San Giovanni Crisostomo, Sul Vangelo di Matteo, Omelia 1

Omelia 2 (in traduzione)

Omelia 1

In effetti, sarebbe opportuno che non avessimo affatto bisogno dell’aiuto della Parola scritta, ma che mostrassimo una vita così pura, che per le nostre anime la grazia dello Spirito fosse al posto dei libri e che come questi sono scritti con l’inchiostro, anche i nostri cuori lo fossero con lo Spirito. Ma poiché abbiamo completamente allontanato da noi questa grazia, veniamo, in ogni caso, ad abbracciare la seconda via migliore.

Perché che la prima via fosse migliore, Dio lo ha dimostrato sia con le sue parole che con le sue azioni. Da quando a Noè, ad Abramo e alla sua discendenza, a Giobbe e anche a Mosè, non parlò per mezzo di scritti, ma direttamente da Sé di Sé stesso, trovando la loro mente pura. Ma dopo che l’intero popolo ebraico era caduto nel baratro della malvagità, allora e in seguito si ebbe una parola scritta, delle tavole e l’ammonimento che viene dato da queste.

E questo si può intuire non solo per i santi dell’Antico Testamento, ma anche per quelli del Nuovo. Infatti, né agli apostoli Dio diede nulla per iscritto, ma invece di parole scritte promise che avrebbe dato loro la grazia dello Spirito, perché Egli, dice nostro Signore, vi farà ricordare ogni cosa. E perché possiate capire che questo era molto meglio, ascoltate ciò che dice il profeta: “Farò con loro una nuova alleanza, metterò le mie leggi nella loro mente, le scriverò nel loro cuore e saranno tutti ammaestrati da Dio” (Ger 31,33). E anche Paolo, sottolineando la stessa superiorità, disse che avevano ricevuto la legge non su tavole di pietra, ma su tavole di carne del cuore (2 Cor 3,2).

Ma poiché col passare del tempo fecero naufragio, alcuni per quanto riguarda le dottrine, altri per quanto riguarda la vita e le maniere, c’era di nuovo bisogno che fossero ricordati con la parola scritta.

2. Riflettete dunque su quanto sia grande il male per noi, che dovremmo vivere in modo così puro da non aver bisogno nemmeno di parole scritte, ma solo di consegnare i nostri cuori, come libri, allo Spirito; ora che abbiamo perso questo onore e siamo arrivati ad aver bisogno di queste ultime, veniamo meno al dovere di impiegare anche questo secondo rimedio. Infatti, se è una colpa avere bisogno di parole scritte e non aver fatto scendere su di noi la grazia dello Spirito, considerate quanto sia pesante l’accusa di non aver scelto di trarre profitto anche da questo aiuto, ma di trattare ciò che è scritto con negligenza, come se fosse stato gettato senza scopo e a caso, facendo così ricadere su di noi, aumentata, la nostra punizione.

Ma affinché non si verifichi un simile effetto, prestiamo rigorosa attenzione alle cose scritte e impariamo come sia stata data l’Antica Legge da un lato e la Nuova Alleanza dall’altra.

3. Come fu data la legge nel passato, quando e dove? Dopo la distruzione degli Egiziani, nel deserto, sul monte Sinai, quando dal monte si levavano fumo e fuoco, una tromba suonava, tuoni e fulmini, e Mosè entrava nella profondità della nube. Ma nella nuova alleanza non è così: né nel deserto, né su un monte, né con fumo e tenebre, né con nubi e tempeste; ma all’inizio del giorno, in una casa, mentre tutti erano seduti insieme, con grande tranquillità, tutto ebbe luogo. Infatti, per quelli che erano più irragionevoli e difficili da guidare, c’era bisogno di una magnificenza esteriore, come un deserto, un monte, un fumo, un suono di tromba e altre cose simili: ma coloro che erano di carattere più elevato e sottomesso, e che si erano elevati al di sopra della mera immaginazione corporea, sì, perché si trattava della rimozione della punizione, della remissione dei peccati, della giustizia, della santificazione, della redenzione, dell’adozione, dell’eredità del cielo e della relazione con il Figlio di Dio, che egli venne a dichiarare a tutti; ai nemici, ai perversi, a coloro che sedevano nelle tenebre. Che cosa potrebbe mai essere all’altezza di questa buona novella?

4. Dio sulla terra, l’uomo in cielo; e tutti si mescolarono, gli angeli si unirono ai cori degli uomini, gli uomini ebbero comunione con gli angeli e con le altre potenze in alto: e si poteva vedere la lunga guerra terminata e la riconciliazione tra Dio e la nostra natura, il diavolo svergognato, i demoni in fuga, la morte distrutta, il Paradiso aperto, la maledizione cancellata, il peccato eliminato, l’errore scacciato, la verità ritornata, la parola di Dio seminata ovunque e fiorente nella sua crescita, la polarità di coloro che sono in alto piantata sulla terra, quelle potenze in rapporti sicuri con noi, e sulla terra gli angeli continuamente perseguitati, e la speranza abbondante riguardo alle cose a venire.

Per questo ha chiamato questa storia “buona novella”, perché tutte le altre cose sono sicuramente solo parole senza sostanza, come, ad esempio, l’abbondanza di ricchezze, la grandezza del potere, i regni, le glorie e gli onori e qualsiasi altra cosa tra gli uomini sia considerata buona; ma quelle manifestate dai pescatori sarebbero legittimamente e propriamente chiamate buone novelle, non solo in quanto benedizioni sicure e inamovibili, e al di là dei nostri meriti, ma anche in quanto ci vengono date con ogni facilità. Infatti, non con fatica e sudore, non con fatica e sofferenza, ma semplicemente in quanto amati da Dio, abbiamo ricevuto ciò che abbiamo ricevuto.

5. E perché mai, quando c’erano tanti discepoli, due soli scrissero tra gli apostoli e due tra i loro seguaci? (Perché uno che era discepolo di Paolo e un altro di Pietro, insieme a Matteo e Giovanni, scrissero i Vangeli). Perché non facevano nulla per vanagloria, ma tutto per l’uso.

E allora? Non bastava un solo evangelista per raccontare tutto? Uno solo era sufficiente; ma se ci sono quattro che scrivono, non negli stessi tempi, né negli stessi luoghi, né dopo essersi riuniti e aver conversato tra loro, e poi dicono tutto come se uscissero da una sola bocca, questa diventa una grandissima dimostrazione della verità.

6. Ma si può dire che si è verificato il contrario, perché in molti punti sono stati condannati per discordanza. Anzi, proprio questo è una prova molto grande della loro verità. Infatti, se si fossero trovati d’accordo in tutto e per tutto, anche per quanto riguarda il tempo, il luogo e le parole stesse, nessuno dei nostri nemici avrebbe creduto se non che si fossero riuniti e avessero scritto ciò che hanno scritto con un accordo umano, perché un accordo così completo non viene dalla semplicità. Ma ora anche quella discordanza che sembra esistere in piccole questioni li libera da ogni sospetto e parla chiaramente a favore del carattere degli scrittori.

Ma se c’è qualcosa che riguarda i tempi o i luoghi, che essi hanno raccontato in modo diverso, questo non pregiudica la verità di ciò che hanno detto. E anche queste cose, per quanto Dio ce lo permetterà, cercheremo di farle notare man mano che procediamo, chiedendovi, insieme a ciò che abbiamo menzionato, di osservare che nei punti principali, quelli fondamentali per la nostra vita e che forniscono i capisaldi della nostra dottrina, in nessun luogo si trova che qualcuno di loro sia in disaccordo, e nemmeno di una qualche seppur piccola misura.

Ma quali sono questi punti? Quelli che seguono: Che Dio si è fatto uomo, che ha compiuto miracoli, che è stato crocifisso, che è stato sepolto, che è risorto, che è asceso, che giudicherà, che ha dato comandamenti che tendono alla salvezza, che ha introdotto una legge non contraria all’Antico Testamento, che è un Figlio, che è unigenito, che è un vero Figlio, che è della stessa sostanza del Padre, e tutte le cose simili; perché su queste troveremo un pieno accordo.

E se i miracoli non sono stati citati tutti, ma uno ha citato questi, l’altro quelli, non è un fatto che debba procurarvi turbamento. Infatti, se uno avesse parlato di tutti, il numero degli altri sarebbe stato superfluo; e se anche tutti avessero scritto cose nuove e diverse l’una dall’altra, la prova del loro accordo non sarebbe stata evidente. Per questo motivo tutti hanno trattato di molte cose in comune, e ognuno di loro ha anche ricevuto e dichiarato qualcosa di proprio; affinché, da un lato, non sembrasse superfluo e gettato nel mucchio senza scopo; dall’altro, rendesse perfetta la nostra prova della verità delle loro affermazioni.

7. Ora Luca ci dice anche il motivo per cui procede a scrivere: “perché ti possa rendere conto”, dice, “della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto”; (Luca 1,4) cioè, affinché, ricordandovi continuamente, manteniate la certezza e rimaniate nella certezza.

Ma per quanto riguarda Giovanni, egli stesso ha mantenuto il silenzio sulla causa; tuttavia, (come dice una tradizione che ci è giunta fin dai primi Padri) non ha scritto senza scopo; ma poiché era stata cura dei tre soffermarsi sul resoconto della dispensazione e le dottrine della Divinità stavano per essere lasciate in silenzio, egli, mosso da Cristo, si mise allora, e non prima di allora, a comporre il suo Vangelo. E questo è evidente sia dalla storia stessa, sia dall’incipit del suo Vangelo. Infatti, non inizia come gli altri dal basso, ma dall’alto, dallo stesso punto a cui mirava, ed è in vista di questo che compose l’intero libro. E non solo all’inizio, ma in tutto il Vangelo, egli è più elevato degli altri.

Di Matteo si dice ancora che quando coloro che tra i Giudei, avendo creduto, venivano da lui e lo pregavano di lasciare loro per iscritto quelle stesse cose che aveva detto loro a voce, egli compose anche il suo Vangelo nella lingua degli Ebrei. E anche Marco, in Egitto, si dice che abbia fatto la stessa cosa su richiesta dei discepoli.

Per questo motivo Matteo, scrivendo agli Ebrei, non volle mostrare altro se non che Egli proveniva da Abramo e da Davide; Luca, invece, parlando a tutti in generale, traccia un resoconto più alto, arrivando fino ad Adamo. L’uno inizia con la sua generazione, perché nulla era così rassicurante per il Giudeo come il fatto che Cristo fosse la discendenza di Abramo e di Davide; l’altro non fa così, ma menziona molte altre cose, e poi procede alla genealogia.

8. Ma l’armonia tra loro sarà stabilita sia dal mondo intero, che ha accolto le loro affermazioni, sia dagli stessi nemici della verità. Dal loro tempo, infatti, sono nate molte sette che sostengono opinioni opposte alle loro parole; alcune hanno accolto tutto ciò che hanno detto, mentre altre hanno tagliato via dal resto alcune parti delle loro affermazioni, tenendole così per sé. Ma se ci fosse stata contraddizione nelle loro affermazioni, le sette che sostengono la parte contraria non avrebbero ricevuto tutto, ma solo ciò che sembrava armonizzarsi con loro stesse; né quelle che hanno tagliato una parte, sarebbero state completamente confutate da quella parte; così che i frammenti stessi non possono essere nascosti, ma dichiarano ad alta voce la loro connessione con l’intero corpo. E come se si prendesse una parte qualsiasi del fianco di un animale, anche in quella parte si troverebbero tutte le cose di cui è composto l’intero corpo – nervi e vene, ossa, arterie e sangue, e un campione, come si direbbe, dell’intera massa – così anche per quanto riguarda le Scritture: in ogni porzione di ciò che vi è scritto, si può vedere chiaramente la connessione con l’intero. Se invece fossero stati in disaccordo, non sarebbe stato possibile evidenziarlo, e la dottrina stessa sarebbe stata da tempo vanificata: perché ogni regno, dice Egli, diviso contro sé stesso non può restare in piedi (Mc 3,24). Ma anche in questo risplende la forza dello Spirito, cioè nel vedere che ha fatto sì che questi uomini, impegnati com’erano nelle cose più necessarie e urgenti, non si facessero scrupolo di queste piccole questioni.

Ora, dove si trovasse ciascuno di loro quando scriveva, non è corretto per noi affermarlo in modo positivo. Ma che non si oppongano l’uno all’altro, cercheremo di dimostrarlo in tutta l’opera. E tu, accusandoli di disaccordo, fai proprio come se insistessi sul fatto che usano le stesse parole e le stesse forme di linguaggio.

9. E non dico ancora che coloro che si gloriano molto di retorica e filosofia, avendo molti di loro scritto molti libri che toccano gli stessi argomenti, non solo si sono espressi in modo diverso, ma hanno addirittura parlato in opposizione l’uno all’altro (perché una cosa è parlare in modo diverso e un’altra è parlare in modo opposto); nessuna di queste cose dico. Lungi da me l’idea di inquadrare la nostra difesa dal punto di vista della frenesia di quegli uomini, ne sono disposto a fare raccomandazioni per la verità a partire dalla falsità.

Ma sarei lieto di chiedere: come sono stati creduti i diversi resoconti? Come hanno prevalso? Come mai, pur dicendo cose opposte, furono ammirati, creduti, celebrati ovunque nel mondo?

Eppure i testimoni di ciò che dicevano erano molti, e molti erano anche gli avversari e i nemici. Infatti, non scrissero queste cose in un angolo e le seppellirono, ma dappertutto, per mare e per terra, le dispiegarono alle orecchie di tutti, e queste cose furono lette in presenza dei nemici, proprio come avviene ora, e nessuna delle cose che dissero offese nessuno. Questo avvenne, naturalmente, perché era una potenza divina che pervadeva tutto e lo faceva prosperare presso tutti gli uomini.

10. Infatti, se così non fosse, come avrebbero potuto il pubblicano, il pescatore e l’ignorante giungere a tale filosofia? Infatti, le cose che i non addetti ai lavori non hanno mai potuto immaginare, neppure in sogno, sono da questi uomini con grande sicurezza rese pubbliche e convincenti, e non solo in vita, ma anche dopo la morte: né a due uomini, né a venti uomini, né a cento, né a mille, né a diecimila, ma a città, nazioni e popoli, sia per terra che per mare, sia in terra di Greci che di barbari, sia abitata che deserta; e tutto ciò riguarda cose molto al di là della nostra natura. Infatti, lasciando la terra, tutti i loro discorsi riguardano le cose del cielo, mentre ci portano un altro principio di vita, un altro modo di vivere: ricchezza e povertà, libertà e schiavitù, vita e morte, il nostro mondo e la nostra politica, tutto cambiato.

Non come Platone, che ha composto quella ridicola Repubblica, o Zenone, o se c’è qualcun altro che ha scritto un’opera politica o ha elaborato leggi. Infatti, per quanto riguarda tutti questi, è stato reso manifesto da loro stessi che uno spirito malvagio, un demone crudele in guerra con la nostra razza, nemico del pudore e del buon ordine, che sovrasta ogni cosa, ha fatto sentire la sua voce nella loro anima. Quando, per esempio, rendono le loro donne comuni a tutti, e spogliano le vergini nella Palæstra, portandole sotto gli occhi degli uomini; e quando istituiscono matrimoni segreti, mescolando tutte le cose insieme e confondendole, e rovesciando i limiti della natura, che altro c’è da dire? Il fatto che questi loro detti siano tutte invenzioni diaboliche e contrarie alla natura, lo testimonierebbe anche la natura stessa, che non tollera ciò che abbiamo menzionato; e questo, anche se essi scrivono non in mezzo a persecuzioni, né a pericoli, né a lotte, ma in tutta sicurezza e libertà, e lo adornano con molti ornamenti di varia provenienza. Ma queste dottrine dei pescatori, inseguiti come erano, flagellati e in pericolo, sia i dotti che i non dotti, sia gli schiavi che i liberi, sia i re che i soldati semplici, sia i barbari che i greci, le hanno accolte con tutta la buona volontà.

11. E non si può dire che, poiché queste cose sono insignificanti e basse, fossero facilmente ricevibili da tutti gli uomini; anzi, queste dottrine sono molto più elevate di quelle altre. Infatti, per quanto riguarda la verginità, non ne hanno mai immaginato il nome nemmeno in sogno, né la povertà volontaria, né il digiuno, né altre cose elevate.

Ma quelli che sono dalla nostra parte non solo sterminano la lussuria, ma castigano non solo l’atto, ma anche lo sguardo non casto, il linguaggio ingiurioso, il riso disordinato, il vestito, l’andatura e il clamore, e portano avanti la loro esattezza anche nelle cose più piccole, e hanno riempito tutta la terra con la pianta della verginità. E anche per quanto riguarda Dio e le cose del cielo, convincono gli uomini di essere sapienti con una conoscenza che nessuno di loro è mai riuscito a concepire nella propria mente. Come avrebbero potuto, infatti, coloro che hanno creato per gli dei immagini di bestie, di mostri che strisciano sulla terra e di altre cose ancora più vili?

Eppure queste alte dottrine sono state accettate e credute, e fioriscono ogni giorno e aumentano mentre le altre sono passate e scomparse, più facilmente delle ragnatele.

Naturalmente, perché erano demoni quelli che manifestavano queste cose; perciò, oltre alla loro impurità, la loro oscurità è grande e il lavoro che richiedono maggiore. Infatti, cosa c’è di più ridicolo di quella repubblica in cui, oltre a ciò che ho menzionato, il filosofo, dopo aver speso righe a non finire per poter mostrare cos’è la giustizia, ha riempito il suo discorso di molta indistinzione oltre a questa prolissità? Questo, anche se contenesse qualcosa di utile, dovrebbe essere considerato di fatto inutile per la vita dell’uomo. Infatti, se il contadino e il fabbro, il costruttore e il pilota e tutti coloro che vivono del lavoro delle proprie mani, devono abbandonare il loro mestiere e le loro oneste fatiche e trascorrere un certo numero di anni per imparare che cos’è la giustizia, prima di averla imparata saranno distrutti dalla fame e moriranno a causa di questa giustizia, non avendo imparato nient’altro di utile da conoscere e avendo terminato la propria vita con una morte crudele.

12. Ma le nostre lezioni non sono tali; piuttosto Cristo ci ha insegnato ciò che è giusto, ciò che è opportuno, ciò che è conveniente e tutte le virtù in generale, comprendendole in poche e semplici parole: a volte dicendo che su due comandamenti si fondano la Legge e i Profeti; (Mt 22,40) cioè sull’amore di Dio e sull’amore del prossimo; a volte dicendo: “Tutto ciò che volete che gli uomini facciano a voi, fatelo anche voi a loro, perché questa è la Legge e i Profeti”. (Mt 7,12)

E queste cose, anche per un operaio, per un servo, per una donna vedova, per un bambino e per colui che sembra essere estremamente lento di comprendonio, sono tutte chiare da capire e facili da imparare. Perché le lezioni della verità sono così, e il risultato concreto ne è testimone. Tutti hanno imparato le cose che devono fare, e non solo le hanno imparate, ma ne sono stati anche emuli; e non solo nelle città o in mezzo ai mercati, ma anche sulle cime dei monti.

Sì, perché lì vedrete la vera saggezza abbondare, cori di angeli risplendere in un corpo umano e la comunità del cielo manifestarsi qui sulla terra. Anche questi pescatori descrissero per noi una comunità, non ordinando di abbracciarla fin dall’infanzia, come gli altri, né imponendo come legge che l’uomo virtuoso debba avere tanti anni, ma rivolgendo il loro discorso in generale a tutte le età. Perché quelle altre lezioni sono giocattoli per bambini, mentre queste sono la verità delle cose.

E come luogo per questa loro comunità hanno scelto il cielo, e Dio l’hanno introdotto come artefice e legislatore degli statuti che vi sono stabiliti, come del resto era loro dovere. E le ricompense del loro paese non sono foglie di alloro o di ulivo, né una porzione di carne nella sala pubblica, né statue di ottone, queste cose fredde e ordinarie, ma una vita che non ha fine, e diventare figli di Dio, unirsi al coro degli angeli, stare accanto al trono reale e stare sempre con Cristo. Le guide del popolo di questa comunità sono pubblicani, pescatori e fabbricanti di tende, non quelli che hanno vissuto per un breve periodo, ma quelli che vivranno per sempre. Per questo, anche dopo la loro morte, possono fare il massimo bene ai governati.

Questa repubblica non è in guerra con gli uomini, ma con i diavoli e le potenze incorporee. Perciò anche il loro capitano non è un uomo, né un angelo, ma Dio stesso. Anche l’armatura di questi guerrieri si adatta alla natura della guerra, perché non è formata da pelli e acciaio, ma dalla verità, dalla rettitudine, dalla fede e da ogni vero amore per la saggezza.

13. Poiché la suddetta repubblica è l’argomento su cui è stato scritto questo libro e ora ci viene proposto di parlarne, prestiamo attenzione a Matteo, che parla chiaramente di questo, perché ciò che dice non è suo, ma tutto di Cristo, che ha fatto le leggi per questa città. Prestiamo attenzione, dico, per essere in grado di iscriverci in essa e di brillare tra coloro che ne sono già diventati cittadini e attendono le corone incorruttibili. A molti, però, questo discorso sembra facile, mentre gli scritti profetici sono difficili. Ma questa è l’opinione di coloro che non conoscono la profondità dei pensieri in essi contenuti. Perciò vi prego di seguirci con molta diligenza, in modo da entrare nell’oceano stesso delle cose scritte, con Cristo come guida in questo nostro ingresso.

Ma affinché la parola sia più facile da imparare, vi preghiamo e vi scongiuriamo, come abbiamo fatto anche per le altre Scritture, di prendere in anticipo la parte della Scrittura che stiamo per spiegare, in modo che la vostra lettura possa preparare la strada per la vostra comprensione (come avvenne anche per l’eunuco – At 8,28), e così facilitare molto il nostro compito.

14. E questo perché le domande sono molte e frequenti. Si veda, ad esempio, subito all’inizio del suo Vangelo, quante difficoltà potrebbero essere sollevate una dopo l’altra. In primo luogo, perché viene tracciata la genealogia di Giuseppe, che non era il padre di Cristo. In secondo luogo, da dove si evince che Egli trae la sua origine da Davide, mentre non si conoscono gli antenati di Maria, che lo ha partorito, poiché la genealogia della Vergine non è tracciata? In terzo luogo, per quale motivo viene tracciata la genealogia di Giuseppe, che non ha nulla a che fare con la nascita; mentre per quanto riguarda la Vergine, che era la madre stessa, non si sa da quali padri, nonni o antenati sia stata generata.

E oltre a queste cose, vale la pena di chiedersi come mai, nel tracciare la genealogia attraverso gli uomini, abbia menzionato anche le donne; e perché, avendo deciso di farlo, non le abbia menzionate tutte, ma, tralasciando le più eminenti, come Sara, Rebecca e tutte le altre simili, abbia menzionato solo quelle famose per qualche malefatta, come, ad esempio, se qualcuna fosse stata una prostituta o un’adultera, o una madre nata da un matrimonio illecito, se qualcuna fosse stata una straniera o una barbara. Infatti, ha menzionato la moglie di Uria, di Thamar, di Rahab e di Ruth, di cui una era di razza straniera, un’altra una prostituta, un’altra ancora era stata contaminata da un suo parente prossimo, e non in un rapporto matrimoniale, ma con un rapporto rubato, quando aveva indossato la maschera della prostituta; e della moglie di Uria nessuno ignora nulla, a causa della notorietà del crimine. Eppure l’evangelista ha tralasciato tutte le altre e ha inserito nella genealogia solo queste. Al contrario, se le donne dovevano essere menzionate, dovevano esserlo tutte; se non tutte, ma solo alcune, allora quelle famose per le virtù e non per le azioni malvagie.

Vedete quanta cura ci viene richiesta subito all’inizio? Eppure l’inizio sembra essere più semplice del resto; per molti forse addirittura superfluo, essendo una mera numerazione di nomi.

Dopo questo, un altro punto merita di essere indagato: perché ha omesso tre re? Se, infatti, a causa della loro empietà, avesse taciuto i loro nomi, non avrebbe dovuto menzionare neanche gli altri che erano come loro. E questa è un’altra domanda: perché, dopo aver parlato di quattordici generazioni, non ha mantenuto il numero nella terza divisione?

E per questo Luca ha menzionato altri nomi, e non solo non tutti uguali, ma anche molti di più, mentre Matteo ne ha di meno e di diversi, pur avendo concluso anch’egli con Giuseppe, con cui anche Luca ha concluso.

Vedete quanto sia necessaria una vigile attenzione da parte nostra, non solo per spiegare, ma anche per imparare quali cose dobbiamo spiegare. Non è una cosa da poco, infatti, riuscire a scoprire le difficoltà; c’è anche un altro punto difficile, ovvero come Elisabetta, che era della tribù levitica, fosse parente di Maria.

15. Ma per non sovraccaricare la vostra memoria, mettendo insieme molte cose, fermiamo qui il nostro discorso per un po’ di tempo. Perché è sufficiente per voi, affinché siate ben svegliati, che impariate solo le domande. Ma se desiderate anche la loro soluzione, anche questo dipende da voi stessi, prima di parlare nuovamente. Infatti, se vi vedo ben svegli e desiderosi di imparare, mi sforzerò di aggiungere anche la soluzione; ma se siete a bocca aperta e non partecipate, nasconderò sia le difficoltà che la loro soluzione, in obbedienza a una legge divina. Infatti, Egli dice: “Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino” (Mt 7,6).

Ma chi è che le calpesta? Colui che non considera queste cose preziose e venerabili. E chi è così miserabile da non considerare queste cose venerabili e più preziose di tutte? Colui che non vi dedica tanto tempo libero quanto alle prostitute nei teatri di Satana. Lì, infatti, la moltitudine passa l’intera giornata e rinuncia a non poche delle proprie faccende domestiche per questo impiego fuori dai normali schemi, e conserva con esattezza tutto ciò che ha ascoltato, anche se a danno della propria anima. Ma qui, dove Dio sta parlando, non sopportano di indugiare nemmeno un po’.

Perciò, vi avverto, non abbiamo nulla in comune con il Cielo, infatti la nostra cittadinanza non va oltre le parole. Eppure, per questo motivo, Dio ha minacciato persino l’inferno, non per gettarci lì, ma per convincerci a fuggire da questa terribile tirannia. Ma noi facciamo il contrario e percorriamo ogni giorno la strada che ci porta lì, e mentre Dio ci ordina non solo di ascoltare, ma anche di fare ciò che dice, noi non ci sottomettiamo nemmeno ad ascoltare.

Quando dunque, vi prego, faremo ciò che ci è stato comandato e metteremo mano alle opere, se non sopportiamo nemmeno di ascoltare le parole che le riguardano, ma siamo impazienti e inquieti per il tempo che restiamo qui, anche se è molto breve?

16. E poi, quando parliamo di cose indifferenti, se vediamo che quelli che sono in compagnia non partecipano, chiamiamo ciò che fanno un insulto; ma riteniamo forse di provocare Dio se, mentre Egli parla di queste cose, disprezziamo ciò che viene detto e guardiamo da un’altra parte? Chi è ormai vecchio e ha viaggiato per molti paesi, ci riferisce con esattezza il numero di stadi, la posizione delle città, i loro piani, i loro porti e mercati; ma noi stessi non sappiamo nemmeno quanto siamo lontani dalla città che è in cielo. Se avessimo conosciuto la distanza, avremmo cercato di accorciarla. Quella città non solo è lontana da noi come il cielo dalla terra, ma anche molto di più, se siamo negligenti; come, d’altra parte, se facciamo del nostro meglio, anche in un solo istante arriveremo alle sue porte. Infatti, queste distanze non sono definite dallo spazio locale, ma dalla disposizione morale.

Ma voi conoscete esattamente gli affari del mondo, sia quelli nuovi che quelli vecchi, e anche quelli più antichi; potete elencare i principi sotto i quali avete servito in passato, e i capi dei giochi, e quelli che hanno vinto il premio, e i capi degli eserciti, cose che non vi interessano; ma chi è diventato il capo di questa città, il primo o il secondo o il terzo, e per quanto tempo, ognuno di loro; e ciò che ognuno ha compiuto e portato a termine, non l’avete immaginato nemmeno in sogno. E le leggi che sono state stabilite in questa città non sopportate di sentirle, né le osservate, anche quando altri ve le raccontano. Come pensi dunque, ti prego, di ottenere le benedizioni promesse, se non ascolti nemmeno ciò che ti viene detto?

17. Ma anche se mai prima d’ora, ora, in ogni caso, facciamolo. Sì, perché stiamo per entrare in una città (se Dio lo permette) d’oro e più preziosa di qualsiasi altro oro. Segniamo allora le sue fondamenta, le sue porte costituite da zaffiri e perle; perché in effetti abbiamo in Matteo una guida eccellente. Infatti, attraverso la sua porta entreremo ora, ed è richiesta molta diligenza da parte nostra. Perché se vede qualcuno non attento, lo caccia dalla città. Sì, perché la città è molto regale e gloriosa; non come le nostre città, divise in una piazza del mercato e in corti reali, perché lì tutto è la corte del Re. Apriamo dunque le porte della nostra mente, apriamo le nostre orecchie e con grande tremore, quando siamo sul punto di mettere piede sulla soglia, adoriamo il Re che è lì. Infatti, il primo approccio ha il potere di confondere subito l’osservatore.

Per ora troviamo le porte chiuse; ma quando le vedremo aperte (perché questa è la soluzione delle difficoltà), allora percepiremo la grandezza dello splendore all’interno. Perché anche lì, guidandovi con gli occhi dello Spirito, c’è uno che si offre di mostrarvi tutto: questo pubblicano. Dove siede il Re e chi della sua schiera sta accanto a Lui; dove sono gli angeli, dove gli arcangeli; e quale posto è riservato ai nuovi cittadini in questa città, e che tipo di strada è quella che vi conduce, e che tipo di porzione hanno ricevuto, i primi che vi sono stati cittadini, e quelli dopo di loro, e quelli che li hanno seguiti. E quanti sono gli ordini di queste tribù, quanti quelli del senato, quante le distinzioni di dignità.

Non entriamo dunque con rumore o tumulto, ma con un mistico silenzio. Perché se in un teatro, quando si fa un grande silenzio, si leggono le lettere del re, tanto più in questa città tutti devono essere composti e stare con l’anima e l’orecchio eretti. Perché non sono le lettere di un maestro terreno, ma del Signore degli angeli, che stanno per essere lette.

Se ci ordiniamo in questo modo, la grazia stessa dello Spirito ci condurrà a una grande perfezione, e arriveremo al trono regale e raggiungeremo tutti i beni, per la grazia e l’amore verso l’uomo del nostro Signore Gesù Cristo, al quale sia la gloria e la potenza, insieme al Padre e allo Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli.

Amen.




GIOVANNI NANO

EVERGHETINòS

5,10. A una giovane di nome Taisia morirono i genitori, ed essa rimase orfana. Allora fece della sua casa un ospizio per gli stranieri, secondo un pensiero dei Padri di Scete e per molto tempo continuò ad accoglierli e a servirli.  Ma poi, una volta consumato tutto ciò che aveva, cominciò ad essere nell’indigenza, e uomini perversi si misero con lei e la distolsero dal suo buon proposito.  E in seguito visse male, al punto che arrivò a prostituirsi.

I Padri lo vennero a sapere e ne furono grandemente rattristati.  Chiamarono abbà Giovanni Nano e gli dissero: “Abbiamo saputo della sorella tale che vive malamente. Essa quando poteva ha mostrato carità nei nostri confronti e adesso noi vogliamo aiutarla come possiamo. Preoccupati dunque di andare da lei e, con la sapienza che Dio ti ha data, vedi di sistemare le sue cose».

L’anziano si recò da lei e disse alla vecchia che stava alla porta: «Annunciami alla tua padrona». Ma quella lo mandò via dicendo: «Prima voi avete divorato i suoi beni, e adesso eccola povera!».  Le dice l’anziano: «Dille che vengo appunto per aiutarla». La vecchia allora andò a dirle dell’anziano. E la giovane disse: «Questi monaci passano sempre lungo il Mar Rosso e trovano delle perle».  Si adornò, sedette sul letto e disse alla portinaia: «Portalo da me». Abbà Giovanni entrò, si sedette accanto a lei e, fissandola in viso, le disse: «Che hai da lamentarti di Gesù, per essere arrivata a questo punto?». A queste parole, essa restò agghiacciata. L’anziano, chinata la testa, si mise a piangere a dirotto. E lei: «Abbà, perché piangi?». Egli fece un cenno e, piegandosi di nuovo, le dice: «Vedo satana scherzare sul tuo volto e non dovrei piangere?». Allora la ragazza gli chiese: «C’è penitenza, abbà?».  E l ‘anziano: «Sì».  E lei: «Portami dove vuoi». E l’anziano: «Andiamo».  Essa si alzò subito e lo seguì.

L’anziano notò che essa non aveva dato alcuna disposizione per la sua casa e se ne stupì. La sera li colse quando erano ormai vicini al deserto. L’anziano fece per lei un piccolo cuscino, vi fece sopra un segno di croce e le disse:

«Dormi qui». Fece lo stesso per sé a poca distanza, disse le sue preghiere e si sdraiò anche lui. Si svegliò intorno a mezzanotte e vide come una strada di luce che dal cielo arrivava a lei, e vide gli angeli di Dio che portavano in alto la sua anima. Allora si alzò, andò da lei, la toccò col piede; vedendo che era morta, si gettò col viso a terra, pregando Dio, e udì una voce che diceva: «Un’ora del suo pentimento è stata accolta più della penitenza di anni di altri che non danno prova di così fervido pentimento».

1. Raccontavano del padre Giovanni Nano che, ritiratosi a Scete presso un anziano della Tebaide, visse nel deserto. Il suo padre, preso un legno secco, lo piantò e gli disse di innaffiarlo ogni giorno con un secchio d’acqua, finché non desse frutto. L’acqua era tanto lontana che doveva partire alla sera per essere di ritorno al mattino. Dopo tre anni il legno cominciò a vivere e a dare frutti. L’anziano li colse e li portò ai fratelli radunati insieme, dicendo: «Prendete, mangiate il frutto del­l’obbedienza» (204c; PJ XIV, 3).

2. Raccontavano che il padre Giovanni Nano disse un giorno al suo fratello maggiore: «Vorrei essere libero da ogni preoccupazione come lo sono gli angeli, che non fanno nessun lavoro, ma adorano Dio incessantemente». Si tolse quindi il mantello e se ne andò nel deserto. Trascorsa una settimana, ritornò dal fratello e bussò alla porta. Questi, prima di aprirgli, gli chiese: «Chi sei?». Disse: «Sono io, Giovanni, tuo fratello!». Ma l’altro replicò: «Giovanni è divenuto un angelo, non è più tra gli uomini». Giovanni supplicava: «Sono io». Ma il fratello non gli aprì e lo lasciò tribolare fino al mattino. Infine lo fece entrare e gli disse: «Sei un uomo, devi ancora lavorare per vivere». Allora si prostrò e disse: «Perdonami» (204d-205a; PJ X, 27)

8. Il padre Giovanni Nano era seduto un giorno davanti alla chiesa. Si radunarono attorno a lui i fratelli e lo interrogavano sui loro pensieri. Vedendo questo, un anziano, tentato d’invidia, disse: «Giovanni, il tuo calice è colmo di veleno!». «È proprio così, padre – gli dice Giovanni –, e dici questo benché tu veda soltanto l’esterno. Se tu vedessi l’interno, cosa avresti da dire?» (PJ XVI, 3).

10. Una volta dei fratelli si recarono dal padre Giovanni Nano per metterlo alla prova, poiché non permetteva alla sua mente di vagare né parlava di alcuna cosa di questo mondo. Gli dicono: «Ringraziamo Dio, perché quest’anno è piovuto molto, le palme hanno bevuto e mettono rami e i fratelli trovano il loro lavoro». Il padre Giovanni dice loro: «Così lo Spirito Santo: quando scende nel cuore degli uomini, essi si rinnovano e mettono rami nel timore di Dio» (PJ XI, 13).

13. Il padre Poemen raccontava che il padre Giovanni Nano aveva pregato Dio e furono allontanate da lui le passioni e fu liberato da ogni sollecitudine. Si recò allora da un anziano e gli disse: «Mi trovo nella quiete, e non devo sostenere nessuna lotta». Gli disse il vecchio: «Va’ e prega Dio perché sopraggiunga su di te la lotta e tu ne tragga quella contrizione ed umiltà che avevi prima. È attraverso la lotta che l’anima progredisce». L’altro pregò Dio per questo e, quando giunse la lotta, non pregò più perché la allontanasse da lui. Chiedeva invece: «Dammi, Signore, pazienza nei combattimenti» (208bc; PJ VII, 8).

16. Parlando dell’anima che vuole convertirsi, l’anziano disse ancora al fratello: «Vi era in una città una bella meretrice, che aveva molti amanti. Un giorno si recò da lei un principe, e le disse: – Promettimi che sarai casta, e io ti prenderò per moglie! Glielo promise, ed egli la prese e la condusse in casa sua. Ma i suoi amanti la cercarono e dissero: – Quel principe l’ha presa con sé: perciò, se andiamo alla porta di casa sua e se ne accorge, ci castiga. Ma se andiamo dietro a casa e fischiamo, lei riconoscerà il fischio, scenderà da noi, e non sarà scoperta la nostra colpa. Ma essa, al suono del fischio, si chiuse le orecchie, andò nella parte più interna delle sue stanze, e chiuse le porte». Il padre Giovanni spiegò che la meretrice è l’anima, i suoi amanti sono le passioni e gli uomini; il principe è Cristo; i recessi della casa sono la dimora eterna; quelli che fischiano sono i demoni malvagi. Ma essa si rifugia sempre nel Signore (209bc).




Anziano Iosif l’Esicasta: Lettere 18

Lettera 18.

E ANCORA MI RIALZAI E ATTACCAI BATTAGLIA CONTRO TUTTI GLI SPIRITI

Ciò che ti è capitato, figlio mio, mostra che hai molta vanagloria, che hai una grande opinione di te stesso. Per questo non hai uno spirito di condiscendenza e di umiltà. Ma credi di non cadere più, di non fare disobbedienza, di non subire cambiamento, ma di vivere una vita inalterabile, ciò che non è della natura degli uomini.

Ti è stato già detto che soffri di una grande mancanza di conoscenza, la quale genera l’arroganza. Fa’ attenzione dunque, figlio mio, e fuggi l’ignoranza, la madre di ogni male. L’ignoranza del bene è tenebra dell’anima. Se l’uomo non combatte col Cristo, che è la luce, non può essere riscattato dal principe della tenebra, il diavolo.

Ecco, mi è testimonio il Signore che fa perire i mentitori con le (loro) menzogne, sono venticinque anni e più che, in questo mondo, versando sangue lotto furiosamente contro i demoni. Sono disceso nel profondo del mare, spoglio di piacere a me stesso e della mia volontà, per poter trovare la preziosissima perla (Mt 13,46). Ho soggiogato lo stesso satana con tutto il suo esercito, scienza ed arte. E avendolo incatenato per mezzo dell’umiltà gli chiedo: “Perché hai tanto furore contro di noi e ci combatti con tanta ira?”. E mi dice: “Per poter avere molti compagni nell’inferno e per vantarmi di fronte al Nazareno che io non sono l’unico trasgressore, ma ecco molti altri sono assieme a me!”.

Di nuovo poi sono asceso ai cieli tramite la grazia e la contemplazione spirituale e ho visto le bellezze ineffabili del Paradiso, quelle cose che Dio ha preparato per coloro che lo amano (1 Cor 2,9) .

Dopo tutto ciò la grazia mi fu tolta un po’ e i miei piedi per un poco vacillarono (Sal 72,2). Caddi in una leggera negligenza, il sonno mi fece suo prigioniero e mi privò di molti beni. Ma di nuovo dopo un po’ mi rialzai, attaccai guerra e sanguinosa battaglia e, dopo aver ancora vinto, precipitai nella sonnolenza.

La madre di ogni male, la negligenza, mi mangiava ancora le ossa. Ma mi rialzai un’altra volta e attaccai battaglia contro tutti gli spiriti.

Per otto anni, all’inizio, lottai contro le passioni carnali. Non ho mai dormito (steso) sul fianco ma in piedi o seduto. Mi bastonavo due o tre volte al giorno, gemendo e piangendo, affinché Dio avesse pietà di me, togliendomi la guerra. Fino a quando Colui che è tutto misericordioso ebbe compassione di me e tolse di mezzo il furore di satana. Ed ora ti dipingo in breve i miei innumerevoli patimenti, ne do a te una goccia dal mare.

Durante tutte le notti battaglioni di demoni, con legni, scuri e qualunque altra cosa ci può essere di nocivo, mi tormentarono furiosamente per otto anni interi. Chi (tirava) la mia barbetta allora piccola, chi i capelli, i piedi, le mani, e ogni specie di mali e di tormenti. Tutti gridavano: “Soffocatelo! Omicidio!”. Solamente col nome di Cristo e della nostra Tuttasanta scomparivano e la loro potenza veniva dissolta. Infine il Signore mi usò misericordia e mi estrasse dalle profondità e del pozzo di pena. Ed ora, figlio mio, divengo stolto (2 Cor 12,11) nell’annunciarti queste cose, ma te le ho dette, e continuo a dirti le seguenti, credendo di procurarti utilità.

Adesso dunque, da giovane (qual ero), nel fiore dell’età, mi sono invecchiato cosi da sembrare centenario a causa delle sofferenze per i molti cambiamenti. Prima di tutto tramite il lavoro delle mie mani, come hai visto da ciò che ti ho mandato, guadagno il mio pane con sudore (Gen 3,19; 1 Cor 4,12; 1 Ts 2,9; 2Ts 3,8). Vengono da diversi monasteri o skiti dell'(Aghion) Oros e, per grazia divina, diciamo quelle cose elargite dal Signore. per l’utilità (di tutti).

Lavoro mentalmente[1] e adempio con esattezza i miei doveri monastici. Nel corso delle notti, per diverso tempo, quando la mente si è affaticata nella preghiera, scrivo non poche lettere, con le quali i cristiani in molti modi mi chiedono un beneficio. E dopo tutte queste cose che hai sentito, cado (vittima) dell’abbattimento perché non faccio la volontà del mio Signore. Dico piangendo: Chi conosce se quello che faccio è gradito al mio Signore o se mi inganno, (se) predicando agli altri, io rimango riprovato (1 Cor 9,27)? Non è manifesta a me infatti la divina volontà del mio Signore. Chi ha conosciuto la mente del Signore (Rm 11,14), o chi starà davanti a Lui, se osserva i peccati (Sal 129,3)?

Tu dunque, figlio mio, per una disobbedienza hai gettato via tutte le armi? Per la parola di un demonio abdichi alla lotta? Dove (mai) hai visto tu l’inverno? Dove tempeste di neve? Dove schiere e reggimenti di demoni che ti minacciano? Ti spaventi per la minaccia di un solo demonio? Ma non credere mai a quelle cose che dice! Poiché è mentitore dall’inizio (Gv 8,44) e non ha nessuna forza contro di noi, se non solo quando siamo trovati nella superbia e nell’ignoranza. Costoro (i demoni) minacciano solamente e ci atterriscono, ma non che abbiano potere. Infatti, se non avevano il potere di andare nei porci (Mt 8,31), come ci tenteranno senza il permessso del Signore?

Impara dunque ad avere un pensiero umile e non temere per nulla le parole di un uomo indemoniato. Abbiamo una chiara testimonianza del nostro Signore quando, avendo parlato una volta il demonio e avendo dichiarato “sappiamo, chi sei” (Mc 1,24), sebbene avesse detto la verità, il Signore lo ridusse al silenzio mostrando a noi, con questo esempio, che non dobbiamo ascoltare parole di indemoniati, per quanto possa sembrare dicano la verità. Poiché per mezzo della bocca dell’uomo parla il demonio. E, ora dirà la verità, ma più tardi mentirà, perché è mentitore dall’inizio e non rimane nella verità (Gv 8,44). Se una persona si lascia andare a credere a queste cose, in breve tempo si imbatterà nelle derisioni e nello scherno dei demoni. Ritorna dunque in te stesso e scaccia le loro parole dalla tua mente. L’umile, anche se cade miriadi di volte, di nuovo si rialza e (la sua caduta) gli viene computata a vittoria (Pr 24,16). Il superbo invece, subito dopo essere caduto nel peccato, cade anche nello scoraggiamento; e indurendosi non vuole più rialzarsi. Lo scoraggiamento è peccato mortale; in esso il diavolo si rallegra più di tutto. Ma viene dissolto subito con la confessione.

Allora, figlio mio, fatti violenza per ogni opera buona. Se non possiamo fare il bene e cadiamo, non restiamo tuttavia nella caduta, ma rialziamoci e chiediamo perdono al nostro Salvatore! E Lui, dal momento che ha detto al suo discepolo di perdonare il colpevole settanta volte sette al giorno (Mt 18,22),

(Lui che è) lo stesso legislatore, come non ci perdonerà? Per cui non temere. Ma per quante volte cadi, rialzati, e chiedi il perdono che si conviene. E Lui, buono com’ è, non mantiene il risentimento, non conserva l’ira: “Quanto dista l’oriente dall’occidente, ha allontanato da noi le nostre colpe” (Sal 102,12).


[1] È il lavoro della preghiera del cuore fatta mentalmente.




Concilio di Gerusalemme

Atti 15

1 Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli questa dottrina: «Se non vi fate circoncidere secondo l’uso di Mosè, non potete esser salvi».
2 Poiché Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro andassero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione. 3 Essi dunque, scortati per un tratto dalla comunità, attraversarono la Fenicia e la Samaria raccontando la conversione dei pagani e suscitando grande gioia in tutti i fratelli. 4 Giunti poi a Gerusalemme, furono ricevuti dalla Chiesa, dagli apostoli e dagli anziani e riferirono tutto ciò che Dio aveva compiuto per mezzo loro.
5 Ma si alzarono alcuni della setta dei farisei, che erano diventati credenti, affermando: è necessario circonciderli e ordinar loro di osservare la legge di Mosè.
6 Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema. 7 Dopo lunga discussione, Pietro si alzò e disse:
«Fratelli, voi sapete che già da molto tempo Dio ha fatto una scelta fra voi, perché i pagani ascoltassero per bocca mia la parola del vangelo e venissero alla fede. 8 E Dio, che conosce i cuori, ha reso testimonianza in loro favore concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi; 9 e non ha fatto nessuna discriminazione tra noi e loro, purificandone i cuori con la fede. 10 Or dunque, perché continuate a tentare Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri, né noi siamo stati in grado di portare? 11 Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati e nello stesso modo anche loro».
12 Tutta l’assemblea tacque e stettero ad ascoltare Barnaba e Paolo che riferivano quanti miracoli e prodigi Dio aveva compiuto tra i pagani per mezzo loro.
13 Quand’essi ebbero finito di parlare, Giacomo aggiunse: 14 «Fratelli, ascoltatemi. Simone ha riferito come fin da principio Dio ha voluto scegliere tra i pagani un popolo per consacrarlo al suo nome. 15 Con questo si accordano le parole dei profeti, come sta scritto:
16 Dopo queste cose ritornerò e riedificherò la tenda di Davide che era caduta; ne riparerò le rovine e la rialzerò, 17 perché anche gli altri uomini cerchino il Signore e tutte le genti sulle quali è stato invocato il mio nome, 18 dice il Signore che fa queste cose da lui conosciute dall’eternità.
19 Per questo io ritengo che non si debba importunare quelli che si convertono a Dio tra i pagani, 20 ma solo si ordini loro di astenersi dalle sozzure degli idoli, dalla impudicizia, dagli animali soffocati e dal sangue. 21 Mosè infatti, fin dai tempi antichi, ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe».
22 Allora gli apostoli, gli anziani e tutta la Chiesa decisero di eleggere alcuni di loro e di inviarli ad Antiochia insieme a Paolo e Barnaba: Giuda chiamato Barsabba e Sila, uomini tenuti in grande considerazione tra i fratelli. 23 E consegnarono loro la seguente lettera: «Gli apostoli e gli anziani ai fratelli di Antiochia, di Siria e di Cilicia che provengono dai pagani, salute! 24 Abbiamo saputo che alcuni da parte nostra, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con i loro discorsi sconvolgendo i vostri animi. 25 Abbiamo perciò deciso tutti d’accordo di eleggere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Barnaba e Paolo, 26 uomini che hanno votato la loro vita al nome del nostro Signore Gesù Cristo. 27 Abbiamo mandato dunque Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi queste stesse cose a voce. 28 Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: 29 astenervi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia. Farete cosa buona perciò a guardarvi da queste cose. State bene».
30 Essi allora, congedatisi, discesero ad Antiochia e riunita la comunità consegnarono la lettera. 31 Quando l’ebbero letta, si rallegrarono per l’incoraggiamento che infondeva. 32 Giuda e Sila, essendo anch’essi profeti, parlarono molto per incoraggiare i fratelli e li fortificarono. 33 Dopo un certo tempo furono congedati con auguri di pace dai fratelli, per tornare da quelli che li avevano inviati. 34  [Ma parve bene a Sila di rimanere qui.] 35 Paolo invece e Barnaba rimasero ad Antiochia, insegnando e annunziando, insieme a molti altri, la parola del Signore.
36 Dopo alcuni giorni Paolo disse a Barnaba: «Ritorniamo a far visita ai fratelli in tutte le città nelle quali abbiamo annunziato la parola del Signore, per vedere come stanno». 37 Barnaba voleva prendere insieme anche Giovanni, detto Marco, 38 ma Paolo riteneva che non si dovesse prendere uno che si era allontanato da loro nella Panfilia e non aveva voluto partecipare alla loro opera. 39 Il dissenso fu tale che si separarono l’uno dall’altro; Barnaba, prendendo con sé Marco, s’imbarcò per Cipro. 40 Paolo invece scelse Sila e partì, raccomandato dai fratelli alla grazia del Signore.
41 E attraversando la Siria e la Cilicia, dava nuova forza alle comunità.

LETTERA AI GALATI

Capitolo 2  

L’assemblea di Gerusalemme

1 Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba, portando con me anche Tito: 2 vi andai però in seguito ad una rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano. 3 Ora neppure Tito, che era con me, sebbene fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere. 4 E questo proprio a causa dei falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi. 5 Ad essi però non cedemmo, per riguardo, neppure un istante, perché la verità del vangelo continuasse a rimanere salda tra di voi.

6 Da parte dunque delle persone più ragguardevoli – quali fossero allora non m’interessa, perché Dio non bada a persona alcuna – a me, da quelle persone ragguardevoli, non fu imposto nulla di più. 7 Anzi, visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi – 8 poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani – 9 e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi. 10 Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare.

Pietro e Paolo ad Antiochia

11 Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto. 12 Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. 13 E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. 14 Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?




Calcedonia e Lione: due concili, due diverse visioni della Chiesa

articolo originale in inglese

Di Robert Spencer

Una delle affermazioni che separa il cattolicesimo romano dalla Chiesa ortodossa è la tesi cattolica romana secondo cui ci sono stati ventuno concili ecumenici, non solo i sette, otto (Foziano) o nove (Concili di Palamas) che gli ortodossi riconoscono. Poiché i concili ecumenici sono il mezzo principale mediante il quale lo Spirito Santo guida la Chiesa nella verità, come promesso dal Signore (Giovanni 16,13), gli apologeti cattolici romani a volte citano l’esistenza stessa dei concili cattolici romani come prova che nella chiesa latina, lo Spirito ha continuato a guidare la Chiesa attraverso queste assemblee episcopali, mentre affermano che la mancanza di concili ecumenici da parte dell’Ortodossia per un millennio è la prova della sua ossificazione e incapacità di affrontare le questioni contemporanee. Queste argomentazioni, tuttavia, si basano sul presupposto che i concili ecumenici post-scisma del cattolicesimo romano siano sostanzialmente lo stesso tipo di assemblee dei sette concili pre-scisma. Eppure ci sono ragioni considerevoli per credere che non lo siano, come mostra chiaramente il confronto tra il quarto concilio ecumenico, il Concilio di Calcedonia (451), con quello che i cattolici romani ritengono essere il quattordicesimo concilio ecumenico, il Secondo Concilio di Lione (1274).

I concili ecumenici della Chiesa ortodossa furono convocati per risolvere questioni controverse che agitavano la Chiesa. La risoluzione di tali questioni avveniva negli stessi concili, poiché i vescovi si dedicavano alla preghiera, allo studio degli scritti dei Padri e alla discussione teologica. Questi concili non furono convocati dai papi e nessuno di essi ebbe luogo a Roma o nei suoi dintorni. Sembra che il papa dell’epoca non fosse nemmeno a conoscenza del secondo concilio ecumenico (che si tenne a Costantinopoli nel 381), e nessuno dei suoi rappresentanti fosse presente. Gli atti del quarto concilio ecumenico dimostrano che a quei tempi nessuno, compreso lo stesso Papa di Roma, pensava che il Papa fosse “in possesso di quell’infallibilità di cui il divino Redentore ha voluto che la Sua Chiesa fosse dotata per definire la dottrina in materia di fede o di morale; e che pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono irreformabili di per sé, e non dal consenso della Chiesa” [1], come disse il ventesimo concilio ecumenico dei Cattolici Romani, il Vaticano I.

Prima del Concilio di Calcedonia, papa Leone scrisse un documento, noto come il Tomo, esponendo la posizione ortodossa sulla questione della natura di Cristo: che Egli ha due nature, una divina e una umana, in una Persona divina. Cecropius, Vescovo di Sebastopoli, ha detto al Concilio che “il santissimo Arcivescovo di Roma ha dato una formula con la quale siamo d’accordo, e tutti abbiamo sottoscritto la sua lettera” [2]. La sua affermazione presuppone la possibilità che i Padri, o qualche gruppo di essi, non fossero d’accordo.

Anatolio, Patriarca di Costantinopoli, dichiarò: “La lettera del santissimo e religioso Arcivescovo Leone concorda con il credo dei nostri 318 Padri a Nicea, e dei 150 che poi si riunirono a Costantinopoli, e confermarono la stessa fede, e con il procedimento ad Efeso sotto il beatissimo Cirillo, che è tra i santi, dal Concilio ecumenico e santo, quando condannò Nestorio. Lo accetto quindi, e lo sottoscrivo volentieri” [3]. Queste parole mostrano che Anatolio studiò attentamente il Tomo prima di dichiararlo ortodosso, invece di accoglierlo semplicemente come il giudizio finale di colui che era l’arbitro finale di ciò che costituiva l’ortodossia.

Perché i Padri presumevano che la loro approvazione fosse assolutamente necessaria? Perché avevano bisogno di affermare che la lettera di Leone era ortodossa? Chiaramente, non credevano che la dichiarazione del papa fosse infallibile come una cosa ovvia e che di conseguenza dovessero semplicemente accettarla. Ottocento anni dopo, il Secondo Concilio di Lione si svolse in un’atmosfera teologica (e politica) molto diversa. L’imperatore romano Michele VIII Paleologo era riuscito a restaurare l’impero a Costantinopoli dopo 57 anni di occupazione crociata. I crociati, tuttavia, e altri ancora minacciavano profondamente l’impero, e Michele credeva che una riunione della Chiesa ortodossa con la Sede di Roma avrebbe disinnescato quelle minacce, poiché i crociati non avrebbero esitato ad attaccare gli “scismatici” ma erano meno propensi a muoversi contro quelli che vedevano come fratelli nella fede.

L’imperatore di conseguenza scrisse a papa Clemente IV, sottolineando che le lotte intestine tra gruppi che erano entrambi cristiani non facevano che rafforzare i nemici del cristianesimo. Non avendo il potere o l’autorità, dato il Grande Scisma, che i suoi predecessori avevano di convocare lui stesso un concilio ecumenico, l’imperatore chiese al papa di convocare tale concilio da tenersi in una città imperiale romana, che molto probabilmente sarebbe stata la stessa Costantinopoli, al fine di influenzare la riunione.

Papa Clemente, tuttavia, rispose con la bruschezza imperiosa di un superiore che si rivolge a un servo recalcitrante, chiedendo che Michele e tutto il popolo dell’impero accettassero senza alcuna discussione il primato del papa, il filioque e il pane azzimo nella Santa Eucaristia. . Clemente scrisse:

A Paleologo, illustre imperatore dei Greci… Sebbene tu cerchi di riunire un concilio nella tua terra, non possiamo accettare di convocare un tale concilio per la discussione o la definizione della fede. Non perché temiamo l’apparizione di qualche persona particolare o che i Greci possano avere la precedenza sulla sacra chiesa romana, ma perché sarebbe assolutamente improprio – anzi non può essere permesso, poiché la purezza della fede non può essere messa in dubbio… [ 4]

Questo era un argomento strano, poiché i concili ecumenici si erano tenuti durante tutto il primo millennio della Chiesa senza che nessuno temesse che le discussioni di quei concili avrebbero messo in dubbio la purezza della fede. Ma la Chiesa romana si era evoluta. Il papa di Roma era ora la quintessenza del monarca assoluto. Clemente non aveva in mente nulla che somigliasse alle discussioni aperte e talvolta accese dei concili passati; chiedeva invece semplicemente la sottomissione dei “greci”: “Preparati”, disse a Michele, “affinché all’arrivo dei nostri nunzi tu, il tuo clero e il popolo possiate accettare umilmente e professare devotamente la verità della fede in affinché con l’aiuto di Dio sia facilitato il progresso[5].

Una volta che quella sottomissione era stata influenzata, allora Michele poteva tenere il suo consiglio: “Dopo che voi, il vostro clero e il popolo avete accettato la vera fede…, [poi] potete chiedere la convocazione di un concilio da parte di questa Sede nel luogo più conveniente a questa Sede…, un concilio da rafforzare con un trattato perpetuo tra Latini e Greci” [6]. Clemente disse a Michele che la riluttanza del suo popolo ad accettare una tale unione non era una scusa, e “se non puoi costringerli, evitali come scismatici” [7].

Queste discussioni furono interrotte dalla morte del papa; Clemente morì il 28 novembre 1268. Tuttavia, la minaccia all’impero sopravvisse e Michele riprese i colloqui di riunione con il successore di Clemente, Gregorio X, dopo un interregno di tre anni. Il concilio di riunione ebbe finalmente luogo nel 1274, non a Costantinopoli o ovunque all’interno dell’Impero Romano, come avevano fatto i primi concili, ma nella città francese di Lione. Non c’è stata discussione sui problemi in questione; i rappresentanti ortodossi arrivarono portando lettere che accettavano il filioque e la giurisdizione universale del papa di Roma. Papa Gregorio accolse con favore il “ritorno dei Greci all’obbedienza della Chiesa romana” [8]. Il Secondo Concilio di Lione si svolse così in un ambiente ecclesiastico radicalmente diverso da quello dei tempi in cui avevano la precedenza i concili ecumenici e gli scritti patristici. Il papato era ormai una monarchia assoluta e tutto ciò che era richiesto a tutti gli altri era la sottomissione.

La riunione di Lione fallì, nonostante la durezza di Michele nel forzare la sua accettazione. E il fatto che gli ortodossi fossero obbligati semplicemente ad accettare, senza esame o discussione, le dottrine cattoliche romane indica che il Secondo Concilio di Lione non era lo stesso tipo di assemblea del Concilio di Calcedonia. Calcedonia fu convocata proprio per “discussione e definizione della fede”, che è proprio ciò che Papa Clemente IV aveva escluso prima che il suo successore convocasse il Secondo Concilio di Lione.

La differenza tra questi due concili mostra un aspetto di come la Chiesa romana si era evoluta nella sua comprensione di se stessa tra il quinto secolo e il tredicesimo. Mentre il vescovo di Roma aveva il primato [d’onore] nella Chiesa al tempo di Calcedonia, al tempo di Lione rivendicava molto più del primato [d’onore], ma un’autorità assoluta e indiscutibile. Il Concilio di Calcedonia dimostra che i Padri della Chiesa non prevedevano né riconoscevano una monarchia papale assoluta e che lo sviluppo di una tale istituzione era un’innovazione, contraria alla fede apostolica.

Riferimenti

[1]. Concilio Vaticano I, “Decreta Dogmatica Concilli Vaticani De Fide Catholica Et De Ecclesia Christi”, in The Creeds of Christendom: With A History and Critical Notes, Volume II , ed. Philip Schaff (New York: Harper & Brothers, 1877), 270-271.

[2]. Vescovo Cecropio di Sebastopoli, “Il Concilio di Calcedonia”, in Documenti che illustrano l’autorità papale, ed. E. Giles (Londra: SPCK, 1952), 303.

[3]. Patriarca Anatolio di Costantinopoli, “Introduzione generale”, in Nicene & Post-Nicene Fathers, Volume XIV , ed. Philip Schaff (Peabody: Hendrickson Publications, 1999), 245.

[4]. Alexander Alexakis, “Contatti ufficiali e non ufficiali tra Roma e Costantinopoli prima del Secondo Concilio di Lione (1274)”, in Annuario Historiae Conciliorum, n. 39, 1-2, (2007): 99-124, doi: https://doi.org/10.30965/25890433-0390102005

[5]. Deno John Geanokoplos, Emperor Michael Paleologo and the West, 1258-1282: A Study in Byzantine-Latin Relations (Whitefish: Literary Licensing, LLC, 2011), 172.

[6]. Ivi, 174.

[7]. Ivi, 174.

[8]. Ivi, 219.




P. Vasily Polyanomerulsky (XVIII sec): Sul nostro santo padre Gregorio del Sinai

Breve biografia

Vasily (ndr Basilio) è uno degli anelli principali della catena della tradizione mistica dell’Ortodossia, che quasi si interruppe nei secoli XVII-XVIII. Tra l’altro il p. Vasily fu l’anziano di Paisius (Velichkovsky), che, a sua volta, divenne il fondatore della tradizione degli starec russi del XIX secolo. Fu grande anche l’influenza di S. Basilio sul monachesimo rumeno.

L’opera di S. Basilio è dedicata al lavoro mentale e alla preghiera di Gesù. Le opere dell’anziano, come sottile maestro di ascetismo e misticismo, furono raccomandate da Teofane il Recluso e Ignazio Bryanchaninov.

Non è molto chiaro chi fosse il padre rispetto alla nazionalità: ucraino o russo? Negli anni ’20 del XVIII secolo, come molti altri monaci, si trasferì in Moldavia: in Russia, allora, il monachesimo era oppresso, e in Polonia l’Ortodossia in quanto tale. In Moldo-Vlachia, attorno al monaco si riunì un circolo di monaci, che costituì la base dell’organizzazione nata da S. Basilio: lo Skete di Poiana-Merului. Nel 1749, l’anziano fu convocato a Bucarest: il suo insegnamento sembrava sospetto a molti. Fu processato dai Patriarchi di Alessandria, Gerusalemme e Antiochia, i quali però non solo non trovarono alcuna eresia, ma raccomandarono a tutti le istruzioni del monaco nell’ascesi e nell’orazione mentale. E il patriarca Silvestro benedì il monaco affinché scrivesse un saggio per spiegare la causa per cui ai monaci è proibito mangiare carne, in relazione al quale S. Basilio si recò al Monte Athos. Nel tempo, il Polyanomerulsky skete diventa uno dei centri spirituali della Moldavia-Vlachia: sotto la guida dell’anziano c’erano 11 sketes e un deserto. A poco a poco, il numero dei monaci rumeni dello skit crebbe e sorse la necessità di adorare nella loro lingua madre. A questo proposito, nel 1764 l’anziano divise il suo monastero in due parti: rumena e slava.

Menzione di Sant’Ignazio Brianchaninov

L’anziano moldavo, lo schemamonaco Vasily, vissuto alla fine del secolo scorso (XVIII sec), espose con particolare soddisfazione la dottrina della preghiera di Gesù nelle sue osservazioni sugli scritti dei monaci Gregorio del Sinai, Esichio di Gerusalemme e Filoteo del Sinai. Lo schemamonaco ha chiamato le sue osservazioni prefazioni. Il titolo è molto corretto! La lettura delle osservazioni prepara alla lettura dei Padri citati, i cui scritti si riferiscono soprattutto a monaci che hanno già compiuto notevoli progressi. Le osservazioni furono pubblicate da Optina Hermitage insieme agli scritti di Paisius Nyametsky, di cui Vasily era mentore, collaboratore e amico.

P. Vasily Polyanomerulsky

Premessa o preludio a coloro che desiderano leggere il libro del nostro santo padre Gregorio del Sinai e non peccare contro il suo significato

Molti, leggendo questo libro sacro di S. Gregorio del Sinai e non conoscendo per esperienza il lavoro intellettivo, peccano contro la sana ragione, pensando che il lavoro intellettivo appartenga solo agli uomini impassibili e santi.

Per questo motivo, mantenendo secondo la tradizione la salmodia, i tropari e i canoni, venerano attraverso questa unica preghiera esteriore. Non capiscono che una tale preghiera cantata ci è stata data dai padri per un certo tempo, a causa della debolezza e dell’infanzia della nostra mente, affinché, imparando a poco a poco, salissimo al livello del lavoro mentale, e non rimanendo nella preghiera del canto fino alla nostra morte. Perché, cosa c’è di più infantile di questo (Gregorio del Sinai , cap. 19), quando noi, dopo aver letto con le nostre labbra la nostra preghiera esteriore, siamo distratti da un’opinione gioiosa, pensando a noi stessi come se stessimo facendo qualcosa di grande, trastullandoci con la quantità e nutrendo in tal modo il fariseo interiore.

Allontanandoci da una tale infermità, veramente infantile, come i bambini dai capezzoli della mamma, i Santi Padri ci mostrano la rozzezza di quest’opera confrontando il canto vocale della lingua con il canto dei pagani. Perché è necessario, dice S. Macario d’Egitto (cap. 6) che il nostro modo di vivere sia angelico e il nostro canto non carnale; non dico pagano. E se ci è permesso cantare con le nostre labbra, è per amore della nostra pigrizia e ignoranza, in modo da essere condotti alla vera preghiera. Qual è il frutto di tale preghiera esterna, S. Simeone il Nuovo Teologo, nella seconda immagine dell’attenzione, dice:

“La seconda forma di attenzione e di preghiera è questa: quando uno raccoglie dentro di sé il proprio intelletto facendolo uscire da tutte le cose sensibili, custodisce i suoi sensi e raccoglie tutti i suoi pensieri perché non errino tra le cose vane di questo mondo e ora esamina i suoi pensieri, ora fa attenzione alle parole della preghiera che dice; in altri momenti se ne va dietro ai pensieri che il diavolo ha fatto prigionieri e che sono stati trascinati verso ciò che è cattivo e vano; in altri momenti, con grande fatica e violenza, ritorna in se stesso, dopo che era stato dominato e vinto da qualche passione.

Poiché costui porta in sé la lotta e la guerra, non può mai stare in pace né trova il tempo per operare le virtù e ricevere la corona della giustizia. Quest’uomo assomiglia a chi fa guerra ai nemici di notte, al buio: costui sente le voci dei nemici e riceve le ferite che infliggono, ma non può vedere chiaramente chi sono, da dove sono venuti, come e perché lo colpiscono, in quanto la tenebra che è nel suo intelletto e la tempesta che ha nei pensieri gli procurano questo danno e non è possibile che allora si liberi dai suoi nemici, i demoni, così che non lo rovinino. L’infelice sopporta la fatica invano perché perde la ricompensa per il fatto che è dominato dalla vanagloria, senza che egli se ne accorga, e gli sembra di essere vigilante. Molte volte per la sua superbia disprezza anche gli altri, li accusa e raccomanda sé stesso, immaginandosi con la sua fantasia di essere degno di divenire pastore delle pecore e di guidare gli altri: assomiglia a quel cieco che si impegna a guidare altri ciechi”.

Come è possibile conservare la mente dai sensi esterni o raccoglierla da quelli che per natura si diffondono e si librano sopra le cose sensuali: la vista, considerando il bello o il brutto; l’udito, suoni piacevoli o sgradevoli; l’odorato, odore fragrante o puzzolente; il gusto, mangiare dolce o amaro; il tatto, toccare cose buone o cose cattive, e così, come foglie al vento, si trema e si ondeggia; ma la mente, che è confusa da tutto ciò e riflette sulle proprie azioni, può mai essere libera dai pensieri di destra e di sinistra? Mai e poi mai.

Se i sensi esterni non possono proteggere la mente dai pensieri, allora, naturalmente, è necessario che la mente fugga dai sensi nell’ora della preghiera verso l’interno del cuore e rimanga sorda e muta da tutti i pensieri. Perché se qualcuno si ritira solo esteriormente dalla vista, dall’udito e dal parlare, riceve un po’ di silenzio dalle passioni e dai pensieri del male, ma in misura molto maggiore gode della pace dai cattivi pensieri quando rimuove la sua mente dai cinque sensi esterni, racchiudendola in una cella interna e naturale o un deserto, per gustare la gioia spirituale che viene dalla preghiera mentale e dall’attenzione sincera.

Come una spada a doppio taglio, ovunque ci rivolgiamo, taglia con la sua affilatura ciò che incontra, così agisce la preghiera di Gesù Cristo, rivolta a volte a pensieri e passioni malvagi, a volte ai peccati o al ricordo della morte, del giudizio e del tormento eterno. Se, invece della preghiera mentale, con la preghiera cantata e i sensi esteriori, con confusione, qualcuno vuole respingere l’attacco del nemico e resistere a qualsiasi passione e pensiero astuto, presto sarà sopraffatto molte volte, a causa dei demoni, vincendo il suo oppositore e di nuovo sottomettendosi volontariamente a lui, come vinto dalla sua resistenza, che lo deride e inclina i suoi pensieri alla vanità e all’orgoglio, chiamandolo maestro e pastore delle pecore.

E sapendo questo, S. Esichio dice: “Ma l’intelletto non può vincere da sé stesso la fantasia che viene dai demoni: non abbia fiducia in questo. Infatti, essendo astuti, fingono anche di lasciarsi vincere e ti fanno lo sgambetto per altra via, attraverso la vanagloria; ma all’invocazione del nome di Gesù non hanno la forza, neppure per un momento, di stare in piedi e ingannarti”. E ancora: “Vedi di non pensare al modo dell’antico Israele ed essere consegnato anche tu ai nemici spirituali. Quello infatti, liberato dagli egiziani da parte del Dio di tutte le cose, immaginò come aiuto per sé un idolo di metallo fuso. E intenderai come idolo di metallo fuso il nostro debole intelletto, il quale invero, finché invoca Gesù Cristo contro gli spiriti maligni, li caccia facilmente, e con scienza esperta travolge le forze invisibili e avverse del nemico. Ma se stoltamente ha completa fiducia in sé stesso, viene precipitato come l’avvoltoio”.

Da quanto è stato detto, la potenza e la misura del lavoro razionale, cioè la preghiera e il canto, sono sufficientemente note. Non pensare, pio lettore, che i Santi Padri, allontanandoci da molti canti esteriori e comandandoci di imparare un lavoro intellettivo, danneggiano i salmi e i canoni. No, non lo fanno, perché tutto questo è consegnato allo Spirito Santo dallo Spirito Santo. Le Chiese, in cui tutte le cerimonie sacre sono guidate dall’ordinazione, e l’intero sacramento della dispensazione del Dio Verbo, anche prima della sua seconda venuta, includono allo stesso tempo la nostra risurrezione. E non c’è nulla di umano nell’ordine della Chiesa, ma tutto è opera della grazia di Dio, che non è aumentata dai nostri meriti e non diminuisce per i nostri peccati. Ma non stiamo parlando dei ranghi della santa Chiesa, ma della regola speciale e dello stile di vita di ciascuno dei monaci, cioè sull’orazione intellettiva, che di solito attrae la grazia dello Spirito Santo attraverso la diligenza e la rettitudine di cuore, e non solo con le parole dei Salmi, al di là dell’attenzione dell’intelletto, cantati solo con le labbra e con la lingua. Come disse l’apostolo: “Voglio dire cinque parole con la mia mente che oscurità con la mia lingua”. Perché si dovrebbe prima purificare la mente e il cuore con queste cinque parole, dicendo incessantemente nel profondo del cuore: “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me”, e così salire al canto razionale. Perché ad ogni nuovo inizio una persona piena di passioni può agire in modo intelligente, nella vigilanza del suo cuore, per eseguire questa preghiera, ma in nessun modo può cantare, prima di essere purificata dalla preghiera mentale. Pertanto, S. Gregorio del Sinai, dopo aver provato e giudicato la sottigliezza di tutti i santi, e soprattutto dagli scritti e dall’arte spirituale, stabilisce tutti gli sforzi da avere sulla preghiera. Anche S. Simeone, l’arcivescovo di Tessalonica, avendo lo stesso Spirito e dono, comanda e consiglia ai vescovi, ai sacerdoti, ai monaci e a tutti i mondani in ogni momento e ora di pronunciare e respirare questa sacra preghiera, perché non c’è, dice con l’apostolo, arma più forte, sia in cielo che in terra, più grande del nome di Gesù Cristo.

Ti sia noto, buon seguace di questo sacro lavoro mentale, che non solo nel deserto o in un eremo appartato, ma ricercando tra le città, vi erano maestri e numerosi operai di questa opera intellettiva. Ed è degno di sorpresa come Sua Santità il Patriarca Fozio, essendo stato portato al patriarcato da un grado di rango senatorio, non un monaco, abbia imparato questo lavoro intelligente in un posto così alto e ci sia riuscito così tanto che il suo volto brillava, come un secondo Mosè, per la grazia dello Spirito Santo che era in lui; così dice S. Simeone di Tessalonica. E testimonia di lui che ha scritto un libro con un’arte filosofica onnisciente su questa pratica intellettiva. Dice anche che Giovanni Crisostomo, Ignazio e Kallistos, i santissimi patriarchi dello stesso Tsaregrad, hanno scritto i loro libri sullo stesso lavoro interiore. E cos’altro ti manca, lettore amante di Cristo, per mettere da parte ogni dubbio e cominciare ad allenare l’attenzione mentale? Se dici: non ho una vita solitaria, – un esempio per te è Il santo patriarca Kallistos, che ha imparato il lavoro intellettivo nella grande Lavra dell’Athos, mentre prestava servizio come cuoco. Se dubiti di non essere in un profondo deserto, il tuo secondo esempio è il santo Patriarca Fozio, che ha imparato l’arte dell’attenzione sincera stando nel rango patriarcale. Se, con il pretesto dell’obbedienza, ti mostri troppo pigro per iniziare la sobrietà intellettuale, sei soggetto al ridicolo per questo, poiché né il deserto né una vita solitaria portano successo in questo lavoro tanto quanto l’obbedienza nella mente, dice San Gregorio del Sinai. Oppure ti allontani dal lato destro, come se non avessi un insegnante per tale lavoro – il Signore stesso ti comanda di imparare dalle Scritture, dicendo: “Metti alla prova le Scritture e in esse troverai la vita eterna”. Oppure sei portato via dal lato sinistro, imbarazzato, non trovando un posto silenzioso – e in questo Pietro di Damasco ti confuta, dicendo: “in tutto il mondo non ci sono cose, o imprese, o luoghi che potrebbero ostacolarlo”.

Infine, se inventando ancora qualche altra buona scusa, si inciampa nelle ripetute parole di S. Gregorio del Sinai, che parla molto dell’illusione che si verifica in quest’opera, allora questo stesso santo ti corregge dicendo: “Non dovremmo aver paura o dubitare, invocando Dio. Ma se alcuni si sono pervertiti, essendo danneggiati nella mente, allora sappi che hanno sofferto questo per ostinazione e arroganza. Chi cerca Dio in obbedienza, con cautela e umiltà di mente, non sarà mai danneggiato dalla grazia di Cristo. Per chi vive rettamente e vive irreprensibilmente e si allontana dall’autoindulgenza e dall’arroganza, l’intero esercito demoniaco, anche se solleva contro di lui innumerevoli tentazioni, non può fargli del male, come dicono i padri. Coloro che camminano presuntuosamente e arbitrariamente, questi cadono nell’illusione. Ma se alcuni, inciampando nella pietra delle Sacre Scritture, accettano le istruzioni sulla possibilità del prelest[1] per noi come motivo per vietare il lavoro intellettivo, allora sappiano che stanno trasformando “la valle in montagna e la montagna in valle”.. Non per proibire il lavoro intellettivo, ma per metterci in guardia contro l’illusione, i santi Padri ci avvertono sui motivi per cui arriva il prelest.

Allo stesso modo, questo S. Gregorio del Sinai, comandando all’apprendista di non avere paura e di non dubitare della preghiera, fornisce due ragioni per il prelest: presunzione e arroganza. E i santi Padri, volendo tenerci illesi da queste passioni, ci ordinano di investigare la Sacra Scrittura, imparando da essa, considerandosi da fratello a fratello come buoni consiglieri, come dice Pietro di Damasco[2].

Se è impossibile trovare un vecchio abile nei fatti e nelle parole, seguendo l’esempio dei santi Padri, che conosce bene la Scrittura, allora, essendo solo, in silenzio, con tutte le sue forze si dovrebbe cercare di avere una guida spirituale dagli insegnamenti e dalle istruzioni dei santi Padri, informandosi su ogni cosa e virtù. Dovremmo anche preservare questa misura e ordine durante la lettura delle Scritture, e non deviare dal loro insegnamento e istruzione, proprio come alcuni, non conoscendo l’esperienza del lavoro intellettivo e considerandosi dotati del dono della ragione, per tre motivi o argomenti eludono, sarebbe meglio dire, rifiutano di imparare questo lavoro sacro. In primo luogo, credono che quest’opera sia adatta solo agli uomini santi e impassibili, e non a quelli passionali. In secondo luogo, indicano il completo impoverimento di mentori e insegnanti di tale residenza e percorso. In terzo luogo, il prelest che segue tale opera.

La prima di queste ragioni, o argomentazioni, è vana e ingiusta, perché proprio il primo grado per i monaci novizi è quello di diminuire le passioni con intelligente sobrietà e accorata vigilanza, cioè con la preghiera intellettiva, consona al proprio stato. Il secondo è sconsiderato e infondato, perché, in assenza di un mentore e di un maestro, la Scrittura è la nostra maestra, come detto sopra. Il terzo è l’autoinganno, perché quando leggono le Scritture sull’illusione, inciampano con le stesse scritture, discutendone in modo storto. Invece di accettare la Scrittura come monito alla conoscenza dell’illusione, inventano e trovano una ragione per rifuggire dall’opera intellettiva. Proprio come un comandante, avendo ricevuto la notizia che il nemico gli aveva teso un’imboscata lungo la strada, con l’intenzione di sconfiggerlo con astuzia e attacco segreto, non avendo la forza di combatterlo apertamente, lui, essendo imprudente, invece di superare in astuzia il nemico e ottenere la vittoria con un attacco inaspettato al loro segreto agguato, ha paura della paura, dove non c’è paura, e fugge, coprendosi di eterna vergogna davanti al re e ai suoi nobili.

Se avete paura di questo lavoro e di questa formazione per la riverenza e la semplicità del vostro cuore, io ho ancora più paura di voi, ma non sulla base di vuote favole, secondo le quali temere il lupo significa non andare nel bosco. E Dio deve essere temuto, ma non per questo si deve fuggire e rinnegarlo. In effetti, il timore e il tremore, la contrizione e l’umiltà, sono il suggerimento delle Scritture, e il consiglio unanime dei fratelli che richiedono questo lavoro, ma non la fuga e il rifiuto, e ancor meno l’impudenza e l’azione autoimposta. Infatti, colui che è impertinente, si dice, e presuntuoso, correndo verso ciò che è al di sopra della sua dignità e della sua dispensazione, per orgoglio cerca di ottenere prematuramente la vista della preghiera. E ancora: se qualcuno sogna di arrivare in alto, facendosi prendere dal desiderio di Satana piuttosto che dal vero desiderio, costui è opportunamente impigliato da Satana nelle sue reti come suo servo. E perché dovremmo sforzarci di raggiungere un alto grado di eccellenza nell’orazione intelligente e santa, che, secondo Sant’Isacco, una persona tenebrosa è difficilmente in grado di raggiungere?

A noi, passionali e deboli, basta conoscere almeno la traccia della quiete mentale, cioè dell’orazione mentale pratica, con la quale si scacciano dal cuore i sogni del nemico e i pensieri cattivi e che è il vero lavoro dei monaci novizi e passionali, mentre vengono condotti, se Dio vuole, alla preghiera visiva e spirituale.

E non dobbiamo scoraggiarci per il fatto che a pochi è fatto dono della preghiera visiva, perché non c’è ingiustizia in Dio. Non siamo pigri nel seguire la strada che porta a questa santa preghiera, cioè nel resistere agli attaccamenti, alle passioni e ai pensieri cattivi attraverso la preghiera pratica. E così, essendo passati per la via dei santi, siamo anche noi degni della loro sorte, anche se non abbiamo raggiunto la perfezione, dice Sant’Isacco e molti altri santi.

E ancora, è stupefacente e raccapricciante che alcuni che conoscono le Scritture non le mettano alla prova, mentre altri, non conoscendo e non interrogandosi, osino con la mente prestare questa attenzione intelligente e, per di più, dicano che l’attenzione va prestata e la preghiera va fatta nella parte concupiscibile: “Questo, dicono, è l’ambiente del grembo e del cuore. Questa è la prima e autocontraddittoria assurdità. Non solo la preghiera e l’attenzione non devono essere esercitate in questa parte, ma il calore stesso che proviene dalla parte lussuriosa del cuore nell’ora della preghiera non deve essere accettato in nessun caso. Il centro dell’utero, secondo San Teofilatto, è chiamato il cuore stesso, e non è all’ombelico, né in mezzo al seno, ma sotto il capezzolo sinistro ha il suo posto. Perché così sono distribuite le tre potenze dell’anima: la parolaia nelle dita; la feroce, o zelante, nel cuore; la desiderabile nei lombi all’altezza dell’ombelico, dove anche il diavolo ha un ingresso comodo, secondo Giobbe, eccitandolo e infiammandolo, come le sanguisughe e i rospi nel lago palustre, e avendo come cibo e delizia la dolcezza lussuriosa. Per questo Gregorio Sinaitico dice: ” Non è piccolo sforzo raggiungere chiaramente la verità e purificarsi da ciò che è contrario alla grazia. Perché il diavolo – soprattutto con i principianti – suole mostrare il suo inganno con apparenze di verità, camuffando da spirituali le cose cattive: uno al posto di un altro che rappresenta interno dei lombi, trasforma le cose spirituali come vuole, variandole in modo fantastico, producendo in luogo del calore il suo ardore disordinato, in modo da appesantire l’anima con tale illusione e producendo, anziché letizia, gioia irrazionale e dolcezza molle[3]“.

È utile, credo, che l’apprendista sappia che l’ardore, o il calore, viene dai lombi al cuore a volte di propria iniziativa, naturalmente, a prescindere dai pensieri del prodigo. E non si tratta di incantesimi, ma di natura, dice San Callistos il Patriarca. Se qualcuno la prende come una prova della grazia, ma non della natura, allora è certamente illusione. L’asceta non dovrebbe prestare attenzione a tutto questo, ma rifiutarlo. A volte il diavolo, quando mescola il suo ardore con la nostra brama, trascina la mente in pensieri di fornicazione.

E questa è senza dubbio un’illusione. Ma se tutto il corpo si scioglie e la mente rimane pura e impassibile, e come se fosse attaccata, è coperta nel profondo del cuore, iniziando e terminando la preghiera nel cuore, è certamente della grazia, e non dell’illusione. Per alcuni asceti, anche la debolezza del corpo è un notevole ostacolo a questo lavoro sacro: non potendo sopportare nella giusta misura e peso le fatiche e i digiuni soprannaturali che avevano i santi, credono che sia loro impossibile iniziare l’impresa di lavoro mentale oltre a questo. E portando un tale errore alla giusta misura, Basilio Magno insegna così: “La temperanza”, dice, “è determinata da ciascuno secondo la sua forza corporea. E quindi, penso, sia meraviglioso osservare che, avendo pregiudicato la forza corporea con un’astinenza eccessiva, si rende il corpo debole e incapace di buone azioni. Perché si dovrebbe avere un corpo attivo, non minato da alcun eccesso.

Se fosse stato un bene per l’uomo essere un corpo rilassato e giacere come morto, respirando a fatica, allora sicuramente Dio ci avrebbe creati così fin dall’inizio. Se Egli non ci ha creati come tali, allora chi non conserva il bene creato così com’è è in errore. Per questo motivo, si preoccupi di una cosa, cioè se la pigrizia ha trovato posto nella sua anima o se la sobrietà e la diligente ascesa della mente verso Dio si sono in qualche modo indebolite, o se la santificazione spirituale e l’illuminazione dell’anima che ne derivano sono state in qualche modo oscurate. Se la suddetta buona volontà cresce, le passioni corporee non avranno il tempo di sorgere, quando l’anima si esercita nelle vette e il corpo non ha tempo per essere tormentato dalle passioni. Avendo una tale disposizione dell’anima, chi mangia non differisce da chi non mangia: non solo digiuna, ma non mangia sempre e ha rispetto per la cura speciale del corpo, perché una vita moderata non infiamma la lussuria. E Sant’Isacco, in accordo con ciò, disse: “Se si fa in modo che un corpo debole superi le proprie forze, si provoca confusione nell’anima”. E San Giovanni della Scala dice: “Ho visto questo nemico (grembo) riposare – e dare vigore alla mente”. E ancora: “L’ho vista sfinita dal digiuno e produrre effusioni, affinché non confidassimo in noi stessi, ma nel Dio vivente”. Ciò è coerente con la storia, di cui parla San Nikon, secondo cui nella nostra epoca fu trovato nel deserto un vecchio che non aveva visto nessuno per trent’anni e che non aveva mangiato pane, se non qualche radice, e che confessò che per tutto quel tempo era stato posseduto da un demone lussurioso. E i padri ragionarono che non era l’orgoglio o il cibo la causa di tale lotta, ma la circostanza che al vecchio non era stato insegnato a essere mentalmente sobrio e a resistere alle tentazioni nemiche. A questo proposito san Massimo diceva: “Dai al tuo corpo secondo il suo potere e rivolgi tutto il tuo sforzo al lavoro mentale”. E anche San Diado dice: “Il digiuno è lodato da sé stesso, e non da Dio, perché è uno strumento per migliorare la castità di chi lo desidera”. Perciò non conviene agli amministratori della pietà essere arroganti al riguardo, ma nella fede di Dio attendere la fine del nostro pensiero. Infatti, anche i maestri di qualsiasi arte non si vantano del buon fine dell’opera, ma aspettano che l’opera sia compiuta; e questo rivela già la dignità dell’arte.

Se avete questa legge sul mangiare, non mettete tutto il vostro zelo e la vostra speranza nel solo digiuno, ma digiunate nella misura e secondo le vostre forze, sforzandovi di farlo in modo intelligente. E se avete abbastanza forza per mangiare pane e acqua, è bene che mangiate. Si dice: “Gli altri alimenti non rafforzano il corpo quanto il pane e l’acqua”. Ma non pensate di fare delle buone azioni digiunando in questo modo, ma aspettatevi di ottenere la castità con il digiuno. E tale digiuno sarà ragionevole, dice San Doroteo. Se sei debole, ti ordina San Gregorio Sinaita, se vuoi avere la salvezza, mangia un po’ di pane e acqua o vino, o bevi tre o quattro scodelle al giorno, e di qualsiasi altro cibo tu possa avere, parte per parte, non permettendoti la sazietà, in modo che attraverso la partecipazione a tutto tu possa evitare la presunzione e allo stesso tempo non disprezzare le opere molto buone di Dio, ringraziando Dio per tutto. Questo è il ragionamento dei prudenti.

Ma se, dopo aver mangiato tutto l’agnello e bevuto un poco di vino, dubitate della vostra salvezza, è incredulità e infermità di mente. La misura del mangiare senza peccato e secondo Dio è di tre ordini: temperanza, contentezza e sazietà. La temperanza è quando nel processo di alimentazione c’è ancora fame; la contentezza è quando non c’è né fame né peso; la pienezza è quando c’è poco peso. Ma quando c’è la sazietà, la porta è quella della gola, da cui entra la fornicazione. Ma tu, quando consideri queste cose, secondo le tue forze, scegli ciò che è opportuno senza trasgredire ciò che è stabilito; ed è caratteristica dei perfetti, secondo l’apostolo, essere sia sazi che affamati, ed essere potenti in ogni cosa.

Tutto questo, o zelante dell’attenzione, ti viene mostrato dai più autentici nei grandi e santi padri; sia sulla misura della temperanza e del digiuno giudizioso, sia su come eccellere nella consapevolezza.

Fonte: Sobrietà: in 2 volumi / Compilato da Abraham (Reidman). – Ekaterinburg : Casa editrice del monastero femminile di Novo-Tikhvin. / Т. 1. 2009. – 720 с. / Prefazione o introduzione, desiderando leggere il libro del nostro santo padre Gregorio Sinaitico e non peccare contro il suo significato. 310-323 с.

Originale: https://azbyka.ru/otechnik/Vasilij_Poljanomerulskij/predislovie-ili-predputie-zhelayushim-chitat-knigu-svjatogo-ottsa-nashego-grigorija-sinaita-i-ne-pogreshat-protiv-ee-smysla/


[1] Prelest, termine tecnico per inganno demoniaco

[2] Pietro Damasceno: “Ma il Signore, che è perfettissimo ed è la sapienza stessa, ha tagliato la radice. Infatti, non soltanto ha ammonito quelli che lo seguono a non avere né ricchezze né possessi, a imitazione della sua altissima virtù, ma anche a non avere neppure un’anima, cioè volontà o pensiero proprio. Sapendo questo i padri fuggivano il mondo come impedimento alla perfezione, e non solo il mondo, ma anche le volontà: nessuno di loro ha fatto la volontà propria. Al contrario, gli uni si ponevano in una sottomissione corporale, così che a ogni loro pensiero presiedesse il padre spirituale, facendo le veci del Cristo; altri stavano nel deserto fuggendo perfettamente gli uomini, e avevano quale maestro Dio, per il quale vollero sostenere anche la morte volontaria; altri presero la via regale, vivendo cioè come si deve nell’esichia con uno o due fratelli, trattandosi reciprocamente come buoni consiglieri nella ricerca di piacere a Dio. Altri, dopo essere stati soggetti alla tutela di un padre, sono stati collocati a capo di altri fratelli e vivevano come fossero soggetti, custodendo le tradizioni dei loro padri: e tutto andava bene. Ora invece, siccome noi non vogliamo – né quelli che sono soggetti, né quelli che governano – lasciare le volontà proprie, per questo nessuno progredisce”. Filocalia, Gribaudi

[3] Nella Filocalia la citazione continua così: “perché da queste cose si vedano nascere presunzione e boria, si sforzi di nascondersi agli inesperti e di far credere che il suo inganno sia grazia operante. Ma il tempo, l’esperienza e la percezione lo scoprono agli occhi di quelli che non ignorano proprio del tutto la sua astuzia. Poiché il palato, dice la Scrittura, distingue i cibi, cioè il gusto spirituale mostra senza inganno quali siano, con evidenza, tutte queste cose.”




ANTONIO IL GRANDE

ἀββᾶς Ἀντώνιος


Il padre Antonio disse: “Alcuni hanno afflitto il loro corpo con l’ascesi ma non avevano discernimento e quindi si sono allontanati da Dio”.

Disse ancora: «È dal prossimo che ci vengono la vita e la morte. Perché, se guadagniamo il fratello, è Dio che guadagniamo; e se scandalizziamo il fratello, è contro Cristo che pecchiamo» (PJ XVII, 2)

L’uomo veramente ragionevole ha un’unica sollecitudine: credere in
Dio e piacergli in tutto. E a questo – soltanto a questo – formare la sua anima, così da rendersi gradito a Dio, rendendogli grazie per il modo mirabile con cui la sua provvidenza governa tutte le cose, anche gli eventi fortuiti della vita. È infatti fuor di luogo ringraziare per la salute del corpo i medici, anche quando ci somministrano farmaci amari e sgradevoli ed essere invece ingrati nei confronti di Dio per le cose che ci sembrano penose, senza riconoscere che tutto avviene nel modo dovuto, a nostro vantaggio, secondo la sua provvidenza. Filocalia, Vol I, Gribaudi


1. Quando il santo Abba Antonio viveva nel deserto, era assalito da accidenti e da molti pensieri peccaminosi. Diceva a Dio: “Signore, voglio essere salvato, ma questi pensieri non mi lasciano in pace; cosa devo fare nella mia afflizione? Come posso essere salvato?”. Poco dopo, quando si alzò per uscire, Antonio vide un uomo come lui seduto al suo lavoro, che si alzava dal lavoro per pregare, poi si sedeva e intrecciava una corda, poi si alzava di nuovo per pregare. Era un angelo del Signore inviato per correggerlo e rassicurarlo. Sentì l’angelo che gli diceva: “Fai questo e sarai salvato”. A queste parole, Antonio si riempì di gioia e di coraggio. Lo fece e fu salvato.

2.  Quando lo stesso Abba Antonio pensava alla profondità dei giudizi di Dio, chiese: “Signore, come mai alcuni muoiono da giovani e altri si trascinano fino all’estrema vecchiaia? Perché c’è chi è povero e chi è ricco? Perché i malvagi prosperano e i giusti sono nel bisogno?”. Sentì una voce che gli rispondeva: “Antonio, preoccupati di te stesso; queste cose sono secondo il giudizio di Dio, e non è a tuo vantaggio sapere qualcosa su di esse”.

3.  Qualcuno chiese ad Abba Antonio: “Cosa si deve fare per piacere a Dio? L’anziano rispose: “Fai attenzione a quello che ti dico: dovunque tu vada, abbi sempre Dio davanti agli occhi; qualsiasi cosa tu faccia, falla secondo la testimonianza delle Sacre Scritture; in qualunque luogo tu viva, non lasciarlo facilmente. Osserva questi tre precetti e sarai salvato”.

4.  Abba Antonio disse ad Abba Poemen: “Questa è la grande opera di un uomo: assumersi sempre la colpa dei propri peccati davanti a Dio e aspettarsi la tentazione fino all’ultimo respiro”.

5. Disse anche: “Chi non ha sperimentato la tentazione non può entrare nel Regno dei Cieli”. Aggiunse anche: “Senza tentazioni nessuno può essere salvato”.

6. Abba Pambo chiese ad Abba Antonio: “Cosa devo fare?” e l’anziano gli rispose: “Non confidare nella tua propria giustizia e non preoccuparti del passato, ma controlla la tua lingua e il tuo stomaco”

7. Abba Antonio disse: “Ho visto le insidie che il nemico dissemina nel mondo e ho detto gemendo: “Cosa mai può superare tali insidie?”. Poi sentii una voce che mi diceva: “l’Umiltà”.

8.  Disse anche: “Alcuni hanno afflitto il loro corpo con l’ascesi ma non avevano discernimento e quindi si sono allontanati da Dio”.

9.  Se guadagniamo il nostro fratello, abbiamo guadagnato Dio, ma se scandalizziamo il nostro fratello, abbiamo peccato contro Cristo”.

10. Disse anche: “Come i pesci muoiono se restano troppo a lungo fuori dall’acqua, così i monaci che bighellonano fuori dalle loro celle o passano il loro tempo con gli uomini del mondo, perdono l’intensità della pace interiore. Quindi, come un pesce verso il mare, dobbiamo affrettarci a raggiungere la nostra cella, per paura che se ci attardiamo fuori perdiamo la nostra vigilanza interiore”.

11. Disse anche: “Chi vuole vivere in solitudine nel deserto è liberato da tre lotte: quella con l’udito, la parola e la vista; rimane una solo lotta per lui ed è quella con il cuore”.

12. Alcuni fratelli vennero a cercare Abba Antonio per parlargli delle visioni che stavano avendo e per sapere da lui se erano vere o se provenivano dai demoni. Avevano un asino che morì durante il cammino. Quando raggiunsero il luogo dove si trovava il vecchio, egli disse loro, prima che potessero chiedergli qualcosa: “Come mai l’asinello è morto durante il cammino?”. Gli risposero: “Come fai a saperlo, padre?”. Ed egli rispose: “I demoni mi hanno mostrato ciò che è successo”. Allora essi dissero: “Era su questo che eravamo venuti a interrogarti, per paura di essere ingannati, perché abbiamo visioni che spesso si rivelano vere”. Così il vecchio li convinse, con l’esempio dell’asino, che le loro visioni provenivano dai demoni.

13. Un cacciatore nel deserto vide Abba Antonio divertirsi con i fratelli e ne rimase sconvolto. Volendo dimostrargli che a volte era necessario venire incontro ai bisogni dei fratelli, il vecchio gli disse: “Metti una freccia al tuo arco e tendilo”. Così fece. L’anziano disse poi: “Tendilo ancora”, ed egli lo fece. Poi il vecchio disse: “Tendilo ancora”. Ma il cacciatore rispose: “Se piego tanto l’arco, lo spezzo”. Allora il vecchio gli disse: “È così anche per l’opera di Dio. Se tendiamo i fratelli oltre misura, presto si spezzano. A volte è necessario accondiscendere e soddisfare i loro bisogni”. All’udire queste parole, il cacciatore fu colpito dalla compassione e, molto edificato dall’anziano, se ne andò. Quanto ai fratelli, tornarono a casa rafforzati.

14. Abba Antonio sentì parlare di un monaco molto giovane che aveva compiuto un miracolo sulla strada. Vedendo dei vecchi che camminavano con difficoltà lungo la strada, ordinò agli asini selvatici di venire e di portarli fino a quando non avessero raggiunto Abba Antonio. Quelli che erano stati trasportati raccontarono l’accaduto ad Abba Antonio. Egli disse loro: “Questo monaco mi sembra una nave carica di merci, ma non so se raggiungerà il porto. Dopo un po’, Antonio cominciò improvvisamente a piangere, a strapparsi i capelli e a lamentarsi. I suoi discepoli gli dissero: “Perché piangi, padre?” e l’anziano rispose: “È appena caduta una grande colonna della Chiesa (si riferiva al giovane monaco), ma andate da lui e vedete cosa è successo”. Così i discepoli andarono e trovarono il monaco seduto su una stuoia che piangeva per il peccato che aveva commesso. Vedendo i discepoli del vecchio, egli disse: “Dite al vecchio di pregare affinché Dio mi dia solo dieci giorni di tempo e spero di poter fare ammenda”. Ma nel giro di cinque giorni morì.

15. I fratelli lodarono un monaco davanti ad Abba Antonio. Quando il monaco venne a trovarlo, Antonio volle sapere come avrebbe sopportato gli insulti; e vedendo che non li sopportava affatto, gli disse: “Sei come un villaggio magnificamente decorato all’esterno, ma distrutto all’interno dai ladri”.

16. Un fratello disse ad Abba Antonio: “Prega per me”. L’anziano gli disse: “Non avrò pietà di te, né Dio ne avrà, se tu stesso non farai uno sforzo per pregare Dio””.

17. Un giorno vennero a trovare Abba Antonio alcuni anziani. In mezzo a loro c’era Abba Giuseppe. Volendo metterli alla prova, il vecchio propose un testo delle Scritture e, cominciando dal più giovane, chiese loro cosa significasse. Ognuno di loro disse la sua opinione come era in grado di fare. Ma a ciascuno il vecchio disse: “Non hai capito”. Infine disse ad Abba Giuseppe: “Come spiegheresti questo detto?” ed egli rispose: “Non lo so”. Allora Abba Antonio disse: “In effetti, Abba Giuseppe ha trovato la strada, perché ha detto: “Non lo so””.

18. Alcuni fratelli stavano arrivando da Scete per vedere Abba Antonio. Mentre stavano salendo su una barca per andare lì, trovarono un vecchio che voleva andare anche lui. I fratelli non lo conoscevano. Si sedettero sulla barca, occupandosi a turno delle parole dei Padri, della Scrittura e dei loro lavori manuali. Il vecchio, invece, rimase in silenzio. Quando arrivarono a terra scoprirono che anche il vecchio stava andando presso la cella di Abba Antonio. Quando arrivarono Antonio disse loro: “Avete trovato in questo vecchio un buon compagno di viaggio?”. Poi disse al vecchio, “Hai portato con te molti buoni fratelli, padre”. Il vecchio rispose: “Senza dubbio sono buoni, ma non hanno una porta di casa e chiunque voglia può entrare nella stalla e sciogliere l’asino”. Intendeva dire che i fratelli dicevano tutto quello che gli veniva in bocca.

19. I fratelli vennero da Abba Antonio e gli dissero, “Dimmi una parola: come ci salveremo?”. L’anziano disse loro: “Avete ascoltato le Scritture. Questo dovrebbe insegnarvi come fare”. Ma essi dissero: “Vogliamo sentire anche da te, padre”. Allora il vecchio disse loro: “Il Vangelo dice: “Se qualcuno vi percuote su una guancia, porgetegli anche l’altra”. (Mt 5,39) Essi risposero: “Non possiamo farlo”. L’anziano disse: “Se non potete porgere l’altra guancia, permettete almeno che una guancia sia colpita”. Non possiamo fare neanche questo”, dissero. Allora egli disse: “Se non siete in grado di farlo, non restituite male per male”, ed essi risposero: “Non possiamo fare nemmeno questo”. Allora Il vecchio disse al discepolo: “Preparate un po’ di brodo per questi invalidi. Se non potete fare questo o quello, cosa posso fare per voi? Quello di cui avete bisogno sono le preghiere”.

20. Un fratello rinunciò al mondo e donò i suoi beni ai poveri, ma ne trattenne un po’ per le spese personali. Si recò da Abba Antonio. Quando glielo raccontò, il vecchio gli disse: “Se vuoi farti monaco, vai in paese, compra della carne, copriti il corpo nudo e vieni qui così”. Il fratello lo fece e i cani e gli uccelli gli strapparono la carne. Quando tornò, il vecchio gli chiese se avesse seguito il suo consiglio. Gli mostrò il suo corpo ferito e sant’Antonio disse: “Coloro che rinunciano al mondo, ma vogliono tenere qualcosa per sé, vengono lacerati in questo modo dai demoni che fanno loro guerra”.

21. Un giorno accadde che uno dei fratelli del monastero di Abba Elia fu tentato. Scacciato dal monastero, si recò alla montagna dell’Abba Antonio. Il fratello visse vicino a lui per un po’ di tempo e poi Antonio lo rimandò al monastero da cui era stato espulso. Quando i fratelli lo videro, lo scacciarono di nuovo, ed egli tornò da Abba Antonio dicendo: “Padre mio, non mi ricevono”. Allora il vecchio mandò loro un messaggio: “Una barca è naufragata in mare e ha perso il suo carico; con grande difficoltà raggiunse la riva; ma voi volete rigettare in mare ciò che ha trovato un porto sicuro sulla riva”. Quando i fratelli capirono che era stato Abba Antonio a mandare loro il monaco, lo riaccolsero subito.

22. Abba Antonio disse: “Credo che il corpo possieda un movimento naturale, al quale è adattato, ma che non può seguire senza il consenso dell’anima; significa solo che nel corpo c’è un movimento senza passione. C’è un altro movimento, che deriva dal nutrimento e dal riscaldamento del corpo attraverso il mangiare e il bere, che fa sì che il calore del sangue stimoli il corpo a lavorare. Ecco perché l’apostolo ha detto: “Non ubriacatevi di vino, perché questa è dissolutezza”. (Ef 5,18) E nel Vangelo il Signore raccomanda questo ai suoi discepoli: “Fate attenzione a voi stessi perché i vostri cuori non siano oppressi dalla dissipazione e dall’ubriachezza”. (Lc 21,34) Ma c’è ancora un altro movimento che affligge coloro che combattono e che deriva dalle astuzie e dalla gelosia dei demoni. Dovete capire quali sono questi tre movimenti corporei: uno è naturale, l’altro deriva dal troppo mangiare, il terzo è causato dai demoni”.

23. Disse anche: “Dio non permette che questa generazione abbia le stesse lotte e le stesse tentazioni delle generazioni passate, perché ora gli uomini sono più deboli e non possono sopportare tanto”.

24. Ad Abba Antonio fu rivelato, nel suo deserto, che c’era uno che era suo pari nella città. Era un medico di professione e tutto ciò che aveva in più rispetto alle sue necessità lo dava ai poveri e ogni giorno cantava il Trisaghion con gli angeli.

25. Abba Antonio disse: “Sta per arrivare un tempo in cui gli uomini impazziranno e quando vedranno qualcuno che non è pazzo, lo aggrediranno dicendo: pazzo, non sei come noi!”.

26. I fratelli si recarono da Abba Antonio e gli sottoposero un brano del Levitico. L’anziano uscì nel deserto, segretamente seguito da Abba Ammonas che sapeva che questa era la sua consuetudine. Abba Antonio si allontanò molto e si mise a pregare gridando a gran voce: “Dio, manda Mosè a farmi capire questo detto”. Poi si udì una voce che parlava con lui. Abba Ammonas disse che, pur avendo sentito la voce che parlava con lui, non riusciva a capire cosa dicesse.

27. Tre Padri erano soliti andare a trovare il beato Antonio ogni anno e due di loro discutevano con lui dei loro pensieri e della salvezza delle loro anime ma il terzo rimaneva sempre in silenzio e non gli chiedeva nulla. Dopo molto tempo, Abba Antonio gli disse: “Vieni spesso qui a trovarmi, ma non mi chiedi mai nulla”. E l’altro rispose: “Mi basta vederti, Padre”.

28. Raccontano che un certo anziano chiese a Dio di fargli vedere i Padri e li vide tutti, tranne Abba Antonio. Allora chiese alla sua guida: “Dov’è Abba Antonio?”. Egli gli rispose che nel luogo dove si trova Dio, lì si trovava Antonio.

29. Un fratello di un monastero fu accusato ingiustamente di fornicazione, si alzò e andò da Abba Antonio. Anche i fratelli vennero dal monastero per correggerlo e riportarlo indietro. Si misero a dimostrare che aveva fatto questa cosa, ma egli si difese e negò di aver fatto una cosa del genere. Si trovava lì Abba Pafnuzio, detto Kefala, e raccontò loro questa parabola: “Ho visto un uomo sulla riva del fiume sepolto nel fango fino alle ginocchia e alcuni uomini sono venuti a dargli una mano per aiutarlo a uscire, ma lo hanno spinto ancora più dentro fino al collo”. Allora Abba Antonio disse di Abba Pafnuzio: “Ecco un vero uomo, che può prendersi cura delle anime e salvarle”. Tutti i presenti furono colpiti al cuore dalle parole dell’anziano e chiesero perdono al fratello. Quindi, ammoniti dai Padri, riportarono il fratello al monastero.

30. Alcuni dicono di sant’Antonio che era “pneumatoforo”, ma lui non ne parlava mai a motivo degli uomini. Poteva infatti rivelare ciò che accade nel mondo e le cose che stavano per accadere.

31. Un giorno Abba Antonio ricevette una lettera dall’imperatore Costanzo che gli chiedeva di recarsi a Costantinopoli e si domandava se fosse il caso di andare. Così disse ad Abba Paolo, suo discepolo, “Devo andare?” Egli rispose: “Se andrai, sarai chiamato Antonio; ma se rimani qui, sarai chiamato Abba Antonio”.

32. Abba Antonio disse: “Non temo più Dio, ma lo amo. Perché l’amore scaccia il timore”. (Gv 4,18)

33. Disse anche: “Abbiate sempre il timore di Dio davanti agli occhi. Ricordatevi di Colui che dà la morte e la vita. Odiate il mondo e tutto ciò che è in esso. Odiate tutta la pace che viene dalla carne. Rinunciate a questa vita, per essere vivi a Dio. Ricordate ciò che avete promesso a Dio, perché vi sarà richiesto nel giorno del giudizio. Soffrite la fame, la sete, la nudità, siate vigilanti e addolorati; piangete e gemete nel vostro cuore; mettetevi alla prova per vedere se siete degni di Dio; disprezzate la carne, per conservare le vostre anime”.

34. Una volta Abba Antonio andò a trovare Abba Amoun sul Monte Nitria e quando si incontrarono, Abba Amoun disse: “Grazie alle tue preghiere, il numero dei fratelli aumenta e alcuni di loro vogliono costruire altre celle dove vivere in pace. Quanto lontano da qui pensi che dovremmo costruire le celle?”. Abba Antonio disse: “Mangiamo all’ora nona e poi usciamo a camminare nel deserto per esplorare il paese”. Così uscirono nel deserto e camminarono fino al tramonto e poi Abba Antonio disse: “Preghiamo e piantiamo la croce qui, in modo che chi vuole farlo possa costruirci. Così quando quelli che restano vorranno visitare quelli che sono venuti qui, potranno prendere un po’ di cibo all’ora nona e raggiungerli. Se faranno così, potranno tenersi in contatto gli uni con gli altri senza distrazioni mentali”. La distanza è di dodici miglia.

35. Abba Antonio disse: “Chi martella un pezzo di ferro, prima decide cosa ne farà, una falce, una spada o un’ascia. Anche noi dobbiamo decidere che tipo di virtù vogliamo forgiare, altrimenti lavoriamo invano”.

36. Disse anche: “L’obbedienza con l’astinenza dà agli uomini di ammansire le bestie selvatiche”.

37. Disse anche: “Alcuni monaci dopo molte fatiche si sono allontanati e sono stati ossessionati dall’orgoglio spirituale, perché hanno riposto la loro fiducia nelle proprie opere e, ingannati, non hanno prestato la dovuta attenzione al comandamento che dice: “Chiedi al tuo padre ed egli ti dirà”. (Dt 32,7)

38. E disse questo: “Se è possibile, un monaco deve confidare nei suoi anziani per quanti passi deve fare e quante gocce d’acqua bere nella sua cella; nel caso contrario cade facilmente in errore”.




POEMEN

Il padre Poemen ha detto: «Il segno da cui si riconosce il monaco appare nelle tentazioni» (PJ VII, 13)


Disse anche: «Come la guardia del corpo dell’imperatore gli è sempre accanto pronta, così l’anima deve essere pronta di fronte al demone della fornicazione».

Un fratello interrogò il padre Poemen: «Ho commesso un grave peccato e voglio fare penitenza per tre anni». «È molto», gli dice l’anziano. «Per un anno?», chiese il fratello. «È molto», disse l’anziano. Quelli che erano presenti dissero: «Per quaranta giorni?». «È molto», ripeté. E poi: «Io dico che se l’uomo si pente con tutto il cuore e non ritorna a commettere il peccato, anche in tre giorni il Signore lo accoglie» (325ab; PJ X, 40).

Il padre Isaia interrogò il padre Poemen sui pensieri turpi. Il padre Poemen gli rispose: «È come un cassettone pieno di vestiti; se si lasciano lì, col tempo marciscono. Così i pensieri: se non li traduciamo in atti del corpo, col tempo svaniscono ovvero marciscono»
(328a; PJ X, 42).


Quando era giovane, il padre Poemen andò un giorno da un anziano, per sottoporgli tre pensieri. Giunto che fu dall’anziano, ne aveva dimenticato uno. Ritornò nella sua cella e, nel porre la mano sulla chiave per aprire, si ricordò della domanda che aveva dimenticato.
Lasciò la chiave nella toppa e ritornò dall’anziano; e questi gli disse: «Hai fatto presto a venire, fratello!». Ed egli gli raccontò: «Nel muovere la mano per prendere la chiave, mi sono ricordato del pensiero che cercavo; per questo non ho aperto e sono ritornato. Ma la strada era molto lunga». L’anziano gli disse: «Pastore di greggi; e il tuo nome sarà rinomato in tutto l’Egitto»

Prima che arrivasse il gruppo del padre Poemen, vi era in Egitto un anziano molto rinomato e stimato. Quando il padre Poemen e i suoi salirono da Scete, la gente lo abbandonò e andò dal padre Poemen. Il vecchio ne era invidioso e parlava male di loro. Il padre Poemen lo seppe, si rattristò e disse ai suoi fratelli: «Che facciamo con questo grande anziano? La gente ci ha messo in una situazione penosa, lasciando lui e venendo da noi che non siamo nulla. Come possiamo guarire quell’anziano?». Disse poi: «Preparate qualcosa da mangiare, prendete un otre di vino, e andiamo da lui per mangiare insieme. Forse in questo modo potremo farlo guarire». Presero il cibo e partirono. Quando bussarono alla porta, il suo discepolo chiese: «Chi siete?». Dissero: «Di’ al padre: – C’è Poemen che vuole essere benedetto da te!». Ma quando il discepolo glielo riferì, l’anziano gli fece dire: «Vattene, non ho tempo!». Ma essi rimasero nella grande arsura, dicendo: «Non ce ne andremo finché l’anziano non ci avrà degnati di vederlo». L’anziano allora, alla vista della sua umiltà e della sua pazienza, preso da compunzione, aprì loro. Entrati, mangiarono con lui. Mentre mangiavano, disse: «In verità, non vi è solo ciò che ho udito di voi, ma quel che io vedo nelle vostre azioni è cento volte di più». E da quel giorno divenne loro amico.

Un presbitero di Pelusio sentì dire di alcuni fratelli: «Spesso sono in città, frequentano i bagni e si corrompono». Quando venne al raduno dei fratelli tolse loro l’abito monastico. E dopo questo il suo cuore lo colpì ed egli fu preso da pentimento; stravolto dai suoi pensieri, come ubriaco, venne dal padre Poemen portando anche gli abiti dei fratelli, e raccontò all’anziano la cosa. E l’anziano gli dice: «Non hai tu nulla dell’uomo vecchio? Svestilo!». Il presbitero disse: «Ho parte con l’uomo vecchio!». E l’anziano a lui: «Dunque tu pure sei come i fratelli; anche se hai solo un po’ dell’uomo vecchio, tuttavia soggiaci al peccato». Il presbitero allora, andatosene, chiamò i fratelli; e, dopo aver chiesto perdono agli undici, li rivestì dell’abito monastico e li congedò (324d-325a).

Il padre Anub interrogò il padre Poemen sui pensieri impuri che il cuore dell’uomo genera, e sui desideri vani. Il padre Poemen rispose: «Forse che la scure si vanta senza colui che con essa taglia? Anche tu non dar loro posto, e non perdere in essi le tue forze; e saranno inefficaci» (325c; PJ X, 41).

Il padre Poemen disse ancora: «Se non fosse venuto Nabuzardan, l’arcicuoco, il
tempio del Signore non sarebbe stato incendiato. Ciò significa: se l’anima non cercasse la soddisfazione del cibo, lo spirito non cadrebbe nella lotta contro il nemico».

Raccontavano che il padre Poemen, invitato a mangiare contro la sua volontà, vi andò piangendo, per non disubbidire al fratello e non rattristarlo (325cd; PJ IV, 30).

Il padre Poemen disse: «Non abitare in un luogo in cui vedi alcuni gelosi di te; altrimenti non progredirai» (PJ X, 45).

Raccontarono al padre Poemen di un monaco che non beveva vino. «Il vino, disse, non è per nulla cosa da monaci» (PJ IV, 31).




p. ROMANIDES: Simeone il Nuovo teologo non ha mai ricevuto una laurea teologica

La seguente storia è ricordata da un ex studente del p. Giovanni Romanides

NON SEI UN TEOLOGO CON LICENZA? *

Circa cinquant’anni fa, quando ero studente presso l’accademia teologica, il nostro professore di dogmatica, padre Giovanni Romanides, ci raccontava una storia dei suoi giorni da studente alla scuola teologica dell’Università di Atene. Per ottenere il dottorato all’Università, padre Giovanni, un sacerdote appena ordinato a quel tempo [gli anni ’50], dovette difendere la sua tesi davanti ad una giuria di professori – teologi. L’argomento della sua tesi di laurea era “Il peccato originale“.

Mentre varie domande sulla sua tesi di dottorato venivano lanciate contro di lui dai professori [i quali avevano ricevuto le loro credenziali presso le università cattoliche o protestanti in Europa], padre Giovanni rispose al meglio delle sue notevoli capacità. Alla fine, il capo del dipartimento teologico, il dottor Panayiotes Trembelas, prese di mira padre Giovanni, che, come è consuetudine in questi interrogatori, era in piedi davanti al gruppo di professori seduti.

“Hai molte citazioni nella tua tesi dagli scritti di Simeone il Nuovo teologo”, disse il Dr.Trembelas.

“È corretto, signore professore”, rispose padre Giovanni, con la giusta deferenza.

“È necessario eliminarli”, ha continuato il dottor Trembelas. “Simeone il Nuovo teologo non può essere citato come fonte del tuo lavoro, perché non ha mai ricevuto una laurea teologica.”

Senza batter ciglio all’incredibile osservazione di Trembelas, padre Giovanni rispose con calma: “Molto bene, come dite voi, signor professore. Vorreste che cancellassi anche tutti i miei riferimenti a Matteo, Marco, Luca e Giovanni Evangelista, dal momento che anche loro non hanno mai ricevuto una laurea teologica? Anche loro non erano teologi autorizzati.”

Si sentì una risata soffocata proveniente dal gruppo di illustri professori.

* (nella foto) Padre Giovanni Romanides (sacerdote ortodosso-greco – †) di beata memoria.




L’ALIMENTAZIONE QUOTIDIANA E RITUALE AL MONTE ATHOS

L’ALIMENTAZIONE QUOTIDIANA E RITUALE NELLA TRADIZIONE DEL MONASTERO DI VATOPEDI – MONTE ATHOS

6 Luglio 2013

* Roberto Miccinilli
** Sergio Galeotti

GEOGRAFIA

La penisola del Monte Athos (Monte Santo) è la più orientale delle tre lingue di terra che si protendono, come tre dita, dalla Calcidica verso il mare Egeo, che le avvolge e le bagna.
E’ lunga poco più di 40 km, larga dagli 8 ai 12 km ed è percorsa per tutta la sua lunghezza da una dorsale montuosa che culmina a sud con il cono del monte Athos propriamente detto, che si innalza dal mare verso il cielo per 2033 metri. I boschi lussureggianti, le cime delle montagne, le piccole valli, i corsi d’acqua incontaminati, le rocce, lo splendore delle coste e del mare, i monasteri con i loro edifici cromatici e le loro torri fanno della penisola uno dei posti più affascinanti ed interessanti del mondo.
L’accesso al Monte Athos è possibile soltanto via mare non esistendo strade che lo colleghino al resto della Calcidica.
Chi è in possesso del “Diamonitirion”, un permesso di soggiorno rilasciato a Salonicco dietro specifica richiesta, può imbarcarsi sulla nave a Ouranopolis, l’ultimo porto greco per Dafni, il porto ufficiale di ingresso al Monte Santo.
Da Dafni partono strade in terra battuta che raggiungono Karyes, capitale amministrativa, e tutti i Monasteri sparsi per la penisola.
Dal punto di vista botanico l’intera penisola, circa 400 kmq di superficie, risente del completo isolamento dal resto del mondo che dura ormai da due millenni, e si è mantenuta inalterata fino ai nostri giorni.
Il territorio del Monte Athos oggi è certamente una delle aree più incontaminate dell’intero bacino del Mediterraneo.
Tutte le piante della tipica flora mediterranea trovano qui un ambiente ideale per propagarsi, svilupparsi e crescere, grazie anche alla mitezza del clima greco e alla piovosità, qui più abbondante che in altre zone limitrofe.

MITOLOGIA

Nella mitologia greca Athos era un gigante originario della Tracia che era in continua lotta con Poseidone, dio del mare. Durante uno di questi scontri violenti, Athos rimase ucciso dal dio che lo seppellì sotto un’enorme montagna che prese il nome del gigante.

STORIA DELLO STATO MONASTICO

S. Atanasio l’Athonita, con l’appoggio dell’Imperatore Niceforo Focas di cui era padre spirituale, fondò il primo monastero sull’Athos, la Grande Lavra, all’estremo sud della penisola nel 963 d.c.
Nel 972 d.c. fu redatto il primo statuto costituzionale, il “Tragos” o Carta del Monte Santo, con il quale si definivano le norme per l’organizzazione e l’amministrazione della vita all’interno dei monasteri, riconoscendo l’Athos come uno stato indipendente e monastico.
Dal X secolo affluirono sulla penisola religiosi di diverse nazionalità, tra cui anche Benedettini amalfitani che fondarono l’omonimo monastero, rimasto a lungo attivo anche dopo lo “Scisma d’Oriente” del 1059.
Nei periodi di massimo splendore, il numero dei monaci sul monte Athos raggiunse i 30.000, ma già nel 1904 erano ridotti a circa 5.000, divisi nei vari monasteri.
Oggi sono circa 2.500, presenti in varie comunità.
Sulla penisola sono presenti 20 monasteri principali, ma anche 12 Skiti e 250 Celle, cioè comunità monastiche più piccole, autonome per la loro organizzazione interna, ma sotto la giurisdizione di uno dei monasteri principali.
Gli organi amministrativi supremi sono la “Sacra Comunità”, che risiede a Karies, e che si riunisce due volte la settimana per affrontare e risolvere i problemi quotidiani del Monte Athos e la “Doppia Synaxis” che si riunisce in caso di necessità per affrontare i problemi straordinari.
L’organo legislativo e giuridico superiore è la “Ierà Synaxis” o adunanza delle comunità, formata dai 20 Igumeni (gli Abati dei 20 monasteri) che si riunisce due volte all’anno.
I monaci chiamano il Monte Santo “Orto della Madonna”, che onorano come protettrice e Badessa di tutta la comunità monastica.
L’ingresso al Monte Athos è assolutamente vietato alle donne.

IL SACRO MONASTERO DI VATOPEDI

Vatopedi è situato in una baia sulla costa orientale della penisola.
La sua costruzione ebbe inizio nel 972 d.c., e dal 1046, occupa il secondo posto nella gerarchia dei monasteri, dopo la Grande Lavra, anche se, nella realtà, risulta oggi essere il più importante dell’intera comunità, sia per il numero di monaci presenti (oltre 100), sia per la vivacità della sua vita artistica e culturale, sia per il ruolo assunto negli ultimi decenni nell’ambito dell’intero mondo religioso greco-ortodosso.

LA VITA QUOTIDIANA DEI MONACI

La giornata di un monaco si divide in tre parti uguali: 8 ore di preghiera, 8 ore di lavoro, 8 ore di riposo, secondo la regola di San Basilio, padre del monachesimo cristiano orientale.
Al Monte Athos vige ancora l’ora bizantina, secondo la quale, la mezzanotte, e quindi l’inizio del nuovo giorno, coincide con il tramonto del sole (vedi box).
Ogni mattina, prima del sorgere del sole, il suono delle campane o del “Semantro”, una lunga tavola
di legno che viene percossa ritmicamente con un martello, richiama tutti i monaci nel Katholikòn, chiesa comune, per la celebrazione del Mattutino e della Liturgia. Il pranzo si consuma nel refettorio intorno alle 8,30-9,00.
Mentre tutti mangiano in silenzio, un monaco legge, dall’alto di un pulpito, brani tratti dai testi dei Padri della Chiesa ortodossa cristiana. Dopo il pasto ci si dedica ai vari lavori fino alle 14,00 circa. Ogni monaco ha il suo compito da svolgere per il perfetto andamento della comunità: agricoltura, artigianato, amministrazione, cucina, pulizie, servizi, accoglienza.
Intorno alle 15,00 ha luogo la celebrazione dei Vespri, che dura circa un’ora.
Subito dopo si consuma la cena, con modalità simili a quelle del pranzo.
Alle 17,00 nuovo appuntamento in Chiesa per assistere alla Compieta che ha una durata molto variabile, a seconda dei periodi dell’anno.
Dopo il tramonto le grandi porte di legno di tutti i monasteri di chiudono e i monaci si ritirano nelle loro celle.
Circa 50 volte l’anno, in occasioni di grandi feste o ricorrenze, hanno luogo delle veglie in chiesa che iniziano verso le 18,00-20,00 e che possono durare fino alle 2,00 del mattino ed oltre, in un’atmosfera molto coinvolgente, fatta di luce diffusa dalle fioche lampade ad olio e di canti tipici della liturgia ortodossa.

L’ALIMENAZIONE QUOTIDIANA

In tutti i monasteri del Monte Athos si segue una regola alimentare molto rigida e assai complessa che viene attuata durante tutto l’anno, con le opportune varianti durante i periodi di quaresima e in occasioni delle festività previste dal calendario ortodosso.
Intanto va detto che l’uso della carne è completamente abolito e che gli altri prodotti di origine animale sono utilizzati con molta moderazione.
I pasti si consumano sempre tutti insieme, tranne casi particolari di monaci impossibilitati, per motivi di salute, a lasciare la propria cella.
Sono previsti solo due pasti al giorno, il pranzo e la cena, che durano circa 30 minuti ognuno. Nel corso di tutto l’anno il lunedì, il mercoledì e il venerdì sono considerati “giorni di digiuno”.
Il martedì, il giovedì, il sabato e la domenica, più le Feste che cadono in date fisse, sono considerati “giorni di Comunione”.
Durante i giorni di digiuno si mangiano soltanto prodotti di origine vegetale, escludendo quindi dalla mensa il pesce, le uova, il formaggio, il latte. Sono esclusi anche il vino e l’olio. Sono sempre presenti, come condimenti, l’aceto, il limone, il sale, peperoncini piccanti freschi e secchi triturati.
Il pranzo è molto sobrio e consiste in ortaggi freschi, olive, pane, frutta, frutta secca e miele.
La cena ha come centro un piatto a base di riso, o pasta, o zuppa di legumi, sempre accompagnato da verdure scondite, ortaggi crudi, pane e frutta.
Nei giorni di Comunione sono serviti in più, in uno dei due pasti, i prodotti animali disponibili come il pesce, il formaggio, le uova.
In questi giorni sulla tavola sono sempre presenti l’olio e il vino (quest’ultimo non viene mai servito la sera precedente un giorno di Comunione, quindi mai il sabato sera o la sera precedente una Festa che cade in un giorno di digiuno).
La Domenica a pranzo viene servito anche un dolce tipico preparato con chicchi di grano bollito, zucchero, cannella, uvetta, noci e mandorle tritate (Bimatarisa).
Qualche volta, a pranzo, viene servito il latte. In questo caso però non sono presenti sulla tavola il vino e l’olio.
Le Feste scandite dal calendario liturgico costituiscono delle eccezioni a queste regole, già assai complicate.
La Festa inizia sempre con la celebrazione dei Vespri del giorno precedente. Quindi la cena che segue è un pasto normale, anche se capita in un giorno di digiuno.
Se la Festa coincide con un giorno di digiuno, questo salta e l’alimentazione è come in un giorno di Comunione, ma con l’aggiunta del dolce.
Nelle Feste dedicate alla Vergine Maria o a Gesù Cristo è tradizione mangiare pesce fresco, mentre nelle Feste dedicate ai Santi più importanti si servono del polpo o dei calamari.
Comunque nei giorni di Festa non sono mai serviti formaggio, uova e latte, come nei giorni di digiuno.

I DIGIUNI RITUALI

Nel corso dell’anno liturgico della Chiesa greco-ortodossa sono previsti quattro periodi di Quaresima, che comportano cambiamenti anche radicali nella dieta dei monaci.
Quaresima di Pasqua: dura 50 giorni.
Durante l’ultima settimana che precede l’inizio della Quaresima di Pasqua sono aboliti i giorni canonici di digiuno. Per tutta la settimana si possono mangiare, in uno dei due pasti prodotti di origine animale (tranne ovviamente la carne), con aggiunta di olio e vino.
Durante i 50 giorni, invece, si mangia una sola volta al giorno, alle ore 15,00, dal lunedì al venerdì, con un pasto da giorno di digiuno. Il sabato e la domenica ci sono invece due pasti completi, come nei giorni di Comunione normali, ma soltanto con polpo e calamari come prodotti animali.
Durante tutto questo periodo si mangia pesce soltanto la Domenica delle Palme e il 25 marzo, Festa dell’Annunciazione della Vergine.
Quaresima di Natale: dura 40 giorni.
E’ meno drastica di quella di Pasqua. Si fanno due pasti al giorno come nei giorni di digiuno. Il sabato è la domenica si mangia anche del pesce, ma soltanto fino al 12 dicembre. Dopo questa data si consumano solo pasti da digiuno fino al giorno compreso.
Quaresima dei Santi Apostoli (mese di Giugno): dura 20-30 giorni.
E’ del tutto simile a quella che precede il Natale, prima del 12 dicembre, con due pasti da digiuno al giorno, e il pesce il sabato e la domenica.
Quaresima della Madre di Dio (mese di agosto): dura 14 giorni.
E’ simile alla quaresima di Pasqua, con un solo pasto al giorno alle 15,00, con l’aggiunta, al mattino, di una colazione con sole olive e frutta fresca.

GLI ALIMENTI DI PRODUZIONE PROPRIA

II pane: il pane per il refettorio viene preparato due volte la settimana, il lunedì e il venerdì.
Il giovedì si prepara, invece, il pane per la liturgia, per l’Eucarestia dei monaci e dei fedeli, che lo bagnano nel calice con il vino.
Ogni volta vengono preparati circa 200 kg di pane, che bastano per tre-quattro giorni.
Il grano proviene dalle coltivazioni biologiche dei campi attorno al monastero, sufficienti per tutto l’anno. Si macina in un molino sul posto, ottenendo una farina completa e una piccola parte di farina bianca per la preparazione del pane per la liturgia.
Il lievito è naturale e viene rinnovato una volta l’anno con una cerimonia del tutto speciale.
Padre Panaretos, il monaco fornaio, alla fine di ogni infornata, si occupa personalmente di controllare ogni pagnotta, per verificarne la cottura, il colore, la consistenza.
Il vino: Padre Gennadios, monaco greco-cipriota, è il responsabile delle vigne, della produzione delle uve, della vinificazione e della cantina del monastero. Si produce vino rosso per la tavola per tutto l’anno, vino bianco per la liturgia e si imbottiglia per la vendita merlot, cabernet e syrah.
Il miele: si fanno 4 raccolti l’anno. Uno di millefiori e tre monoflora: erica, pino, castagno. La produzione copre abbondantemente le necessità dei monaci e l’eccedenza può essere acquistata dai pellegrini.
150 arnie per un totale di oltre 2 milioni di api. Si occupa di loro Padre Pandeleimon, rumeno, medico veterinario.
L’olio: il monastero è circondato da vasti oliveti, in passato abbandonati, che vengono pian piano recuperati alla produzione.
Dalla raccolta delle olive si ricavano di media circa 1.500 litri di olio, necessari sia per la cottura e il condimento degli alimenti, sia per le innumerevoli lampade ad olio che illuminano la chiesa principale e tutte le altre cappelle di Vatopedi.
In una di queste cappelle, situata all’interno dei locali dove viene conservato l’olio in grandi contenitori di marmo, è venerata l’icona detta “Vergine che fa colare l’olio”, responsabile, secondo la tradizione, di un miracolo datato XVI° secolo, quando, durante una grave carestia, nel corso della notte l’olio, terminato la sera prima, riempì il contenitore fino a farlo traboccare.
Grandi quantità di olive da tavola si conservano per il consumo a mensa.
Gli ortaggi: nei grandi orti del monastero si producono, tutto l’anno, tutte le verdure classiche delle nostre latitudini, con ritmo stagionale e con tecniche di coltivazione rigorosamente biologiche, come tutti gli altri prodotti agricoli. I raccolti sono sufficienti per le necessità alimentari dei monaci.
La frutta: nei frutteti del monastero si coltivano mele, uva, nespole, kiwi, meloni, pesche, cocomeri, pere, ciliege, arance, cachi, mandarini, fichi.
Il raccolto non copre l’intero fabbisogno dei monaci e, da gennaio a giugno, è necessario acquistare mele e arance.
Nel periodo estivo, quando c’è sovrapproduzione, si preparano anche ottime marmellate.
Il pesce: due volte la settimana, mare permettendo, un monaco pescatore esce in barca. Le acque della zona sono molto pescose, anche perché interdette ad altri pescatori. Il pescato viene consumato fresco ed il sovrappiù viene surgelato.
L’aceto: si produce solo aceto di mele.
L’arak: liquore ad alta gradazione a base di anice. Viene offerto a tutti i pellegrini che visitano Vatopedi, accompagnato da dolcetti di gelatina di frutta e da un bicchiere di acqua fresca.
L’acqua: arriva al monastero direttamente dalle numerose sorgenti che sgorgano dalle montagne adiacenti.
Alcuni di questi prodotti sono in vendita presso il negozio del Monastero, a disposizione dei pochi pellegrini di passaggio o che risiedono per qualche giorno a Vatopedi: miele di diverso tipo a seconda delle stagioni, arak in bottiglia, vino rosso e bianco imbottigliato, vino dolce da meditazione, erbe essiccate: basilico, origano e menta.

* UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA TUSCIA – VITERBO
Specialista in Anestesiologia e Rianimazione
Specialista in Scienza dell’Alimentazione
Direttore dei Corsi di perfezionamento in Fitoterapia e piante officinali

**Fotografo

Fonte: Natural 1 – Fitoterapia, Cosmetica, Nutraceutica

Mensile di informazione scientifica – Anno VII, Maggio 2008 – N.72: pp 68-79.

FONTE: http://www.progettomonteathos.it/