SALMO 1 – traduzione dalla LXX e commentario patristico

1 Μακάριος ἀνήρ, ὃς οὐκ ἐπορεύθη ἐν βουλῇ ἀσεβῶν καὶ ἐν ὁδῷ ἁμαρτωλῶν οὐκ ἔστη καὶ ἐπὶ καθέδραν λοιμῶν οὐκ ἐκάθισεν,
2 ἀλλ᾽ ἢ ἐν τῷ νόμῳ κυρίου τὸ θέλημα αὐτοῦ, καὶ ἐν τῷ νόμῳ αὐτοῦ μελετήσει ἡμέρας καὶ νυκτός.
3 καὶ ἔσται ὡς τὸ ξύλον τὸ πεφυτευμένον παρὰ τὰς διεξόδους τῶν ὑδάτων, ὃ τὸν καρπὸν αὐτοῦ δώσει ἐν καιρῷ αὐτοῦ καὶ τὸ φύλλον αὐτοῦ οὐκ ἀπορρυήσεται· καὶ πάντα, ὅσα ἂν ποιῇ, κατευοδωθήσεται.
4 οὐχ οὕτως οἱ ἀσεβεῖς, οὐχ οὕτως,
ἀλλ᾽ ἢ ὡς ὁ χνοῦς, ὃν ἐκριπτεῖ ὁ ἄνεμος ἀπὸ προσώπου τῆς γῆς.
5 διὰ τοῦτο οὐκ ἀναστήσονται1 ἀσεβεῖς ἐν κρίσει
οὐδὲ ἁμαρτωλοὶ ἐν βουλῇ δικαίων·
6 ὅτι γινώσκει κύριος ὁδὸν δικαίων,
καὶ ὁδὸς ἀσεβῶν ἀπολεῖται.
1 Beato l’uomo che non partecipa all’assemblea degli empi, e non permane nella via dei peccatori e non siede sulla cattedra pestilenziale,
2 ma la sua volontà è nella legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte.
3 Sarà come albero piantato presso corsi d’acqua, che al tempo giusto dona il suo frutto e le sue foglie non cadranno e tutto quello che fa prospererà.
4 Non così gli empi, non così,
ma come pula che è spazzata dal vento dalla faccia della terra;
5 perciò non (ri)sorgeranno gli empi nel giudizio né i peccatori nell’assemblea dei giusti,
6 poiché il Signore conosce il cammino dei giusti, mentre la via degli empi perirà.

NOTE:

1 Questo termine ἀναστήσονται – da ἀνίστημι – è usato nei vangeli e dai primi cristiani per descrivere la risurrezione di Gesù. Il versetto 4 ed il versetto 5 potrebbero essere stati letti come profezia del giudizio, ovvero, che gli empi sono rimossi dalla faccia della terra. Nel versetto 1.4b la LXX dice degli empi, ἀλλ᾽ ἢ ὡς ὁ χνοῦς, ὃν ἐκριπτεῖ ὁ ἄνεμος ἀπὸ προσώπου τῆς γῆς. La LXX aggiunge una frase che non troviamo nel Testo Masoretico – TM -, “…dalla faccia della terra (ἀπὸ προσώπου τῆς γῆς).” Quindi gli empi sono come la pula spazzata via dal vento (come dice anche il TM) dalla faccia della terra (che va oltre il TM). Ricordiamo che gli apostoli e le prime comunità cristiane leggevano e citavano la traduzione greca della Bibbia detta dei Settanta. Il testo della LXX è ancora quello di riferimento delle chiese ortodosse mentre il protestantesimo ed il cattolicesimo considerarono più fedele all’originale il testo Masoretico adottato dalle comunità ebraiche.

“L’espressione non risorgeranno gli empi nel giudizio, vuol dire che gli empi risorgeranno per andare incontro piuttosto che al loro giudizio alla loro condanna, in quanto non avendo Dio bisogno di istruire un lungo processo, gli empi avranno la pena che si meritano al momento stesso della risurrezione”.  Cirillo di Gerusalemme, Le catechesi 18, 14

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TESTI PATRISTICI

Basilio di Cesarea, Omelie sui Salmi, l, 5-6

“Quello che le fondamenta rappresentano per una casa, la catena per una nave, e il cuore per un corpo vivente, questo breve proemio rappresenta per l’intero edificio dei Salmi. Infatti il salmista aveva l’intenzione di esortare a sopportare le angosce, grondanti di sudore e di fatica. Con questo proemio ha mostrato a coloro che lottano per la pietà il fine beato, affinché nella speranza dei beni futuri noi sopportiamo i dolori della vita senza paura”.

“È distintamente e primieramente beato ciò che è veramente buono, e questo è Dio. Così anche: Paolo, quando vuole menzionare Cristo, dice: Nel nome del Van gelo del Dio beato, il Salvatore nostro Gesù Cristo (cf. 1 Tm 11 e Tt 2, 13). È allora veramente beato ciò che è bene di per sé, verso cui tutti si rivolge, a cui tutto tende, di una natura immutabile; colui che ha una dignità sovrana, una vita impassibile, un’esistenza senza dolore, in cui non esiste alterazione, cui non si addice alcun mutamento, una fonte sgorgante, una carità eccelsa, un tesoro inesauribile.  Purtroppo uomini ignoranti, legati al fattore esteriore delle cose, non conoscendo la natura del vero bene, spesso stimano tanto cose di nessun valore, con riferimento per esempio alla ricchezza, alla salute, alla vita esteriore. Nessuno di questi però è un vero beato per propria natura; non solo perché è in grado di mutarsi facilmente nel suo opposto, ma perché soprattutto non può rendere buono chi lo possiede. Chi infatti può essere reso giusto dalla ricchezza? Chi saggio dalla salute? Accade piuttosto il contrario: ciascuno di questi beni può divenire, nelle mani di chi ne fa un cattivò uso, uno strumento di peccato. Beato allora colui che possiede dei beni veramente degni di stima, che gode di beni che non possono essergli portati via”.

Gregorio di Nissa, Sui titoli dei Salmi 1, 1

La felicità è il fine della vita virtuosa. Infatti tutto ciò che si compie con sollecitudine ha un preciso rapporto con un oggetto determinato; e come l’arte medica mira alla salute e il fine dell’agricoltura è di procacciare i mezzi di sussistenza, così anche l’acquisizione della virtù mira allo scopo per cui chi vive coerentemente ad essa sia felice. Questa è la somma e il fine di tutto ciò che si concepisce secondo il bene. La natura divina potrebbe essere detta a buon diritto incarnare in senso vero e proprio quello che è insito e pensato in questo elevato concetto. In questo modo il grande Paolo definisce Dio, ponendo la beatitudine al primo posto fra tutti gli attributi teologici, esprimendosi con queste parole in una delle sue lettere: Il beato e solo potente, il re dei re e signore dei signori: che unico possiede l’immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessun uomo vide né può vedere, a cui vanno eterno onore e potenza (1 Tm 6, 15-16). Tutti questi alti concetti riguardo al divino; almeno secondo il mio ragionamento, sono per così dire la definizione della felicità. Infatti, se ad uno fosse chiesta la natura della beatitudine, non darebbe risposta empia se, seguendo la voce di Paolo, dicesse che può essere definita felicità in senso proprio e primario quella natura che è al di sopra del tutto, mentre la felicità propria dell’uomo è quella che in certa misura si genera e si definisce per partecipazione a ciò che è realmente essere, che è appunto la natura del partecipato. L’assimilazione a Dio è così la definizione della felicità umana.

Clemente Alessandrino, Gli stromati, 2, 15,68

Il consiglio dei malvagi indicherebbe i teatri e i tribunali, o meglio, l’ossequio alle potenze rovinose del male e l’associazione alle loro opere.

Agostino di Ippona, Esposizioni sui Salmi 1,1

Beato l’uomo che non va secondo il consiglio degli empi: queste parole vanno riferite a Nostro Signore Gesù Cristo, cioè all’Uomo del Signore. Beato l’uomo che non va secondo il consiglio degli empi, come l’uomo terrestre il quale acconsentì alla donna ingannata dal serpente, trasgredendo in tal modo ai precetti divini. E nella via dei peccatori non si ferma: poiché se Cristo è realmente passato per la via dei peccatori, nascendo come i peccatoti, non vi si è fermato dato che non lo hanno trattenuto le lusinghe del mondo. È sulla cattedra di pestilenza non si siede: ossia non ha ambito per superbia un regno terreno. Giustamente la superbia è definita cattedra di pestilenza, in quanto non vi è quasi nessuno alieno dalla passione del potere e che non aspiri a una gloria umana: e la pestilenza non è dal canto suo che una malattia largamente diffusa e che coinvolge tutti, o quasi tutti. Tuttavia, in senso più pertinente, si può intendere con cattedra della pestilenza anche una dottrina perniciosa, il cui insegnamento si diffonde come un tumore maligno. È poi degna di considerazione la successione delle parole: va; si ferma, si siede. L’uomo se ne è andato quando si è allontanato da Dio; si è fermato quando si è compiaciuto nel peccato; si è seduto quando, appesantito dalla sua superbia, non ha più saputo tornare indietro, se non fosse stato liberato da colui che noti è andato secondo il consiglio degli empi, non si è fermato sulla via dei peccatori, non si è seduto sulla cattedra della pestilenza.

Cesario di Arles, Sermoni 75, 3

Quando cantiamo Benedetto colui che medita sulla legge del Signore giorno e notte, rifiutiamo ogni altra occupazione inutile, i giochi, le conversazioni oziose ed empie, come il veleno del diavolo. Frequentemente leggiamo e rileggiamo le divine lezioni, oppure, se non possiamo leggere da soli, spesso e attentamente ascoltiamo gli altri leggerle.

Giovanni Damasceno, La fede ortodossa 4, 17

L’anima irrigata dalla divina scrittura s’impingua e dà un frutto maturo, cioè la retta fede, ed è ornata da foglie sempreverdi, e cioè le azioni gradite a Dio: infatti dalle Sante Scritture siamo ammaestrati all’azione virtuosa e alla pura contemplazione.

Girolamo, Omelie sui Salmi 1, 3

Quest’ albero produce due cose: frutti e foglie. Il frutto è il significato che si nasconde nelle Scritture; le foglie le parole pure e semplici. Il frutto è nel significato, le foglie nelle parole. Chiunque perciò legga le Sacre Scritture, leggendo al modo dei Giudei, si ferma alle foglie; se invece scava nel suo significato profondo, ne raccoglie i frutti.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulle statue 8, 4

Come la pula è esposta ai soffi del vento e facilmente può essere raccolta e spazzata via, così è anche il peccatore trascinato dalla tentazione. Infatti, se un peccatore è in guerra con se stesso, quale speranza di salvezza egli possiede, visto che la sua stessa coscienza diviene il nemico più pericoloso?

Agostino, Esposizioni sui Salmi 1, 6

Perché conosce il Signore la via dei giusti. Così come si dice che la medicina conosce la salute, ma non le malattie, e tuttavia anche le malattie si conoscono per mezzo dell’arte medica, allo stesso modo si può dire che il Signore conosce la via dei giusti e non quella degli empi. Non che il Signore ignori cosa alcuna anche se dice ai peccatori: Non vi conosco (Mt 7, 23); e vengono poi le parole ma la via degli empi va in-malora, ed è come se si dicesse: il Signore non conosce la via degli empi; ma più efficacemente viene affermato che essere ignorati dal Signore è perire, ed essere conosciuti da Dio è permanere,  poiché alla conoscenza di Dio attiene l’essere, così come all’ignoranza il non essere. Dice infatti il ·Signore: Io sono Colui che è e Colui che è mi ha mandato (Es 3, 14).

Cirillo di Gerusalemme, Le catechesi 18, 14

“L’espressione non risorgeranno gli empi nel giudizio, vuol dire che gli empi risorgeranno per andare incontro piuttosto che al loro giudizio alla loro condanna, in quanto non avendo Dio bisogno di istruire un lungo processo, gli empi avranno la pena che si meritano al momento stesso della risurrezione”.  




PADRI DEL DESERTO: AMMONAS (Ammone) – Lettere

PADRI DEL DESERTO: AMMONAS (Ammone) – Lettere

Articolo precedente: Introduzione, Biografia, Apoftegmi

Saint Ammonius, the Hermit | Citydesert

Discepolo di Antonio il Grande che, alla morte di quest’ultimo, prima di diventare Vescovo, pare che passò a dirigere la colonia di monaci di Pispir. Non ci sono dati certissimi ed il dubitativo lo mettiamo perché all’epoca in Egitto il nome Ammonas era abbastanza diffuso. A lui sono state attribuite 14 lettere che rappresentano un’ottima fonte – una delle più importanti dopo gli Apoftegmi – per conoscere il monachesimo primitivo fiorito nel deserto egiziano.

La nostra traduzione e la numerazione sono basate sul testo siriaco tradotto in francese e spagnolo:

Lettres des Pères du désert. Ammonas, Macaire, Arsène, Sérapion de
Thmuis,
Abbaye de Bellefontaine 1985, pp. 3-54 , publicada por D. Bernard Outtier y D. Lucien Regnault (monjes de Solesmes) in (Spiritualité orientale, nº 42)

Cuadernos Monásticos n. 113 (1995), Introducción a las Cartas de Ammonas

La traduzione del testo greco è disponibile in italiano nel volume: R. Cherubini, Conoscere Dio, Lettere ed altri scritti di Ammonas, Urbaniana University Press, 2011.

Lettera I 1  [Salute]  

1. Prima di tutto, carissimi fratelli, prego per la vostra salute spirituale. Perché le cose visibili sono temporanee, ma le cose invisibili sono eterne (2 Cor 4,18). Ora vedo che il vostro corpo è spirituale e pieno di vita2.  Ora, se il corpo ha la vita, Dio gli darà un’eredità3. e sarà considerato erede di Dio. Dio gli pagherà la ricompensa per tutto il suo lavoro, perché ha avuto cura di conservare in vita tutto il suo frutto, per essere considerato erede di Dio. Ora sono felice per voi e per il vostro corpo, perché è pieno di vita. D’altra parte, colui il cui corpo è morto non sarà considerato erede di Dio; inoltre, Dio lo accusa quando parla per mezzo del profeta, in questi termini: Grida forte, non fermarti, alza la voce come una tromba! Fai conoscere al mio popolo i suoi peccati e alla casa di Giacobbe le sue iniquità! Mi cercano giorno dopo giorno e vogliono avvicinarsi a Dio, dicendo: “E allora? Abbiamo digiunato e tu non l’hai visto. Abbiamo umiliato la nostra anima e tu non lo sapevi» (Is 58,1-3). 

Ecco cosa risponde loro: Perché nei giorni del loro digiuno si sono trovati a fare la propria volontà, e opprimono tutti i loro operai e maltrattano i loro nemici; digiuni per citare in giudizio e combattere. Non è così che la tua voce sarà ascoltata in alto oggi! Questo non è il digiuno che ho scelto, dice il Signore; Ora puoi chinare il collo come un asino e sdraiarti su sacco e cenere, ma non chiamarlo digiuno accettabile (Is 58,3-5). Questo è un corpo morto4; Per questo il Signore non li ascolta quando pregano Dio, ma, al contrario, li accusa. E inoltre, riguardo a questi, nel Vangelo si dice: Se la luce che è in te è tenebra, quante tenebre ci saranno! (Mt 6,23). Il profeta aggiunge severamente su di loro: Tutta la sua giustizia è come il lino macchiato di una donna (Is 64,6). Quindi ora è un corpo morto.  2. Ma voi, carissimi fratelli, non avete nulla in comune con quel cadavere, perché il vostro corpo è pieno di vita. Prego Dio per voi, perché vegli su di voi, che il vostro corpo non cambi, ma anzi cresca con voi e cresca in grazia e gioia, nell’amore fraterno e nell’amore per i poveri, nei buoni costumi e in tutti i frutti della giustizia, finché non lasceremo questa vita e ci ricevano in quella magione5 dove non c’è tristezza, né pensiero cattivo, né malattia, né tribolazione, ma gioia e felicità6 gloria e luce eterna, paradiso e frutto che non passa; e che arriviamo7 alle dimore degli angeli e all’assemblea dei primogeniti, i cui nomi sono scritti nei cieli (Eb 12,22-23), e a tutte le promesse di cui non possiamo parlare ora.  3. Vi ho scritto queste cose per amor vostro, affinché i vostri cuori si rafforzino. Ci sono ancora molte (altre) cose che vorrei scrivervi, però da un’opportunità al saggio, ed egli diverrà più saggio (Pr 9,9). Possa Dio preservarti da questo mondo malvagio, affinché tu possa essere sano nel corpo, nello spirito e nell’anima; ti dia intelligenza in tutto (2 Tm 2,7), perché tu sia libero dall’errore di questo tempo. 

Comportatevi bene nel Signore, miei carissimi fratelli. Ogni corpo morto viene all’uomo per amore della vanagloria e dei piaceri8.

NOTE:

1 È conservato solo in siriano (n. 1), georgiano (n. 13, inedito), arabo (con n. 15) e armeno (con n. 2). 

2 Il testo siriaco porta corpo, mentre il georgiano, l’arabo e l’armeno leggono  frutti.lettura corpo è la “lectio difficilior”, prediletta da D. Outtier e D. Regnault. Deve essere inteso come «il rinnovamento dello stesso corpo per opera dello Spirito Santo, anticipazione della condizione risorta» (Lettres, p. 17, nota 1). 

3 Antonio, Epistola 5,4.

4 Quello che segue, fino alla fine del paragrafo, manca alla versione siriaca. 

5 Il siriaco recita: “Dio ci riceva ciascuno in quella magione”. 

6 Antonio, Epistola 4,12. 

7 Siriaco: “E possa Egli riceverci.”

8 Georgiano, arabo e armeno portano: “E dai piaceri del corpo”.

Il discernimento e altre arti rare. Un invito al deserto dei Padri

Lettera II 9 [Forza]  

1. A coloro che sono cari nel Signore, un gioioso saluto! 

Se uno ama il Signore con tutto il suo cuore e con tutta la sua anima (Dt 6,5; Mt 22,37), e rimane nel timore con tutte le sue forze10, il timore produrrà il pianto, e le lacrime gli daranno la sua felicità. La gioia produrrà forza e, attraverso di essa, l’anima porterà frutto in ogni cosa. E Dio, vedendo che il suo frutto è così bello, lo riceve come un profumo gradevole. In tutte queste cose si rallegrerà Dio in lei [=l’anima] con i suoi angeli11; e le darà un guardiano che la custodirà in tutte le sue vie (Sal 90,11) per condurla al luogo di riposo12, affinché Satana non la governi. Perché quando il diavolo vede il guardiano, cioè la forza che è intorno all’anima, fugge e non osa avvicinarsi all’uomo, temendo la forza che è intorno a lui. Per questo, amatissimi nel Signore, voi che la mia anima ama, so che siete amici di Dio. Acquisite, dunque, questa forza per voi stessi, affinché Satana vi tema e possiate agire con saggezza in tutte le vostre azioni. Così la dolcezza della grazia verrà su di te e farà crescere il tuo frutto13. Perché la dolcezza della grazia spirituale è più dolce del miele e del favo (Sal 18,11), e pochi14 monaci e vergini hanno conosciuto questa grande dolcezza della grazia15, tranne pochi in certi luoghi, perché non hanno ricevuto la forza divina16. Non hanno coltivato quella forza, e perciò il Signore non gliela ha data; perché a tutti coloro che la coltivano, Dio la dona. Dio non ha riguardo per le persone (At 10,34), ma la dona di generazione in generazione a coloro che la coltivano.  

2. Ora, carissimi, so che siete amici di Dio e che, dal momento in cui siete venuti a quest’opera [=vita monastica], amate Dio con tutto il vostro cuore, con la sincerità dei vostri cuori. Acquisite dunque quella forza divina, per trascorrere tutta la vostra vita nella libertà, nella gioia e nella felicità17, affinché l’opera di Dio18 si renda facile per voi. E quella forza che è data all’uomo quaggiù, lo farà riposare, finché non avrà superato tutte le potenze dell’aria (Ef 2,2). Poiché nell’aria ci sono potenze che ostacolano il cammino degli uomini e non vogliono che salgano verso Dio19. Perciò ora preghiamo Dio incessantemente, affinché queste potenze non ci impediscano di ascendere verso Dio, perché finché i giusti hanno con sé la forza divina, nessuno può ostacolarli. Affinché quella forza dimori nell’uomo, ecco come coltivarla20: disprezzare tutti gli oltraggi e gli onori umani, odiare tutti i vantaggi di questo mondo che sono considerati preziosi21 e tutti i piaceri del corpo, purificare il  cuore da tutti i pensieri impuri e da tutta la vuota saggezza di questo mondo, e chiedere (forza) giorno e notte, con lacrime e digiuni. E Dio, che è buono, non tarderà a darteli, e quando ve li avrà dati, trascorrerete tutto il tempo della vostra vita in pace e tranquillità; troverete la libertà davanti a Dio ed Egli esaudirà tutte le vostre richieste, come sta scritto (Sal 36,4; Mt 21,22)22.  

Ci sono tante altre cose che vorrei scriverti, ma questo poco vi ho scritto per il grande amore che ho per voi. Con tutto il cuore siate buoni nel Signore, onorevoli fratelli, amici di Dio23

NOTE:

9 È conservato in Siriaco (n. 2), georgiano (n. 1), greco (n. 2) e arabo (n. 9). 

10Siriaco e arabo: “E con tutte le sue forze acquista paura”. 

11 Vedi Lc 15,10; Antonio, Epistola 3,1. 

12 Il Siriaco dice: “Finché non sia entrato nel luogo della vita”. L’inizio di questa lettera è conservato in copto, in una raccolta di Apothegms: Annales du Musée Guimet, t. 25, pag. 25 (Lettres, p. 19, nota 2). 

13 Siriaco: “La dolcezza di Dio, per quanto è possibile, produrrà forza in te.” Greco: “Affinché la dolcezza della grazia progredisca e faccia crescere il suo frutto”.

14 Greco: “La maggior parte”.

15 Siriaco: “Dolcezza della divinità”; Arabo: “Dolcezza dell’amore divino”.

16 Greco: “Perché non hanno ricevuto la forza celeste”. 

17 Siriaco: “In modo che tu possa lavorare in ogni momento con facilità e gioia.” Il greco omette “gioia e letizia”. 

18 Siriaco: “Tutta l’opera di Dio”. 

19 Cfr Atanasio di Alessandria, Vita di Antonio 65. 

20 Siriaco: “L’effetto dell’opera divina”; Georgiano: “Le sue opere”. 

21 Il siriaco e l’arabo omettono “che sono considerati preziosi”. 

22 Il greco continua con la lettera 3, che è la 4 del siriaco. “Se dopo averlo ricevuto, il fervore divino si allontana e ci abbandona, domandatelo di nuovo e tornerà. Infatti il fervore divino è come fuoco e trasforma il freddo nella propria stessa potenza. Se vedete il vostro cuore ad un certo momento appesantito, mettete la vostra anima davanti a voi ed esaminatela mentalmente con un santo ragionamento, così che per forza si scalderà di nuovo e brucerà in Dio. Il profeta Davide stesso, quando vide il suo cuore appesantito disse: Ho versato la mia anima su di me (Sal 41,5), ho ricorsato i giorni passati e ho meditato su tutte le tue opere (Sal 142,5), e così via. In questo modo ha fatto si che il suo cuore si riscaldasse di nuovo ed ha ricevuto la dolcezza del Santissimo Spirito”

23 “Onorevoli fratelli, amici di Dio”, è la lezione del georgiano; Siriaco: “In ogni opera dell’amore di Dio”.

Le visite provvidenziali degli angeli custodi ai Padri del deserto

Lettera III 24 [Umiltà]  

 Agli onoratissimi fratelli nel Signore, un gioioso saluto!25 

1. Vi scrivo questa lettera come grandi amici di Dio, che lo cercano con tutto il cuore. È a loro, infatti, che Dio ascolta quando pregano, li benedice in tutto ed esaudisce tutte le richieste della loro anima quando lo invocano. Ma in quanto a coloro che si accostano a Lui, non con tutto il cuore, ma dubitando e compiendo le loro opere per essere glorificati dagli uomini (Mt 6,2), Dio non ascolta le loro richieste, ma anzi si adira con loro, perché sta scritto: Dio disperderà le ossa di coloro che cercano di piacere agli uomini (Sal 52,6)26.  2. Vedi come Dio è adirato con le loro opere e non esaudisce nessuna delle loro richieste; anzi, li resiste, poiché fanno le loro opere non con fede, ma secondo l’uomo. Per questo la forza divina non abita in loro, sono malati in tutte le opere che compiono. Per questo non conoscono la potenza della grazia, né la sua facilità né la sua gioia, ma la loro anima è ostacolata in tutte le sue opere come da un peso. Tale è la maggioranza dei monaci27, non hanno ricevuto la forza della grazia che anima l’anima, la dispone alla gioia e le dona ogni giorno quella gioia che fa ardere il suo cuore in Dio28. Perché quello che fanno, lo fanno secondo l’uomo; così la grazia non è scesa su di loro. La forza di Dio, infatti, odia chi opera per piacere agli uomini29.  

3. Perciò, diletti, che amate la mia anima e i cui frutti sono presi in considerazione da Dio, combattete in tutte le vostre opere lo spirito di vanagloria per vincerla in tutto. In modo che tutto il tuo corpo sia gradevole e rimanga vivo con il Creatore, e che tu riceva la forza della grazia, che supera tutte queste cose. Sono convinto, fratelli, che fate di tutto per questo, resistendo allo spirito di vanagloria e combattendolo sempre. Per questo il vostro corpo ha vita. Perché quello spirito maligno si manifesta davanti all’uomo in ogni opera di giustizia che l’uomo inizia, vuole corromperne il frutto e renderlo inutile, per non permettere30 che gli uomini compiano l’opera della giustizia secondo Dio. In effetti, questo spirito malvagio combatte coloro che vogliono essere fedeli. Se alcuni sono lodati dagli uomini come fedeli o umili o misericordiosi, immediatamente questo spirito malvagio si impegna contro di loro; e certamente è vittorioso, dissolve e distrugge i loro corpi31, perché li incita a compiere le loro azioni virtuose con la preoccupazione di piacere agli uomini e così perde i loro corpi32. Finché gli uomini credono di avere qualcosa, davanti a Dio non hanno nulla33. Per questo Dio non dà loro forza, ma li lascia vuoti, poiché non ha trovato i loro corpi pronti per essere saziati, e li priva della grandissima dolcezza della grazia.  

4. Ma voi, carissimi, combattete contro lo spirito di vanagloria e pregate sempre, per vincerlo in tutto; affinché la grazia di Dio sia sempre con voi. Chiederò a Dio, nella sua bontà, di darvi questa forza e questa grazia34 in ogni momento, perché niente è più eccellente di questo35. Se vedi il fervore divino allontanarsi e abbandonarti, chiedilo ancora e ti tornerà. Perché quel fervore è come un fuoco che cambia il freddo nella sua stessa natura. Se vedi il tuo cuore improvvisamente addormentato in certi momenti, poni la tua anima davanti a te, sottoponila alla prova di un pio interrogatorio, e così, necessariamente, sarà di nuovo calda e infiammata in Dio. Perché anche il profeta Davide, vedendo la sua anima travolta dal dolore, parlò così: Ho riversato l’anima su me stesso (Sal 41,6), ho ricordato i tempi antichi, ho meditato tutte le tue opere, ho disteso verso di te le mie mani L’anima mia, come terra arida, sospirò per te (Sal 142,5-6). Così agì Davide quando sentì il suo cuore sopraffatto e freddo, finché non restituì il calore e ricevette la dolcezza della grazia divina36.  

Notte e giorno osservava e supplicava. Fai anche tu questo, amatissimo, e crescerai e Dio ti rivelerà i suoi grandi misteri.  

 Il Signore ti conservi irreprensibile e sano nell’anima, nello spirito e nel corpo, finché non ti conduca alla sua propria dimora37 con i tuoi padri38 che hanno combattuto bene e hanno terminato la loro corsa in Cristo, al quale sia la gloria nei secoli dei secoli.  

NOTE:

 24 Questa epistola può essere letta nelle versioni siriaca (n. 3), georgiana (n. 2), greca (n. 6), araba (n. 10). 

25 Questo saluto manca in siriaco e arabo. In greco si legge solo: “Saluti”.

26 Nell’Epistola Arsenio (nº 68) si trova la stessa citazione biblica (tutto il versetto); vedere Lettere, pag. 112. 

27 Siriaco e arabo aggiungono: “Del nostro tempo”. 

28 Siriaco: “La dolcezza che rende il cuore ardente per Dio.”

29 Greco: “Fa le sue azioni per rispetto umano”. 

30 Siriaco aggiunge: “Per quanto può.” 

31Siriaco: “Ma come fa a distruggere (i loro corpi) e sottometterli in modo che perdano il loro modo di vivere e la loro virtù? Quando li incita…” 

32 Siriaco: “Quando pensano di possedere qualcosa dall’uomo.” 

33Da “prima”, questa frase manca in siriaco. 

34Invece di forza e grazia, il siriano porta “gioia”. 

35Questo pezzo da “Ma voi” a “eccellente” manca dal greco.

36Da: “Se vedi…”, la traduzione corrisponde all’epistola 2,3 del testo greco. Questa versione non include la citazione dal versetto 6 del Sal 142; e termina dicendo: “Così il suo cuore si infiammò di nuovo e ricevette la dolcezza dello Spirito santissimo”. Ciò che segue non si trova in greco. 

37Il siriaco aggiunge: “Nel regno”. 

38Il siriaco conclude così: “Che hanno posto fine alla loro vita per sempre. Amen”.

Sapienza spirituale: "I padri del deserto" - Hristos
Lettera IV 39 [Discernimento]  
Ai fratelli più cari in Cristo, un gioioso saluto!40 
1. Sapete che vi scrivo come figli carissimi, come figli della promessa41 e figli del Regno. Per questo ti ricordo notte e giorno, affinché Dio ti protegga da ogni male e tu abbia sempre la sollecitudine di ottenere da Dio che ti conceda il discernimento42 e la visione dall’alto43; per imparare a discernere in tutte le cose la differenza tra il bene e il male. Perché sta scritto: Il cibo solido è per i perfetti, per coloro le cui facoltà sono esercitate dall’abitudine di discernere il bene e il male (Eb 5,14). Questi sono diventati figli del Regno e sono annoverati nel rango dei figli44, di quelli ai quali Dio ha dato la visione dall’alto in tutte le loro opere, affinché nessuno li inganni, né uomo né demone45. Poiché i fedeli sono catturati dall’immagine del bene, e tanti sono ingannati, perché non hanno ancora ricevuto quella visione dall’alto. Per questo il beato Paolo, sapendo che questa è la grande ricchezza dei fedeli, disse: «Mi chino notte e giorno davanti al Signore Gesù Cristo per voi, perché vi conceda una rivelazione con la sua conoscenza,46 perché possa illuminare gli occhi dei vostri cuori, perché conoscano qual è l’ampiezza e la lunghezza, l’altezza e la profondità,47 per conoscere la carità di Cristo che supera ogni conoscenza, ecc. (Ef 3,14-19). Poiché il beato Paolo li amava con tutto il suo cuore, volle che tutta la grande ricchezza che conosceva, cioè la visione dall’alto in Cristo, fosse data ai suoi amati figli. Sapeva, infatti, che se fosse stata loro data, non si sarebbero più stanchi di nulla e non avrebbero avuto paura di nulla, ma che la gioia di Dio sarebbe stata in loro notte e giorno, che l’opera di Dio sarebbe stata per loro dolce in tutto, più del miele e del favo (Sal 18,11); e che Dio sarebbe sempre stato con loro per dare loro rivelazioni e insegnare loro grandi misteri, di cui non posso parlare con la mia lingua.  
2. Ora dunque, miei cari, poiché mi siete stati dati come figli, vi prego notte e giorno, con fede e lacrime, di ricevere il carisma della chiaroveggenza48, che non avete ancora ottenuto dopo essere entrati nella vita ascetica. Ed io, l’umile49, prego anche per voi, perché raggiungiate quel progresso e quella statura, che non molti monaci hanno raggiunto, ma solo alcune anime che qua e là sono amiche di Dio50. Se volete raggiungere quella perfezione, non prendete l’abitudine di ricevere un monaco che lo sia solo di nome51 e che è annoverato tra i negligenti, ma tenetelo lontano da voi52. Altrimenti non vi permetterà di progredire in Dio e spegnerà il vostro fervore. Perché i cuori negligenti non sono ferventi, ma seguono la propria volontà; e se vengono da te, ti parlano delle cose di questo mondo e attraverso quel discorso placano il tuo fervore e non ti permettono di progredire. Per questo sta scritto: Non spegnere lo Spirito (1Ts 5,19); poiché si spegne con parole vane e distrazioni. Quando vedete tali monaci, fate loro del bene, ma fuggite da loro e non associatevi a loro, poiché sono loro che non permettono agli uomini di camminare sulla via della perfezione in questi tempi.  
Comportatevi bene nel Signore, miei cari, nello Spirito di bontà.

NOTE:

39N. 4 in siriaco e georgiano, n. 3 in greco e n. 11 in arabo. 

40 Questo saluto manca in siriano. 

41Gal 4.28

42Cfr. l’ Apotegma, dalla serie alfabetica, Pastor 52; PG 65.333.

43Il siriaco porta: “E l’illuminazione degli occhi”. 

44Siriaco: “figli adottivi”; vedere Rm 8.15. 

45“Né uomo né diavolo” non si legge in georgiano e nemmeno in greco.

46Greco: “Conoscerlo”

47Siriaco: “Affinché conoscano le ricchezze dell’eredità dei santi.

48Siriaco: “Possa questa discrezione essere definitivamente radicata in te.”

49Il siriaco e l’arabo leggono: “tuo padre”, invece di “umile”.

50Greco: “Pochi numerosi benedetti da Dio”.

51Greco: “Dal menzionare tra voi il nome di un monaco…”. 

52Siriaco: “Dalla comunità.”

l´agpeya in lingua italiana - Benvenuti su anacoreta!

   

Lettera V 53 [Paternità spirituale]  

 All’amato nel Signore.  

1. Tu sai che l’amore di Dio esige l’amore del prossimo incessantemente. Ora, il prossimo è colui che è stato chiamato alla vocazione celeste. Il servo di Dio prega notte e giorno per il prossimo, come per se stesso. E poiché sei anche il mio prossimo, ti ricordo notte e giorno nelle mie preghiere, affinché la tua fede cresca e tu acquisisca maggiore forza54. Lo faccio per voi, perché in Dio siete considerati figli. Timoteo era considerato un figlio da Paolo, e gli scrisse quanto segue: Ti ricordo notte e giorno nelle mie preghiere e desidero vederti. Ricordo le tue lacrime e sono pieno di gioia, perché ricordo la fede sincera che hai55 (2 Tm 1,3-5).  2. Ora, mio carissimo, come fece Paolo con Timoteo, anche il mio cuore desidera vederti, ricordando i tuoi gemiti e il dolore del tuo cuore.

Ma so che anche tu vuoi vedermi e che è molto redditizio per te. Paolo, infatti, ha detto: voglio andare a vederli, per dare loro qualche grazia spirituale che li rafforzi (Rm 1,11). Perciò, sebbene siano molto istruiti dallo Spirito Santo, se vado a visitarli, li affermerò molto con la dottrina dello stesso Spirito, e farò loro conoscere anche altre cose che non posso scrivere loro con lettera.  

 Comportati bene nel Signore, nello Spirito di bontà.

NOTE:

53È conservato in siriaco (n. 5), georgiano (n. 5) e arabo (n. 12). 

54Cfr. Lettera 2 di Ammonas. 

55Siriaco: “Libero dal rispetto delle persone”.

Il combattimento nei Padri del deserto - Liberaci dal male

Lettera VI 56 [La paternità spirituale. Preghiera per i vostri figli]  

1. Notte e giorno prego perché cresca in voi la forza di Dio e vi riveli i grandi misteri della divinità, dei quali non posso parlare con la mia lingua, perché sono grandi; non sono di questo mondo e si rivelano solo a coloro il cui cuore è purificato da ogni macchia e da ogni vanità di questo mondo; coloro che hanno preso la loro croce e che insieme a questo si odiano e sono stati obbedienti a Dio in tutto. In questi dimora la divinità e lei nutre la sua anima. Infatti, come gli alberi non crescono se non sono raggiunti dalla forza dell’acqua, così l’anima non può crescere se non riceve la gioia celeste. E tra coloro che la ricevono, ve ne sono alcuni ai quali Dio rivela i misteri celesti, mostra loro il loro posto57, mentre sono ancora nel corpo, ed esaudisce tutte le loro richieste.  

2. Ecco dunque la mia preghiera notte e giorno: che tu raggiunga quel grado e che tu conosca le infinite ricchezze di Cristo (Ef 3,8), poiché sono pochi quelli che sono stati resi perfetti. E sono coloro per i quali sono stati preparati i troni, affinché siedano con Gesù per giudicare gli uomini58. Perché in ogni generazione ci sono uomini giunti a quella misura, per giudicare ciascuno della sua generazione59. Questo è ciò che ti chiedo incessantemente in virtù dell’amore che ho per te. Il beato Paolo disse a coloro che amava: Io voglio dare loro non solo il vangelo di Cristo, ma anche la nostra vita, perché ci sono diventati molto cari (1Ts 2,8 ). Ho mandato a te mio figlio, finché Dio non mi conceda di venire corporalmente a te, per aiutarti a progredire ancora di più. Perché quando i genitori ricevono figli, Dio è in mezzo a loro da entrambe le parti.  

Resta in pace e comportati bene nel Signore. 

NOTE:

56È conservato solo in siriaco (n. 6), georgiano (n. 6) e arabo (n. 13).

57 Nel senso di dimore celesti. 

58 Siriaco: “A chi sono le grandi promesse del Figlio; ricevono grazie e aiutano gli uomini”.

59 Siriaco: “E ciascuno di questi è un esempio per la sua generazione, affinché colui che è considerato perfetto sia un esempio per gli uomini”.

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Lettera VII 60 [Il carisma dei Padri]  

1. All’amato nel Signore, che ha una parte nel Regno dei cieli. Allo stesso modo in cui cerchi Dio imitando tuo padre61, credo che anche tu riceverai le stesse promesse, perché sei stato annoverato nel numero dei suoi figli. Perché i figli ereditano la benedizione dei genitori62, imitando il loro zelo. Per questo il beato Giacobbe, imitando in tutta la pietà63 dai suoi genitori ricevette da loro la benedizione; e quando fu benedetto dai genitori, vide subito alzarsi la scala e salire e scendere gli angeli (Gn 22,1-12). Ora, dal momento in cui alcuni sono benedetti dai genitori e vedono le forze divine, nulla può disturbarli. Perché il beato Paolo quando vide quelle stesse forze divine, rimase impassibile64 e gridò dicendo: «Chi mi separerà dall’amore di Cristo?65 La spada, la fame, la nudità? Ma né angeli né principati né potenze, né altezza né profondità, né altra creatura potrà separarmi dall’amore di Dio?».66 (Rm 8,35-39).  

2. Ora dunque, mio caro, preghiamo incessantemente notte e giorno affinché le benedizioni dei nostri padri e le mie67 vengano a te; e così le forze degli angeli restino con te68, affinché tu trascorra il resto dei tuoi giorni con tutta la gioia del cuore. Se, infatti, qualcuno raggiunge quel grado, la gioia di Dio sarà sempre con lui, e allora farà tutto senza fatica. Perché sta scritto: La luce dei giusti non si spegne mai, ma la luce degli empi si spegnerà (Pr 13,9)69. Chiedo anche che dovunque io vada, venga anche tu70, e lo faccio per la tua obbedienza. Quando il Signore vide l’obbedienza dei suoi discepoli71, pregò per loro il Padre dicendo: «Perché dove sono io siano anche questi, perché hanno ascoltato le mie parole» (Gv 17,24 ). E chiede ancora che siano preservati dal Maligno (Gv 17,15), fino a raggiungere il luogo di riposo. Anch’io prego e chiedo allo stesso Signore che siate preservati dal Maligno fino al vostro arrivo nel luogo del riposo di Dio, e che otteniate la benedizione. Giacobbe infatti dopo la scala vide il capo degli angeli faccia a faccia (Gn 28,12), (poi) combatté con l’angelo e lo sconfisse (Gn 32,24-29). Dio ha fatto questo per benedirlo ancora di più.  

Dio, che servo fin dalla mia giovinezza, ti benedica (ancora di più)72, e tu, mio prediletto, comportati bene.  

NOTE:

60È conservato in siriano (n. 7), georgiano (n. 7) e arabo (n. 14). 

61Siriano: “Ai loro padri nella fede”. 

62Siriaco: “I figli ricevono la benedizione dei genitori…” 

63Siriaco: “La misericordia di Dio”. 

64Siriaco: “E’ stato reso incapace di passione.” 

65Cfr Vita di Antonio 8 e 35. 

66Georgiano: “Dall’amore di Cristo”; Arabo: “Dall’amore di Dio nel Signore nostro Gesù Cristo”. Viene adottata la lettura siriaca.

67 Siriaco: “Le benedizioni dei miei padri…”
68 Siriaco: “Gli eserciti degli angeli si rallegreranno di te in ogni cosa”.
69 Il testo siriaco omette la seconda parte della citazione dei Proverbi (“ma la luce dei malvagi…”).
70Siraco: “Chiedo che anche tu possa raggiungere la magione della vita.”
71Siriaco: “Verso di Lui”.
72Da qui alla fine, disperso nel siriaco.

Lettera VIII 73 [Il carisma che abbiamo ricevuto dai nostri padri]  

All’amato nel Signore. 

1. Ti scrivo come a figlio carissimo, perché i genitori carnali amano più i figli che gli somigliano. Vedo anche te (così), perché tu progredisci imitando me; e chiedo a Dio che ciò che ha dato a me, tuo padre74, lo dia anche a te. Prego che75 possa comunicarti gli altri misteri che non mi è possibile scriverti per lettera. Siate forti nella pace della misericordia del Padre, affinché il carisma che hanno ricevuto i vostri padri, lo riceviate anche voi76. Se volete riceverlo77, dedicatevi all’opera del corpo e all’opera del cuore, rivolgete i vostri pensieri al cielo notte e giorno, chiedete con tutto il cuore lo Spirito di fuoco78, e vi sarà dato. Perché quello stesso Spirito si ha con Elia il Tesbita, con Eliseo e gli altri profeti. Ma guarda che pensieri di dubbio non si insinuano nel tuo cuore, dicendo: “Chi può riceverlo?” Non permettere che ci entrino79, ma chiedi con retta intenzione e riceverai.  2. Io stesso, tuo padre, prego per te80, perché tu riceva lo Spirito, perché so che hai dato la vita per riceverlo81. Chi lo coltiva di generazione in generazione lo riceverà, e questo Spirito abita nei retti di cuore. Ti assicuro82 che cerchi Dio con cuore retto. Quando riceverai quello Spirito, Egli ti rivelerà tutti i misteri celesti. Perché ti rivelerà molte cose che non posso scrivere su carta. Allora sarai libero da ogni paura, una gioia celeste ti circonderà e ti sentirai come se fossi già stato portato nel regno (dei cieli), mentre sei ancora nel corpo. Non avrai più bisogno di  pregare per te stesso, ma solo per il prossimo83. Perché Mosè, dopo aver ricevuto lo Spirito, pregò per il popolo, dicendo: «Se lo distruggi, cancellami dal libro dei viventi» (Es 32,32). Vedi quale preoccupazione che hanno dovuto pregare per gli altri, quando avevano raggiunto quel grado? Anche molti altri raggiunsero quel grado e pregarono per gli altri.  

3. Di tutto questo non posso scriverti ora, ma tu sei saggio e capirai tutto. Quando verrò a visitarti, ti spiegherò più approfonditamente lo Spirito di fuoco84, come deve essere realizzato e ti mostrerò tutte le ricchezze che ora non posso affidare alla carta.  

Comportati bene in quello Spirito di fuoco85, progredisci e affermati di giorno in giorno.  

NOTE:

73È conservato in siriaco (n. 8); georgiano, con n. 8-9; parzialmente in greco con n. 4; e in arabo col numero 8.

74Siriaco: “Ai nostri benedetti genitori.” 

75Siriaco aggiunge: “Posso farti visita in modo che…” 

76 Seguiamo la lettura siriaca. Il georgiano è ben diverso: “Sii forte nella pace di quel grande fuoco che ha acceso tuo padre, perché anche tu possa accenderlo”. 

77Georgiano: “Coprilo”. Qui inizia il testo greco (comma 8 della lettera IV), che recita: «Se vuoi acquistare la grazia spirituale…» 

78Il siriaco porta “Spirito Santo”. 

79Greco (lettera IV,9): “Non lasciarti dominare da questi pensieri…”

80Il greco omette “per te”; mentre il georgiano porta: “Prego sempre per te”. 

81Il siriaco dice letteralmente: “Hanno rinunciato all’anima…” La frase manca in greco e georgiano. 

82 Letteralmente: “Vi attesto…”

83Ciò che segue manca nel greco che pone qui la conclusione della lettera: “Gloria al buon Dio, che favorisce con tali misteri coloro che lo servono con sincerità; a Lui gloria eterna. Amen”. 

84Siriaco: “Spirito di allegria”. 

85 “Della vita”, porta il siriano. 

Lettera IX [La perseveranza nella vocazione monastica]  
1. So che soffrite pene nel vostro cuore, perché siete caduti nella tentazione86, ma se la sopporterete con coraggio, otterrete la gioia. Perché se non si sopporta alcuna tentazione, visibile o nascosta, non si potrà andare oltre la misura che si è raggiunta. Tutti i santi, infatti, quando chiedevano un accrescimento della fede, si trovavano di fronte a delle tentazioni; perché dal momento in cui ricevevano una benedizione da Dio, si aggiungeva loro una tentazione da parte dei nemici, che volevano privarli della benedizione con cui Dio li aveva gratificati. I demoni, vedendo che l’anima beata faceva progressi, la combatterono, segretamente o apertamente. Perché quando Giacobbe fu benedetto dal padre, la tentazione di Esaù lo colse subito (Gn 27,41). Il diavolo, infatti, eccitava il suo cuore contro Giacobbe e voleva cancellare la sua benedizione, ma non poteva prevalere contro i giusti, perché sta scritto: Il Signore non lascerà lo scettro del peccatore sulla sorte del giusto (Sal 124,3)87. Pertanto, Giacobbe non ha perso la benedizione che aveva ricevuto, ma è cresciuta con lui di giorno in giorno. Sforzatevi anche di vincere la tentazione, perché chi riceve una benedizione deve necessariamente sopportare la tentazione. Io stesso, vostro padre, ho sopportato grandi tentazioni, segretamente e apertamente, ma mi sono sottomesso alla volontà di Dio, ho avuto pazienza, ho pregato Dio ed Egli mi ha salvato88.  
2. Ora dunque anche voi, miei cari, avendo ricevuto la benedizione del Signore, accogliete anche voi le tentazioni e sopportatele89 finché non siano superate. Otterrete così un grande progresso e una crescita di tutte90 le vostre virtù; e riceverete un grande91 gioia celeste che ancora non conoscete. Il rimedio per vincere le tentazioni è non cadere nella negligenza e pregare Dio, ringraziandolo con tutto il cuore, avendo grande pazienza in tutto, così le tentazioni si allontaneranno da te. Perché Abramo92 fu così tentato e apparve più gradito93. Per questo sta scritto: Le prove dei giusti sono numerose, ma il Signore li libererà da tutte (Sal 33,20). Giacomo dice anche: Se qualcuno di voi soffre, preghi (Gc 5,13). Guardate come tutti i santi invocano Dio nelle tentazioni!  
3. Sta anche scritto: Dio è fedele, non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze (1 Cor 10,13); Dio, dunque, agisce in voi per la rettitudine dei vostri cuori. Se non vi amasse, non manderebbe a voi tentazioni, perché sta scritto: Il Signore corregge colui che ama; colpisce il figlio che gli è gradito (Pr 3,12; Eb 12,6). Sono, quindi, i giusti che beneficiano delle tentazioni94, poiché coloro che non sono tentati non sono nemmeno figli legittimi95; indossano l’abito monastico, ma negano il suo potere96. Antonio, infatti, ci ha detto che «nessuno può entrare nel regno di Dio senza essere tentato»97. E il beato Pietro scrive nella sua lettera: In questo ora ti rallegrerai, tu che hai dovuto sopportare diverse tentazioni, affinché la tua fede provata sia trovata più preziosa dell’oro corruttibile provato dal fuoco (1Pt 1,6-7). Si dice anche che gli alberi scossi dai venti mettano radici migliori e crescano di più; così è con i giusti. In questo, quindi, e in tutto il resto, obbedisci ai tuoi maestri per progredire.  
4. Sapete che all’inizio lo Spirito Santo vi dà gioia nel lavoro spirituale, perché vede che i vostri cuori sono puri. E quando lo Spirito ti ha dato gioia e dolcezza, allora se ne va e ti lascia: è il suo segno. Lo fa con ogni anima che cerca Dio, all’inizio. Lascia e abbandona ogni uomo, per scoprire se lo cercheranno o meno. Alcuni, quando Egli li lascia e li abbandona, restano immobili98, restano nello sconforto99 e non pregano Dio che tolga loro quel peso, e mandi loro la gioia e la dolcezza che avevano conosciuto. Con la loro negligenza e con la loro volontà si rendono estranei alla dolcezza100 di Dio. Ecco perché diventano carnali; indossano l’abito, ma rinnegano la loro potenza (2 Tm 3,5). Questi sono ciechi nella loro vita101 e non conoscono l’opera di Dio.  
5. Se avvertono un peso insolito, contrario alla gioia precedente, preghino Dio con lacrime e digiuno; allora Dio, nella sua bontà, se vede che i loro cuori sono retti, che lo pregano con tutto il cuore e che rinnegano la propria volontà, dà loro una gioia più grande di prima e li rafforza ancora di più. Tale è il segno che compie con ogni anima che cerca Dio.  
5a. (=Siriaco X,1) Dopo aver scritto questa lettera, mi sono ricordato di una parola che mi ha spinto a scriverti delle tentazioni che si presentano all’anima dell’uomo, e che fanno scendere dal cielo nell’abisso dell’Ade102. Per questo il profeta grida e dice: Hai tratto la mia anima dalle profondità dell’Ade (Sal 85,13).  
6. Quando l’anima risorge dall’Ade, per il tempo che si accompagna allo Spirito di Dio, le tentazioni le giungono da ogni parte. Ma quando ha vinto le tentazioni, diventa chiaroveggente e riceve una nuova bellezza. Così, quando il profeta103 dovette essere portato (in cielo), arrivando al primo cielo104, rimase stupito dallo splendore; giunto al secondo, rimase stupito al punto da dire: “Pensavo che la luce del primo cielo fosse tenebra”105, e così per ogni cielo che è nei cieli106. L’anima del perfetto giusto avanza e progredisce fino a salire al cielo dei cieli107. Se ci arrivi, hai superato tutte le tentazioni e ora c’è un uomo108 sulla terra che ha raggiunto quel grado.  
7. (=Siriaco X,2) Vi scrivo, miei prediletti, affinché vi rafforziate e impariate che le tentazioni non fanno male ai fedeli ma ne approfittano e che, senza l’arrivo delle tentazioni nell’anima , non può salire alla dimora del suo Creatore109.  

NOTE:

86 Siriano: “In una grande tentazione”.

87 Siriaco: “Lo scettro del peccatore non rimarrà nella porzione del giusto” (Sal 124,3). 

88Siriaco: “Ho aspettato, ho pregato, ero forte e il mio Signore mi ha liberato”. Georgiano: “Ho sopportato la volontà di Dio nella speranza e nella preghiera, e mi ha salvato”.

89Dal siriano manca “Sopportatele”. 

90“tutte” manca dalla versione siriaca. 

91“grande” manca anche al siriano.  

92Il greco aggiunge: “E Giacobbe e Giobbe e molti altri furono tentati…”

93Siriaco: “E l’atleta è apparso come il vincitore”. 

94Greco: “Allora, quindi, è al giusto che sopraggiunge la comparsa delle tentazioni”.

95Il siriaco recita: “Non sono scelti (o: autenticati)”; e il georgiano: “Non sono saldi nella fede”.

96Dynamin (“virtutem”). Cfr 2 Tim 3.5. Questa stessa citazione è usata da sant’Antonio nelle sue Lettere, III,3; V,4; VI,3

97Apoftegma Antonio 5; HP 65.77. 

98Letterale: “pesante”. 

99 Il siriaco e il greco aggiungono: “senza movimento”. 

100 Georgiano: “Amare”. 

101 Siriano: “Sono ciechi ai loro occhi”.

102 Il siriaco dice: «Della tentazione dell’anima dell’uomo che è progredita, e che discende dal grado di perfezione spirituale…». 

103 Il georgiano e il greco aggiungono: “Elia”. 

104 Siriaco: “Primo grado” (o: ordine). 

105 Citazione dall’opera apocrifa chiamata Ascensione di Isaia, VIII,21. Il siriano aggiunge: “Rispetto a questo” (= il secondo cielo). 

106 Il siriaco recita: “Al più alto grado di perfezione”. 

107 Il siriaco legge ancora: “Al più alto grado di perfezione”. Nel testo greco manca quanto segue nel finale della frase. 

108 “Uomini”, dice il siriano. 

109 Siriaco: “Al palazzo della vita.”

I monasteri di Wadi al-Natrun

Lettera X 110 [La tentazione è segno di progresso]  

1. Lo Spirito soffia dove vuole (Gv 3,8). Soffia sulle anime pure e rette, e se gli obbediscono, dà loro, all’inizio 111, timore e fervore. Quando ha piantato questo in loro, fa loro odiare tutte le cose di questo mondo112, siano oro, argento, ornamenti; che si tratti di padre, madre, moglie o figlio. E l’opera di Dio rende l’uomo più dolce del miele e del favo (Sal 18,10), sia che si tratti dell’opera di digiuni, veglie, solitudine o elemosina. Tutto ciò è113 di Dio gli sembra dolce114, e gli insegna tutto (Gv 14,26).  

2. Quando gli ha insegnato tutto, allora concede all’uomo115 di essere tentato. Da quel momento in poi, tutto ciò che prima era dolce per lui diventa pesante. Ecco perché molti, quando sono tentati, rimangono nello sconforto116 e diventano carnali. Sono quelli di cui dice l’Apostolo: Tu cominciasti con lo spirito e ora finisci con la carne; patirono tutto ciò invano (Gal 3,3-4).  

3. Se l’uomo resiste a Satana117 nella prima tentazione, e la vince, Dio gli concede un fervore stabile, calmo e indisturbato118. Perché il primo fervore è agitato e instabile119, mentre il secondo fervore è migliore. Questo genera la visione delle cose spirituali e gli fa fare molta strada120 con implacabile pazienza. Come una nave con un buon vento è spinta forte dai suoi due remi e percorre una grande distanza, così che i marinai sono allegri e riposano, così il secondo fervore concede ampio riposo.  4. Ora dunque, figli miei prediletti, acquistate il secondo fervore per essere saldi in tutto. Perché il fervore divino estirpa tutte le passioni (che vengono) dalle seduzioni, distrugge la vetustà del vecchio uomo e fa diventare l’uomo il tempio di Dio, come sta scritto: Io abiterò e camminerò in essi (2 Cor 6,16).  5. Se vuoi che torni a te il fervore che è andato via, ecco cosa deve fare l’uomo: faccia un patto con Dio121 e dica davanti a lui: “Perdonami per ciò che ho fatto con negligenza, non sarò più disobbediente”. E quell’uomo non cammini più come vuole122, per soddisfare la propria volontà fisicamente o spiritualmente, ma perché i suoi pensieri siano vigili davanti a Dio notte e giorno, e che pianga in ogni momento davanti a Dio addolorandosi, rimproverandosi e dicendo: «Come sei stato (così) negligente fino ad ora e sterile ogni giorno?” Si ricordi tutti i tormenti e il regno eterno, rimproverandosi e dicendo: “Dio ti ha gratificato di tutto questo onore e sei negligente! Il mondo intero ti ha soggiogato e sei negligente! Quando qualcuno si accusa così notte e giorno e a tutte le ore, il fervore di Dio ritorna in quell’uomo, e il secondo fervore è migliore del primo.  

6. Il beato Davide quando vede arrivare lo sconforto123 dice:  “Ho ricordato gli anni eterni, ho meditato e ricordato i giorni dell’eternità, ho meditato su tutte le tue opere, ho meditato sulle opere delle tue mani. Ho alzato le mani verso di te. L’anima mia ha sete di te come terra asciutta» (Sal 76,6; 142,5-6)124. E dice anche Isaia: «Quando avrai di nuovo gemito, allora sarai salvato e tornerai come eri» (Is 30,15).  

NOTE:

110È conservato in siriaco (n. 10b), georgiano (n. 12), greco (n. 8), armeno (n. 1) ed etiope (n. 1). I traduttori francesi (Lettres, p. 12), danno questa epistola numero 10b, nel testo siriaco, poiché la lettera precedente (che sarebbe quindi IX e Xa) copre la prima parte di quella attuale (paragrafi 1, completo, e 2, fino alla citazione dal Vangelo di Gv, escluso). 

111 “All’inizio”: aggiunge il siriaco. 

112 Il siriaco suona un po’ più radicale: “Il mondo intero”. 

113 Siriaco: “Tutto ciò che è fatto per Dio”; Georgiano: “Ogni volontà di Dio”.

114 Passaggio citato in copto, sotto il nome di Antonio, dal Besa; CSCO 157, pag. 100 e CSCO 158, pag. 96-97 (Lettres, p. 35).  

115 “All’uomo”, aggiunge il siriaco. 

116 Siriaco: “Pesantezza”; vedere Lettera IX, 4-5 

117 Non si legge “Satana” in siriaco. 

118 Siriaco: “Pacifico, saggio (razionale) e paziente”; georgiano: “Tranquillo e una pazienza senza turbamento”; Etiope: “fermo, costante e senza turbamento”; Armeno: “fermo e una pazienza senza turbamento”. 

119Siriaco: “Senza saggezza.” 

120Siriaco: “Ingaggia una grande battaglia.”

121 Siriaco: “E ho gridato con il dolore nel cuore.” 

122 Il georgiano porta: “nel riposo del corpo”, invece di “a sua volontà”.

123Siriaco: “La pesantezza.” 

124 Il siriano omette l’aggettivo “asciutta” (o arida). 

Un consiglio di un monaco del deserto su come pregare continuamente  (Cassiano) – Nati dallo Spirito

Lettera XI125 [Discernere la volontà di Dio. Stabilità]

Ai carissimi nel Signore.

1. Voi sapete che quando la vita dell’uomo cambia e lui inizia
anche una nuova vita gradita a Dio e superiore alla precedente, cambia anche
il suo nome. Perché, infatti, quando i nostri santi padri andavano avanti
nella perfezione cambiava anche il loro nome e ad essi si aggiungeva un nome nuovo, scritto sulle tavole del cielo. Quando Sara progredì gli disse: Non ti chiamerai più Sara, ma Sarra (Gn 17,15), e Abram fu chiamato Abraham;; Isac, Isaac e Giacobbe, Israele; Saulo, Paolo; e Simone, Cefa, poiché le loro vite sono state cambiate e sono diventati più perfetti che prima. Per questo, anche voi siete cresciuti in Dio ed è necessario che i vostri nomi siano cambiati a causa del vostro progresso secondo Dio. Orbene, carissimi nel Signore, che amo di tutto cuore, io cerco il vostro profitto come il mio, perché mi siete stati dati come figli secondo Dio126.

Ho sentito dire che la tentazione li preme, e temo che derivi da una loro colpa: perché ho sentito che vogliono lasciare il loro posto127, e mi sono rattristato, anche se è passato molto tempo da quando mi sono sentito preso dalla tristezza. Perché so benissimo che se ora lasciate il vostro posto, non farete alcun progresso, perché non è la volontà di Dio. Se farete questo e ve ne andrete per vostra stessa decisione, Dio non vi aiuterà né uscirà con voi, e temo che cadrete in una moltitudine di mali. Se seguiamo la nostra volontà, Dio non ci manderà la sua forza, che fa prosperare tutte le vie degli uomini. Se un uomo fa qualcosa pensando che piace a Dio128, mentre ci mescola la sua volontà129, Dio non lo aiuta e il cuore dell’uomo è triste e senza forza in tutto ciò che intraprende. Perché i fedeli si sbagliano, lasciandosi catturare dall’illusione del progresso spirituale. All’inizio, Eva non fu ingannata se non con il pretesto del bene e del progresso. Infatti, avendo udito: Sarete come dèi (Gen 3,5), non ha fatto discernimento della voce di colui che gli parlava130, ha trasgredito il comandamento di Dio e non solo non ha ricevuto il bene, ma è anche caduta sotto la maledizione.

2. Salomone dice nei Proverbi: Ci sono modi che sembrano buoni agli uomini, e conducono negli abissi dell’Ades (Pr 14,12). Dice questo di coloro che non comprendono la volontà di Dio, ma seguono la propria volontà. Coloro che seguono la propria volontà131 e non comprendono la volontà di Dio132, ricevono da Satana, dapprima, un fervore simile alla gioia, ma che non è gioia; e poi porta tristezza e vergogna. Chi invece segue la volontà di Dio prova un grande dolore all’inizio e alla fine trova riposo e gioia. Quindi non fare niente133 finché non vengo a trovarti per parlarti.

3. Ci sono tre volontà che accompagnano costantemente l’uomo, ma pochi monaci le conoscono, tranne quelli che sono diventati perfetti; l’Apostolo dice di loro: Il cibo solido è per i perfetti, per coloro che attraverso la pratica134hanno i sensi allenati a discernere il bene e il male (Eb 5,14). Quali sono queste tre volontà? Una è quella suggerita dal Nemico; l’altra è quella che sgorga nel cuore dell’uomo; e la terza è quella che Dio semina nell’uomo. Ma di queste tre, Dio accetta solo la suo.

4. Esaminatevi dunque: quale di queste tre vi spinge a lasciare il vostro posto? Non partite prima che io vi visiti. Perché conosco la volontà di Dio in questa (materia)135 meglio di te. È difficile, infatti, conoscere in ogni momento la volontà di Dio136. Perché se l’uomo non rinuncia a tutte le sue volontà e si sottomette ai suoi padri secondo lo Spirito, non può comprendere la volontà di Dio. Anche se l’avesse capito, gli mancherebbe la forza per portarlo a termine.137

5. È cosa grande conoscere la volontà di Dio, ma è più grande adempierla. Giacobbe aveva quei punti di forza perché obbediva ai suoi genitori. Quando gli dissero: «Va’ in Mesopotamia, insieme a Labano» (Gn 27,43; 28,2), lui prontamente obbedì, sebbene non volesse lasciare i suoi genitori. Ma poiché ha obbedito, ha ereditato la benedizione dei suoi genitori138. E io, vostro padre, se prima non avessi obbedito ai miei genitori spirituali, Dio non mi avrebbe rivelato la sua volontà. Infatti sta scritto: La benedizione dei padri stabilisce la casa dei figli (Si 3,11). E poiché ho sopportati molti travagli nel deserto e sul monte139, chiedendo a Dio notte e giorno, finché Dio mi abbia rivelato la sua volontà; ora anche voi ascoltate vostro padre per ottenere riposo e progresso.

6. Ho sentito che dici: “Nostro padre non conosce il nostro dolore”, e: “Giacobbe fuggì da Esaù”; ma sappiamo che non è scappato ma è stato inviato dai genitori140. Quindi imita Giacobbe e aspetta che tuo padre ti mandi e ti benedica quando te ne vai, affinché Dio ti faccia prosperare.
Comportatevi bene nel Signore, miei cari.

NOTE:

125 Si conserva in siriaco (n. 11), georgiano (n. 10), greco (n. 5) e arabo (n. 20).

126 In siriaco e arabo manca questa prima parte del paragrafo.
127 Cfr. l’Apotegma Ammonas 1.
128 Siriaco: “Questo è da Dio”; Greco: “Se un uomo fa qualcosa per se stesso”; Arabo: “Questa è la volontà del Signore”.
129 Questa frase è omessa in greco e arabo.
130 Siriaco e arabo: “Quello che gli è stato detto”.
131 Questa frase non è né nel greco né nel georgiano né nell’arabo.

132 Questo non compare nel georgiano e arabo.
133 Il siriaco aggiunge: «Per sua propria volontà».
134 Il siriaco legge: A causa della sua coscienza.
135 Siriaco: “Su di te.”
136 “In ogni momento” non si legge in siriaco.
137 Greco: “Quando l’avrà capito, allora chiederà a Dio la forza per poterlo fare”.
138 “Dei suoi genitori” mancante in greco.

139 Cfr. apotegma Ammonas 9; Vita di Antonio 11, 12, 14, 41, ecc.: “l’associazione” deserto-montagna (Lettres, p. 38).
140 Il testo greco è piuttosto confuso su questa parte.

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Lettera XII 141[Solitudine]  

1. Agli amati nel Signore, un gioioso saluto!142

 Miei carissimi fratelli, sapete anche voi che dopo la caduta, l’anima non può conoscere Dio143, se non si allontana dagli uomini e da ogni distrazione. Perché allora potrà vedere l’attacco dei nemici che la combattono; ma quando vede il nemico combattere contro di lei e trionfa sui suoi attacchi, che di tanto in tanto le vengono addosso, allora lo Spirito di Dio dimorerà in lei e tutto il suo dolore si trasformerà in gioia ed esultanza. Se viene sconfitto di nuovo in combattimento, allora gli vengono la tristezza, il disgusto e molte altre varie afflizioni144.  

2. Perciò i Santi Padri145 vivevano solitari in luoghi deserti: Elia il Tesbita, Giovanni Battista e gli altri Padri. Non pensate che fu quando furono in mezzo agli uomini che i giusti progredirono, insieme a loro, nella virtù146, ma piuttosto che prima vivevano in grande solitudine, per far abitare in loro la potenza di Dio147. Allora Dio li mandò in mezzo agli uomini, quando già possedevano le virtù, a servire per l’edificazione degli uomini148 e curare le loro malattie, poiché erano i dottori delle anime e potevano curare le loro malattie 149. Per questo dunque, strappati dalla solitudine, furono mandati agli uomini; ma non furono mandati finché tutte le loro malattie non fossero guarite. È impossibile, infatti, che Dio li mandi a servire per l’edificazione degli uomini se sono ancora malati. Ma coloro che se ne vanno prima di essere perfetti, se ne vanno per volontà propria e non per volontà di Dio. E Dio dice di questi: «Io non li ho mandati, ma sono corsi» (Ger 23,21), ecc. Per questo non possono né custodire se stessi né servire l’edificazione di un’altra anima.  

3. Al contrario, coloro che sono inviati da Dio non vogliono abbandonare la solitudine150, perché sanno che è grazie ad essa che hanno acquisito la forza divina; ma per non disobbedire al loro Creatore, escono a servire per l’edificazione degli altri, imitando il Signore, perché il Padre ha mandato dal cielo il suo vero Figlio perché guarisse tutte le debolezze e tutte le malattie degli uomini151. Sta scritto: Ha preso le nostre debolezze e ha portato le nostre malattie (Is 53,4). Per questo tutti i santi che vanno dagli uomini per guarirli, imitano in tutto il Creatore, per diventare degni di farsi figli adottivi di Dio e per vivere, anche loro, come il Padre e il Figlio, nei secoli dei secoli152.  

4. Ecco, diletti, vi ho mostrato la forza153 della solitudine, come guarisce in tutti gli aspetti154 e come piace a Dio155. Ecco perché ho scritto loro per essere forti in ciò che intraprendono. Sappilo, è attraverso la solitudine che i santi progredirono e la forza divina abitò in loro, facendo loro conoscere i misteri celesti, e fu così che cacciarono tutta la vetustà di questo mondo. Chi vi scrive ha raggiunto anche quella meta lungo lo stesso cammino.

5. Siriaco 
Molti sono i monaci del nostro tempo che non hanno saputo perseverare in solitudine, perché non hanno potuto vincere la loro volontà. Per questo vivono sempre tra gli uomini, non potendo rinunciare, fuggire dalla compagnia degli uomini e impegnarsi in combattimento. Rinunciando alla solitudine, si accontentano di confortarsi con i loro simili per tutta la vita. Per questo non raggiungono la dolcezza divina né abita in loro la forza divina. Perché quando si presenta loro quella forza, li trova a cercare la loro felicità nel mondo presente e nelle passioni dell’anima e del corpo. E non può discendere su di loro. L’amore per il denaro, la vanagloria, tutte le altre malattie e distrazioni dell’anima impediscono alla forza divina di discendere su di loro.
5. Greco
La maggior parte non hanno potuto progredire in questo, perché sono rimasti in mezzo agli uomini e non sono riusciti, per questo, a vincere tutte le loro volontà. Non hanno voluto, infatti, superarsi fino a sfuggire alle distrazioni provocate dagli uomini, ma restano distratti l’uno con l’altro. Perciò non hanno conosciuto la dolcezza di Dio e non sono stati giudicati degni di far dimorare in loro la sua forza e di conferire loro il carattere celeste. Così, la forza di Dio non abita in loro, poiché sono monopolizzati dalle cose di questo mondo, arresi alle passioni dell’anima, 
alle glorie umane e alle volontà del vecchio uomo. È così che Dio ci testimonia ciò che deve accadere. 

6. Rafforzatevi, quindi, in quello che fate. Perché chi abbandona la solitudine non può vincere la propria volontà né prevalere nella lotta che si fa contro il proprio avversario. Per questo non hanno più la forza di Dio che abita in loro. Non si sofferma su coloro che servono le loro passioni156. Però avete vinto le passioni e la forza di Dio verrà da sola a voi157.  

 Comportati bene nello Spirito Santo. 

NOTE:

141 È conservato nel siriaco (n. 12), georgiano (n. 3), greco (n. 1), arabo (n. 18), armeno (n. 3) ed etiope (n. 2). 

142 Questo saluto manca in greco. 

143 Il greco aggiunge: “a seconda dei casi” (o: è necessario). Altre versioni aggiungono: “Facilmente”. 

144 Il greco porta un testo un po’ diverso: “Durante quelle lotte, ti infliggeranno afflizioni e dolori con molti altri vari guai, ma non temere, perché non prevarranno contro chi vive nella solitudine”.

145 Greco: “I nostri santi padri”; Georgiani ed etiopi aggiungono: “I primi santi padri”. 

146 La traduzione segue il testo greco, la versione siriaca sembra un po’ più cupa: “Non considerare che erano giusti perché facevano opere di giustizia dimorando tra gli uomini…”. 

147 “Se vuoi che la forza di Dio scenda su di te, ama il digiuno e fuggi dagli uomini”; Lettera di Arsenio, 32 (Lettres, p. 41). 

148 Il testo siriaco dice: “Essere dispensatori di Dio”; si segue la lettura del georgiano, del greco e dell’armeno. 

149 Cfr Vita di Antonio 87: Antonio “medico di tutto l’Egitto” (Lettres, p. 41). 

150 Vita di Antonio 85. 

151 Cfr. le Lettere di S. Antonio: III, 2; IV,2-3; V,2; VI,2.

152 Da “imitare il Signore” alla fine di questo paragrafo, il testo manca in georgiano, greco, armeno ed etiope. 

153 georgiano e armeno: “Il frutto”; Etiope: “I frutti”. 

154 Lettura siriaca, che manca in georgiano, greco, armeno ed etiope.

155 Quanto segue, fino alla fine del paragrafo, non si trova in georgiano, greco, armeno ed etiope.

156 Tale è il testo delle versioni georgiana, greca, armena ed etiope. Il siriaco recita: “Perché coloro che abbandonano la solitudine non possono vincere le loro volontà né prevalere nel combattimento che si fa contro il loro avversario, poiché sono soggetti alle loro passioni”. Invece di “passioni”, il georgiano porta: “Chi fa la propria volontà”; e l’etiope: “Che siano soggetti alla legge dei loro membri”. 

157 Siriano: “Lui è con te”; Etiope aggiunge: “E abiterà in te”.

Desert Fathers | The Modern Monastic Order Of Saint Simon of Cyrene

Lettera XIII158 [Lo Spirito di penitenza e lo Spirito Santo]  

1. Carissimi nel Signore, vi saluto nello Spirito di dolcezza, che è pacifico e profuma le anime159 dei giusti. Questo Spirito viene solo alle anime totalmente purificate dalla vecchiaia, perché è santo e non può entrare nell’anima impura (Sap 1,4-5)160.  2. Nostro Signore l’ha dato agli apostoli solo dopo che si sono purificati. Per questo ha detto loro: «Se vado, vi manderò il consolatore, lo Spirito di verità, ed Egli vi farà conoscere ogni cosa» (Gv 16,7.13). Perché questo Spirito, da Abele ed Enoc fino ad oggi, è dato alle anime dei giusti che sono totalmente purificate. Ma quello che raggiunge le altre anime non è quello, ma lo Spirito di penitenza161; arriva alle altre anime per chiamarle tutte alla purificazione dalla loro impurità. E quando li ha totalmente purificati, li consegna162 allo Spirito Santo, affinché incessantemente diffonda su di loro un soave profumo, come disse Levi: «Chi ha conosciuto il profumo dello Spirito se non coloro nei quali abita?».163. Pochi sono favoriti anche dallo Spirito di penitenza, ma lo Spirito di verità, di generazione in generazione, abita a malapena solo in poche anime.  

3. Come una perla preziosa non si trova in ogni casa, ma talvolta solo nei palazzi reali164, così questo Spirito si trova solo nelle anime dei giusti divenuti perfetti. Dal momento in cui Levi fu gratificato con Lui, offrì un grande ringraziamento a Dio e disse: «Ti canto, Signore, perché mi hai dato lo Spirito che dai ai tuoi servi»165. E tutti i giusti ai quali era stato mandato resero un grande ringraziamento a Dio. Perché è la perla di cui parla il vangelo, comprata da colui che ha venduto tutti i suoi averi (Mt 13,46). Ebbene, è il tesoro nascosto in un campo, che un uomo trovò e per il quale fu molto felice (Mt 13,44). Alle anime in cui abita, rivela grandi misteri; per loro la notte è come il giorno. Ecco, io ti ho fatto conoscere l’azione di quello Spirito.  4. Voglio166 far loro sapere che dal giorno in cui li ho lasciati, Dio mi ha fatto prosperare in ogni cosa, finché sono venuto al mio posto. E quando sono nella mia solitudine, Egli rende il mio cammino ancora più prospero167 e mi aiuta, segretamente o apertamente. E avrei voluto che tu mi fossi vicino per le rivelazioni che mi furono date168, perché ogni giorno ne concede nuove (rivelazioni)169​​​​.  

5. Quindi voglio che tu sappia qual è la tentazione. Sai che la tentazione non viene sull’uomo se non ha ricevuto lo Spirito. Quando ha ricevuto lo Spirito, viene consegnato al diavolo per essere tentato. Ma chi lo consegna se non lo Spirito di Dio? Perché è impossibile che il diavolo tenti un credente, se Dio non lo libera.  

6. Infatti, nostro Signore prendendo la carne è diventato per noi un esempio in tutto. Quando fu170 battezzato, lo Spirito Santo scese su di lui in forma di colomba (Mt 3,16), perché lo Spirito lo condusse nel deserto171 per essere tentato (Mt 4,1), e il diavolo non poteva fare nulla contro di Lui. Ma la potenza dello Spirito, dopo le tentazioni, aggiunge ai santi un’altra grandezza e una forza maggiore172.  

 È necessario che tu conosca173 la mia tentazione, che mi ha reso simile a nostro Signore. Quando discese dal cielo vide un’atmosfera diversa, tenebrosa, e di nuovo mentre stava per scendere nell’Ade, vide un’aria più densa e disse: “Ora l’anima mia è turbata” (Gv 12,27). Allo stesso modo io, in modo simile, ho subito recentemente questa tentazione che mi turbava da tutte le parti174. Tuttavia, ho lodato Dio, che servo con tutto il cuore fin dalla mia giovinezza e al quale obbedisco, sia in onore che in umiliazione. Mi ha portato fuori da quell’ariatenebrosa e mi ha riportato alla prima altezza. E penso che questa tentazione sia l’ultima175

7. Quando il beato Giuseppe sopportò l’ultima tentazione in carcere (Gn 29,20), fu più afflitto anche da tutte le altre tentazioni. Ma dopo la prigione, che è l’immagine dell’Ade, ricevette tutti gli onori, perché divenne re (Gn 41,40). Da quel momento in poi la tentazione non lo tentò più. Ti ho fatto conoscere quali tentazioni ho incontrato e come sono ora176.  

8. Dopo aver scritto questa lettera mi è venuta in mente la parola scritta in Ezechiele, che presenta l’immagine delle anime divenute perfette. Vide una creatura vivente sul fiume Chobar, che aveva quattro facce, quattro piedi e quattro ali. Un volto di cherubino, uno di uomo, uno di aquila e uno di toro (Ez 1,1-10). Il volto dei Cherubini è lo Spirito di Dio, che riposa in un’anima e la dispone a lodare con voce soave e bella177. E quando vuole, scende ed edifica gli uomini, poi assume il volto di un uomo. E quella del toro, è quando l’anima fedele è in combattimento: lo Spirito di Dio l’aiuta e le dà la forza di un toro, perché possa incornare il diavolo. E l’aquila, perché l’aquila vola più in alto di tutti gli altri uccelli. E quando l’anima dell’uomo vola in alto, lo Spirito Santo viene ad essa, insegnandole a stare in alto e ad essere vicino a Dio.  

9. Ti ho fatto sapere poco di questo essere. Ma se pregate e lo visitate, entrerò nella Betel, che è la casa di Dio (Gn 28,19), e adempirò i miei voti (Sal 65,13), quelli che le mie labbra hanno promesso178. Allora ti parlerò più chiaramente179 su questo180.  

10. Betel, infatti, significa la casa di Dio (Gn 28,19). Dio combatte, dunque, per la casa su cui è invocato il suo nome. E fu Ezechiele a vedere quell’essere vivente.  

Salutate tutti coloro che sono stati associati al lavoro e al sudore dei padri nella tentazione, come dice altrove Giovanni: «Dio è glorificato dal sudore dell’anima»181. Così, per il seme di sudore che semina, l’anima è associata a Dio. E anche quelli sono legati alla sua messe, poiché sta scritto: Se soffriamo con lui, vivremo con lui (Rm 8,17), ecc. Il Signore disse anche ai suoi discepoli: «Voi avete sofferto con me nelle mie tentazioni, io stabilirò con voi un contratto regale, come il Padre mi ha promesso che vi sareste seduti alla mia mensa» (Lc 22,29), ecc.  

11. Vedo che coloro che condividono le fatiche condividono anche il resto, e chi partecipa all’umiliazione, partecipa ugualmente all’onore. Sta scritto, infatti, nei Padri: «Il figlio buono eredita la primogenitura e le benedizioni paterne»182. È così con ciò che seminiamo. Sono i semi di Dio e i buoni figli che ereditano il diritto di primogenitura e le nostre benedizioni. Quando sarò via, al mio posto, l’arrivo dei frutti mi ricorderà questi raccolti.  

Ma tu, da buon maestro, esortali con cura. Dio ti conceda di lasciare questa dimora183 lasciando un buon raccolto! Perché sappiamo che sei un buon padre e un ottimo educatore. Tuttavia, vi ricordo che è a causa di questo raccolto che Dio vi ha lasciato in questa dimora.  

Comportatevi bene nel Signore, nello Spirito dolce e pacifico che abita le anime dei giusti.  

NOTE:

158 È conservato in siriaco (n. 13), georgiano (n. 11), greco (n. 7) e arabo (n. 19). 159 Invece di quanto segue (fino alla “vecchiaia”), il siriaco porta: “Di coloro che sono completamente purificati dalle loro passioni”. 

160 Cfr Lettere di S. Antonio, VII.

161 Anche sant’Antonio nelle sue Lettere (I,2 e 4) parla di spirito di penitenza o di conversione (Lettres, p. 45). 

162 È la lezione del georgiano; Il greco e l’arabo leggono: “trasmette”; il siriaco: “conduce” (o: guida). 

163 Citazione non identificata. 

164 Dice solo il greco: “Come una perla di gran prezzo…”.

165 Citazione non identificata. 

166 Questo paragrafo manca del tutto nella versione greca. 

167 Seguo il testo siriaco.

168 Georgiano: “Fai loro sapere quante rivelazioni ci sono”; Arabo: “Affinché io vi faccia conoscere tutto ciò che lo Spirito Santo mi ha rivelato in ogni momento”.

169 georgiano: “Poiché di giorno in giorno avranno una gioia ancora più grande”; L’arabo omette questa frase. 

170 Questa prima parte, fino a qui, manca nel georgiano. 

171 Il siriaco aggiunge: “E lo consegnò a Satana…” 

172 Al siriaco manca “E una forza maggiore”. 

173 È la lettura georgiana; dispersa nel siriaco. L’arabo porta: “Carissimi figli, vorrei che mi foste vicino perché sapeste…” 

174 Il testo greco omette “è necessario” fino a qui. 

175 Tutta quest’ultima parte è diversa nel greco: «In ogni cosa, dunque, lodiamo Dio e rendiamolo grazie, sia in onore che in umiliazione, perché Egli ci ha tratto da quell’aria oscura e ci ha restaurati nella nostra prima altezza. Quindi quanto segue non esiste nella versione greca curata da F. Nau. 

176 Georgiano: “Ecco, ti ho fatto conoscere la grandezza delle tentazioni che ho sopportato”. 

177 La versione francese in questa parte sembra seguire la versione georgiana; il testo siriaco è piuttosto vario: “Una faccia del Cherubino era quella di un leone, una di uomo, una di aquila e una di toro (Ez 1,1-10). Ora, la faccia leonina di Cherubino, che cos’è? Infatti, quando lo Spirito di Dio si posa sull’anima di un uomo, gli dona la forza di Dio, lo incoraggia fortemente e gli insegna un canto con una voce dolce e bella. 

178 Il siriaco dice: “Entreranno alla Betel e lì adempiremo i nostri voti e offriremo i nostri sacrifici di pace, che le nostre labbra hanno promesso”.

179 È la lettura georgiana. Il siriaco porta: “Per quanto possibile, vi diamo la spiegazione…”. 

180 Qui il georgiano sembra finire, aggiungendo solo il saluto: “Sii forte in Cristo e comportati bene”.

181 Citazione non identificata. 

182 Citazione non identificata. 

183 Il siriaco dice: “Questo mondo”.

Lettera XIV 184 [Giustizia]  
1. Ecco la lettera che tuo padre ti ha scritto; questa è l’eredità dei padri giusti185, che lasciano in eredità giustizia ai loro figli186. I genitori secondo la carne lasciano l’oro e l’argento in eredità ai loro figli; però i giusti187 lasciano questo ai loro figli: la giustizia188. I patriarchi erano ricchissimi d’oro e d’argento e, prossimi alla morte, non diedero loro alcun ordine, se non per quanto riguarda la giustizia, poiché essa rimane per sempre.  
2. L’oro e l’argento sono corruttibili (1P 1,18), appartengono alla misera scorta di questo breve tempo. Ma la giustizia appartiene alla dimora in alto e rimane con l’uomo per sempre. Perché l’eredità che danno loro i genitori è giustizia189.  
3. Comportati bene nel Signore e nella buona volontà della giustizia che Dio ti dona giorno dopo giorno, fino alla tua partenza da quaggiù.

NOTE:  
184 È conservato solo nel siriaco (n. 14) e nell’arabo (n. 19). 
185 L’arabo porta “spirituale”. 
186 Arabo: “La benedizione”. 
187 Arabo: “Padri spirituali”. 
188 Arabo: “La benedizione”. 
189 Arabo: “La benedizione”.




PADRI DEL DESERTO: AMMONAS (Ammone) – Introduzione

Biografia

Apoftegmi (detti)

Lettere

ORTHODOX CHRISTIANITY THEN AND NOW: Life and Sayings of Holy Abba Ammonas  the Bishop

Discepolo di Antonio il Grande che, alla morte di quest’ultimo, prima di diventare Vescovo, pare che passò a dirigere la colonia di monaci di Pispir. Non ci sono dati certissimi ed il dubitativo lo mettiamo perché all’epoca in Egitto il nome Ammonas era abbastanza diffuso. A lui sono state attribuite 14 lettere che rappresentano un’ottima fonte – una delle più importanti dopo gli Apoftegmi – per conoscere il monachesimo primitivo fiorito nel deserto egiziano.

Alcune brevi note biografiche possono essere tracciate esaminando gli scritti che ci sono pervenuti a suo nome. Abbracciò la vita monastica in gioventù (XIII,6)1, svolse «molti lavori nel deserto e sui monti» (XI,5); fu discepolo di sant’Antonio e come sia diventato anche un padre spirituale. Nelle lettere, infatti, si rivolge autorevolmente ai suoi corrispondenti, chiamandoli “figli carissimi” (IV,1). Visse per qualche tempo con i suoi discepoli, ma poi li lasciò per vivere in maggiore solitudine: «Voglio che tu sappia che dal giorno in cui ti ho lasciato, Dio mi ha fatto prosperare in ogni cosa, fino a quando sono venuto al mio posto. E quando sono solo, Egli rende il mio cammino ancora più prospero e mi aiuta, segretamente o apertamente». (XIII,4). Questo non gli ha impedito di continuare a mantenere uno stretto rapporto con loro e, a quanto pare, li visitava periodicamente: “ … Se vado a visitarli, li affermerò molto con la dottrina dello stesso Spirito, e farò conoscere loro anche altre cose che non posso scrivere loro per lettera» (V,2).  

L’ Historia Monachorum e gli Apotegmi della serie alfabetica attribuita ad Ammonas Offrono alcune informazioni che consentono di confermare e ampliare i dati sulla vita dell’autore delle lettere:  

– fu discepolo di Antonio (Ammonas 7 e 8; Historia Monachorum 15);  

– visse 14 anni nel deserto di Scete nell’ascesi (Ammonas 3);  

– dovette subire varie prove, per un tempo abbastanza lungo, nei deserti (Ammonas 9);  

– Alla morte di sant’Antonio, gli succedette alla guida della comunità da lui diretta a Pispir, sulla sponda destra del fiume Nilo, nel basso Egitto (cfr Historia Monachorum 15);  

– si distinse per la sua grande gentilezza, tranquillità e dolcezza (Ammona 6, 8 e 10);  

– ad un certo momento, che non possiamo precisare, lasciò il suo posto, a capo della comunità semianacoretica del Pispir, venendo succeduto in quel ministero da un certo Pityrion (cfr Historia Monachorum 15); forse è a lui che si rivolge nella lettera XIII.

– fu nominato vescovo.

– Non conosciamo la data precisa della morte di Ammonas. Dobbiamo comunque porla sicuramente prima della stesura dell’Historia Monachorum, cioè alla fine del IV secolo (396?). Ammonas quindi visse, molto presumibilmente, nella seconda metà del IV secolo.  

La Chiesa greca lo ricorda il 26 gennaio e il sabato prima del cinquantesimo (dedicato agli “asceti”). La Menologia della Chiesa siriana lo celebra il 10 giugno. 

GLI APOFTEGMI (detti)




APPUNTI STORIA: 774 d.C. Franchi, Stato Pontificio, Bisanzio in Calabria

LE CONSEGUENZE DELLA CONQUISTA FRANCA

Tratto da A. Barbero, Carlo Magno, Un padre dell’Europa

a) La nascita dello Stato Pontificio

Già prima della resa di Desiderio, Carlo era così sicuro del fatto suo che poté lasciare l’assedio di Pavia per andare a festeggiare la Pasqua del 774 a Roma, che visitava per la prima volta. Accolto da papa Adriano con gli onori, a dire il vero abbastanza moderati, spettanti all’esarca di Ravenna e al patrizio dei Romani, Carlo salì in ginocchio gli scalini di San Pietro, baciandoli uno per uno, a conferma della poderosa potenza sacrale che risiedeva, ai suoi occhi, in quel luogo di cui s’era fatto protettore. Ma il momento più importante del soggiorno romano furono i negoziati fra il re e il papa, sul cui effettivo andamento siamo tuttora in dubbio, anche per le discordanze fra i cronisti di parte franca e di parte pontificia. Certamente i due rinnovarono il patto di amicizia stretto vent’anni prima fra Pipino e Stefano II; inoltre, Adriano chiese a Carlo di confermare una promessa scritta che suo padre aveva firmato in quell’occasione. Questo documento venne letto al re, che secondo i cronisti pontifici accettò di sottoscriverlo; esso allargava a dismisura i territori governati direttamente dal papa, la cosiddetta «repubblica di San Pietro», riconoscendogli la sovranità su gran parte d’Italia, mentre ai Franchi restavano soltanto l’arco alpino e la pianura padana fino a Pavia, e a Bisanzio la Calabria, la Sicilia e la Sardegna.

Questo racconto ha sollevato più d’un dubbio fra gli storici, poco persuasi che Carlo, e prima di lui Pipino, abbiano potuto assumere un impegno così grave. Ma anche ammettendo che si debba prestar fede alla versione pontificia, bisogna pensare che l’incontro fra Carlo e Adriano avvenne quando la guerra contro i Longobardi era ancora in corso, Desiderio resisteva in Pavia assediata e gli assetti futuri della Penisola erano tutti da decidere; sicché non ci si deve sorprendere se, quando ebbe assunto personalmente la corona di re dei Longobardi, Carlo preferì ripensarci. Quel che è certo è che si guardò bene dall’attuare un impegno che, se preso alla lettera, avrebbe significato la dissoluzione del suo nuovo regno: l’autorità del papa venne riconosciuta soltanto sull’antico ducato di Roma, accresciuto della Sabina, e sui territori già bizantini dell’Esarcato e della Pentapoli, collegati da una striscia di territorio appenninico. La «repubblica di San Pietro», alla cui costruzione i pontefici avevano lavorato fin dall’inizio dell’VIII secolo, assumeva così il profilo più o meno definitivo di quello Stato Pontificio i cui ultimi avanzi crolleranno solo mille anni dopo, sotto il cannone di Porta Pia.




“IL CAMMINO DI UN PELLEGRINO” E IL VESCOVO IGNAZIO (BRIANCHANINOV) INSEGNAMENTO SULLA PREGHIERA

Basandosi sull’eredità di sant’Ignazio del Caucaso, Alexey Ilyich Osipov, il noto professore dell’Accademia teologica di Mosca, riflette sulle questioni delle pratiche spirituali nelle tradizioni cristiane orientali e occidentali, nonché sul posto del libro ‘Racconti di un pellegrino russo’ nella vita spirituale cristiana.

Ieromonaco Adrian (Pashin): Alexey Ilyich, il tuo opuscolo sulla preghiera di Gesù è stato pubblicato di recente. Cosa ti ha spinto ad affrontare questo argomento esclusivamente (come potrebbe sembrare) monastico?

Alexey Ilyich Osipov: Il fatto è che sono stato invitato a tenere una conferenza in Italia, nel famoso monastero di Bose, dove ogni anno si tengono conferenze su vari argomenti. Sono invitati rappresentanti di diverse Chiese, non solo della Chiesa cattolica, ma anche delle Chiese ortodosse e persino protestanti. Era il settembre 2004. L’argomento della conferenza era la preghiera e, credo, anche la preghiera di Gesù, ma non ricordo con certezza. Come è venuto fuori il tema del mio intervento? Il Rettore di uno dei Pontifici Istituti di Roma ha visitato la nostra Accademia circa vent’anni fa. Durante il suo discorso in sala conferenze ha detto, in particolare, che i monaci cattolici sono attualmente molto interessati alle pratiche di meditazione indù e ai Racconti di un pellegrino, dove viene esposto un insegnamento del tutto peculiare sulla preghiera di Gesù. Per questo ho deciso di scrivere una relazione sul tema: “L’insegnamento sulla preghiera di Gesù secondo il vescovo Ignazio (Brianchaninov) e i Racconti di un pellegrino”. Ho pensato che l’argomento sarebbe stato di interesse sia per i cattolici che per me perché avevo letto i Racconti di un pellegrino che avevo 16 o 17 anni e all’epoca mi aveva lasciato un’impressione di grande ispirazione. Ricordo di aver provato a praticare la Preghiera di Gesù per un giorno o due, usando il metodo del Pellegrino – non potevo farlo ancora per molto; più tardi, quando ho iniziato a lavorare sul mio discorso, ho capito che era stata una fortuna. Ho tenuto il mio discorso alla conferenza. Gli ortodossi hanno mostrato interesse mentre il pubblico cattolico lo ha ricevuto in silenzio. Tuttavia, uno dei famosi (non lo nominerò) studiosi secolari di San Pietroburgo (non un teologo), partecipante regolare a tutte le conferenze di Bose, ha espresso il suo dispiacere per il mio intervento. Il talk è stato poi tradotto in italiano e pubblicato sia in Italia che in Russia. Questo è lo sfondo in cui è maturato il libro.

Hierom. Adrian: Quindi sembra che The Way of a Pilgrim, un libro di un autore sconosciuto che è piuttosto popolare qui in Russia, sia noto anche all’estero?

AI Osipov: Non è semplicemente noto all’estero, ma, come ha detto quel cancelliere, i monasteri cattolici vi prestano molta attenzione. Viene letto, studiato, seguito come guida.

Hierom. Adrian: Perché pensi che i cattolici siano così interessati al libro?

AI Osipov: Ecco come stanno le cose. In primo luogo, il Pellegrino ha raggiunto l’incessante Preghiera di Gesù e ha raggiunto speciali stati dell’anima e del corpo a una velocità sorprendente – in poche settimane, beh, forse in pochi mesi, mentre il Vescovo Ignazio scrive che secondo l’insegnamento del Santo Padri “ci vogliono molti anni”. Il Pellegrino afferma che quando all’inizio l’anziano gli diede l’obbedienza di dire tremila preghiere al giorno, sentì che la preghiera diventava facile e desiderabile in soli due giorni. Dopodiché, l’anziano gli ordinò di dire seimila preghiere e, dopo soli dieci giorni, dodicimila. E “terminava facilmente le dodicimila preghiere la sera presto” e “in circa tre settimane . . . Ho cominciato a sentire. . . quel piacere ribolliva nel mio cuore… e io stesso mi trasformai in estasi. [AZJ] ha raggiunto lo stesso stato nello stesso modo fulmineo – in meno di una settimana (!); iniziò a seguire il metodo mostratogli dal Pellegrino. “In circa cinque giorni ho iniziato a sentire un calore intenso e… . . cominciavo a vedere la luce di tanto in tanto. . . a volte, quando entrava nel suo cuore nella sua immaginazione, era come se la fiamma potente di una candela accesa si accendesse di dolcezza nel suo cuore e, saltandogli fuori dalla gola, lo illuminasse; alla luce di quella fiamma poteva vedere anche cose lontane.

Un metodo così facile e veloce, rispetto alla rigorosa impresa della lotta con le passioni intrapresa per molti anni dai Santi Padri, è molto allettante per tutti coloro che vorrebbero evitare la via «senza pene, senza guadagni».

Il secondo e non meno stimolante motivo di interesse per questo libro è la vanità e l’orgoglio che attirano le persone a raggiungere immediatamente stati elevati, senza compiere i passi preliminari del viaggio spirituale. Queste passioni trasformano un asceta in un sognatore ad occhi aperti, con conseguenze abbastanza logiche e spesso terribili per la sua vita.

Il Vescovo Ignazio caratterizza molto chiaramente tali aspirazioni degli asceti cattolici: “Sono subito attirati e attirano i loro lettori ad altezze inaccessibili al novizio, diventano essi stessi presuntuosi e rendono gli altri presuntuosi. Un sogno acceso, spesso frenetico, sostituisce tutto ciò che è spirituale per loro: non hanno idea della vera spiritualità. Considerano questo sogno come grazia. «Li riconoscerete dai loro frutti» (Mt 7,16) disse il Salvatore. Sappiamo tutti fin troppo bene attraverso quali crimini, torrenti di sangue e comportamenti decisamente anticristiani i fanatici occidentali hanno espresso il loro brutto modo di pensare, il loro brutto sentimento del cuore”.

Queste sono le ragioni nascoste dell’interesse per I Racconti .

Hierom. Adrian: Pensi che un modo così rapido sia pericoloso?

AI Osipov: In questo caso non voglio assolutamente parlare per me, perché non ho alcuna esperienza in materia. La mia comprensione si basa sullo studio teorico dei Santi Padri della vita ascetica e, soprattutto, sugli scritti del santo Vescovo Ignazio (Brianchaninov). 

Sant'Ignazio Brianchaninov.
Sant’Ignazio Brianchaninov

Perché mi sono rivolto in particolare alle sue opere? Come è noto, i resoconti orali e scritti di lui da parte di tutti gli Anziani di Optina e di molti altri pii asceti russi non sono semplicemente positivi, ma piuttosto, direi, sono pieni di ammirazione. Parlavano e scrivevano di lui come di un vero maestro che aveva una profonda comprensione della vita spirituale e nei suoi scritti esponeva il cammino dei Santi Padri. Citerò le loro affermazioni. San Macario di Optina lo definì “una grande mente”. San Barsanufio di Optina scrisse: “Quando leggo i suoi scritti, mi meraviglio della sua mente veramente angelica, della sua comprensione sorprendentemente profonda delle Sacre Scritture. Per qualche ragione, sono particolarmente favorevole ai suoi scritti; in qualche modo hanno un appello speciale per il mio cuore e la mia mente, illuminandolo di una luce veramente evangelica”. “Il quinto volume degli scritti del Vescovo Ignazio contiene l’insegnamento dei Santi Padri applicato al monachesimo moderno e insegna come devono essere letti gli scritti dei Santi Padri. Il Vescovo Ignazio aveva una visione profonda ed era, a questo riguardo, probabilmente anche più profondo del Vescovo Teofane [il Recluso – AZJ]. La sua parola ha un potente effetto sull’anima perché procede dall’esperienza. L’abate Nikon (Vorobyev) esprime lo stesso pensiero cinquant’anni dopo: “Come gli sono grato per i suoi scritti! Non capirlo e non apprezzarlo significa non capire nulla della vita spirituale. Oserei dire che gli scritti del vescovo Teofane (possa il santo Vladyka perdonarmi) sono opere di uno scolaro paragonate a quelle di un professore: gli scritti del vescovo Ignazio (Brianchaninov). San Nikon (Belyaev) di Optina definì l’opera del vescovo Ignazio “l’ABC della vita spirituale” – la teneva in così alta considerazione. E sono gli scritti di Sant’Ignazio che tutti gli altri Anziani di Optina raccomandarono di studiare, in particolare il suo insegnamento sulla preghiera, vera guida alla vita spirituale.

Troviamo parole notevoli sul vescovo Ignazio negli scritti della badessa Arsenia (Sebryakova): “L’ho letto con grande piacere, con conforto ed edificazione della mia anima. Le parole dello stesso Vladyka mi sono care”. Giovanni di Valaam si riferisce al vescovo Ignazio e offre il consiglio del vescovo ai suoi figli spirituali come il più autorevole per i nostri tempi. (A questo proposito, vorrei sottolineare tra parentesi che qualsiasi predicatore o scrittore della Chiesa che, parlando di vita spirituale nei suoi scritti, non si rivolga agli scritti di Sant’Ignazio, dà una chiara testimonianza di «di quale spirito è” [Lc 9,55 – AZJ] Tuttavia, il ricorso a quelle opere non è di per sé indice della spiritualità dello scrittore). Quindi, tenendo conto di questa moltitudine di indubbie testimonianze spirituali, ho deciso di confrontare l’insegnamento sulla preghiera di Gesù ne I Raccinti di un pellegrino con quello del vescovo Ignazio.

Hierom. Adrian: È necessaria una guida nella pratica della preghiera di Gesù; senza di essa, come scrivi, possiamo cadere nell’illusione spirituale (prelest). Ma cosa dobbiamo fare oggi, quando, nelle parole del Vescovo Ignazio (e voi siete d’accordo con loro), la guida spirituale e la paternità spirituale sono diventate così scarse? Come possiamo allora imparare a pregare correttamente?

AI Osipov: Prima di tutto, vorrei ricordarti ancora una volta che quando si tratta dei miei consigli sull’attenta pratica della Preghiera di Gesù, non parlo da me stesso. È noto che gli Anziani di Optina davano questo consiglio a chi aveva più zelo che buonsenso perché, come scrive sant’Isacco di Siria, «Tutto è reso bello dalla moderazione. Anche qualcosa considerato bello diventerà dannoso se fatto senza moderazione”. A questo punto le persone che non capiscono le condizioni richieste per praticare la Preghiera di Gesù e che hanno lo scopo sbagliato nel praticarla, generalmente cadono nella presunzione, nell’illusione spirituale e nell’orgoglio. Il vescovo Ignazio avanza la stessa idea. Quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento nei confronti della preghiera di Gesù oggigiorno? Dipende da chi la pratica.

Per quanto riguarda i maestri portatori di spirito, il vescovo Ignazio ha dato quel nome a coloro che avevano realizzato l’incessante preghiera di Gesù data da Dio, raggiunto il distacco e ricevuto da Dio il raro dono di vedere nell’anima umana. Tali insegnanti potrebbero davvero evidenziare quelle passioni nascoste e le loro cause che le persone non potevano vedere in se stesse. Tuttavia, parlando del suo tempo, il vescovo Ignazio ha pronunciato parole estremamente offensive per coloro che si consideravano padri spirituali: “Non abbiamo insegnanti ispirati da Dio!” E non lo ha detto semplicemente, lo ha detto con un punto esclamativo. E conosceva abbastanza bene lo stato del monachesimo del suo tempo.

Tuttavia, in assenza di consiglieri ispirati da Dio, il vescovo Ignazio offre alcuni consigli molto importanti a coloro che cercano la vita spirituale.

Il primo consiglio è di lasciarsi guidare soprattutto dagli scritti e dall’esperienza di quegli antichi Padri e asceti russi che davano consigli a persone dello stesso livello spirituale del cristiano moderno. Naturalmente a questi scritti vanno aggiunte tutte le opere dello stesso Vescovo Ignazio, poiché egli perseguì la sua vocazione monastica e scrisse in un periodo spiritualmente molto simile a quello moderno – ecco perché è il miglior consigliere spirituale del nostro tempo .

Il secondo consiglio è di consultare coloro che sono del nostro stesso spirito, che cercano sinceramente la vita spirituale, studiano e conoscono gli scritti dei Santi Padri e, cosa molto importante, hanno il dono del discernimento. Rispetto all’ultima condizione (il discernimento), il vescovo Ignazio avverte che vi erano anche santi che avevano raggiunto stati spirituali elevati, ma, non possedendo il dono del discernimento, talvolta offrivano consigli che danneggiavano gravemente l’anima.
Monsignor Ignazio cita a questo proposito il pensiero dei santi Macario il Grande e Isacco il Siro: “San Macario il Grande diceva che . . . ci sono anime che, divenute partecipi della grazia divina. . . allo stesso tempo dimorano come nell’infanzia, a causa della mancanza di esperienza reale. . . in uno stato che è molto insoddisfacente per la vera lotta ascetica”. Hanno un detto su tali anziani nei monasteri – “santi ma non abili” – e si prendono cura di consultarli. . . per evitare di affidarti frettolosamente e sconsideratamente alla guida di tali anziani. Sant’Isacco il Siro dice addirittura che un tale anziano «non è degno di essere chiamato santo». È con tale cura, si scopre, che dovremmo avvicinarci alla scelta di coloro che possiamo consultare.

Ecco perché nel nostro tempo le persone che vogliono imparare a pregare e vivere rettamente, senza delusioni spirituali, devono studiare gli scritti del Vescovo Ignazio molto meticolosamente, poiché conosceva molto bene l’insegnamento dei Padri e seguiva la via della preghiera in modo esperienziale. Ma, naturalmente, se riusciamo a trovare una persona esperta, comprensiva e ragionevole, dovremmo anche chiedere il suo consiglio. Tuttavia, dovremmo consultarlo come consulteremmo gli amici, non come leader di una setta “ortodossa” assolutista che richiede obbedienza incondizionata. Data l’assenza di maestri oggi ispirati da Dio, non si può parlare di obbedienza completa anche nei monasteri; e quanto alla vita nel mondo, tale obbedienza non è mai esistita, tranne forse nel rapporto tra falsi padri spirituali e falsi figli spirituali, soprattutto false figlie spirituali. È vero, però, che dobbiamo distinguere tra l’obbedienza nelle questioni amministrative (secondo il grado), che è utile per la vita spirituale, e l’obbedienza spirituale, che il vescovo Ignazio chiama grande atto monastico.

Scrisse: “Invano desideri essere completamente obbediente a un insegnante esperto. Questo tipo di lotta ascetica non è stata concessa ai nostri tempi. È assente non solo tra i cristiani che vivono nel mondo, ma anche nei monasteri”.

“E molti pensavano che stessero operando in obbedienza, ma in realtà si è scoperto che avevano assecondato i propri capricci e si erano lasciati trasportare dal loro zelo. Felice è l’uomo che nella sua vecchiaia avrà il tempo di versare una lacrima pentita sulle passioni della sua giovinezza. Il Signore ha detto dei capi ciechi e di quelli da loro condotti: «E se il cieco guida il cieco, entrambi cadranno nel fosso» (Mt 15,14).

Hierom. Adrian: Tuttavia, alcuni potrebbero obiettare che ai tempi del vescovo Ignatius (Brianchaninov) c’erano gli anziani di Optina e ora ci sono parecchi padri spirituali e anziani che sono stimati tra la gente. Molti cercano la loro guida spirituale e sono disposti a consegnare completamente la loro volontà nelle loro mani. Le persone semplici non possono fare lo stesso adesso?

AI Osipov: Secondo l’insegnamento dei Santi Padri, dovremmo esercitare molta cautela in questa materia. Lo avvertono tutti i santi, a cominciare dai tempi antichi, quando fiorirono gli asceti. Per esempio, san Giovanni Cassiano da Roma scriveva nel V secolo: «È utile rivelare ai padri il nostro pensiero; non a chiunque si trovi lì, però, ma piuttosto agli anziani spirituali che hanno discernimento, che sono anziani non solo a causa dell’età dei loro corpi e dei capelli grigi. Molti, essendo stati attratti dall’apparenza della vecchiaia e avendo espresso i loro pensieri [a tali anziani – AZJ], sono stati danneggiati invece di ricevere un rimedio”. E guarda con quanta enfasi San Giovanni della Scala (sec. VI) ne parla: «Quando noi… desideriamo… affidare la nostra salvezza ad un altro, allora, anche prima di intraprendere questa strada, se abbiamo solo un po’ di perspicacia e discernimento, dobbiamo studiare, provare e mettere questa guida alla prova, per così dire. Dobbiamo farlo per non procurarci un semplice vogatore invece di un timoniere, invece di un medico – un malato, invece di un uomo spassionato – uno posseduto dalle passioni, invece di un rifugio – un abisso, – così, per evitare di trovare la nostra distruzione pronta per noi” (La scala. Sermone 4, cap. 6). Il vescovo Theophan (Govorov) era solito mettere in guardia: “Nel determinare chi diventerà [il nostro padre spirituale – AO], dovremmo esercitare molta cautela e usare un giudizio rigoroso, per evitare di fare del male invece del bene, per evitare di provocare devastazione invece di fare un lavoro costruttivo”.

Ma come predicevano gli antichi Padri e ripetevano costantemente i Padri degli ultimi giorni, la Chiesa sta assistendo al processo per cui gli insegnanti stanno diventando scarsi: gli insegnanti che possono vedere nell’anima e possono realizzare ciò che San Serafino di Sarov chiamava acquisire lo Spirito di Dio. Chiaramente, secondo le stesse parole del vescovo Ignazio, tali maestri erano già scomparsi ai suoi tempi.

Se torniamo ora agli anziani di Optina, sono pienamente d’accordo con il vescovo Ignatius su questo tema. Ciò è evidente dall’alta stima in cui tenevano il suo insegnamento e dalla ua guida spirituale. Nessuno di loro indicherebbe in questo modo qualcun altro, il suo predecessore o padre spirituale: «Non è p. Macario, p. Ambrose, o p. Barsanuphius, o… un maestro ispirato da Dio?». Essi infatti comprendevano bene il senso delle parole dell’apostolo Paolo: «Una è la gloria del sole, un’altra la gloria della luna e un’altra quella delle stelle: perché una stella differisce dall’altra in gloria» (1 Cor 15: 41). Quindi, anche se stiamo parlando di persone spirituali e persino sante, comprendiamo comunque che un uomo spirituale differisce da un altro in gloria.

La ricerca di persone spirituali è del tutto naturale e comprensibile. Ma quando quella ricerca si trasforma in miti creatori, quando spesso sacerdoti piuttosto dubbiosi vengono costituiti come anziani, o quando alcuni padri spirituali iniziano a comportarsi come se fossero anziani, allora arrivano i guai. Monsignor Ignatius ha detto di loro in modo molto enfatico e preciso: “Quegli anziani che accettano su di sé il ruolo [di anziano – AO]. . . (se possiamo usare quella parola sgradevole ‘ruolo’) . . . sono essenzialmente attori che distruggono l’anima e i più tristi tra i comici. Che quegli anziani che assumono su di sé il ruolo degli antichi Anziani, privi dei loro doni spirituali, sappiano che la loro stessa intenzione, i loro stessi pensieri e nozioni di questo grande atto monastico – l’obbedienza – sono falsi; il loro stesso modo di pensare, la loro mentalità e la loro conoscenza sono l’autoillusione e l’illusione spirituale demoniaca”. Sfortunatamente, la gente comune non ha una comprensione di questo. Vogliono un anziano, un chiaroveggente di natura, un taumaturgo, un guaritore, si inseriranno nel gregge come pecore senza alcun discernimento verso chiunque sia loro menzionato. Da qui derivano tante disgrazie, sia di ordine spirituale che di vita quotidiana.

Ho incontrato persone le cui vite sono state completamente rovinate dopo aver creduto in un falso anziano. Approfittando della sua autorità morale, un tale anziano dà letteralmente l’ordine – scusate, “dà una benedizione” – a coloro che si avvicinano a lui di compiere passi così decisi che ne rovinano il corpo e l’anima. Egli “dà una benedizione” per cambiare casa, per abbandonare i buoni lavori, precipitando così la famiglia nella più assoluta povertà e provocando la disintegrazione dei rapporti familiari. Egli “le dà una benedizione” per vendere il suo appartamento e i suoi beni ed entrare in un monastero. Quando tra un anno ne viene licenziata, invece di aiutarla, l’anziano le dice: avresti dovuto pensarci tu, ora vai dove vuoi. Conosco una famiglia la cui madre ha ricevuto “una benedizione” da un anziano per assegnare tutte le sue giovani figlie e il figlio ai monasteri. Il figlio divenne uno ieromonaco, ma poi tre anni dopo si sposò. La stessa cosa accadde alle figlie e solo una delle quattro rimase monaca; gli altri, dopo aver vissuto in convento, si sono sposati.

Perché parlo di questo? Innanzitutto, per mostrare fino a che punto possono spingersi la fiducia indiscriminata dei semplici credenti, così come la cecità spirituale e l’insensibilità morale degli stessi “anziani”: essi continuano a credere e a dare queste benedizioni anche dopo aver assistito alle loro catastrofiche conseguenze. È ovvio che un anziano chiaroveggente non avrebbe potuto benedire un atto che avrebbe portato allo svincolo e al licenziamento dal monachesimo. E se non è chiaroveggente ma continua comunque a incoraggiare tali atti, allora qual è il livello morale (o lo stato psichico) di quell’ “anziano”?! A questa seria domanda risponde Sant’Ignazio: “La vanità e la presunzione amano insegnare e dare indicazioni. Non si preoccupano della qualità dei loro consigli! Non gli viene in mente che potrebbero infliggere una ferita incurabile al loro prossimo con il loro consiglio incongruo. Il novizio inesperto accetta i loro consigli con credulità acritica, con eccitazione in carne e ossa! Desiderano il successo, indipendentemente dalla sua qualità e dalla sua origine! Devono impressionare il novizio e farne il loro suddito morale! Desiderano la lode dell’uomo! Desiderano la reputazione di santi, anziani e insegnanti intelligenti e chiaroveggenti! Devono soddisfare la loro insaziabile vanità, il loro orgoglio!” 

Questo è esattamente ciò che i Padri chiamavano illusione spirituale (prelest). E l’illusione spirituale è l’illusione che porta a disturbi mentali.

Quindi ai nostri giorni dovremmo affrontare il rapporto con un anziano con estrema cautela, seguendo la saggia regola comandata dai nostri grandi vescovi sant’Ignazio e san Teofane: vivere di consiglio, non di obbedienza. Il Vescovo Ignazio ci esorta ad ascoltare san Nilo di Sora, vissuto nel XV secolo e che già allora comandava: «Oggi, vista l’estrema scarsità di guide spirituali, un’asceta praticante la preghiera deve essere guidata esclusivamente dal Sacre Scritture e dagli scritti dei Padri”. E san Pimen il Grande ci ha comandato di allontanarci subito da un anziano che si è rivelato dannoso per l’anima». Altrimenti, «la fede nell’uomo, – dice il vescovo Ignazio, – porta a un frenetico fanatismo».

Il vescovo Ignazio scrive che il consiglio non implica l’obbligo di seguirlo. Se vedi qualcosa di strano, poco chiaro o contraddittorio nel consiglio, allora hai il pieno diritto morale di rivolgerti a qualcun altro, di dissentire o di rivolgerti ai Santi Padri. E se un padre spirituale è veramente intelligente e umile, ringrazierebbe anche suo figlio spirituale per aver agito correttamente e disobbedendogli. «In nessun modo – scrive il vescovo Ignazio – fate il male con l’obbedienza, anche se vi capita di soffrire qualche tribolazione per dispiacere a qualcuno e per essere saldi. Consulta padri e fratelli virtuosi e intelligenti, ma segui i loro consigli con la massima cura e discrezione. Non lasciarti trasportare dalla prima impressione che ti fanno i loro consigli!”

Ai nostri tempi dovremmo vivere di consiglio, non di obbedienza. A questo proposito il Vescovo Ignazio risponde alla più diffusa contro argomentazione: “Si obietteranno: la fede di chi compie un’obbedienza può sostituire l’inadeguatezza dell’anziano. Questo è falso: il credere alla verità salva, mentre il credere alla menzogna e l’illusione demoniaca distrugge, secondo l’insegnamento dell’Apostolo» (2Ts 2,10-12). [Qui, il Vescovo Ignazio parafrasa le parole di Paolo “E con ogni ingannevolezza dell’ingiustizia in quelli che muoiono; perché non hanno ricevuto l’amore della verità, per essere salvati. E per questo Dio manderà loro una forte illusione, affinché credano a una menzogna; affinché fossero dannati tutti coloro che non credevano alla verità, ma si compiacevano dell’ingiustizia” – AZJ] Cristo disse ai suoi discepoli: «D’ora in poi non vi chiamo servi . . . ma vi ho chiamati amici» (Gv 15,15). Gli amici possono ricevere ordini? Non credo.

Hierom. Adrian: Un’altra domanda. Perché alcune persone collegano la preghiera di Gesù ad altre pratiche, ad esempio ai mantra e alla meditazione indù e buddisti? Molte persone non capiscono la differenza tra quelle pratiche ascetiche e la preghiera noetica di Gesù, la preghiera cristiana.

AI Osipov: Se rivolgiamo la nostra attenzione all’essenziale, i tipi di meditazione di cui parli sono riflessioni, discussioni interne. Non portano con sé la condizione principale per la preghiera: il pentimento. Il pentimento è supplica. Supplica per cosa? Per la nostra peccaminosità, la nostra inadeguatezza, la nostra incapacità di vivere come comanda il Vangelo. La preghiera, come scrive il vescovo Ignazio, va recitata con attenzione, timore reverenziale e sentita contrizione. Queste cose non sono richieste dalla meditazione. La meditazione, lo ripeto, è una riflessione concentrata su una grande varietà di argomenti: teologici, quotidiani, spirituali e morali, di ogni genere.

Esiste un atto molto importante e vitale nella pratica cristiana: la contemplazione di Dio. Tuttavia, questo differisce anche dai suddetti tipi di meditazione. Questa contemplazione delle questioni della fede e della vita cristiana va di pari passo con l’umiltà, la corretta preghiera e la riverente sottomissione interiore della nostra possibile comprensione di qualsiasi questione alla volontà di Dio.

Questa è la cosa principale che distingue la preghiera e la contemplazione di Dio dalla meditazione.

Ora per la seconda cosa. Passando ai mantra, entriamo nell’ambito di un insegnamento che è decisamente, potremmo dire, diverso da quello cristiano o, più esattamente, ortodosso. I mantra, in qualche modo esteriormente somiglianti alle preghiere o piuttosto alle preghiere incantatrici, sono di natura completamente diversa. Intrinsecamente implicano la fede nell’efficacia delle stesse parole pronunciate, spesso indipendentemente dalla comprensione del loro significato. Lo vediamo nella pratica indù, ad esempio, nel Japa mantra, che invita le persone a ripetere il nome di un dio il più spesso e il più rapidamente possibile, poiché il nome stesso purifica l’uomo e lo porta allo stato di Samadhi. I mantra, se lo si desidera, sono uno degli elementi della magia e sono usati nei riti delle religioni misteriche pagane.

Un’idea simile è stata promossa dagli adoratori di nomi russi. Tuttavia, non è il Nome di Dio in sé che santifica. Il Nome di Dio è simile a un’icona: è un collegamento per rivolgere le nostre preghiere all’Archetipo. E la purificazione umana si compie non mediante il Nome stesso, ma mediante la retta preghiera dove in essa è pronunciato il nome di Dio, come insegnavano i Santi Padri. Quando la preghiera viene ripetuta meccanicamente, quante più volte e il più rapidamente possibile, allora «non è affatto preghiera. È pratica morta! È inutile, dannosa per l’anima e offensivo a Dio”, ha scritto il vescovo Ignatius (Brianchaninov).

Anche oggi possiamo vedere questa tendenza a intendere la preghiera come un mantra. Vengono pubblicati libri che raccomandano di recitare la preghiera di Gesù – “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me” – un numero enorme di volte (14.400 preghiere in una volta!) fin dall’inizio. Consigliano di dirlo molto, molto velocemente: 3.600 preghiere all’ora, cioè una preghiera al secondo (“la sua lingua, come un motorino, ripeteva senza sosta la breve preghiera di Gesù”). Questa pratica è assolutamente contraria all’esperienza dei Santi Padri, che dice che dobbiamo dire qualsiasi preghiera, inclusa la Preghiera di Gesù, senza fretta, prestando attenzione alle parole della preghiera, con timore reverenziale e un sentimento di pentimento.

Hierom. Adrian: In Occidente c’è un’opinione secondo cui il divieto di usare l’immaginazione nella preghiera che esiste nell’Ortodossia, in Oriente, è solo a causa della maggiore emotività degli orientali, e in Occidente, dove le persone sono presumibilmente meno emotive, tale immaginazione non è pericolosa.

AI Osipov: Questa è autogiustificazione. Guarda gli spagnoli, i portoghesi, gli italiani: quelle persone sono così focose che devi stare costantemente all’erta. Non è stato in Italia che le stimmate sono emerse per la prima volta nella storia del cristianesimo, con Francesco d’Assisi? Non è affatto l’emotività che conta. La ragione per cui il cattolicesimo protegge così ardentemente la possibilità e persino il bisogno di immaginazione è ben diversa. La psicologia, lo yoga e l’esperienza ascetica cattolica testimoniano in modo convincente il fatto che sviluppare l’immaginazione e concentrarsi costantemente sulle immagini mentali è un modo efficace per le persone di raggiungere stati speciali esaltati molto facilmente. Ad esempio, compassione per Cristo (сompassio)– una conquista ascetica dello stesso Francesco – consistette nell’immaginare mentalmente e nel tentare di entrare in empatia con le sofferenze di Cristo e il suo amore per il mondo intero, nonché con le sofferenze e le esperienze della Madre di Dio e degli altri santi.

Quando gli asceti immaginano sognanti scene di amore, sofferenza, ecc., i loro nervi e la loro psiche si eccitano molto, la loro immaginazione si infiamma e di conseguenza si verificano allucinazioni e apparizioni demoniache. Tali asceti sviluppano un’altissima opinione di se stessi come pieni della grazia divina e vicini a Cristo e ai santi. Gli asceti occidentali considerano quegli stati dati da Dio. Ma non c’è né Dio, né la grazia in questo fenomeno. Scrive il Vescovo Ignazio: “I Santi Padri vietano rigorosamente di usare la facilità dell’immaginazione; ci comandano di mantenere la mente senza forma, non sigillata da nulla di materiale”. “Durante la preghiera, dobbiamo avere la mente senza forma e prestare particolare attenzione a mantenerla tale, rifiutando tutte le immagini fantasticate attraverso la facilità dell’immaginazione. . . Le immagini, se consentite dalla mente in preghiera, diventerà una cortina impenetrabile, un muro tra la mente e Dio”. Al contrario, avverte, “gli spiriti caduti cercano di incitare la nostra immaginazione”. “Sangue e nervi, – ha scritto, – sono attivati ​​da molte passioni: rabbia, cupidigia, lussuria e vanità. Queste ultime due passioni infiammano enormemente il sangue degli asceti che intraprendono le loro lotte illegalmente e li trasformano in fanatici deliranti.

Il vescovo Ignazio racconta di un impiegato d’ufficio di San Pietroburgo che cadde in un’illusione spirituale e tentò il suicidio: “Si è scoperto che l’impiegato aveva usato l’immagine della preghiera descritta da san Simeone; aveva infiammato la sua immaginazione e il suo sangue, il che rende l’uomo abbastanza capace di digiunare rigorosamente e di vigilare. . . L’impiegato aveva visto la luce con i suoi occhi corporei, profumo e calore che aveva sentito altrettanto tangibilmente”.

“I cristiani occidentali si sono sforzati di ravvivare i loro sentimenti, sangue e immaginazione; ci riuscirono presto e presto raggiunsero lo stato di delusione e di frenesia spirituale, che chiamarono santità. Tutte le loro visioni provengono da quel regno. I cristiani orientali e tutti i figli della Chiesa universale camminano verso la santità e la purezza in un modo che è esattamente l’opposto di quello sopra menzionato: sottomettendo i loro sentimenti, sangue, immaginazione e persino ‘le loro opinioni’.

Il motivo principale della triste situazione degli asceti occidentali è che hanno smesso di seguire la guida dei Padri asceti della Chiesa antica e hanno iniziato a vivere secondo la propria comprensione, riproducendo “film” nella loro immaginazione e adorando le immagini in essi contenute. Hanno sostituito fantasie d’amore per Cristo alla lotta contro le passioni.

Vorrei citare qui un breve passo da La storia di un’anima , libro di una grande santa cattolica, dottore della loro Chiesa, Teresa di Lisieux (sec. 19), affinché sia ​​chiaro ciò di cui stiamo parlando: era davvero un abbraccio d’amore. Mi sono sentito amato e ho detto: “Ti amo e mi do a te per sempre”. Gesù non mi chiese nulla e non pretese alcun sacrificio; Lui e la piccola Teresa da tempo si conoscevano e si capivano. Quel giorno il nostro incontro è stato più di un semplice riconoscimento, è stato un connubio perfetto. Non eravamo più due. Teresa era scomparsa come una goccia d’acqua persa nell’immensità dell’oceano. [Capitolo 4. “Prima Comunione e Cresima” – AZJ ]. Questo tipo di “amore” non ha bisogno di commenti.

Tale “spiritualità” è molto contagiosa, si conforma ai gusti del “vecchio”, alla sua ricerca della dolcezza spirituale, alla sua vanità, al suo orgoglio. Sfortunatamente, anche il Pellegrino dei Racconti ha seguito questo facile sentiero, attirando via con sé cristiani inesperti che cercavano il piacere spirituale. A questo proposito il suo consiglio che segue è abbastanza rivelatore: “Con la tua immaginazione, trova il punto in cui si trova il tuo cuore, sotto il tuo capezzolo sinistro (la nostra sottolineatura – А.О.), e fissa lì la tua attenzione. Mentre il Vescovo Ignazio avverte: “Chi si sforza di attivare e riscaldare la parte inferiore del cuore, attiva la forza della lussuria…” Questo è uno dei motivi per cui Teofane ha scritto: “Non guardare nel libro – I Racconti. Ci sono consigli in esso che non ti fanno bene e possono sfociare in un’illusione spirituale.

Hierom. Adrian: Grazie mille per l’intervista e per averci parlato del tuo libretto, Alexey Ilyich. Il nostro sito web “Bogoslov.ru” ti augura l’aiuto divino nel tuo lavoro di insegnamento e teologia. Attendiamo con impazienza i tuoi nuovi libri.

Intervista dello ieromonaco Adrian (Pashin)




Padre Gabriel (Bunge): Non si può imparare a pregare seduti su una poltrona calda

Di Konstantin Matsan
26 gennaio 2011, 10:00

Fonte: Foma: Orthodox Christian Journal for Dubiting Thomases

Un eremita cattolico convertito all’Ortodossia

Un noto teologo, lo ieromonaco Gabriel Bunge, rilascia raramente interviste. Conduce una vita da eremita in un piccolo skete in Svizzera, non usa mai Internet e l’unico mezzo di comunicazione con lui è il telefono. Quest’ultimo funge da segreteria telefonica in una stanza lontana. Se vuoi parlare con lui, devi lasciare un messaggio con l’ora in cui tornerai a telefonare, e se Padre Gabriel è pronto a parlare, sarà vicino al telefono all’ora da te indicata. Siamo stati fortunati a non subire questa complessa operazione perché abbiamo incontrato padre Gabriel a Mosca. Il 27 agosto si convertì all’Ortodossia dal cattolicesimo.

Nella nostra conversazione, padre Gabriel ci ha parlato dei motivi della sua decisione, delle principali  differenze tra Valaam e la Svizzera e di molte altre cose.

“Siamo comnsiderati strani”

D: Se qualcuno passa da una tradizione cristiana all’altra, deve significare che sente che gli manca qualcosa di vitale nella sua vita spirituale…

R: Sì. E se questa persona ha settant’anni, come me, questo passo non può essere definito frettoloso, vero?

D: No, non può. Ma cosa ti è mancato, essendo un monaco con una così grande esperienza spirituale?

R: Devo parlare non di una decisione, ma di tutto il percorso della vita con la sua logica interiore: a un certo punto accade un evento che veniva preparato da tutta la vita.

Come tutti i giovani, stavo cercando la mia strada nella vita, per così dire. Sono entrato all’Università di Bonn e ho iniziato a studiare filosofia e teologia comparata. Non molto tempo prima, avevo visitato la Grecia e trascorso due mesi sull’isola di Lesbo. Fu lì che vidi per la prima volta un vero monaco anziano ortodosso. A quel tempo, ero già interiormente attratto dal monachesimo e avevo letto della letteratura ortodossa, comprese le fonti russe. Quell’anziano mi ha stupito. Divenne l’incarnazione del monaco che avevo incontrato prima solo nei libri. Improvvisamente, ho visto davanti a me una vita monastica che fin dall’inizio mi è sembrata autentica, vera, la più vicina alla pratica dei primi monaci cristiani. Dopodiché, sono stato in contatto con quell’anziano per tutta la vita. Così ho ottenuto un ideale di vita monastica.

Quando sono tornato in Germania, sono entrato nell’Ordine di San Benedetto: sembrava essere il più vicino alle mie aspirazioni. La struttura dell’Ordine stesso ricorda quella della Chiesa paleocristiana. Nell’Ordine non esiste un sistema verticale di subordinazione, ogni comunità esiste da sola. Ciò che garantisce l’unità di queste comunità è la tradizione e la Chiesa: il Typicon. Cioè, non l’ordine giuridico, ma l’ideale spirituale. A proposito, in questo senso penso che siano i benedettini, di tutti i credenti occidentali, quelli che sono pronti a capire più acutamente i credenti ortodossi. Ma ancora il mio Padre spirituale ed io ci rendemmo conto molto presto che con la mia passione per il monachesimo orientale e l’amore per il cristianesimo orientale in generale, non ero al mio posto in questo Ordine. Così l’abate, uomo anziano ed esperto che ancora onoro, decise di trasferirmi in un piccolo monastero in Belgio, e non senza rimpianti. Ho trascorso 18 anni lì, ho acquisito una grande esperienza e da lì, con una benedizione, sono andato allo skete in Svizzera. Tutti questi trasferimenti furono causati da un motivo: il tentativo di progredire verso un’autentica vita monastica, come avveniva con i primi cristiani. Come quello che ho visto con i cristiani orientali. Il passo più recente su questa via è stata la conversione all’Ortodossia.

D: Perché hai deciso di adottarla? Si può amare l’Ortodossia con tutto il cuore e rimanere all’interno del cattolicesimo tradizionale. Ci sono molti esempi simili in Occidente.

R: Sì, molte persone che sono attratte dall’Ortodossia rimangono all’interno della Chiesa cattolica. E questo è normale. Nella maggior parte delle cattedrali occidentali ci sono icone ortodosse. In Italia ci sono scuole professionali di pittura di icone insegnate da specialisti russi e altri. Sempre più credenti in Europa sono oggi interessati agli inni bizantini. Anche i tradizionalisti della Chiesa cattolica hanno scoperto il canto bizantino. Naturalmente non li usano durante il servizio divino in chiesa, ma fuori dalla chiesa, ad esempio, ai concerti. La letteratura ortodossa viene tradotta in tutte le lingue europee e i libri vengono pubblicati nelle maggiori case editrici cattoliche. Insomma, in Occidente, non hanno davvero perso il gusto per tutto ciò che è autentico, cristiano, che la tradizione orientale ha conservato. Ma ahimè, non cambia nulla nella vita reale delle persone e della società nel suo complesso. L’interesse per l’Ortodossia è più culturale. E quelle povere persone come me che hanno un interesse spirituale per l’Ortodossia, sono lasciate in minoranza. Siamo considerati strani; raramente siamo capiti.

“Semplicemente per sapere da dove viene tutto”

D: Come teologo, lei ha parlato spesso del problema della separazione tra Occidente e Oriente. Possiamo dire che la sua conversione all’Ortodossia è il risultato della sua meditazione su questo argomento?

R: Quando ero in Grecia e ho iniziato a rivolgermi al cristianesimo orientale, ho cominciato a percepire molto dolorosamente lo scisma tra Oriente e Occidente. Ha smesso di essere una teoria astratta o una trama in un libro di storia della Chiesa, ma piuttosto qualcosa che stava influenzando direttamente la mia vita spirituale. Questo è il motivo per cui la conversione all’Ortodossia ha iniziato a sembrare un passo molto logico. In gioventù, speravo sinceramente che fosse possibile l’unione del cristianesimo occidentale e orientale. Aspettavo che accadesse con tutto il cuore. E avevo delle ragioni per crederci. Al Concilio Vaticano II erano presenti osservatori della Chiesa ortodossa russa, tra cui l’attuale metropolita di San Pietroburgo e Ladoga, Vladimir (Kotlyarov). A quel tempo il metropolita Nikodim (Rotov) era molto attivo negli affari internazionali. E molte persone pensavano che le due Chiese si stessero avvicinando e alla fine si sarebbero incontrate a un certo punto. Era il mio sogno che stava diventando sempre più reale. Ma mentre crescevo e imparavo alcune cose più in profondità, ho smesso di credere nella possibilità della riconciliazione di due Chiese in termini di servizi divini e unità istituzionale. Cosa dovevo fare? Potevo solo continuare a cercare questa unità da solo, individualmente, ripristinandola in un’anima separata, la mia. Non potevo fare di più. Ho solo seguito la mia coscienza e sono arrivato all’Ortodossia.  

 D: Non è un’opinione troppo radicale?

R: Mentre ero ancora in Grecia, essendo cattolico, mi sono reso conto che era l’Occidente a separarsi dall’Oriente, non viceversa. In quel momento per me era impensabile. Avevo bisogno di tempo per capirlo e accettarlo. Non posso incolpare nessuno, certo che non posso! Stiamo parlando di un intero grande processo storico e non possiamo dire che questa o quella persona sia la causa di questo. Ma i fatti restano fatti: quello che oggi chiamiamo cristianesimo occidentale è nato come una catena di rotture con l’Oriente. Queste rotture furono la riforma gregoriana, seguita dalla separazione delle chiese nell’XI secolo, poi la Riforma nel XV secolo e infine il Concilio Vaticano II nel XX secolo. Questo è, sicuramente, uno schema molto approssimativo, ma penso che nel complesso sia corretto.

D: Tuttavia, si ritiene che la catena di queste rotture sia un normale processo storico perché qualsiasi fenomeno (e la Chiesa cristiana non fa eccezione) attraversa le sue fasi di sviluppo. Qual è la tragedia in questo?

R: La tragedia è nelle persone. In una situazione di eventi radicali e rivoluzionari compaiono sempre persone che iniziano a dividere la vita in “prima” e “dopo”. Vogliono iniziare a contare solo da questo nuovo punto come se tutto quello che è successo prima non avesse senso. Quando i futuri protestanti proclamarono la Riforma, non credo che sapessero che avrebbe portato alla separazione della Chiesa occidentale in due grandi campi. Non se ne sono accorti, hanno semplicemente agito. E cominciarono a dividere chi li circondava in sani – coloro che accettarono la Riforma – e malati, i seguaci del Papa.

Inoltre, la storia si ripete: lo stesso sta accadendo ora intorno al Concilio Vaticano II all’interno della Chiesa cattolica romana. Ci sono persone che non hanno accettato le sue decisioni e persone che lo considerano una sorta di punto di partenza. E tutti ragionano in questo modo. Un semplice esempio: se in una conversazione qualcuno menziona ‘concilio’ senza ulteriori dettagli, tutti automaticamente danno per scontato che si tratti del Concilio Vaticano II.

D: Qual è la tua opinione sugli umori liberali moderni tra i cattolici?

R: Sono molto contento di avere l’opportunità di rivolgermi al pubblico russo e di dire che non si dovrebbero ridurre tutti i cattolici a un livello. Tra loro ci sono quelli che vorrebbero essere più laici, più liberali. Non significa che siano criminali, è solo il loro punto di vista sulla vita. Ce ne sono altri, quelli che si dedicano completamente alla tradizione. Non li chiamerei tradizionalisti, perché la tradizione in sé non è così importante per loro. Questo non è un folklore antico che bisogna nutrire artificialmente e tenere a galla. No! La tradizione è per loro ciò che in ogni epoca ha assicurato e assicura tuttora il contatto personale vivo con Cristo, il vivere quotidiano nelle mani di Dio. Come disse Giovanni il Teologo: “Ciò che abbiamo visto e udito ve lo dichiariamo, affinché anche voi possiate essere in comunione con noi; e in verità la nostra comunione è con il Padre” se non l’avessero scritto e non l’avessero trasmesso, non ci sarebbe stato il Nuovo Testamento. Vuol dire che non ci sarebbe stato niente… 

 D: E quale dovrebbe essere, in questo caso, il nostro atteggiamento verso chi non è molto dedito alla tradizione?

R: Non dovremmo picchiarli e ovviamente non dovremmo cacciarli fuori dalla Chiesa. Ogni persona merita la misericordia cristiana. Se io, essendo ortodosso, vedessi un cattolico in una chiesa ortodossa, vorrei avvicinarmi a lui e dirgli apertamente, dolcemente e confidenzialmente: “Ascolta, fratello, ti potrebbe interessare sapere che all’inizio ci siamo tutti segnati in questo modo: da destra a sinistra. Ora tutto è cambiato. No, non ti sto chiamando a riconsiderare tutta la tua vita e correre verso la Chiesa ortodossa. Voglio solo che tu sappia da dove vengono le cose”.

Valam

 D: E perché ha scelto la Chiesa ortodossa russa?

A: Penso che il fattore chiave in tali decisioni siano le persone che ti circondano. Quando i miei conoscenti, i vescovi russi di San Pietroburgo, hanno appreso che stavo adottando l’Ortodossia, hanno detto: “Non siamo affatto sorpresi! Sei sempre stato con noi. Ma ora avremo una comunione più stretta, sacra – in un unico Calice.” Conosco da molto tempo il metropolita Hilarion, attuale capo del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca. Ci siamo incontrati per la prima volta nel 1994 quando era uno ieromonaco. Lo considero un mio buon amico e apprezzo questa amicizia.

Il gerarca Hilarion, se vuoi, è una delle persone più competenti e informate che abbia mai incontrato. In realtà è diventato per me l’unica persona a cui potevo rivolgermi con la mia richiesta, che conosceva me, le mie convinzioni e la mia situazione. E che, come ne ero certo, era pronto a rispondere. Ed è quello che è successo.  

D: In che modo ti aiuterà a raggiungere il tuo ideale di vita spirituale?

A: Tu vuoi la profezia da me, ma io non sono un profeta. Non so nello specifico cosa accadrà dopo. Vivremo semplicemente. Anche adesso ho già trovato in Russia molte cose che mi interessano.

Ad esempio, ho visitato Valaam. Sapete, in Occidente se un credente è attratto da una vita nel più assoluto isolamento monastico, in realtà non ha nessun posto dove andare.

Gli eremi come sono in Russia, non esistono in Occidente. Questa forma di vita sembra essere già obsoleta. Come monaco sono costantemente alla ricerca del massimo isolamento, persino della solitudine. A Valaam, ho sentito che era tutto lì.

D: Non c’è abbastanza solitudine nel tuo skete in Svizzera? Valaam è anche un luogo affollato, i pellegrini vi vengono regolarmente.

R: La Svizzera è un paese piccolo e densamente popolato. Lo skete è circondato da una foresta, ma in 15 minuti a piedi c’è un villaggio con circa un centinaio di persone che vivono lì. A Valaam è molto più tranquillo. Sì, certo, ci sono molte persone lì. Ma il luogo stesso, come ho sentito, è isolato dal resto del mondo. Forse è così perché è un’isola, o forse è per altri motivi non geografici.

Mi sembra che tutto questo possa dar luogo a questo desiderabile stato di clausura nel cuore di tutti coloro che vi si recano.

D: È più difficile in Europa?

A: In parole povere, possiamo dire che in Occidente non esiste del tutto. L’autentica tradizione monastica in Occidente è stata praticamente soffocata nel corso della rivoluzione borghese francese nel 1789. Sono fermamente convinto che le conseguenze di questa rivoluzione per l’Europa non furono meno pesanti delle conseguenze della rivoluzione del 1917 e dei 70 anni del potere ateo per la Russia. In Francia dopo quei sanguinosi eventi il ​​monachesimo dovette essere restaurato quasi da zero. I sacerdoti comuni, non i monaci, dovevano eseguire questo. Non c’era nessun altro. In Russia il monachesimo è sopravvissuto nonostante tutti gli shock e gli orrori. Sì, è successo a livello di individui particolari, cioè gli anziani. Ma esistevano! E hanno mantenuto la tradizione spirituale e l’autentica vita monastica. Mi sembra che in tutto ciò che riguarda la vita monastica, la Russia non doveva ricominciare da zero. Questo è il motivo per cui mi dispiace sentire i russi dire a volte “abbiamo avuto tutto distrutto, la Chiesa è stata soppressa, ecc.” Voglio sempre rispondere: “Secondo me, avete tutto, nuovi martiri e confessori, monaci anziani”. E sono tutti vicini, allunga il braccio. Solo tu devi allungarlo, prendere questa ricchezza e usarla in pratica, per così dire, nella tua vita. Ho spesso l’impressione che la maggior parte delle persone in Russia non apprezzi questo. Oppure semplicemente non capiscono che questo è prezioso. 

D: Perché, secondo te, succede così?

R: Parlando di problemi, le persone si concentrano sulle difficoltà materiali, a volte esterne, che i monasteri e la Chiesa devono affrontare oggigiorno. Sì, c’è molto da ricostruire. Ma questa è solo la parte tecnica, per così dire, solo le pareti e i tetti. Inutile dire che la gente si lamenta: tetti e muri costano, e dove si possono trovare soldi… Ma se andiamo mentalmente sopra il tetto – anche con i buchi – vedremo che le mura non sono la cosa principale, è più importante con che tipo di cuore si entra nelle mura. Il proverbio russo dice: “La chiesa non è nei tronchi ma nelle costole”. E questa è la cosa più importante, questa tradizione spirituale, che è ancora all’interno dei russi. Gli anziani monastici e i nuovi martiri hanno preservato tutto questo per noi. A volte le persone discutono: “Ma ci sono così pochi anziani ora, la maggior parte di loro è già morta. Non c’è nessuno che ci insegni.” Rispondo sempre: “Se non hai un anziano vivente a cui insegnarti, rivolgiti al defunto. Hai la sua agiografia, i suoi testi, i suoi insegnamenti. Leggili e correla con la tua vita. Non intendo dire che non ho mai incontrato persone in Russia che conoscano e apprezzino questa conoscenza. Ci sono molte, molte persone che lo fanno e la mia visita a Valaam lo ha dimostrato.

Salta in acqua

D: Cosa deve cambiare ora nella tua vita quotidiana dopo la conversione?

R: Certo, ci sono cose che non possono che cambiare. Essendo diventato un membro della Chiesa ortodossa russa ma vivendo ancora in Svizzera, mi sottometto all’arcivescovo Innokenty di Korsun. I miei rapporti con la Chiesa cattolica non possono, naturalmente, rimanere gli stessi.

D: Quale reazione ti aspetti dai tuoi figli spirituali? Devono essere tutti cattolici…

A: In primo luogo, fortunatamente ho a che fare con persone comprensive e sono sicuro che rispetteranno la mia decisione. E in secondo luogo, non ho mai tenuto segrete le mie opinioni e convinzioni. Tutti i miei figli spirituali hanno saputo che il mio ideale di cristianesimo è in Oriente. Non credo che saranno così sorpresi. Non avevo detto loro nulla in anticipo per evitare discussioni inutili. Ma non credo che accadrà nulla di straordinario. Credo che la tradizione dei discorsi spirituali per i quali venivano i miei figli rimarrà, non ho motivo per fermarla. Infine, le persone con cui comunico regolarmente condividono più o meno il mio ideale spirituale; altrimenti non sarebbero venuti.

D: E i servizi divini?

R: Certo, d’ora in poi non potrò amministrare la comunione ai cattolici. Ma anche prima lo facevo molto di rado: lo skete è lontano dal grande mondo, il territorio è tenuto chiuso, anche i servizi sono privati, la cappella è piccola – per dieci persone al massimo. Solo a Natale e Pasqua apriamo le porte a tutti coloro che vogliono unirsi a noi.

D: Se potessi e volessi dare ai contemporanei un consiglio molto breve sull’organizzazione della loro vita di preghiera, cosa diresti?

A: Se vuoi imparare a nuotare, salta in acqua. Solo così puoi imparare. Solo chi prega sentirà il senso, il gusto e la gioia della preghiera. Non puoi imparare a pregare seduto in una grande poltrona calda. Se sei pronto a inginocchiarti, a pentirti sinceramente, ad alzare gli occhi e le mani al Cielo, allora molte cose ti saranno rivelate. Naturalmente puoi leggere molti libri, ascoltare lezioni, parlare con le persone: anche questi sono importanti e aiutano a capirne di più. Ma qual è il valore di tutte queste cose se non si fanno passi concreti dopo? Se non iniziamo a pregare? Penso che tu debba capire anche questo. Ovviamente, stai ponendo questa domanda dalla posizione di uno che non crede…

D: Esattamente. La nostra rivista è per coloro che dubitano.

A: Non c’è niente di sbagliato nei dubbi, sono anche utili. Non bisogna cercarli, però. Ma se compaiono, si deve semplicemente ricordare che tutti noi abbiamo la possibilità di sentire: “Porta il tuo dito e guarda le mie mani; e stendi la tua mano e mettila nel mio fianco: e non essere incredulo, ma credente” (Giovanni 20:27).




Padre Gabriel (Bunge) “L’ortodossia è il frutto di tutta la mia vita di cristiano e di monaco”

A cura dell’arciprete Pavel Velikanov
25 gennaio 2011 – Fonte: https://www.pravmir.com/article_1220.html

Tradotto da TEANDRICO

ARBERIA ORTODOSSA: Dal sito di Padre Massimo

Un famoso teologo cattolico svizzero, lo ieromonaco Gabriel Bunge, si è convertito all’Ortodossia il 27 agosto 2010 a Mosca, alla vigilia della Dormizione della Vergine Maria. È stato il metropolita Hilarion di Volokolamsk a ricevere p . Gabriele nella Chiesa Ortodossa. Siamo lieti di offrire ai nostri lettori la traduzione di due interviste a p. Gabriele. La prima intervista “Sono arrivato alla fede grazie ai miei coetanei ” è stata condotta dall’arciprete Pavel Velikanov , caporedattore del sito di teologia scientifica “Bogoslos.ru” nel 2008. All’epoca p. Gabriel era ancora un ieromonaco cattolico. La seconda intervista “ Non si può imparare a pregare seduti su una poltrona calda  è invece del tempo in cui Fr. Gabriel si è convertito all’Ortodossia. L’intervista è stata condotta da Russian Orthodox Christian Journal for Doubting Thomases – Foma.

Una breve nota biografica

Gabriel Bunge è nato nel 1940 a Colonia. Suo padre era luterano e sua madre era cattolica. All’età di 22 anni, p. Gabriele si unì all’Ordine di San Benedetto in Francia. Nel 1972 è stato ordinato sacerdote. Per molti anni p. Gabriele si dedicò allo studio delle opere di Evagrio del Ponto. Dal 1980 vive nello Skete della Santa Croce nel cantone svizzero Ticino seguendo l’antico typicon di San Benedetto. È autore dei seguenti libri: “I vasi di terra: la pratica della preghiera personale secondo la tradizione patristica”, “La Trinità di Rublev: l’icona della Trinità del monaco-pittore Andrei Rublev”, “Il vino del drago e il pane dell’angelo ”, “Paternità spirituale”, ecc.

Estratto dall’articolo “Ritorno all’Unità” dello ieromonaco Gabriel Bunge

La mia scoperta dell’Ortodossia non è stata il risultato di un qualche tipo di studio scientifico, ma il frutto di tutta la mia vita di cristiano e di monaco. Questa scoperta dell’Ortodossia, iniziata 40 anni fa ed è in corso fino ad oggi, ha assunto un significato specifico.  Mi ha permesso di entrare e penetrare in quello che possiamo chiamare “un mistero della Chiesa”.

Ricordo come sono arrivato a questa scoperta. Molto prima dell’università, quando ero molto giovane e studiavo nella scuola, ho iniziato a leggere i Santi Padri, per lo più monaci. Ho iniziato con gli Apophthegmata (detti dei Padri del deserto), San Giovanni Crisostomo e San Giovanni Cassiano che era una specie di ponte tra Oriente e Occidente nel IV- V secolo. In seguito ho cominciato a leggere “La Filocalia” in una breve edizione in tedesco.

Più tardi ho letto “Il cammino di un pellegrino”, che è stato tradotto in tedesco negli anni ’20. È stata davvero un’esperienza da togliere il fiato. Come è noto, questo libro è composto da più parti, ma io sono partito dalle tre storie e non sono arrivato alla parte teorica. E poi senza una guida spirituale e nemmeno una corda di preghiera, ho iniziato a praticare la preghiera di Gesù. Avevo 20 anni. Come un “pellegrino” russo, ho iniziato a imparare questa preghiera “di corsa”: mentre andavo all’università attraverso un parco la ripetevo costantemente nella mia mente. Ed è rimasta con me per tutta la vita, da allora non ho mai smesso di dire questa preghiera. È entrato nel ritmo della mia esistenza e del mio respiro. Non sapevo nulla dell’Ortodossia in quel momento.

All’epoca in cui studiavo a Colonia c’erano degli ortodossi ma non li ho mai incontrati. Poi, spontaneamente, ho ritrovato le origini della vita spirituale cristiana e monastica. Questa scoperta è diventata molto importante per me quando in seguito ho ripensato a tutta la mia esperienza e a tutta la mia vita. Così, per grazia di Dio, ho ricevuto la cosa più importante.

“Sono giunto alla fede grazie ai miei coetanei”

Fr. Pavel: Padre Gabriel, per favore ci dici come sei arrivato alla fede?

Fr. G.: Sono arrivato alla fede grazie ai miei coetanei, all’età di 17-18 anni. Il fatto è che la mia famiglia era un po’ strana, mista: mia madre era cattolica e mio padre protestante. Di norma, ne consegue che diventi, come si suol dire, “né pesce né uccello”. Ben presto ho scoperto di persona le opere e le vite dei Santi Padri, la vita di sant’Antonio Magno, i detti dei Padri del deserto, la Storia lausiaca, la breve Filocalia (non c’erano che brevi stralci di lingue straniere). Ma basta una piccola scintilla per appiccare un grande fuoco: avvicinatela e il fuoco si accenderà.   A me è successa una cosa simile. Volevo seguire quelli che avevo incontrato nei libri. Alla ricerca di ciò che era più genuino nella nostra Chiesa cattolica, sono entrato nell’Ordine di San Benedetto.

L’arciprete Pavel Velikanov e lo ieromonaco Gabriel (Bunge)

Ma prima ho fatto un piccolo viaggio in Grecia. È successo nel 1961, quando ancora studiavo a Bonn. Un giorno, per caso, sono entrato in contatto molto stretto con la Chiesa ortodossa. Sulla barca ho incontrato uno dei metropoliti greci che tornava dalla Palestina insieme a sacerdoti. Era come uno dei padri di cui ho letto, molto onorevole e con una lunga barba. Mi ha visto, un giovane, e mi ha chiesto di venire a sedermi con lui e mi mostrò i suoi libri.

Ho soggiornato due mesi in Grecia a Lesbo. Non c’erano molti turisti allora e, quindi, eravamo alloggiati tra famiglie locali. Vivevo in una famiglia di un prete. E naturalmente andavo in chiesa ogni domenica. La famiglia sapeva che ero cattolico, ma poiché non c’era nessuna chiesa cattolica in giro, stavo andando in una ortodossa. Tutti in famiglia erano gentili con me e mi trattavano con molto amore. Sul piccolo ingresso mi hanno persino portato il Vangelo da baciare come se fossi un ospite d’onore.

Inoltre devo dire che prima di quel viaggio ero molto prevenuto nei confronti della Chiesa ortodossa; ero negativamente incline all’Ortodossia.

Fr. P.: Qual era stato il motivo di un atteggiamento così negativo?

Fr.G.: Gli insegnanti mi hanno detto di stare attento con questa Ortodossia. Dissero che gli ortodossi sono scismatici. Quindi durante il mio viaggio era come se indossassi un paio di guanti per non macchiare la mia purezza romana dal contatto con gli ortodossi.

E ovviamente non ho avuto problemi. I greci erano molto amichevoli e gentili. Mi è stato anche permesso di entrare nell’altare anche se non era giusto secondo i canoni. In una parola, i miei pregiudizi diminuivano ogni giorno.

Alla fine sono andato ad Atene per una settimana e lì ho vissuto nel seminario teologico insieme ad altri seminaristi. Durante una conversazione con loro ho avuto un’esperienza che ha cambiato la scala. Ho detto loro: “Bene, nella vostra Chiesa va tutto bene, ma mi dispiace che vi siete staccati da noi”. E loro hanno risposto: “No, ti sbagli. Sei stato tu a staccarti da noi”. Sono rimasto sbalordito. In Germania incontriamo solo protestanti e sappiamo tutti che sono scismatici, il che significa che sono stati loro a staccarsi una volta dalla Chiesa cattolica. Ma qui questo schema non ha funzionato perché la domanda riguardava la Chiesa che ha origine dagli Apostoli. L’apostolo Paolo aveva camminato su queste terre prima di venire a Roma.

Avevo 21 anni in quel momento. Ho iniziato a pensare a tutto, e anche adesso non ho smesso di farlo. Dovevo rendermi conto che avevano ragione su molte questioni anche dal punto di vista scientifico. Non c’è nemmeno niente da discutere perché è inutile difendere qualcosa che non può essere difeso in linea di principio. I risultati delle mie riflessioni si possono trovare nel mio libro “Earthen Vessels” che è stato tradotto in russo. Questo libro tratta della pratica della Preghiera di Gesù secondo gli insegnamenti dei Santi Padri. Ed è abbastanza chiaro che la pratica della Preghiera di Gesù era la stessa sia in Oriente che in Occidente.

Fr. P.: Sarebbe interessante scoprire qual è la preghiera di Gesù nella tradizione occidentale? Molto spesso possiamo sentire che il carattere specifico del cristianesimo orientale è nell’opera interiore che è assente in Occidente. Quanto è veritiero questo punto di vista?

Fr. G.: All’inizio, direi, che la Chiesa cattolica è una grande organizzazione composta da miliardi di cattolici. Il cattolicesimo ha diversi movimenti interni che possono entrare in conflitto tra loro, anche escludersi a vicenda. Molti notano che, grazie alla scoperta dell’Ortodossia in Occidente, le persone stanno cominciando a trovare un rinnovato interesse per le proprie origini spirituali. Spesso questo tipo di scoperta avviene con l’aiuto di icone, canzoni e libri. Ci sono molti santi russi che sono venerati nel mondo cattolico: San Silvano l’Athonita, San Serafino di Sarov… Qui tonsuriamo molti monaci con il nome di Serafino. Serafino di Sarov è persino incluso nelle litanie per la commemorazione.

Ma ci sono anche cose molto strane. E qui parlo prima di tutto da monaco.

L’origine del monachesimo occidentale è dall’Oriente. Giunse in Occidente abbastanza presto: la vita di sant’Antonio fu scritta da sant’Atanasio su richiesta dei monaci latini. Se non l’avessero chiesto, la sua vita non sarebbe stata scritta. L’originale è in greco, ma i manoscritti più antichi sono in latino.

Quindi, l’Oriente è stato la linea guida per il monachesimo per molti secoli. Ma devi sempre riscoprire questa linea guida per te stesso… Una volta che la perdi, devi concentrarti di nuovo su di essa. Abbiamo potuto vedere nei secoli come l’Occidente riscopra periodicamente l’Oriente. Ad esempio, ci sono trattati in Francia che potrebbero trovare il loro posto in “La Filocalia”. C’è un articolo interessante a riguardo scritto da uno storico ortodosso Jean-Paul Bess intitolato “Le impronte dell’esicasmo in Occidente”. Un personaggio interessante che ho scoperto di persona è l’abate de Rancé (1626-1700), fondatore del monastero di La Trappe. Era un contemporaneo di San Paisius Velichkovsky, ma la sua scuola, i Trappisti, non esiste più nella forma originale rispetto a San Paisius Velichkovsky.

Le vite di molti monaci, ad esempio, dell’anziano Giuseppe l’Esicasta sono molto popolari in Occidente e sono tradotte in molte lingue. Il libro “Il Cammino del Pellegrino” è stato tradotto nel XX secolo. Questo libro mi ha ispirato. Ero uno studente a quel tempo e non avevo mai visto una corda di preghiera. Ho letto che puoi anche pregare la preghiera di Gesù mentre cammini. E ho iniziato a pregare mentre camminavo. Sulla strada per l’università e ritorno, ho sempre detto la preghiera di Gesù e mi è entrata nel cuore.

Ora la preghiera di Gesù è molto popolare in Occidente. A proposito (“sorridendo”), se vuoi farmi piacere, dammi in regalo delle corde di preghiera, corte o lunghe, poco importa. I fedeli che mi visitano e vengono a confessarsi spesso le chiedono.  

Prego Dio che non dimentichiamo più, e passano altri cento anni, e dobbiamo riscoprire la spiritualità orientale. Oggi dobbiamo andare al nocciolo delle cose: le Chiese d’Oriente e d’Occidente devono unirsi. Ne parlo liberamente. Non bruciano più le persone sul rogo. Non stiamo parlando di ecumenismo. Quella parola è già diventata ambigua. Pensiamo subito al Dalai Lama, ecc. Non parlo nemmeno dell’unità della Chiesa, perché “unità” è intesa da ciascuno a modo suo. Quella stessa parola può significare molte cose. I cattolici contemporanei possono considerare “l’unità” in una sola forma, quella con cui sono cresciuti nella Chiesa cattolica. I cristiani ortodossi non conoscono quel tipo di unità istituzionale. Dentro una chiesa locale? Sì. Ma non tra chiese locali. Ed è per questo, purtroppo, che non esiste un meccanismo per la composizione delle controversie interne. C’è sobornost , ovviamente, ma questa è un’altra domanda.

Tornando all’argomento, devo dire che bisogna sempre tornare ai Padri. L’antica liturgia “ambrosiana” contiene una litania che durò fino al Concilio Vaticano II ma poi andò perduta. Conteneva la seguente petizione: “Preghiamo per la pace tra le Chiese, per la conversione degli infedeli e per la pace tra i barbari”.

Che cos’è questa pace tra le Chiese? Le “Chiese” sono qui al plurale, sebbene il Credo menzioni una sola Chiesa. Ma una Chiesa esiste solo in un gran numero di chiese. Questa litania è il programma che deve essere eseguito. Dobbiamo lavorare per mantenere in pace le nostre chiese.

Oggi possiamo vedere i segni che dimostrano che è possibile. In Occidente, la Chiesa ortodossa è una minoranza. Non è grande; molto spesso una congregazione non è nemmeno in grado di costruire una propria chiesa. Tuttavia, non ci sono problemi quando la Chiesa cattolica cede le sue chiese alle parrocchie ortodosse. Ad esempio, il cardinale di Milano consegnò tre grandi chiese antiche. I nostri credenti sono molto felici quando questo accade. Le persone sono amichevoli con i fedeli ortodossi nelle vicinanze. Penso che mai prima d’ora gli occidentali abbiano provato così tanta simpatia per i cristiani orientali come adesso. L’Occidente ci guadagna solo da questo.

So che questo non sarebbe possibile in Russia. E ci sono alcune ragioni storiche che potrebbero spiegarlo. Certo, c’è stata una certa evoluzione in merito a questo tema, ma i vostri problemi non sono opera mia… Per me personalmente l’ideale sarebbe la pace tra le Chiese, l’attenuazione dei pregiudizi esistenti al minimo delle questioni più importanti in modo che con rispetto reciproco si può decidere su queste questioni in futuro.

Fr. P.: La prossima domanda riguarderebbe quegli esempi che spesso vengono presi dagli ortodossi come indicatori di un falso orientamento del misticismo cattolico. Se per l’Oriente la purezza cristallina dell’anima è la condizione principale per il lavoro interiore affinché la Luce Divina agisca in essa, allora gli esempi di asceti come Teresa d’Ávila mostrano qualcosa di completamente opposto: lo scopo di podvig è raggiungere all’estasi in cui una persona sperimenta Dio. Potresti per favore commentare questo?  

Fr. G.: Ci sono due tipi di misticismo nella Chiesa cattolica: trattenuto (lavoro interiore) ed estatico. Entrambe le scuole sono radicate nella tradizione monastica. La prima scuola che ebbe origine nei SS. Macario, Antonio ed Evagrio è il misticismo interiore, il “lavoro interiore”. Ma le Omelie di San Macario contengono anche l’altra scuola, il misticismo più affettivo. Perciò è tradizionalmente considerato appartenente al monachesimo addolcito o semimessalianesimo, cioè una specie di monachesimo estatico. Penso che qui potremmo vedere solo due diversi temperamenti spirituali che si confrontano. Ecco perché è difficile trovare un linguaggio comune. Il seguace del lavoro interiore potrebbe dire al suo avversario: “Sei troppo sensuale”, e quest’ultimo potrebbe rispondere: “Sei troppo ragionevole. Non hai alcuna esperienza interiore”. Ed entrambe queste opinioni sarebbero sbagliate.

Tuttavia, devo ammettere che nel Medioevo c’erano movimenti mistici puramente femminili in Occidente che mi sembrano strani e sono al di là della mia comprensione. Appartengo a un’altra scuola. Non ho niente che possa aiutarmi a capire o a sentire profondamente quel misticismo affettivo ed estatico. La regola principale di qualsiasi vita spirituale per me è la restrizione e la mancanza di esaltazione perché l’esaltazione stessa è un terreno per il prelest demoniaco. Questa esperienza la troviamo oggi nei carismatici. Per evitare errori che Evagrio chiama imitazione di stati spirituali e mistici, dobbiamo essere molto attenti, saggi e possedere semplicità e purezza. Oggi è chiamata una condizione auto-suggerita, cioè una condizione immaginativa mistica (spirituale). 

S. Teofano il Recluso, che è molto popolare in Occidente, tra l’altro, comprese molto sottilmente la questione dei mistici occidentali. Una volta esclamò: “Oh, questi occidentali, non sanno distinguere tra psichico e spirituale!” E davvero, quando parlo con le persone che vengono a confessarsi, vedo quanto spesso mescolano queste cose. Bisogna insegnare e aiutare le persone a vedere la differenza tra i loro sentimenti e la vera spiritualità di Dio. Le persone spesso sentono qualcosa nel profondo e pensano “Eccola, ecco quella vera spiritualità”.

Fr. P. Hai appena toccato una questione molto importante. Sia Ignazio di Loyola nel suo libro “Gli Esercizi Spirituali” che Thomas à Kempis nel suo libro “L’imitazione di Cristo” sottolineano come più importante lo sviluppo dell’immaginazione. Si può dire che, anche se è solo una delle tante scuole della Chiesa cattolica, è comunque abbastanza importante e ufficialmente riconosciuta dalla Chiesa cattolica?

Fr. G. No, non è dominante, ma è ancora molto diffusa tra i gesuiti. Praticano questi metodi di imitazione di Cristo anche oggi.

A proposito, il libro “L’imitazione di Cristo” era molto popolare in Russia in un certo periodo. Ora il lavoro sull’influenza di questo libro sulla Russia e la sua storia è in preparazione per la pubblicazione. Ho chiesto all’autore di questo libro se c’è un impatto sulla popolarità di questo libro sull’immagine di Cristo sull’iconografia. Ho posto questa domanda perché sembrava che in un certo momento Cristo sulle icone russe avesse un aspetto molto umano che non puoi trovare nelle icone bizantine, una sorta di senso morbido e tenero. Da che momento è successo?   Questa sarebbe una domanda per gli storici dell’arte.

Fr. P:. Quali opere di San Teofane il Recluso sono più popolari in Occidente?

Fr. G. Ci sono alcuni opuscoli ed estratti delle sue opereL’igumeno Chariton di Valaam ha scritto un libro tra due guerre mondiali intitolato “L’arte della preghiera”. È un’antologia sulla preghiera basata sulla sua conoscenza ed esperienza. Parte di questo libro che contiene estratti dagli insegnamenti di San Teofane il Recluso è molto popolare.

Fr. P.: Non crede che lo scopo principale del clero e del monachesimo moderno sia quello di adattare la tradizione dei Santi Padri alle persone contemporanee? Questo era lo stesso scopo di San Teofane il Recluso

Fr. G. Ebbene, credo che gli ultimi insegnamenti dei Santi Padri debbano essere appresi insieme agli insegnamenti dei primi Padri. Ogni Padre successivo deve essere verificato con testi precedenti. Questo è il mio metodo.

Quando un principiante viene da me, riceve da me dei testi di base, che sono i detti dei Padri del deserto, La Filocalia ecc. Dopo aver letto quei testi può leggere tutto ciò che vuole. Per prima cosa bisogna coltivare il gusto. Quando il gusto è raffinato, si può dire se l’opera è vera oppure no.

Se inizi la tua lettura con gli insegnamenti del misticismo femminile del 13° secolo, rovinerai per sempre il tuo gusto spirituale. Ma se hai un gusto sano, puoi anche leggerlo e riuscire a trovare qualcosa di utile per te stesso.

Fr. P.:   Ho un’altra domanda sull’ascesi. Si può dire che il monachesimo è l’élite, l’avanguardia della Chiesa, anche se la maggior parte dei fedeli è laica. Ovviamente, l’etica cristiana è impensabile senza l’ascesi. Quale potrebbe essere, allora, il sostegno per i cristiani nel mondo? Quando la vita monastica si imprime nella vita familiare, quest’ultima viene rovinata insieme al cristianesimo. Ecco perché il cristianesimo è oggi accusato di “antiumanità”. Tutti dovrebbero diventare monaci; la vita nel mondo è accettata ma non accolta. Un simile approccio diventa una barriera per coloro che aspirano al cristianesimo: vogliono godersi la vita, che non significa peccare ma vivere pienamente. Potrebbero essere nella Chiesa, ma purtroppo spesso la evitano.

Fr. G. In primo luogo, non esiste una spiritualità separata per monaci, laici e sacerdoti. La spiritualità cristiana è una per tutti. Se guardi dall’esterno al cristianesimo, potresti davvero dire che il monachesimo è l’élite della Chiesa. Ma ogni singolo monaco non dovrebbe pensare in questo modo, non dovrebbe considerarsi nell’élite. C’è un noto detto di un Padre del deserto che ha affermato che vive nel deserto perché non è abbastanza buono per vivere nel mondo. La migliore virtù sia per un monaco che per un laico è l’umiltà.

Penso che l’amore profondo e la compassione per tutti siano le caratteristiche distintive degli anziani ortodossi. Ne hai molti in Russia e ne ho conosciuto uno dalla Romania personalmente.

Un giorno stavo viaggiando verso l’Athos in barca insieme a molte persone diverse: uomini d’affari, banchieri, ecc. Stavano andando dai loro padri spirituali. Dissero: “I nostri padri spirituali sull’Athos sono molto severi. Ma ci conoscono molto bene e sanno di quale trattamento abbiamo bisogno per le nostre malattie”. C’erano molti giovani tra loro, molti padri di famiglia. Potevano visitare qualsiasi altro padre spirituale nel mondo che potesse dire: “Tutto questo non ha molta importanza”. Ma queste persone stavano andando da un asceta severo, che avrebbe pianto con loro per i loro peccati e avrebbe dato loro un trattamento che avrebbero potuto sopportare e che li avrebbe guariti. Avrebbe detto una cosa a una persona, a un’altra persona qualcos’altro.

Tornando alla tua domanda, devo dire che mi imbatto in questo problema quasi ogni giorno. Ho lasciato il mondo 28 anni fa per diventare un eremita. Mi dispiace ma parlerò un po’ di me. Non avevo intenzione di fare lavoro scientifico o pastorale. Ho tradotto le opere che mi sembrano importanti. Volevo renderle accessibili agli altri. Ma come può l’uomo contemporaneo del 20° secolo intendere un testo del 4° secolo? Ho dovuto aggiungere un po’ d’acqua a questo “buon vino” per renderlo comprensibile alle persone. E, ultimamente, le persone hanno iniziato a chiedere il mio consiglio. A poco a poco sono diventato un padre spirituale per molti di loro. La maggior parte di loro, circa il 90%, sono uomini di famiglia. Non ci sono molte donne perché il monastero è chiuso per loro e non molti sacerdoti.

Cosa posso fare per aiutare i miei fratelli che sono uomini d’affari, professionisti nel mondo? Come posso aiutarli a vivere una vera vita cristiana mentre tutto intorno vi si oppone?

Prima di tutto do loro una regola di preghiera adattata alla loro vita personale, a seconda di quanti anni hanno e quanti figli hanno. Penso che ci sia un solo modo di pregare. Non esiste una cosa come una speciale preghiera monastica. I monaci hanno solo più tempo per farlo. C’è la preghiera di Gesù e anche le altre preghiere. E ogni mattina, ogni sera queste persone stanno in piedi davanti alle icone e pregano. Nella loro vita “normale” cercano lo stesso che facciamo noi monaci. Sono stupito di come questa “disciplina monastica” cambi la vita delle persone. Non sto cercando di imporre loro la vera disciplina monastica. Alcune scuole carismatiche cercano di farlo, ma tali tentativi finiscono sempre con un fallimento.

Fr. P.: Abbiamo diverse domande non molto profonde ma molto importanti. Quali sono, secondo lei, le scoperte più importanti della teologia occidentale avvenute di recente?

Fr. G. Non le seguo più; Non sono nemmeno in grado di farlo perché non sono abbonato a riviste. A volte leggo solo alcune opere interessanti. Quanto alla scienza della Chiesa, non lo so. 

Fr. P:. Qual è stata per te personalmente la scoperta più importante negli insegnamenti dei Santi Padri?

Fr. G.: Leggendo Isacco di Ninive (di Siria), ho capito che i Padri si ispiravano alle opere di Evagrio del Ponto. Ho deciso di saperne di più su di lui, ho imparato la lingua siriana e ho scoperto che ci sono molti pregiudizi su di lui. Il fatto è che nel V Concilio Ecumenico non fu condannato personalmente, ma solo in connessione con gli Origenisti. Dal momento che fu deciso che fosse un Origenista, gli furono imputate cose impossibili.

Quando tocco questo argomento con qualcuno, dico: “Evagrio è accusato di essere in disaccordo con quasi ogni affermazione della cristologia ortodossa. Bene, ma non ti sembra strano che San Basilio Magno non abbia notato in lui niente di simile? E neanche Gregorio il Teologo se n’era accorto. Inoltre, Teofilo d’Alessandria volle farlo vescovo (si sottrasse). Anche gli antiorigenisti (Epifanio di Cipro, Geronimo) non accusarono mai Evagrio di nulla, sebbene lo conoscessero personalmente. Stiamo sbagliando da qualche parte?”

Così ho iniziato a studiare seriamente Evagrio. L’ottava lettera di San Basilio Magno, tradizionalmente attribuita a San Basilio, fu senza dubbio scritta da Evagrio. Questa lettera contiene tutto l’insegnamento di Evagrio. Significa che Evagrio può essere letto sempre in modo ortodosso. Ma può anche essere letto in modo non ortodosso. Il problema è nel metodo. Potrei anche citare “Sulla Preghiera”, noto come opera di Nilo di Ancyra. I nomi dei santi padri ortodossi sono stati apposti sulle opere di Evagrio per salvarli e per leggerli in modo ortodosso. È davvero possibile leggere le sue opere dal punto di vista ortodosso. Lo valuto da questo punto di vista.

Fr. P. Utilizzi Internet?

Fr. G. No. C’è una foresta tutt’intorno…

Fr. P. Significa che ti sei tenuto completamente alla larga dal mondo.

Fr. G. Ho solo un telefono. E c’è una macchina da scrivere come computer.

Fr. P. Purtroppo oggi esistono molti miti e leggende sul misticismo occidentale. È molto desiderabile ottenere una certa accuratezza scientifica in questa domanda. La tua attività di scienziato, monaco, teologo è per noi molto interessante. Pertanto, vorremmo rimanere in contatto con te, anche per iscritto. Ti sei isolato dal mondo, ma non ti lasceremo solo! 

Fr. G.: Come posso rifiutarmi di rimanere in contatto con te? Ho dedicato uno dei miei migliori libri alla Confraternita di Lavra.

Traduzione in italiano dall’inglese di un originale russo.




FALSO: Tutte le vie alla fine conducono al medesimo obiettivo!

Non tutte le religioni o le fedi sono uguali. La dottrina massonica attualmente in voga vuole insegnare che è indifferente la professione di fede. Non ci sono dogmi. Tutte le vie alla fine conducono al medesimo obiettivo. Più mondanamente il proverbio diceva che tutte le strade portano a Roma. Si predica un blando umanesimo egocentrista che in realtà ha condotto a due guerre mondiali e siamo sull’orlo della terza! Ogni uomo è dio a sé stesso. Una dottrina di chiara matrice satanica.

“Io sono la via, la verità e la vita”

Gv 14,1-12: [In quel tempo], Gesù disse: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: «Vado a prepararvi un posto»? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: «Mostraci il Padre»? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».

Il Dio rivelato dal suo Figlio ha il nome di Abbà: “Papà”. Allargando il quadro è un Dio che condivide la stessa sostanza in tre ipostasi personali: il Padre il Figlio e lo Spirito Santo. La Trinità nel nome della quale siamo stati battezzati. Un Dio attento ai propri figli, che ascolta il grido di Israele in Egitto, che li corregge, gli viene incontro, li attende amorevolmente nei loro sbagli come quel Papà che abbraccia il figliol prodigo quando “rientrò in sé stesso”.  (Luca 15,11-32)

Questo è, molto sinteticamente, il volto del nostro Dio.

In un’intervista ad Osho di Enzo Biagi (Osho è stato uno dei guru più in voga negli scorsi decenni, star della new age, predicatore di questa nuova spiritualità senza Dio) il santone fa un identikit del suo dio.

“Non avete bisogno di un Gesù Cristo che vi conduca in paradiso; siete in grado di essere in paradiso qui e ora.  Perché il paradiso non è da qualche parte nell’alto dei cieli. È qui, da qualche parte!”.

Trovate differenze tra queste parole e il brano evangelico? A me pare di si…ma in molti oggi direbbero che non è importante, che è uguale! Chiunque può trovare la via del Paradiso e quindi è inutile Gesù, la sua incarnazione, la sua morte e la sua resurrezione. Tu ce la fai tranquillamente con le tue forze. Tu sei dio a te stesso.

“Il segreto della felicità è tutto qui: qualsiasi cosa fai non permettere al passato di distrarre la mente e non permettere al futuro di disturbarti. Perché il passato non esiste più e il futuro non esiste ancora.”

“Nel qui e ora non troverai Dio, ma qualcosa di più grande: troverai un’essenza divina. Questo è il termine che designa l’esperienza suprema della beatitudine. Ricorda quelle due parole: qui e ora, e conoscerai il segreto della felicità suprema”.

Riecheggia qui l’antico brano della Genesi quando il serpente suggeriva ai progenitori di mangiare dell’albero che non solo non sarebbe sopraggiunta la morte ma si sarebbero addirittura schiusi gli occhi alla conoscenza del bene e del male. Dio mente, diceva il serpente antico, Gesù non serve ribadisce il guru moderno. A che servono questi sacrifici, del non mangiare dell’albero, della via stretta, della croce, se la suprema beatitudine può essere acquistata con più semplicità? Quindi Dio, così come rivelato dal Cristo Signore, non esiste per Osho. Non troverai Dio nel qui ed ora. Troverai solo un’essenza divina, impersonale, inerte. Questo l’insegnamento della gran parte della spiritualità spacciata nel grande ipermercato moderno. Non serve grosse impegno, basta rimanere concentrati. Una flebile risonanza di dottrine “orientaleggianti” ad uso quotidiano che non richiede grande fatica. Basta concentrarsi un attimo, di tanto in tanto, quanto ne hai il tempo per sperimentare il paradiso; meglio se attraverso i consigli pagati di un famoso guru, in un’elegante palestra in centro città o addirittura senza muoversi di casa…online!

Rispettando le idee di tutti, il nostro Dio ci ha lasciato liberi di scegliere e anche di sbagliare, lo scopo di questo piccolo articolo è quello di manifestare chiaramente che non è assolutamente vero la teoria moderna para massonica che tutti i messaggi, tutte le religioni, tutte le fedi sono uguali. Non tutte conducono al Padre, molte conducono ad una “suprema beatitudine” donata con semplicità da una non meglio identificata “essenza divina”.

Altre, spesso nate negli stessi circuiti new age, promettevano e promettono la stessa “suprema beatitudine” grazie a delle “essenze chimiche”; si prende una pillola, una sostanza, un’erba, così quando ti pare, e sei in paradiso…semplice!

Marco 8,34-35: “Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. 35 Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà”.

No, non tutti i percorsi sono uguali, ci sono le vie strette e quelle larghe. No non tutte le strade portano in Paradiso! Confidiamo nella grande misericordia di Dio e preghiamo per tutti noi peccatori affinché possiamo conoscere ed imboccare la strada giusta!

Per le preghiere dei nostri santi Padri, Signore Gesù Cristo Dio nostro, abbi pietà di noi e salvaci!

TEANDRICO.IT




Padre Seraphim Rose: una breve biografia

La vita ortodossa: P. Seraphim (Rose) di Platina: La visione ortodossa del  mondo

Uno strano “segno dei tempi” ha visto sorgere in un territorio apparentemente inconsueto (la California) e in un ambiente culturale dei più impensabili (la Beat generation) una delle voci più profetiche dell’Ortodossia del ventesimo secolo. Un umile convertito americano, vissuto per gran parte della sua vita in uno stretto isolamento, e morto (per i criteri di questo mondo) nel fiore dei suoi anni, è oggi a livello internazionale una delle figure più conosciute del monachesimo ortodosso.
Eugene Rose nasce nel 1934 a San Diego, sulla costa meridionale della California, da una famiglia che incarnava il tipico “sogno americano” (laboriosità, benessere economico, una vaga religiosità vissuta all’interno di “rispettabili” comunità protestanti, valori morali perseguiti in modo onesto ma superficiale). La sua educazione è il prodotto tipico dell’America del dopoguerra, e di tutte le sue inquietudini e contraddizioni. Avvertendo un vuoto di fondo alla base di questa visione del mondo, lo spirito intelligente e analitico di Eugene lo porta negli anni universitari a immergersi nel mondo della contro-cultura californiana degli anni ’60.
Come molti suoi contemporanei, Eugene inizia un cammino di conoscenza delle religioni e filosofie dell’estremo Oriente, ma rimane presto insoddisfatto della gerarchia di valori “alternativi” proposti dall’incontro tra queste millenarie tradizioni e la mentalità moderna dell’Occidente. La debolezza e il relativismo delle risposte della contro-cultura stimolano in lui un cammino di scoperta di una verità più profonda.
In un periodo di ricerca di un nucleo di verità comuni alle grandi tradizioni religiose, viene in contatto con la Chiesa ortodossa, e inizia a frequentare la cattedrale della Chiesa Russa all’Estero a San Francisco. Questo incontro è il seme di una trasformazione interiore che, in capo a un paio di anni, gli fa acquisire una visione rinnovata.
A contatto con l’Ortodossia, la fede cristiana dei suoi anni di infanzia gli si ripresenta nella pienezza di una verità trasformante, fattasi persona (un tratto di netta distinzione con le filosofie spiritualiste allora in crescita), ed espressa in una continuità ininterrotta di fede e di dottrina. Trovando finalmente un’autentica alternativa agli approcci parziali e accomodanti del cristianesimo occidentale, e alle soluzioni altrettanto ristrette della contro-cultura, Eugene entra a far parte della Chiesa ortodossa nel Febbraio 1962.
Con la nuova prospettiva fornitagli dalla visione ecclesiale ortodossa, Eugene può sviluppare un’analisi critica del mondo moderno: inizia a dedicarsi alla stesura di un libro che passa in rassegna le tappe della progressiva scristianizzazione degli ultimi secoli, e mostra come il graduale allontanamento dall’ordine tradizionale apre la strada a un futuro ben più inquietante di quanto si creda. Quest’opera, il cui titolo avrebbe dovuto essere Il regno dell’uomo e il Regno di Dio, è rimasta incompleta: Il testo pubblicato anche in italiano, Nichilismo. Le radici della rivoluzione nell’età moderna (Schio: Interlogos 1998), non ne copre che un singolo capitolo.
Tra i numerosi incontri che arricchiscono la vita ecclesiale di Eugene, è decisivo quello con Gleb Podmoshensky, un seminarista di famiglia russo-lettone, che è al suo fianco nel cammino di approfondimento della fede ortodossa, e che in seguito condividerà con lui la vocazione eremitica e monastica e il sacerdozio.
Nel Novembre 1962, viene insediato a San Francisco uno dei più straordinari vescovi ortodossi del ventesimo secolo, che avrebbe lasciato una decisiva impronta su Eugene e sul suo cammino: si tratta del santo Arcivescovo John Maximovich (la cui canonizzazione ha avuto luogo a San Francisco nel 1994, a opera delle gerarchie della Chiesa Russa all’Estero e del Patriarcato di Serbia).
L’Arcivescovo John giunge in California dopo una vita di infaticabile opera missionaria in Asia (era stato consacrato in origine come Vescovo di Shanghai), Africa, e in vari paesi d’Europa. La sua fama di asceta e taumaturgo lo ha preceduto da tutti questi luoghi, così come i frutti della sua visione apostolica, non sempre compresa dalle stesse gerarchie ortodosse.
L’ideale perseguito dall’Arcivescovo John è la costituzione di un’Ortodossia occidentale, non tramite la fondazione di “filiali” delle Chiese orientali storiche, ma attraverso la rigenerazione, compiuta all’interno della vita ecclesiale ortodossa, delle radici cristiane ortodosse dell’Occidente contemporaneo. Questo compito davvero arduo ha ricondotto molti francesi all’Ortodossia, e ha aiutato a creare in altri paesi (tra cui i Paesi Bassi e la stessa Italia) un clima favorevole alla costituzione di una Chiesa ortodossa genuinamente locale.
Ispirati dall’Arcivescovo John, Eugene e Gleb, assieme ad alcuni amici, si costituiscono in una fraternità, posta sotto il patronato di uno dei primi evangelizzatori ortodossi in America: il beato Herman dell’Alaska. Tra gli scopi della fraternità, oltre a un esperimento di vita comune tra giovani attivisti della Chiesa, vi è la diffusione degli insegnamenti patristici e ascetici dell’Ortodossia: un campo per il quale l’Occidente inizia in questi anni a mostrare i primi, timidi segni di interessamento.

Icon of the Righteous Seraphim (Rose) of Platina - With Gospel (1SR14) -  Uncut Mountain Supply

I fratelli preferiscono operare attraverso modalità non necessariamente vincolate alle strutture parrocchiali esistenti, e decidono di aprire un negozio di libri e icone a San Francisco: in questo modo sono in grado di estendere una testimonianza di fede ortodossa a molte persone per diverse ragioni estranee agli ambienti ecclesiali, per ignoranza, distanza culturale o per un esplicito rigetto delle tradizioni.
Molte sono le persone che scoprono l’Ortodossia attraverso la libreria gestita dalla fraternità, e diversi iniziano qui un cammino di fede che li porta in seno alla Chiesa.
Con la benedizione dell’Arcivescovo John, la fraternità inizia nel 1964 la pubblicazione della rivista The Orthodox Word (La parola ortodossa), che per oltre un trentennio ha continuato a fornire traduzioni di testi patristici (molti dei quali apparsi per la prima volta in una lingua occidentale), scritti spirituali, vite di santi e testimonianze dell’Ortodossia sofferente.
Un compito particolarmente sentito dai fratelli, attraverso le pagine della rivista e l’impegno di testimonianza personale, è quello di suonare una nota di cautela nei confronti del gusto di compromesso con il mondo che sta inizando a intaccare, in quegli anni, alcuni ambienti delle giurisdizioni ortodosse più propense al dialogo ecumenico e ai confronti con la civiltà contemporanea.
Dopo la morte (nell’estate del 1966) dell’Arcivescovo John, il timore di coinvolgimento dell’attività missionaria ortodossa in una politica di rivalità ecclesiastiche, a livello parrocchiale e diocesano, è la molla che spinse Eugene e Gleb ad abbandonare San Francisco e a ritirarsi in solitudine, fondando uno skit (eremo).
Nel 1967, dopo avere trovato un terreno boschivo a Platina, nella California settentrionale, Eugene e Gleb abbandonano il mondo e vi si trasferiscono, combinando la loro missione di traduzione, stampa e diffusione di testi patristici con una vita di stile monastico nella frontiera occidentale americana.

Parrocchia ortodossa - Documenti

La vita di fratellanza nel deserto, iniziata tra mille difficoltà pratiche, è però sostenuta dalla sapiente esperienza di secoli di monachesimo ortodosso: i fratelli sono in grado di applicarne gli insegnamenti in un modo più efficiente (e senza dubbio più vissuto) di quanto avevano potuto fare nel loro periodo di apostolato urbano.
Nel 1970 ha luogo la canonizzazione del Beato Herman dell’Alaska, il patrono delle attività missionarie della piccola fraternità: pochi mesi dopo, anche i due fratelli accettano di essere tonsurati monaci, Eugene con il nome di Seraphim, e Gleb con quello di Herman.
La tonsura monastica, che era sembrata ai due fratelli il naturale coronamento della loro scelta di vita eremitica, dà luogo a vari problemi con l’Arcivescovo locale; il desiderio di quest’ultimo di assegnare Padre Seraphim e Padre Herman come parroci in chiese prive di pastore rischia di distruggere le attività missionarie e la loro esperienza di monachesimo del deserto.
Con il tempo, tuttavia, cresce l’affluenza di pellegrini e fedeli, che cercavano attraverso i due padri una luce spirituale per orientare la propria vita cristiana; arrivano anche novizi, e all’eremo di Platina si istituisce un percorso di studi religiosi monastici. L’esperienza missionaria della fraternità aveva preparato i padri Herman e Seraphim ad affrontare i casi più diversi, e talvolta più disperati, di necessità spirituali.
Nella sua opera di trasmissione dell’esperienza monastica, Padre Seraphim si adopera con incredibile energia per far comprendere la validità del monachesimo ortodosso anche in un mondo pieno di alternative religiose: dalle sue lezioni ai novizi, si sviluppa un vero e proprio “corso di sopravvivenza ortodossa”, che spazia su ogni campo dello scibile umano.
L’isolamento dell’eremo di Platina, lungi dall’attenuare la sensibilità ecclesiale dei padri, permette loro di valutare con un maggiore distacco alcuni temi delicati della vita ortodossa americana, tra cui lo stesso zelo per la tradizione, che aveva portato in altri contesti a un certo intransigentismo. Sono interessanti alcuni tentativi, compiuti da Padre Seraphim nei suoi ultimi anni, di contrastare con un approccio di moderazione gli eccessi di “rinnovamento” all’interno dell’Ortodossia, sia in senso modernista che conservatore.
Solo alla fine del 1976 Padre Herman e Padre Seraphim accettano di essere ordinati sacerdoti, quasi a malincuore, sicuri che le necessità del ministero avrebbero sottratto tempo prezioso all’attività di traduzione e diffusione di testi patristici.
L’attività sacerdotale dei due padri è comunque fondata sulla roccia degli insegnamenti spirituali che essi avevano fatti propri e cercato di vivere da oltre un decennio, e, a quel punto, lo sforzo missionario della piccola fraternità non tarda a far vedere i suoi primi importanti frutti. Nel corso di pochi anni, i padri accolgono centinaia di nuovi membri nella Chiesa ortodossa; attraverso un’opera iniziata in piccole missioni domestiche, si aprono numerose chiese nella California settentrionale e negli stati confinanti.
Un ulteriore numero di novizi e monaci viene a stabilirsi nell’eremo, non lontano dal quale si fonda anche un eremo femminile dedicato a Santa Xenia. Platina diviene il centro di un movimento che coinvolge un numero crescente di ortodossi negli Stati Uniti, e che dopo la morte di Padre Seraphim riuscirà ad aprire un monastero in Alaska, nelle terre originariamente evangelizzate dal Santo Herman.
Padre Seraphim muore il 20 Agosto/2 Settembre 1982, dopo una breve ma intensa agonia, per i postumi di una malattia giovanile che già avrebbe potuto stroncarlo negli anni in cui era divenuto ortodosso. Egli aveva anzi vissuto tutti gli anni della sua missione nella certezza che questi fossero un “tempo regalato”, un dono fattogli al solo scopo di diffondere la conoscenza dell’Ortodossia in Occidente.
Dopo la sua morte (come già era accaduto per l’Arcivescovo John Maximovich) ha luogo una serie di guarigioni e di conversioni in seguito a preghiere a lui rivolte; forse l’episodio più significativo è la conversione all’Ortodossia, tramite ispirazione alla sua figura, di centinaia di membri di un gruppo monastico indipendente, l’Ordine di MANS, partito da posizioni sincretiste comuni all’ambiente New Age, ed evolutosi in una attiva fraternità ortodossa.
Oltre a questi numerosi eventi (per nulla insoliti per coloro che credono), ci resta di Padre Seraphim un gran numero di scritti di notevole valore, e un esempio di come, anche in questa civiltà sempre più aliena dal cristianesimo, sia possibile vivere una vita del tutto simile a quella degli antichi Padri e santi asceti.
Per le persone che sperimentano maggiore inquietudine nella ricerca della verità, soprattutto i più giovani, e coloro che si sono rivolti a religioni e spiritualità orientali non cristiane, Padre Seraphim è il punto di riferimento ideale nel mondo ortodosso, in grado di comprendere le tappe dei più diversi pellegrinaggi verso la fede cristiana.
L’approccio di Padre Seraphim ai problemi dell’Ortodossia contemporanea, pur muovendosi in una totale fedeltà alla Tradizione, è caratterizzato dalla mancanza di qualsiasi polemica a livello giurisdizionale: egli è rimasto leale per tutta la vita, scontrandosi spesso con l’ostilità della propria gerarchia, alla Chiesa Russa all’Estero, che lo aveva accolto come convertito; tuttavia, non ha voluto cadere negli eccessi di zelo e di rivalità che talora dividono le giurisdizioni ortodosse, adoperandosi anzi per promuovere uno spirito di mutua comprensione: ne è una testimonianza il suo spirito di profonda comunione con i confessori dell’Ortodossia nel Patriarcato di Mosca, come Padre Dimitri Dudko.
A fianco del suo prezioso impegno di traduzione e diffusione di letteratura patristica, Padre Seraphim ci ha lasciato anche contributi letterari di notevole chiarezza, che tentano di offrire una risposta ortodossa ad alcuni grandi problemi contemporanei.
Affrontando nel 1978 il tema dei nuovi movimenti religiosi nell’opera Orthodoxy and the Religion of the Future (L’Ortodossia e la religione del futuro), ci mostra quanto la tradizione patristica ortodossa abbia da dirci in proposito alle tendenze della religiosità contemporanea (inclusi alcuni nuovi movimenti orientali, il fenomeno degli UFO, i movimenti carismatici e certe tendenze dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso).
Altri scritti provano a rivalutare una posizione cristiana di fronte a ideologie costruite su dati presi per scontati (come l’intero mondo dell’evoluzionismo contemporaneo).
Di fronte a casi di incapacità pastorale di rispondere alle domande sulla vita oltre la morte (una incapacità manifestata purtroppo anche all’interno di strutture ecclesiali ortodosse), Padre Seraphim ha voluto presentare l’escatologia ortodossa, le esperienze dei santi e la dottrina dei Padri della Chiesa a fianco delle esperienze extracorporee e di “pre-morte”, e delle loro spiegazioni provenienti da antiche tradizioni pre-cristiane o da moderne ipotesi occultiste o parapsicologiche. Quest’opera, intitolata The Soul After Death (L’anima dopo la morte), è probabilmente il più diffuso tra i libri di Padre Seraphim, e le sue traduzioni in varie lingue sono diffuse in tutto il mondo ortodosso. La traduzione italiana è del 1999 (L’anima dopo la morte, Schio: Interlogos).
Una delle opere patristiche di Padre Seraphim ha un valore particolare per la riscoperta dell’Ortodossia nei paesi dell’Europa occidentale. Traducendo una raccolta di vite di santi dell’antico Occidente cristiano, la Vita Patrum di San Gregorio di Tours, Padre Seraphim l’ha corredata di uno studio sull’antica Gallia cristiana: da questo, e dalle esperienze dei santi monaci narrate da San Gregorio, vengono alla luce impensabili paralleli tra i primi secoli dell’Occidente cristiano e la realtà attuale della Chiesa ortodossa. Uno sforzo simile, attuato anche per il nostro paese, potrebbe aprirci gli occhi sulle radici ortodosse del nostro passato.
Di tutta la notevole produzione letteraria di Padre Seraphim, solo un paio di opere sono oggi disponibili in lingua italiana (tuttavia, all’interno della comunità torinese del Patriarcato di Mosca, abbiamo anche tradotto alcuni capitoli della sua biografia). Ci auguriamo una maggiore diffusione delle opere che furono oggetto della missione di approfondimento e di trasmissione spirituale di uno dei più straordinari testimoni della Fede ortodossa dei nostri tempi.

FONTE: http://www.santiebeati.it/dettaglio/93686




BIOGRAFIA: San Giovanni Climaco

BREVE VITA DEL BEATO GIOVANNI, IGUMENO DEL SANTO MONTE SINAI, DETTO SCOLASTICO E AUTORE DELLE “TAVOLE SPIRITUALI”, OVVERO DELLA “SCALA SANTA”

Scritta dal monaco Daniele di Raito,
uomo venerabile e virtuoso

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1. Non sono in grado di dire con precisione ed esattezza quale città abbia dato alla luce e allevato quest’uomo divino prima che egli intraprendesse la lotta della vita ascetica; ma quale città lo ospiti e lo nutra ora con delizie di ambrosia, il grande apostolo Paolo lo aveva già scoperto prima di noi: certamente infatti anch’egli appartiene a quella Gerusalemme celeste, dove si trova l’assemblea dei primogeniti (cf. Eb 12,23) la cui patria è nei cieli (Fil 3,20), come sta scritto. Là, saziandosi con il senso spirituale dei beni di cui non si può mai essere sazi e contemplando le bellezze invisibili, riceve ora adeguate ricompense dei propri sudori; e avendo ottenuto come dolce premio delle proprie fatiche l’eredità celeste, si unisce oramai per l’eternità al coro di quelli il cui piede è rimasto sulla via retta (Sal 25,12). Ma ora voglio raccontare in che modo quest’uomo glorioso sia riuscito a ottenere una tale beatitudine.

2. Costui, all’età di sedici anni, si offrì a Cristo come sacrificio accetto e a lui gradito (cf. Fil 4,18), sottoponendosi al giogo della vita monastica sul monte Sinai, e lo stesso luogo visibile in cui dimorava contribuiva – credo – a guidarlo e condurlo verso il Dio invisibile. Abbracciò così l’estraneità, che è la custode di tutte le fanciulle spirituali, e respinta, grazie a essa, ogni forma di eccessiva e sconveniente familiarità, e acquistata l’onesta umiltà, scacciò una volta per tutte lontano da sé, fin dalla sua entrata nella vita monastica, il demone dell’autocompiacimento e della fiducia in se stesso. Avendo piegato il collo ed essendosi affidato, nel Signore, al padre che l’aveva accolto, come a un ottimo pilota, attraversava senza pericolo questa aspra e violenta tempesta della vita: era talmente morto al mondo e alle proprie volontà, che la sua anima era veramente come priva di ragione e di volontà, e totalmente spogliata delle proprie facoltà naturali; e ciò, nonostante egli avesse ricevuto un’istruzione completa nella scienza mondana prima di giungere a questa celeste ignoranza: cosa sorprendente, perché l’arroganza della filosofia è per lo più estranea all’umiltà di Cristo!

3. Dopo aver vissuto così per diciannove anni sostenendo le lotte della beata sottomissione, allorché il santo anziano che lo aveva formato lasciò questa vita, anch’egli uscì nello stadio dell’esichia tenendo in mano le divine preghiere del suo anziano come armi capaci di distruggere le fortezze di Satana (cf. 2Cor 10,3-4). Come palestra della sua lotta scelse un luogo solitario chiamato Tola, distante cinque miglia dalla chiesa del monastero, e là trascorse con fervore quarant’anni, sempre infiammato da un amore ardente e dal fuoco della divina carità. Ma chi è in grado di descrivere e celebrare a parole le fatiche ascetiche che egli sostenne in quel luogo? E come è possibile parlarne apertamente, dal momento che ogni sua fatica fu seminata nel segreto e senza testimoni? Tuttavia, partendo da alcuni fatti noti e servendocene come di piccoli indizi, possiamo intuire quale fu la santa condotta di quest’uomo tre volte beato.

4. Mangiava di tutto ciò che gli era consentito dal proprio stato di vita, ma molto poco; e così, con molta sapienza, riusciva a vincere l’orgoglio e ad abbassare le corna della presunzione. Mangiando poco, infatti, schiacciava quanto più possibile il suo folle e insaziabile tiranno gridandogli nella sua fame: Taci, calmati! (Mc 4,39); e mangiando un po’ di tutto riusciva ad abbattere la tirannia della vanagloria. Oltre a ciò, con la solitudine e la mancanza di qualsiasi rapporto umano, spense le fiamme di questa fornace, riuscendo a ridurla in cenere e a calmarla completamente. All’idolatria, poi, quell’uomo valoroso sfuggì valorosamente, grazie alla misericordia di Dio e alla mancanza di ogni mezzo necessario. Fece risorgere l’anima da quella morte e da quella paralisi in cui essa rischia di cadere in ogni momento stimolandola con il pungolo del ricordo della morte. Spezzò la catena della tristezza liberandosi da ogni attaccamento passionale, o forse anche gustando i beni invisibili. Se la tirannia dell’ira l’aveva uccisa già prima con la spada dell’obbedienza, impedendo al proprio corpo di uscire fuori dalla cella, e ancora più alla propria parola di uscire dalle labbra, poi mise a morte anche quella sanguisuga, simile a un ragno, che è la vanagloria. Cosa rimane ancora? La vittoria sull’ottava passione, cioè la perfetta purificazione dall’empia superbia. Questo novello Beseleèl iniziò quest’impresa attraverso l’obbedienza, ma fu il Signore della Gerusalemme celeste a portarla a termine visitandolo con la propria presenza, ed esaltando contro la superbia la sua umiltà, virtù senza la quale è impossibile vincere il diavolo e tutta la sua compagnia.

5. Ma dove posso collocare, nella corona che sto intrecciando, la fontana delle sue lacrime, che è un dono concesso a pochissimi? L’officina segreta di queste lacrime esiste ancora oggi: una strettissima spelonca situata in un luogo sperduto ai piedi della montagna, che distava dalla sua cella e da tutte le altre quel tanto da consentirgli di sfuggire alle orecchie che avrebbero suscitato in lui la vanagloria, ma che arrivava quasi a toccare il cielo con i gemiti e le grida che egli vi emetteva, simili a quelli di persone trafitte da spade o bruciate da ferri incandescenti, o a cui vengano cavati gli occhi.

Dormiva il minimo indispensabile per non danneggiare le proprie facoltà mentali con le veglie, e prima di addormentarsi pregava a lungo e scriveva sopra delle tavolette: questo infatti era l’unico mezzo che aveva per vincere l’acedia. Del resto l’intero corso della sua vita fu una preghiera incessante e un amore appassionato e indescrivibile per Dio: di notte e di giorno lo contemplava nel limpido specchio della propria purezza, e non voleva mai saziarsene, o piuttosto – per essere più corretti – non poteva.

6. Stimolato dallo zelo del nostro padre teoforo, un tale di nome Mosè, che già aveva abbracciato la vita monastica, lo supplicò con insistenza, attraverso le intercessioni di molti padri, di farlo diventare suo discepolo e di istruirlo nei primi rudimenti della vera filosofia, e perciò il beato, costretto da tali preghiere, lo prese con sé.

Un giorno il santo padre ordinò a questo Mosè di trasportare da un luogo a un altro una certa quantità di terra fertile per la coltivazione degli ortaggi, ed egli, raggiunto il luogo indicato, cominciò a eseguire con impegno quanto gli era stato ordinato; ma quando arrivò l’ora del mezzogiorno e la calura rovente cominciò a bruciare quel luogo come una fornace – infatti era già l’ultimo mese dell’anno – Mosè, poiché gli venivano meno le forze, stanco com’era per il trasporto della terra, pensò di doversi riposare un po’, e così, sdraiatosi all’ombra di un’enorme macigno, si addormentò, com’era normale. Ma il Dio amico degli uomini, che non vuole contristare in nulla i suoi servi più fedeli, prevenne – come è sua abitudine fare – il pericolo che Mosè stava per correre, e dirò subito in che modo.

Il nostro padre Giovanni, quel grand’uomo, mentre stava nella sua cella raccolto in se stesso e in Dio, come soleva fare, cadde in un leggerissimo sonno e vide una persona dall’aspetto venerabile che lo svegliava e, come rimproverandolo di essersi addormentato, gli diceva: “Giovanni, come puoi dormire così spensieratamente, mentre Mosè si trova in pericolo?”. Ritornato in se stesso all’istante, imbracciò subito le armi della preghiera a difesa del discepolo, e quando costui a sera fu di ritorno gli chiese: “Ti è forse successo qualche spiacevole imprevisto?”. Ed egli rispose: “Un enorme macigno mi avrebbe schiacciato e fracassato completamente, mentre dormivo profondamente alla sua ombra, se io, credendo di udire la tua voce, non mi fossi alzato di soprassalto da quel luogo, tutto confuso; e così vidi subito il macigno staccarsi e cadere a terra”. E quell’uomo veramente umile, senza dir nulla al discepolo della visione che aveva avuto, rese grazie a Dio lodandolo dentro di sé con segrete grida e forti slanci d’amore.

7. Quest’uomo di Dio era capace di guarire anche le ferite invisibili. Una volta, infatti, un monaco di nome Isacco, che era gravemente afflitto dal demonio della fornicazione, preso dallo sconforto, non sapendo più cosa fare, corse da quest’uomo meraviglioso e con gemiti e lacrime gli manifestò la guerra che era dentro di lui; e il divino padre, ammirando la sua fede e la sua umiltà, disse: “Mettiamoci tutti e due in preghiera, fratello, e certamente Dio, che è pieno di misericordia, non disprezzerà la nostra supplica!”. Si misero dunque a pregare, e non avevano ancora terminato la preghiera e il poveretto era ancora prostrato con la faccia a terra, che Dio fece la volontà del suo servo, per dimostrare ancora una volta la verità delle parole del profeta David. Il serpente della fornicazione, vinto dalle frustate di quell’intensa preghiera, fuggì via, e il malato, vedendosi ormai guarito e liberato da ogni turbamento, fu preso da grande stupore e rese grazie a Dio che aveva glorificato il suo servo, e al suo servo che da lui era stato glorificato.

8. Questo padre venerabile elargiva con abbondanza le sue parole di grazia a tutti coloro che venivano a visitarlo e versava loro con grande generosità e larghezza le acque del suo insegnamento: perciò alcuni uomini maligni, rosi dall’invidia, cercando di por fine a tutto il bene che faceva, lo accusarono di essere un chiacchierone e un ciarlatano. Ma egli, sapendo di poter tutto nel Cristo che gli dava la forza (cf. Fil 4,13) e volendo istruire chi gli si avvicinava per la propria edificazione, non soltanto con le proprie parole ma ancor più con il proprio silenzio e con la sapienza delle proprie opere – per troncare così ogni pretesto a quelli che cercavano un pretesto (cf. 2Cor 11,12), come sta scritto -, rimase in silenzio per un certo tempo e interruppe il flusso del suo insegnamento dolce come il miele. Riteneva preferibile infatti recare un leggero danno agli amanti del bene – che forse avrebbe comunque potuto aiutare con il proprio silenzio – piuttosto che irritare ancor di più quei giudici maldisposti, esasperando la loro cattiveria. Questi ultimi perciò, rimasti ammirati del suo comportamento umile e modesto e avendo compreso quale grande sorgente di salvezza avevano chiuso e quale grande danno avevano arrecato a tutti, cominciarono a supplicarlo e a implorare insieme agli altri i suoi insegnamenti, pregandolo di non rovinare con il proprio silenzio quanti cercavano la salvezza attraverso le sue parole. Ed egli, che era incapace di contraddire, cedette immediatamente e riprese a comportarsi come prima.

9. Poiché dunque era superiore a tutti in ogni virtù e tutti lo ammiravano, di comune accordo, ma contro la sua volontà, lo posero alla guida dei fratelli come nuovo Mosè, innalzandolo come una lucerna sul lucerniere (cf. Mt 5,15 par.), loro che in tali cose erano giudici eccellenti. E non rimasero delusi nelle loro speranze, perché anch’egli [come Mosè] salì sul monte e, entrato nella nube oscura e impenetrabile (cf. Es 24,18), ricevette la legge scritta da Dio, elevandosi alla contemplazione attraverso dei gradini spirituali. Aprì la bocca alla parola di Dio e, attirato lo Spirito (cf. Sal 118,131), riversò la parola buona dal buon tesoro del proprio cuore (cf. Mt 12,35 par.).

Così giunse al termine di questa vita visibile guidando gli israeliti, cioè i monaci; e l’unica differenza tra lui e Mosè fu che, mentre egli ascese alla Gerusalemme celeste senza alcuna difficoltà, quello – non so come mai – non riuscì a raggiungere quella terrena (cf. Dt 34,4).

Possono testimoniare la verità di quanto abbiamo raccontato tutti coloro che, grazie a quest’uomo, hanno ricevuto le parole dello Spirito, e i molti che sono stati salvati e continuano a esserlo. Testimone d’eccezione della salvezza ottenuta grazie a questo sapiente, e insieme della sua sapienza, è quel novello David; ma ne è testimone anche il nostro buon pastore Giovanni, grazie alle cui preghiere insistenti quel grande scese dal monte Sinai verso di noi e, avendo anch’egli visto Dio [come Mosè], ci mostrò le tavole scritte dal dito di Dio, che contengono all’esterno gli insegnamenti pratici, e all’interno, quelli relativi alla contemplazione (cf. Es 32,15-16).

L'Arpa di Davide: Quarta domenica di Quaresima - di san Giovanni Climaco

DAI “RACCONTI SUI SANTI PADRI DEL SINAI” DI ANASTASIO SINAITA

1. Abba Martirio, dopo aver tonsurato il nostro igumeno, il santo padre Giovanni, che allora aveva sedici anni, si recò insieme a lui dalla “colonna” del nostro deserto, abba Giovanni il Sabaita, che allora viveva nel deserto di Guda insieme al suo discepolo abba Stefano di Cappadocia. Appena dunque l’anziano Sabaita li vide, si alzò: prese dell’acqua, la versò in una bacinella e lavò i piedi del discepolo, baciando anche la sua mano, mentre non lavò i piedi del suo maestro, abba Martirio. Abba Stefano si scandalizzò del fatto, e dopo che abba Martirio e il suo discepolo furono partiti, abba Giovanni, avendo visto con la sua chiaroveggenza che il suo discepolo si era scandalizzato, gli disse: “Perché ti sei scandalizzato? Credimi, non so chi sia quel ragazzo, ma io ho accolto l’igumeno del Sinai e ho lavato i suoi piedi!”. E dopo quarant’anni egli diventò il nostro igumeno, secondo la profezia dell’anziano. E non solo abba Giovanni il Sabaita, ma anche abba Strategio il Recluso, sebbene non uscisse mai, fece la stessa profezia, nel giorno in cui abba Giovanni fu tonsurato.

2. Una volta abba Anastasio vide scendere abba Giovanni dalla santa vetta insieme ad abba Martirio. Chiamò dunque abba Martirio e il ragazzo, e disse all’anziano: “Dimmi, abba Martirio, da dove viene questo ragazzo? E chi lo ha tonsurato?”. E quello gli rispose: “È tuo servo, padre, e l’ho tonsurato io”. Riprese l’altro: “Oh! abba Martirio! Chi avrebbe mai detto che tu avresti tonsurato l’igumeno del Sinai?”.

Ed è veramente a buon diritto che i santi padri fecero queste profezie riguardo al nostro santissimo padre Giovanni: egli infatti era adorno di tutte le virtù e risplendeva a tal punto che i padri del luogo lo chiamavano “secondo Mosè”.

3. Un giorno vennero quassù circa seicento ospiti e, mentre erano seduti a tavola e mangiavano, il nostro santo padre Giovanni vide un uomo dai capelli corti, vestito secondo l’uso dei giudei di una tunica bianca, che andava avanti e indietro e dava ordini ai cuochi, agli economi, ai cellerari e agli altri servitori. Quando dunque tutte quelle persone se ne furono andate, mentre i servitori erano seduti a tavola a mangiare, si cercò quell’uomo che andava avanti e indietro e dava ordini, ma non lo si trovò. Allora il servo di Dio, il nostro santo padre Giovanni, disse: “Smettete di cercarlo! Il nostro signore Mosè non ha fatto nulla di strano mettendosi a servire a casa sua!”.

4. Quando l’anno passato il nostro “nuovo e secondo Mosè”, il venerabilissimo igumeno Giovanni, era sul punto di passare al Signore, il vescovo abba Giorgio, suo fratello gli era accanto e tra le lacrime gli disse: “Ecco che mi abbandoni e te ne vai! Io ti pregavo di mandarmi avanti, perché senza di te, mio signore, non sono capace di pascere questa comunità, ma ora sono io che devo lasciarti partire!”. Allora abba Giovanni gli disse: “Non ti affliggere, non ti preoccupare! Se trovo grazia davanti a Dio, non ti lascerò neanche terminare un anno dopo di me”. E ciò avvenne. Dopo dieci mesi, infatti, anche il vescovo passò al Signore, nei giorni dell’inverno appena passato.