la verità, noi né togliamo né aggiungiamo cosa alcuna; vogliamo solo conservare intatto tutto ciò che è proprio della Chiesa Cattolica. Osservanti, perciò, dei santi sei Concili Ecumenici, e specialmente di quello che fu tenuto nella nobile e grande città dei Niceni; e di quello celebrato dopo di esso nella città imperiale, cara a Dio, che decretarono che:
Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e di quelle invisibili: e in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio unigenito di Dio, generato dal Padre prima di tutti i secoli, luce da luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose. Per noi uomini e per la nostra salvezza egli discese dal cielo, e per opera del Santo Spirito si è incarnato nel seno della vergine Maria, e divenne uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, fu sepolto e risuscitò il terzo giorno secondo le Scritture, salì al cielo, sedette alla destra del Padre: verrà nuovamente nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. E nello Spirito, che è Santo, Signore, Vivifico [datore di vita], che procede dal Padre; che col Padre e col Figlio deve essere adorato e glorificato, ed ha parlato per mezzo dei Profeti. E alla Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per la remissione dei peccati e aspettiamo la resurrezione dei morti, e la vita del secolo futuro. Amin.
Detestiamo e anatematizziamo Ario ed i suoi seguaci, e quelli che hanno in comune con lui la sua insana dottrina; cosi pure Macedonio ed i suoi, ben a ragion chiamati “pneumatomachi”, cioè gente che combatte lo Spirito. Confessiamo anche la signora nostra, la santa Maria, come vera e propria madre di Dio: essa, infatti, ha partorito nella sua carne una persona della Trinità, Cristo, nostro Dio, come ha insegnato anche il primo concilio di Efeso, che scacciò dalla chiesa l’empio Nestorio, e quelli che ne seguono il pensiero, perché introducevano un dualismo di persone (in Cristo). Confessiamo inoltre anche le due nature di colui che si è incarnato per noi dall’intemerata Madre di Dio e sempre vergine Maria, riconoscendo in lui un perfetto Dio e un perfetto uomo, come ha proclamato anche il concilio di Calcedonia, scacciando dalla chiesa Eutiche e Dioscoro, blasfemi. Accomuniamo ad essi Severo, Pietro, e il grandemente blasfemo loro codazzo, intrecciati l’uno all’altro. Con essi anatematizziamo le favolose invenzioni di Origene, di Evagrio, e di Didimo, come fece anche il quinto concilio riunito a Costantinopoli. Predichiamo, inoltre, in Cristo due volontà e due operazioni, secondo la proprietà delle nature, come solennemente dichiarò il sesto sinodo di Costantinopoli, sconfessando Sergio, Onorio, Ciro, Pirro, Macario, negatori della pietà, e i loro accoliti. Noi intendiamo custodire gelosamente intatte tutte le tradizioni ecclesiastiche, sia scritte che orali. Una di queste, in accordo con la predicazione evangelica, è la pittura delle immagini, che giova senz’altro a confermare la vera – e non frutto di fantasia – incarnazione del Verbo di Dio, e ha una simile utilità per noi infatti, le cose, che hanno fra loro un rapporto di somiglianza, hanno anche senza dubbio un rapporto scambievole di significato.
In tal modo, procedendo sulla via regia, seguendo in tutto e per tutto l’ispirato insegnamento dei nostri santi padri e la tradizione della Chiesa Cattolica riconosciamo, infatti, che il santo Spirito abita in essa noi definiamo con ogni accuratezza e diligenza che, a somiglianza della preziosa e vivificante Croce, le venerande e sante immagini sia dipinte che in mosaico, di qualsiasi altra materia adatta, debbono essere esposte nelle sante Chiese di Dio, nelle sacre suppellettili e nelle vesti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l’immagine del Signore e Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella della intemerata Signora nostra, la santa Madre di Dio, degli angeli degni di onore, di tutti i santi e pii uomini. Infatti, quanto più continuamente essi vengono visti nelle immagini, tanto più quelli che le vedono sono portati al ricordo e al desiderio di quelli che esse rappresentano e a tributare ad essi rispetto e venerazione. Non si tratta, certo, secondo la nostra fede, di un vero culto di latria, che è riservato solo alla natura divina, ma di un culto simile a quello che si rende alla immagine della preziosa e vivificante croce, ai santi evangeli e agli altri oggetti sacri, onorandoli con l’offerta di incenso e di lumi, com’era uso presso gli antichi. L’onore reso all’immagine, infatti, passa a colui che essa rappresenta; e chi adora l’immagine, adora la sostanza di chi in essa è riprodotto.
In tal modo si rafforza l’insegnamento dei nostri santi Padri, ossia la tradizione della Chiesa Cattolica, che ha accolto il Vangelo da un confine all’altro della terra; in tal modo siamo seguaci di Paolo, del divino collegio Apostolico, e della santità dei Padri, tenendoci stretti alle tradizioni che abbiamo ricevuto; così possiamo cantare alla Chiesa gli inni trionfali dei profeti: rallegrati molto, figlia di Sion, esulta figlia di Gerusalemme; godi e gioisci, con tutto il cuore; il Signore ha tolto di mezzo a te le iniquità dei tuoi avversari, sei stata liberata dalle mani dei tuoi nemici. Dio, il tuo re, è in in mezzo a te; non sarai più oppressa dal male, e la pace porrà in te la sua dimora in eterno.
Dopo aver abrogato la definizione falsamente detta dello pseudo-concilio tenutosi durante il regno di Costantino il Copronimo a Blachernae, con i Diaconi Epifanio e Giovanni che la leggevano; e dopo aver proclamato San Germano, e Giovanni Damasceno, e Giorgio Cipriota Ortodossi e Santi, ha emesso una definizione formulata come segue:
«Definiamo la regola con tutta l’accuratezza e la diligenza, in modo non dissimile da quello che si addice alla forma della preziosa e vivificante Croce, che le venerabili e sante icone, dipinte o a mosaico, o fatte di qualsiasi altro materiale adeguato, siano collocate nelle sante chiese di Dio su vasi e paramenti sacri, muri e pannelli, case e strade, sia del nostro Signore e Dio e Salvatore Gesù Cristo, sia della nostra intemerata Signora la santa Theotokos e anche dei preziosi Angeli, e di tutti i Santi. Quanto più frequentemente e spesso vengono visti nella rappresentazione pittorica, tanto più coloro che li osservano vengono ricordati e portati a visualizzare di nuovo il ricordo degli originali che rappresentano e per i quali, inoltre, suscitano anche un desiderio nell’anima delle persone che osservano le icone. Di conseguenza, tali persone sono spinte non solo a baciarle e a render loro l’adorazione onoraria, ma soprattutto sono pervase dalla vera fede che si riflette nella nostra adorazione che è dovuta solo a Dio e che si addice solo alla natura divina (l’adorazione è definita da San Basilio il Grande come un culto intenso e continuativo, che non si discosta dall’oggetto adorato). Ma questo culto deve essere dato nel modo suggerito dalla forma della preziosa e vivificante Croce, e dai santi Vangeli, e dal resto delle sacre istituzioni, e l’offerta d’incenso, e di candele allo scopo di onorarli, proprio come era consuetudine fare tra gli antichi per manifestare la pietà. Poiché ogni onore reso all’icona (o all’immagine) si riversa sull’originale, e chi si inchina in adorazione davanti all’icona, si inchina allo stesso tempo in adorazione alla persona (o ypòstasi) di chi in essa è raffigurato. Perché così era la dottrina dei nostri Santi Padri e la Tradizione della Chiesa universale».
ANATEMI RIGUARDO ALLE SACRE IMMAGINI
Se qualcuno non ammette che Cristo, nostro Dio, possa esser limitato, secondo l’umanità, sia anatema. Se qualcuno rifiuta che i racconti evangelici siano rappresentati con disegni, sia anatema. Se qualcuno non venera queste [immagini], [fatte] nel nome del Signore e dei suoi Santi, sia anatema. Se qualcuno rigetta ogni tradizione ecclesiastica, sia scritta che non scritta, sia anatema.
CANONI
I. Bisogna osservare in tutto i sacri canoni.
Quelli che hanno la dignità del sacerdozio, hanno il criterio costituito dalle testimonianze e dalle indicazioni delle prescrizioni canoniche. Noi le accettiamo con gioia, e cantiamo con Davide divinamente ispirato, dicendo a Dio: Mi sono dilettato dei tuoi comandamenti, come di ogni ricchezza. E hai emanato i tuoi comandamenti con giustizia in eterno; dammene l’intelligenza e vivrò. Se, dunque, la voce dei profeti ci comanda di osservare in eterno i comandamenti di Dio, e di vivere in essi, è chiaro che essi devono rimanere intatti e stabili. Anche Mosè, infatti, che vide Dio, dice cosi: In essi non vi è nulla da aggiungere e nulla da togliere (Dt 12,32). E il divino apostolo Pietro, gloriandosi in essi, grida: In essi gli angeli desiderano ardentemente di volgere lo sguardo (1 Pt 1,12); e Paolo: Ma anche se noi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunziato, sia anatema (Gal 1,8).
Convinti di ciò ne facciamo professione e ce ne rallegriamo come i soldati rallegrano di abbondanti spoglie, gioiosamente accogliamo nel nostro cuore i divini canoni, e conserviamo integre e certe le loro prescrizioni, sia quelle emanate dai lodevolissimi Apostoli, trombe dello Spirito, che quelle dei sei Concili Ecumenici, dei Concili locali e quelli dei nostri santi Padri. Da tutti questi uomini, illuminati, infatti, da un solo e medesimo Spirito, sono state prescritte regole che sono per la nostra utilità. Sicché quelli che essi hanno anatematizzato lo sono anche per noi; quelli deposti lo sono anche per noi; quelli giudicati degni di scomunica, lo sono anche per noi; quelli sottoposti a pene, lo sono anche per noi allo stesso modo. Il vostro modo di vivere non sia amante del denaro, ma contentatevi di quanto avete (Eb 13,5): cosi esclama con chiara voce il divino Paolo, colui che sali al terzo cielo e ascoltò parole indicibili. (2 Cor 12,2-4)
II. Chi viene ordinato vescovo prometta di osservare i sacri canoni, altrimenti non deve essere ordinato.
Poiché cantando i salmi promettiamo a Dio: Mediterò i tuoi comandamenti; non dimenticherò le tue parole (Sal 118,16), è certamente doveroso che ogni cristiano osservi tutto ciò; ma in modo particolare coloro che hanno conseguito la dignità sacerdotale. Stabiliamo, perciò, che chiunque sia promosso all’episcopato, debba conoscere a memoria il Salterio, sicché possa ammonire tutto il clero, che da lui dipende, a istruirsi allo stesso modo. Il Metropolita indaghi diligentemente l’ordinando se egli legge volentieri, e non di corsa, ma con attenzione sia i sacri Canoni e il santo Vangelo, sia il libro del divino Apostolo, e tutta la sacra Scrittura; e se si comporta secondo i divini precetti, e istruisce cosi il suo popolo. Le parole divine, ossia la vera conoscenza delle sacre Scritture, sono l’essenza, infatti, del nostro sacerdozio, come afferma il grande Dionigi (DIONIGI AEROPAGITA, Hierarchia coelestis, 1, 4 [PG 3, 389]). Che se egli non fosse d’accordo, e non fosse disposto a comportarsi e ad insegnare cosi, non sia ordinato. Dice, infatti, Dio per mezzo dei profeti: Tu hai respinto la scienza, io respingerò te, perché tu non sia mio sacerdote (Os 4,6).
III. I principi non devono eleggere un vescovo
Ogni elezione di un Vescovo, di un Sacerdote, di un Diacono, fatta dai principi secolari è invalida, secondo il Canone: “Se un vescovo con l’appoggio dell’autorità secolare ha ottenuto una Chiesa sia deposto e siano scomunicati tutti quelli che comunicano con lui” (Canoni degli apostoli, 30). Bisogna, infatti, che chi dev’essere promosso all’episcopato, sia eletto da Vescovi, com’è stato stabilito dai santi Padri di Nicea, nel canone: “E’ sommamente conveniente che il Vescovo sia eletto da tutti i Vescovi della provincia; se ciò fosse difficile per una urgente necessità o per le distanze, almeno tre, raccoltisi nello stesso luogo, non senza che i Vescovi assenti abbiano dato il loro parere per iscritto, facciano l’ordinazione. La conferma di quanto è stato compiuto è riservata, in ciascuna provincia, al Metropolita” (Concilio di Nicea, 4).
IV. I vescovi si devono astenere da ogni baratto.
Il banditore della verità, il divino apostolo Paolo, stabilendo quasi una norma per i presbiteri di Efeso, o meglio, per tutto il clero, dice con estrema libertà: io non ho desiderato né l’argento, né l’oro, né la veste di nessuno. Vi ho mostrato in ogni maniera che cosi, lavorando, bisogna aiutare i deboli, stimando più felice il dare (21).
Anche noi, quindi, istruiti da lui, stabiliamo che in nessun modo per turpe lucro un vescovo adducendo scuse ai suoi peccati (22) possa chiedere oro, argento, o altra cosa, ai vescovi, ai chierici, o ai monaci che sono sotto di lui. Dice, infatti, l’apostolo: Gli ingiusti non avranno in sorte il regno di Dio (23) e: I figli non devono accumulare per i genitori, sono piuttosto questi che devono metter da parte per i figli (24).
Se, perciò, qualcuno, volendo denaro o qualsiasi altra cosa, o per innata passione allontanasse o escludesse qualcuno dei suoi chierici dal suo ministero, o chiudesse il tempio venerando, cosi che non potesse più tenersi in esso il divino servizio, spingendo la sua pazzia a cose insensate, poiché si mostra davvero insensato, sarà soggetto a pena analoga, che ricadrà sul sito stesso capo (25) poiché si rende trasgressore di un precetto di Dio e delle prescrizioni apostoliche. Comanda, infatti, anche Pietro, il principale tra gli apostoli: Pascete il gregge di Dio, che è in mezzo a voi, non forzatamente, ma volentieri, conforme alla volontà di Dio, non per volgare desiderio di guadagno, ma con zelo, non come chi vuole signoreggiare il clero, ma trasformandosi in modelli del gregge,e quando apparirà il Pastore dei pastori, riceverete la corona di gloria che non marcisce (26).
V.
Chi schernisce i chierici ordinati senza donativi sia punito.
Il peccato conduce alla morte (27) quando qualcuno, dopo aver peccato, non si corregge. Peggio ancora, se qualcuno si erge arrogantemente contro la pietà e la verità, amando mammona più dell’obbedienza a Dio, e non tenendo in nessun conto i suoi precetti canonici. In loro non abita il Signore Dio (28), a meno che, umiliati per il proprio errore, non si correggano: bisogna, infatti che essi si avvicinino maggiormente a Dio, e con cuore contrito gli chiedano la remissione di questo peccato e la sua indulgenza, piuttosto che vantarsi di donativi illeciti: poiché Dio è vicino a quelli che sono contriti di cuore (29).
Quelli dunque che si gloriano di essere stati ordinati per una chiesa per mezzo del denaro e pongono le loro speranze in questa loro prava consuetudine, che aliena da Dio e da ogni sacerdozio, e che, per di più, impudentemente e sfacciatamente hanno espressioni offensive contro chi per la propria vita virtuosa è stato scelto e costituito (nel sacerdozio) dallo Spirito santo senza denaro; quelli, dunque, che fanno ciò, prima siano posti all’ultimo gradino del loro ordine; se poi insistessero, siano assoggettati alle pene ecclesiastiche.
Se poi nell’ordinazione si venisse a sapere che qualcuno in passato avesse fatto ciò, si agisca secondo il canone apostolico, che dice: “Se un vescovo, un presbitero o un diacono, hanno ottenuto la loro dignità col denaro, siano deposti, loro e chi li ha ordinati, e siano in ogni modo privati della comunione, come Simon mago da me Pietro” (30). Ciò anche conformemente al secondo canone dei nostri santi padri di Calcedonia, che dice: “Se un vescovo facesse una sacra ordinazione per denaro, e riducesse ad una vendita quella grazia che per sua natura non si può vendere, e consacrasse per denaro un vescovo, un corepiscopo, un presbitero, un diacono, o un qualsiasi altro membro del clero; o, sempre per denaro, nominasse un amministratore, o un pubblico difensore, o una guardia, o, insomma, uno qualsiasi del clero, per vile guadagno; chi, dunque, avrà realmente fatto ciò, metterà in serio pericolo il suo posto. Colui poi che è stato consacrato, non dovrà ricavare nessun utile da una consacrazione fatta per commercio e dalla sua promozione; sia considerato, invece, estraneo alla sua dignità e all’ufficio, che ha ottenuto col denaro. Se poi si venga a sapere che qualcuno ha fatto da mediatore in cosi vergognosi e illeciti guadagni, anche costui, se fosse un chierico decada dalla propria dignità, se fosse un laico o monaco, sia scomunicato” (31).
VI.
Che ogni anno si celebri il sinodo locale.
Vi è un canone che dice: “Due volte all’anno bisogna riunire i vescovi di ogni provincia per discutere i problemi” (32). Però per il disagio, o perché i vescovi che devono riunirsi sono sempre in difficoltà quando devono mettersi in cammino, i santi padri del sesto sinodo hanno stabilito che “assolutamente e senza scuse si tenessero almeno una volta all’anno, per riformare ciò che ne ha bisogno” (33). Questo canone lo riconfermiamo anche noi; se poi vi sarà qualche autorità (civile) che intenda impedire ciò, sia privata della comunione; e se un metropolita, senza necessità, né impedimenti, né plausibili motivi, trascurasse di mettere in pratica questa prescrizione, sia assoggettato alle pene canoniche.
Quando poi il Sinodo tratta le questioni riguardanti i sacri canoni e gli Evangeli, i vescovi riuniti devono avere la massima cura di osservare i divini e vivificanti comandamenti di Dio: Nell’osservarli, infatti, è posta una grande ricompensa (34); perché il comandamento è una lucerna, e la legge una luce, e la correzione e la disciplina è la via della vita (35): il comandamento di Dio è luminoso e illumina gli occh (36). Il metropolita non ha il diritto di esigere qualche cosa di quelle che un vescovo avesse portato con sé, sia essa un giumento o altro. Se sarà provato che l’ha fatto, restituirà quattro volte tanto.
VII.
Bisogna completare le nuove chiese, consacrate senza le reliquie dei santi.
Dice il divino apostolo Paolo: I peccati di alcuni uomini si manifestano prima, quelli di altri dopo (37). Quindi ai peccati precedenti, seguiranno altri peccati. Per questo, all’empia eresia dei calunniatori dei cristiani, sono seguite altre empietà. Come infatti hanno tolto dalla chiesa la vista delle venerande immagini, cosi hanno abbandonato anche altre consuetudini, che bisogna ripristinare secondo la legislazione sia scritta, che solo tramandata.
Comandiamo che nelle chiese che sono state consacrate senza le reliquie dei santi martiri, venga fatta la deposizione delle reliquie, naturalmente con la consueta preghiera. Da oggi in poi un vescovo che consacrasse una chiesa senza reliquie, sia deposto per aver trasgredito le tradizioni ecclesiastiche.
VIII.
Non bisogna accogliere gli Ebrei che non si convertono sinceramente.
Poiché quelli che appartengono alla religione ebraica, errando, credono di potersi far beffe di Cristo Dio, fingendo di vivere da cristiani, e invece lo negano, celebrando di nascosto i loro sabati e seguendo altre pratiche giudaiche, disponiamo che costoro non debbano essere ammessi né alla comunione, né alla preghiera, né in chiesa. Siano apertamente Ebrei, secondo la loro religione! Stabiliamo anche che non si devono battezzare i loro figli, e che essi non possono acquistare né possedere servi. Se qualcuno di loro però, si convertirà con fede e con cuore sincero, e crederà con tutto il suo cuore, abbandonando i loro costumi e le loro azioni affinché anche altri possano essere ripresi e corretti, egli e i suoi figli potranno essere accolti, battezzati e aiutati perché si astengano dalle superstizioni ebraiche; altrimenti non siano ammessi.
IX.
Non si nasconda alcun libro dell’eresia che calunnia i cristiani.
Tutti i giuochi da bambini, sciocchi baccanali e falsi scritti, composti contro le sacre immagini, devono essere consegnati all’episcopio di Costantinopoli, perché siano sequestrati con gli altri libri eretici. Se si scoprirà che qualcuno li avrà nascosti, sia deposto, se vescovo, sacerdote o diacono; se laico o monaco, sia anatematizzato.
X.
Un chierico non deve lasciare la propria Parrocchia per un’altra, all’insaputa del vescovo.
Poiché alcuni chierici, eludendo le disposizioni canoniche, lasciano la loro parrocchia e corrono ad altre, specie in questa imperiale città cara a Dio e stanno presso i potenti, officiando le loro cappelle, essi senza il permesso del loro vescovo e di quello di Costantinopoli non devono essere accolti in nessuna casa o chiesa. Se qualcuno farà ciò, qualora perseverasse, sia deposto.
Quelli che col consenso dei suddetti vescovi fanno ciò non possono però occuparsi di affari mondani o secolari, lo proibiscono i sacri canoni. E se qualcuno avesse accettato le funzioni di maggiordomo la smetta o sarà deposto. Molto meglio sarebbe che costui istruisse i fanciulli e i domestici, leggendo loro le sacre Scritture: per questo, infatti, è stato fatto sacerdote.
XI.
Negli episcopi e nei monasteri debbono esservi degli amministratori.
Obbligati ad osservare tutti i sacri canoni, dobbiamo conservare immutato anche quello per cui vi deve essere in ogni chiesa un amministratore. Se, quindi, ogni metropolita costituisce questo economo nella sua chiesa, bene, altrimenti il vescovo di Costantinopoli ha il potere di imporre d’autorità a tale chiesa l’economo. Lo stesso possono fare i metropoliti nei riguardi dei vescovi loro sottoposti. La stessa norma deve essere osservata anche nei monasteri.
XII.
Il vescovo e l’abate non devono alienare i fondi della chiesa.
Se un vescovo o un abate dà una parte dei beni del vescovado o del monastero alle autorità o a qualche altra persona, la donazione è nulla, secondo il canone dei santi apostoli, che dice: “Il vescovo abbia cura di tutti i beni ecclesiastici, e li amministri come se Dio lo vedesse. Non gli è permesso appropriarsene o donare ai propri parenti le cose di Dio. Se essi sono poveri, provveda ad essi come poveri; ma non avvenga che, con la scusa di essi, venda i beni della chiesa” (38).
Se poi adducesse la scusa che la proprietà non dà alcun frutto, neppure in questo caso può darla ai signori temporali, ma solo a dei chierici o a dei contadini. Se poi il signore, con riprovevole astuzia comprasse la proprietà dal contadino o dal chierico, neppure cosi l’acquisto sarà valido e dovrà essere restituito al vescovado o al monastero. Il vescovo o l’abate che hanno operato in questo modo siano cacciati, hanno dissipato, infatti, quanto non avevano raccolto.
XIII.
Sono degni di condanna quelli che riducono i monasteri a comuni abitazioni.
Durante la calamità che ha colpito le nostre chiese a causa dei nostri peccati, alcuni episcopi e monasteri sono stati ridotti a comuni abitazioni di proprietà privata. Se i possessori credono di restituirle, perché siano riportate alla loro destinazione originaria, ottimamente!; in caso contrario, essi appartengono al clero, siano deposti; se sono monaci o laici, siano scomunicati: sono, infatti, già condannati dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito santo; e siano destinati là dove il verme non muore, e il fuoco non si spegne (39), perché si oppongono alla voce del Signore: Non trasformate la casa del Padre mio in un mercato (40).
XIV.
Senza imposizione delle mani non si può leggere dall’ambone nelle liturgie.
L’ordine deve regnare nelle cose sacre e pertanto si osservino con diligenza i vari livelli del sacerdozio.
Dato che alcuni, che fin da bambini hanno ricevuto la tonsura clericale, senza altra ordinazione da parte del vescovo, leggono dall’ambone nelle adunanze liturgiche, contro i sacri canoni, ordiniamo che da questo momento ciò non sia più consentito, neppure ai monaci.
Tuttavia ciascun superiore di un monastero potrà creare un lettore nell’ambito del proprio monastero, se però egli stesso ha ricevuto l’imposizione dal vescovo ed è sicuramente prete. Ugualmente bisogna che i corepiscopi, secondo l’antica consuetudine, promuovano i lettori solo per comando del vescovo.
XV.
Un chierico non dev’essere addetto a due chiese.
D’ora in poi, un chierico non potrà essere addetto a due chiese: ciò, infatti, è proprio di chi desidera far commercio e turpe guadagno, ed è alieno dalle consuetudini ecclesiastiche. Abbiamo ascoltato, infatti, dalla stessa voce del Signore che uno non può servire due padroni,- o odierà uno e amerà l’altro, ovvero sarà favorevole all’uno, disprezzando l’altro (41). Quindi ognuno, conforme alla voce dell’apostolo: in ciò a cui fu chiamato, in questo rimanga (42), deve servire in una sola chiesa: quanto, infatti, nelle cose ecclesiastiche viene fatto per turpe guadagno è alieno da Dio. Per le necessità della vita, vi sono molte occupazioni: da queste, se uno vuole, si procuri ciò che è necessario alla vita. Dice, infatti, l’apostolo: Alle mie necessità e a quelle di coloro che sono con me, hanno provveduto queste mani (43).
Queste disposizioni valgono per questa città, che Dio ha in custodia. Per gli altri luoghi, considerata la penuria di soggetti, si sia più indulgenti.
XVI.
Un sacerdote non deve indossare vesti preziose.
I raffinati ornamenti del corpo sono estranei allo stato sacerdotale, perciò i vescovi e i chierici che si ornano con vesti lussuose e appariscenti, devono smetterla, altrimenti siano puniti. Ugualmente si dica di quelli che usano profumi.
Poiché la radice velenosa (44), lussureggiando ha contaminato la chiesa cattolica – intendiamo l’eresia di quelli che diffamano i cristiani – e quelli che l’hanno fatta propria non solo hanno in abominazione immagini dipinte, ma hanno rinunziato ad ogni segno di riverenza e detestano quelli che vogliono vivere religiosamente e piamente (e si avvera in essi ciò che è scritto: La Pietà à abominazione per il peccatore) (45); dunque, quelli che deridono chi indossa vesti semplici e sacre, siano puniti. Fin dai tempi antichi, i preti usarono vesti modeste e umili, perché tutto ciò che si usa non per necessità, ma per eleganza, non sfugge all’accusa di “frivolezza”, come afferma Basilio Magno (46). Allora non si usava neppure una veste di seta variopinta, né si ornavano i bordi dei vestiti con aggiunte di vario colore, attenti a ciò che Dio stesso aveva detto: quelli che sono vestiti mollemente, stanno nei Palazzi dei re (47).
XVII.
Non deve costruire un oratorio chi non avesse i mezzi Per condurlo a termine.
Alcuni monaci, smaniosi di comandare e senza alcuna voglia di obbedire, lasciano i loro monasteri e cominciano a costruire degli oratori, senza avere i mezzi per condurli a termine. Se qualcuno, quindi, tentasse di fare ciò, gli sia impedito dal vescovo del luogo; se però ha il necessario per terminare la costruzione, gli si lasci fare quanto ha in animo. La stessa norma vale per i laici e i chierici.
XVIII.
Le donne non dimorino negli episcopi o nei monasteri maschili.
Siate irreprensibili, anche con gli estranei, dice il divino apostolo (48). Che le donne dimorino negli episcopi o nei monasteri è causa di scandalo. Se perciò un vescovo o un abate hanno acquistato una serva o una libera per un qualsiasi servizio nell’episcopio o nel monastero, questi sia ripreso. Se persevera, sia deposto. Se poi le donne fossero nelle proprietà di campagna e il vescovo o l’abate volessero recarsi là, in quella circostanza non sia assolutamente permesso ad una donna di compiere il suo servizio presente il vescovo o l’abate, ma se ne stia in luogo appartato, finché se ne siano andati, perché non vi sia nulla da dire.
XIX.
Che le professioni dei sacerdoti, Monaci e monache debbano farsi senza doni.
Taluni rettori di chiese, anche alcuni che sono ritenuti pii, uomini e donne, dimenticando i comandamenti di Dio sono accecati dall’avidità al punto da ammettere sia al sacerdozio che allo stato di monaco per denaro. E quelli che hanno male incominciato, proseguono peggio, secondo l’espressione di Basilio Magno (49). Non si può servire Dio, infatti, per mezzo di mammona (50). Perciò se un vescovo o un abate o qualsiasi altro del ceto sacerdotale agsce cosi o cessi o sia deposto, in conformità del canone secondo del sacro concilio di Calcedonia. In caso poi che si tratti di una badessa sia cacciata dal monastero e sia relegata in un altro monastero, sottoposta ad altri. Cosi vengano trattati anche gli abati, che non sono sacerdoti.
Per ciò che i genitori danno come dote ai figli che entrano in monastero o per quanto essi portano, dichiarando di consacrarlo a Dio, stabiliamo che tali beni restino nel monastero, secondo la promessa fatta, sia che essi rimangano sia che se ne vadano, a meno che non vi sia colpa del superiore del monastero.
XX.
Non devono Più costituirsi monasteri doppi.
Stabiliamo che d’ora in poi non possano più fondarsi monasteri misti; ciò, infatti, si risolve per molti in scandalo e disorientamento. Se vi sono dei congiunti che intendono rinunziare insieme al mondo per la vita monastica, gli uomini devono andare in un monastero maschile, le donne in uno femminile, perché cosi piace a Dio.
I monasteri per uomini e donne esistenti, si attengano fedelmente alla regola del nostro santo padre Basilio (51), e si conformino alle sue disposizioni. Non vivano in uno stesso monastero monaci e monache, perché l’adulterio suole accompagnare la coabitazione. Il monaco e la monaca non abbiano possibilità parlarsi a tu per tu. Un monaco non dorma presso il monastero delle monache, e non si trattenga a mangiare da solo con una monaca. E quando da parte maschile devono esser fatti pervenire alle monache i generi necessari alla vita, questi siano presi in consegna dalla badessa del monastero delle donne fuori della porta, alla presenza di una monaca anziana. Anche nel caso che un monaco volesse vedere una sua parente, parli con lei alla presenza della badessa, con poche e brevi parole, e subito si ritiri.
XXI.
I monaci non devono lasciare i propri monasteri per recarsi in altri.
Un monaco o una monaca non devono lasciare il proprio monastero per recarsi in un altro. Se ciò avvenisse si deve ospitarli, ma non accoglierli stabilmente, senza il consenso del loro superiore.
XXII.
I monaci, se mangiano con donne, lo facciano con riconoscenza (a Dio), con moderatione e con cautela.
E’ gran cosa offrire tutto a Dio e non servire ai propri desideri. Sia, infatti, che mangiate, sia che beviate, dice il divino apostolo, fate ogni cosa a gloria di Dio (52). Cristo, nostro Dio, ci ha comandato nei suoi Evangeli di recidere gli inizi dei peccati: non solo ha proibito l’adulterio, ma ha condannato anche il moto del pensiero che tende all’adulterio. Dice, infatti, il Signore: Chi guarda una donna desiderandola, nel suo cuore ha già commesso adulterio con essa (53).
Ammaestrati da ciò, dobbiamo purificare i nostri pensieri: poiché se tutto è lecito, non tutto però è conveniente (54), come insegna la voce dell’Apostolo. E’ necessario, che ognuno mangi per vivere. Quelli che vivono nel matrimonio, hanno figli, e sono laici vivono insieme tra uomini e donne senza dare adito a critiche. Basta che ringrazino chi dà loro il cibo e non con spettacoli teatrali, con canti satanici, con chitarre e movimenti flessuosi delle membra degni di meretrici; questi saranno colpiti dalla maledizione del profeta: Guai a quelli che bevono il vino con suoni e canti, e non badano alle opere del Signore, né comprendono le opere delle sue mani (55). Se tra i cristiani vi è chi si comporta cosi, si corregga, altrimenti siano applicate loro le norme tradizionali.
Quelli, invece, che conducono una vita modesta e solitaria, perché hanno promesso al Signore di prendere su di sé un giogo singolare, questi se ne stiano fermi e in silenzio (56). Ma neppure a coloro che hanno scelto la vita ecclesiastica, è assolutamente lecito mangiare da soli con le donne; a meno che non sia presente qualcuno, pio e timorato di Dio, o qualche donna, di modo che lo stesso mangiare giovi al progresso spirituale. Identica norma si osservi con i parenti. Se però capita che in viaggio un monaco o un chierico non abbiano portato il necessario e, quindi deve alloggiare in un albergo o in casa di qualcuno, costui è libero di farlo, perché spinto dalla necessità.
IL “TU SEI PIETRO” NELL’ESEGESI PATRISTICA
La tradizione esegetica patristica è unanime sul significato della “pietra”. L’infallibilità della Chiesa non si fonda su una persona umana ma sulla fede che Dio stesso rivela e che va oltre “la carne ed il sangue”. L’infallibilità non risiede in un qualcosa o in un qualcuno che sia magico ma nella disponibilità dei santi ad accogliere la vera fede, rivelata una volta per sempre da Dio. La Chiesa esisterà fino a quando anche un piccolo resto sarà in grado di accogliere questa rivelazione divina. Come si accorderebbe una supposta infallibilità del “Vicario di Cristo” con il detto evangelico: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8). Per di più un uomo che fosse “infallibile” dovrebbe essere sprovvisto di libero arbitrio perché di fatto non sarebbe libero, non potendo fallire, ogni qual volta proclamasse una verità di fede o di morale “ex Cathedra”. I confini di questo ex Cathedra, poi, evolvono e si modificano ogni qual volta si prende in esame una promulgazione papale problematica. Inutile ricorrere ai tanti errori anche gravi in cui tutti i Patriarchi, quello di Roma incluso, sono incorsi anche nello scritto e nella predicazione intorno alla vera fede.
A titolo di esempio, nel decreto dogmatico della XVIII sessione del terzo Concilio Ecumenico di Costantinopoli, si afferma che:
«poiché non restò inattivo colui che fin dall’inizio fu l’inventore della malizia e che, servendosi del serpente, introdusse la velenosa morte nella natura umana, così anche ora, trovati gli strumenti adatti alla propria volontà: alludiamo a Teodoro, che fu vescovo di Faran; a Sergio, Pirro, Paolo, Pietro, che furono presuli di questa imperiale città; ed anche a Onorio, che fu papa dell’antica Roma; (…); trovati, dunque, gli strumenti adatti, non cessò, attraverso questi, di suscitare nel corpo della chiesa gli scandali dell’errore; e con espressioni mai udite disseminò in mezzo al popolo fedele la eresia di una sola volontà e di una sola operazione in due nature di una (persona) della santa Trinità, del Cristo, nostro vero Dio, in armonia con la folle dottrina falsa degli empi Apollinare, Severo e Temistio» (Mansi, XI, coll. 636-637)
«Con essi riteniamo di bandire dalla santa Chiesa di Dio e di anatemizzare anche Onorio, già Papa dell’antica Roma, perché abbiamo trovato nella sua lettera a Sergio che egli ha seguito in tutto la sua opinione e che ha ratificato i suoi empi insegnamenti» (Mansi, XI, col. 556).
Il 9 agosto 681, alla fine della XVI sessione del medesimo Concilio Ecumenico, vennero rinnovati gli anatemi contro tutti gli eretici e i fautori dell’eresia, compreso Onorio: «Sergio haeretico anathema, Cyro haeretico anathema, Honorio haeretico anathema, Pyrro, haeretico anathema» (Mansi, XI, col. 622).
Le copie autentiche degli atti del Concilio, sottoscritte da 174 Padri e dall’Imperatore, furono inviate alle cinque sedi patriarcali, con particolare riguardo per quella di Roma. Ma poiché sant’Agatone morì il 10 gennaio 681, gli atti del Concilio, dopo più di 19 mesi di sede vacante, furono ratificati dal suo successore San Leone II (682-683). Nella lettera inviata il 7 maggio 683 all’imperatore Costantino IV, il Papa scriveva:
«anatemizziamo gli inventori del nuovo errore, vale a dire Teodoro di Faran, Ciro d’Alessandria, Sergio, Pirro, Paolo e Pietro della Chiesa di Costantinopoli, e anche Onorio, che non si sforzò di mantenere pura questa Chiesa apostolica nella dottrina della tradizione apostolica, ma ha permesso con un esecrabile tradimento, che questa Chiesa intemerata fosse macchiata» (Mansi, XI, col. 733)
Per sfuggire a questo dato di fatto e proclamare il dogma dell’infallibilità papale c’è stato bisogno di inserire tanti se e tanti ma, tante formule e distinguo che di fatto rendono nullo questo “dono” se permane il dubbio della possibilità che un Papa possa essere eretico o sbagliare qualche volta nell’esercizio del suo ministero. Quale certezza può avere il fedele sulle dichiarazioni papali? Sono state fatte ex Cathedra o no? Chi lo stabilisce?
Di fatto, la storia della Chiesa ci insegna che a salvare l’ortodossia siano stati nel tempo diversi Vescovi, diversi Patriarchi e addirittura singoli fedeli: pensiamo a San Massimo il Confessore.
Fatto questo preambolo pubblichiamo il testo esegetico del brano “petrino” del vangelo di Matteo che ha come autore San Cirillo di Gerusalemme e contenuto nelle sue Catechesi:
“Mentre essi erano raccolti attorno a lui, l’Unigenito di Dio li interrogò: «Chi dicono sia il Figlio dell’uomo?». Non fece la domanda per vanagloria, ma per mettere in chiaro la verità, perché essi che pur erano a contatto con la sua divinità non lo sottovalutassero come puro e semplice figlio dell’uomo.
Siccome i discepoli avevano dato per risposta «alcuni Elia e altri Geremia», egli intese dire: «Quanti mi dicono un semplice uomo sono scusabili perché non mi hanno conosciuto; ma voi, apostoli, che nel mio nome avete mondato i lebbrosi, scacciato i demoni, risuscitato morti, non dovreste ignorare in nome di chi potete compiere tali miracoli». Di fronte a una verità superiore alle umane capacità, tutti allora ammutolirono, eccetto il primo araldo della Chiesa, Pietro, la cui fede attingeva non a personale ricerca né ad umano ragionamento, ma al Padre che illumina le menti. Gli rispose non soltanto:
«Tu sei il Cristo», ma aggiunse: «Tu sei il Figlio del Dio vivente». Parole davvero al di sopra delle umane capacità! Perciò il Salvatore lo disse beato e con questo macarisma pose un sigillo alle parole di verità rivelategli dal Padre: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli». Di questa beatitudine dunque partecipa chi riconosce che nostro Signore Gesù Cristo è Figlio di Dio. Chi invece ne nega la filiazione divina è un povero disgraziato”.
Lo stesso sentire ebbero anche i Padri Occidentali:
S. Ambrogio vescovo di Milano († 397) nel “De incarnationis dominicae sacramento” , IV, 32, afferma: «Pietro… ottenne un primato, ma un primato di confessione e non d’onore, un primato di fede e non di ordine»
S. Agostino († 430) nel Sermone 76 – vedere anche Ser. 124 del trattato su Giovanni – scrive: «Il salvatore dice: tu sei Pietro e su questa pietra che tu hai confessata, su questa Pietra che tu hai riconosciuta esclamando tu sei il Cristo, il figlio dell’Iddio vivente, io edificherò la mia Chiesa, vale a dire su me stesso, che sono il figlio dell’Iddio vivente»
Infine Origene († 253) che scrisse nel suo Commento a Matteo: «Se tu immagini che solo su Pietro sia stata fondata la Chiesa che cosa potresti dire di Giovanni, il figlio del tuono, o di qualsiasi altro apostolo? E prosegue affermando che chiunque fa sua la confessione di Pietro, può – come lui – essere chiamato Pietro»
Questa è la verità della fede che purtroppo spesso viene barattata per scopi politici o di convenienza, in Occidente come in Oriente. Una vera riappacificazione tra la vera Chiesa Ortodossa e le altre “Chiese” non può che avvenire nella Verità che è il Signore Gesù Cristo nella sua rivelazione.
Anche storicamente lo scisma del Papa del 1054 vide da una parte della barricata l’interpretazione del suo proprio ministero del Vescovo di Roma, dall’altra parte quella degli altri quattro Patriarcati storici che non gli attribuivano, seguendo i canoni dei Concili Ecumenici, che una preminenza onorifica e non giurisdizionale e neanche dogmatica. Un Patriarca da una parte e quattro patriarchi solidali dall’altra. Valutare quindi che lo scisma sia stato operato dai quattro e non dall’uno in solitudine è storicamente abbastanza arduo non solo pensarlo ma anche sostenerlo e provarlo.
San Massimo il Confessore (580 – 662): Lo scopo dell’incarnazione di Dio
San Massimo il Confessore (580 – 662)
dall’opera “Discorso Ascetico”
Lo scopo dell’incarnazione di Dio
1. Un fratello interrogò un vecchio dicendo: — Ti chiedo di dirmi, o padre: quale fu lo scopo per cui il Signore divenne uomo?
Ed il vecchio rispondendo disse: — Mi meraviglio di te, o fratello, perché mi interroghi intorno a ciò, pur ascoltando ogni giorno il simbolo della fede. Tuttavia ti dico che lo scopo per cui il Signore divenne uomo fu la nostra salvezza.
Ed il fratello chiese: — Come dici, o padre?
Ed il vecchio rispose: — Poiché dunque l’uomo, creato all’inizio da Dio e posto nel paradiso, avendo trasgredito il comandamento, soggiacque alla corruzione ed alla morte, di conseguenza, pur governato dalla varia provvidenza di Dio per ogni successiva generazione, continuava a rimanere decaduto nello stato peggiore, spinto dalle diverse passioni della carne alla disperazione della vita. Per questo l’unigenito Figlio di Dio, il Verbo anteriore al tempo procedente da Dio Padre, la fonte della vita e dell’immortalità, apparve a noi che giacevamo nell’oscurità e nell’ombra della morte (Mt 4,16 – Lc 1-79); incarnatosi dallo Spirito Santo e dalla Santa Vergine, ci indicò il modo di una vita divina e, dopo averci impartito santi precetti ed aver annunziato il regno dei cieli a chi vive secondo essi e minacciato eterno castigo a chi li viola, sofferta la passione salvatrice e risorto dai morti, ci donò la speranza della risurrezione e della vita eterna. Tolta mediante la sua ubbidienza la condanna della colpa dei progenitori ed annientata con la morte la potenza della morte (Eb 2,14), affinché, come tutti muoiono in Adamo, cosi tutti siano vivificati (1 Cor 15,22); asceso ai cieli e postosi alla destra del Padre, fece discendere io Spirito Santo in pegno della vita e ad illuminazione e santificazione delle nostre anime ed in aiuto di chi lotta per la propria salvezza per custodire i suoi precetti. Questo fu lo scopo per cui il Signore divenne uomo, a dirla in breve.
Passi biblici sulla nascita dell’Emmanuele, il ‘Dio con noi’
ISAIA 7,10-16
10,10 Il Signore parlò ancora ad Acaz: 11 «Chiedi un segno dal Signore tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure lassù in alto». 12 Ma Acaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». 13 Allora Isaia disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta di stancare la pazienza degli uomini, perché ora vogliate stancare anche quella del mio Dio? 14 Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele. 15 Egli mangerà panna e miele finché non imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene. 16 Poiché prima ancora che il bimbo impari a rigettare il male e a scegliere il bene, sarà abbandonato il paese di cui temi i due re.
ISAIA 9,5-6
9,5 Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; 6 grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e sempre; questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.
DAL VANGELO DI MATTEO
1,1 Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. 2Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, 3Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, 4Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, 5Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, 6Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Uria, 7Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abia, Abia generò Asaf, 8Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, 9Ozia generò Ioatàm, Ioatàm generò Acaz, Acaz generò Ezechia, 10Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, 11Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. 12Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, 13Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, 14Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, 15Eliùd generò Eleazar, Eleazar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, 16Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo. 17In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.
18Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. 22Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
23 Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele,
che significa Dio con noi. 24Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; 25senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù.
2,1 Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme 2e dicevano: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”. 3All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. 5Gli risposero: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
6 E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele“.
7Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella 8e li inviò a Betlemme dicendo: “Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo”.
9Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. 11Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese. 13Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo”. 14Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, 15dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
Dall’Egitto ho chiamato mio figlio.
16Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. 17Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia:
18 Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più.
19Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20e gli disse: “Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino”. 21Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. 22Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea 23e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: “Sarà chiamato Nazareno”.
DAL VANGELO DI LUCA
1,26Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28 Entrando da lei, disse: “Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te”. 29 A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32 Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33 e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”.34 Allora Maria disse all’angelo: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”. 35 Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36 Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37 nulla è impossibile a Dio”. 38 Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. E l’angelo si allontanò da lei. 39 In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40 Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41 Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo.45E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”. 46Allora Maria disse:
“L’anima mia magnifica il Signore 47e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, 48perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. 49Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; 50di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. 51Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; 52ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; 53ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. 54Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, 55come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre”.
56Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua. 57Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. 58I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. 59Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. 60Ma sua madre intervenne: “No, si chiamerà Giovanni”. 61Le dissero: “Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome”. 62Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. 63Egli chiese una tavoletta e scrisse: “Giovanni è il suo nome”. Tutti furono meravigliati. 64All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. 65Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. 66Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: “Che sarà mai questo bambino?”. E davvero la mano del Signore era con lui. 67Zaccaria, suo padre, fu colmato di Spirito Santo e profetò dicendo:
68“Benedetto il Signore, Dio d’Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo, 69e ha suscitato per noi un Salvatore potente nella casa di Davide, suo servo, 70come aveva detto per bocca dei suoi santi profeti d’un tempo: 71salvezza dai nostri nemici, e dalle mani di quanti ci odiano. 72Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza, 73del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre, di concederci, 74liberati dalle mani dei nemici, di servirlo senza timore, 75in santità e giustizia al suo cospetto, per tutti i nostri giorni. 76 E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade, 77 per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati. 78 Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge dall’alto, 79 per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte, e dirigere i nostri passi sulla via della pace”.
80Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.
2,1 In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 3Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. 8C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10ma l’angelo disse loro: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. 13E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: 14“Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”.15Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: “Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. 16Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. 17E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. 21Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo. 22Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – 23come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore –24e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. 25Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. 26Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. 27Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, 28anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
29“Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, 30perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, 31preparata da te davanti a tutti i popoli: 32luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele”.
33Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. 34Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: “Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione 35– e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori”. 36C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, 37era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. 38Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. 39Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. 40Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui. 41I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. 42Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. 43Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. 44Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 46Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 47E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. 49Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. 50Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. 51Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. 52E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.