LA SINODALITA’ NELLA CHIESA APOSTOLICA

Partendo dalle parole scritte dal Santo Cirillo, Vescovo di Gerusalemme, nella sua diciassettesima catechesi rivolta ai catecumeni. vediamo come egli descriva il ruolo di Pietro, degli Apostoli e del Santo Spirito nella risoluzione di problemi dogmatici e di ortoprassi.

Nel paragrafo 27 della 17^ Catechesi, così San Cirillo definisce l’Apostolo Pietro: “In virtù del medesimo Spirito Santo operò anche Pietro, posto a capo degli apostoli e a custodia delle chiavi del regno dei cieli”.

E’ dunque proprio di ogni sana teologia ortodossa considerare l’uomo Cefa come l’Apostolo Pietro, il primo e a capo degli Apostoli, detentore delle chiavi del Regno dei Cieli. Diversa è l’operazione postuma per cui lo stesso Pietro è divenuto con il tempo capostipite dei soli Vescovi che risiederanno in Roma, Capitale dell’Impero. Questa primazia apostolica – e sappiamo cosa Gesù insegna su chi vuole essere primo nella Chiesa – venne trasformata in primazia di comando: l’infallibilità propria del Santo Spirito fu trasferita all’Apostolo e quindi ai suoi successori. Vediamo.

Pietro, come sappiamo, aprì la porta della predicazione ai pagani, fatto inconsueto per persone di stirpe ebraica. Lo stesso Apostolo ebbe molte difficoltà umane per comprendere e accettare questa apertura tanto che il Signore dovette anticiparla con la nota visione della tovaglia piena di animali impuri che comandò di mangiare e lo stesso San Paolo dovette in merito redarguirlo nella storica diatriba. Per questo motivo il Signore dovette dire a Pietro, a modo di catechesi di preparazione all’incontro con il pagano Cornelio: “Non considerare impuro ciò che Dio ha purificato” (At 10,15) e dovette anche anticipare la discesa del Santo Spirito, prima ancora che quelle persone fossero battezzate.

«Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso; e i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, davano in esclamazioni meravigliati e stupiti che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo». (At 10,44)

Proprio per questa difficoltà tutta giudaica:

“Gli apostoli e i fratelli che si trovavano nella Giudea vennero a sapere che anche gli stranieri avevano ricevuto la Parola di Dio. E quando Pietro salì a Gerusalemme, i credenti circoncisi lo contestavano, dicendo: «Tu sei entrato in casa di uomini non circoncisi e hai mangiato con loro!» (At 11,1-3).

Vediamo, quindi, come il capo infallibile della Chiesa nascente venga contestato addirittura da semplici credenti di stirpe ebraica. Ma continuiamo il racconto. L’apertura della predicazione ai pagani fece molti proseliti nella città di Antiochia.

“Vedendo abbondante ad Antiochia la massa di credenti in Cristo, [Barnaba] vi fece venire Paolo di Tarso perché gli desse una mano nella comune battaglia. E quando essi ebbero istruite e aggregate in comunità le masse dei discepoli, avvenne il fatto che «ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani». Era un nome nuovo benché preannunziato dal Signore; perciò credo ci sia stato l’intervento dello Spirito Santo”. (dalla Catechesi 17^)

A lungo il problema della predicazione e del battesimo dei pagani tenne banco nella Chiesa nascente. Infatti creava disagio ai credenti ebrei il fatto che i pagani non fossero soggetti alle pratiche antiche della religione giudaica. Così spiega questa diatriba il Vescovo di Gerusalemme Cirillo:

“Il medesimo Spirito Santo, che ha stabilito in accordo col Padre e col Figlio una nuova alleanza con la Chiesa cattolica, ci ha anche resi liberi dai pesi insopportabili della Legge, dico da quelli che riguardavano l’astensione dagli alimenti profani e impuri, le prescrizioni dei sabati, dei noviluni, della circoncisione, delle aspersioni e dei sacrifici. Erano prescrizioni valevoli un tempo, che adombravano i beni futuri; ma giustamente soppresse, una volta subentrata all’ombra la verità. Essendo stata tale questione agitata ad Antiochia da quelli che dicevano necessarie la circoncisione e le costumanze mosaiche, furono mandati a dirimerla Paolo e Barnaba. Ma furono gli apostoli della nostra Gerusalemme che mandando una loro lettera liberarono tutto il mondo da ogni osservanza legale e tipologica”.

Nata le questione intorno alla legge mosaica e alle sue prescrizioni, risultava urgente trovare una soluzione condivisa. In questo frangente non ci si appellò direttamente a San Pietro che prima è stato qualificato dallo stesso Cirillo come “capo degli apostoli e custode delle chiavi del Regno dei Cieli”. Si rese urgente un incontro nella comunità Madre di Gerusalemme.

“Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli questa dottrina: «Se non vi fate circoncidere secondo l’uso di Mosè, non potete esser salvi». Poiché Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro andassero a Gerusalemme dagli Apostoli e dagli Anziani per tale questione. […] Giunti poi a Gerusalemme, furono ricevuti dalla Chiesa, dagli Apostoli e dagli Anziani e riferirono tutto ciò che Dio aveva compiuto per mezzo loro”. (At 15,1)

Alla fine dell’assemblea in quel di Gerusalemme, lo stesso Cirillo dice che furono gli Apostoli, sempre collegialmente, ad inviare una lettera per risolvere lo scontro, ma vendiamo a chi intesta la decisione di questo primo concilio:

“e non se ne arrogarono per altro essi [gli Apostoli] l’autorità, ma proclamarono con uno scritto inviato per lettera: «Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenervi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia». Così dichiararono senza ambiguità che, seppure le parole erano state scritte da uomini del livello degli apostoli, la prescrizione era data al mondo dallo Spirito Santo. In questo senso la intesero Barnaba e Paolo con tutta la comunità, e in tal senso fu convalidata dall’uso di tutta la terra”. (dalla Catechesi 17^)

Per altro, queste uniche prescrizione imposte ai credenti provenienti dal paganesimo erano state suggerite durante l’assemblea da Giacomo, l’allora Vescovo della Chiesa Madre di Gerusalemme:

“Quand’essi ebbero finito di parlare, Giacomo aggiunse: «Fratelli, ascoltatemi. Simone ha riferito come fin da principio Dio ha voluto scegliere tra i pagani un popolo per consacrarlo al suo nome. Con questo si accordano le parole dei profeti, come sta scritto:

Dopo queste cose ritornerò e riedificherò la tenda di Davide che era caduta; ne riparerò le rovine e la rialzerò, perché anche gli altri uomini cerchino il Signore e tutte le genti sulle quali è stato invocato il mio nome, dice il Signore che fa queste cose da lui conosciute dall’eternità.

Per questo io ritengo che non si debba importunare quelli che si convertono a Dio tra i pagani, ma solo si ordini loro di astenersi dalle sozzure degli idoli, dalla impudicizia, dagli animali soffocati e dal sangue. Mosè infatti, fin dai tempi antichi, ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe». (At 15,13-21)

Così si risolse la diatriba intorno alla conversione dei pagani, “lo Spirito Santo”, prima “e noi” anche e mai viceversa. Gesù Cristo è a Capo della Chiesa e la governa per il tramite del Santo Spirito. In epoche razionalistiche ed intellettualistiche come la nostra, questa realtà è troppo dura da digerire, all’esterno ma anche all’interno della Chiesa Universale.




Settimo Concilio Ecumenico: Nicea II 786 d.C.

DEFINIZIONE

Il santo, grande e universale concilio, per grazia di Dio e per decreto dei pii e cristiani nostri imperatori Costantino ed Irene, sua madre, riunito per la seconda volta nella illustre metropoli di residenza imperiale, nel tempio della santa e inviolata Theotokos e sempre vergine Maria, seguendo la tradizione della chiesa cattolica, definisce quanto segue.

Satana ha fuorviato gli uomini, in modo che venerassero la creatura invece del Creatore. La Legge Mosaica e i Profeti hanno cooperato per annullare questa rovina; ma per salvare l’umanità, Dio ha mandato il suo Figlio, che ci ha allontanato dall’errore e dall’adorazione degli idoli, e ci ha insegnato l’adorazione di Dio in spirito e in verità. Come messaggeri della sua dottrina di salvezza ci ha lasciato i suoi Apostoli e discepoli, e questi hanno adornato la Chiesa, la sua Sposa, con le sue gloriose dottrine. Questo ornamento della Chiesa i santi Padri e i sei Concili Ecumenici hanno conservato inviolato.

Cristo, nostro Dio, ci fece dono della sua conoscenza e ci liberò dalle tenebre e dal furore degli idoli. E dopo aver fatta sua sposa la sua Chiesa, senza macchia e senza ruga promise di conservarla e confermò questa promessa dicendo ai suoi discepoli Io sono con voi ogni giorno, fino alla fine dei secoli. Ma questa promessa egli non la fece solo a loro ma anche a noi, che attraverso loro abbiamo creduto nel suo nome.

Alcuni, dunque, incuranti di questo dono, come se avessero ricevuto le ali dal nemico ingannatore, hanno deviato dalla retta ragione opponendosi alla Tradizione della Chiesa Cattolica, hanno riportato l’idolatria sotto l’apparenza del cristianesimo e non hanno più raggiunto la conoscenza della verità. E, come dice il proverbio, sono andati errando per i viottoli, del proprio campo e hanno riempito le loro mani di sterilità; hanno tentato, infatti, di screditare le immagini dei sacri monumenti dedicati a Dio; sacerdoti, certo, di nome, ma non nell’essenza. Di questi il Signore dice cosi nella profezia: Molti Pastori hanno devastato la mia vigna; hanno contaminato la mia parte, seguendo, infatti, uomini scellerati, e trascinati dalle loro passioni, hanno accusato la santa Chiesa, sposata a Cristo Dio, e non distinguendo il sacro dal profano, hanno messo sullo stesso piano le immagini di Dio e dei suoi santi e le statue degli idoli diabolici.

Come allora Cristo armò i suoi Apostoli contro l’antica idolatria con la potenza dello Spirito Santo, e li mandò in tutto il mondo, così egli ha risvegliato contro la nuova idolatria i suoi servi, i nostri fedeli imperatori, e li ha dotati della sua stessa saggezza dello Spirito Santo. Spinti dallo Spirito Santo, essi non potevano più essere testimoni della distruzione della Chiesa a causa dell’inganno dei demoni, e convocarono l’assemblea santificata dei Vescovi amati da Dio, per istituire in un Concilio un esame scritturale sulla teologia ingannevole delle immagini, che trascina lo spirito dell’uomo dall’adorazione alta di Dio all’adorazione bassa e materiale della creatura: tutto ciò perché la divina Tradizione della Chiesa Cattolica riuscisse rafforzata da un voto comune. Dopo indagini, quindi, e discussioni scrupolosissime, con l’unico scopo di seguire la verità, noi né togliamo né aggiungiamo cosa alcuna; vogliamo solo conservare intatto tutto ciò che è proprio della Chiesa Cattolica. Osservanti, perciò, dei santi sei Concili Ecumenici, e specialmente di quello che fu tenuto nella nobile e grande città dei Niceni; e di quello celebrato dopo di esso nella città imperiale, cara a Dio, che decretarono che:

Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e di quelle invisibili: e in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio unigenito di Dio, generato dal Padre prima di tutti i secoli, luce da luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose. Per noi uomini e per la nostra salvezza egli discese dal cielo, e per opera del Santo Spirito si è incarnato nel seno della vergine Maria, e divenne uomo. Fu
crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, fu sepolto e risuscitò il terzo giorno secondo le Scritture, salì al cielo, sedette alla destra del Padre: verrà nuovamente nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. E nello Spirito, che è Santo, Signore, Vivifico [datore di vita], che procede dal Padre; che col Padre e col Figlio deve essere adorato e glorificato, ed ha parlato per mezzo dei Profeti. E alla Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per la remissione dei peccati e aspettiamo la resurrezione dei morti, e la vita del secolo futuro. Amin.

Detestiamo e anatematizziamo Ario ed i suoi seguaci, e quelli che hanno in comune con lui la sua insana dottrina; cosi pure Macedonio ed i suoi, ben a ragion chiamati “pneumatomachi”, cioè gente che combatte lo Spirito. Confessiamo anche la signora nostra, la santa Maria, come vera e propria madre di Dio: essa, infatti, ha partorito nella sua carne una persona della Trinità, Cristo, nostro Dio, come ha insegnato anche il primo concilio di Efeso, che scacciò dalla chiesa l’empio Nestorio, e quelli che ne seguono il pensiero, perché introducevano un dualismo di persone (in Cristo). Confessiamo inoltre anche le due nature di colui che si è incarnato per noi dall’intemerata Madre di Dio e sempre vergine Maria, riconoscendo in lui un perfetto Dio e un perfetto uomo, come ha proclamato anche il concilio di Calcedonia, scacciando dalla chiesa Eutiche e Dioscoro, blasfemi. Accomuniamo ad essi Severo, Pietro, e il grandemente blasfemo loro codazzo, intrecciati l’uno all’altro. Con essi anatematizziamo le favolose invenzioni di Origene, di Evagrio, e di Didimo, come fece anche il quinto concilio riunito a Costantinopoli. Predichiamo, inoltre, in Cristo due volontà e due operazioni, secondo la proprietà delle nature, come solennemente dichiarò il sesto sinodo di Costantinopoli, sconfessando Sergio, Onorio, Ciro, Pirro, Macario, negatori della pietà, e i loro accoliti. Noi intendiamo custodire gelosamente intatte tutte le tradizioni ecclesiastiche, sia scritte che orali. Una di queste, in accordo con la predicazione evangelica, è la pittura delle immagini, che giova senz’altro a confermare la vera – e non frutto di fantasia – incarnazione del Verbo di Dio, e ha una simile utilità per noi infatti, le cose, che hanno fra loro un rapporto di somiglianza, hanno anche senza dubbio un rapporto scambievole di significato.

In tal modo, procedendo sulla via regia, seguendo in tutto e per tutto l’ispirato insegnamento dei nostri santi padri e la tradizione della Chiesa Cattolica riconosciamo, infatti, che il santo Spirito abita in essa noi definiamo con ogni accuratezza e diligenza che, a somiglianza della preziosa e vivificante Croce, le venerande e sante immagini sia dipinte che in mosaico, di qualsiasi altra materia adatta, debbono essere esposte nelle sante Chiese di Dio, nelle sacre suppellettili e nelle vesti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l’immagine del Signore e Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella della intemerata Signora nostra, la santa Madre di Dio, degli angeli degni di onore, di tutti i santi e pii uomini. Infatti, quanto più continuamente essi vengono visti nelle immagini, tanto più quelli che le vedono sono portati al ricordo e al desiderio di quelli che esse rappresentano e a tributare ad essi rispetto e venerazione. Non si tratta, certo, secondo la nostra fede, di un vero culto di latria, che è riservato solo alla natura divina, ma di un culto simile a quello che si rende alla immagine della preziosa e vivificante croce, ai santi evangeli e agli altri oggetti sacri, onorandoli con l’offerta di incenso e di lumi, com’era uso presso gli antichi. L’onore reso all’immagine, infatti, passa a colui che essa rappresenta; e chi adora l’immagine, adora la sostanza di chi in essa è riprodotto.

In tal modo si rafforza l’insegnamento dei nostri santi Padri, ossia la tradizione della Chiesa Cattolica, che ha accolto il Vangelo da un confine all’altro della terra; in tal modo siamo seguaci di Paolo, del divino collegio Apostolico, e della santità dei Padri, tenendoci stretti alle tradizioni che abbiamo ricevuto; così possiamo cantare alla Chiesa gli inni trionfali dei profeti: rallegrati molto, figlia di Sion, esulta figlia di Gerusalemme; godi e gioisci, con tutto il cuore; il Signore ha tolto di mezzo a te le iniquità dei tuoi avversari, sei stata liberata dalle mani dei tuoi nemici. Dio, il tuo re, è in in mezzo a te; non sarai più oppressa dal male, e la pace porrà in te la sua dimora in eterno.

Dopo aver abrogato la definizione falsamente detta dello pseudo-concilio tenutosi durante il regno di Costantino il Copronimo a Blachernae, con i Diaconi Epifanio e Giovanni che la leggevano; e dopo aver proclamato San Germano, e Giovanni Damasceno, e Giorgio Cipriota Ortodossi e Santi, ha emesso una definizione formulata come segue:

«Definiamo la regola con tutta l’accuratezza e la diligenza, in modo non dissimile da quello che si addice alla forma della preziosa e vivificante Croce, che le venerabili e sante icone, dipinte o a mosaico, o fatte di qualsiasi altro materiale adeguato, siano collocate nelle sante chiese di Dio su vasi e paramenti sacri, muri e pannelli, case e strade, sia del nostro Signore e Dio e Salvatore Gesù Cristo, sia della nostra intemerata Signora la santa Theotokos e anche dei preziosi Angeli, e di tutti i Santi. Quanto più frequentemente e spesso vengono visti nella rappresentazione pittorica, tanto più coloro che li osservano vengono ricordati e portati a visualizzare di nuovo il ricordo degli originali che rappresentano e per i quali, inoltre, suscitano anche un desiderio nell’anima delle persone che osservano le icone. Di conseguenza, tali persone sono spinte non solo a baciarle e a render loro l’adorazione onoraria, ma soprattutto sono pervase dalla vera fede che si riflette nella nostra adorazione che è dovuta solo a Dio e che si addice solo alla natura divina (l’adorazione è definita da San Basilio il Grande come un culto intenso e continuativo, che non si discosta dall’oggetto adorato). Ma questo culto deve essere dato nel modo suggerito dalla forma della preziosa e vivificante Croce, e dai santi Vangeli, e dal resto delle sacre istituzioni, e l’offerta d’incenso, e di candele allo scopo di onorarli, proprio come era consuetudine fare tra gli antichi per manifestare la pietà. Poiché ogni onore reso all’icona (o all’immagine) si riversa sull’originale, e chi si inchina in adorazione davanti all’icona, si inchina allo stesso tempo in adorazione alla persona (o ypòstasi) di chi in essa è raffigurato. Perché così era la dottrina dei nostri Santi Padri e la Tradizione della Chiesa universale».

ANATEMI RIGUARDO ALLE SACRE IMMAGINI

Se qualcuno non ammette che Cristo, nostro Dio, possa esser limitato, secondo l’umanità, sia anatema.
Se qualcuno rifiuta che i racconti evangelici siano rappresentati con disegni, sia anatema.
Se qualcuno non venera queste [immagini], [fatte] nel nome del Signore e dei suoi Santi, sia anatema.
Se qualcuno rigetta ogni tradizione ecclesiastica, sia scritta che non scritta, sia anatema.

CANONI

I. Bisogna osservare in tutto i sacri canoni.

Quelli che hanno la dignità del sacerdozio, hanno il criterio costituito dalle testimonianze e dalle indicazioni delle prescrizioni canoniche. Noi le accettiamo con gioia, e cantiamo con Davide divinamente ispirato, dicendo a Dio: Mi sono dilettato dei tuoi comandamenti, come di ogni ricchezza. E hai emanato i tuoi comandamenti con giustizia in eterno; dammene l’intelligenza e vivrò. Se, dunque, la voce dei profeti ci comanda di osservare in eterno i comandamenti di Dio, e di vivere in essi, è chiaro che essi devono rimanere intatti e stabili. Anche Mosè, infatti, che vide Dio, dice cosi: In essi non vi è nulla da aggiungere e nulla da togliere (Dt 12,32). E il divino apostolo Pietro, gloriandosi in essi, grida: In essi gli angeli desiderano ardentemente di volgere lo sguardo (1 Pt 1,12); e Paolo: Ma anche se noi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunziato, sia anatema (Gal 1,8).

Convinti di ciò ne facciamo professione e ce ne rallegriamo come i soldati rallegrano di abbondanti spoglie, gioiosamente accogliamo nel nostro cuore i divini canoni, e conserviamo integre e certe le loro prescrizioni, sia quelle emanate dai lodevolissimi Apostoli, trombe dello Spirito, che quelle dei sei Concili Ecumenici, dei Concili locali e quelli dei nostri santi Padri. Da tutti questi uomini, illuminati, infatti, da un solo e medesimo Spirito, sono state prescritte regole che sono per la nostra utilità. Sicché quelli che essi hanno anatematizzato lo sono anche per noi; quelli deposti lo sono anche per noi; quelli giudicati degni di scomunica, lo sono anche per noi; quelli sottoposti a pene, lo sono anche per noi allo stesso modo. Il vostro modo di vivere non sia amante del denaro, ma contentatevi di quanto avete (Eb 13,5): cosi esclama con chiara voce il divino Paolo, colui che sali al terzo cielo e ascoltò parole indicibili. (2 Cor 12,2-4)

II. Chi viene ordinato vescovo prometta di osservare i sacri canoni, altrimenti non deve essere ordinato.

Poiché cantando i salmi promettiamo a Dio: Mediterò i tuoi comandamenti; non dimenticherò le tue parole (Sal 118,16), è certamente doveroso che ogni cristiano osservi tutto ciò; ma in modo particolare coloro che hanno conseguito la dignità sacerdotale. Stabiliamo, perciò, che chiunque sia promosso all’episcopato, debba conoscere a memoria il Salterio, sicché possa ammonire tutto il clero, che da lui dipende, a istruirsi allo stesso modo. Il Metropolita indaghi diligentemente l’ordinando se egli legge volentieri, e non di corsa, ma con attenzione sia i sacri Canoni e il santo Vangelo, sia il libro del divino Apostolo, e tutta la sacra Scrittura; e se si comporta secondo i divini precetti, e istruisce cosi il suo popolo. Le parole divine, ossia la vera conoscenza delle sacre Scritture, sono l’essenza, infatti, del nostro sacerdozio, come afferma il grande Dionigi (DIONIGI AEROPAGITA, Hierarchia coelestis, 1, 4 [PG 3, 389]). Che se egli non fosse d’accordo, e non fosse disposto a comportarsi e ad insegnare cosi, non sia ordinato. Dice, infatti, Dio per mezzo dei profeti: Tu hai respinto la scienza, io respingerò te, perché tu non sia mio sacerdote (Os 4,6).

III. I principi non devono eleggere un vescovo

Ogni elezione di un Vescovo, di un Sacerdote, di un Diacono, fatta dai principi secolari è invalida, secondo il Canone: “Se un vescovo con l’appoggio dell’autorità secolare ha ottenuto una Chiesa sia deposto e siano scomunicati tutti quelli che comunicano con lui” (Canoni degli apostoli, 30). Bisogna, infatti, che chi dev’essere promosso all’episcopato, sia eletto da Vescovi, com’è stato stabilito dai santi Padri di Nicea, nel canone: “E’ sommamente conveniente che il Vescovo sia eletto da tutti i Vescovi della provincia; se ciò fosse difficile per una urgente necessità o per le distanze, almeno tre, raccoltisi nello stesso luogo, non senza che i Vescovi assenti abbiano dato il loro parere per iscritto, facciano l’ordinazione. La conferma di quanto è stato compiuto è riservata, in ciascuna provincia, al Metropolita” (Concilio di Nicea, 4).

IV. I vescovi si devono astenere da ogni baratto.

Il banditore della verità, il divino apostolo Paolo, stabilendo quasi una norma per i presbiteri di Efeso, o meglio, per tutto il clero, dice con estrema libertà: io non ho desiderato né l’argento, né l’oro, né la veste di nessuno. Vi ho mostrato in ogni maniera che cosi, lavorando, bisogna aiutare i deboli, stimando più felice il dare (21).

Anche noi, quindi, istruiti da lui, stabiliamo che in nessun modo per turpe lucro un vescovo adducendo scuse ai suoi peccati (22) possa chiedere oro, argento, o altra cosa, ai vescovi, ai chierici, o ai monaci che sono sotto di lui. Dice, infatti, l’apostolo: Gli ingiusti non avranno in sorte il regno di Dio (23) e: I figli non devono accumulare per i genitori, sono piuttosto questi che devono metter da parte per i figli (24).

Se, perciò, qualcuno, volendo denaro o qualsiasi altra cosa, o per innata passione allontanasse o escludesse qualcuno dei suoi chierici dal suo ministero, o chiudesse il tempio venerando, cosi che non potesse più tenersi in esso il divino servizio, spingendo la sua pazzia a cose insensate, poiché si mostra davvero insensato, sarà soggetto a pena analoga, che ricadrà sul sito stesso capo (25) poiché si rende trasgressore di un precetto di Dio e delle prescrizioni apostoliche. Comanda, infatti, anche Pietro, il principale tra gli apostoli: Pascete il gregge di Dio, che è in mezzo a voi, non forzatamente, ma volentieri, conforme alla volontà di Dio, non per volgare desiderio di guadagno, ma con zelo, non come chi vuole signoreggiare il clero, ma trasformandosi in modelli del gregge,e quando apparirà il Pastore dei pastori, riceverete la corona di gloria che non marcisce (26).

V.

Chi schernisce i chierici ordinati senza donativi sia punito.

Il peccato conduce alla morte (27) quando qualcuno, dopo aver peccato, non si corregge. Peggio ancora, se qualcuno si erge arrogantemente contro la pietà e la verità, amando mammona più dell’obbedienza a Dio, e non tenendo in nessun conto i suoi precetti canonici. In loro non abita il Signore Dio (28), a meno che, umiliati per il proprio errore, non si correggano: bisogna, infatti che essi si avvicinino maggiormente a Dio, e con cuore contrito gli chiedano la remissione di questo peccato e la sua indulgenza, piuttosto che vantarsi di donativi illeciti: poiché Dio è vicino a quelli che sono contriti di cuore (29).

Quelli dunque che si gloriano di essere stati ordinati per una chiesa per mezzo del denaro e pongono le loro speranze in questa loro prava consuetudine, che aliena da Dio e da ogni sacerdozio, e che, per di più, impudentemente e sfacciatamente hanno espressioni offensive contro chi per la propria vita virtuosa è stato scelto e costituito (nel sacerdozio) dallo Spirito santo senza denaro; quelli, dunque, che fanno ciò, prima siano posti all’ultimo gradino del loro ordine; se poi insistessero, siano assoggettati alle pene ecclesiastiche.

Se poi nell’ordinazione si venisse a sapere che qualcuno in passato avesse fatto ciò, si agisca secondo il canone apostolico, che dice: “Se un vescovo, un presbitero o un diacono, hanno ottenuto la loro dignità col denaro, siano deposti, loro e chi li ha ordinati, e siano in ogni modo privati della comunione, come Simon mago da me Pietro” (30). Ciò anche conformemente al secondo canone dei nostri santi padri di Calcedonia, che dice: “Se un vescovo facesse una sacra ordinazione per denaro, e riducesse ad una vendita quella grazia che per sua natura non si può vendere, e consacrasse per denaro un vescovo, un corepiscopo, un presbitero, un diacono, o un qualsiasi altro membro del clero; o, sempre per denaro, nominasse un amministratore, o un pubblico difensore, o una guardia, o, insomma, uno qualsiasi del clero, per vile guadagno; chi, dunque, avrà realmente fatto ciò, metterà in serio pericolo il suo posto. Colui poi che è stato consacrato, non dovrà ricavare nessun utile da una consacrazione fatta per commercio e dalla sua promozione; sia considerato, invece, estraneo alla sua dignità e all’ufficio, che ha ottenuto col denaro. Se poi si venga a sapere che qualcuno ha fatto da mediatore in cosi vergognosi e illeciti guadagni, anche costui, se fosse un chierico decada dalla propria dignità, se fosse un laico o monaco, sia scomunicato” (31).

VI.

Che ogni anno si celebri il sinodo locale.

Vi è un canone che dice: “Due volte all’anno bisogna riunire i vescovi di ogni provincia per discutere i problemi” (32). Però per il disagio, o perché i vescovi che devono riunirsi sono sempre in difficoltà quando devono mettersi in cammino, i santi padri del sesto sinodo hanno stabilito che “assolutamente e senza scuse si tenessero almeno una volta all’anno, per riformare ciò che ne ha bisogno” (33). Questo canone lo riconfermiamo anche noi; se poi vi sarà qualche autorità (civile) che intenda impedire ciò, sia privata della comunione; e se un metropolita, senza necessità, né impedimenti, né plausibili motivi, trascurasse di mettere in pratica questa prescrizione, sia assoggettato alle pene canoniche.

Quando poi il Sinodo tratta le questioni riguardanti i sacri canoni e gli Evangeli, i vescovi riuniti devono avere la massima cura di osservare i divini e vivificanti comandamenti di Dio: Nell’osservarli, infatti, è posta una grande ricompensa (34); perché il comandamento è una lucerna, e la legge una luce, e la correzione e la disciplina è la via della vita (35): il comandamento di Dio è luminoso e illumina gli occh (36). Il metropolita non ha il diritto di esigere qualche cosa di quelle che un vescovo avesse portato con sé, sia essa un giumento o altro. Se sarà provato che l’ha fatto, restituirà quattro volte tanto.

VII.

Bisogna completare le nuove chiese, consacrate senza le reliquie dei santi.

Dice il divino apostolo Paolo: I peccati di alcuni uomini si manifestano prima, quelli di altri dopo (37). Quindi ai peccati precedenti, seguiranno altri peccati. Per questo, all’empia eresia dei calunniatori dei cristiani, sono seguite altre empietà. Come infatti hanno tolto dalla chiesa la vista delle venerande immagini, cosi hanno abbandonato anche altre consuetudini, che bisogna ripristinare secondo la legislazione sia scritta, che solo tramandata.

Comandiamo che nelle chiese che sono state consacrate senza le reliquie dei santi martiri, venga fatta la deposizione delle reliquie, naturalmente con la consueta preghiera. Da oggi in poi un vescovo che consacrasse una chiesa senza reliquie, sia deposto per aver trasgredito le tradizioni ecclesiastiche.

VIII.

Non bisogna accogliere gli Ebrei che non si convertono sinceramente.

Poiché quelli che appartengono alla religione ebraica, errando, credono di potersi far beffe di Cristo Dio, fingendo di vivere da cristiani, e invece lo negano, celebrando di nascosto i loro sabati e seguendo altre pratiche giudaiche, disponiamo che costoro non debbano essere ammessi né alla comunione, né alla preghiera, né in chiesa. Siano apertamente Ebrei, secondo la loro religione! Stabiliamo anche che non si devono battezzare i loro figli, e che essi non possono acquistare né possedere servi. Se qualcuno di loro però, si convertirà con fede e con cuore sincero, e crederà con tutto il suo cuore, abbandonando i loro costumi e le loro azioni affinché anche altri possano essere ripresi e corretti, egli e i suoi figli potranno essere accolti, battezzati e aiutati perché si astengano dalle superstizioni ebraiche; altrimenti non siano ammessi.

IX.

Non si nasconda alcun libro dell’eresia che calunnia i cristiani.

Tutti i giuochi da bambini, sciocchi baccanali e falsi scritti, composti contro le sacre immagini, devono essere consegnati all’episcopio di Costantinopoli, perché siano sequestrati con gli altri libri eretici. Se si scoprirà che qualcuno li avrà nascosti, sia deposto, se vescovo, sacerdote o diacono; se laico o monaco, sia anatematizzato.

X.

Un chierico non deve lasciare la propria Parrocchia per un’altra, all’insaputa del vescovo.

Poiché alcuni chierici, eludendo le disposizioni canoniche, lasciano la loro parrocchia e corrono ad altre, specie in questa imperiale città cara a Dio e stanno presso i potenti, officiando le loro cappelle, essi senza il permesso del loro vescovo e di quello di Costantinopoli non devono essere accolti in nessuna casa o chiesa. Se qualcuno farà ciò, qualora perseverasse, sia deposto.

Quelli che col consenso dei suddetti vescovi fanno ciò non possono però occuparsi di affari mondani o secolari, lo proibiscono i sacri canoni. E se qualcuno avesse accettato le funzioni di maggiordomo la smetta o sarà deposto. Molto meglio sarebbe che costui istruisse i fanciulli e i domestici, leggendo loro le sacre Scritture: per questo, infatti, è stato fatto sacerdote.

XI.

Negli episcopi e nei monasteri debbono esservi degli amministratori.

Obbligati ad osservare tutti i sacri canoni, dobbiamo conservare immutato anche quello per cui vi deve essere in ogni chiesa un amministratore. Se, quindi, ogni metropolita costituisce questo economo nella sua chiesa, bene, altrimenti il vescovo di Costantinopoli ha il potere di imporre d’autorità a tale chiesa l’economo. Lo stesso possono fare i metropoliti nei riguardi dei vescovi loro sottoposti. La stessa norma deve essere osservata anche nei monasteri.

XII.

Il vescovo e l’abate non devono alienare i fondi della chiesa.

Se un vescovo o un abate dà una parte dei beni del vescovado o del monastero alle autorità o a qualche altra persona, la donazione è nulla, secondo il canone dei santi apostoli, che dice: “Il vescovo abbia cura di tutti i beni ecclesiastici, e li amministri come se Dio lo vedesse. Non gli è permesso appropriarsene o donare ai propri parenti le cose di Dio. Se essi sono poveri, provveda ad essi come poveri; ma non avvenga che, con la scusa di essi, venda i beni della chiesa” (38).

Se poi adducesse la scusa che la proprietà non dà alcun frutto, neppure in questo caso può darla ai signori temporali, ma solo a dei chierici o a dei contadini. Se poi il signore, con riprovevole astuzia comprasse la proprietà dal contadino o dal chierico, neppure cosi l’acquisto sarà valido e dovrà essere restituito al vescovado o al monastero. Il vescovo o l’abate che hanno operato in questo modo siano cacciati, hanno dissipato, infatti, quanto non avevano raccolto.

XIII.

Sono degni di condanna quelli che riducono i monasteri a comuni abitazioni.

Durante la calamità che ha colpito le nostre chiese a causa dei nostri peccati, alcuni episcopi e monasteri sono stati ridotti a comuni abitazioni di proprietà privata. Se i possessori credono di restituirle, perché siano riportate alla loro destinazione originaria, ottimamente!; in caso contrario, essi appartengono al clero, siano deposti; se sono monaci o laici, siano scomunicati: sono, infatti, già condannati dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito santo; e siano destinati là dove il verme non muore, e il fuoco non si spegne (39), perché si oppongono alla voce del Signore: Non trasformate la casa del Padre mio in un mercato (40).

XIV.

Senza imposizione delle mani non si può leggere dall’ambone nelle liturgie.

L’ordine deve regnare nelle cose sacre e pertanto si osservino con diligenza i vari livelli del sacerdozio.

Dato che alcuni, che fin da bambini hanno ricevuto la tonsura clericale, senza altra ordinazione da parte del vescovo, leggono dall’ambone nelle adunanze liturgiche, contro i sacri canoni, ordiniamo che da questo momento ciò non sia più consentito, neppure ai monaci.

Tuttavia ciascun superiore di un monastero potrà creare un lettore nell’ambito del proprio monastero, se però egli stesso ha ricevuto l’imposizione dal vescovo ed è sicuramente prete. Ugualmente bisogna che i corepiscopi, secondo l’antica consuetudine, promuovano i lettori solo per comando del vescovo.

XV.

Un chierico non dev’essere addetto a due chiese.

D’ora in poi, un chierico non potrà essere addetto a due chiese: ciò, infatti, è proprio di chi desidera far commercio e turpe guadagno, ed è alieno dalle consuetudini ecclesiastiche. Abbiamo ascoltato, infatti, dalla stessa voce del Signore che uno non può servire due padroni,- o odierà uno e amerà l’altro, ovvero sarà favorevole all’uno, disprezzando l’altro (41). Quindi ognuno, conforme alla voce dell’apostolo: in ciò a cui fu chiamato, in questo rimanga (42), deve servire in una sola chiesa: quanto, infatti, nelle cose ecclesiastiche viene fatto per turpe guadagno è alieno da Dio. Per le necessità della vita, vi sono molte occupazioni: da queste, se uno vuole, si procuri ciò che è necessario alla vita. Dice, infatti, l’apostolo: Alle mie necessità e a quelle di coloro che sono con me, hanno provveduto queste mani (43).

Queste disposizioni valgono per questa città, che Dio ha in custodia. Per gli altri luoghi, considerata la penuria di soggetti, si sia più indulgenti.

XVI.

Un sacerdote non deve indossare vesti preziose.

I raffinati ornamenti del corpo sono estranei allo stato sacerdotale, perciò i vescovi e i chierici che si ornano con vesti lussuose e appariscenti, devono smetterla, altrimenti siano puniti. Ugualmente si dica di quelli che usano profumi.

Poiché la radice velenosa (44), lussureggiando ha contaminato la chiesa cattolica – intendiamo l’eresia di quelli che diffamano i cristiani – e quelli che l’hanno fatta propria non solo hanno in abominazione immagini dipinte, ma hanno rinunziato ad ogni segno di riverenza e detestano quelli che vogliono vivere religiosamente e piamente (e si avvera in essi ciò che è scritto: La Pietà à abominazione per il peccatore) (45); dunque, quelli che deridono chi indossa vesti semplici e sacre, siano puniti. Fin dai tempi antichi, i preti usarono vesti modeste e umili, perché tutto ciò che si usa non per necessità, ma per eleganza, non sfugge all’accusa di “frivolezza”, come afferma Basilio Magno (46). Allora non si usava neppure una veste di seta variopinta, né si ornavano i bordi dei vestiti con aggiunte di vario colore, attenti a ciò che Dio stesso aveva detto: quelli che sono vestiti mollemente, stanno nei Palazzi dei re (47).

XVII.

Non deve costruire un oratorio chi non avesse i mezzi Per condurlo a termine.

Alcuni monaci, smaniosi di comandare e senza alcuna voglia di obbedire, lasciano i loro monasteri e cominciano a costruire degli oratori, senza avere i mezzi per condurli a termine. Se qualcuno, quindi, tentasse di fare ciò, gli sia impedito dal vescovo del luogo; se però ha il necessario per terminare la costruzione, gli si lasci fare quanto ha in animo. La stessa norma vale per i laici e i chierici.

XVIII.

Le donne non dimorino negli episcopi o nei monasteri maschili.

Siate irreprensibili, anche con gli estranei, dice il divino apostolo (48). Che le donne dimorino negli episcopi o nei monasteri è causa di scandalo. Se perciò un vescovo o un abate hanno acquistato una serva o una libera per un qualsiasi servizio nell’episcopio o nel monastero, questi sia ripreso. Se persevera, sia deposto. Se poi le donne fossero nelle proprietà di campagna e il vescovo o l’abate volessero recarsi là, in quella circostanza non sia assolutamente permesso ad una donna di compiere il suo servizio presente il vescovo o l’abate, ma se ne stia in luogo appartato, finché se ne siano andati, perché non vi sia nulla da dire.

XIX.

Che le professioni dei sacerdoti, Monaci e monache debbano farsi senza doni.

Taluni rettori di chiese, anche alcuni che sono ritenuti pii, uomini e donne, dimenticando i comandamenti di Dio sono accecati dall’avidità al punto da ammettere sia al sacerdozio che allo stato di monaco per denaro. E quelli che hanno male incominciato, proseguono peggio, secondo l’espressione di Basilio Magno (49). Non si può servire Dio, infatti, per mezzo di mammona (50). Perciò se un vescovo o un abate o qualsiasi altro del ceto sacerdotale agsce cosi o cessi o sia deposto, in conformità del canone secondo del sacro concilio di Calcedonia. In caso poi che si tratti di una badessa sia cacciata dal monastero e sia relegata in un altro monastero, sottoposta ad altri. Cosi vengano trattati anche gli abati, che non sono sacerdoti.

Per ciò che i genitori danno come dote ai figli che entrano in monastero o per quanto essi portano, dichiarando di consacrarlo a Dio, stabiliamo che tali beni restino nel monastero, secondo la promessa fatta, sia che essi rimangano sia che se ne vadano, a meno che non vi sia colpa del superiore del monastero.

XX.

Non devono Più costituirsi monasteri doppi.

Stabiliamo che d’ora in poi non possano più fondarsi monasteri misti; ciò, infatti, si risolve per molti in scandalo e disorientamento. Se vi sono dei congiunti che intendono rinunziare insieme al mondo per la vita monastica, gli uomini devono andare in un monastero maschile, le donne in uno femminile, perché cosi piace a Dio.

I monasteri per uomini e donne esistenti, si attengano fedelmente alla regola del nostro santo padre Basilio (51), e si conformino alle sue disposizioni. Non vivano in uno stesso monastero monaci e monache, perché l’adulterio suole accompagnare la coabitazione. Il monaco e la monaca non abbiano possibilità parlarsi a tu per tu. Un monaco non dorma presso il monastero delle monache, e non si trattenga a mangiare da solo con una monaca. E quando da parte maschile devono esser fatti pervenire alle monache i generi necessari alla vita, questi siano presi in consegna dalla badessa del monastero delle donne fuori della porta, alla presenza di una monaca anziana. Anche nel caso che un monaco volesse vedere una sua parente, parli con lei alla presenza della badessa, con poche e brevi parole, e subito si ritiri.

XXI.

I monaci non devono lasciare i propri monasteri per recarsi in altri.

Un monaco o una monaca non devono lasciare il proprio monastero per recarsi in un altro. Se ciò avvenisse si deve ospitarli, ma non accoglierli stabilmente, senza il consenso del loro superiore.

XXII.

I monaci, se mangiano con donne, lo facciano con riconoscenza (a Dio), con moderatione e con cautela.

E’ gran cosa offrire tutto a Dio e non servire ai propri desideri. Sia, infatti, che mangiate, sia che beviate, dice il divino apostolo, fate ogni cosa a gloria di Dio (52). Cristo, nostro Dio, ci ha comandato nei suoi Evangeli di recidere gli inizi dei peccati: non solo ha proibito l’adulterio, ma ha condannato anche il moto del pensiero che tende all’adulterio. Dice, infatti, il Signore: Chi guarda una donna desiderandola, nel suo cuore ha già commesso adulterio con essa (53).

Ammaestrati da ciò, dobbiamo purificare i nostri pensieri: poiché se tutto è lecito, non tutto però è conveniente (54), come insegna la voce dell’Apostolo. E’ necessario, che ognuno mangi per vivere. Quelli che vivono nel matrimonio, hanno figli, e sono laici vivono insieme tra uomini e donne senza dare adito a critiche. Basta che ringrazino chi dà loro il cibo e non con spettacoli teatrali, con canti satanici, con chitarre e movimenti flessuosi delle membra degni di meretrici; questi saranno colpiti dalla maledizione del profeta: Guai a quelli che bevono il vino con suoni e canti, e non badano alle opere del Signore, né comprendono le opere delle sue mani (55). Se tra i cristiani vi è chi si comporta cosi, si corregga, altrimenti siano applicate loro le norme tradizionali.

Quelli, invece, che conducono una vita modesta e solitaria, perché hanno promesso al Signore di prendere su di sé un giogo singolare, questi se ne stiano fermi e in silenzio (56). Ma neppure a coloro che hanno scelto la vita ecclesiastica, è assolutamente lecito mangiare da soli con le donne; a meno che non sia presente qualcuno, pio e timorato di Dio, o qualche donna, di modo che lo stesso mangiare giovi al progresso spirituale. Identica norma si osservi con i parenti. Se però capita che in viaggio un monaco o un chierico non abbiano portato il necessario e, quindi deve alloggiare in un albergo o in casa di qualcuno, costui è libero di farlo, perché spinto dalla necessità.




IL “TU SEI PIETRO” NELL’ESEGESI PATRISTICA

La tradizione esegetica patristica è unanime sul significato della “pietra”. L’infallibilità della Chiesa non si fonda su una persona umana ma sulla fede che Dio stesso rivela e che va oltre “la carne ed il sangue”. L’infallibilità non risiede in un qualcosa o in un qualcuno che sia magico ma nella disponibilità dei santi ad accogliere la vera fede, rivelata una volta per sempre da Dio. La Chiesa esisterà fino a quando anche un piccolo resto sarà in grado di accogliere questa rivelazione divina. Come si accorderebbe una supposta infallibilità del “Vicario di Cristo” con il detto evangelico: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8). Per di più un uomo che fosse “infallibile” dovrebbe essere sprovvisto di libero arbitrio perché di fatto non sarebbe libero, non potendo fallire, ogni qual volta proclamasse una verità di fede o di morale “ex Cathedra”. I confini di questo ex Cathedra, poi, evolvono e si modificano ogni qual volta si prende in esame una promulgazione papale problematica. Inutile ricorrere ai tanti errori anche gravi in cui tutti i Patriarchi, quello di Roma incluso, sono incorsi anche nello scritto e nella predicazione intorno alla vera fede.

A titolo di esempio, nel decreto dogmatico della XVIII sessione del terzo Concilio Ecumenico di Costantinopoli, si afferma che:

«poiché non restò inattivo colui che fin dall’inizio fu l’inventore della malizia e che, servendosi del serpente, introdusse la velenosa morte nella natura umana, così anche ora, trovati gli strumenti adatti alla propria volontà: alludiamo a Teodoro, che fu vescovo di Faran; a Sergio, Pirro, Paolo, Pietro, che furono presuli di questa imperiale città; ed anche a Onorio, che fu papa dell’antica Roma; (…); trovati, dunque, gli strumenti adatti, non cessò, attraverso questi, di suscitare nel corpo della chiesa gli scandali dell’errore; e con espressioni mai udite disseminò in mezzo al popolo fedele la eresia di una sola volontà e di una sola operazione in due nature di una (persona) della santa Trinità, del Cristo, nostro vero Dio, in armonia con la folle dottrina falsa degli empi Apollinare, Severo e Temistio» (Mansi, XI, coll. 636-637)

«Con essi riteniamo di bandire dalla santa Chiesa di Dio e di anatemizzare anche Onorio, già Papa dell’antica Roma, perché abbiamo trovato nella sua lettera a Sergio che egli ha seguito in tutto la sua opinione e che ha ratificato i suoi empi insegnamenti» (Mansi, XI, col. 556).

Il 9 agosto 681, alla fine della XVI sessione del medesimo Concilio Ecumenico, vennero rinnovati gli anatemi contro tutti gli eretici e i fautori dell’eresia, compreso Onorio: «Sergio haeretico anathema, Cyro haeretico anathema, Honorio haeretico anathema, Pyrro, haeretico anathema» (Mansi, XI, col. 622).

Le copie autentiche degli atti del Concilio, sottoscritte da 174 Padri e dall’Imperatore, furono inviate alle cinque sedi patriarcali, con particolare riguardo per quella di Roma. Ma poiché sant’Agatone morì il 10 gennaio 681, gli atti del Concilio, dopo più di 19 mesi di sede vacante, furono ratificati dal suo successore San Leone II (682-683). Nella lettera inviata il 7 maggio 683 all’imperatore Costantino IV, il Papa scriveva:

«anatemizziamo gli inventori del nuovo errore, vale a dire Teodoro di Faran, Ciro d’Alessandria, Sergio, Pirro, Paolo e Pietro della Chiesa di Costantinopoli, e anche Onorio, che non si sforzò di mantenere pura questa Chiesa apostolica nella dottrina della tradizione apostolica, ma ha permesso con un esecrabile tradimento, che questa Chiesa intemerata fosse macchiata» (Mansi, XI, col. 733)

Per sfuggire a questo dato di fatto e proclamare il dogma dell’infallibilità papale c’è stato bisogno di inserire tanti se e tanti ma, tante formule e distinguo che di fatto rendono nullo questo “dono” se permane il dubbio della possibilità che un Papa possa essere eretico o sbagliare qualche volta nell’esercizio del suo ministero. Quale certezza può avere il fedele sulle dichiarazioni papali? Sono state fatte ex Cathedra o no? Chi lo stabilisce?

Di fatto, la storia della Chiesa ci insegna che a salvare l’ortodossia siano stati nel tempo diversi Vescovi, diversi Patriarchi e addirittura singoli fedeli: pensiamo a San Massimo il Confessore.

Fatto questo preambolo pubblichiamo il testo esegetico del brano “petrino” del vangelo di Matteo che ha come autore San Cirillo di Gerusalemme e contenuto nelle sue Catechesi:

“Mentre essi erano raccolti attorno a lui, l’Unigenito di Dio li interrogò: «Chi dicono sia il Figlio dell’uomo?». Non fece la domanda per vanagloria, ma per mettere in chiaro la verità, perché essi che pur erano a contatto con la sua divinità non lo sottovalutassero come puro e semplice figlio dell’uomo.

Siccome i discepoli avevano dato per risposta «alcuni Elia e altri Geremia», egli intese dire: «Quanti mi dicono un semplice uomo sono scusabili perché non mi hanno conosciuto; ma voi, apostoli, che nel mio nome avete mondato i lebbrosi, scacciato i demoni, risuscitato morti, non dovreste ignorare in nome di chi potete compiere tali miracoli». Di fronte a una verità superiore alle umane capacità, tutti allora ammutolirono, eccetto il primo araldo della Chiesa, Pietro, la cui fede attingeva non a personale ricerca né ad umano ragionamento, ma al Padre che illumina le menti. Gli rispose non soltanto:

«Tu sei il Cristo», ma aggiunse: «Tu sei il Figlio del Dio vivente». Parole davvero al di sopra delle umane capacità! Perciò il Salvatore lo disse beato e con questo macarisma pose un sigillo alle parole di verità rivelategli dal Padre: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli». Di questa beatitudine dunque partecipa chi riconosce che nostro Signore Gesù Cristo è Figlio di Dio. Chi invece ne nega la filiazione divina è un povero disgraziato”.

Lo stesso sentire ebbero anche i Padri Occidentali:

S. Ambrogio vescovo di Milano († 397) nel “De incarnationis dominicae sacramento” , IV, 32, afferma: «Pietro… ottenne un primato, ma un primato di confessione e non d’onore, un primato di fede e non di ordine»

S. Agostino († 430) nel Sermone 76 – vedere anche Ser. 124 del trattato su Giovanni – scrive: «Il salvatore dice: tu sei Pietro e su questa pietra che tu hai confessata, su questa Pietra che tu hai riconosciuta esclamando tu sei il Cristo, il figlio dell’Iddio vivente, io edificherò la mia Chiesa, vale a dire su me stesso, che sono il figlio dell’Iddio vivente»

Infine Origene († 253) che scrisse nel suo Commento a Matteo: «Se tu immagini che solo su Pietro sia stata fondata la Chiesa che cosa potresti dire di Giovanni, il figlio del tuono, o di qualsiasi altro apostolo? E prosegue affermando che chiunque fa sua la confessione di Pietro, può – come lui – essere chiamato Pietro»

Questa è la verità della fede che purtroppo spesso viene barattata per scopi politici o di convenienza, in Occidente come in Oriente. Una vera riappacificazione tra la vera Chiesa Ortodossa e le altre “Chiese” non può che avvenire nella Verità che è il Signore Gesù Cristo nella sua rivelazione.

Anche storicamente lo scisma del Papa del 1054 vide da una parte della barricata l’interpretazione del suo proprio ministero del Vescovo di Roma, dall’altra parte quella degli altri quattro Patriarcati storici che non gli attribuivano, seguendo i canoni dei Concili Ecumenici, che una preminenza onorifica e non giurisdizionale e neanche dogmatica. Un Patriarca da una parte e quattro patriarchi solidali dall’altra. Valutare quindi che lo scisma sia stato operato dai quattro e non dall’uno in solitudine è storicamente abbastanza arduo non solo pensarlo ma anche sostenerlo e provarlo.




Sant’Ignazio Brianchaninov: Sulla lettura dei Santi Padri

Del Vescovo Ignazio Brianchaninov



Originale russo nell’opera omnia del santo: http://xn--80abexxbbim5e6d.xn--p1ai/tom1/6.shtml


Sulla lettura dei Santi Padri

La conversazione e la compagnia dei vicini hanno un grande effetto su una persona. Una conversazione e una conoscenza con uno scienziato rivelano molte informazioni, con un poeta – molti pensieri e sentimenti sublimi, con un viaggiatore – molta conoscenza dei paesi, della morale e dei costumi delle persone. È ovvio: il dialogo e la conoscenza con i santi comunicano santità. “Col santo sarai santo, e con l’uomo innocente sarai innocente, e con l’eletto sarai eletto” (Salmo 17,25–26) .

D’ora in poi, durante la tua breve vita terrena, che la Scrittura non chiama nemmeno vita, ma cammino, conosci i santi. Vuoi appartenere alla loro società in paradiso, vuoi essere partecipe della loro beatitudine? D’ora in poi entra in comunione con loro. Quando lascerai il tempio del corpo, ti accetteranno come loro conoscente, come loro amico (Lc 16,9).

Non esiste conoscenza più stretta, connessione più stretta della connessione mediante unità di pensieri, unità di sentimenti, unità di intenti (1 Cor 1,10).

Se c’è unanimità di mente, c’è anche unanimità di cuore, c’è sempre un unico obiettivo, lo stesso successo nel raggiungere la meta.

Imparate il pensiero e lo spirito dei Santi Padri leggendo i loro scritti. I Santi Padri hanno raggiunto il loro obiettivo: la salvezza. E voi raggiungerete questa meta per il corso naturale delle cose. Avendo una mentalità unica e unanime con i Santi Padri, sarete salvati.

Il Cielo ha accolto i Santi Padri nel suo seno benedetto. Con ciò testimoniò che i pensieri, i sentimenti e le azioni dei Santi Padri gli piacevano. I Santi Padri hanno espresso nei loro scritti il ​​loro pensiero, il loro cuore, il loro modo di agire. Quindi: quale guida fedele al cielo, testimoniata dal cielo stesso, sono gli scritti dei Padri?

Gli scritti dei Santi Padri furono tutti compilati sotto l’ispirazione o l’influenza dello Spirito Santo. Meravigliosa armonia in loro, meravigliosa unzione! Chi si lascia guidare da essi è, senza alcun dubbio, guidato dal Santo Spirito.

Tutte le acque della terra confluiscono nell’oceano e, forse, l’oceano funge da inizio per tutte le acque della terra. Le Opere dei Padri sono tutte unite nel Vangelo; tutte sono propense ad insegnarci l’esatto adempimento dei comandamenti di nostro Signore Gesù Cristo; di tutte, sia la fonte che il fine è il santo Vangelo.

I Santi Padri insegnano come avvicinarsi al Vangelo, come leggerlo, come comprenderlo correttamente, cosa aiuta e cosa ostacola la sua comprensione. E quindi, prima, trascorri più tempo a leggere i Santi Padri. Quando ti insegnano a leggere il Vangelo, allora leggi innanzitutto il Vangelo.

Non ritenere sufficiente per te la sola lettura del Vangelo, senza leggere i Santi Padri! Questo è un pensiero orgoglioso e pericoloso. È meglio lasciare che i Santi Padri vi conducano al Vangelo, come un loro amato figlio, che ha ricevuto una prima educazione ed istruzione attraverso i loro scritti.

Molti, tutti coloro che follemente e con arroganza rifiutarono i Santi Padri, che si avvicinarono direttamente al Vangelo, con cieca audacia, con mente e cuore impuri, caddero in un errore disastroso. Il Vangelo li ha respinti: ammette solo gli umili.

Leggere le opere dei Padri è generatore e re di tutte le virtù. Dalla lettura delle opere dei Padri apprendiamo la vera comprensione delle Sacre Scritture, la retta fede, il vivere secondo i comandamenti del Vangelo, il rispetto profondo che si deve avere per i comandamenti del Vangelo, in una parola, la salvezza e la perfezione.

La lettura degli scritti patristici, in deroga ai maestri spirituali, divenne la guida principale per coloro che desideravano salvarsi e addirittura raggiungere la perfezione cristiana.[1]

I libri dei Santi Padri, come disse uno di loro, sono come uno specchio: guardandoli attentamente e spesso, l’anima può vedere tutti i suoi difetti.

Ancora una volta, questi libri sono come una ricca raccolta di rimedi medici: in essa l’anima può trovare medicine salvifiche per ciascuno dei suoi disturbi.

Sant’Epifanio di Cipro diceva: “Uno sguardo ai libri sacri eccita alla vita pia”.[2]

La lettura dei Santi Padri deve essere approfondita, attenta e costante: il nostro nemico invisibile, “odiando la voce di affermazione” (Proverbi 11,15), odia soprattutto quando questa voce proviene dai Santi Padri. Questa voce smaschera le macchinazioni del nostro nemico, i suoi inganni, rivela le sue reti, il suo modo di agire: e perciò il nemico si arma contro la lettura dei Padri con vari pensieri orgogliosi e blasfemi, cerca di immergere l’asceta in vane preoccupazioni per distrarlo dalla lettura salvifica, lo combatte con lo sconforto e la noia, l’oblio. Da questa battaglia contro la lettura dei Santi Padri dobbiamo concludere quanto sia per noi salvifica l’arma, tanto odiata dal nemico. Il nemico è molto preoccupato di strapparcela dalle mani.

Ognuno sceglie la lettura dei Padri più adatta al proprio stile di vita. L’eremita legga i Padri che hanno scritto sul silenzio; un monaco che vive in un cenobio, i Padri che hanno scritto istruzioni per i cenobi monastici; un cristiano che vive in mezzo al mondo i Santi Padri che hanno pronunciato i loro insegnamenti per tutto il cristianesimo in generale. Tutti, qualunque sia il loro rango, traggano abbondanti insegnamenti dagli scritti dei Padri.

È indispensabile leggere secondo il proprio stile di vita. Altrimenti sarete pieni di pensieri, anche se santi, ma non realizzati dall’azione stessa, suscitando un’attività infruttuosa solo nell’immaginazione e nel desiderio; le opere di pietà non proprie del vostro stile di vita vi sfuggiranno dalle mani. Non solo diventerete dei sognatori infruttuosi, ma i vostri pensieri, essendo in costante contraddizione con il circolo delle azioni, daranno certamente origine a confusione nel vostro cuore e incertezza nel vostro comportamento, che sono pesanti e dannosi per voi e per i vostri vicini. Se non leggete correttamente le Sacre Scritture e i Santi Padri, potete facilmente allontanarvi dalla via della salvezza in un deserto impervio e in profondi abissi, come è successo a molti. Amen.


NOTE:

[1] P. Neil Sorsky. Regole.

[2] Patericon alfabetico




Cirillo di Gerusalemme: La Sacra Scrittura

La Sacra Scrittura

Queste dottrine ci sono insegnate dalle Scritture divinamente ispirate, dall’Antico e dal Nuovo Testamento. Il Dio dei due Testamenti è infatti uno solo: nel Nuovo ci ha annunziato il Cristo e nell’Antico ce l’ha preannunziato attraverso la Legge e i Profeti, come un pedagogo che doveva guidarci al Cristo. Infatti, «prima che giungessimo alla fede eravamo come sotto la custodia della Legge», ma «la Legge ci era stata data come pedagogo per condurci a Cristo». Se quindi ti capita di sentir bestemmiare qualche eretico contro la Legge e i Profeti, ribatti ricorrendo alle sue stesse sante parole: «Gesù non è venuto ad abolire ma a completare la Legge». Impegnati a distinguere i libri dell’Antico da quelli del Nuovo, stando in diligente ascolto di quanto t’insegna la Chiesa. Non leggere mai un apocrifo. Perché sprecare tempo e fatica per dottrine controverse quando ancora ignori quella universalmente riconosciuta come certa? Leggi la Sacra Scrittura, i ventidue libri dell’Antico Testamento nella traduzione dei Settanta.

Dopo la morte di Alessandro il Macedone e la divisione del suo impero nei quattro regni di Babilonia, Macedonia, Asia ed Egitto, uno dei re d’Egitto, Tolomeo Filadelfo, il re più d’ogni altro filologo che collezionò libri da ogni parte, sentì dal bibliotecario Demetrio Falereo dell’esistenza della Scrittura, della Legge e dei Profeti. Piuttosto che ottenere i libri usando la costrizione o andando contro la volontà di quelli che ne possedevano, pensò fosse meglio ingraziarseli con donativi e atti di benevolenza, ben sapendo che quanto è dato per costrizione o comunque contro volontà, spesso con l’astuzia finisce nelle mani dello spossessato, perché solo quanto è dato spontaneamente può dirsi un vero e proprio dono. Mandò quindi una grande quantità di donativi ad Eleazaro, allora sommo sacerdote, per il tempio di Gerusalemme, qui dove adesso stiamo, perché gli mandasse sei traduttori presi da ciascuna delle dodici tribù. Volle poi sperimentare l’ispirazione divina della Bibbia.

Sospettando che gli interpreti a lui inviati e lì convenuti potessero manipolarla consultandosi tra di loro, assegnò a ciascuno un posto dove risiedere nella regione detta di Faro vicino ad Alessandria e li invitò a tradurre e ognuno per conto proprio la Scrittura. Essi in settantadue giorni assolsero il loro compito. E il re, messe insieme tutte le traduzioni eseguite in abitazioni diverse e senza scambio di opinioni, le riscontrò concordanti non solo nel senso ma anche nelle parole. Risultò di fatto non un lavoro di umana interpretazione o un’esercitazione letteraria, ma l’autentica Bibbia ispirata dallo Spirito Santo interpretata sotto l’influsso del medesimo Spirito Santo. Leggi i ventidue libri dell’Antico Testamento e non avere mai a che fare con gli apocrifi. Applicati allo studio di quei soli libri che si leggono senza rischio nell’assemblea e che hanno trasmesso gli apostoli e i primi vescovi posti a capo della Chiesa con più sapienza e prudenza di altri. Questo dunque il deposito che tu, figlio della Chiesa, devi custodire senza travisarlo. I libri dell’Antico Testamento, che devi impegnarti a studiare, sono come ho detto ventidue. Se vuoi sapere quali siano, eccoti questo elenco: i primi cinque della Legge, scritti da Mosè: Genesi, Esodo, Numeri, Levitico e Deuteronomio; il sesto che segue di Gesù di Nave; il settimo dei Giudici, che include quello di Rut; cinque libri storici, primo e secondo dei Re che gli ebrei contano per uno, terzo e quarto dei Re che fanno pure un’unità; primo e secondo dei Paralipomeni considerati dagli ebrei un solo libro; primo e secondo di Esdra che anch’essi contano per uno; libro di Ester, dodicesimo della lista e ultimo dei libri storici; cinque libri poetici: Giobbe, Salmi, Proverbi, Ecclesiaste e diciassettesimo il Cantico dei Cantici; poi cinque libri profetici, uno dei dodici profeti minori, uno di Isaia, uno di Geremia che include Baruc i Treni e la Lettera, uno di Ezechiele e uno infine di Daniele che quindi è il ventiduesimo dell’Antico Testamento.

Il Nuovo Testamento ha solo quattro Vangeli autentici; gli altri sono apocrifi; il vangelo secondo Tommaso, scritto dai manichei, del vero Vangelo ha l’odore e il titolo, ma è una vera rovina delle anime dei più semplici. Vanno invece recepiti gli Atti dei dodici Apostoli e le sette Epistole Cattoliche di Giacomo, Pietro, Giovanni e Giuda; le quattordici Epistole di Paolo che infine sigillano le testimonianze dei discepoli.

Tutti gli altri scritti sono apocrifi e tutt’al più hanno valore secondario. Evita di leggerli anche per conto tuo e attieniti, come già detto, ai libri che si leggono nelle assemblee.

Questo ti basti.




30 AGOSTO

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

30 Agosto secondo il vecchio calendario della Chiesa

  1. L’ASSEMBLEA DEI SANTI ILLUMINATORI E MAESTRI SERBI

In questo giorno si commemorano non tutti i santi serbi in generale, ma solo alcuni arcivescovi e patriarchi: San Sava, il primo arcivescovo dei serbi chiamato “uguale agli apostoli”; Arsenius, il successore di San Sava, un grande gerarca e operatore di miracoli; San Sava II, figlio del primo re Stefano, che visse a lungo a Gerusalemme ed è chiamato: “Nicodemo, che visse una vita ascetica sulla Santa Montagna [Athos] e fu abate di Hilendar e poi arcivescovo “di tutte le terre serbe e costiere”; Joannicius, prima arcivescovo e poi patriarca dal 1346 d.C. e morto nel 1349 d.C.. D. e morì nel 1349 d.C.; Efrem, un asceta che fu eletto patriarca contro la sua volontà al tempo del principe Lazar nel 1376 d.C.. In seguito si dimise dal trono patriarcale e si ritirò in solitudine; Spiridon, successore di Efrem, che morì nell’anno 1388 d.C.; Macario, che ristrutturò molti antichi monasteri [Zaduzbine], stampò molti libri ecclesiastici a Skadar, Venezia, Belgrado e in altri luoghi. Costruì il famoso refettorio nel monastero di Pec e lavorò molto per far progredire la Chiesa con l’assistenza del fratello Mehmed Sokolovich, il Gran Vezir. Macario morì nell’anno 1574 d.C., Gabriele, nobile di nascita della famiglia Rajich. Partecipò al Concilio di Mosca sotto il Patriarca Nikon, per cui fu torturato dai Turchi per tradimento e impiccato nel 1656 d.C. Insieme a questi sono menzionati anche Eustachio, Giacobbe, Daniele, Gregorio, Giovanni, Sava III, Gregorio, Giovanni, Maksim e Nikon. Molti di loro vissero una vita ascetica sulla Montagna Santa [Athos] e tutti furono “servi miti e fedeli nella vigna del Signore”.

  1. I SANTI ALESSANDRO, GIOVANNI E PAOLO, PATRIARCHI DI COSTANTINOPOLI

Alessandro partecipò al primo Concilio ecumenico di Nicea [325 d.C.] al posto dell’anziano patriarca Metrofane. In seguito, succedette a Metrofane. Quando alcuni filosofi vollero discutere con lui sulla fede, disse a uno di loro: “Nel nome del mio Signore Gesù Cristo, ti ordino di tacere!” e il filosofo divenne muto in quel momento. Con la sua preghiera, accorciò persino la vita di Ario. Alessandro morì all’età di novantotto anni nell’anno 340 d.C. San Giovanni il Digiunatore governò la Chiesa durante il regno del malvagio imperatore Anastasio, eretico acefalo. Morì nel 595 d.C. San Paolo IV governò la Chiesa per cinque anni e otto mesi, poi si dimise dal trono e ricevette segretamente l’abito angelico per pentirsi dei suoi peccati, perché prima si era accordato con gli iconoclasti. Fu il predecessore del grande Tarasio e morì al tempo di Irene e Costantino nell’anno 784 d.C.

  1. IL VENERABILE CRISTOFORO

Cristoforo era un asceta del VI secolo della comunità di San Teodosio. In una visione vide le lampade votive dei monaci diligenti ardere e le lampade votive dei monaci pigri non ardere.

  1. SANT’EULALIO, VESCOVO DI CESAREA IN CAPPADOCIA

Eulalio fu uno dei predecessori di San Basilio. Sconfessò il figlio dal suo rango sacerdotale per aver indossato abiti non consoni ai suoi voti spirituali.

Inno di lode
L’ASSEMBLEA DEI SANTI ILLUMINATORI E MAESTRI SERBI

Eletti di Dio, santi serbi,
Maestri saggi e illuminatori,
Principi spirituali, eroi gloriosi.
Del gregge di Cristo, ottimi pastori,
Dio avete servito, avete rinnegato voi stessi
E fari siete stati per il vostro popolo:
Di caratteristiche divine, uomini portatori di Dio,
Dalla Santa Trinità, la luce che avete ricevuto,
Generosamente l’avete ricevuta e ovunque l’avete dispersa,
E dalle vostre fatiche germogliarono i miracoli.
Sulle orme di Sava, tutti hanno camminato dritti
In tutta la terra serba, hai innalzato la santità,
La fede nella Parola di Dio hai confermato,
Con la nuova veste hai rivestito le anime,
con belle Chiese avete abbellito la terra,
O uomini di Dio, “uguali agli angeli”!
Del popolo serbo siete stati angeli,
Per glorificare Dio, avete insegnato ai serbi,
ad adorare il Salvatore, il Cristo vivente,
e avete servito fedelmente il Santo Vangelo.
In cielo, è per questo che il Signore vi ha glorificato.
e, come candele davanti al popolo serbo, vi ha collocati
Che vivendo in cielo risplendiate sulla terra
Per guidare il vostro popolo alla verità e alla giustizia.
Finché il popolo serbo ammirerà il vostro esempio
Con le vostre preghiere fino ad allora, il popolo vivrà.

Riflessione
Con clamore e disgrazia morirono i rumorosi eretici. E solo la loro morte mostrò l’ira di Dio su di loro a causa delle menzogne che diffondevano e dei disordini che causavano alla Chiesa di Dio. Ario, dopo essere stato condannato a Nicea, un giorno si presentò all’imperatore Costantino e lo pregò di essere accolto nuovamente nella Chiesa. L’imperatore chiese ad Ario se credesse nel Simbolo di fede niceno [il Credo] e lui, furbo, tenne in petto un foglio con la sua confessione di fede eretica e malvagia e battendosi la mano sul petto disse all’imperatore: “Così credo”. L’imperatore pensò che Ario si fosse pentito e lo mandò dal patriarca Alessandro perché lo accogliesse nella Chiesa. In nessun caso Alessandro era disposto a ricevere Ario sapendo che mentiva. Tuttavia, l’imperatore designò un giorno, una domenica, in cui Ario doveva essere ricevuto nella Grande Chiesa [Hagia Sophia]. Alla vigilia di quel giorno, il santo patriarca pregò Dio di accogliere la sua anima prima che l’eretico beffardo fosse accolto nella Chiesa. Quando sorse la domenica del giorno stabilito, il patriarca era a servizio nella Chiesa e Ario, con gli uomini dell’imperatore e i suoi “simili”, si avviò verso la Chiesa. Quando arrivarono alla piazza di Costantino, all’improvviso un dolore, sia nel corpo che nell’anima, invase Ario ed egli cercò un luogo per il bisogno corporeo. Sulla piazza c’era un tale luogo pubblico ed egli vi si recò. La sua scorta attese a lungo e si spazientì per l’attesa. Quando alcuni di loro andarono a vedere cosa fosse successo ad Ario, lo trovarono morto in quel luogo ripugnante, con l’intero intestino versato all’esterno nell’impurità e nel sangue.

Contemplazione
Contemplare le vittorie di Davide sui Filistei (2 Samuele 5 / 2 Re 5):

  1. Come i Filistei attaccarono le terre di Davide e Davide pregò Dio, si mise in cammino e sconfisse i Filistei;
  2. Come i Filistei attaccarono di nuovo e Davide pregò di nuovo Dio e sconfisse i Filistei.

Omelia
Sulla misteriosa ascendenza [generazione] di Cristo

“…E chi dichiarerà la sua generazione?”. (Isaia 53,8).

Come una sorgente nascosta di un grande fiume, così per gli ebrei era nascosta l’ascendenza del Signore Gesù. Leggevano e sapevano che il Messia sarebbe nato a Betlemme, ed è nato a Betlemme, ma non l’hanno riconosciuto. Sapevano che il Messia sarebbe venuto dalla stirpe di Davide e che era nato dalla stirpe di Davide attraverso la Sua Santissima Madre, ma non lo riconobbero. Leggevano che sarebbe nato da una Vergine, che sarebbe fuggito in Egitto e che sarebbe stato chiamato fuori dall’Egitto e che il suo precursore sarebbe apparso prima di Lui, “gridando nel deserto” (Marco 1,3), e che avrebbe brillato come una grande luce nelle tenebre e nell’ombra della terra mortale di Zabulon e Nèftali e tutto il resto che i profeti avevano predetto e scritto come segno della Sua venuta. Eppure, essi non lo riconobbero, ma anzi crocifissero il Re della gloria come un criminale.

Se fosse stato un uomo comune, il profeta si sarebbe informato sulla sua ascendenza e origine? Di chi non si conosce l’ascendenza e l’origine nella storia del popolo d’Israele? La sua ascendenza è nascosta come quella di Melchisedek. Era nascosta per gli ebrei ed è sempre nascosta per i non credenti, ma per noi credenti non è più nascosta. Sappiamo che Egli è “Luce della Luce, Dio vero da Dio vero, generato e non fatto” (Credo niceno). Questo è Lui nell’eternità. Sappiamo che “si è incarnato per opera dello Spirito Santo e della Vergine Maria” [Credo niceano] e che è apparso nel mondo come uomo, come Dio-uomo. Questo è Lui, nel tempo; meravigliosa, misteriosa, gloriosa e maestosa è la sua ascendenza. Quando diciamo tutto ciò che ci è stato rivelato su di Lui, tuttavia, possiamo ancora chiederci: “Chi dichiarerà la Sua generazione [ascendenza]?”. Non perché la Sua ascendenza sia sconosciuta, ma piuttosto perché la Sua ascendenza è irraggiungibile, incomprensibile, al di là dei sensi e della natura.

O Signore Gesù Cristo, nostro Dio, illuminaci con la tua mente divina e innalzaci a te con la tua potenza amante degli uomini.

A Te sia gloria e grazie sempre. Amen.




29 AGOSTO

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

29 Agosto secondo il vecchio calendario della Chiesa

  1. LA DECAPITAZIONE DI SAN GIOVANNI IL BATTISTA [MATTEO 14,1-12]

Erode Antipa, figlio dell’Erode maggiore, che fu l’uccisore dei bambini di Betlemme al tempo della nascita del Signore Gesù, era sovrano della Galilea al tempo in cui Giovanni Battista predicava. Questo Erode era sposato con la figlia di Aretas, un principe arabo. Ma Erode, germoglio malvagio di una radice malvagia, abbandonò la sua legittima sposa e prese illegalmente come concubina Erodiade, moglie di suo fratello Filippo, che era ancora in vita. Giovanni Battista si oppose a questa illegalità e denunciò con forza Erode, che poi gettò Giovanni in prigione. Al momento di un banchetto nella sua corte di Sebastia, in Galilea, Salomè, figlia di Erodiade e Filippo, danzò davanti agli invitati. L’ubriaco Erode fu così colpito da questa danza che promise a Salomè che le avrebbe dato qualsiasi cosa lei gli avesse chiesto, anche se fosse stata la metà del suo regno. Convinta dalla madre, Salomè chiese la testa di Giovanni Battista. Erode diede l’ordine e Giovanni fu decapitato in prigione e la sua testa gli fu portata su un piatto. I discepoli di Giovanni presero il corpo del loro maestro di notte e lo seppellirono onorevolmente, mentre Erodiade trafisse la lingua di Giovanni con un ago in molti punti e seppellì la testa in un luogo impuro. Ciò che accadde in seguito alla testa di Giovanni Battista si può leggere il 24 febbraio. Tuttavia, il castigo di Dio si abbatté rapidamente su questo gruppo di malfattori. Il principe Aretas, per ripulire l’onore di sua figlia, attaccò Erode con il suo esercito e lo sconfisse. Lo sconfitto Erode fu condannato dal Cesare romano, Caligola, all’esilio, prima in Gallia e poi in Spagna. Come esuli, Erode ed Erodiade vissero in povertà e umiliazione finché la terra si aprì e li inghiottì. Salomè morì di una morte malvagia sul fiume Sikaris (Sula). La morte di San Giovanni avvenne prima della Pasqua, ma la sua celebrazione fu stabilita il 29 agosto, perché in quel giorno fu consacrata la chiesa costruita sulla sua tomba a Sebastia dall’imperatore Costantino e dall’imperatrice Elena. In questa chiesa furono collocate anche le reliquie dei discepoli di Giovanni, Eliseo e Audius.

  1. LA VENERABILE TEODORA DI SALONICCO

Come moglie di un uomo ricco e devoto, viveva nell’isola di Egina. Ma quando gli arabi minacciarono Egina, si stabilirono a Tessalonica. Lì affidarono la loro unica figlia a un convento che, nel monachesimo, ricevette il nome di Teopista. Poco dopo, il marito di Teodora morì e anche lei si fece monaca. Era una grande asceta. Spesso sentiva canti angelici e parlava spesso alle sorelle: “Non sentite come cantano meravigliosamente gli angeli nel santuario celeste?”. Morì all’età di settantacinque anni nell’anno 879 d.C. Dalle sue reliquie sgorgò la mirra curativa con cui molti furono guariti.

  1. LA SANTA MARTIRE DONNA VASILISSA

Vasilissa soffrì per Cristo a Srem [Serbia].

  1. IL SANTO MARTIRE ANASTASIO

Anastasio era un giovane di Radoviste, diocesi di Strumica. Aveva imparato un mestiere a Tessalonica. I turchi cercarono di costringerlo a diventare musulmano, cosa che egli rifiutò categoricamente e per questo fu torturato e infine impiccato il 29 agosto 1794.

Inno di lode
SAN GIOVANNI IL BATTISTA

O San Giovanni, meraviglioso battezzatore,
del Salvatore, fosti il glorioso Precursore,
Con la tua purezza hai toccato le anime umane.
E, come una tromba impressionante, dal Giordano sei risuonato
tra il sonno e i vizi, risvegliando gli uomini,
quando la scure era vicina alla radice.
A te mi inchino, a te prego:
Ogni tentazione, aiutami a resistere.
Profeta potentissimo, a te mi inchino,
e davanti a te mi inginocchio e davanti a te piango:
Dal tuo cuore, concedimi la forza di un leone,
Dal tuo spirito, concedimi il candore angelico.
Concedimi la tua forza che, con la pratica, possa raggiungere
di essere a Dio sottomesso e dominare su me stesso,
di battezzarmi con il digiuno, di purificarmi con le veglie notturne,
di addolcirmi con la preghiera e la visione del cielo,
E per ogni martirio, camminare senza paura
Con il tuo coraggio e con una fede forte.
O San Giovanni, eletto da Dio,
e glorioso martire per la tua suprema giustizia,
Tu, di cui gli eserciti senza Dio hanno paura
alle mie preghiere non essere indifferente,
ma rafforzami con le tue preghiere,
affinché io stia come un vero cero davanti al Signore.

Riflessione
Se osservate come muoiono gli uomini, vedrete che la morte di un uomo di solito assomiglia al suo peccato. Come è scritto: “Tutti quelli che prendono la spada periranno di spada” (Matteo 26,52). Ogni peccato è un coltello e gli uomini di solito vengono uccisi dal peccato che hanno commesso più facilmente. Un esempio ci viene dato da Salomè, la turpe figlia di Erodiade che chiese e ricevette da Erode la testa di Giovanni Battista su un piatto d’argento. Vivendo in Spagna nella città di Lerida [Loredo] con l’esiliato Erode ed Erodiade, Salomè un giorno si mise in cammino attraverso il fiume ghiacciato Sikaris. Il ghiaccio si ruppe e lei cadde in acqua fino al collo. Gli iceberg le si strinsero intorno al collo e lei si dimenò, danzando con i piedi nell’acqua come un tempo alla corte di Erode. Tuttavia, non riuscì né a sollevarsi né ad annegare, finché un pezzo di ghiaccio tagliente non le staccò la testa. L’acqua portò via il suo corpo e la sua testa fu portata a Erodiade su un piatto, così come la testa di Giovanni Battista. Ecco come una morte terribile assomiglia al peccato commesso.

Contemplazione
Contemplare la giustizia di Davide (2 Samuele 3 / 2 Re 3):

  1. Come Abner, il comandante, un avversario di Davide, si consegnò a Davide fidandosi di lui;
  2. Come Joab, comandante di Davide, uccise Abner;
  3. Come Davide maledisse la casa di Joab e pianse molto per Abner.

Omelia
Sulla guarigione dell’umanità per mezzo delle ferite di Cristo

“E per le sue ferite siamo stati guariti” (Isaia 53,5).

Siamo guariti dalle ferite di Cristo. Così il profeta di Dio profetizza e ora sappiamo che la sua profezia è vera. Grazie alle sofferenze di Cristo, siamo stati salvati dalla sofferenza eterna; grazie al suo sangue tutto puro, siamo stati purificati dalla lebbra del peccato e siamo stati vivificati. Il nostro sangue e il nostro corpo sono diventati impuri a causa delle passioni peccaminose; ma il nostro spirito, nido e fonte dell’impurità corporea, è diventato impuro per primo. Può l’impuro essere purificato dall’impuro? Una biancheria sporca può essere lavata con acqua sporca? Non è possibile.

Solo ciò che è pulito può lavare ciò che è impuro. Anche i pagani ritengono che l’umanità sia impura. Ma essi [i pagani] vogliono purificare l’impuro con l’impuro, in primo luogo invocando spiriti impuri e adorandoli. In secondo luogo, offrendo sacrifici impuri, siano essi umani o animali. Una goccia del sangue di Cristo tuttopuro può purificare l’umanità più di tutti i sacrifici idolatri dall’inizio del mondo. Perché? Perché il sangue di Cristo è puro e tutto il resto è impuro. I medici prendono una goccia di un rimedio forte e, diluendola, vaccinano molte persone per proteggerle dalle malattie. Anche noi diluiamo il sangue di Cristo nel calice con l’acqua e poi lo prendiamo e lo beviamo, perché si dice che quando trafissero il corpo del Signore con la lancia “ne uscì sangue e acqua” (Giovanni 19,34). La potenza di una goccia del Suo sangue è tale che il mondo potrebbe essere bruciato da esso. Questo è il sangue senza peccato, l’unico sangue senza peccato; il sangue più puro, l’unico sangue puro al mondo.

Oh, se gli uomini sapessero qual è il potere della purezza assoluta! Tutti gli impuri dal peccato si precipiterebbero a purificarsi dal Cristo tutto puro e tutti gli indifesi si precipiterebbero a partecipare al Sangue e al Corpo di Cristo [Santa Cena]; e tutti gli increduli crederebbero in Cristo. Perché sono tre e tutti e tre sono puri e tutti e tre purificano: spirito puro, sangue puro e corpo puro, e solo il puro può purificare l’impuro; e ciò che è sano può guarire il malsano; e ciò che è potente può sollevare l’indifeso.

O Signore, nostro onnipotente Signore, purifica noi peccatori con la tua ferita sanguinante, con la tua ferita innocente e tutta pura.

A Te sia dati sempre gloria e ringraziamento. Amen.




San Gabriele (Urgebadze): “Basta dormire,  andiamo ad uscire!”

testo originale in inglese: https://orthochristian.com/155845.html?fbclid=IwAR1pv6nwEtDwj2s2L7XO0bfGgZWA4HyxHsm3MDob686BnihrpMWJm9HWc3c

Nell’aprile 2019, mia figlia Larisa, diciottenne, è stata investita da un’auto. Ero in Chiesa quando mi hanno chiamato e mi hanno raccontato l’accaduto. Di solito quando sono in Chiesa spengo il telefono o metto la modalità silenziosa. Probabilmente è stato il mio intuito materno a farmi capire che qualcosa non andava. Ho preso il telefono e ho urlato con orrore: “Signore, perché?!” E sono corsa fuori dalla Chiesa.

Quando sono arrivata in ospedale, i medici stavano già operando e stavano lottando per salvare mia figlia. Oltre ad alcune fratture gravi, Larisa ha riportato un trauma cranico e una lesione al torace. I medici hanno fatto tutto quello che potevano; hanno eseguito l’intervento con successo, ma mia figlia è caduta in coma a causa del trauma cranico e di altre complicazioni. Per tutto questo tempo ho pregato profondamente San Gabriele per la salvezza di mia figlia. Le sue condizioni rimanevano gravi; i medici non avevano nulla di incoraggiante da dire.

Nella festa della Trasfigurazione del Signore, sono andata in Chiesa e ho partecipato all’eucarestia. Dopo la Comunione, un monaco si avvicinò a me, mi diede una grande prosfora e disse: “Te l’ha data il vescovo”. Poiché il monaco che mi diede la prosfora era curvo e non mi guardava in faccia, non l’ho visto. Ho trovato le sue parole strane, dato che quel giorno c’era solo un prete in servizio, non c’era nessun vescovo lì. Non potevo smettere di chiedermi chi fosse il monaco e quale vescovo mi avesse dato la prosfora.

Passarono diversi giorni e ricevetti una chiamata dall’ospedale. Larisa era uscita dal coma! Corsi con incredibile velocità verso la mia amata unica figlia. Era sveglia! Quando sono andato a trovarla, ha cominciato a piangere… E io ho pianto. Ho fatto tutto quello che potevo per confortarla, compreso dirle che avevo pregato con fervore un certo santo georgiano moderno di nome Anziano Gabriel .

“Mostramelo!” ha chiesto mia figlia.

“Come posso mostrartelo? È un santo; è nel Regno dei Cieli”, dissi perplessa.

“Mostrami una foto, mamma!”

Sono andata online, ho trovato una foto di Batiushka Gabriel e l’ho mostrata a Larisa. La sua reazione mi ha davvero sorpresa e spaventata.

Larisa iniziò a piangere molto. Non è mai andata in chiesa e non capiva perché andassi in chiesa. E poi, che reazione alla foto dell’anziano Gabriel! Quando si calmò un po’, sentii qualcosa di incredibile:

“Mamma, sai, stavo dormendo e ho visto lo stesso prete, ma non potevo svegliarmi o riprendermi. È venuto da me e ha detto che l’amore è al di sopra di ogni cosa al mondo. E oggi è venuto al mio letto e ha gridato: ‘Basta dormire! Andiamo a uscire!’”

Rimasi congelata sul posto e le lacrime iniziarono di nuovo a scendere dai miei occhi. Sai che data era? Il 26 agosto: il compleanno dell’anziano Gabriel! Nel giorno del suo compleanno, il nostro amato Anziano Gabriel ha dato a mia figlia una nuova prospettiva di vita!

Sono passati quattro anni da allora. Mia figlia è diventata attiva in Chiesa e si è unita al coro. Abbiamo ordinato un’icona dell’anziano Gabriele dalla Georgia, che abbiamo messo in un posto ben visibile. E ogni anno, in questo giorno, tutta la nostra famiglia festeggia il compleanno dell’anziano Gabriel. Cantiamo il suo troparion e il suo kontakion, gli leggiamo un akathisto, guardiamo i film su di lui, mangiamo e lo ricordiamo come un grande santo inviatoci da Dio nei nostri giorni difficili.

E sai cos’altro è più sorprendente?… Si scopre che l’anziano Gabriel aveva detto a mia figlia mentre era in coma: “Di’ a tua madre che non dovrebbe rimproverare il Signore, ma solo ringraziarlo”.

Mi sono reso conto del mio errore, di cui mi pento moltissimo. Quando ero in chiesa, quando mi hanno raccontato quello che era successo, ho gridato: “Signore, perché?!” E sono corsa fuori dalla chiesa così in fretta che non ho nemmeno chiesto niente a Dio, e non mi ero pentita di aver protestato con tanta audacia. E le parole dell’anziano Gabriel: “Di’ a tua madre che non dovrebbe rimproverare il Signore, ma solo ringraziarlo”, mi hanno fatto riflettere e mi hanno insegnato una cosa: qualunque cosa accada, devi ringraziare Dio. Devi supplicare, non rimproverare.

Perdonami, o Dio! Ti ringrazio per averci inviato un grande santo come l’archimandrita Gabriele (Urgebadze)! Gloria a Dio!




18 AGOSTO

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

18 Agosto secondo il vecchio calendario della Chiesa

  1. IL VENERABILE GIOVANNI DI RILA

Questo grande asceta e santo della Chiesa ortodossa nacque vicino a Sofia, in Bulgaria, nella città di Skrino, durante il regno di re Boris. Era di genitori poveri ma onorevoli. Dopo la morte dei genitori, Giovanni fu tonsurato monaco e si ritirò in una montagna selvaggia, iniziando a vivere una vita di rigido ascetismo in una grotta. Lì sopportò molti assalti, sia da parte dei demoni che degli uomini, dei ladri e dei suoi parenti. In seguito si trasferì sulla montagna di Rila e si stabilì in un albero cavo. Si nutriva solo di erbe e fave, che, secondo la Provvidenza di Dio, cominciarono a crescere nelle vicinanze. Per molti anni non vide il volto di un uomo, finché, sempre per la Provvidenza di Dio, fu scoperto dai pastori che cercavano le loro pecore smarrite. Così, il santo fu sentito nominare dalla gente e cominciarono a venire da lui in cerca di aiuto nelle malattie e nelle sofferenze. Lo stesso re bulgaro Pietro visitò Giovanni e chiese consiglio a lui. Molti zelanti della vita spirituale si stabilirono nelle vicinanze di Giovanni. Lì vennero rapidamente costruiti una chiesa e un monastero. San Giovanni riposò pacificamente nel Signore il 18 agosto 946 d.C. all’età di settant’anni. Dopo la sua morte, apparve ai suoi discepoli. Dapprima le sue reliquie furono traslate a Sofia, poi in Ungheria, quindi a Trnovo e infine al monastero di Rila, dove oggi riposano. Nel corso dei secoli, il monastero di Rila è stato un faro di luce, un luogo di potere miracoloso e un conforto spirituale per il popolo cristiano della Bulgaria, soprattutto durante i difficili tempi di schiavitù sotto i Turchi.

  1. I SANTI MARTIRI FLORO E LAURO

Florus e Laurus erano fratelli nella carne, nello spirito e nella vocazione. Entrambi erano cristiani zelanti e, di professione, tagliapietre. Vivevano in Illiria. Un principe pagano li assunse per la costruzione di un tempio agli idoli. Accadde che, durante il lavoro, un pezzo di pietra volò e colpì l’occhio del figlio del sacerdote pagano che stava osservando con curiosità il lavoro dei costruttori. Vedendo il figlio cieco e insanguinato, il sacerdote pagano cominciò a gridare contro Florus e Laurus e voleva picchiarli. Allora i santi fratelli gli dissero che se avesse creduto nel Dio in cui loro credevano, suo figlio sarebbe guarito. Il sacerdote pagano promise. Florus e Laurus pregarono in lacrime il Signore Dio unico e vivente e tracciarono il segno della croce sull’occhio ferito del bambino. Il bambino fu immediatamente guarito e il suo occhio tornò integro come prima. Poi il sacerdote pagano Merenzio e suo figlio furono battezzati e, poco dopo, entrambi soffrirono per Cristo nel fuoco. Una volta completato il tempio, Florus e Laurus vi posero una croce, convocarono tutti i cristiani e lo consacrarono nel nome del Signore Gesù con una veglia notturna di canti. Quando lo seppe, il deputato illirico bruciò molti di quei cristiani e gettò Florus e Laurus vivi in un pozzo, riempiendolo poi di terra. In seguito, le loro reliquie furono rivelate e traslate a Costantinopoli. Questi due meravigliosi fratelli soffrirono e furono martirizzati per Cristo e furono glorificati da Cristo nel II secolo.

  1. IL SACERDOTE-MARTIRE EMILIANO, VESCOVO DI TREVI

Emiliano nacque in Armenia. Secondo i suoi desideri e cercando il martirio, si recò in Italia per predicare Cristo durante il regno di Diocleziano. Fu eletto vescovo di Trevi. Grazie ai numerosi miracoli compiuti durante la sua tortura, circa mille pagani credettero in Cristo. Fu ucciso di spada insieme a Ilarione, suo padre spirituale, e a due fratelli, Dionigi ed Ermippo.

Inno di lode
I SANTI MARTIRI FLORO E LAURO

Una madre ha dato alla luce due figli, due santi,
Beata la madre che piace a Dio.
Florus e Laurus, meravigliosi, tagliarono le pietre,
Insieme a questo, per mezzo della Croce, hanno corretto le anime degli uomini;
Ciò che lo scalpello è per la pietra, la Croce è per l’anima,
Dalla Croce scalpellati, per la Croce perirono.
Il sacerdote pagano vide il miracolo invisibile:
L’occhio colpito – l’occhio guarito!
Un miracolo invisibile! Per lui era sufficiente
E con la Croce fu battezzato e divenne martire.
Meravigliosi Florus e Laurus, tempio degli idoli costruito,
ma, nel loro cuore, glorificano Cristo Dio.
I fratelli, un nuovo tempio pagano costruito,
ma su di esso posero una croce ed ecco un tempio cristiano!
Ancora, con inni di lode a Cristo, lo riempivano
e con la bellezza delle candele e dell’incenso puro.
L’uomo all’uomo assomiglia allo stesso modo,
ma uno è umile e l’altro è sgargiante.
Ecco, sono molto simili, nel corpo e nell’abbigliamento,
ma molto diversi nella mente e nello spirito.
In uno c’è Cristo e la santità pura,
Nell’altro c’è la sofferenza diabolica e il vuoto.
Che Dio conceda al nostro corpo
di essere templi del Dio vivente, lo Spirito
Attraverso le potenti preghiere degli eletti di Dio.
I fratelli Florus e Laurus, santi martiri.

Riflessione
Non è raro, soprattutto nel nostro tempo, che i genitori diventino i colpevoli della morte spirituale dei loro figli. Ogni volta che un figlio aspira alla vita spirituale, all’ascesi, al monachesimo e il genitore frena questa aspirazione invece di incoraggiarla, il genitore diventa l’assassino del figlio. Inoltre, tali bambini, come punizione per i loro genitori, spesso si girano dalla parte opposta e diventano perversi. Un ragazzo di nome Luca, nipote di San Giovanni di Rila, sentendo parlare dello zio e attratto dal desiderio di vita spirituale, andò a trovare lo zio in montagna. Giovanni accolse Luca con amore e iniziò a istruirlo e a rafforzarlo nella mortificazione dell’ascesi. Un giorno, però, il padre di Luca si presentò alla grotta di Giovanni e cominciò a rimproverare furiosamente il santo per aver tenuto il figlio in quel luogo selvaggio. Le parole e i consigli di Giovanni non servirono a nulla. Il padre trascinò il figlio a casa con la forza. Tuttavia, sulla strada di casa un serpente morse il ragazzo e Luca morì. Il padre crudele vide in questo il castigo di Dio e si pentì, ma era troppo tardi. Tornò da Giovanni piangendo e condannando se stesso. Ma il santo gli disse solo di seppellire il bambino e di tornare da dove era venuto.

Contemplazione
Contemplare la meravigliosa scelta di Davide come re da parte di Dio (1 Samuele 16 / 1 Re 16):

  1. Come il Signore incaricò Samuele di andare a casa di Iesse e di ungere uno dei suoi figli come re;
  2. Come il Signore incaricò Samuele di ungere Davide, un pastore di pecore, l’ottavo e più giovane figlio di Iesse;
  3. Come Samuele unse Davide e come lo Spirito di Dio discese su Davide.

Omelia
Sulla pace tra il lupo e l’agnello

“Anche il lupo dimorerà con l’agnello e il leopardo si sdraierà con il capretto” (Isaia 11,6).

Così il vero profeta ha predetto la verità. E aggiunse: “il vitello, il leoncello e il bestiame ingrassato staranno assieme, e un bambino li condurrà. La vacca pascolerà con l’orsa, i loro piccoli si sdraieranno assieme, e il leone mangerà il foraggio come il bue.” (Isaia 11,6-7). E il bambino metterà la mano nel buco di un serpente velenoso [aspide] e il serpente non gli farà del male. Fratelli, quando avverrà questo prodigio? Si è già verificato quando Cristo, l’operatore di meraviglie, è apparso sulla terra. È una realtà del Paradiso, che è stato restaurato tra gli uomini con la venuta del Salvatore sulla terra. Il profeta parla in modo enigmatico ma, tuttavia, chiaro; enigmatico, perché il profeta non parla di bestie selvatiche ma di uomini; perché la sua profezia si è chiaramente realizzata nella Chiesa di Cristo. Gli uomini, che per le loro abitudini erano come lupi, gatti selvatici, leoni, orsi, buoi, agnelli, capretti e serpenti, si trovano tutti di fronte al Bambino di Betlemme, uguagliati dalla fede, domati dalla grazia, illuminati dalla speranza e addolciti dall’amore.

Il profeta spiega inoltre perché questo avverrà. “Perché la terra sarà piena della conoscenza del Signore, come le acque coprono il mare” (Isaia 11,9). Dal punto di vista fisico, ogni uomo è terra. L’uomo che crede in Cristo e, in verità, segue Cristo, diventa pieno della conoscenza del Signore come il mare, che è pieno d’acqua. Tali erano molti individui. Si trattava addirittura di intere compagnie di asceti in Egitto, sulla Montagna Santa [Athos], a Cipro, in Russia, in Armenia e in altri luoghi. Ma non è tutto. La conoscenza del Signore si è diffusa oggi in tutta la terra. La Sacra Scrittura è diffusa in tutte le nazioni. Ci sono pochi angoli della terra dove non si legge il Vangelo di Cristo, dove non si conosce il nome di Dio e dove non si offre il Sacrificio incruento del Signore. Alcuni negano Cristo, altri lo abbracciano, alcuni abbandonano la vera Fede e altri la abbracciano. E così continua l’unica lotta in tutto il mondo nel segno del Signore Gesù. Le acque troppo piene si riversano e scorrono nelle valli vuote; le valli vuote si riempiono e sono rese uguali alle acque alte. Nel mondo non tutto brilla come noi cristiani vorremmo, ma la profezia del profeta Isaia si è gloriosamente adempiuta nel modo più chiaro e si è compiuta. Quanto è meravigliosa la visione di Isaia, il figlio di Amos, il vero profeta. O Signore miracoloso, doma la natura bestiale di quegli uomini e di quelle persone che non si lasciano domare dalla forza del tuo amore. Che tutti noi possiamo essere fecondi della Tua abbondanza. Che tutti noi possiamo essere gloriosi della tua gloria e vivi, Signore, vivi della tua vita immortale.

A Te siano rese gloria e grazie sempre. Amen.




P. Seraphim Rose: I Santi Padri della Spiritualità Ortodossa (III)

P. Seraphim Rose di Platina

tratto da: The Orthodox Word, vol. 11, n. 6 (novembre-dicembre 1975), 228-239.

Parte III. Come non leggere i Santi Padri

È stato detto abbastanza per indicare la serietà e la sobrietà con cui bisogna accostarsi allo studio dei Santi Padri. Ma proprio l’abitudine alla spensieratezza dell’uomo del Novecento, a non prendere sul serio nemmeno gli argomenti più solenni, a “giocare con le idee” – come fanno oggi gli studiosi nelle università – rende necessario guardare più da vicino alcuni errori comuni che sono stati commessi dai cristiani ortodossi nominali nel loro studio o insegnamento dei Santi Padri. Sarà necessario qui citare nomi e pubblicazioni per conoscere con precisione le trappole in cui molti sono già caduti. Questo esame ci permetterà di vedere più chiaramente come non avvicinarci ai Santi Padri.

LA PRIMA TRAPPOLA: il dilettantismo

L’abisso, in cui solitamente cadono i più spensierati tra coloro che sono interessati alla teologia o alla spiritualità ortodossa, è più evidente negli incontri “ecumenici” di vario tipo, conferenze, “ritiri” e simili. Tali incontri sono una specialità della English Fellowship of St. Alban and St. Sergius, come riportato nel loro giornale, Sobornost. Qui possiamo leggere, ad esempio, in un discorso sui Padri del deserto di un presunto sacerdote ortodosso: “I Padri del deserto possono svolgere un ruolo estremamente importante per noi. Possono essere per tutti noi un meraviglioso luogo di incontro ecumenico.” [nota: Archimandrita Demetrius Trakatellis, “St. Neilus on Prayer,” Sobornost, 1966, Winter-Spring, page 84.] Può l’oratore essere così ingenuo da non sapere che il Padre che desidera studiare, come tutti i Santi Padri, rimarrebbe inorridito nell’apprendere che le sue parole vengono usate per insegnare l’arte della preghiera agli eterodossi? È una delle regole di cortesia in tali incontri “ecumenici” che gli eterodossi non siano informati che il primo prerequisito per studiare i Padri è avere la stessa fede dei Padri dell’Ortodossia. Senza questo prerequisito ogni istruzione nella preghiera e nella dottrina spirituale è solo un inganno, un mezzo per intrappolare ulteriormente l’ascoltatore eterodosso nei propri errori. Questo non è giusto nei confronti di chi ascolta, non è serio da parte di chi parla, è esattamente come non intraprendere affatto lo studio o l’insegnamento dei Santi Padri.

Nello stesso periodico si legge di un “pellegrinaggio in Gran Bretagna” nel quale un gruppo di protestanti ha assistito alle funzioni di varie sette e poi ad una liturgia ortodossa, nella quale “il Padre ha tenuto un discorso molto chiaro e illuminante sul tema dell’Eucaristia” (Sobornost,Estate, 1969, pag. 680). Indubbiamente il Padre ha citato i Santi Padri nel suo discorso, ma non ha portato comprensione ai suoi ascoltatori; li ha solo confusi ancora di più permettendo loro di pensare ora che l’Ortodossia sia solo un’altra delle sette che stavano visitando, e che la dottrina ortodossa dell’Eucaristia può aiutarli a comprendere meglio i loro servizi luterani o anglicani. In un resoconto di un “ritiro ecumenico” nello stesso numero (p. 684), troviamo un risultato della predicazione della “teologia ortodossa” in tali condizioni. Dopo aver assistito a una liturgia ortodossa, i partecipanti al ritiro hanno partecipato a un “servizio di comunione battista”, che è stato “una boccata d’aria fresca”. “Particolarmente rinfrescante è stato il piccolo sermone sul tema della gioia della risurrezione. Quelli di noi che conoscono la Chiesa ortodossa hanno trovato la stessa verità espressa lì e siamo stati felici di trovarla anche in un servizio battista”. Gli ortodossi che incoraggiano questo dilettantismo insensibile hanno senza dubbio dimenticato l’ingiunzione scritturale: Non gettate le vostre perle davanti ai porci“.

Ultimamente la stessa Fellowship ha ampliato il suo dilettantismo, seguendo l’ultima moda intellettuale, per includere conferenze sul Sufismo e altre tradizioni religiose non cristiane, che probabilmente arricchiscono la “spiritualità” degli ascoltatori proprio come l’Ortodossia ha fatto per loro fino ad ora.

Lo stesso atteggiamento spirituale corrotto può essere visto, a un livello più sofisticato, nelle “dichiarazioni concordate” che di tanto in tanto escono dalle “consultazioni di teologi”, siano esse ortodosso-cattoliche, ortodosso-anglicane o simili. Queste “dichiarazioni concordate” su argomenti come “l’Eucaristia” o “la natura della Chiesa” sono, ancora una volta, un esercizio di cortesia “ecumenica” che non accenna nemmeno agli eterodossi (supponenso che i “teologi ortodossi” presenti lo sappiano) che, qualunque sia la definizione di tale realtà “concordata”, gli eterodossi, non avendo l’esperienza di vivere nella Chiesa di Cristo, non ne conoscono la realtà. Tali “teologi” non esitano nemmeno a cercare un “accordo” sulla spiritualità stessa laddove, se mai, l’impossibilità di un accordo dovrebbe essere evidente. Coloro che possono credere, come dichiara il “Messaggio” ufficiale del “Simposio ortodosso-cistercense” (Oxford, 1973), che i monaci cattolici, ortodossi e anglicani abbiano una “profonda unità tra di loro, in quanto membri di comunità monastiche provenienti da diverse tradizioni ecclesiali”, sicuramente pensano secondo la saggezza corrotta di questo mondo e le sue mode “ecumeniche”, e non in accordo con la tradizione monastico-spirituale ortodossa, che è rigorosa nella sua insistenza sulla purezza della fede. Lo scopo e il tono mondano di questi “dialoghi” è reso abbastanza chiaro in una relazione sullo stesso Simposio, che indica che questo “dialogo” sta per essere ampliato per includere il monachesimo non cristiano, cosa che permetterà “al nostro comune monachesimo cristiano… di identificarsi in qualche modo reale con il monachesimo del buddismo e dell’induismo” [Diakonia, 1974, n. 4, pag. 380-392]. Per quanto i partecipanti a questo Simposio si immaginino sofisticati, il loro dilettantismo non è affatto superiore a quello dei laici protestanti che si lasciano impressionare tanto dal servizio di comunione battista quanto dalla liturgia ortodossa.

Ancora, si può leggere, in un periodico “ortodosso”, un resoconto di un “Istituto Ecumenico di Spiritualità” (cattolico-protestante-ortodosso) tenutosi al Seminario di San Vladimir a New York nel 1969, dove un discorso fu tenuto dal “professore ortodosso Nicholas Arseniev, di larghe vedute, sulla spiritualità cristiana in Oriente e in Occidente. Un sacerdote ortodosso riporta così il suo intervento: “Una delle affermazioni più sorprendenti del professore è stata che esiste già un’unità cristiana nei santi di tutte le tradizioni cristiane. Sarebbe interessante cercare di elaborare le implicazioni di ciò per una trattazione della divisioni dottrinali e istituzionali che pure esistono chiaramente.”[nota: P. Thomas Hopko, in San Vladimir’s Theological Quarterly , 1969, n. 4, pag. 225, 231]. Le deviazioni dottrinali degli ecumenisti “ortodossi” sono già abbastanza gravi, ma quando si tratta di spiritualità non sembrano esserci limiti di sorta a ciò che si può dire o credere – un’indicazione di quanto remote e vaghe siano diventate la tradizione e l’esperienza della genuina spiritualità ortodossa per i “teologi ortodossi” di oggi. Uno studio vero e serio di “spiritualità comparata” potrebbe sì essere fatto, ma non produrrà mai una “affermazione concordata”. Per fare solo un esempio: il primo esempio di “spiritualità occidentale” citato dal dottor Arseniev e da quasi tutti gli altri è Francesco d’Assisi, che secondo lo standard della spiritualità ortodossa è un classico esempio di monaco che si è smarrito spiritualmente ed è caduto in inganno (prelest ) ed era venerato come santo solo perché l’Occidente era già caduto nell’apostasia e aveva perso lo standard ortodosso di vita spirituale. Nel nostro studio della tradizione spirituale ortodossa in questo libro* sarà necessario sottolineare (per contrasto) proprio dove Francesco e più tardi i “santi” occidentali si smarrirono; per ora è sufficiente indicare che l’atteggiamento che produce tali “istituti ecumenici” e “dichiarazioni concordate” è in fondo lo stesso atteggiamento di dilettantismo frivolo che abbiamo già esaminato più sopra a un livello più popolare.

La causa principale di questo atteggiamento spiritualmente patologico probabilmente non è tanto l’atteggiamento intellettuale sbagliato del relativismo teologico che prevale negli ambienti “ecumenici”, quanto piuttosto qualcosa di più profondo, qualcosa che coinvolge l’intera personalità e il modo di vivere della maggior parte dei “cristiani” oggi. Se ne può intravedere un assaggio nel commento di uno studente ortodosso dell'”Istituto Ecumenico”, sponsorizzato dal Consiglio Mondiale delle Chiese a Bossey, in Svizzera. Parlando del valore “dell’incontro personale con tanti approcci diversi che non avevamo sperimentato prima”, rileva che “le migliori discussioni” (che riguardavano il tema dell'”Evangelizzazione”) “non sono avvenute durante le sessioni plenarie, ma piuttosto quando si è seduti accanto al caminetto a bere un bicchiere di vino. [Trimestrale teologico di San Vladimir , 1969, n. 3, pag. 164] Questa osservazione quasi casuale rivela molto di più della “spensieratezza” della vita contemporanea; indica un intero atteggiamento moderno nei confronti della Chiesa e della sua teologia e pratica. Ma questo ci porta alla seconda insidia fondamentale che dobbiamo evitare nello studio dei Santi Padri.

LA SECONDA TRAPPOLA: “La teologia con la sigaretta”

Non solo gli incontri “ecumenici” possono essere leggeri e frivoli; si può notare esattamente lo stesso tono nei convegni e nei “ritiri” “ortodossi”, e nelle riunioni dei “teologi ortodossi”. I Santi Padri non sono sempre direttamente coinvolti o discussi in tali incontri, ma la consapevolezza dello spirito di tali incontri ci preparerà a comprendere il background che i cristiani ortodossi apparentemente seri portano con sé quando iniziano a studiare spiritualità e teologia.

Una delle più grandi organizzazioni “ortodosse” negli Stati Uniti soni i “Clubs Federati Russo-Ortodossi” (FROC), composti principalmente da membri dell’ex Metropolia russo-americana, che tiene un congresso annuale le cui attività sono abbastanza tipiche dell'”Ortodossia” in America. Il numero di ottobre 1973 del Russian Catholic Journal è dedicato alla Convenzione del 1973, in cui il vescovo Dimitry di Hartford ha detto ai delegati: “Quello che vedo qui, e lo dico in tutta sincerità, è che il FROC è potenzialmente la più grande forza spirituale in tutta l’ortodossia americana” (p. 18). È vero che al Congresso partecipa un certo numero di ecclesiastici, di solito compreso il metropolita Ireney, che ci sono servizi religiosi giornalieri e che c’è sempre un seminario su un argomento religioso. Significativamente, durante il seminario di quest’anno (intitolato, nello spirito degli “ortodossi americani”, “Cosa? Ancora Digiuno?”), “sono sorte domande sull’osservanza del sabato sera come periodo di preparazione alla domenica. I conflitti sorgono perché gli stili di vita americani hanno reso il sabato sera la ‘notte sociale’ della settimana.” Un prete presente ha dato una risposta ortodossa a questa domanda: «Il sabato sera si raccomanda la partecipazione ai Vespri, la confessione e la serata tranquilla» (p. 28). Ma per gli organizzatori della Convention non c’era ovviamente alcun “conflitto” di sorta: prevedevano (come in ogni Convention) un ballo del sabato sera in pieno “stile di vita americano”, e le altre sere divertimenti simili, incluso un “Teenage Frolic” con un “gruppo Rock and Roll”, un finto casinò “con un ambiente che ricorda Las Vegas” e alcune istruzioni per uomini nell'”arte ‘culturale’ della danza del ventre” (p. 24). Le immagini che accompagnano gli articoli mostrano alcune di queste frivolezze, il che in effetti ci assicura che gli americani “ortodossi” non sono affatto indietro rispetto ai loro connazionali nella ricerca di divertimenti spudoratamente insensati, intervallati da fotografie solenni della Divina Liturgia. Questa miscela di sacro e frivolo è oggi considerata “normale” nell'”Ortodossia americana”; questa organizzazione è (ripetiamo le parole del vescovo) “potenzialmente la più grande forza spirituale di tutta l’ortodossia americana”. Ma quale preparazione spirituale può portare una persona alla Divina Liturgia dopo aver trascorso la sera precedente celebrando lo spirito di questo mondo e aver dedicato molte ore durante il fine settimana a divertimenti del tutto frivoli? Un osservatore sobrio può solo rispondere: tale persona porta con sé lo spirito mondano, la mondanità è l’aria stessa che respira; e quindi per lui l’Ortodossia stessa rientra nello “stile di vita” americano “casual”. Se una persona del genere cominciasse a leggere i Santi Padri, che parlano di un modo di vivere completamente diverso, o li troverebbe del tutto irrilevanti per il suo modo di vivere, oppure sarebbe costretto a distorcere il loro insegnamento per renderlo applicabile al suo modo di vivere.

Consideriamo ora un incontro “ortodosso” più serio, dove vengono effettivamente menzionati i Santi Padri: le “Conferenze” annuali della “Orthodox Campus Commission”. Il numero dell’autunno 1975 della rivista Concern presenta alcune fotografie della Conferenza del 1975, il cui scopo era del tutto “spirituale”: lo stesso spirito “informale”, con giovani donne in pantaloncini corti (che fa vergognare anche la Convenzione FROC!), e il prete che pronuncia un “discorso principale” con la mano in tasca… e in una tale atmosfera i cristiani ortodossi discutono argomenti come “Lo Spirito Santo nella Chiesa ortodossa”. Lo stesso numero di Concern ci offre uno spaccato di ciò che accade nelle menti di queste persone apparentemente “casual”. Una nuova rubrica sulla “liberazione delle donne” (con un titolo così volutamente volgare che non è necessario ripeterlo qui) è curata da una giovane e intelligente convertita: “Quando mi sono convertita all’Ortodossia, ho sentito di essere consapevole della maggior parte dei problemi che si incontravano nella Chiesa. Sapevo dello scandaloso etnicismo che divide la Chiesa, delle liti e delle fazioni che affliggono le parrocchie, dell’ignoranza religiosa…”. L’articolista procede poi a sostenere la “riforma” del tradizionale periodo di quaranta giorni per “riammettere in chiesa” una donna dopo il parto, così come altri atteggiamenti del “vecchio mondo” che questa “illuminata” americana moderna trova “ingiusti”. Forse non ha mai incontrato un autentico ecclesiastico o laico ortodosso che potesse spiegarle il significato o trasmetterle il tono dell’autentico stile di vita ortodosso; forse, se lo incontrasse, non vorrebbe nemmeno capirlo, né comprendere che il peggiore dei “problemi” di un convertito oggi non risiede affatto nell’ambiente ortodosso, facilmente criticabile, ma piuttosto nella mente e nell’atteggiamento dei convertiti stessi. Lo stile di vita che si riflette in Concern non è lo stile di vita ortodosso e il suo stesso tono rende quasi impossibile qualsiasi approccio allo stile di vita ortodosso. Questi periodici e conferenze riflettono la maggioranza dei giovani di oggi, viziati, egocentrici e frivoli, che quando si avvicinano alla religione si aspettano di trovare “spiritualità con comodità”, qualcosa di immediatamente ragionevole per le loro menti immature che sono state stupefatte dalla loro “educazione moderna”. I giovani – e molti ecclesiastici anziani di oggi, essendo stati essi stessi esposti all’atmosfera mondana in cui i giovani crescono – a volte si abbassano a lusingare le facili critiche dei giovani nei confronti dei loro anziani e dei loro “ghetti” ortodossi e nel migliore dei casi tengono impotenti lezioni accademiche su argomenti molto al di sopra delle loro possibilità. A cosa serve parlare a questi giovani di “Deificazione” o “Della via dei santi” (Concern, autunno 1974) – concetti che, certo, sono intellettualmente comprensibili per gli studenti universitari di oggi, ma per i quali sono emotivamente e spiritualmente totalmente impreparati, non conoscendo l’ABC di ciò che significa lottare nella vita ortodossa e separarsi dal proprio background mondano e dalla propria educazione? Senza questa preparazione e formazione all’ABC della vita spirituale e senza la consapevolezza della differenza tra la mondanità e lo stile di vita ortodosso, queste lezioni non possono avere alcun risultato spirituale fruttuoso.

Considerando questo contesto da cui stanno emergendo i giovani cristiani ortodossi di oggi in America (e in tutto il mondo libero), non ci si sorprende di scoprire la generale mancanza di serietà nella maggior parte delle opere – conferenze, articoli, libri – sulla teologia e la spiritualità ortodossa di oggi; e il messaggio anche dei migliori docenti e scrittori del “mainstream” delle giurisdizioni ortodosse di oggi sembra stranamente impotente, senza forza spirituale. Anche a livello più popolare, la vita della parrocchia ortodossa ordinaria dà oggi un’impressione di inerzia spirituale molto simile a quella dei “teologi ortodossi” di oggi. Perché?

L’impotenza dell’Ortodossia così ampiamente espressa e vissuta oggi è senza dubbio essa stessa un prodotto della povertà, della mancanza di serietà della vita contemporanea. L’Ortodossia oggi, con i suoi sacerdoti, teologi e fedeli, è diventata mondana. I giovani che provengono da case confortevoli e accettano o cercano (i “nativi ortodossi” e i “convertiti” si assomigliano in questo senso) una religione che non sia lontana dalla vita soddisfatta che hanno conosciuto; i professori e i docenti il ​​cui ambiente è il mondo accademico dove, notoriamente, nulla è accettato come definitivamente serio, come una questione di vita o di morte; l’atmosfera accademica di mondanità compiaciuta in cui hanno luogo quasi tutti i “ritiri”, le “conferenze” e gli “istituti” – tutti questi fattori si uniscono per produrre un’atmosfera artificiale, da serra, in cui, qualunque cosa venga detta riguardo a esaltate verità o esperienze ortodosse, per il contesto stesso in cui viene detta e in virtù dell’orientamento mondano di chi parla e di chi ascolta, non può colpire le profondità dell’anima e produrre l’impegno profondo che un tempo era normale per i cristiani ortodossi. In contrasto con questa atmosfera da serra, l’educazione ortodossa naturale, la trasmissione naturale dell’Ortodossia stessa, avviene in quello che era accettato come l’ambiente ortodosso naturale: il monastero, dove non solo i novizi ma anche i pii laici vengono istruiti tanto dall’atmosfera di un luogo sacro quanto dalla conversazione con un anziano particolarmente venerato, o la normale parrocchia, se il suo sacerdote è di mentalità “all’antica”, infuocato dall’Ortodossia e talmente desideroso della salvezza del suo gregge da non scusare i loro peccati e le loro abitudini mondane, ma da esortarli sempre a una vita spirituale più elevata; anche la scuola teologica, se di vecchio tipo e non modellata sulle università secolari dell’Occidente, dove c’è la possibilità di entrare in contatto vivo con veri studiosi ortodossi che vivono realmente la loro fede e pensano secondo la “vecchia scuola” di fede e pietà. Ma tutto questo – quello che un tempo era considerato il normale ambiente ortodosso – oggi è disdegnato dai cristiani ortodossi che sono in armonia con l’ambiente artificiale del mondo moderno, e non fa più parte nemmeno dell’esperienza della nuova generazione. Nell’emigrazione russa, i “teologi” della nuova scuola, desiderosi di essere in armonia con la moda intellettuale, di citare l’ultima dottrina cattolica o protestante, di adottare tutto il tono “casual” della vita contemporanea e soprattutto del mondo accademico, sono stati giustamente chiamati “teologi con la sigaretta”. Con altrettanta giustificazione si potrebbero chiamare “teologi davanti a un bicchiere di vino”, o sostenitori della “teologia a stomaco pieno” o della “spiritualità con comodità”. Il loro messaggio non ha forza, perché essi stessi sono completamente di questo mondo e si rivolgono a persone mondane in un’atmosfera mondana: da tutto ciò non derivano imprese ortodosse, ma solo chiacchiere e frasi vuote e pompose.

Un riflesso accurato di questo spirito, a livello popolare, può essere visto in un breve articolo scritto da un importante laico dell’arcidiocesi greca in America e pubblicato nel giornale ufficiale di questa giurisdizione. Evidentemente influenzato dal “revival patristico” che ha colpito l’arcidiocesi greca e il suo seminario alcuni anni fa, questo laico scrive: “La frase ‘stare fermi’ è oggi molto necessaria. È in realtà una parte importante della nostra tradizione ortodossa, ma il mondo veloce in cui viviamo sembra escluderla dai nostri programmi”. Per trovare questo silenzio, egli raccomanda di “cominciare, anche nelle nostre case… A tavola, prima di mangiare, invece di una preghiera recitata, perché non un minuto di preghiera silenziosa e poi recitare insieme il “Padre nostro”? Potremmo sperimentarlo anche nelle nostre parrocchie durante le funzioni. Non c’è bisogno di aggiungere o togliere nulla. Alla fine della funzione basta rinunciare a qualsiasi preghiera udibile, canto o movimento, e stare in silenzio, ognuno di noi pregando per la presenza di Dio nella propria vita. Il silenzio e la disciplina corporea fanno parte della nostra tradizione ortodossa. Nei secoli passati era chiamato, nella Chiesa orientale, “movimento esicasta”… Stare fermi. È un inizio verso il rinnovamento interiore di cui tutti abbiamo bisogno e che dovremmo cercare”. (The Orthodox Observer, 17 settembre 1975, p. 7).

L’autore, ovviamente, ha buone intenzioni, ma, come le stesse chiese ortodosse di oggi, è bloccato nella trappola del pensiero mondano che gli rende impossibile vedere le cose nel normale modo ortodosso. Inutile dire che se si intende leggere i Santi Padri e sottoporsi ad un “risveglio patristico” solo per inserire di tanto in tanto nella propria agenda un momento di silenzio puramente esteriore (che ovviamente viene riempito interiormente con il tono mondano di tutta la vita al di fuori di quel momento!) e inflazionandolo con il nome esaltato di esicasmo – allora è meglio non leggere affatto i Santi Padri, perché questa lettura ci porterà semplicemente a diventare ipocriti e impostori, non più capaci delle organizzazioni giovanili ortodosse di separare il sacro e il frivolo. Per avvicinarsi ai Santi Padri bisogna sforzarsi di uscire da questa atmosfera mondana, dopo averla riconosciuta per quello che è. Una persona che si trova a suo agio nell’atmosfera degli odierni “ritiri…, conferenze” e “istituti” ortodossi non può sentirsi a suo agio nel mondo della genuina spiritualità ortodossa, che ha un “tono” totalmente diverso da quello attuale in queste tipiche espressioni della mondanità “religiosa”. Dobbiamo affrontare una verità dolorosa ma necessaria: una persona che legge seriamente i Santi Padri e che lotta secondo le sue forze (anche se a un livello molto primitivo) per condurre una vita spirituale ortodossa, deve essere al di fuori dei tempi, deve essere estranea all’atmosfera dei movimenti e delle discussioni “religiose” contemporanee, deve sforzarsi consapevolmente di condurre una vita molto diversa da quella riflessa in quasi tutti i libri e i periodici “ortodossi” di oggi. Tutto questo, a dire il vero, è più facile a dirsi che a farsi; ma ci sono alcuni aiuti di carattere generale che possono aiutarci in questa lotta. Su questi torneremo dopo aver esaminato brevemente un’altra insidia da evitare nello studio dei Santi Padri.

LA TERZA TRAPPOLA: “Zelo non secondo conoscenza” (Romani 10,2)

Data l’impotenza e l’insipienza dell'”ortodossia” mondana di oggi, non sorprende che alcuni, anche in mezzo alle organizzazioni “ortodosse” mondane, intravedano il fuoco della vera ortodossia contenuto nei servizi divini e negli scritti patristici e, tenendolo come standard contro coloro che si accontentano di una religione mondana, diventino zelatori della vera vita e della vera fede ortodossa. Di per sé, questo è lodevole; ma nella pratica reale non è così facile sfuggire alle reti della mondanità, e troppo spesso questi zelatori non solo mostrano molti segni della mondanità che desiderano sfuggire, ma sono anche condotti fuori dal regno della tradizione ortodossa in qualcosa di più simile a un settarismo febbrile.

L’esempio più eclatante di questo “zelo non conforme alla conoscenza” si trova nell’attuale movimento “carismatico”. Non è necessario descrivere qui questo movimento. [Una descrizione dettagliata può essere letta in Orthodoxy and the Religion of the Future, St. Herman of Alaska Brotherhood, 1975.] Ogni numero della rivista “carismatica ortodossa”, The Logos, rende sempre più chiaro che i cristiani ortodossi che sono stati attratti da questo movimento non hanno un solido background nell’esperienza del cristianesimo patristico e le loro apologie sono quasi interamente protestanti nel linguaggio e nel tono. The Logos, a dire il vero, cita scritti di San Simeone il Nuovo Teologo e di San Serafino di Sarov sul tema del cristianesimo patristico. Serafino di Sarov sull’acquisizione dello Spirito Santo; ma il contrasto tra questi veri insegnamenti ortodossi sullo Spirito Santo e le esperienze protestanti descritte nella stessa rivista è così evidente che si tratta di due realtà completamente diverse: una, lo Spirito Santo, che viene solo a coloro che lottano nella vera vita ortodossa, ma non (in questi ultimi tempi) in modo spettacolare; e un’altra, lo “spirito religioso ecumenista dei tempi”, che si impossessa proprio di coloro che rinunciano (o non hanno mai conosciuto) lo stile di vita ortodosso “esclusivo” e si “aprono” a una nuova rivelazione accessibile a tutti, indipendentemente dalla setta. Chi studia attentamente i Santi Padri e applica il loro insegnamento alla propria vita sarà in grado di individuare in questo movimento i segni rivelatori dell’inganno spirituale (prelest), e riconoscerà anche le pratiche e i toni poco ortodossi che lo caratterizzano.

Esiste anche una forma abbastanza poco spettacolare di “zelo non secondo conoscenza” che può essere più che un pericolo per il cristiano ortodosso ordinario e serio, perché può portarlo fuori strada nella sua vita spirituale personale senza essere rivelato da nessuno dei segni più evidenti dell’inganno spirituale. Questo è un pericolo soprattutto per i nuovi convertiti, per i novizi nei monasteri e, in una parola, per tutti coloro il cui fanatismo è giovane, in gran parte non testato dall’esperienza e non temperato dalla prudenza.

Questo tipo di zelo è il prodotto dell’unione di due atteggiamenti fondamentali. In primo luogo, c’è l’alto idealismo che è ispirato soprattutto da resoconti di chi ha dimorato nel deserto, delle severe imprese ascetiche, degli stati spirituali elevati. Questo idealismo in sé è buono ed è caratteristico di ogni vero fanatismo per la vita spirituale; ma per essere fruttuosa deve essere temperata dall’esperienza concreta delle difficoltà della lotta spirituale e dall’umiltà che nasce da questa lotta, se è genuina. Senza questo temperamento si perderà il contatto con la realtà della vita spirituale e sarà reso infruttuoso seguendo – per citare ancora le parole del vescovo Ignazio – «un sogno impossibile di una vita perfetta raffigurata in modo vivido e seducente nella sua immaginazione». Per rendere fruttuoso questo idealismo bisogna scoprire come seguire il consiglio del vescovo Ignazio (L’Arena, cap. 10).

In secondo luogo, a questo idealismo ingannevole si aggiunge, soprattutto nella nostra epoca razionalistica, un atteggiamento estremamente critico nei confronti di tutto ciò che non è all’altezza dello standard incredibilmente elevato del novizio. Questa è la causa principale della disillusione che spesso colpisce i convertiti e i novizi dopo che il loro primo entusiasmo per l’Ortodossia o la vita monastica si è affievolito. Questa disillusione è un segno sicuro che il loro approccio alla vita spirituale e alla lettura dei Santi Padri è stato unilaterale, con un’enfasi eccessiva sulla conoscenza astratta che gonfia, e una mancanza di enfasi o totale inconsapevolezza del dolore del cuore che deve accompagnare la lotta spirituale. È il caso del novizio che scopre che la regola del digiuno nel monastero da lui scelto non è all’altezza di quella che ha letto tra i Padri del deserto, o che il Tipico dei servizi divini non è seguito alla lettera, o che il suo padre spirituale ha difetti umani come chiunque altro e non è effettivamente un “anziano portatore di Dio”; ma questo stesso novizio è il primo che crollerebbe in breve tempo sotto una regola di digiuno o con un Tipico inadatto ai nostri giorni spiritualmente deboli, e che trova impossibile offrire al suo padre spirituale la fiducia senza la quale non può essere affatto spiritualmente guidato. Le persone che vivono nel mondo possono trovare esatti parallelismi con questa situazione monastica nei nuovi convertiti nelle parrocchie ortodosse di oggi.

L’insegnamento patristico sul dolore del cuore è uno degli insegnamenti più importanti dei nostri giorni in cui la “conoscenza mentale” è eccessivamente enfatizzata a scapito del corretto sviluppo della vita emotiva e spirituale. Di questo si parlerà negli appositi capitoli di questa Patrologia. La mancanza di questa esperienza essenziale è ciò che soprattutto è responsabile del dilettantismo, della banalità, della mancanza di serietà nello studio ordinario dei Santi Padri oggi; senza di essa non è possibile applicare alla propria vita gli insegnamenti dei Santi Padri. Si può raggiungere il livello più alto di comprensione con la mente dell’insegnamento dei Santi Padri, si possono avere “a portata di mano” citazioni dei Santi Padri su ogni argomento immaginabile, come quelli descritti nei libri patristici, possono anche conoscere perfettamente tutte le insidie ​​in cui è possibile cadere nella vita spirituale – e tuttavia, senza pena di cuore, si può essere un fico sterile, un noioso “esperto di tutto” che è sempre “corretto”, ovvero un esperto in tutte le esperienze “carismatiche” attuali, che non conosce e non può trasmettere il vero spirito dei Santi Padri.

Tutto quanto sopra detto non è affatto un catalogo completo dei modi per non leggere o avvicinarsi ai Santi Padri. Si tratta solo di una serie di accenni sui molti modi in cui è possibile avvicinarsi erroneamente ai Santi Padri, e quindi non trarre alcun beneficio o addirittura subire qualche danno dalla loro lettura. È un tentativo di avvertire il cristiano ortodosso che lo studio dei Santi Padri è una questione seria che non dovrebbe essere presa alla leggera, secondo nessuna delle mode intellettuali dei nostri tempi. Ma questo avvertimento non dovrebbe spaventare il cristiano ortodosso serio. La lettura dei Santi Padri è, infatti, cosa indispensabile per chi tiene alla propria salvezza e desidera realizzarla con timore e tremore; ma bisogna arrivare a questa lettura in modo pratico per sfruttarla al massimo.

Nota finale:

Sembra che questi articoli volessero rappresentare l’inizio di un libro intitolato I Santi Padri della spiritualità ortodossa. Sfortunatamente, questa serie di articoli si è conclusa con questa terza puntata.

English version

The Holy Fathers of Orthodox Spirituality

Part III. How Not to Read the Holy Fathers

ENOUGH HAS BEEN SAID to indicate the seriousness and sobriety with which one must approach the study of the Holy Fathers. But the very habit of light-mindedness in 20th-century man, of not taking seriously even the most solemn subjects, of “playing with ideas”—which is what scholars at universities now do—makes it necessary for us to look more closely at some common mistakes which have been made by nominal Orthodox Christians in their study or teaching of the Holy Fathers. It will be necessary here to cite names and publications in order to know precisely the pitfalls into which many have already fallen. This examination will enable us to see more clearly how not to approach the Holy Fathers.

THE FIRST PITFALL: DILETTANTISM

This, the pit into which the most light-minded of those interested in Orthodox theology or spirituality usually fall, is most apparent in “ecumenical” gatherings of many kinds conferences, “retreats,” and the like. Such gatherings are a specialty of the English Fellowship of St. Alban and St. Sergius, as reflected in its journal, Sobornost. Here we may read, for example, in an address on the Desert Fathers by a supposedly Orthodox clergyman, “The Fathers of the Desert can play an extremely important role for us. They can be for all of us a wonderful place of ecumenical meeting.” [1] Can the speaker be so naive as not to know that the Father he wishes to study, like all the Holy Fathers, would be horrified to learn that his words were being used to teach the art of prayer to the heterodox? It is one of the rules of politeness at such “ecumenical” gatherings that the heterodox are not informed that the first prerequisite for studying the Fathers is to have the same faith as the Fathers of Orthodoxy. Without this prerequisite all instruction in prayer and spiritual doctrine is only a deception, a means for further entangling the heterodox listener in his own errors. This is not fair to the listener; it it is not serious on the part of the speaker; it is exactly how not to undertake the study or the teaching of the Holy Fathers.

In the same periodical one may read of a “pilgrimage to Britain” wherein a group of Protestants attended services of various sects and then an Orthodox Liturgy, at which “the Father made a very clear and illuminating address on the topic of the Eucharist (Sobornost,Summer, 1969, p. 680). Undoubtedly the Father quoted the Holy Fathers in his address—but he did not bring understanding to his listeners; he only confused them the more by allowing them now to think that Orthodoxy is just another of the sects they were visiting, and that the Orthodox doctrine of the Eucharist can help them the better to understand their Lutheran or Anglican services. In an account of an “Ecumenical Retreat” in the same issue (p. 684), we find a result of the preaching of “Orthodox theology” under such conditions. After attending an Orthodox Liturgy, the retreatants attended a “Baptist Communion service,” which was “a breath of fresh air.” “Particularly refreshing was the little sermon on the note of Resurrection joy. Those of us who know the Orthodox Church have found the same truth expressed there and we were happy to find it in a Baptist service also.” The Orthodox encouragers of such insensitive dilettantism have doubtless forgotten the Scriptural injunction: Cast not your pearls before swine.

Of late the same Fellowship has broadened its dilettantism, following the latest intellectual fashion, to include lectures on Sufism and other non-Christian religious traditions, which probably enrich the “spirituality” of the listeners in much the way Orthodoxy has been doing it for them up to now.

The same corrupt spiritual attitude may be seen on a more sophisticated level in the “agreed statements” that issue now and again from “consultations of theologians,” whether Orthodox-Roman Catholic, Orthodox-Anglican, or the like. These “agreed statements,” on such subjects as “the Eucharist” or “the nature of the Church” are, again, an exercise in “ecumenical” politeness which does not even hint to the heterodox (if the “Orthodox theologians” present even know it) that, whatever definition of such realities might be “agreed upon,” the heterodox, being without the experience of living in the Church of Christ, lack the reality thereof. Such “theologians” do not hesitate even to seek some “agreement” on spirituality itself where, if anywhere, the impossibility of any agreement should be glaringly evident. Those who can believe, as the official “Message” of the “Orthodox-Cistercian Symposium” (Oxford, 1973) declares, that Roman Catholic, Orthodox and Anglican monastics have a “deep unity between us, as members of monastic communities coming from different Church traditions,” surely are thinking according to the corrupt wisdom of this world and its “ecumenical” fashions, and not in accordance with the Orthodox monastic-spiritual tradition, which is strict in its insistence on purity of faith. The worldly purpose and tone of such “dialogues” is made quite clear in a report on the same Symposium, which indicates that this “dialogue” is now going to be broadened to include non-Christian monasticism, something which will enable “our common Christian monasticism… to identify in some real way with the monasticism of Buddhism and Hinduism.”[2] However sophisticated the participants in this Symposium may imagine themselves to be, their dilettantism is by no means superior to that of the Protestant laymen who are awed just as much by the Baptist communion service as by the Orthodox Liturgy.

Again, one may read, in an “Orthodox” periodical, an account of an “Ecumenical Institute on Spirituality” (Catholic-Protestant-Orthodox) held at St. Vladimir’s Seminary in New York in 1969, where a talk was given by the “broad-minded” Orthodox professor Nicholas Arseniev on Christian spirituality East and West. An Orthodox priest thus reports his talk: “One of the professor’s most striking assertions was that there already exists a Christian unity in the saints of all Christian traditions. It would be interesting to try to work out the implications of this for a treatment of the doctrinal and institutional divisions which also clearly exist.”[3] The doctrinal deviations of “Orthodox” ecumenists are bad enough, but when it comes to spirituality there seem to be no bounds whatever to what may be said or believed—an indication of how remote and vague the tradition and experience of genuine Orthodox spirituality have become to the “Orthodox theologians” of today. A true and serious study of “comparative spirituality” could indeed be made, but it will never produce an “agreed statement.” To take only one example: the prime example of “Western spirituality” cited by Dr. Arseniev and nearly everyone else is Francis of Assisi, who according to the standard of Orthodox spirituality is a classic example of a monk who went spiritually astray and fell into deception (prelest) and was revered as a saint only because the West had already fallen into apostasy and lost the Orthodox standard of spiritual life. In our study of the Orthodox spiritual tradition in this book* it will be necessary to point out (by way of contrast) precisely where Francis and later Western “saints” went astray; for the present, it is enough to indicate that the attitude which produces such “ecumenical institutes” and “agreed statements” is basically the same attitude of frivolous dilettantism which we have already examined on a more popular level above.

The main cause of this spiritually pathological attitude is probably not so much the wrong intellectual attitude of theological relativism which prevails in “ecumenical” circles, as it is something deeper, something involved in the whole personality and way of life of most “Christians” today. One may see a glimpse of this in the comment of one Orthodox student at the “Ecumenical Institute,” sponsored by the World Council of Churches at Bossey, Switzerland. Speaking of the value of “the personal encounter with so many different approaches which we had not previously experienced,” he notes that “the best discussions” (which were on the subject of “Evangelism”) “took place not during the plenary sessions, but rather when sitting by the fireplace drinking a glass of wine.”[4] This almost off-hand remark reveals more than the “casualness” of contemporary life; it indicates a whole modern attitude toward the. Church and her theology and practice. But this brings us to the second basic pitfall we must avoid in our study of the Holy Fathers.

THE SECOND PITFALL: “THEOLOGY WITH A CIGARETTE”

It is not only “ecumenical” gatherings which can be light-minded and frivolous; one may note precisely the same tone at “Orthodox” conventions and “retreats,” and at gatherings of “Orthodox theologians.” The Holy Fathers are not always directly involved or discussed in such gatherings, but an awareness of the spirit of such gatherings will prepare us to understand the background which seemingly serious Orthodox Christians bring with them when they begin to study spirituality and theology.

One of the largest “Orthodox” organizations in the United States is the “Federated Russian Orthodox Clubs,” consisting chiefly of members of the former Russian-American Metropolia, which has a yearly convention whose activities are quite typical of “Orthodoxy” in America. The October, 1973, issue of The Russian Orthodox Journal is devoted to the Convention of 1973, atwhich Bishop Dimitry of Hartford told the delegates: “What I see here, and I mean this extremely sincerely, is that the FROC is potentially the greatest spiritual force in all of American Orthodoxy” (p. 18). It is true that a number of clergymen attend the Convention, usually including Metropolitan Ireney, that there are daily religious services, and that there is always a seminar on a religious subject. Significantly, during this year’s seminar (entitled, in the “American Orthodox” spirit, “What? Lent Again?”), “questions arose about observing Saturday evening as a preparation period for Sunday. Conflicts arise because American life styles have made Saturday night the ‘social night’ of the week.” One priest who was present gave an Orthodox answer to this, question: “On Saturday evening he advocates attendance at Vespers, confession, and a quiet evening” (p. 28). But for the Convention planners there was quite obviously no “conflict” whatever: they provided (as at every Convention) a Saturday-night dance fully in the “American life-style,” and on other nights similar amusements, including a “Teenage Frolic” with a “Rock and Roll band,” an imitation gambling casino “with an environment reminiscent of Las Vegas,” and some instruction for men in “the ‘cultural’ art of belly dancing” (p. 24). The pictures accompanying the articles show some of these frivolities, which indeed assure us that “Orthodox” Americans are by no means behind their fellow countrymen in their pursuit of shamelessly inane entertainments—interspersed with solemn photographs of the Divine Liturgy. This mixture of the sacred and the frivolous is considered “normal” in “American Orthodoxy” today; this organization is (let us repeat the bishop’s words) “potentially the greatest spiritual force in all of American Orthodoxy.” But what spiritual preparation can a person bring to the Divine Liturgy when he has spent the previous evening celebrating the spirit of this world, and has spent many hours during the weekend at totally frivolous entertainments? A sober observer can only reply: Such a person brings the worldly spirit with him, worldliness is the very air he breathes; and therefore for him Orthodoxy itself enters into the “casual” American “life-style.” If such a person were to begin reading the Holy Fathers, which speak of a totally different way of life, he would either find them totally irrelevant to his own way of life, or else would be required to distort their teaching in order to make it applicable to his way of life.

Let us look now at a more serious “Orthodox” gathering, where the Holy Fathers are indeed mentioned: the yearly “Conferences” of the “Orthodox Campus Commission.” The Fall, 1975,issue of Concern magazine gives a number of photographs of the 1975 Conference, whose aim was entirely “spiritual”: the same “casual” spirit, with young ladies in shorts (which puts even the FROC Convention to shame!), and the priest delivering a “main address” with his hand in his pocket… and in such an atmosphere Orthodox Christians discuss such subjects as “The Holy Spirit in the Orthodox Church.” The same issue of Concern gives us an insight into what goes on in the minds of such outwardly “casual” people. A new “women’s liberation” column (with a title so deliberately vulgar that we need not repeat it here) is edited by a smart young convert: “When I converted to Orthodoxy, I felt that I was aware of most of the problems that I would meet in the Church. I knew of the scandalous ethnicism that divides the Church, of the quarrels and factions that plague parishes, and of the religious ignorance…” This columnist then proceeds to advocate the “reform” of the traditional forty-day period for “churching” a woman after childbirth, as well as other “old-world” attitudes which this “enlightened” modern American finds “unfair.” Perhaps she has never met a genuine Orthodox clergyman or layman who could explain to her the meaning or convey to her the tone of the authentic Orthodox way of life; perhaps if she did encounter such a one, she might not even wish to understand him, nor to comprehend that the worst of a convert’s “problems” today are not in the easily-criticized Orthodox environment at all, but rather in the mind and attitude of the converts themselves. The way of life reflected in Concern isnot the Orthodox way of life, and its very tone makes any approach to the Orthodox way of life almost impossible. Such periodicals and conferences reflect the majority of pampered, self-centered, frivolous young people of today who, when they come to religion, expect to find “spirituality with comfort,” something which is instantly reasonable to their immature minds which have been stupefied by their “modern education.” The young—and many older clergymen of today, themselves having been exposed to the worldly atmosphere in which young people are growing up—sometimes stoop to flattering the young people’s easy criticism of their elders and their Orthodox “ghettos,” and at best give powerless academic lectures on subjects far over their heads. Of what benefit is it to speak to such young people on “Deification” or “The Way of the Saints” (Concern, Fall, 1974)—concepts which, to be sure, are intellectually comprehensible to college students today, but for which they are emotionally and spiritually totally unprepared, not knowing the ABCs of what it means to struggle in the Orthodox life and separate oneself from one’s own worldly background and upbringing? Without such preparation and training in the ABC’s of spiritual life, and an awareness of the difference between worldliness and the Orthodox way of life, such lectures can have no fruitful spiritual result.

Seeing this background from which today’s young Orthodox Christians are emerging in America (and throughout the free world), one is not surprised to discover the general lack of seriousness in most works—lectures, articles, books—on Orthodox theology and spirituality today; and the message of even the best lecturers and writers in the “mainstream” of the Orthodox jurisdictions today seems strangely powerless, without spiritual force. On a more popular level also, the life of the ordinary Orthodox parish today gives an impression of spiritual inertia quite similar to that of today’s “Orthodox theologians.” Why is this?

The powerlessness of Orthodoxy as it is so widely expressed and lived today is doubtless itself a product of the poverty, the lack of seriousness, of contemporary life. Orthodoxy today, with its priests and theologians and faithful, has become worldly. The young people who come from comfortable homes and either accept or seek (the “native Orthodox” and “converts” being alike in this regard) a religion that is not remote from the self-satisfied life they have known; the professors and lecturers whose milieu is the academic world where, notoriously, nothing is accepted as ultimately serious, a matter of life or death; the very academic atmosphere of self-satisfied worldliness in which almost all ”retreats” and “conferences” and “institutes” take place—all of these factors join together to produce an artificial, hothouse atmosphere in which, no matter what might be said concerning exalted Orthodox truths or experiences, by the very context in which it is said and by virtue of the worldly orientation of both speaker and listener, it cannot strike to the depths of the soul and produce the profound commitment which used to be normal to Orthodox Christians. By contrast to this hothouse atmosphere, the natural Orthodox education, the natural transmission of Orthodoxy itself, occurs in what used to be accepted as the natural Orthodox environment: the monastery, where not only novices but also pious laymen come to be instructed as much by the atmosphere of a holy place as by the conversation of a particularly revered elder, the normal parish, if its priest is of the “old-fashioned” mentality, on fire with Orthodoxy and so desirous for the salvation of his flock that he will not excuse their sins and worldly habits but is always urging them to a higher spiritual life; even the theological school, if it is of the old type and not modelled on the secular universities of the West, where there is opportunity to make living contact with true Orthodox scholars who actually live their faith and think according to the “old school” of faith and piety. But all of this—what used to be regarded as the normal Orthodox environment—is now disdained by Orthodox Christians who are in harmony with the artificial environment of the modern world, and is no longer even part of the experience of the new generation. In the Russian emigration, the “theologians” of the new school, who are eager to be in harmony with intellectual fashion, to quote the latest Roman Catholic or Protestant scholarship, to adopt the whole “casual” tone of contemporary life and especially of the academic world—have been aptly called “theologians with a cigarette.” With equal justification one might call them “theologians over a wine glass,” or advocates of “theology on a full stomach” or “spirituality with comfort.” Their message has no power, because they themselves are entirely of this world and address worldly people in a worldly atmosphere—from all this it is not Orthodox exploits that come, but only idle talk and empty, pompous phrases.

An accurate reflection of this spirit on a popular level may be seen in a brief article written by a prominent layman of the Greek Archdiocese in America and published in the official newspaper of this jurisdiction. Obviously influenced by the ”patristic revival” which hit the Greek Archdiocese and its seminary some years ago, this layman writes: “The phrase ‘to be still’ is a much needed one today. It is actually an important part of our Orthodox tradition, but the fast world in which we live seems to crowd it out of our schedule.” To find this silence he advocates “making a beginning, even in our homes… At the table before eating, instead of a rote prayer why not a minute of silent prayer, and then jointly reciting the ‘Our Father’? We could also experiment with this in our parishes during the services. Nothing need be added or detracted. At the end of the service merely forego any audible prayer, chanting, singing or movement, and just stand in silence, each of us praying for God’s presence in our lives. Silence and body discipline are very much part of our Orthodox tradition. In centuries past it was called in the Eastern Church, the ‘hesychast movement’… To be still. That is a beginning toward the inner renewal we all need, and should be seeking.” (The Orthodox Observer, Sept. 17, 1975, p. 7.)

The author obviously means well, but like the Orthodox churches themselves today he is caught in a trap of worldly thinking which makes it impossible for him to see things in the normal Orthodox way. Needless to say, if one is going to read the Holy Fathers and undergo a “Patristic revival” only in order to fit into one’s schedule now and then a moment of purely outward silence (which is obviously filled inwardly with the worldly tone of one’s whole life outside of that moment!) and to inflate it with the exalted name of hesychasm—then it is better not to read the Holy Fathers at all, for this reading will simply lead us to become hypocrites and fakers, no more able than the Orthodox youth organizations to separate the sacred and the frivolous. In order to approach the Holy Fathers one must be striving to get out of this worldly atmosphere, after recognizing it for what it is. A person who is at home in the atmosphere of today’s Orthodox “retreats …, conferences,” and “institutes” cannot he at home in the world of genuine Orthodox spirituality, which has a totally different “tone” from that which is present in these typical expressions of “religious” worldliness. We must face squarely a painful but necessary truth: a person who is seriously reading the Holy Fathers and who is struggling according to his strength (even if on a very primitive level) to lead an Orthodox spiritual life—must be out of step with the times, must be a stranger to the atmosphere of contemporary “religious” movements and discussions, must be consciously striving to lead a life quite different from that reflected in almost all “Orthodox” books and periodicals today. All this, to be sure, is easier said than done; but there are some helps of a general nature which can aid us in this struggle. To these we shall return after a brief examination of yet one more pitfall to avoid in our study of the Holy Fathers.

THE THIRD PITFALL:

“ZEAL NOT ACCORDING TO KNOWLEDGE”(Rom. 10:2)

Given the powerlessness and insipidity of worldly “Orthodoxy” today, it is not surprising that some, even in the midst of worldly “Orthodox” organizations, should catch a glimpse of the fire of true Orthodoxy which is contained in the Divine services and in the Patristic writings, and, holding it as a standard against those who are satisfied with a worldly religion, should become zealots of true Orthodox life and faith. In itself, this is praiseworthy; but in actual practice it is not so easy to escape the nets of worldliness, and all too often such zealots not only show many signs of the worldliness they desire to escape, but also are led outside the realm of Orthodox tradition altogether into something more like a feverish sectarianism.

The most striking example of such “zeal not according to knowledge” is to be seen in the present-day “charismatic” movement. There is no need here to describe this movement.[5] Each issue of the “Orthodox charismatic” magazine, The Logos, makes it ever clearer that those among Orthodox Christians who have been drawn into this movement have no solid background in the experience of Patristic Christianity, and their apologies are almost entirely Protestant in language and tone. The Logos, to be sure, has quoted writings of St. Simeon the New Theologian and St. Seraphim of Sarov on the acquisition of the Holy Spirit; but the contrast between these true Orthodox teachings on the Holy Spirit and the Protestant experiences described in the same magazine is so glaring that it is obvious that there are two entirely different realities involved: one, the Holy Spirit, Who comes only to those struggling in the true Orthodox life, but not (in these latter times) in any spectacular way; and quite another, the ecumenist religious “spirit of the times,” which takes possession precisely of those who give up (or never knew) the “exclusive” Orthodox way of life and “open” themselves to a new revelation accessible to all no matter of what sect. One who is carefully studying the Holy Fathers and applying their teaching to his own life will be able to detect in such a movement the tell-tale signs of spiritual deception (prelest), and also will recognize the quite un-Orthodox practices and tone which characterize it.

There is also a quite unspectacular form of “zeal not according to knowledge” which can be more of a danger to the ordinary serious Orthodox Christian, because it can lead him astray in his personal spiritual life without being revealed by any of the more obvious signs of spiritual deception. This is a danger especially for new converts, for novices in monasteries—and, in a word, for everyone whose zealotry is young, largely untested by experience, and untempered by prudence.

This kind of zeal is the product of the joining together of two basic attitudes. First, there is the high idealism which is inspired especially by accounts of desert-dwelling, severe ascetic exploits, exalted spiritual states. This idealism in itself is good, and it is characteristic of all true zealotry for spiritual life; but in order to be fruitful it must be tempered by actual experience of the difficulties of spiritual struggle, and by the humility born of this struggle if it is genuine. Without this tempering it will lose contact with the reality of spiritual life and be made fruitless by following—to cite again the words of Bishop Ignatius—”an impossible dream of a perfect life pictured vividly and alluringly in his imagination.” To make this idealism fruitful one must find out how to follow the counsel of Bishop Ignatius: “Do not trust your thoughts, opinions, dreams, impulses or inclinations, even though they offer you or put before you in an attractive guise the most holy monastic life” (The Arena, ch. 10).

Second, there is joined to this deceptive idealism, especially in our rationalistic age, an extremely critical attitude applied to whatever does not measure up to the novice’s impossibly high standard. This is the chief cause of the disillusionment which often strikes converts and novices after their first burst of enthusiasm for Orthodoxy or monastic life has faded away. This disillusionment is a sure sign that their approach to spiritual life and to the reading of the Holy Fathers has been one-sided, with an over-emphasis on abstract knowledge that puffs one up, and a lack of emphasis or total unawareness of the pain of heart which must accompany spiritual struggle. This is the case with the novice who discovers that the rule of fasting in the monastery he has chosen does not measure up to that which he has read about among the desert Fathers, or that the Typicon of Divine services is not followed to the letter, or that his spiritual father has human failings like anyone else and is not actually a “God-bearing Elder”; but this same novice is the very first one who would collapse in a short while under a rule of fasting or a Typicon unsuited to our spiritually feeble days, and who finds it impossible to offer the trust to his spiritual-father without which he cannot be spiritually guided at all. People living in the world can find exact parallels to this monastic situation in new converts in Orthodox parishes today.

The Patristic teaching on pain of heart isone of the most important teachings for our days when “head-knowledge” is so much over-emphasized at the expense of the proper development of emotional and spiritual life. This will be discussed in the appropriate chapters of this Patrology. The lack of this essential experience is what above all is responsible for the dilettantism, the triviality, the want of seriousness in the ordinary study of the Holy Fathers today; without it, one cannot apply the teachings of the Holy Fathers to one’s own life. One may attain to the very highest level of understanding with the mind the teaching of the Holy Fathers, may have “at one’s fingertips” quotes from the Holy Fathers on every conceivable subject, may have “spiritual experiences” which seem to be those described in the Patristic books, may even know perfectly all the pitfalls into which it is possible to fall in spiritual life—and still, without pain of heart, one can be a barren fig tree, a boring “know-it-all” who is always “correct,” or an adept in all the present-day “charismatic” experiences, who does not know and cannot convey the true spirit of the Holy Fathers.

All that has been said above is by no means a complete catalogue of the ways not to read or approach the Holy Fathers. It is only a series of hints as to the many ways in which it is possible to approach the Holy Fathers wrongly, and therefore derive no benefit or even be harmed from reading them. It is an attempt to warn the Orthodox Christian that the study of the Holy Fathers is a serious matter which should not be undertaken lightly, according to any of the intellectual fashions of our times. But this warning should not frighten away the serious Orthodox Christian. The reading of the Holy Fathers is, indeed, an indispensable thing for one who values his salvation and wishes to work it out with fear and trembling; but one must come to this reading in a practical way so as to make maximum use of it.

Endnotes

1. Archimandrite Demetrius Trakatellis, “St. Neilus on Prayer,” Sobornost, 1966, Winter-Spring, page 84.

2. Diakonia, 1974, no. 4, pages 380, 392.

3. Fr. Thomas Hopko, in St. Vladimir’s Theological Quarterly, 1969, no. 4, p. 225, 231.

4. St. Vladimir’s Theological Quarterly, 1969, no. 3, p. 164.

5.  A detailed description may be read in Orthodoxy and the Religion of the Future, St. Herman of Alaska Brotherhood, 1975.

From The Orthodox Word, Vol. 11, No. 6 (Nov.-Dec., 1975), 228-239.  It appears to have been the start of a book entitled The Holy Fathers of Orthodox Spirituality.  Unfortunately, this series ended with this third installment.