Padre Gabriel (Bunge): Non si può imparare a pregare seduti su una poltrona calda

Di Konstantin Matsan
26 gennaio 2011, 10:00

Fonte: Foma: Orthodox Christian Journal for Dubiting Thomases

Un eremita cattolico convertito all’Ortodossia

Un noto teologo, lo ieromonaco Gabriel Bunge, rilascia raramente interviste. Conduce una vita da eremita in un piccolo skete in Svizzera, non usa mai Internet e l’unico mezzo di comunicazione con lui è il telefono. Quest’ultimo funge da segreteria telefonica in una stanza lontana. Se vuoi parlare con lui, devi lasciare un messaggio con l’ora in cui tornerai a telefonare, e se Padre Gabriel è pronto a parlare, sarà vicino al telefono all’ora da te indicata. Siamo stati fortunati a non subire questa complessa operazione perché abbiamo incontrato padre Gabriel a Mosca. Il 27 agosto si convertì all’Ortodossia dal cattolicesimo.

Nella nostra conversazione, padre Gabriel ci ha parlato dei motivi della sua decisione, delle principali  differenze tra Valaam e la Svizzera e di molte altre cose.

“Siamo comnsiderati strani”

D: Se qualcuno passa da una tradizione cristiana all’altra, deve significare che sente che gli manca qualcosa di vitale nella sua vita spirituale…

R: Sì. E se questa persona ha settant’anni, come me, questo passo non può essere definito frettoloso, vero?

D: No, non può. Ma cosa ti è mancato, essendo un monaco con una così grande esperienza spirituale?

R: Devo parlare non di una decisione, ma di tutto il percorso della vita con la sua logica interiore: a un certo punto accade un evento che veniva preparato da tutta la vita.

Come tutti i giovani, stavo cercando la mia strada nella vita, per così dire. Sono entrato all’Università di Bonn e ho iniziato a studiare filosofia e teologia comparata. Non molto tempo prima, avevo visitato la Grecia e trascorso due mesi sull’isola di Lesbo. Fu lì che vidi per la prima volta un vero monaco anziano ortodosso. A quel tempo, ero già interiormente attratto dal monachesimo e avevo letto della letteratura ortodossa, comprese le fonti russe. Quell’anziano mi ha stupito. Divenne l’incarnazione del monaco che avevo incontrato prima solo nei libri. Improvvisamente, ho visto davanti a me una vita monastica che fin dall’inizio mi è sembrata autentica, vera, la più vicina alla pratica dei primi monaci cristiani. Dopodiché, sono stato in contatto con quell’anziano per tutta la vita. Così ho ottenuto un ideale di vita monastica.

Quando sono tornato in Germania, sono entrato nell’Ordine di San Benedetto: sembrava essere il più vicino alle mie aspirazioni. La struttura dell’Ordine stesso ricorda quella della Chiesa paleocristiana. Nell’Ordine non esiste un sistema verticale di subordinazione, ogni comunità esiste da sola. Ciò che garantisce l’unità di queste comunità è la tradizione e la Chiesa: il Typicon. Cioè, non l’ordine giuridico, ma l’ideale spirituale. A proposito, in questo senso penso che siano i benedettini, di tutti i credenti occidentali, quelli che sono pronti a capire più acutamente i credenti ortodossi. Ma ancora il mio Padre spirituale ed io ci rendemmo conto molto presto che con la mia passione per il monachesimo orientale e l’amore per il cristianesimo orientale in generale, non ero al mio posto in questo Ordine. Così l’abate, uomo anziano ed esperto che ancora onoro, decise di trasferirmi in un piccolo monastero in Belgio, e non senza rimpianti. Ho trascorso 18 anni lì, ho acquisito una grande esperienza e da lì, con una benedizione, sono andato allo skete in Svizzera. Tutti questi trasferimenti furono causati da un motivo: il tentativo di progredire verso un’autentica vita monastica, come avveniva con i primi cristiani. Come quello che ho visto con i cristiani orientali. Il passo più recente su questa via è stata la conversione all’Ortodossia.

D: Perché hai deciso di adottarla? Si può amare l’Ortodossia con tutto il cuore e rimanere all’interno del cattolicesimo tradizionale. Ci sono molti esempi simili in Occidente.

R: Sì, molte persone che sono attratte dall’Ortodossia rimangono all’interno della Chiesa cattolica. E questo è normale. Nella maggior parte delle cattedrali occidentali ci sono icone ortodosse. In Italia ci sono scuole professionali di pittura di icone insegnate da specialisti russi e altri. Sempre più credenti in Europa sono oggi interessati agli inni bizantini. Anche i tradizionalisti della Chiesa cattolica hanno scoperto il canto bizantino. Naturalmente non li usano durante il servizio divino in chiesa, ma fuori dalla chiesa, ad esempio, ai concerti. La letteratura ortodossa viene tradotta in tutte le lingue europee e i libri vengono pubblicati nelle maggiori case editrici cattoliche. Insomma, in Occidente, non hanno davvero perso il gusto per tutto ciò che è autentico, cristiano, che la tradizione orientale ha conservato. Ma ahimè, non cambia nulla nella vita reale delle persone e della società nel suo complesso. L’interesse per l’Ortodossia è più culturale. E quelle povere persone come me che hanno un interesse spirituale per l’Ortodossia, sono lasciate in minoranza. Siamo considerati strani; raramente siamo capiti.

“Semplicemente per sapere da dove viene tutto”

D: Come teologo, lei ha parlato spesso del problema della separazione tra Occidente e Oriente. Possiamo dire che la sua conversione all’Ortodossia è il risultato della sua meditazione su questo argomento?

R: Quando ero in Grecia e ho iniziato a rivolgermi al cristianesimo orientale, ho cominciato a percepire molto dolorosamente lo scisma tra Oriente e Occidente. Ha smesso di essere una teoria astratta o una trama in un libro di storia della Chiesa, ma piuttosto qualcosa che stava influenzando direttamente la mia vita spirituale. Questo è il motivo per cui la conversione all’Ortodossia ha iniziato a sembrare un passo molto logico. In gioventù, speravo sinceramente che fosse possibile l’unione del cristianesimo occidentale e orientale. Aspettavo che accadesse con tutto il cuore. E avevo delle ragioni per crederci. Al Concilio Vaticano II erano presenti osservatori della Chiesa ortodossa russa, tra cui l’attuale metropolita di San Pietroburgo e Ladoga, Vladimir (Kotlyarov). A quel tempo il metropolita Nikodim (Rotov) era molto attivo negli affari internazionali. E molte persone pensavano che le due Chiese si stessero avvicinando e alla fine si sarebbero incontrate a un certo punto. Era il mio sogno che stava diventando sempre più reale. Ma mentre crescevo e imparavo alcune cose più in profondità, ho smesso di credere nella possibilità della riconciliazione di due Chiese in termini di servizi divini e unità istituzionale. Cosa dovevo fare? Potevo solo continuare a cercare questa unità da solo, individualmente, ripristinandola in un’anima separata, la mia. Non potevo fare di più. Ho solo seguito la mia coscienza e sono arrivato all’Ortodossia.  

 D: Non è un’opinione troppo radicale?

R: Mentre ero ancora in Grecia, essendo cattolico, mi sono reso conto che era l’Occidente a separarsi dall’Oriente, non viceversa. In quel momento per me era impensabile. Avevo bisogno di tempo per capirlo e accettarlo. Non posso incolpare nessuno, certo che non posso! Stiamo parlando di un intero grande processo storico e non possiamo dire che questa o quella persona sia la causa di questo. Ma i fatti restano fatti: quello che oggi chiamiamo cristianesimo occidentale è nato come una catena di rotture con l’Oriente. Queste rotture furono la riforma gregoriana, seguita dalla separazione delle chiese nell’XI secolo, poi la Riforma nel XV secolo e infine il Concilio Vaticano II nel XX secolo. Questo è, sicuramente, uno schema molto approssimativo, ma penso che nel complesso sia corretto.

D: Tuttavia, si ritiene che la catena di queste rotture sia un normale processo storico perché qualsiasi fenomeno (e la Chiesa cristiana non fa eccezione) attraversa le sue fasi di sviluppo. Qual è la tragedia in questo?

R: La tragedia è nelle persone. In una situazione di eventi radicali e rivoluzionari compaiono sempre persone che iniziano a dividere la vita in “prima” e “dopo”. Vogliono iniziare a contare solo da questo nuovo punto come se tutto quello che è successo prima non avesse senso. Quando i futuri protestanti proclamarono la Riforma, non credo che sapessero che avrebbe portato alla separazione della Chiesa occidentale in due grandi campi. Non se ne sono accorti, hanno semplicemente agito. E cominciarono a dividere chi li circondava in sani – coloro che accettarono la Riforma – e malati, i seguaci del Papa.

Inoltre, la storia si ripete: lo stesso sta accadendo ora intorno al Concilio Vaticano II all’interno della Chiesa cattolica romana. Ci sono persone che non hanno accettato le sue decisioni e persone che lo considerano una sorta di punto di partenza. E tutti ragionano in questo modo. Un semplice esempio: se in una conversazione qualcuno menziona ‘concilio’ senza ulteriori dettagli, tutti automaticamente danno per scontato che si tratti del Concilio Vaticano II.

D: Qual è la tua opinione sugli umori liberali moderni tra i cattolici?

R: Sono molto contento di avere l’opportunità di rivolgermi al pubblico russo e di dire che non si dovrebbero ridurre tutti i cattolici a un livello. Tra loro ci sono quelli che vorrebbero essere più laici, più liberali. Non significa che siano criminali, è solo il loro punto di vista sulla vita. Ce ne sono altri, quelli che si dedicano completamente alla tradizione. Non li chiamerei tradizionalisti, perché la tradizione in sé non è così importante per loro. Questo non è un folklore antico che bisogna nutrire artificialmente e tenere a galla. No! La tradizione è per loro ciò che in ogni epoca ha assicurato e assicura tuttora il contatto personale vivo con Cristo, il vivere quotidiano nelle mani di Dio. Come disse Giovanni il Teologo: “Ciò che abbiamo visto e udito ve lo dichiariamo, affinché anche voi possiate essere in comunione con noi; e in verità la nostra comunione è con il Padre” se non l’avessero scritto e non l’avessero trasmesso, non ci sarebbe stato il Nuovo Testamento. Vuol dire che non ci sarebbe stato niente… 

 D: E quale dovrebbe essere, in questo caso, il nostro atteggiamento verso chi non è molto dedito alla tradizione?

R: Non dovremmo picchiarli e ovviamente non dovremmo cacciarli fuori dalla Chiesa. Ogni persona merita la misericordia cristiana. Se io, essendo ortodosso, vedessi un cattolico in una chiesa ortodossa, vorrei avvicinarmi a lui e dirgli apertamente, dolcemente e confidenzialmente: “Ascolta, fratello, ti potrebbe interessare sapere che all’inizio ci siamo tutti segnati in questo modo: da destra a sinistra. Ora tutto è cambiato. No, non ti sto chiamando a riconsiderare tutta la tua vita e correre verso la Chiesa ortodossa. Voglio solo che tu sappia da dove vengono le cose”.

Valam

 D: E perché ha scelto la Chiesa ortodossa russa?

A: Penso che il fattore chiave in tali decisioni siano le persone che ti circondano. Quando i miei conoscenti, i vescovi russi di San Pietroburgo, hanno appreso che stavo adottando l’Ortodossia, hanno detto: “Non siamo affatto sorpresi! Sei sempre stato con noi. Ma ora avremo una comunione più stretta, sacra – in un unico Calice.” Conosco da molto tempo il metropolita Hilarion, attuale capo del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca. Ci siamo incontrati per la prima volta nel 1994 quando era uno ieromonaco. Lo considero un mio buon amico e apprezzo questa amicizia.

Il gerarca Hilarion, se vuoi, è una delle persone più competenti e informate che abbia mai incontrato. In realtà è diventato per me l’unica persona a cui potevo rivolgermi con la mia richiesta, che conosceva me, le mie convinzioni e la mia situazione. E che, come ne ero certo, era pronto a rispondere. Ed è quello che è successo.  

D: In che modo ti aiuterà a raggiungere il tuo ideale di vita spirituale?

A: Tu vuoi la profezia da me, ma io non sono un profeta. Non so nello specifico cosa accadrà dopo. Vivremo semplicemente. Anche adesso ho già trovato in Russia molte cose che mi interessano.

Ad esempio, ho visitato Valaam. Sapete, in Occidente se un credente è attratto da una vita nel più assoluto isolamento monastico, in realtà non ha nessun posto dove andare.

Gli eremi come sono in Russia, non esistono in Occidente. Questa forma di vita sembra essere già obsoleta. Come monaco sono costantemente alla ricerca del massimo isolamento, persino della solitudine. A Valaam, ho sentito che era tutto lì.

D: Non c’è abbastanza solitudine nel tuo skete in Svizzera? Valaam è anche un luogo affollato, i pellegrini vi vengono regolarmente.

R: La Svizzera è un paese piccolo e densamente popolato. Lo skete è circondato da una foresta, ma in 15 minuti a piedi c’è un villaggio con circa un centinaio di persone che vivono lì. A Valaam è molto più tranquillo. Sì, certo, ci sono molte persone lì. Ma il luogo stesso, come ho sentito, è isolato dal resto del mondo. Forse è così perché è un’isola, o forse è per altri motivi non geografici.

Mi sembra che tutto questo possa dar luogo a questo desiderabile stato di clausura nel cuore di tutti coloro che vi si recano.

D: È più difficile in Europa?

A: In parole povere, possiamo dire che in Occidente non esiste del tutto. L’autentica tradizione monastica in Occidente è stata praticamente soffocata nel corso della rivoluzione borghese francese nel 1789. Sono fermamente convinto che le conseguenze di questa rivoluzione per l’Europa non furono meno pesanti delle conseguenze della rivoluzione del 1917 e dei 70 anni del potere ateo per la Russia. In Francia dopo quei sanguinosi eventi il ​​monachesimo dovette essere restaurato quasi da zero. I sacerdoti comuni, non i monaci, dovevano eseguire questo. Non c’era nessun altro. In Russia il monachesimo è sopravvissuto nonostante tutti gli shock e gli orrori. Sì, è successo a livello di individui particolari, cioè gli anziani. Ma esistevano! E hanno mantenuto la tradizione spirituale e l’autentica vita monastica. Mi sembra che in tutto ciò che riguarda la vita monastica, la Russia non doveva ricominciare da zero. Questo è il motivo per cui mi dispiace sentire i russi dire a volte “abbiamo avuto tutto distrutto, la Chiesa è stata soppressa, ecc.” Voglio sempre rispondere: “Secondo me, avete tutto, nuovi martiri e confessori, monaci anziani”. E sono tutti vicini, allunga il braccio. Solo tu devi allungarlo, prendere questa ricchezza e usarla in pratica, per così dire, nella tua vita. Ho spesso l’impressione che la maggior parte delle persone in Russia non apprezzi questo. Oppure semplicemente non capiscono che questo è prezioso. 

D: Perché, secondo te, succede così?

R: Parlando di problemi, le persone si concentrano sulle difficoltà materiali, a volte esterne, che i monasteri e la Chiesa devono affrontare oggigiorno. Sì, c’è molto da ricostruire. Ma questa è solo la parte tecnica, per così dire, solo le pareti e i tetti. Inutile dire che la gente si lamenta: tetti e muri costano, e dove si possono trovare soldi… Ma se andiamo mentalmente sopra il tetto – anche con i buchi – vedremo che le mura non sono la cosa principale, è più importante con che tipo di cuore si entra nelle mura. Il proverbio russo dice: “La chiesa non è nei tronchi ma nelle costole”. E questa è la cosa più importante, questa tradizione spirituale, che è ancora all’interno dei russi. Gli anziani monastici e i nuovi martiri hanno preservato tutto questo per noi. A volte le persone discutono: “Ma ci sono così pochi anziani ora, la maggior parte di loro è già morta. Non c’è nessuno che ci insegni.” Rispondo sempre: “Se non hai un anziano vivente a cui insegnarti, rivolgiti al defunto. Hai la sua agiografia, i suoi testi, i suoi insegnamenti. Leggili e correla con la tua vita. Non intendo dire che non ho mai incontrato persone in Russia che conoscano e apprezzino questa conoscenza. Ci sono molte, molte persone che lo fanno e la mia visita a Valaam lo ha dimostrato.

Salta in acqua

D: Cosa deve cambiare ora nella tua vita quotidiana dopo la conversione?

R: Certo, ci sono cose che non possono che cambiare. Essendo diventato un membro della Chiesa ortodossa russa ma vivendo ancora in Svizzera, mi sottometto all’arcivescovo Innokenty di Korsun. I miei rapporti con la Chiesa cattolica non possono, naturalmente, rimanere gli stessi.

D: Quale reazione ti aspetti dai tuoi figli spirituali? Devono essere tutti cattolici…

A: In primo luogo, fortunatamente ho a che fare con persone comprensive e sono sicuro che rispetteranno la mia decisione. E in secondo luogo, non ho mai tenuto segrete le mie opinioni e convinzioni. Tutti i miei figli spirituali hanno saputo che il mio ideale di cristianesimo è in Oriente. Non credo che saranno così sorpresi. Non avevo detto loro nulla in anticipo per evitare discussioni inutili. Ma non credo che accadrà nulla di straordinario. Credo che la tradizione dei discorsi spirituali per i quali venivano i miei figli rimarrà, non ho motivo per fermarla. Infine, le persone con cui comunico regolarmente condividono più o meno il mio ideale spirituale; altrimenti non sarebbero venuti.

D: E i servizi divini?

R: Certo, d’ora in poi non potrò amministrare la comunione ai cattolici. Ma anche prima lo facevo molto di rado: lo skete è lontano dal grande mondo, il territorio è tenuto chiuso, anche i servizi sono privati, la cappella è piccola – per dieci persone al massimo. Solo a Natale e Pasqua apriamo le porte a tutti coloro che vogliono unirsi a noi.

D: Se potessi e volessi dare ai contemporanei un consiglio molto breve sull’organizzazione della loro vita di preghiera, cosa diresti?

A: Se vuoi imparare a nuotare, salta in acqua. Solo così puoi imparare. Solo chi prega sentirà il senso, il gusto e la gioia della preghiera. Non puoi imparare a pregare seduto in una grande poltrona calda. Se sei pronto a inginocchiarti, a pentirti sinceramente, ad alzare gli occhi e le mani al Cielo, allora molte cose ti saranno rivelate. Naturalmente puoi leggere molti libri, ascoltare lezioni, parlare con le persone: anche questi sono importanti e aiutano a capirne di più. Ma qual è il valore di tutte queste cose se non si fanno passi concreti dopo? Se non iniziamo a pregare? Penso che tu debba capire anche questo. Ovviamente, stai ponendo questa domanda dalla posizione di uno che non crede…

D: Esattamente. La nostra rivista è per coloro che dubitano.

A: Non c’è niente di sbagliato nei dubbi, sono anche utili. Non bisogna cercarli, però. Ma se compaiono, si deve semplicemente ricordare che tutti noi abbiamo la possibilità di sentire: “Porta il tuo dito e guarda le mie mani; e stendi la tua mano e mettila nel mio fianco: e non essere incredulo, ma credente” (Giovanni 20:27).




Padre Gabriel (Bunge) “L’ortodossia è il frutto di tutta la mia vita di cristiano e di monaco”

A cura dell’arciprete Pavel Velikanov
25 gennaio 2011 – Fonte: https://www.pravmir.com/article_1220.html

Tradotto da TEANDRICO

ARBERIA ORTODOSSA: Dal sito di Padre Massimo

Un famoso teologo cattolico svizzero, lo ieromonaco Gabriel Bunge, si è convertito all’Ortodossia il 27 agosto 2010 a Mosca, alla vigilia della Dormizione della Vergine Maria. È stato il metropolita Hilarion di Volokolamsk a ricevere p . Gabriele nella Chiesa Ortodossa. Siamo lieti di offrire ai nostri lettori la traduzione di due interviste a p. Gabriele. La prima intervista “Sono arrivato alla fede grazie ai miei coetanei ” è stata condotta dall’arciprete Pavel Velikanov , caporedattore del sito di teologia scientifica “Bogoslos.ru” nel 2008. All’epoca p. Gabriel era ancora un ieromonaco cattolico. La seconda intervista “ Non si può imparare a pregare seduti su una poltrona calda  è invece del tempo in cui Fr. Gabriel si è convertito all’Ortodossia. L’intervista è stata condotta da Russian Orthodox Christian Journal for Doubting Thomases – Foma.

Una breve nota biografica

Gabriel Bunge è nato nel 1940 a Colonia. Suo padre era luterano e sua madre era cattolica. All’età di 22 anni, p. Gabriele si unì all’Ordine di San Benedetto in Francia. Nel 1972 è stato ordinato sacerdote. Per molti anni p. Gabriele si dedicò allo studio delle opere di Evagrio del Ponto. Dal 1980 vive nello Skete della Santa Croce nel cantone svizzero Ticino seguendo l’antico typicon di San Benedetto. È autore dei seguenti libri: “I vasi di terra: la pratica della preghiera personale secondo la tradizione patristica”, “La Trinità di Rublev: l’icona della Trinità del monaco-pittore Andrei Rublev”, “Il vino del drago e il pane dell’angelo ”, “Paternità spirituale”, ecc.

Estratto dall’articolo “Ritorno all’Unità” dello ieromonaco Gabriel Bunge

La mia scoperta dell’Ortodossia non è stata il risultato di un qualche tipo di studio scientifico, ma il frutto di tutta la mia vita di cristiano e di monaco. Questa scoperta dell’Ortodossia, iniziata 40 anni fa ed è in corso fino ad oggi, ha assunto un significato specifico.  Mi ha permesso di entrare e penetrare in quello che possiamo chiamare “un mistero della Chiesa”.

Ricordo come sono arrivato a questa scoperta. Molto prima dell’università, quando ero molto giovane e studiavo nella scuola, ho iniziato a leggere i Santi Padri, per lo più monaci. Ho iniziato con gli Apophthegmata (detti dei Padri del deserto), San Giovanni Crisostomo e San Giovanni Cassiano che era una specie di ponte tra Oriente e Occidente nel IV- V secolo. In seguito ho cominciato a leggere “La Filocalia” in una breve edizione in tedesco.

Più tardi ho letto “Il cammino di un pellegrino”, che è stato tradotto in tedesco negli anni ’20. È stata davvero un’esperienza da togliere il fiato. Come è noto, questo libro è composto da più parti, ma io sono partito dalle tre storie e non sono arrivato alla parte teorica. E poi senza una guida spirituale e nemmeno una corda di preghiera, ho iniziato a praticare la preghiera di Gesù. Avevo 20 anni. Come un “pellegrino” russo, ho iniziato a imparare questa preghiera “di corsa”: mentre andavo all’università attraverso un parco la ripetevo costantemente nella mia mente. Ed è rimasta con me per tutta la vita, da allora non ho mai smesso di dire questa preghiera. È entrato nel ritmo della mia esistenza e del mio respiro. Non sapevo nulla dell’Ortodossia in quel momento.

All’epoca in cui studiavo a Colonia c’erano degli ortodossi ma non li ho mai incontrati. Poi, spontaneamente, ho ritrovato le origini della vita spirituale cristiana e monastica. Questa scoperta è diventata molto importante per me quando in seguito ho ripensato a tutta la mia esperienza e a tutta la mia vita. Così, per grazia di Dio, ho ricevuto la cosa più importante.

“Sono giunto alla fede grazie ai miei coetanei”

Fr. Pavel: Padre Gabriel, per favore ci dici come sei arrivato alla fede?

Fr. G.: Sono arrivato alla fede grazie ai miei coetanei, all’età di 17-18 anni. Il fatto è che la mia famiglia era un po’ strana, mista: mia madre era cattolica e mio padre protestante. Di norma, ne consegue che diventi, come si suol dire, “né pesce né uccello”. Ben presto ho scoperto di persona le opere e le vite dei Santi Padri, la vita di sant’Antonio Magno, i detti dei Padri del deserto, la Storia lausiaca, la breve Filocalia (non c’erano che brevi stralci di lingue straniere). Ma basta una piccola scintilla per appiccare un grande fuoco: avvicinatela e il fuoco si accenderà.   A me è successa una cosa simile. Volevo seguire quelli che avevo incontrato nei libri. Alla ricerca di ciò che era più genuino nella nostra Chiesa cattolica, sono entrato nell’Ordine di San Benedetto.

L’arciprete Pavel Velikanov e lo ieromonaco Gabriel (Bunge)

Ma prima ho fatto un piccolo viaggio in Grecia. È successo nel 1961, quando ancora studiavo a Bonn. Un giorno, per caso, sono entrato in contatto molto stretto con la Chiesa ortodossa. Sulla barca ho incontrato uno dei metropoliti greci che tornava dalla Palestina insieme a sacerdoti. Era come uno dei padri di cui ho letto, molto onorevole e con una lunga barba. Mi ha visto, un giovane, e mi ha chiesto di venire a sedermi con lui e mi mostrò i suoi libri.

Ho soggiornato due mesi in Grecia a Lesbo. Non c’erano molti turisti allora e, quindi, eravamo alloggiati tra famiglie locali. Vivevo in una famiglia di un prete. E naturalmente andavo in chiesa ogni domenica. La famiglia sapeva che ero cattolico, ma poiché non c’era nessuna chiesa cattolica in giro, stavo andando in una ortodossa. Tutti in famiglia erano gentili con me e mi trattavano con molto amore. Sul piccolo ingresso mi hanno persino portato il Vangelo da baciare come se fossi un ospite d’onore.

Inoltre devo dire che prima di quel viaggio ero molto prevenuto nei confronti della Chiesa ortodossa; ero negativamente incline all’Ortodossia.

Fr. P.: Qual era stato il motivo di un atteggiamento così negativo?

Fr.G.: Gli insegnanti mi hanno detto di stare attento con questa Ortodossia. Dissero che gli ortodossi sono scismatici. Quindi durante il mio viaggio era come se indossassi un paio di guanti per non macchiare la mia purezza romana dal contatto con gli ortodossi.

E ovviamente non ho avuto problemi. I greci erano molto amichevoli e gentili. Mi è stato anche permesso di entrare nell’altare anche se non era giusto secondo i canoni. In una parola, i miei pregiudizi diminuivano ogni giorno.

Alla fine sono andato ad Atene per una settimana e lì ho vissuto nel seminario teologico insieme ad altri seminaristi. Durante una conversazione con loro ho avuto un’esperienza che ha cambiato la scala. Ho detto loro: “Bene, nella vostra Chiesa va tutto bene, ma mi dispiace che vi siete staccati da noi”. E loro hanno risposto: “No, ti sbagli. Sei stato tu a staccarti da noi”. Sono rimasto sbalordito. In Germania incontriamo solo protestanti e sappiamo tutti che sono scismatici, il che significa che sono stati loro a staccarsi una volta dalla Chiesa cattolica. Ma qui questo schema non ha funzionato perché la domanda riguardava la Chiesa che ha origine dagli Apostoli. L’apostolo Paolo aveva camminato su queste terre prima di venire a Roma.

Avevo 21 anni in quel momento. Ho iniziato a pensare a tutto, e anche adesso non ho smesso di farlo. Dovevo rendermi conto che avevano ragione su molte questioni anche dal punto di vista scientifico. Non c’è nemmeno niente da discutere perché è inutile difendere qualcosa che non può essere difeso in linea di principio. I risultati delle mie riflessioni si possono trovare nel mio libro “Earthen Vessels” che è stato tradotto in russo. Questo libro tratta della pratica della Preghiera di Gesù secondo gli insegnamenti dei Santi Padri. Ed è abbastanza chiaro che la pratica della Preghiera di Gesù era la stessa sia in Oriente che in Occidente.

Fr. P.: Sarebbe interessante scoprire qual è la preghiera di Gesù nella tradizione occidentale? Molto spesso possiamo sentire che il carattere specifico del cristianesimo orientale è nell’opera interiore che è assente in Occidente. Quanto è veritiero questo punto di vista?

Fr. G.: All’inizio, direi, che la Chiesa cattolica è una grande organizzazione composta da miliardi di cattolici. Il cattolicesimo ha diversi movimenti interni che possono entrare in conflitto tra loro, anche escludersi a vicenda. Molti notano che, grazie alla scoperta dell’Ortodossia in Occidente, le persone stanno cominciando a trovare un rinnovato interesse per le proprie origini spirituali. Spesso questo tipo di scoperta avviene con l’aiuto di icone, canzoni e libri. Ci sono molti santi russi che sono venerati nel mondo cattolico: San Silvano l’Athonita, San Serafino di Sarov… Qui tonsuriamo molti monaci con il nome di Serafino. Serafino di Sarov è persino incluso nelle litanie per la commemorazione.

Ma ci sono anche cose molto strane. E qui parlo prima di tutto da monaco.

L’origine del monachesimo occidentale è dall’Oriente. Giunse in Occidente abbastanza presto: la vita di sant’Antonio fu scritta da sant’Atanasio su richiesta dei monaci latini. Se non l’avessero chiesto, la sua vita non sarebbe stata scritta. L’originale è in greco, ma i manoscritti più antichi sono in latino.

Quindi, l’Oriente è stato la linea guida per il monachesimo per molti secoli. Ma devi sempre riscoprire questa linea guida per te stesso… Una volta che la perdi, devi concentrarti di nuovo su di essa. Abbiamo potuto vedere nei secoli come l’Occidente riscopra periodicamente l’Oriente. Ad esempio, ci sono trattati in Francia che potrebbero trovare il loro posto in “La Filocalia”. C’è un articolo interessante a riguardo scritto da uno storico ortodosso Jean-Paul Bess intitolato “Le impronte dell’esicasmo in Occidente”. Un personaggio interessante che ho scoperto di persona è l’abate de Rancé (1626-1700), fondatore del monastero di La Trappe. Era un contemporaneo di San Paisius Velichkovsky, ma la sua scuola, i Trappisti, non esiste più nella forma originale rispetto a San Paisius Velichkovsky.

Le vite di molti monaci, ad esempio, dell’anziano Giuseppe l’Esicasta sono molto popolari in Occidente e sono tradotte in molte lingue. Il libro “Il Cammino del Pellegrino” è stato tradotto nel XX secolo. Questo libro mi ha ispirato. Ero uno studente a quel tempo e non avevo mai visto una corda di preghiera. Ho letto che puoi anche pregare la preghiera di Gesù mentre cammini. E ho iniziato a pregare mentre camminavo. Sulla strada per l’università e ritorno, ho sempre detto la preghiera di Gesù e mi è entrata nel cuore.

Ora la preghiera di Gesù è molto popolare in Occidente. A proposito (“sorridendo”), se vuoi farmi piacere, dammi in regalo delle corde di preghiera, corte o lunghe, poco importa. I fedeli che mi visitano e vengono a confessarsi spesso le chiedono.  

Prego Dio che non dimentichiamo più, e passano altri cento anni, e dobbiamo riscoprire la spiritualità orientale. Oggi dobbiamo andare al nocciolo delle cose: le Chiese d’Oriente e d’Occidente devono unirsi. Ne parlo liberamente. Non bruciano più le persone sul rogo. Non stiamo parlando di ecumenismo. Quella parola è già diventata ambigua. Pensiamo subito al Dalai Lama, ecc. Non parlo nemmeno dell’unità della Chiesa, perché “unità” è intesa da ciascuno a modo suo. Quella stessa parola può significare molte cose. I cattolici contemporanei possono considerare “l’unità” in una sola forma, quella con cui sono cresciuti nella Chiesa cattolica. I cristiani ortodossi non conoscono quel tipo di unità istituzionale. Dentro una chiesa locale? Sì. Ma non tra chiese locali. Ed è per questo, purtroppo, che non esiste un meccanismo per la composizione delle controversie interne. C’è sobornost , ovviamente, ma questa è un’altra domanda.

Tornando all’argomento, devo dire che bisogna sempre tornare ai Padri. L’antica liturgia “ambrosiana” contiene una litania che durò fino al Concilio Vaticano II ma poi andò perduta. Conteneva la seguente petizione: “Preghiamo per la pace tra le Chiese, per la conversione degli infedeli e per la pace tra i barbari”.

Che cos’è questa pace tra le Chiese? Le “Chiese” sono qui al plurale, sebbene il Credo menzioni una sola Chiesa. Ma una Chiesa esiste solo in un gran numero di chiese. Questa litania è il programma che deve essere eseguito. Dobbiamo lavorare per mantenere in pace le nostre chiese.

Oggi possiamo vedere i segni che dimostrano che è possibile. In Occidente, la Chiesa ortodossa è una minoranza. Non è grande; molto spesso una congregazione non è nemmeno in grado di costruire una propria chiesa. Tuttavia, non ci sono problemi quando la Chiesa cattolica cede le sue chiese alle parrocchie ortodosse. Ad esempio, il cardinale di Milano consegnò tre grandi chiese antiche. I nostri credenti sono molto felici quando questo accade. Le persone sono amichevoli con i fedeli ortodossi nelle vicinanze. Penso che mai prima d’ora gli occidentali abbiano provato così tanta simpatia per i cristiani orientali come adesso. L’Occidente ci guadagna solo da questo.

So che questo non sarebbe possibile in Russia. E ci sono alcune ragioni storiche che potrebbero spiegarlo. Certo, c’è stata una certa evoluzione in merito a questo tema, ma i vostri problemi non sono opera mia… Per me personalmente l’ideale sarebbe la pace tra le Chiese, l’attenuazione dei pregiudizi esistenti al minimo delle questioni più importanti in modo che con rispetto reciproco si può decidere su queste questioni in futuro.

Fr. P.: La prossima domanda riguarderebbe quegli esempi che spesso vengono presi dagli ortodossi come indicatori di un falso orientamento del misticismo cattolico. Se per l’Oriente la purezza cristallina dell’anima è la condizione principale per il lavoro interiore affinché la Luce Divina agisca in essa, allora gli esempi di asceti come Teresa d’Ávila mostrano qualcosa di completamente opposto: lo scopo di podvig è raggiungere all’estasi in cui una persona sperimenta Dio. Potresti per favore commentare questo?  

Fr. G.: Ci sono due tipi di misticismo nella Chiesa cattolica: trattenuto (lavoro interiore) ed estatico. Entrambe le scuole sono radicate nella tradizione monastica. La prima scuola che ebbe origine nei SS. Macario, Antonio ed Evagrio è il misticismo interiore, il “lavoro interiore”. Ma le Omelie di San Macario contengono anche l’altra scuola, il misticismo più affettivo. Perciò è tradizionalmente considerato appartenente al monachesimo addolcito o semimessalianesimo, cioè una specie di monachesimo estatico. Penso che qui potremmo vedere solo due diversi temperamenti spirituali che si confrontano. Ecco perché è difficile trovare un linguaggio comune. Il seguace del lavoro interiore potrebbe dire al suo avversario: “Sei troppo sensuale”, e quest’ultimo potrebbe rispondere: “Sei troppo ragionevole. Non hai alcuna esperienza interiore”. Ed entrambe queste opinioni sarebbero sbagliate.

Tuttavia, devo ammettere che nel Medioevo c’erano movimenti mistici puramente femminili in Occidente che mi sembrano strani e sono al di là della mia comprensione. Appartengo a un’altra scuola. Non ho niente che possa aiutarmi a capire o a sentire profondamente quel misticismo affettivo ed estatico. La regola principale di qualsiasi vita spirituale per me è la restrizione e la mancanza di esaltazione perché l’esaltazione stessa è un terreno per il prelest demoniaco. Questa esperienza la troviamo oggi nei carismatici. Per evitare errori che Evagrio chiama imitazione di stati spirituali e mistici, dobbiamo essere molto attenti, saggi e possedere semplicità e purezza. Oggi è chiamata una condizione auto-suggerita, cioè una condizione immaginativa mistica (spirituale). 

S. Teofano il Recluso, che è molto popolare in Occidente, tra l’altro, comprese molto sottilmente la questione dei mistici occidentali. Una volta esclamò: “Oh, questi occidentali, non sanno distinguere tra psichico e spirituale!” E davvero, quando parlo con le persone che vengono a confessarsi, vedo quanto spesso mescolano queste cose. Bisogna insegnare e aiutare le persone a vedere la differenza tra i loro sentimenti e la vera spiritualità di Dio. Le persone spesso sentono qualcosa nel profondo e pensano “Eccola, ecco quella vera spiritualità”.

Fr. P. Hai appena toccato una questione molto importante. Sia Ignazio di Loyola nel suo libro “Gli Esercizi Spirituali” che Thomas à Kempis nel suo libro “L’imitazione di Cristo” sottolineano come più importante lo sviluppo dell’immaginazione. Si può dire che, anche se è solo una delle tante scuole della Chiesa cattolica, è comunque abbastanza importante e ufficialmente riconosciuta dalla Chiesa cattolica?

Fr. G. No, non è dominante, ma è ancora molto diffusa tra i gesuiti. Praticano questi metodi di imitazione di Cristo anche oggi.

A proposito, il libro “L’imitazione di Cristo” era molto popolare in Russia in un certo periodo. Ora il lavoro sull’influenza di questo libro sulla Russia e la sua storia è in preparazione per la pubblicazione. Ho chiesto all’autore di questo libro se c’è un impatto sulla popolarità di questo libro sull’immagine di Cristo sull’iconografia. Ho posto questa domanda perché sembrava che in un certo momento Cristo sulle icone russe avesse un aspetto molto umano che non puoi trovare nelle icone bizantine, una sorta di senso morbido e tenero. Da che momento è successo?   Questa sarebbe una domanda per gli storici dell’arte.

Fr. P:. Quali opere di San Teofane il Recluso sono più popolari in Occidente?

Fr. G. Ci sono alcuni opuscoli ed estratti delle sue opereL’igumeno Chariton di Valaam ha scritto un libro tra due guerre mondiali intitolato “L’arte della preghiera”. È un’antologia sulla preghiera basata sulla sua conoscenza ed esperienza. Parte di questo libro che contiene estratti dagli insegnamenti di San Teofane il Recluso è molto popolare.

Fr. P.: Non crede che lo scopo principale del clero e del monachesimo moderno sia quello di adattare la tradizione dei Santi Padri alle persone contemporanee? Questo era lo stesso scopo di San Teofane il Recluso

Fr. G. Ebbene, credo che gli ultimi insegnamenti dei Santi Padri debbano essere appresi insieme agli insegnamenti dei primi Padri. Ogni Padre successivo deve essere verificato con testi precedenti. Questo è il mio metodo.

Quando un principiante viene da me, riceve da me dei testi di base, che sono i detti dei Padri del deserto, La Filocalia ecc. Dopo aver letto quei testi può leggere tutto ciò che vuole. Per prima cosa bisogna coltivare il gusto. Quando il gusto è raffinato, si può dire se l’opera è vera oppure no.

Se inizi la tua lettura con gli insegnamenti del misticismo femminile del 13° secolo, rovinerai per sempre il tuo gusto spirituale. Ma se hai un gusto sano, puoi anche leggerlo e riuscire a trovare qualcosa di utile per te stesso.

Fr. P.:   Ho un’altra domanda sull’ascesi. Si può dire che il monachesimo è l’élite, l’avanguardia della Chiesa, anche se la maggior parte dei fedeli è laica. Ovviamente, l’etica cristiana è impensabile senza l’ascesi. Quale potrebbe essere, allora, il sostegno per i cristiani nel mondo? Quando la vita monastica si imprime nella vita familiare, quest’ultima viene rovinata insieme al cristianesimo. Ecco perché il cristianesimo è oggi accusato di “antiumanità”. Tutti dovrebbero diventare monaci; la vita nel mondo è accettata ma non accolta. Un simile approccio diventa una barriera per coloro che aspirano al cristianesimo: vogliono godersi la vita, che non significa peccare ma vivere pienamente. Potrebbero essere nella Chiesa, ma purtroppo spesso la evitano.

Fr. G. In primo luogo, non esiste una spiritualità separata per monaci, laici e sacerdoti. La spiritualità cristiana è una per tutti. Se guardi dall’esterno al cristianesimo, potresti davvero dire che il monachesimo è l’élite della Chiesa. Ma ogni singolo monaco non dovrebbe pensare in questo modo, non dovrebbe considerarsi nell’élite. C’è un noto detto di un Padre del deserto che ha affermato che vive nel deserto perché non è abbastanza buono per vivere nel mondo. La migliore virtù sia per un monaco che per un laico è l’umiltà.

Penso che l’amore profondo e la compassione per tutti siano le caratteristiche distintive degli anziani ortodossi. Ne hai molti in Russia e ne ho conosciuto uno dalla Romania personalmente.

Un giorno stavo viaggiando verso l’Athos in barca insieme a molte persone diverse: uomini d’affari, banchieri, ecc. Stavano andando dai loro padri spirituali. Dissero: “I nostri padri spirituali sull’Athos sono molto severi. Ma ci conoscono molto bene e sanno di quale trattamento abbiamo bisogno per le nostre malattie”. C’erano molti giovani tra loro, molti padri di famiglia. Potevano visitare qualsiasi altro padre spirituale nel mondo che potesse dire: “Tutto questo non ha molta importanza”. Ma queste persone stavano andando da un asceta severo, che avrebbe pianto con loro per i loro peccati e avrebbe dato loro un trattamento che avrebbero potuto sopportare e che li avrebbe guariti. Avrebbe detto una cosa a una persona, a un’altra persona qualcos’altro.

Tornando alla tua domanda, devo dire che mi imbatto in questo problema quasi ogni giorno. Ho lasciato il mondo 28 anni fa per diventare un eremita. Mi dispiace ma parlerò un po’ di me. Non avevo intenzione di fare lavoro scientifico o pastorale. Ho tradotto le opere che mi sembrano importanti. Volevo renderle accessibili agli altri. Ma come può l’uomo contemporaneo del 20° secolo intendere un testo del 4° secolo? Ho dovuto aggiungere un po’ d’acqua a questo “buon vino” per renderlo comprensibile alle persone. E, ultimamente, le persone hanno iniziato a chiedere il mio consiglio. A poco a poco sono diventato un padre spirituale per molti di loro. La maggior parte di loro, circa il 90%, sono uomini di famiglia. Non ci sono molte donne perché il monastero è chiuso per loro e non molti sacerdoti.

Cosa posso fare per aiutare i miei fratelli che sono uomini d’affari, professionisti nel mondo? Come posso aiutarli a vivere una vera vita cristiana mentre tutto intorno vi si oppone?

Prima di tutto do loro una regola di preghiera adattata alla loro vita personale, a seconda di quanti anni hanno e quanti figli hanno. Penso che ci sia un solo modo di pregare. Non esiste una cosa come una speciale preghiera monastica. I monaci hanno solo più tempo per farlo. C’è la preghiera di Gesù e anche le altre preghiere. E ogni mattina, ogni sera queste persone stanno in piedi davanti alle icone e pregano. Nella loro vita “normale” cercano lo stesso che facciamo noi monaci. Sono stupito di come questa “disciplina monastica” cambi la vita delle persone. Non sto cercando di imporre loro la vera disciplina monastica. Alcune scuole carismatiche cercano di farlo, ma tali tentativi finiscono sempre con un fallimento.

Fr. P.: Abbiamo diverse domande non molto profonde ma molto importanti. Quali sono, secondo lei, le scoperte più importanti della teologia occidentale avvenute di recente?

Fr. G. Non le seguo più; Non sono nemmeno in grado di farlo perché non sono abbonato a riviste. A volte leggo solo alcune opere interessanti. Quanto alla scienza della Chiesa, non lo so. 

Fr. P:. Qual è stata per te personalmente la scoperta più importante negli insegnamenti dei Santi Padri?

Fr. G.: Leggendo Isacco di Ninive (di Siria), ho capito che i Padri si ispiravano alle opere di Evagrio del Ponto. Ho deciso di saperne di più su di lui, ho imparato la lingua siriana e ho scoperto che ci sono molti pregiudizi su di lui. Il fatto è che nel V Concilio Ecumenico non fu condannato personalmente, ma solo in connessione con gli Origenisti. Dal momento che fu deciso che fosse un Origenista, gli furono imputate cose impossibili.

Quando tocco questo argomento con qualcuno, dico: “Evagrio è accusato di essere in disaccordo con quasi ogni affermazione della cristologia ortodossa. Bene, ma non ti sembra strano che San Basilio Magno non abbia notato in lui niente di simile? E neanche Gregorio il Teologo se n’era accorto. Inoltre, Teofilo d’Alessandria volle farlo vescovo (si sottrasse). Anche gli antiorigenisti (Epifanio di Cipro, Geronimo) non accusarono mai Evagrio di nulla, sebbene lo conoscessero personalmente. Stiamo sbagliando da qualche parte?”

Così ho iniziato a studiare seriamente Evagrio. L’ottava lettera di San Basilio Magno, tradizionalmente attribuita a San Basilio, fu senza dubbio scritta da Evagrio. Questa lettera contiene tutto l’insegnamento di Evagrio. Significa che Evagrio può essere letto sempre in modo ortodosso. Ma può anche essere letto in modo non ortodosso. Il problema è nel metodo. Potrei anche citare “Sulla Preghiera”, noto come opera di Nilo di Ancyra. I nomi dei santi padri ortodossi sono stati apposti sulle opere di Evagrio per salvarli e per leggerli in modo ortodosso. È davvero possibile leggere le sue opere dal punto di vista ortodosso. Lo valuto da questo punto di vista.

Fr. P. Utilizzi Internet?

Fr. G. No. C’è una foresta tutt’intorno…

Fr. P. Significa che ti sei tenuto completamente alla larga dal mondo.

Fr. G. Ho solo un telefono. E c’è una macchina da scrivere come computer.

Fr. P. Purtroppo oggi esistono molti miti e leggende sul misticismo occidentale. È molto desiderabile ottenere una certa accuratezza scientifica in questa domanda. La tua attività di scienziato, monaco, teologo è per noi molto interessante. Pertanto, vorremmo rimanere in contatto con te, anche per iscritto. Ti sei isolato dal mondo, ma non ti lasceremo solo! 

Fr. G.: Come posso rifiutarmi di rimanere in contatto con te? Ho dedicato uno dei miei migliori libri alla Confraternita di Lavra.

Traduzione in italiano dall’inglese di un originale russo.




BIOGRAFIA: San Giovanni Climaco

BREVE VITA DEL BEATO GIOVANNI, IGUMENO DEL SANTO MONTE SINAI, DETTO SCOLASTICO E AUTORE DELLE “TAVOLE SPIRITUALI”, OVVERO DELLA “SCALA SANTA”

Scritta dal monaco Daniele di Raito,
uomo venerabile e virtuoso

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1. Non sono in grado di dire con precisione ed esattezza quale città abbia dato alla luce e allevato quest’uomo divino prima che egli intraprendesse la lotta della vita ascetica; ma quale città lo ospiti e lo nutra ora con delizie di ambrosia, il grande apostolo Paolo lo aveva già scoperto prima di noi: certamente infatti anch’egli appartiene a quella Gerusalemme celeste, dove si trova l’assemblea dei primogeniti (cf. Eb 12,23) la cui patria è nei cieli (Fil 3,20), come sta scritto. Là, saziandosi con il senso spirituale dei beni di cui non si può mai essere sazi e contemplando le bellezze invisibili, riceve ora adeguate ricompense dei propri sudori; e avendo ottenuto come dolce premio delle proprie fatiche l’eredità celeste, si unisce oramai per l’eternità al coro di quelli il cui piede è rimasto sulla via retta (Sal 25,12). Ma ora voglio raccontare in che modo quest’uomo glorioso sia riuscito a ottenere una tale beatitudine.

2. Costui, all’età di sedici anni, si offrì a Cristo come sacrificio accetto e a lui gradito (cf. Fil 4,18), sottoponendosi al giogo della vita monastica sul monte Sinai, e lo stesso luogo visibile in cui dimorava contribuiva – credo – a guidarlo e condurlo verso il Dio invisibile. Abbracciò così l’estraneità, che è la custode di tutte le fanciulle spirituali, e respinta, grazie a essa, ogni forma di eccessiva e sconveniente familiarità, e acquistata l’onesta umiltà, scacciò una volta per tutte lontano da sé, fin dalla sua entrata nella vita monastica, il demone dell’autocompiacimento e della fiducia in se stesso. Avendo piegato il collo ed essendosi affidato, nel Signore, al padre che l’aveva accolto, come a un ottimo pilota, attraversava senza pericolo questa aspra e violenta tempesta della vita: era talmente morto al mondo e alle proprie volontà, che la sua anima era veramente come priva di ragione e di volontà, e totalmente spogliata delle proprie facoltà naturali; e ciò, nonostante egli avesse ricevuto un’istruzione completa nella scienza mondana prima di giungere a questa celeste ignoranza: cosa sorprendente, perché l’arroganza della filosofia è per lo più estranea all’umiltà di Cristo!

3. Dopo aver vissuto così per diciannove anni sostenendo le lotte della beata sottomissione, allorché il santo anziano che lo aveva formato lasciò questa vita, anch’egli uscì nello stadio dell’esichia tenendo in mano le divine preghiere del suo anziano come armi capaci di distruggere le fortezze di Satana (cf. 2Cor 10,3-4). Come palestra della sua lotta scelse un luogo solitario chiamato Tola, distante cinque miglia dalla chiesa del monastero, e là trascorse con fervore quarant’anni, sempre infiammato da un amore ardente e dal fuoco della divina carità. Ma chi è in grado di descrivere e celebrare a parole le fatiche ascetiche che egli sostenne in quel luogo? E come è possibile parlarne apertamente, dal momento che ogni sua fatica fu seminata nel segreto e senza testimoni? Tuttavia, partendo da alcuni fatti noti e servendocene come di piccoli indizi, possiamo intuire quale fu la santa condotta di quest’uomo tre volte beato.

4. Mangiava di tutto ciò che gli era consentito dal proprio stato di vita, ma molto poco; e così, con molta sapienza, riusciva a vincere l’orgoglio e ad abbassare le corna della presunzione. Mangiando poco, infatti, schiacciava quanto più possibile il suo folle e insaziabile tiranno gridandogli nella sua fame: Taci, calmati! (Mc 4,39); e mangiando un po’ di tutto riusciva ad abbattere la tirannia della vanagloria. Oltre a ciò, con la solitudine e la mancanza di qualsiasi rapporto umano, spense le fiamme di questa fornace, riuscendo a ridurla in cenere e a calmarla completamente. All’idolatria, poi, quell’uomo valoroso sfuggì valorosamente, grazie alla misericordia di Dio e alla mancanza di ogni mezzo necessario. Fece risorgere l’anima da quella morte e da quella paralisi in cui essa rischia di cadere in ogni momento stimolandola con il pungolo del ricordo della morte. Spezzò la catena della tristezza liberandosi da ogni attaccamento passionale, o forse anche gustando i beni invisibili. Se la tirannia dell’ira l’aveva uccisa già prima con la spada dell’obbedienza, impedendo al proprio corpo di uscire fuori dalla cella, e ancora più alla propria parola di uscire dalle labbra, poi mise a morte anche quella sanguisuga, simile a un ragno, che è la vanagloria. Cosa rimane ancora? La vittoria sull’ottava passione, cioè la perfetta purificazione dall’empia superbia. Questo novello Beseleèl iniziò quest’impresa attraverso l’obbedienza, ma fu il Signore della Gerusalemme celeste a portarla a termine visitandolo con la propria presenza, ed esaltando contro la superbia la sua umiltà, virtù senza la quale è impossibile vincere il diavolo e tutta la sua compagnia.

5. Ma dove posso collocare, nella corona che sto intrecciando, la fontana delle sue lacrime, che è un dono concesso a pochissimi? L’officina segreta di queste lacrime esiste ancora oggi: una strettissima spelonca situata in un luogo sperduto ai piedi della montagna, che distava dalla sua cella e da tutte le altre quel tanto da consentirgli di sfuggire alle orecchie che avrebbero suscitato in lui la vanagloria, ma che arrivava quasi a toccare il cielo con i gemiti e le grida che egli vi emetteva, simili a quelli di persone trafitte da spade o bruciate da ferri incandescenti, o a cui vengano cavati gli occhi.

Dormiva il minimo indispensabile per non danneggiare le proprie facoltà mentali con le veglie, e prima di addormentarsi pregava a lungo e scriveva sopra delle tavolette: questo infatti era l’unico mezzo che aveva per vincere l’acedia. Del resto l’intero corso della sua vita fu una preghiera incessante e un amore appassionato e indescrivibile per Dio: di notte e di giorno lo contemplava nel limpido specchio della propria purezza, e non voleva mai saziarsene, o piuttosto – per essere più corretti – non poteva.

6. Stimolato dallo zelo del nostro padre teoforo, un tale di nome Mosè, che già aveva abbracciato la vita monastica, lo supplicò con insistenza, attraverso le intercessioni di molti padri, di farlo diventare suo discepolo e di istruirlo nei primi rudimenti della vera filosofia, e perciò il beato, costretto da tali preghiere, lo prese con sé.

Un giorno il santo padre ordinò a questo Mosè di trasportare da un luogo a un altro una certa quantità di terra fertile per la coltivazione degli ortaggi, ed egli, raggiunto il luogo indicato, cominciò a eseguire con impegno quanto gli era stato ordinato; ma quando arrivò l’ora del mezzogiorno e la calura rovente cominciò a bruciare quel luogo come una fornace – infatti era già l’ultimo mese dell’anno – Mosè, poiché gli venivano meno le forze, stanco com’era per il trasporto della terra, pensò di doversi riposare un po’, e così, sdraiatosi all’ombra di un’enorme macigno, si addormentò, com’era normale. Ma il Dio amico degli uomini, che non vuole contristare in nulla i suoi servi più fedeli, prevenne – come è sua abitudine fare – il pericolo che Mosè stava per correre, e dirò subito in che modo.

Il nostro padre Giovanni, quel grand’uomo, mentre stava nella sua cella raccolto in se stesso e in Dio, come soleva fare, cadde in un leggerissimo sonno e vide una persona dall’aspetto venerabile che lo svegliava e, come rimproverandolo di essersi addormentato, gli diceva: “Giovanni, come puoi dormire così spensieratamente, mentre Mosè si trova in pericolo?”. Ritornato in se stesso all’istante, imbracciò subito le armi della preghiera a difesa del discepolo, e quando costui a sera fu di ritorno gli chiese: “Ti è forse successo qualche spiacevole imprevisto?”. Ed egli rispose: “Un enorme macigno mi avrebbe schiacciato e fracassato completamente, mentre dormivo profondamente alla sua ombra, se io, credendo di udire la tua voce, non mi fossi alzato di soprassalto da quel luogo, tutto confuso; e così vidi subito il macigno staccarsi e cadere a terra”. E quell’uomo veramente umile, senza dir nulla al discepolo della visione che aveva avuto, rese grazie a Dio lodandolo dentro di sé con segrete grida e forti slanci d’amore.

7. Quest’uomo di Dio era capace di guarire anche le ferite invisibili. Una volta, infatti, un monaco di nome Isacco, che era gravemente afflitto dal demonio della fornicazione, preso dallo sconforto, non sapendo più cosa fare, corse da quest’uomo meraviglioso e con gemiti e lacrime gli manifestò la guerra che era dentro di lui; e il divino padre, ammirando la sua fede e la sua umiltà, disse: “Mettiamoci tutti e due in preghiera, fratello, e certamente Dio, che è pieno di misericordia, non disprezzerà la nostra supplica!”. Si misero dunque a pregare, e non avevano ancora terminato la preghiera e il poveretto era ancora prostrato con la faccia a terra, che Dio fece la volontà del suo servo, per dimostrare ancora una volta la verità delle parole del profeta David. Il serpente della fornicazione, vinto dalle frustate di quell’intensa preghiera, fuggì via, e il malato, vedendosi ormai guarito e liberato da ogni turbamento, fu preso da grande stupore e rese grazie a Dio che aveva glorificato il suo servo, e al suo servo che da lui era stato glorificato.

8. Questo padre venerabile elargiva con abbondanza le sue parole di grazia a tutti coloro che venivano a visitarlo e versava loro con grande generosità e larghezza le acque del suo insegnamento: perciò alcuni uomini maligni, rosi dall’invidia, cercando di por fine a tutto il bene che faceva, lo accusarono di essere un chiacchierone e un ciarlatano. Ma egli, sapendo di poter tutto nel Cristo che gli dava la forza (cf. Fil 4,13) e volendo istruire chi gli si avvicinava per la propria edificazione, non soltanto con le proprie parole ma ancor più con il proprio silenzio e con la sapienza delle proprie opere – per troncare così ogni pretesto a quelli che cercavano un pretesto (cf. 2Cor 11,12), come sta scritto -, rimase in silenzio per un certo tempo e interruppe il flusso del suo insegnamento dolce come il miele. Riteneva preferibile infatti recare un leggero danno agli amanti del bene – che forse avrebbe comunque potuto aiutare con il proprio silenzio – piuttosto che irritare ancor di più quei giudici maldisposti, esasperando la loro cattiveria. Questi ultimi perciò, rimasti ammirati del suo comportamento umile e modesto e avendo compreso quale grande sorgente di salvezza avevano chiuso e quale grande danno avevano arrecato a tutti, cominciarono a supplicarlo e a implorare insieme agli altri i suoi insegnamenti, pregandolo di non rovinare con il proprio silenzio quanti cercavano la salvezza attraverso le sue parole. Ed egli, che era incapace di contraddire, cedette immediatamente e riprese a comportarsi come prima.

9. Poiché dunque era superiore a tutti in ogni virtù e tutti lo ammiravano, di comune accordo, ma contro la sua volontà, lo posero alla guida dei fratelli come nuovo Mosè, innalzandolo come una lucerna sul lucerniere (cf. Mt 5,15 par.), loro che in tali cose erano giudici eccellenti. E non rimasero delusi nelle loro speranze, perché anch’egli [come Mosè] salì sul monte e, entrato nella nube oscura e impenetrabile (cf. Es 24,18), ricevette la legge scritta da Dio, elevandosi alla contemplazione attraverso dei gradini spirituali. Aprì la bocca alla parola di Dio e, attirato lo Spirito (cf. Sal 118,131), riversò la parola buona dal buon tesoro del proprio cuore (cf. Mt 12,35 par.).

Così giunse al termine di questa vita visibile guidando gli israeliti, cioè i monaci; e l’unica differenza tra lui e Mosè fu che, mentre egli ascese alla Gerusalemme celeste senza alcuna difficoltà, quello – non so come mai – non riuscì a raggiungere quella terrena (cf. Dt 34,4).

Possono testimoniare la verità di quanto abbiamo raccontato tutti coloro che, grazie a quest’uomo, hanno ricevuto le parole dello Spirito, e i molti che sono stati salvati e continuano a esserlo. Testimone d’eccezione della salvezza ottenuta grazie a questo sapiente, e insieme della sua sapienza, è quel novello David; ma ne è testimone anche il nostro buon pastore Giovanni, grazie alle cui preghiere insistenti quel grande scese dal monte Sinai verso di noi e, avendo anch’egli visto Dio [come Mosè], ci mostrò le tavole scritte dal dito di Dio, che contengono all’esterno gli insegnamenti pratici, e all’interno, quelli relativi alla contemplazione (cf. Es 32,15-16).

L'Arpa di Davide: Quarta domenica di Quaresima - di san Giovanni Climaco

DAI “RACCONTI SUI SANTI PADRI DEL SINAI” DI ANASTASIO SINAITA

1. Abba Martirio, dopo aver tonsurato il nostro igumeno, il santo padre Giovanni, che allora aveva sedici anni, si recò insieme a lui dalla “colonna” del nostro deserto, abba Giovanni il Sabaita, che allora viveva nel deserto di Guda insieme al suo discepolo abba Stefano di Cappadocia. Appena dunque l’anziano Sabaita li vide, si alzò: prese dell’acqua, la versò in una bacinella e lavò i piedi del discepolo, baciando anche la sua mano, mentre non lavò i piedi del suo maestro, abba Martirio. Abba Stefano si scandalizzò del fatto, e dopo che abba Martirio e il suo discepolo furono partiti, abba Giovanni, avendo visto con la sua chiaroveggenza che il suo discepolo si era scandalizzato, gli disse: “Perché ti sei scandalizzato? Credimi, non so chi sia quel ragazzo, ma io ho accolto l’igumeno del Sinai e ho lavato i suoi piedi!”. E dopo quarant’anni egli diventò il nostro igumeno, secondo la profezia dell’anziano. E non solo abba Giovanni il Sabaita, ma anche abba Strategio il Recluso, sebbene non uscisse mai, fece la stessa profezia, nel giorno in cui abba Giovanni fu tonsurato.

2. Una volta abba Anastasio vide scendere abba Giovanni dalla santa vetta insieme ad abba Martirio. Chiamò dunque abba Martirio e il ragazzo, e disse all’anziano: “Dimmi, abba Martirio, da dove viene questo ragazzo? E chi lo ha tonsurato?”. E quello gli rispose: “È tuo servo, padre, e l’ho tonsurato io”. Riprese l’altro: “Oh! abba Martirio! Chi avrebbe mai detto che tu avresti tonsurato l’igumeno del Sinai?”.

Ed è veramente a buon diritto che i santi padri fecero queste profezie riguardo al nostro santissimo padre Giovanni: egli infatti era adorno di tutte le virtù e risplendeva a tal punto che i padri del luogo lo chiamavano “secondo Mosè”.

3. Un giorno vennero quassù circa seicento ospiti e, mentre erano seduti a tavola e mangiavano, il nostro santo padre Giovanni vide un uomo dai capelli corti, vestito secondo l’uso dei giudei di una tunica bianca, che andava avanti e indietro e dava ordini ai cuochi, agli economi, ai cellerari e agli altri servitori. Quando dunque tutte quelle persone se ne furono andate, mentre i servitori erano seduti a tavola a mangiare, si cercò quell’uomo che andava avanti e indietro e dava ordini, ma non lo si trovò. Allora il servo di Dio, il nostro santo padre Giovanni, disse: “Smettete di cercarlo! Il nostro signore Mosè non ha fatto nulla di strano mettendosi a servire a casa sua!”.

4. Quando l’anno passato il nostro “nuovo e secondo Mosè”, il venerabilissimo igumeno Giovanni, era sul punto di passare al Signore, il vescovo abba Giorgio, suo fratello gli era accanto e tra le lacrime gli disse: “Ecco che mi abbandoni e te ne vai! Io ti pregavo di mandarmi avanti, perché senza di te, mio signore, non sono capace di pascere questa comunità, ma ora sono io che devo lasciarti partire!”. Allora abba Giovanni gli disse: “Non ti affliggere, non ti preoccupare! Se trovo grazia davanti a Dio, non ti lascerò neanche terminare un anno dopo di me”. E ciò avvenne. Dopo dieci mesi, infatti, anche il vescovo passò al Signore, nei giorni dell’inverno appena passato.




ANZIANO PORFIRIO: Una biografia

Tratta da: ANZIANO PORFIRIO Testimonianze ed esperienze

Originale: KLITOS IOANNIDIS, ELDER PORPHYRIOS. Testimonies and experiences, THE HOLY CONVENT OF THE TRANSFIGURATION  OF THE SAVIOR, MILESSI 2013

UNA BREVE BIOGRAFIA

San Porphyrios di Kavsokalyvia

La sua famiglia

L’anziano Porfirio è nato il 7 febbraio 1906, nel villaggio di San Giovanni Karystia, vicino ad Aliveri, nella provincia di Evia. I suoi genitori erano contadini poveri ma devoti. Il nome di suo padre era Leonidas Bairaktaris e quello di sua madre era Eleni, la figlia di Antonios Lambrou.

Al battesimo gli fu dato il nome di Evangelos. Era il quarto di cinque figli e il terzo dei quattro sopravvissuti. Sua sorella maggiore, Vassiliki, è morta quando aveva un anno. Oggi è ancora viva solo la sorella minore, che è una suora.

Suo padre aveva una vocazione monastica ma ovviamente non divenne monaco. Era, tuttavia, il cantore del villaggio e St. Nectarios chiese i suoi servizi durante i suoi viaggi attraverso la zona, ma la povertà lo costrinse a emigrare in America per lavorare alla costruzione del canale di Panama.

I suoi anni d’infanzia

L’Anziano ha frequentato la scuola nel suo villaggio solo per due anni. L’insegnante era malato la maggior parte del tempo e i bambini non imparavano molto. Vedendo come stavano le cose, Evangelos lasciò la scuola, lavorò nella fattoria di famiglia e si prese cura dei pochi animali che possedeva. Ha iniziato a lavorare dall’età di otto anni. Nonostante fosse ancora molto giovane, per guadagnare di più andò a lavorare in una miniera di carbone. In seguito ha lavorato in un negozio di alimentari a Halkhida e nel Pireo.

Suo padre gli aveva insegnato il Canone Supplicativo (Paraklisis) alla Madre di Dio (Panaghia); e qualunque altra cosa della nostra fede poteva. Da bambino si è sviluppato rapidamente. Lui stesso ci ha detto che aveva otto anni quando ha iniziato a radersi. Sembrava molto più vecchio di quanto non fosse in realtà. Fin dall’infanzia fu molto serio, operoso e diligente.

Chiamata monastica

Mentre si prendeva cura delle pecore, e anche quando lavorava nel negozio di alimentari, leggeva lentamente la storia della vita di San Giovanni, l’abitante della capanna. Voleva seguire l’esempio del santo. Così partì molte volte per il Monte Athos, ma per vari motivi non ce la fece e tornò a casa. Infine, quando aveva circa quattordici o quindici anni, partì di nuovo per il Monte Athos. Questa volta era determinato a farcela e questa volta ce l’ha fatta.

Il Signore, che veglia sui destini di tutti noi, fece sì che Evangelos incontrò il suo futuro padre spirituale, lo ieromonaco Panteleimon, mentre si trovava sulla barca tra Salonicco e la Montagna Sacra (Mont. Athos). Padre Panteleimon prese subito il ragazzo sotto la sua ala protettrice. Evangelos non era ancora adulto, quindi non avrebbe dovuto essere ammesso sulla Montagna Sacra. Padre Panteleimon ha detto che era suo nipote e il suo ingresso fu assicurato.

La vita monastica

Il suo maggiore, P. Panteleimon, lo portò a Kavsokalyvia alla Capanna di San Giorgio (una capanna o kalyvi è il termine usato sul Monte Athos per ciascuna delle piccole abitazioni monastiche). P. Panteleimon visse lì con il fratellastro P. Ioannichio. Anche il famoso monaco, il beato Hatzigeorgios, aveva vissuto lì.

In questo modo l’anziano Porfirio acquisì contemporaneamente due padri spirituali. Ha dato volentieri obbedienza assoluta a entrambi. Abbracciò la vita monastica con grande zelo. La sua unica lamentela era che i suoi anziani non gli chiedevano abbastanza. Ci ha parlato molto poco delle sue lotte ascetiche e abbiamo pochi dettagli. Da ciò che ha detto molto raramente ai suoi figli spirituali al riguardo, possiamo concludere che ha lottato felicemente e duramente. Camminava a piedi nudi tra i sentieri rocciosi e innevati del Monte Santo. Dormiva pochissimo, e poi con una sola coperta si trovava sul pavimento della capanna, anche tenendo la finestra aperta quando nevicava. Durante la notte faceva molte prostrazioni, spogliandosi fino alla cintola perché il sonno non lo sopraffacesse. Ha lavorato: intaglio del legno o abbattimento di alberi all’aperto.

Si è immerso anche nelle preghiere, nei servizi e negli inni della Chiesa, imparandoli a memoria mentre lavorava con le sue mani. Alla fine dalla ripetizione continua del Vangelo e dall’impararlo a memoria allo stesso modo, non poteva avere pensieri che non erano buoni o che erano oziosi. Si caratterizzava, in quegli anni, come “perennemente in movimento”.

Tuttavia, il segno distintivo della sua lotta ascetica non era lo sforzo fisico che fece, ma piuttosto la sua totale obbedienza al suo maggiore. Era completamente dipendente da lui. La sua volontà scomparve nella volontà del suo maggiore. Aveva totale amore, fede e devozione per il suo anziano. Si identificò completamente con lui, facendo propria la condotta del suo anziano nella vita. È qui che troviamo l’essenza di tutto. È qui, nella sua obbedienza che scopriamo il segreto, la chiave della sua vita.

Questo ragazzo ignorante della seconda elementare, usando le Sacre Scritture come suo dizionario, ha saputo educare se stesso. Leggendo del suo amato Cristo è riuscito in pochi anni ad apprendere quanto, se non di più, abbiamo mai fatto con tutte le nostre comodità. Avevamo scuole e università, insegnanti e libri, ma non avevamo l’entusiasmo focoso di questo giovane novizio.

Non sappiamo esattamente quando, ma certamente non molto tempo dopo aver raggiunto il Monte Santo, fu tonsurato come monaco e gli fu dato il nome di Nikitas.

La visitazione della grazia divina

Non dovremmo trovare strano che la grazia divina riposi su questo giovane monaco che è stato ripieno di fuoco per Cristo e ha dato tutto per il suo amore. Non ha mai considerato tutte le sue fatiche e lotte.

Era ancora l’alba e la chiesa principale di Kavsokalyvia era chiusa a chiave. Nikitas, invece, era fermo all’angolo dell’ingresso della chiesa in attesa che le campane suonassero e che le porte si aprissero.

Fu seguito dal vecchio monaco Dimas, ex ufficiale russo, ultranovantenne, asceta e nascostamente santo. P. Dimas si guardò intorno e si assicurò che non ci fosse nessuno. Non notò il giovane Nikitas che aspettava all’ingresso. Cominciò a prosternarsi completamente e a pregare davanti alle porte chiuse della chiesa.

La grazia divina si riversò sul santo P. Dimas e scese a cascata sul giovane monaco Nikitas che era allora pronto a riceverlo. I suoi sentimenti erano indescrivibili. Sulla via del ritorno alla capanna, dopo aver ricevuto quella mattina la Santa Comunione nella Divina Liturgia, i suoi sentimenti erano così intensi che si fermò, tese le mani e gridò forte “Gloria a Te, Ο Dio! Gloria a Te, Ο Dio! Gloria a Te, Ο Dio!”

Il cambiamento operato dallo Spirito Santo.

Dopo la visita dello Spirito Santo, si verificò un cambiamento fondamentale nella struttura psicosomatica del giovane monaco Nikitas. Era il cambiamento che viene direttamente dalla mano destra di Dio. Ha acquisito doni soprannaturali ed è stato investito di potere dall’alto.

Il primo segno di questi doni (charismata – si riferisce a doni specifici dello Spirito Santo verso l’uomo. In questo libro indicato semplicemente come “dono”. Da non confondere con il significato comune della parola inglese “charisma”) fu quando i suoi anziani tornavano da un viaggio lontano, poté “vederli” a grande distanza. Li “vide” là, dov’erano, anche se non potevano essere visti dagli occhi umani. Lo ha confessato a P. Panteleimon che gli consigliò di essere molto cauto riguardo al suo dono e di non dirlo a nessuno. Consiglio che seguì con molta attenzione finché non gli fu detto di fare diversamente.

Altri seguirono. La sua sensibilità per le cose intorno a lui divenne molto acuta e le sue capacità umane si svilupparono al massimo. Ascoltava e riconosceva voci di uccelli e animali nella misura in cui sapeva non solo da dove venivano, ma cosa stavano dicendo. Il suo senso dell’olfatto era sviluppato a tal punto da poter riconoscere le fragranze a grande distanza. Conosceva i diversi tipi di aroma e il loro trucco. Dopo umile preghiera poté “vedere” le profondità della terra e gli angoli più remoti dello spazio. Poteva vedere attraverso l’acqua e attraverso le formazioni rocciose. Poteva vedere giacimenti di petrolio, radioattività, monumenti antichi e sepolti, tombe nascoste, fessure nelle profondità della terra, sorgenti sotterranee, icone perdute, scene di eventi accaduti secoli prima, preghiere che erano state innalzate in passato, spiriti buoni e cattivi, l’anima umana stessa, quasi tutto. Assaggiò la qualità dell’acqua nelle profondità della terra. Avrebbe interrogato le rocce e loro gli avrebbero parlato delle lotte spirituali degli asceti che lo hanno preceduto. Guardava le persone ed era in grado di guarire. Ha toccato persone beneficandole. Pregò e la sua preghiera divenne realtà. Tuttavia, non ha mai cercato consapevolmente di usare questi doni di Dio per trarne beneficio. Non ha mai chiesto che i suoi stessi disturbi venissero guariti. Non ha mai cercato di ottenere un guadagno personale dalla conoscenza estesa a lui dalla grazia divina. 

Ogni volta che usava il suo dono del discernimento, (diakrisis) gli venivano rivelati i pensieri nascosti della mente umana. Egli è stato in grado, per grazia di Dio, di vedere il passato, il presente e il futuro tutti allo stesso tempo. Ha confermato che Dio è onnisciente e onnipotente. È stato in grado di osservare e toccare tutta la creazione, dai confini dell’Universo alla profondità dell’anima umana e della storia. La frase di san Paolo “Un solo e medesimo Spirito opera tutte queste cose, distribuendo a ciascuno individualmente come vuole” ( 1 Cor 12,11) certamente valeva per l’anziano Porfirio. Naturalmente era un essere umano e ricevette la grazia divina, che viene da Dio. Questo Dio che per ragioni sue a volte non rivelava tutto. La vita vissuta nella grazia è per noi un mistero sconosciuto. Qualsiasi altro discorso sull’argomento sarebbe una rude invasione di questioni che non capiamo. L’anziano lo faceva sempre notare a tutti coloro che attribuivano le sue capacità a qualcosa di diverso dalla grazia. Ha sottolineato questo fatto, ancora e ancora, dicendo: “Non è qualcosa che si impara. Non è un’abilità. È GRAZIA”.

Ritorno nel mondo

Anche dopo essere stato toccato dalla grazia divina, questo giovane discepolo del Signore ha continuato le sue lotte ascetiche come prima, con umiltà, zelo divino e amore per l’apprendimento senza precedenti. Il Signore ora voleva fare di lui un maestro e un pastore delle sue pecore razionali. Lo ha provato, misurato e trovato adeguato.

Il monaco Nikitas non ha mai pensato di lasciare la Montagna Sacra e di tornare nel mondo. Il suo divino amore divorante per il nostro Salvatore lo spingeva a desiderare e sognare di ritrovarsi nel deserto aperto e, salvo il suo dolce Gesù, completamente solo.

Tuttavia, una grave pleurite, trovandolo esausto dalle sue lotte ascetiche sovrumane, lo afferrò mentre stava raccogliendo lumache sulle scogliere rocciose. Questo costrinse i suoi anziani a ordinargli di stabilirsi in un monastero nel mondo, in modo che potesse guarire di nuovo. Obbedì e tornò nel mondo, ma, appena guarito, tornò al luogo del suo pentimento. Si ammalò di nuovo; questa volta i suoi anziani, con molta tristezza, lo rimandarono nel mondo per sempre.

Così, a diciannove anni, lo troviamo a vivere come monaco nel monastero Lefkon di St. Charalambos, vicino alla sua città natale. Tuttavia continuò con il regime che aveva appreso sul Monte Santo, con i suoi salmi e simili uffici. Tuttavia, è stato costretto a ridurre il digiuno fino a quando la sua salute non è migliorata.

Atanasio di Limassol: San Porfirio di Kafsokalyvia – Monastero Ortodosso di  Arona

Ordinazione al sacerdozio

Fu in questo monastero che incontrò l’arcivescovo del Sinai, Porfirio III, ospite in visita lì. Dalla sua conversazione con Nikitas, ha notato la virtù e i doni divini che possedeva. Ne fu così colpito che il 26 luglio 1927, festa di San Paraskevi, lo ordinò diacono. Il giorno successivo, festa di San Panteleimon, lo promosse al sacerdozio, come membro del monastero del Sinai. Gli fu dato il nome Porfirio. L’ordinazione è avvenuta nella Cappella della Santa Metropoli di Karystia, nella diocesi di Kymi. Al servizio ha preso parte anche il metropolita di Karystia, Panteleimon Phostinis. L’anziano Porphyrios aveva solo ventuno anni.

Il Padre Spirituale

Dopo questo il metropolita residente di Karystia, Panteleimon, lo nominò con una lettera ufficiale ad essere padre confessore. Ha realizzato questo nuovo “talento” che gli è stato donato con umanità e fatica. Ha studiato il “Manuale del confessore”. Tuttavia, quando cercò di seguire alla lettera ciò che diceva sulla penitenza, ne fu turbato. Capì che doveva occuparsi individualmente di ciascuno dei fedeli. Trovò la risposta negli scritti di san Basilio, il quale consigliò: “Noi scriviamo tutte queste cose perché possiate assaporare i frutti del pentimento. Non consideriamo il tempo necessario, ma prendiamo atto delle modalità del pentimento”. (Ep. 217 n. 84) Ha preso a cuore questo consiglio e lo ha messo in pratica. Anche nella sua vecchiaia ha ricordato questo consiglio ai giovani padri confessori.

Così maturato il giovane ieromonaco Porfirio, per grazia di Dio, si dedicò con successo all’opera di padre spirituale in Evia fino al 1940. Riceveva un gran numero di fedeli per la confessione, ogni giorno. In molte occasioni ascoltava la confessione per ore senza interruzione. La sua reputazione di padre spirituale, conoscitore di anime e guida sicura, si diffuse rapidamente in tutta l’area vicina. Ciò significava che molte persone si sono accalcate al suo confessionale presso il Santo Monastero di Lefkon, vicino ad Avlonarion, nell’Evia.

A volte interi giorni e notti trascorrevano senza tregua e senza riposo, mentre compiva questa opera divina, questo sacramento. Aiutando coloro che si avvicinano a lui con il suo dono del discernimento, guidandoli alla conoscenza di sé, alla vera confessione e alla vita in Cristo. Con questo stesso dono ha scoperto le insidie ​​del diavolo, salvando le anime dalle sue trappole e congegni malvagi.

Archimandrita

Nel 1938 fu insignito della carica di Archimandrita dal Metropolita di Karystia, «in onore del servizio che finora hai reso alla Chiesa come Padre spirituale, e per le virtuose speranze che la nostra Santa Chiesa nutre per te» ( protocollo n . . 92/10-2-1938) come scritto dal Metropolita. Le loro speranze, per grazia di Dio, si sono realizzate.

Sacerdote, per un breve periodo alla parrocchia di Tsakayi, Evia e al Monastero di San Nicola di Ano Vathia

Fu assegnato dal metropolita residente come sacerdote al villaggio di Tsakayi, nell’Evia. Alcuni degli abitanti del villaggio più anziani, fino ad oggi, conservano bei ricordi della sua presenza lì. Aveva lasciato il Santo Monastero di S. Charalambos perché era stato trasformato in convento. Così, intorno al 1938 lo troviamo a vivere nel Santo Monastero in rovina e abbandonato di San Nicola, Ano Vathia, Evia, nella giurisdizione del metropolita di Halkhida.

Nel deserto della città

Quando il tumulto della seconda guerra mondiale si avvicinò alla Grecia, il Signore arruolò il suo obbediente servitore, Porfirio, assegnandolo a un nuovo incarico, più vicino al suo popolo assediato. Il 12 ottobre 1940 ricevette l’incarico di sacerdote provvisorio presso la Cappella di San Gerasimos nel Policlinico di Atene, che si trova all’angolo tra via Socrate e via Pireo, vicino a piazza Omonia. Egli stesso ha chiesto la posizione per l’amore compassionevole che aveva per i suoi simili che stavano soffrendo. Voleva essere loro nei momenti più difficili della loro vita, quando la malattia, il dolore e l’ombra della morte mostravano la disperazione di ogni altra speranza tranne quella in Cristo.

C’erano altri candidati con ottime credenziali che erano anche interessati alla carica, ma il Signore ha illuminato il direttore del Policlinico. Umile e affascinante, fu scelto Porfirio, che era ignorante secondo gli standard del mondo ma saggio secondo Dio. La persona che ha fatto questa scelta ha poi espresso stupore e gioia nel trovare un vero sacerdote dicendo: “Ho trovato un padre perfetto, proprio come vuole Cristo”.

Ha servito il Policlinico come suo cappellano dipendente, per trent’anni interi e poi per essere al servizio dei suoi figli spirituali che lo hanno cercato, volontariamente, per altri tre anni.

Qui anche il ruolo di cappellano, che svolse con pieno amore e devozione, celebrando i servizi con meravigliosa devozione; confessando, ammonendo, guarendo anime e molte volte anche malattie corporali, agiva anche come padre spirituale per tanti di coloro che venivano da lui.

“Sì, voi stessi sapete che queste mani sono state provvedute per le mie necessità e per coloro che erano con me”. (Atti 20:34)

L’anziano Porphyrios, con la sua mancanza di qualifiche accademiche, accettò di essere cappellano del Policlinico per uno stipendio quasi nullo. Non bastava per mantenere se stesso, i suoi genitori e i pochi altri parenti stretti che facevano affidamento su di lui. Doveva lavorare per vivere. Organizzò in successione un allevamento di pollame e poi una tessitura. Nel suo zelo per i servizi da celebrare nel modo più edificante, si applicò alla composizione di sostanze aromatiche che potevano poi essere utilizzate nella preparazione degli incensi usati nel culto divino. Infatti negli anni ’70 fece una scoperta originale. Unì il carbone con essenze aromatiche incensando la chiesa con il suo carbone a combustione lenta che emanava un dolce profumo di spiritualità. Sembra che non abbia mai rivelato i dettagli di questa scoperta.

Dal 1955 ha affittato il piccolo monastero di San Nicola, Kallisia, che appartiene al Santo Monastero di Pendeli. Coltivò sistematicamente la terra circostante. facendo un sacco di duro lavoro. Fu qui che volle fondare il convento, che poi costruì altrove. Migliorò i pozzi, costruì un sistema di irrigazione, piantò alberi e dissodò il terreno con uno scavatore che utilizzava lui stesso. Tutto questo insieme al dovere, ventiquattr’ore su ventiquattro, come cappellano e confessore.

Apprezzò molto il lavoro e non si concedeva riposo. Apprese dall’esperienza le parole di abba Isacco il Siro: «Dio e i suoi angeli trovano gioia nella necessità; il diavolo e i suoi operai trovano gioia nell’ozio”.

Fr. Seraphim Rose - "Death does not exist. Don't fear death." -St.  Porphyrios (Photo from "The Divine Flame Elder Porphyrios Lit in My Heart,"  by Monk Agapios, published by The Holy Convent

Partenza dal Policlinico

Il 16 marzo 1970, dopo aver compiuto trentacinque anni di servizio sacerdotale, ricevette una piccola pensione dalla Cassa ellenica di assicurazione del personale e lasciò l’incarico presso il Policlinico. In sostanza, però, rimase fino all’arrivo del suo sostituto. Anche dopo ha continuato a visitare il Policlinico per incontrare il suo gran numero di figli spirituali. Infine, intorno al 1973, ridusse al minimo le sue visite al Policlinico e invece ricevette i suoi figli spirituali a San Nicola a Kallisia, Pendeli, dove celebrò la liturgia e confessò.

La mia forza è resa perfetta dalla debolezza

L’anziano Porfirio, oltre alla malattia che lo costrinse a lasciare il Monte Athos, e che mantenne particolarmente sensibile il suo fianco sinistro, soffrì di molti altri disturbi, in tempi diversi.

Verso la fine del suo servizio al Policlinico si ammalò di problemi ai reni. Tuttavia, è stato operato solo quando la sua malattia era in fase avanzata. Questo perché ha lavorato instancabilmente nonostante la sua malattia. Si era abituato a essere obbediente “fino alla morte”. Fu obbediente anche al direttore del Policlinico, che gli disse di rimandare l’operazione, per poter celebrare le funzioni per la Settimana Santa. Questo ritardo lo ha portato a scivolare in coma. I medici hanno detto ai suoi parenti di prepararsi per il suo funerale. Tuttavia, per volontà divina, e nonostante tutte le aspettative mediche, l’anziano è tornato alla vita terrena per continuare il suo servizio ai membri della Chiesa.

Qualche tempo prima, si era fratturato una gamba. Collegato a questo incidente è un esempio miracoloso della preoccupazione di San Gerasimos (di cui ha servito la cappella del Policlinico).

Oltre a questo la sua ernia, di cui soffrì fino alla morte, peggiorò, a causa dei pesanti carichi che era solito portare a casa sua, a Turkounia, dove visse per molti anni.

Il 20 agosto 1978, mentre si trovava a San Nicola, Kallisia, ebbe un infarto (infarto del miocardio). Fu portato d’urgenza all’ospedale “Hygeia”, dove rimase per venti giorni. Quando lasciò l’infermeria, continuò la sua convalescenza ad Atene, nelle case di alcuni suoi figli spirituali. Questo per tre ragioni. In primo luogo, non poteva andare a San Nicola, Kallisia, perché non c’era strada, e avrebbe dovuto fare una lunga strada a piedi. Inoltre, la sua casa a Turkounia non aveva nemmeno i comfort più elementari. Infine, doveva essere vicino ai medici.

In seguito, quando si era stabilito in un ricovero provvisorio a Milessi, sede del convento da lui fondato, si è operato all’occhio sinistro. Il dottore ha commesso un errore, distruggendo la vista in quell’occhio. Dopo alcuni anni il Vecchio divenne completamente cieco. Durante l’operazione, senza il permesso dell’anziano Porfirio, il medico gli ha somministrato una forte dose di cortisone. L’anziano era particolarmente sensibile ai farmaci, e soprattutto al cortisone. Il risultato di questa iniezione fu un’emorragia allo stomaco continua che durò per tre mesi circa. A causa del suo stomaco costantemente sanguinante non poteva mangiare cibo normale. Si sosteneva con qualche cucchiaio di latte e acqua ogni giorno. Ciò lo ha portato a diventare così esausto fisicamente che ha raggiunto il punto in cui non poteva nemmeno stare seduto dritto. Ricevette dodici trasfusioni di sangue, tutti nel suo alloggio a Milessi. Alla fine, sebbene fosse di nuovo alla porta della Morte, per grazia di Dio sopravvisse.

Da quel momento in poi, la sua salute fisica fu terribilmente compromessa. Tuttavia, ha continuato il suo ministero di padre spirituale per quanto poteva, confessando continuamente per periodi più brevi e spesso soffrendo di vari altri problemi di salute e nel dolore più spaventoso. In effetti, ha perso lentamente la vista fino a quando nel 1987 è diventato completamente cieco.

Diminuì costantemente le parole di consiglio che dava alle persone e aumentò le preghiere che diceva a Dio per loro. Pregò silenziosamente con grande amore e umiltà per tutti coloro che cercavano la sua preghiera e il suo aiuto da Dio. Con gioia spirituale vide agire su di loro la grazia divina. Così, l’anziano Porfirio divenne un chiaro esempio delle parole dell’apostolo Paolo: “La mia forza è resa perfetta nella debolezza”.

Costruisce un nuovo convento

Era un desiderio radicato nell’anziano di fondare un suo santo convento, di costruire una fondazione monastica in cui potessero vivere alcune donne devote, che erano sue figlie spirituali. Aveva giurato a Dio che non avrebbe abbandonato queste donne quando avrebbe lasciato il mondo perché erano state sue fedeli aiutanti per molti anni. Col passare del tempo sarebbe stato possibile per altre donne che volevano dedicarsi al Signore stabilirsi lì.

Il suo primo pensiero fu di costruire il Convento nel luogo di Kallisia, Pendeli, che aveva affittato nel 1955 dal Santo Monastero di Pendeli. Cercò più volte di convincere i proprietari a donargli o a vendergli la terra richiesta. Non è servito a nulla. Ora sembrava che il Signore, saggio regolatore e dispensatore di tutto, destinasse un altro posto a questa particolare impresa. Quindi l’anziano rivolse gli occhi a un’altra area nella sua ricerca di immobili.

Nel frattempo, però, con la collaborazione dei suoi figli spirituali, redasse lo statuto legale per la fondazione del Convento e lo sottopose alle autorità ecclesiastiche competenti. Poiché non aveva ancora scelto il luogo specifico dove sarebbe stato costruito il suo convento, identificò Turkounia ad Atene come il luogo in cui sarebbe stato fondato. Qui aveva un’umile casetta in pietra, che, senza nemmeno le comodità di base, era stata la sua povera dimora dal 1948.

L’anziano Porfirio non ha fatto nulla senza la benedizione della Chiesa. Così, in questo caso, ha chiesto e ricevuto l’approvazione canonica sia di Sua Eminenza l’Arcivescovo di Atene che del Santo Sinodo. Sebbene le relative procedure fossero iniziate nel 1978, solo nel 1981, dopo aver superato molta burocrazia procedurale e altre difficoltà, ebbe il privilegio di vedere il “Santo Convento della Trasfigurazione del Salvatore” riconosciuto con decreto presidenziale e pubblicato in la gazzetta governativa.

La ricerca di un luogo adatto per fondare il Convento era stata avviata dall’Anziano molto prima del suo infarto, quando era più che certo che non sarebbe stato a Kallisia. Con estrema cura e grande zelo, cercò instancabilmente un sito che avesse i maggiori vantaggi. Quando le sue forze si furono moderatamente recuperate dopo l’infarto e quando sentì di poterlo fare, continuò l’intensa ricerca del posto che desiderava. Non ha risparmiato sforzi. Percorse tutta l’Attica, l’Evia e la Beozia nelle auto di vari suoi figli spirituali. Ha esaminato la possibilità di costruire il suo convento a Creta o in qualche altra isola. Ha lavorato incredibilmente duro. Ha chiesto informazioni su centinaia di proprietà e ne ha visitate la maggior parte. Ha consultato molte persone. Ha viaggiato per migliaia di chilometri. Ha fatto innumerevoli calcoli. Ha soppesato tutti i fattori; e, infine, scelse e acquistò alcune proprietà sul sito di Hagia Sotira, Milessi di Malakasa, Attica, vicino a Oropos.

All’inizio del 1979 si stabilisce in questa proprietà a Milessi, che era stata acquistata per la costruzione di un convento. Per più di un anno, all’inizio, ha vissuto in una casa mobile in condizioni molto difficili, soprattutto in inverno. Successivamente si stabilì in una casa piccola e squallida, nella quale subì tutte le fatiche di tre mesi di continue emorragie allo stomaco e dove ricevette anche numerose trasfusioni di sangue. Il sangue è stato donato con molto amore dai suoi figli spirituali.

Nel 1980 sono iniziati anche i lavori di costruzione, che l’anziano ha seguito da vicino, e ha pagato i lavori con i risparmi che lui, i suoi amici e i suoi parenti avevano realizzato negli anni con questo obiettivo in mente. Fu anche aiutato da vari figli spirituali.

La costruzione della Chiesa della Trasfigurazione

Il suo grande amore per il prossimo era centrato nel guidarlo alla gioia della trasfigurazione secondo Cristo. Insieme a san Paolo apostolo, ha implorato noi, suoi fratelli e sorelle, per la compassione di Dio: «Non conformatevi a questo mondo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, affinché possiate provare ciò che è buono e accettevole e perfetta volontà di Dio”. ( Rom. 12:2 ). Ha voluto guidarci allo stato in cui visse, secondo il quale: «Noi tutti con il volto scoperto, contemplando come in uno specchio la gloria del Signore, ci trasformiamo di gloria in gloria nella stessa immagine, così come da lo Spirito del Signore”. ( 2 Cor.3:18 )

Per questo chiamò anche il suo Convento la “Trasfigurazione” e volle che la chiesa fosse dedicata alla Trasfigurazione. Infine, attraverso le sue preghiere, influenzò i suoi compagni di lavoro in questa impresa e riuscì nel suo scopo. Dopo molte consultazioni e un duro lavoro da parte dell’Anziano, si è arrivati ​​a un design semplice, gradevole e perfetto.

Nel frattempo, per intervento canonico di Sua Eminenza, l’Arcivescovo di Atene, (poiché il Convento rientra nell’Arcidiocesi ateniese) il Metropolita locale, diede il permesso di costruire la chiesa sotto la sua giurisdizione presso l’annesso del Convento, a Milessi.

La posa delle fondamenta è avvenuta a mezzanotte tra il 25 e il 26 febbraio 1990 durante una veglia notturna in onore di San Porfirio, Vescovo di Gaza, Taumaturgo. L’anziano Porfirio, malato e incapace di salire gli undici metri fino al luogo dove doveva essere posta la prima pietra, con grande commozione offrì la sua croce per la pietra angolare. Dal suo letto pregava con queste parole: «O Croce di Cristo, rendi salda questa casa. Ο Croce di Cristo, salvaci con la tua forza. Ricordati, Ο Signore, del tuo umile servitore Porfirio e dei suoi compagni…” Dopo aver pregato per tutti coloro che hanno lavorato con lui, ordinò che i loro nomi fossero posti in una posizione speciale nella chiesa, per la loro eterna commemorazione.

Immediato il lavoro di costruzione della Chiesa (in cemento armato). Accompagnato dalle preghiere del Vecchio, procedette senza interruzioni. Poteva vedere con i suoi occhi spirituali – poiché molti anni prima aveva perso la vista naturale – la chiesa che raggiungeva le fasi finali della sua costruzione. Vale a dire, alla base della cupola centrale. In realtà ha raggiunto questo punto il giorno della partenza finale dell’anziano.

Si prepara al ritorno sul Sacro Monte

L’anziano Porfirio non aveva mai lasciato emotivamente il Monte Athos. Non c’era nessun altro argomento che lo interessasse più della Montagna Sacra, e soprattutto Kavsokalyvia. Quando nel 1984 seppe che l’ultimo abitante della capanna di San Giorgio era partito definitivamente e si era stabilito in un altro monastero, si affrettò alla Santa Grande Lavra di Sant’Atanasio, a cui apparteneva e chiese che gli fosse data. Fu a St. George’s che aveva preso per la prima volta i voti monastici. Aveva sempre voluto tornare, mantenere il voto fatto alla tonsura circa sessant’anni prima, rimanere nel suo monastero fino al suo ultimo respiro. Adesso si stava preparando per il suo ultimo viaggio.

La capanna gli fu data secondo le usanze del Monte Athos, con il pegno sigillato del monastero, datato 21 settembre 1984. L’anziano Porfirio vi stabilì diversi suoi discepoli in successione. Nell’estate del 1991 erano cinque. Questo è il numero che aveva menzionato a un suo figlio spirituale circa tre anni prima come il totale che indicava l’anno della sua morte.

Torna al suo pentimento

Durante gli ultimi due anni della sua vita terrena parlava spesso della sua preparazione per la sua difesa davanti al terribile tribunale di Dio. Diede ordini severi che se fosse morto qui, il suo corpo sarebbe stato trasportato senza clamore e sepolto a Kavsokalyvia. Alla fine decise di andarci mentre era ancora vivo. Ha parlato di una certa storia nei Detti dei Padri:

Un anziano, che aveva preparato la sua tomba quando sentiva che la sua fine era vicina, disse al suo discepolo: «Figlio mio, le rocce sono scivolose e scoscese e metterai in pericolo la tua vita se tu solo mi porterai alla mia tomba. Vieni, andiamo ora che sono vivo”. E sicuramente il suo discepolo lo prese per mano e l’anziano si sdraiò nella tomba e diede in pace la sua anima.

Alla vigilia della festa della Santissima Trinità, 1991, recatosi ad Atene per confessarsi al suo anziano e malaticcio padre spirituale, ricevette l’assoluzione e partì per la sua capanna sul monte Athos. Si stabilì e aspettò la fine, pronto a dare una buona difesa davanti a Dio.

Poi, quando gli ebbero scavato una fossa profonda, secondo le sue istruzioni, dettò una lettera d’addio di consiglio e di perdono a tutti i suoi figli spirituali, attraverso un suo figlio spirituale. Questa lettera, datata 4 giugno (vecchio calendario) e 17 giugno (nuovo calendario), è stata trovata tra gli abiti monastici che erano stati disposti per il suo funerale il giorno della sua morte. 

“Attraverso la mia venuta di nuovo da te”

L’anziano Porfirio lasciò l’Attica per il Monte Athos con l’intenzione nascosta di non tornare mai più qui. Aveva parlato a un numero sufficiente di suoi figli spirituali in modo tale che sapevano che lo stavano vedendo per l’ultima volta. Ad altri ha appena accennato. Fu solo dopo la sua morte che si resero conto di cosa intendeva. Naturalmente, a coloro che non avrebbero sopportato la notizia della sua partenza, disse loro che sarebbe tornato. Ha detto tante cose della sua morte, in modo chiaro o criptico, tanto che solo la certezza di chi gli sta intorno che sarebbe sopravvissuto come tutte le altre volte (una speranza nata dal desiderio), può forse spiegare il non subitaneo annuncio della sua morte.

Forse lui stesso esitò, come l’apostolo Paolo, che scrisse ai Filippesi: «Perché sono stretto tra i due, avendo il desiderio di separarmi e di stare con Cristo, il che è molto meglio. Tuttavia, per te è più necessario rimanere nella carne». ( Fil 1:23-24 ) Forse…

I suoi figli spirituali ad Atene lo invocavano costantemente e per due volte fu costretto a tornare al Convento contro la sua volontà. Qui ha dato consolazione a tutti coloro che ne avevano bisogno. Ogni volta si fermava solo per pochi giorni, «affinché la nostra gioia per lui fosse più abbondante in Gesù Cristo, venendo a noi». (Parafrasando le parole dell’Apostolo, Fil. 1:26 ) Sarebbe poi tornato di corsa al Monte Athos il più presto possibile. Desiderava ardentemente morire lì ed essere sepolto tranquillamente in mezzo alla preghiera e al pentimento.

Verso la fine della sua vita fisica si sentì a disagio per la possibilità che l’amore dei suoi figli spirituali influisse sul suo desiderio di morire da solo. Era abituato a essere obbediente e a sottomettersi agli altri. Perciò lo disse a uno dei suoi monaci. “Se ti dico di riportarmi ad Atene, impediscimelo, sarà una tentazione.” In effetti, molti suoi amici avevano fatto diversi piani per riportarlo ad Atene, poiché l’inverno si avvicinava e la sua salute stava peggiorando.

Dorme nel Signore

Dio, che è tutto buono e che soddisfa i desideri di coloro che lo temevano, ha esaudito il desiderio dell’anziano Porfirio. Lo rese degno di avere una fine benedetta nell’estrema umiltà e nell’oscurità. Era circondato solo dai suoi discepoli sul monte Athos che pregavano con lui. L’ultima notte della sua vita terrena si confessò e pregò noeticamente (cioè la preghiera di Gesù). I suoi discepoli leggono il Cinquantesimo e altri salmi e il servizio per i moribondi. Dissero la breve preghiera: “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me”, finché non ebbero completato la regola di un monaco megaloschema.

Con grande amore i suoi discepoli gli offrirono ciò di cui aveva bisogno, un po’ di conforto corporeo e molto spirituale. Per molto tempo poterono sentire le sue sante labbra sussurrare le ultime parole che uscivano dalla sua venerabile bocca. Queste erano le stesse parole che Cristo pregò alla vigilia della sua crocifissione “affinché possiamo essere uno”.

Dopo questo lo sentirono ripetere solo una parola. La parola che si trova alla fine del Nuovo Testamento, a conclusione della Divina Apocalisse (Apocalisse) di San Giovanni. “Vieni” (“Sì, vieni, Signore Gesù”).

Il Signore, il suo dolce Gesù è venuto. L’anima santa dell’anziano Porfirio lasciò il suo corpo alle 4:31 della mattina del 2 dicembre 1991 e si diresse verso il cielo.

Il suo venerabile corpo, vestito alla maniera monastica, fu deposto nella chiesa principale di Kavsokalyvia. Secondo l’usanza, i padri lì leggevano il Vangelo tutto il giorno e durante la notte vegliavano tutta la notte. Tutto è stato fatto in accordo con le dettagliate istruzioni verbali dell’anziano Porfirio. Erano stati scritti per evitare qualsiasi errore.

All’alba, il 3 dicembre 1991, la terra ricopriva le venerabili spoglie del santo Anziano alla presenza dei pochi monaci del santo skete di Kavsokalyvia. Fu solo allora, secondo i suoi desideri, che il suo riposo fu annunciato.

Era quell’ora del giorno in cui il cielo si colorava di rosa, riflettendo la luminosità del nuovo giorno che si avvicina. Un simbolo per molte anime del passaggio dell’Anziano dalla morte alla luce e alla vita.

Un breve schizzo

La caratteristica principale dell’anziano Porfirio per tutta la sua vita è stata la sua completa umiltà. Questo era accompagnata dalla sua assoluta obbedienza, dal suo caldo amore e dalla sua pazienza senza mormorare con un dolore insopportabile. Era noto per la sua saggia discrezione, il suo inconcepibile discernimento; il suo amore sconfinato per l’apprendimento, la sua straordinaria conoscenza (un dono di Dio e non formatasi alla scuola inesistente del mondo); il suo inesauribile amore per il duro lavoro, e la sua continua, umile, (e per questo riuscita) preghiera. Oltre a questo, le sue pure convinzioni ortodosse, senza alcun tipo di fanatismo; il suo vivo interesse, ma per la maggior parte invisibile e sconosciuto, per gli affari della nostra Santa Chiesa; i suoi consigli efficaci; le molteplici sfaccettature del suo insegnamento; il suo spirito longanime; la sua profonda devozione; il modo dignitoso di celebrare i sacri servizi,

Mount Athos Icon of Saint Porphyrios the Kafsokalyvite



BASILIO MAGNO: Rassomigliare a Dio, per quanto sia possibile alla natura dell’uomo!

“Ascoltare non alla leggera la lingua della teologia, ma sforzarsi in ogni parola e in ogni sillaba di scoprire il significato nascosto, non è di persone restie alla pietà, ma di persone che percepiscono lo scopo della nostra vocazione: a noi è proposto di rassomigliare a Dio, per quanto sia possibile alla natura dell’uomo”.

da LO SPIRITO SANTO,

di BASILIO, NOSTRO PADRE ARCIVESCOVO PER I SANTI DI CESAREA DI CAPPADOCIA AD ANFILOCHIO VESCOVO PER I SANTI DI ICONIO