San Giovanni Crisostomo, Sul Vangelo di Matteo, Omelia 3

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Omelia 3

Matt. I. 1.

“Libro della generazione di Gesù Cristo, Figlio di Davide, Figlio di Abramo”.

Ecco il terzo discorso, e non abbiamo ancora terminato le premesse. Non per nulla dissi che è nella natura di questi pensieri avere una grande profondità.

Su, dunque, parliamo oggi di ciò che resta. Che cos’è dunque che ci domandiamo ora? Perché viene tracciata la genealogia di Giuseppe, che non ha avuto parte alla nascita? Una causa l’abbiamo già menzionata; ma è necessario menzionare anche l’altra, quella più mistica e segreta della prima. Qual è dunque questa? Egli non vuole che al momento della nascita sia manifesto ai Giudei che Cristo è nato da una vergine.

Non turbatevi per la stranezza dell’affermazione, perché non è una mia affermazione, ma dei nostri Padri, uomini meravigliosi e illustri. Infatti, se Egli ha dissimulato molte cose fin dall’inizio, chiamandosi Figlio dell’uomo e non ci ha rivelato ovunque e chiaramente neppure la sua uguaglianza con il Padre, perché vi meravigliate che abbia mascherato per un certo tempo anche questo, in ordine al raggiungimento di un certo scopo grande e meraviglioso? Inoltre, l’avrebbero condannata per adulterio. Infatti, se per quanto riguarda le altre questioni, per le quali esistevano frequenti precedenti anche nell’antico ordinamento, erano abbastanza sfacciati nella loro ostinazione (infatti, poiché aveva scacciato i demoni, lo chiamavano indemoniato; e poiché guariva in giorno di sabato, lo ritenevano un avversario di Dio; eppure spesso anche prima di ciò il sabato era stato infranto), che cosa non avrebbero detto, se questo fosse stato rivelato loro? Tanto più che avevano dalla loro parte tutto il tempo precedente, che non aveva mai prodotto nulla di simile. Infatti, se dopo tanti miracoli lo chiamavano ancora figlio di Giuseppe, come avrebbero potuto credere, prima dei miracoli, che fosse nato da una vergine?

È per questo motivo che Giuseppe ha la sua genealogia e la Vergine gli è stata promessa in sposa. Infatti, se persino lui, che era un uomo giusto e meravigioso, ebbe bisogno di molte prove per accettare ciò che era avvenuto – un angelo, la visione in sogno e la testimonianza dei profeti – come avrebbero potuto i Giudei, ottusi e depravati e di spirito così ostile nei suoi confronti, ammettere questa idea nella loro mente? Infatti, la stranezza e la novità della cosa li avrebbero sicuramente turbati molto e il fatto che non avessero mai sentito parlare di una cosa simile ai tempi dei loro antenati. Infatti, come l’uomo che fosse stato convinto che Egli fosse Figlio di Dio, da quel momento non avrebbe avuto motivo di dubitare anche di questo; così colui che lo riteneva un ingannatore e un avversario di Dio, come avrebbe potuto non essere ancora più offeso da questo, ed essere indotto alla convinzione opposta? Per questo motivo gli apostoli non parlano direttamente di tutto ciò, mentre parlano molto spesso della sua risurrezione (perché di questo c’erano stati esempi nei tempi precedenti, anche se non come questa); che Egli sia nato da una vergine non lo esprimono sempre: anzi, nemmeno sua madre si azzardò a dirlo. Si veda, ad esempio, cosa dice la Vergine anche a sé stessa: “Ecco, tuo padre e io ti abbiamo cercato” (Lc 2,48). Se si fosse nutrito questo sospetto, infatti, non si sarebbe più ritenuto che Egli fosse Figlio di Davide e se non ci fosse stata questa opinione, sarebbero sorti molti altri mali. Per questo motivo, gli angeli non dicono queste cose a tutti, ma solo a Maria e a Giuseppe; ma quando mostrarono ai pastori la lieta novella di ciò che era avvenuto, non aggiunsero anche questo.

2. Ma perché, dopo aver menzionato Abramo e aver detto che egli generò Isacco e Isacco Giacobbe, e non fa’ alcuna menzione di suo fratello, quando arriva a Giacobbe, si ricorda di Giuda e dei suoi fratelli? Alcuni dicono che è stato a causa della perversione di Esaù e degli altri che l’hanno preceduto. Ma io non direi questo, perché se fosse così, come mai poco dopo menziona quelle donne? È per contrasto, è in questo luogo che si manifesta la sua gloria, non avendo grandi antenati, ma bassi e di poco conto. Perché per l’eccelso è una grande gloria potersi abbassare molto. Perché allora non li ha menzionati? Perché i Saraceni, gli Ismaeliti, gli Arabi e tutti coloro che discendono da questi antenati non hanno nulla in comune con la razza degli Israeliti. Per questo motivo li passa sotto silenzio e si affretta a passare ai suoi antenati e a quelli del popolo ebraico. Per questo dice: “Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli”. Perché a questo punto la razza degli Ebrei comincia ad avere il suo marchio peculiare.

3. E Giuda generò Phares e Zara da Thamar. (Mt 1,3) Cosa fai tu, o uomo, ricordandoci una storia che contiene un rapporto illecito? Ma perché si dice questo? Poiché, se si raccontasse la stirpe di un semplice uomo, si sarebbe naturalmente potuto tacere toccando queste cose; ma se si tratta del Dio incarnato, lungi dal tacere, bisognerebbe farne gloria, mostrando la sua tenera cura e la sua potenza. Sì, per questo è venuto, non per sfuggire alle nostre disgrazie, ma per portarle via. Perciò così come è tanto più ammirato, in quanto non solo morì, ma fu anche crocifisso (sebbene la cosa sia oltraggiosa, ma quanto più è oltraggiosa quanto più lo mostra pieno d’amore per l’uomo), così similmente possiamo parlare della sua nascita; non è solo perché si è incarnato e si è fatto uomo che giustamente rimaniamo meravigliati di lui, ma perché si è degnato anche di avere anche tali antenati, senza vergognarsi affatto dei nostri mali. E questo proclamava fin dall’inizio della sua nascita, non vergognandosi di nessuna di quelle cose che ci appartengono; mentre ci insegna anche in questo modo, a non nascondere mai la nostra faccia davanti alla malvagità dei nostri antenati, ma a cercare solo una cosa, la virtù. Perché un tale uomo, anche se ha uno straniero per suo antenato, anche se ha una madre che è una prostituta, o quello che vuoi, non può subire alcun danno da ciò. Infatti, se il fornicatore stesso, essendo cambiato, non è disonorato dalla sua vita precedente, molto più la malvagità della sua stirpe non avrà il potere di svergognare colui che è nato da una meretrice o da un’adultera, se è virtuoso.

Ma ha fatto queste cose non solo per istruirci, ma anche per abbattere la superbia dei Giudei. Poiché essi, trascurando la virtù nelle loro anime, ostentavano il nome di Abramo, pensando di potersi appellare alla virtù dei loro antenati; mostra fin dall’inizio che non è di queste cose che gli uomini devono gloriarsi, ma delle proprie buone azioni.

Oltre a questo, stabilisce anche un altro punto, per mostrare che tutti sono sotto il peccato, anche i loro stessi antenati. In effetti si dimostra che il loro patriarca e omonimo ha commesso un peccato non piccolo, poiché Thamar si erge davanti a lui, per accusare la sua prostituzione. E anche Davide ebbe Salomone dalla moglie che corruppe. Ma se dai grandi la legge non fu adempiuta, molto più dai minori. E se non si è adempiuta, tutti hanno peccato e la venuta di Cristo si rese necessaria.

Per questo fece menzione anche dei dodici patriarchi, abbattendo così di nuovo il loro orgoglio per la nobile nascita dei loro padri. Poiché anche molti di questi sono nati da donne che erano schiave; ma nondimeno la differenza dei genitori non ha fatto differenza nei figli. Perché tutti erano ugualmente sia patriarchi che capi tribù. Perché questa è la precedenza della Chiesa, questa è la prerogativa della nobiltà che è in mezzo a noi, assumendone il tipo fin dall’inizio. Sicché, sia che tu sia schiavo o libero, non ne hai né più né meno; ma la questione riguarda solo una cosa, vale a dire la mente e la disposizione dell’anima.

4. Ma oltre a ciò che abbiamo già detto, c’è anche un’altra causa per cui si cita questa storia; perché, per essere sicuri, il nome di Zara non è stato gettato a caso su quello di Phares. (Infatti, era irrilevante e superfluo, quando aveva già menzionato Phares, da cui doveva risalire alla genealogia di Cristo, menzionare anche Zara). Perché allora la nominò? Quando Thamar era sul punto di partorirli, essendo sopraggiunte le doglie, Zara fece uscire per prima la sua mano. (Gn 38,27) La levatrice, vedendo ciò, per far riconoscere il primo nato, gli legò la mano con lo scarlatto; ma il bambino, una volta legato, ritrasse la mano e, quando l’ebbe ritratta, uscì prima Phares e poi Zara. La levatrice, vedendo ciò, disse: “Perché è stata abbattuta la siepe per voi?” (Gn 38,29)

Vedi l’espressione oscura dei misteri? Infatti non è senza scopo che queste cose siano state registrate per noi, poiché non valeva la pena di studiare cosa avesse detto la levatrice, né valeva la pena di raccontare che colui che era uscito per secondo aveva messo la mano per primo. Qual è dunque la lezione misteriosa? In primo luogo, dal nome del bambino apprendiamo ciò che viene richiesto, perché Phares è una divisione e una rottura. E poi dal fatto stesso che avvenne, poiché non era nell’ordine della natura che, dopo aver spinto fuori la mano, la tirasse di nuovo dentro quando era legata; queste cose non appartengono a un movimento diretto dalla ragione, né avvennero in modo naturale. Infatti, dopo che la mano aveva trovato la sua via d’uscita, forse non era innaturale che un altro bambino nascesse prima. Ma che egli la ritirasse e desse il posto ad un altro, non era più come avviene naturalmente ai bambini al momento della nascita, ma la grazia di Dio era presente con i bambini, ordinando queste cose e tracciando per noi una sorta di immagine delle cose che dovevano venire.

E allora? Alcuni di coloro che hanno esaminato accuratamente queste cose dicono che questi bambini sono un tipo delle due nazioni. Affinché possiate imparare che la polarità di quest’ultimo popolo risplendeva prima dell’origine del primo, il bambino che ha la mano tesa non si mostra intero, ma si ritrae; dopo che suo fratello è uscito via intero, allora anche lui appare intero. E questo avvenne anche per quanto riguarda le due nazioni. Voglio dire che, dopo che la civiltà della Chiesa si era manifestata ai tempi di Abramo, e poi si era ritirata nel bel mezzo del suo corso, arrivò il popolo ebraico e la civiltà legale; allora il nuovo popolo apparve intero con le proprie leggi. Per questo la levatrice dice anche: “Perché la siepe è stata spezzata per voi?”, perché la legge, entrando, ha infranto la civiltà della libertà. Infatti la Scrittura è solita chiamare la legge siepe, come dice il profeta: Tu hai abbattuto la sua siepe, così che tutti quelli che passano per la strada strappano i suoi grappoli; e io ho posto una siepe intorno ad essa; e Paolo, che ha abbattuto il muro di mezzo della siepe. Ma altri dicono che il detto: “Perché è stata abbattuta la siepe per voi?” sia stato pronunciato per il nuovo popolo, perché questo, alla sua venuta, ha abbattuto la legge.

5. Vedete che non è per pochi o futili motivi che ci ha fatto ricordare tutta la storia di Giuda? A questo scopo ha menzionato anche Ruth e Rahab, l’una straniera, l’altra prostituta, affinché impariate che Egli è venuto per eliminare tutti i nostri mali. Infatti è venuto come medico, non come giudice. Perciò, come quelli di un tempo presero per mogli le prostitute, così anche Dio sposò a sé la natura che aveva fatto la prostituta; proprio questo anche i profeti fin dall’inizio dichiarano essere avvenuto nei confronti della Sinagoga. Ma quella sposa fu ingrata nei confronti di Colui che l’aveva sposata, mentre la Chiesa, una volta liberata dai mali ricevuti dai nostri padri, continuò ad abbracciare lo Sposo.

Guardate, per esempio, ciò che accadde a Ruth, come è simile alle cose che ci appartengono. Poiché era di razza straniera e ridotta alla massima povertà, Boaz, quando la vide, non disprezzò la sua povertà né aborriva la sua nascita meschina, così come Cristo, che ha ricevuto la Chiesa, essendo straniero e in grande povertà, la prese come partecipe delle grandi benedizioni. Ma come Ruth, se non avesse prima abbandonato il padre e rinunciato alla famiglia e alla razza, al paese e alla parentela, non sarebbe arrivata a questa alleanza, così anche la Chiesa, avendo abbandonato i costumi che gli uomini avevano ricevuto dai loro padri, allora, e non prima, divenne amabile per lo Sposo. Per questo il profeta le dice: “Dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre, così il re si compiacerà della tua bellezza”. Anche Ruth lo fece, e per questo divenne madre di re, come anche la Chiesa. Da lei, infatti, è nato Davide. Quindi, per svergognarli con tutte queste cose e per convincerli a non essere altezzosi, ha composto la genealogia e ha presentato queste donne. Sì, perché per questo fine, attraverso coloro che sono intervenuti, è stata genitrice del grande re e di queste origini Davide non si vergogna. Perché non può, anzi, non può essere che un uomo sia buono o cattivo, oscuro o glorioso, né per la virtù né per il vizio dei suoi antenati; ma se si deve dire qualcosa di paradossale, risplende di più colui che, non avendo antenati degni, è diventato eccellente.

6. Nessuno, dunque, si faccia un’opinione elevata di simili questioni, ma considerando gli antenati del Signore, metta da parte ogni superbia e faccia delle buone azioni il suo vanto; o meglio, nemmeno di queste. Perché fu così che il fariseo divenne inferiore al pubblicano. Così, se volete dimostrare che l’opera buona è grande, non abbiate pensieri elevati e l’avrete dimostrata tanto più grande. Fate conto di non aver fatto nulla e avrete fatto tutto. Infatti, se da peccatori, quando ci consideriamo tali, diventiamo giusti, come fece il pubblicano, quanto più lo saremo quando, da giusti, ci considereremo peccatori. Poiché se da peccatori gli uomini diventano giusti grazie all’umiltà d’animo (anche se non si trattava di umiltà d’animo, ma di rettitudine d’animo), se l’umiltà d’animo è così utile nel caso dei peccatori, considerate cosa non farà l’umiltà d’animo nei confronti degli uomini giusti.

Non rovinare le tue fatiche, non gettare via i frutti dei tuoi sforzi, non correre invano, non vanificare il tuo lavoro dopo i tanti percorsi che hai fatto. Anzi, il vostro Signore conosce le vostre opere buone meglio di voi. Anche se date solo una tazza d’acqua fredda, Egli non trascura nemmeno questo; anche se contribuite solo con un soldo, anche se emettete solo un sospiro, Egli riceve tutto con grande favore, ne è consapevole e assegna per questo grandi ricompense.

Ma perché prendete le vostre azioni e le portate continuamente davanti a noi? Non sapete che se lodate voi stessi, Dio non vi loderà più? Così come se vi lamentate, Egli non smetterà di proclamarvi davanti a tutti. Perché non è affatto sua volontà che le vostre fatiche siano sminuite. Perché dico “sminuite”? Anzi, Egli sta facendo e progettando ogni cosa, affinché anche per poco possa incoronarvi; e va cercando ogni scusa per liberarvi dall’inferno. Per questo motivo, anche se lavorate solo l’undicesima ora del giorno, Egli vi dà il vostro salario intero; e anche se non offrite alcun motivo di salvezza, Egli dice: “Lo faccio per il mio bene, affinché il mio nome non sia profanato”: (Ez 36,22) anche se tu dovessi solo sospirare, anche se tu dovessi solo piangere, tutte queste cose Egli le coglie al volo per salvarti.

Non innalziamoci dunque, ma dichiariamoci non utili, per diventare utili. Infatti, se ti dichiari approvato, sei diventato inutile, anche se eri approvato; ma se sei inutile, sei diventato utile, anche se eri reprobo.

7. Per questo è necessario dimenticare le nostre buone azioni. Ma come è possibile, si dirà, non sapere quelle cose che conosciamo bene? Come si fa a dire? Offendendo continuamente il tuo Signore, vivi con superficialità e ridi, e non sai nemmeno di aver peccato, ma hai consegnato tutto all’oblio; e delle tue buone azioni non riesci a mettere via il ricordo? Eppure la paura è una cosa più forte. Ma noi facciamo proprio il contrario: da un lato, mentre ogni giorno commettiamo un’offesa, non ce lo ricordiamo nemmeno; dall’altro, se diamo un po’ di soldi a un povero non facciamo che ripensarci. Questo tipo di comportamento è frutto di una totale follia e rappresenta una grande perdita per chi fa i conti in questo modo. Perché il deposito sicuro delle opere buone è dimenticare le nostre opere buone. E come per le vesti e l’oro, quando li esponiamo al mercato, attiriamo molti malintenzionati; ma se li mettiamo in casa e li nascondiamo, li depositeremo tutti al sicuro, così per le nostre buone azioni: se le teniamo continuamente in memoria, provochiamo il Signore, armiamo il nemico, lo invitiamo a rubarle; ma se nessuno le conosce, oltre a Colui che è l’unico a doverle conoscere, giacciono al sicuro.

Non ostentatele sempre, per evitare che qualcuno le porti via. Come accadde al fariseo, che le portava sulle labbra e per questo il diavolo gliele portò via. Eppure ne faceva menzione con gratitudine e rimandava tutto a Dio. Ma nemmeno questo gli bastò. Perché non è ringraziamento rinfacciare agli altri, essere vanagloriosi davanti a molti, esaltare sé stessi contro coloro che hanno offeso. Piuttosto, se state rendendo grazie a Dio, accontentatevi solo di Lui e non fatelo sapere agli uomini, né condannate il vostro prossimo, perché questo non è ringraziamento. Volete imparare le parole di ringraziamento? Ascoltate i tre giovani cosa dicono: “Abbiamo peccato, abbiamo trasgredito. Tu sei giusto, o Signore, in tutto ciò che ci hai fatto, perché hai fatto ricadere tutto su di noi con un vero giudizio” (Dn 3,28ss). Confessare i propri peccati, infatti, significa rendere grazie a Dio con la confessione: un tipo di cosa che implica che uno sia colpevole di innumerevoli reati, senza che gli venga inflitta la pena dovuta. Quest’uomo è soprattutto colui che rende grazie.

8. Guardiamoci dunque dal dire qualcosa di noi stessi, perché questo ci rende odiosi agli uomini e abominevoli a Dio. Per questo motivo, quanto più grandi sono le opere buone che compiamo, tanto meno diciamo di noi stessi; questo è il modo per ottenere la massima gloria sia presso gli uomini che presso Dio. O meglio, non solo gloria da parte di Dio, ma anche una ricompensa, sì, una grande ricompensa. Non chiedete dunque una ricompensa per ricevere una ricompensa. Confessate di essere salvati per grazia, affinché Egli si dichiari debitore nei vostri confronti; e non solo per le vostre buone opere, ma anche per questa rettitudine d’animo. Infatti, quando facciamo opere buone, Lo abbiamo debitore solo per le nostre opere buone; ma quando non pensiamo di aver fatto alcuna opera buona, allora anche per questa disposizione, e più per questa che per le altre cose, nel modo che questa stessa sia considerata equivalente alle nostre opere buone. Infatti, se questa consapevolezza non c’è, non appaiono grandi neanche le opere. Allo stesso modo, infatti, anche noi, quando abbiamo dei servi (Lc 17,10), li approviamo maggiormente quando, dopo aver svolto tutti i loro servizi con buona volontà, non pensano di aver fatto qualcosa di grande. Perciò, se volete rendere grandi le vostre buone azioni, non pensate che siano grandi, e allora saranno veramente grandi.

Così anche il centurione disse: “Non sono degno di ospitarti sotto il mio tetto”; per questo divenne degno e fece rimanere stupefatti (Mt 8,8) soprattutto i Giudei. Così anche Paolo dice: “Non sono adatto a essere chiamato apostolo”; (1 Corinzi 15,9) per questo divenne il primo di tutti. Così anche Giovanni: “Non sono degno di sciogliere il nodo dei tuoi calzari” (Mc 1,6); per questo era l’amico dello Sposo, e la mano che affermava essere indegna di toccare i suoi calzari, Cristo l’ha attirata verso il suo capo. Così anche Pietro disse: “Vattene da me, perché sono un uomo peccatore”; (Luca 5,8) per questo divenne un fondamento della Chiesa. Infatti, nulla è così gradito a Dio come l’annoverarsi tra gli ultimi. Questo è il primo principio di ogni saggezza pratica. Perché chi è umiliato e contrito nel cuore non sarà vanaglorioso, non sarà iracondo, non invidierà il suo prossimo, non coverà altre passioni. Infatti, quando una mano è contusa, anche se ci sforziamo diecimila volte, non riusciamo a sollevarla in alto. Se dunque dovessimo ferire così anche il nostro cuore, anche se fosse agitato da diecimila passioni, non potrebbe essere innalzato, no, nemmeno di poco. Infatti, se un uomo, piangendo per le cose relative a questa vita, scaccia tutte le malattie della sua anima, molto più colui che piange per i peccati, godrà della benedizione della moderazione.

9. Ma chi, si dirà, sarà in grado di ferire così il proprio cuore? Ascoltate Davide, che divenne illustre soprattutto per questo, e vedete la contrizione della sua anima. Dopo aver compiuto diecimila opere buone e quando stava per essere privato della patria, della casa e della vita stessa, proprio nel momento della sua calamità, vedendo un vile ed emarginato soldato comune calpestare la svolta della sua fortuna e disprezzarlo, in contraccambio lungi dal disprezzarlo, fermò del tutto uno dei suoi capitani che desiderava ucciderlo e disse: “Lascialo stare, perché il Signore glielo ha ordinato” (2 Sam 16,10). E ancora, quando i sacerdoti volevano portare con sé l’arca di Dio, non lo permise; ma cosa disse? Lasciatemi posare l’arca nel tempio e, se Dio mi libererà dai pericoli che mi stanno davanti, ne vedrò la bellezza; ma se mi dirà: “Non ho alcun piacere in te, ecco, sono qui; lascia che mi faccia ciò che gli sembra bene”. E ciò che fu fatto nei confronti di Saul, più e più volte, quale eccellenza di autocontrollo non dimostra? Sì, perché superò persino l’antica legge e si avvicinò alle ingiunzioni apostoliche. Per questo motivo sopportò con serenità tutto ciò che veniva dalle mani del Signore, senza contestare ciò che gli accadeva, ma mirando a un solo obiettivo: obbedire e seguire in tutto le leggi da Lui stabilite. E quando, dopo tante nobili azioni da parte sua, vide il tiranno, il parricida, l’assassino del suo stesso fratello, quell’ingiurioso, quel pazzo, possedere al suo posto il suo stesso regno, non si offese nemmeno un po’. Ma se questo piace a Dio, disse, che io sia inseguito, vaghi e fugga, e che lui sia in onore, io lo accetto, lo accetto e ringrazio Dio per le sue molte afflizioni. Non come molti sfaccendati e impudenti che, pur non avendo fatto la benché minima parte delle sue opere buone, se vedono qualche afflizione in prosperità e si scoraggiano un po’, si rovinano l’anima con diecimila bestemmie. Ma Davide non era così; anzi, dava prova di tutta la sua modestia. Per questo Dio disse: “Ho trovato Davide, figlio di Iesse, un uomo secondo il mio cuore”.

Acquistiamo anche noi uno spirito simile, e qualsiasi sofferenza sopporteremo con facilità e, prima del Regno, raccoglieremo qui il guadagno derivante dall’umiltà d’animo. Imparate, dice Egli, da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per le vostre anime. (Mt 11,29). Perciò, affinché possiamo godere del riposo sia qui che nell’aldilà, cerchiamo di impiantare con grande diligenza nelle nostre anime la madre di tutte le cose buone, cioè l’umiltà. In questo modo saremo in grado di attraversare il mare di questa vita senza onde e di terminare il nostro viaggio in quel porto tranquillo, per la grazia e l’amore verso l’uomo del nostro Signore Gesù Cristo, al quale sia gloria e potenza nei secoli dei secoli.

Amen.




San Giovanni Crisostomo, Sul Vangelo di Matteo, Omelia 2

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Omelia 3 (in traduzione)

Omelia 2

Matteo. I. 1.

“Il libro della generazione di Gesù Cristo, Figlio di Davide, Figlio di Abramo”.

Ricordate davvero l’invito che vi abbiamo rivolto di recente, supplicandovi di ascoltare tutte le cose che vengono dette con tutto il silenzio e la mistica quiete? Poiché oggi dobbiamo mettere piede nel santo vestibolo, perciò vi ho anche ricordato dell’invito fattovi.

Se i Giudei, quando dovevano avvicinarsi “al un monte che ardeva, al fuoco, al nero, alle tenebre e alla tempesta” (Es 19,1ss) – o meglio, quando non dovevano solo avvicinarsi, ma vedere e sentire queste cose da lontano – tre giorni prima avevano ricevuto l’ordine di astenersi dalle loro mogli e di lavare le loro vesti, ed erano in trepidazione e paura, sia loro che Mosè con loro; tanto più noi, quando dobbiamo ascoltare queste parole e non ci troviamo lontani dal monte fumante, ma entriamo nel cielo stesso, dovremmo mostrare una maggiore abnegazione; non lavare le nostre vesti, ma pulire la veste della nostra anima e liberarci da ogni mescolanza con le cose del mondo. Perché non vedrete il buio, né il fumo, né la tempesta, ma il Re stesso seduto sul trono di quella gloria indicibile, e gli angeli e gli arcangeli in piedi accanto a Lui, e le tribù dei santi, nelle loro miriadi interminabili.

Perché tale è la città di Dio, “la Chiesa dei primogeniti, gli spiriti dei giusti, l’assemblea generale degli angeli, il sangue dell’aspersione” (Eb 12,18ss), per cui tutti sono uniti in una sola cosa, e il cielo ha ricevuto le cose della terra e la terra le cose del cielo ed è venuta quella pace che anticamente era desiderata sia dagli angeli che dai santi.

Qui c’è il trofeo della croce, glorioso e cospicuo, le spoglie conquistate da Cristo, la primizia della nostra natura, il bottino del nostro Re; tutto questo, dico, lo conosceremo perfettamente dai Vangeli. Se ci seguite con calma, saremo in grado di condurvi dappertutto e di mostrarvi dove la morte è stata crocifissa e dove il peccato è stato impiccato, e dove si trovano le numerose e meravigliose offerte di questa guerra, di questa battaglia.

Vedrete anche il tiranno qui legato, e la moltitudine di prigionieri che lo segue, e la cittadella da cui quel demone empio ha invaso tutte le cose nel tempo passato. Vedrete i nascondigli e le tane dei briganti, ora smantellati e aperti, perché anche lì era presente il nostro Re.

Ma non vi stancate, beneamati, perché se qualcuno vi descrivesse una guerra visibile, trofei e vittorie, non vi sentireste affatto sazi; anzi, non preferireste né la bevanda né la carne a questa storia. Ma se questo tipo di narrazione è gradita, molto di più lo è questa. Considerate, infatti, che cosa c’è da ascoltare, come da una parte Dio dal cielo, che si è alzato dai troni reali, sia balzato giù (Sapienza 18,15) fino alla terra, e persino fino all’inferno stesso, e si sia schierato in battaglia; e come il diavolo, dall’altra parte, si sia schierato contro di Lui; o meglio, non contro il Dio svelato, ma contro il Dio nascosto nella natura dell’uomo.

E ciò che è meraviglioso è che vedrete la morte distrutta dalla morte, la maledizione estinta dalla maledizione e il dominio del diavolo abbattuto proprio da quelle cose per cui aveva prevalso. Svegliamoci dunque bene e non dormiamo, perché ecco, vedo le porte aprirsi per noi; ma entriamo con ordine e con tremore, mettendo subito piede nel vestibolo stesso.

2. Ma che cos’è questo vestibolo? Il libro della generazione di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo.

Che cosa dici? Non avevi promesso di parlare dell’Unigenito Figlio di Dio, e fai riferimento a Davide, un uomo nato dopo mille generazioni, e dici che è padre e antenato?

Fermati, non cercare di imparare tutto in una volta, ma dolcemente e a poco a poco. Perché, è nel vestibolo che vi trovate, proprio davanti al portico; perché allora vi affrettate verso il santuario interno? Per ora non hai ancora ben segnato tutto quello che c’è all’esterno. Infatti, per un po’ di tempo non vi dichiarerò l’altra generazione, o meglio, nemmeno quella che viene dopo, perché è impronunciabile e inenarrabile. E prima di me ve l’ha detto il profeta Isaia, il quale, annunciando la Sua passione e la Sua grande cura per il mondo, e ammirando chi era, cosa divenne e dove discese, gridò forte e chiaro, dicendo: “Chi narrerà la Sua generazione?

Non è dunque di questo che dobbiamo parlare ora, ma al di sotto di questo, di quello che ebbe luogo sulla terra, che si realizzò tra diecimila testimoni. E di questo racconteremo ancora, nella misura in cui ci sarà possibile, avendo ricevuto la grazia dello Spirito. Infatti, nemmeno questo può essere raccontato in modo del tutto chiaro, perché anche questo è veramente terribile. Non pensate dunque che si tratti di cose di poco conto quando sentite parlare di questa nascita, ma risvegliate la vostra mente e tremate subito quando vi viene detto che Dio è venuto sulla terra. Infatti, è stato così meraviglioso e al di là di ogni aspettativa che, a causa di queste cose, gli stessi angeli hanno formato un coro e, a nome del mondo, ne hanno fatto l’elogio, e i profeti fin dal primo momento si sono meravigliati del fatto che Egli fosse visto sulla terra e conversasse con gli uomini (Baruc 3,37). Sì, perché è ben al di là di ogni pensiero sentire che Dio, l’Innominabile, l’Impronunciabile, l’Incomprensibile e Colui che è uguale al Padre, è passato attraverso il grembo di una vergine e ha concesso di nascere da una donna e di avere Abramo e Davide come antenati. Ma perché dico Abramo e Davide? Perché, cosa ancora più sorprendente, ci sono quelle donne di cui abbiamo parlato ultimamente.

3. Sentendo queste cose, alzatevi e non supponete nulla di basso; ma anzi, proprio per questo dovreste soprattutto meravigliarvi che, essendo Figlio del Dio senza origine e suo vero Figlio, abbia sofferto di essere chiamato anche Figlio di Davide, per farvi diventare Figli di Dio. Ha sofferto che uno schiavo fosse come un padre per Lui, per rendere il Signore e Padre schiavo, per voi.

Vedete subito, fin dall’inizio, di che natura sono i Vangeli? Se dubitate delle cose che vi riguardano, da quelle che appartengono a Lui credete anche a queste. Perché è molto più difficile, a giudicare dalla ragione umana, che Dio si faccia uomo, che un uomo sia dichiarato Figlio di Dio. Quando dunque ti viene detto che il Figlio di Dio è figlio di Davide e di Abramo, non dubitare più che anche tu, figlio di Adamo, sarai figlio di Dio. Perché non a caso, né invano, Egli si è abbassato così tanto, ma solo per esaltarci. Così Egli è nato secondo la carne, affinché tu possa nascere secondo lo Spirito; è nato da una donna, affinché tu possa cessare di essere figlio di una donna.

Perciò la nascita è stata duplice: è stato reso simile a noi, ma anche superiore a noi. Infatti, nascere da una donna è stata la nostra sorte, ma nascere non da sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma dallo Spirito Santo (Gv 1,13) significava annunciare in anticipo la nascita che ci supera, la nascita futura, che Egli stava per darci liberamente dallo Spirito. E anche tutto il resto fu così. Così anche il suo battesimo, fu dello stesso tipo, perché partecipava dell’antico e partecipava anche del nuovo. L’essere battezzati dal profeta segnava l’antico, ma la discesa dello Spirito ombreggiava il nuovo. E come se uno si mettesse nello spazio tra due persone separate e, tendendo le mani, le afferrasse da una parte e dall’altra e le legasse insieme, così ha fatto Lui, unendo l’antica alleanza con la nuova, la natura di Dio con quella dell’uomo, le cose che sono sue con le nostre.

Vedete il bagliore della città, con quale grande splendore vi ha abbagliato fin dall’inizio? Come ha mostrato subito il Re nelle vostre stesse sembianze, come in un accampamento? Perché anche lì il re non appare sempre con la sua dignità, ma, lasciati da parte la porpora e il diadema, si traveste spesso con le vesti di un comune soldato. Ma lì è per evitare che, facendosi conoscere, attiri il nemico su di sé; qui, al contrario, per evitare che, se si facesse conoscere, faccia fuggire il nemico dal conflitto con Lui e confonda tutto il suo popolo, perché il suo scopo era salvare, non spaventare.

4. Per questo motivo gli ha dato subito questo titolo, chiamandolo Gesù. Infatti, questo nome, Gesù, non è greco, ma nella lingua ebraica è chiamato così; il che significa, se lo traduciamo nella lingua greca, il Salvatore. Ed è chiamato Salvatore perché ha salvato il suo popolo.

Vedete come ha messo le ali all’uditore, parlando di cose familiari e indicandoci allo stesso tempo cose al di là di ogni speranza? Voglio dire che entrambi i nomi erano ben noti agli ebrei. Infatti, poiché le cose che dovevano accadere erano al di là di ogni aspettativa, i tipi anche dei nomi precedevano, affinché fin dall’inizio fosse tolto il potere inquietante della novità. Così viene chiamato Gesù, come colui che dopo Mosè portò il popolo nella terra della promessa. Avete visto il tipo? Osservate la verità. Quello conduceva nella terra della promessa, questo in cielo e alle cose belle del cielo; quello, dopo che Mosè era morto, questo dopo che la legge era cessata; quello come capo, questo come re.

Tuttavia, per evitare che, avendo sentito la parola Gesù, siate perplessi a causa dell’identità del nome, ha aggiunto: Gesù Cristo, Figlio di Davide. Ma quell’altro non era di Davide, bensì di un’altra tribù.

5. Ma perché lo chiama libro della generazione di Gesù Cristo, mentre in questo libro non c’è solo la nascita, ma l’intera dispensazione? Perché è la somma di tutta la dispensazione ed è l’origine e la radice di tutte le nostre benedizioni. Come Mosè lo chiama libro del cielo e della terra, (Genesi 2,4) sebbene non abbia parlato solo del cielo e della terra, ma anche di tutte le cose che si trovano in mezzo ad essi, così anche quest’uomo ha chiamato il suo libro da ciò che è la somma di tutte le grandi cose fatte. Infatti, ciò che suscita stupore, al di là di ogni speranza e di ogni aspettativa, è che Dio si sia fatto uomo. Ma poiché questo è avvenuto, tutto ciò che segue ne è la ragionevole conseguenza.

6. Ma perché non ha detto: il Figlio di Abramo e poi il Figlio di Davide? Non è, come alcuni suppongono, che intenda procedere verso l’alto dal punto più basso, perché in tal caso avrebbe fatto come Luca, ma ora fa il contrario. Perché allora ha menzionato Davide? Quell’uomo era sulla bocca di tutti, sia per la sua distinzione, sia per il tempo, poiché non era morto da molto tempo, come Abramo. E sebbene Dio abbia fatto promesse a entrambi, l’uno, in quanto antico, è passato sotto silenzio, mentre l’altro, in quanto fresco e recente, è stato ripetuto da tutti. Essi stessi, ad esempio, dicono: “Cristo non viene forse dal seme di Davide e da Betlemme, la città dove si trovava Davide? [E nessuno lo chiamava Figlio di Abramo, ma solo Figlio di Davide; e questo perché quest’ultimo era più presente nella memoria di tutti, sia per il tempo, come ho già detto, sia per la sua regalità. In base a questo principio, tutti i re che hanno avuto in onore dopo il suo tempo sono stati chiamati da lui, sia dal popolo stesso che da Dio. Infatti, sia Ezechiele che altri profeti parlano di Davide che viene e risorge, non intendendo lui che era morto, ma coloro che emulavano le sue virtù. E a Ezechia dice: “Io difenderò questa città, per il mio bene e per il bene del mio servo Davide”. [E anche a Salomone disse che per amore di Davide non avrebbe dato ad altri il regno durante la sua vita. Perché grande era la gloria di quell’uomo, sia presso Dio che presso gli uomini.

Per questo motivo inizia subito da colui che era più conosciuto, per poi risalire fino a suo padre, ritenendo superfluo, per quanto riguarda i Giudei, portare la genealogia più in alto. Infatti, queste erano principalmente le persone che venivano ammirate: l’una come profeta e re, l’altra come patriarca e profeta.

7. “Ma da dove si evince che Egli proviene da Davide?” Si potrebbe dire. Infatti, se non è nato da un uomo, ma solo da una donna, e la Vergine non ha una genealogia, come possiamo sapere che era della stirpe di Davide? Così, sono due le cose che si chiedono: sia perché non viene espressa la genealogia di Sua madre, sia perché viene menzionato Giuseppe, che non ha alcuna parte nella nascita; poiché l’ultimo sembra essere superfluo, e la prima in difetto.

Di che cosa è dunque necessario parlare prima? Di come la Vergine provenga da Davide. Come facciamo a sapere che è da Davide? Ascoltate Dio che dice a Gabriele di andare da una vergine promessa sposa di un uomo (il cui nome era Giuseppe), della casa e della stirpe di Davide. Cosa volete che sia più chiaro di questo, quando avete sentito che la Vergine era della casa e della stirpe di Davide?

È quindi evidente che anche Giuseppe era della stessa stirpe. Sì, perché c’era una legge che imponeva di non prendere moglie da un’altra stirpe, ma dalla stessa tribù. E il patriarca Giacobbe predisse anche che Egli sarebbe sorto dalla tribù di Giuda, dicendo: “Non mancherà un capo da Giuda, né un governatore dai suoi lombi, finché non venga Colui per il quale è stato stabilito; Egli è l’attesa dei Gentili” (Gn 49,10).

Ebbene, questa profezia chiarisce sì che Egli era della tribù di Giuda, ma non anche che era della famiglia di Davide. C’era dunque nella tribù di Giuda una sola famiglia, quella di Davide, o non ce n’erano anche molte altre? E non poteva accadere che uno fosse della tribù di Giuda, ma non anche della famiglia di Davide?

Anzi, per evitare che possiate dire questo, l’evangelista ha eliminato questo vostro sospetto, dicendo che Egli era della casa e della stirpe di Davide.

E se volete apprendere questo anche da un’altra prospettiva, non ci mancherà un’altra prova. Infatti, non solo non era permesso prendere moglie da un’altra tribù, ma nemmeno da un’altra stirpe, cioè da un’altra parentela. Perciò, se colleghiamo alla Vergine le parole “della casa e della stirpe di Davide”, ciò che è stato detto è valido; se lo colleghiamo a Giuseppe, anche questo fatto è provato. Infatti, se Giuseppe fosse stato della casa e della stirpe di Davide, non avrebbe preso moglie da un’altra stirpe che non fosse quella da cui lui stesso era stato generato.

E allora, si dirà, se ha trasgredito la legge? Ma è per questo motivo che si è testimoniato in anticipo che Giuseppe era giusto, affinché non si dicesse questo, ma si fosse certi che egli non avrebbe trasgredito la legge. Infatti, colui che era così benevolo e libero da passioni da non voler, anche se spinto dal sospetto, tentare di infliggere una punizione alla Vergine, come avrebbe potuto trasgredire la legge per lussuria? Colui che mostrò saggezza e autocontrollo al di là della legge (perché allontanarla, e per di più in segreto, significava agire con autocontrollo al di là della legge), come avrebbe potuto fare qualcosa di contrario alla legge; e questo quando non c’era alcun motivo che lo spingesse?

8. Ora, che la Vergine fosse della stirpe di Davide è evidente da queste cose; ma il perché non sia scritta la sua genealogia, ma quella di Giuseppe, richiede una spiegazione. Per quale motivo allora? Non era legge tra i Giudei che la genealogia delle donne dovesse essere tracciata. Affinché dunque si attenesse all’usanza e non sembrasse che facesse delle modifiche fin dall’inizio, e tuttavia ci facesse conoscere la Vergine, per questo motivo ha taciuto i suoi antenati e ha tracciato la genealogia di Giuseppe. Infatti, se avesse fatto questo nei confronti della Vergine, sarebbe sembrato che introducesse delle novità; e se avesse passato sotto silenzio Giuseppe, non avremmo conosciuto gli antenati della Vergine. Perciò, affinché potessimo sapere, a proposito di Maria, chi fosse e di quale origine, e affinché le leggi rimanessero indisturbate, ha tracciato la genealogia del suo sposo e ha mostrato che era della casa di Davide. Infatti, quando questo è stato chiaramente dimostrato, viene dimostrato anche l’altro fatto, cioè che anche la Vergine proviene da lì, perché quest’uomo giusto, come ho già detto, non avrebbe sopportato di prendere una moglie di un’altra stirpe.

C’è anche un’altra ragione, che si potrebbe citare, di natura più mistica, a causa della quale i progenitori della Vergine sono stati passati sotto silenzio; ma non è il caso di dirlo ora, perché tanto è già stato detto.

9. Rimaniamo dunque a questo punto del nostro discorso sulle questioni, e nel frattempo conserviamo con precisione ciò che ci è stato rivelato; come, ad esempio, perché ha menzionato Davide per primo; perché ha chiamato il libro “libro della generazione”; per quale motivo ha detto “di Gesù Cristo”; come la nascita è comune e non comune; perché è stato dimostrato che Maria proviene da Davide; e perché la genealogia di Giuseppe è tracciata, mentre i suoi antenati sono passati sotto silenzio.

Infatti, se conservate queste cose, ci incoraggerete maggiormente rispetto a ciò che verrà; ma se le respingete e le cancellate dalla vostra mente, ci troveremo ancora più arretrati rispetto al resto. Proprio come nessun coltivatore si preoccuperebbe di prestare attenzione a un terreno che ha distrutto il seme precedente.

Perciò vi prego di ritornare su queste cose. Perché dalla riflessione su queste cose scaturisce nell’anima un grande bene, che tende alla salvezza. Infatti, grazie a queste meditazioni saremo in grado di piacere a Dio stesso; la nostra bocca sarà pura dagli insulti, dal turpiloquio e dal vilipendio, mentre si esercita in discorsi spirituali; saremo temibili per i demoni, mentre armiamo la nostra lingua con tali parole; attireremo maggiormente su di noi la grazia di Dio e renderemo il nostro occhio più penetrante. Infatti, sia gli occhi, sia la bocca, sia l’udito, Egli li ha posti in noi a questo scopo, affinché tutte le nostre membra possano servirLo, affinché possiamo pronunciare le Sue parole e compiere le Sue azioni, affinché possiamo cantarGli inni continui, affinché possiamo offrire sacrifici di ringraziamento e con questi purificare completamente le nostre coscienze.

Infatti, come il corpo è più sano quando gode dei benefici di un’aria pura, così l’anima è più dotata di saggezza pratica quando si nutre di esercizi come questi. Non vedete anche gli occhi del corpo che, quando stanno nel fumo, piangono sempre; ma quando sono all’aria pura, in un prato, in fontane e giardini, diventano più luminosi e più sani? Così è anche l’occhio dell’anima, perché se si nutre nel prato degli oracoli spirituali, sarà limpido, penetrante e rapido di vista; ma se si allontana nel fumo delle cose di questa vita, piangerà senza fine e si lamenterà sia ora che in seguito. Infatti le cose di questa vita sono come il fumo. Anche per questo uno ha detto: “I miei giorni sono venuti meno come fumo”. In effetti si riferiva alla loro brevità e alla loro inconsistenza, ma direi che dobbiamo prendere ciò che viene detto non solo in questo senso, ma anche per quanto riguarda il loro carattere torbido.

Infatti, nulla ferisce e offusca così tanto l’occhio dell’anima come la folla delle ansie mondane e lo sciame dei desideri. Perché sono la legna che alimenta questo fumo. E come il fuoco, quando si appoggia a qualsiasi combustibile umido e saturo, genera molto fumo; così anche questo desiderio, così veemente e bruciante, quando si appoggia a un’anima che è (per così dire) umida e dissoluta, produce a sua volta abbondanza di fumo. Per questo c’è bisogno della rugiada dello Spirito e di quell’aria che spegne il fuoco, disperde il fumo e dà ali ai nostri pensieri. Perché non è possibile, non è possibile che uno appesantito da così grandi mali si innalzi verso il cielo; è bene che, senza impedimenti, possiamo aprirci la strada verso di esso; o meglio, non è possibile nemmeno così, se non otteniamo le ali dello Spirito.

Ora, se c’è bisogno di una mente libera e di una grazia spirituale per salire a quell’altezza, cosa succede se non c’è nessuna di queste cose, ma attiriamo su di noi tutto ciò che è opposto ad esse, persino un macigno satanico? Come potremo salire verso l’alto, se siamo trascinati da un carico così grande? Infatti, se qualcuno cercasse di pesare le nostre parole come in una giusta bilancia, in diecimila talenti di discorsi mondani non troverebbe nemmeno cento penny di parole spirituali, anzi, direi, nemmeno dieci quattrini. Non è dunque una vergogna e un’estrema beffa che, se abbiamo un servo, ci serviamo di lui per lo più nelle cose necessarie, ma essendo in possesso di una lingua, non trattiamo il nostro membro così bene nemmeno come uno schiavo, ma al contrario lo usiamo per cose non redditizie o eccessive? E se fosse solo per eccesso: lo fa per cose contrarie e dannose e per nulla vantaggiose per noi. Infatti, se le cose che abbiamo detto fossero vantaggiose per noi, sarebbero certamente anche gradite a Dio. Invece, qualsiasi cosa il diavolo ci suggerisca, noi la diciamo tutta, ora ridendo, ora parlando in modo spiritoso; ora maledicendo e insultando, ora imprecando, mentendo e facendo falsi giuramenti; ora mormorando, ora facendo vane ciance, e parlando di sciocchezze più che di vecchie mogli; dicendo tutte cose che non ci riguardano.

Perché, ditemi, chi di voi qui presenti, se fosse richiesto, potrebbe ripetere un solo Salmo o qualsiasi altra parte delle Scritture divine? Non ce n’è uno.

E non è solo questo l’aspetto doloroso, ma il fatto che, mentre siete diventati così arretrati per quanto riguarda le cose spirituali, per quanto riguarda quelle che appartengono a Satana siete più impetuosi del fuoco. Così, se a qualcuno venisse in mente di chiedervi canzoni diaboliche e impure melodie effeminate, troverà molti che le conoscono perfettamente e le ripetono con molto piacere.

10. Ma qual è la risposta a queste accuse? Non sono, direte, uno dei monaci, ma ho moglie e figli, e la cura di una casa. Ecco, questo è ciò che ha rovinato tutto, il tuo supporre che la lettura delle Scritture divine appartenga solo a quelli, mentre tu ne hai bisogno molto più di loro. Infatti, coloro che abitano nel mondo e ogni giorno ricevono ferite, hanno più bisogno di medicine. Perciò è molto peggio non leggere e considerare la cosa addirittura superflua; perché queste sono parole di invenzione diabolica. Non sentite Paolo che dice che tutte queste cose sono state scritte per ammonirci? (1 Corinzi 10,11)

E voi, se doveste prendere in mano un Vangelo, non scegliereste di farlo con le mani non lavate; ma le cose che sono contenute in esso, non vi sembrano altamente necessarie? È per questo motivo che tutte le cose sono capovolte.

Infatti, se volete imparare quanto sia grande l’utilità delle Scritture, esaminate voi stessi come diventate ascoltando i Salmi e come ascoltando un canto di Satana; e come siete disposti quando state in una Chiesa e come quando siete seduti in un teatro; e vedrete che grande è la differenza tra lo stato di quest’anima e di quella, anche se entrambe sono una. Per questo Paolo disse: “Le comunicazioni cattive corrompono le buone maniere”. (1 Cor 15,33) Per questo motivo abbiamo continuamente bisogno di quei canti che servono come incantesimi dello Spirito. Sì, è per questo che primeggiamo sulle creature irrazionali, dato che rispetto a tutte le altre cose siamo addirittura estremamente inferiori a loro.

Questo è il cibo dell’anima, questo il suo ornamento, questa la sua sicurezza, mentre non ascoltare è penuria e spreco; perché io darò loro, dice Lui, non una fame di pane, né una sete d’acqua, ma una fame di ascoltare la parola del Signore. (Am 8,11)

Cosa può esserci di più miserabile? Quando il male stesso, che Dio minaccia come punizione, ve lo tirate addosso di vostra iniziativa, portando nella vostra anima una sorta di grave carestia e rendendola la cosa più debole del mondo? Perché la sua natura è quella di essere persa o di essere salvata dalle parole. Tutto ciò la porta all’ira, e lo stesso tipo di cose la rende mansueta: un’espressione sconcia è solita accendere la lussuria, e viene educata alla temperanza da discorsi pieni di gravità.

Ma se una parola ha semplicemente un potere così grande, dimmi, come mai disprezzi le Scritture? E se un ammonimento può fare cose così grandi, molto di più se l’ammonimento è fatto con lo Spirito. Sì, perché una parola delle Scritture divine, fatta risuonare all’orecchio, più che il fuoco ammorbidisce l’anima indurita e la rende adatta a tutte le cose buone.

11. Così anche Paolo, quando trovò i Corinzi gonfi e infiammati, li ricompose e li rese più premurosi. Infatti si vantavano proprio di quelle cose di cui avrebbero dovuto vergognarsi, nascondendo la faccia. Ma dopo che ebbero ricevuto la lettera, ascoltate il cambiamento che avvenne in loro, di cui il Maestro stesso ha reso testimonianza, dicendo: “Per questo stesso fatto, che vi siete afflitti per un destino divino, quale prudenza ha prodotto in voi, sì, quale pulizia di voi stessi, sì, quale indignazione, sì, quale zelo, sì, quale vendetta”. In questo modo riportiamo all’ordine servi e figli, mogli e amici, e rendiamo amici i nostri nemici.

In questo modo anche i grandi uomini, quelli che erano cari a Dio, divennero migliori. Davide, per esempio, dopo il suo peccato, quando ebbe il beneficio di certe parole, giunse al più eccellente pentimento; e anche gli apostoli, per questa via, divennero ciò che divennero, e attirarono dietro di loro il mondo intero.

E qual è il vantaggio, si dirà, quando uno ascolta ma non fa ciò che gli viene detto? Non sarà di poco conto nemmeno l’ascolto. Infatti, egli continuerà a condannare sé stesso e a gemere interiormente, e arriverà a tempo debito a fare le cose di cui si parla. Ma colui che non sa nemmeno di aver peccato, quando cesserà dalla sua negligenza? Quando condannerà sé stesso?

Non disprezziamo dunque l’ascolto delle Scritture divine. Perché questa è un’invenzione di Satana, che non ci permette di vedere il tesoro per non guadagnare le ricchezze. Per questo dice che l’ascolto delle leggi divine non è nulla, per non vedere che dall’ascolto acquisiamo anche la pratica.

Conoscendo dunque questa sua arte malvagia, fortifichiamoci contro di lui da tutte le parti, affinché, essendo recintati con questa armatura, possiamo sia rimanere inespugnati, sia colpirlo alla testa; e così, dopo esserci coronati con le gloriose corone della vittoria, potremo raggiungere i beni futuri, per la grazia e l’amore verso l’uomo del nostro Signore Gesù Cristo, al quale sia gloria e potenza nei secoli dei secoli.

Amen.




Neophytos di Morphou: UN MONACO MI SPIEGÒ LA LUCE INCREATA

Anche oggi c’è il popolo di Dio, il popolo santo. Sentono e vedono Dio e sentono la voce di Cristo nei loro cuori. Naturalmente, questo è solo quando i loro cuori sono purificati dallo Spirito Santo.

Per grazia di Dio, mi è stato concesso di incontrare alcuni di questi santi, a Cipro e in altri luoghi. Ti parlerò di uno di loro.

È un monaco. Un umile monaco. Un monaco crocifisso. Lo conoscevo prima di diventare anch’io un monaco. Abbiamo la stessa età, ma ha mostrato diligenza ed è sbocciato spiritualmente. Io sono salito al soglio episcopale, ma lui è disceso nell’umiltà di Cristo, nell’estrema umiltà. Solo lì il Signore si rivela. E mi descrisse come vedeva la Luce Increata della Santissima Trinità. Ma allora ero ignorante e non riuscivo a capirlo, così mi disse:

Despota, per capire com’è la Luce di Cristo, immagina alcune persone che si tuffano nell’acqua, o meglio, nuotano e si tuffano lì, nelle profondità del mare. Sentono le acque degli abissi che li abbracciano, li inghiottono e li avvolgono. Sembra di nuotare nelle sconfinate acque del mare. Questo è simile alla Luce Divina, quando un uomo è ritenuto degno di entrarvi. È una luce senza fine, infinita, senza inizio. Come il Signore non ha né inizio né fine, così la Sua Luce. Quando un uomo entra in questa Luce, sente con tutto il suo corpo come la Luce lo abbraccia e lo avvolge.

“Ma come fai a nuotare con questa luce?! Come puoi entrarci dentro e muoverti dentro?!”

“Questa Luce”, disse, “è piena di informazioni. Puoi porre a questa Luce diverse domande e lei risponderà a loro: domande di natura esperienziale, scientifica, etica, religiosa, spirituale. E sarai pieno di tali risposte che la tua mente non può comprendere, che la tua bocca non può parlare; la tua bocca non può pronunciarli. Ma a poco a poco si sentono, si capiscono e si percepiscono con il cuore».

Sono rimasto colpito da quello che mi ha detto.

“Sia conoscere Dio che contemplare la Luce avviene gradualmente.”

Allo stesso modo, non c’è fine alla crescita spirituale, né in questa vita né in quella dopo la morte. Per questo il Credo dice: “Il cui regno non avrà fine”.

Metropolita Neophytos di Morphou

ORIGINALE: https://orthochristian.com/150981.html?fbclid=IwAR34WPFdSM7_eVfduQQ0uco9ePn4q-dTWnCI9mhyTCBp5jWkGiclsYNbp44
13/02/2023




Dio è amore?

di padre Joseph Gleason

traduzione in italiano: http://www.ortodossiatorino.net/

Dio è santo. È un fuoco che consuma. È la via, la verità e la vita. Dio è molte cose. Ma non è amore. Almeno, non secondo il modo in cui il mondo abusa della parola “amore”.

Se accettiamo il modo in cui il mondo moderno definisce il termine “amore”, allora dovremmo concludere che Dio non è amore.

Se l’amore è ciò che due persone provano quando “si innamorano”, allora Dio non è amore.

Se l’amore è un’emozione potente che scorre nel cuore di due persone che “fanno l’amore”, allora Dio non è amore.

Se l’amore è ciò che provi quando desideri profondamente avere un’altra persona vicino a te, e non puoi immaginare di stare senza quella persona, allora Dio non è amore.

Dio non è un sentimento. Dio non è un’emozione. Dio non è un desiderio. Pertanto, Dio non è amore… almeno, non secondo il modo in cui il mondo abusa della parola “amore”.

L’amore per i pesci

È diventato famoso un video che descrive ciò che l’autore ama chiamare “l’amore per i pesci”. La sua storia è questa:

“Giovanotto, perché mangi quel pesce?”

“Perché amo il pesce.”

“Oh. Ami il pesce. Per questo l’hai tirato fuori dall’acqua, l’hai ucciso e l’hai bollito? Non dirmi che ami il pesce. Tu ami te stesso, e siccome ti piace il pesce, è per questo che l’hai tirato fuori dall’acqua, l’hai ucciso e l’hai bollito.”

Gran parte di ciò che oggi è chiamato “amore” è in realtà “amore per i pesci”. Una giovane coppia “si innamora”. Un uomo e una donna “si innamorano”. Che cosa significa? Ciò significa che l’uomo vede nella donna una persona che secondo lui potrebbe provvedere a tutti i suoi bisogni fisici ed emotivi, e la donna vede nell’uomo qualcuno che sente che potrà provvedere ai suoi bisogni. Ma ognuno cerca i propri bisogni. Questo non è amore per l’altro. L’altra persona diventa un veicolo per la propria gratificazione.

“La donna dei miei sogni” / “L’uomo dei miei sogni” = “Un veicolo per la mia gratificazione”.

Secondo la lingua moderna: “Amore” = “Lussuria”.

E se l’amore è uguale alla lussuria, allora Dio non è amore.

Il vitello d’oro

Più di 3000 anni fa, quando il diavolo convinse gli israeliti ad adorare il vitello d’oro nel deserto, fu subdolo. Conosceva il nome che essi usavano per Dio e non chiese loro di cambiarlo. Non disse: “Smettete di adorare il vostro dio e iniziate a pregare Baal, o Moloch, o qualche altro dio”. Invece, li convinse semplicemente a creare un idolo che non avesse alcuna somiglianza con Dio.

Il diavolo lasciò che conservassero la stessa parola per Dio, e mantenessero lo stesso sacerdozio che avevano prima. Li convinse solo a preparare un vitello d’oro, e a chiamare l’idolo con il nome di Dio. Il sommo sacerdote Aronne fece un proclama e disse:

“Domani sarà festa in onore del SIGNORE ” (Es 32:5)

Questo è lo stesso genere di cose che direbbero in altre situazioni, quando in realtà adoravano il Signore correttamente. La parola “SIGNORE” qui è una traduzione della parola ebraica “YHWH”, che è un nome proprio di Dio. In questo caso particolare, le parole non cambiano. L’unica cosa che cambia è la definizione di una parola particolare. La parola “SIGNORE” in precedenza si riferiva al Dio che aveva creato l’intero universo e che aveva miracolosamente condotto Mosè e gli Israeliti fuori dall’Egitto. Ma ora, in questo caso, la parola “SIGNORE” era usata in riferimento al vitello d’oro.

Cambiando la definizione di una parola, gli israeliti caddero nell’idolatria. Mentre le loro parole affermavano che stavano adorando il Signore, in verità stavano solo adorando una statua senza vita fatta d’oro.

Nelle culture in cui la religione indù è popolare, oggi le persone continuano ad adorare le mucche. Ma tra le culture che sono più tradizionalmente cristiane, il diavolo deve adottare un approccio leggermente diverso. Creare un vitello d’oro e chiamarlo “SIGNORE” non è abbastanza sottile da ingannare la maggior parte delle persone.

Quindi, invece di ridefinire la parola “SIGNORE” o la parola “Dio”, perché non ridefinire semplicemente una parola che è strettamente identificata con Dio?

Ridefinire l’amore

Uno dei passaggi più amati della Bibbia è 1 Giovanni 4:8, che dice esplicitamente:

“… Dio è amore.”

E naturalmente le Scritture parlano in modo veritiero. Ma questa verità è utile solo a coloro che sanno cos’è l’amore. Se il lettore pensa che l’amore sia un sentimento, o che l’amore sia il sesso, o che l’amore sia il punteggio più basso possibile in una partita di tennis, allora dire “Dio è amore” non farà altro che creare confusione.

Mi vengono in mente questi orribili versi di J.V. Cunningham:

DIO

Dio è amore. Allora per inversione

l’amore è Dio, e il sesso è conversione.

Difficilmente potrei convincermi a condividere con qualcuno una poesia così disgustosa, tranne per il fatto che essa riassume quasi perfettamente l’idolatria che è diventata dilagante oggi nella società occidentale, anche all’interno della Chiesa.

Il diavolo ha ridefinito la parola “amore” facendoci indicare il suo contrario. I poteri del male ci hanno convinto che l’amore non ha nulla a che fare con la pazienza, la responsabilità personale o il sacrificio di sé.

“L’amore” è così diventato il nuovo vitello d’oro, il nuovo idolo, il nuovo falso dio ai cui piedi è stato ordinato al mondo moderno di inchinarsi.

Siamo alimentati da una bugia costante su cosa significhi “amare”. E poi i fautori dell’inferno ci ricordano allegramente che “Dio è amore”. Con questo gioco di parole linguistico, ci dicono che Dio è lussuria, Dio è egoismo e che Dio è sodomia.

Ma se questo è “l’amore”, allora questo è precisamente ciò che Dio non è. Fingere il contrario è a dir poco idolatria. Non è diverso dall’erigere una statua di un vitello d’oro e chiamarlo “Gesù”.

“Gesù salva”, dici? Beh, no, questo non può salvare. Non questo “Gesù”.

“Dio è amore”, dici? Beh, no, sicuramente non lo è. Non questo “amore”.

La parola “amore” è usata più di trecento volte nella Sacra Scrittura. E non possiamo cambiare gli insegnamenti della Scrittura. La Bibbia parla dell’amore così spesso, e così ampiamente, che non possiamo permetterci di ignorarlo.

L’unica cosa ragionevole da fare è pentirci. Dobbiamo pentirci del modo in cui abbiamo abusato della parola “amore”. Dobbiamo pentirci della nostra idolatria.

Che cos’è l’amore?

Nella Scrittura, lo Spirito Santo ha ispirato l’apostolo Paolo a scrivere 1 Corinzi 13:4-6, fornendoci una corretta descrizione dell’amore:

  • L’amore è paziente
  • L’amore è gentile
  • L’amore non invidia
  • L’amore non si vanta
  • L’amore non è orgoglioso
  • L’amore non disonora gli altri
  • L’amore non è egoista
  • L’amore non si arrabbia facilmente
  • L’amore non tiene traccia dei torti
  • L’amore non si compiace del male
  • L’amore gioisce della verità

Esaminando questo elenco, è molto difficile vedere come qualcosa nei moderni movimenti di “amore libero” o “LGBT” abbia qualcosa a che fare con l’amore genuino. Dì a una coppia non sposata che è sbagliato fornicare e non ci sarà nulla di paziente o gentile nel modo in cui ti risponderanno. Spiega agli omosessuali che non hanno il diritto di andare a letto con chi vogliono e scopri tu stesso se si arrabbiano facilmente.

Se l’amore non è egoista, allora perché attribuiscono una priorità così alta al proprio piacere sessuale?

Se l’amore non si compiace del male, perché si compiace di ogni forma di attività sessuale condannata dalla Sacra Scrittura?

Se l’amore non è orgoglioso, perché organizzano parate di “orgoglio” omosessuale?

Sia che un uomo vada a letto con la sua ragazza, sia che vada a letto con un altro uomo, le sue azioni non hanno nulla a che fare con “l’amore”. Quando le sue azioni sono impazienti, scortesi e disonorevoli per gli altri, quando è invidioso, egocentrico e orgoglioso, quando si compiace del male e rifiuta la verità, e se glielo ricordi, si arrabbia molto facilmente, questo non è amore. Questo è l’opposto dell’amore.

Chi e’ l’amore?

Se comprendiamo veramente l’amore, allora siamo sinceri quando diciamo: “Dio è amore”.

Gesù è Dio. Gesù dunque è amore. Ciò significa che l’amore è diventato un uomo che ha camminato con noi sulla terra. L’amore ha affrontato i peccatori. L’amore ha detto alle persone di pentirsi, di amarsi l’un l’altro, di smettere di peccare.

L’amore ha insultato i falsi maestri, chiamandoli ipocriti, sepolcri imbiancati e serpenti. L’amore si è arrabbiato con le persone a cui mancava la compassione. L’amore ha fatto una frusta, ha rovesciato i tavoli e ha scacciato le persone che stavano profanando il tempio.

L’amore ha guarito i malati, ha ridato la vista ai ciechi e ha risuscitato i morti. L’amore ha ammonito le persone riguardo all’inferno e ha fornito loro un modo per entrare in paradiso. L’amore è sempre stato buono, ma l’amore non è sempre stato bello.

L’amore è la Risurrezione e la Vita. L’amore promette che tutti quelli che lo seguono vivranno per sempre.

L’amore è l’Alfa e l’Omega, l’inizio e la fine. L’amore dice che le persone sessualmente immorali avranno la loro parte nel lago di fuoco e zolfo, ovvero la seconda morte.

L’amore è paziente. Ci ha dato molte opportunità di pentimento. E se ci pentiamo, allora gioiremo con iui per sempre in cielo. Ma coloro che si rifiutano di pentirsi alla fine saranno gettati nelle fiamme eterne dell’inferno.

L’amore deve regnare, finché non metterà tutti i nemici sotto i suoi piedi.

E questo sarà davvero il punto in cui vince l’amore.




BASILIO MAGNO: Lettera 2, a Gregorio Nanzianzeno

LETTERA 2

Basilio a Gregorio.

1. [Ho riconosciuto la tua lettera, come si riconoscono i figli degli amici dalla loro evidente somiglianza con i genitori. Il tuo dire con cui descrivi il tipo di luogo in cui vivo, prima di farti sapere qualcosa su come vivo, non sarebbe servito a convincerti a condividere la mia vita; è proprio da te; è degno di un’anima come la tua, che non tiene conto di tutto ciò che riguarda questa vita qui, in confronto alla beatitudine che ci viene promessa nell’aldilà. Quello che faccio io stesso, giorno e notte, in questo luogo remoto, mi vergogno a scriverlo. Ho abbandonato la mia vita in città, come una vita che porta sicuramente a innumerevoli mali; ma non sono ancora riuscito a liberarmi di me stesso. Sono come i viaggiatori in mare, che non hanno mai fatto un viaggio prima, e sono angosciati e malati di mare, che litigano con la nave perché è così grande e fa un tale sballottamento, e, quando escono con la scialuppa, hanno sempre e ovunque mal di mare e angoscia. Ovunque vadano, la nausea e l’infelicità li accompagnano. Il mio stato è più o meno così. Porto con me i miei problemi e quindi ovunque mi trovo in mezzo a disagi simili. Così alla fine non ho ottenuto molto di buono dalla mia solitudine. Quello che avrei dovuto fare, quello che mi avrebbe permesso di tenermi vicino alle orme di Colui che mi ha indicato la via della salvezza – poiché Egli dice: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. (Mt 16,24)

2. Dobbiamo sforzarci di avere una mente tranquilla. Così come l’occhio non può capire un oggetto che gli viene posto davanti mentre vaga inquieto su e giù e di lato, senza fissarvi lo sguardo, così la mente, distratta da mille preoccupazioni mondane, non è in grado di comprendere chiaramente la verità. Chi non è ancora legato da vincoli matrimoniali è assillato da brame frenetiche, impulsi ribelli e attaccamenti senza speranza; chi ha trovato la sua compagna è circondato dal tumulto delle sue stesse preoccupazioni; se è senza figli, c’è il desiderio di averne; ha figli? L’ansia per la loro educazione, le attenzioni per la moglie, la cura della casa, la sorveglianza della servitù, le disgrazie nel commercio, le liti con i vicini, le cause legali, i rischi del mercante, la fatica del contadino. Ogni giorno, man mano che arriva, oscura l’anima a modo suo; e notte dopo notte riprende le ansie del giorno e inganna la mente con illusioni conformi. Ora, un modo per sfuggire a tutto questo è la separazione dal mondo intero; cioè, non la separazione corporea, ma la separazione della simpatia dell’anima con il corpo, e vivere così senza città, casa, beni, società, possedimenti, mezzi di vita, affari, impegni, apprendimento umano, in modo che il cuore possa ricevere prontamente ogni impronta della dottrina divina. La preparazione del cuore consiste nel disimparare i pregiudizi della cattiva conversazione. È come lisciare la tavoletta di cera prima di tentare di scriverci sopra.

3. Lo studio delle Scritture ispirate è il modo principale per trovare la via, perché in esse troviamo sia istruzioni sulla condotta che sulla vita di uomini benedetti, consegnate per iscritto, come immagini ispirate della vita divina, per l’imitazione delle loro buone opere. Perciò, in qualsiasi aspetto ciascuno si senta carente, dedicandosi a questa imitazione, trova, come in un dispensario, la medicina adatta al suo disturbo. Chi è innamorato della castità si sofferma sulla storia di Giuseppe e da lui impara le azioni caste, trovando in lui non solo il controllo di sé sul piacere, ma anche l’abitudine alla virtù. La sopportazione gli viene insegnata da Giobbe [che, non solo quando le circostanze della vita cominciarono a ritorcersi contro di lui e in un solo momento fu precipitato dalla ricchezza alla miseria, e dall’essere padre di bei figli all’assenza di figli, rimase lo stesso, mantenendo per tutto il tempo la disposizione d’animo intatta, ma non fu nemmeno spinto all’ira contro gli amici che vennero a confortarlo, lo calpestarono e aggravarono i suoi problemi]. Oppure, se si chiede come si possa essere allo stesso tempo miti e di gran cuore, coraggiosi contro il peccato, miti verso gli uomini, si troverà Davide nobile nelle imprese belliche, mite e non agitato per quanto riguarda la vendetta sui nemici. Così anche Mosè che si solleva con grande ardimento contro chi pecca contro Dio, ma con animo mite sopporta le loro malignità contro di lui. [Così, in generale, come i pittori, quando dipingono copiando da altri quadri, guardano costantemente il modello e fanno del loro meglio per trasferire i lineamenti nella propria opera, così anche colui che desidera rendersi perfetto in tutti i rami dell’eccellenza deve tenere gli occhi rivolti alla vita dei santi come a statue viventi e in movimento, e fare sua la loro virtù per imitazione.

4. Anche le preghiere, dopo la lettura, trovano l’anima più fresca e più vigorosa nell’amore verso Dio. È buona la preghiera che imprime nell’anima una chiara idea di Dio; e l’avere Dio stabilito in sé per mezzo della memoria è la dimora di Dio. Così diventiamo il tempio di Dio, quando la continuità del nostro ricordo non è interrotta da preoccupazioni terrene; quando la mente non è tormentata da sensazioni improvvise; quando l’adoratore fugge da tutte le cose e si ritira in Dio, allontanando tutti i sentimenti che lo invitano all’autoindulgenza, e trascorre il suo tempo nelle attività che portano alla virtù].

5. Anche questo è un punto molto importante a cui prestare attenzione: sapere come conversare; interrogare senza troppa serietà; rispondere senza desiderio di esibizione; non interrompere un proficuo oratore, o desiderare ambiziosamente di inserire una propria parola; misurarsi nel parlare e nell’udire; non vergognarsi di ricevere, o essere riluttante nel dare informazioni, né far passare la conoscenza di un altro per la propria, come le donne depravate i loro figli supposti, ma riferirla candidamente al vero genitore. Il tono medio della voce è il migliore, né così basso da essere impercettibile, né da essere considerato maleducato per il suo tono acuto. Si dovrebbe prima riflettere su ciò che si sta per dire, e poi esprimerlo: sii cortese quando ti si rivolge una parola; amabile nei rapporti sociali; non mirando a essere piacevole con la facezia, ma coltivando la gentilezza negli ammonimenti. La durezza va sempre messa da parte, anche nella censura. [Più mostri modestia e umiltà, più è probabile che tu sia accettabile per il paziente che ha bisogno del tuo trattamento. Ci sono però molte occasioni in cui faremo bene ad utilizzare il tipo di rimprovero usato dal profeta che non pronunciò di persona la sentenza di condanna su Davide dopo il suo peccato, ma suggerendo un racconto immaginario fece giudice di sé stesso il peccatore, in modo che, dopo aver emesso la propria condanna, non potesse rimproverare il veggente che lo aveva condannato.

6. Dallo spirito umile e sottomesso derivano l’occhio triste e abbattuto, l’aspetto trascurato, i capelli ruvidi, l’abito sporco; in modo che l’aspetto che chi è in lutto si preoccupa di presentare possa essere la nostra condizione naturale. La tunica deve essere fissata al corpo con una cintura, la quale non deve superare il fianco, come quella delle donne, né deve essere lasciata allentata, in modo che la tunica scivoli via, come quella di un fannullone. L’andatura non deve essere fiacca, il che dimostra un carattere privo di energia, né d’altra parte spinta e pomposa, come se i nostri impulsi fossero impetuosi e selvaggi. L’abbigliamento deve essere sufficiente sia in inverno che in estate. Per quanto riguarda i colori, evitate la luminosità; per quanto riguarda i materiali siano morbidi e delicati. Puntare su colori vivaci nel vestire è diventare come le donne che si abbelliscono quando colorano guance e capelli con tinte diverse dalle loro. La tunica deve essere abbastanza spessa da non richiedere altri aiuti per tenere caldo chi la indossa. Le scarpe devono essere economiche ma funzionali. In una parola, ciò che si deve considerare nel vestire è il necessario. Anche per quanto riguarda il cibo, per un uomo in buona salute il pane sarà sufficiente, e l’acqua placherà la sete; si possono aggiungere piatti di verdure che contribuiscono a rafforzare il corpo per lo svolgimento delle sue funzioni. Non si deve mangiare con un’esibizione di golosità selvaggia, ma in tutto ciò che riguarda i nostri piaceri mantenere la moderazione, la tranquillità e l’autocontrollo; e, in tutto ciò, non lasciare che la mente dimentichi di pensare a Dio, ma fare in modo che anche la natura del nostro cibo e la costituzione del corpo che lo assume, sia un motivo e un mezzo per offrire a Lui la gloria, ricordando come i vari tipi di cibo, adatti alle necessità del nostro corpo, siano dovuti alla disposizione del grande Amministratore dell’Universo. Prima della carne si ringrazi, come riconoscimento dei doni che Dio fa ora e di quelli che tiene in serbo per il tempo a venire. Dopo la cena si ringrazi in segno di gratitudine per i doni dati e di supplica per i doni promessi. Ci sia un’ora fissa per prendere il cibo, sempre la stessa in modo regolare, che di tutte le ventiquattro ore del giorno e della notte appena questa possa essere spesa per il corpo. Il resto l’asceta dovrebbe dedicarlo all’esercizio mentale. Che il sonno sia leggero e facilmente interrotto, come avviene naturalmente dopo una dieta leggera; dovrebbe essere volutamente interrotto da pensieri su grandi temi. Essere sopraffatti da un pesante torpore, con le membra non tese, in modo che si apra prontamente una via alle fantasie selvagge, significa immergersi nella morte quotidiana. Ciò che l’alba è per alcuni, questa mezzanotte è per gli atleti della pietà; allora il silenzio della notte dà riposo alla loro anima; nessun suono o visione nociva si intromette nei loro cuori; la mente è sola con sé stessa e con Dio, correggendosi con il ricordo dei suoi peccati, dandosi precetti per aiutarla a evitare il male, e implorando l’aiuto di Dio per il perfezionamento di ciò che desidera.]




San Giovanni Crisostomo, Sul Vangelo di Matteo, Omelia 1

Omelia 2 (in traduzione)

Omelia 1

In effetti, sarebbe opportuno che non avessimo affatto bisogno dell’aiuto della Parola scritta, ma che mostrassimo una vita così pura, che per le nostre anime la grazia dello Spirito fosse al posto dei libri e che come questi sono scritti con l’inchiostro, anche i nostri cuori lo fossero con lo Spirito. Ma poiché abbiamo completamente allontanato da noi questa grazia, veniamo, in ogni caso, ad abbracciare la seconda via migliore.

Perché che la prima via fosse migliore, Dio lo ha dimostrato sia con le sue parole che con le sue azioni. Da quando a Noè, ad Abramo e alla sua discendenza, a Giobbe e anche a Mosè, non parlò per mezzo di scritti, ma direttamente da Sé di Sé stesso, trovando la loro mente pura. Ma dopo che l’intero popolo ebraico era caduto nel baratro della malvagità, allora e in seguito si ebbe una parola scritta, delle tavole e l’ammonimento che viene dato da queste.

E questo si può intuire non solo per i santi dell’Antico Testamento, ma anche per quelli del Nuovo. Infatti, né agli apostoli Dio diede nulla per iscritto, ma invece di parole scritte promise che avrebbe dato loro la grazia dello Spirito, perché Egli, dice nostro Signore, vi farà ricordare ogni cosa. E perché possiate capire che questo era molto meglio, ascoltate ciò che dice il profeta: “Farò con loro una nuova alleanza, metterò le mie leggi nella loro mente, le scriverò nel loro cuore e saranno tutti ammaestrati da Dio” (Ger 31,33). E anche Paolo, sottolineando la stessa superiorità, disse che avevano ricevuto la legge non su tavole di pietra, ma su tavole di carne del cuore (2 Cor 3,2).

Ma poiché col passare del tempo fecero naufragio, alcuni per quanto riguarda le dottrine, altri per quanto riguarda la vita e le maniere, c’era di nuovo bisogno che fossero ricordati con la parola scritta.

2. Riflettete dunque su quanto sia grande il male per noi, che dovremmo vivere in modo così puro da non aver bisogno nemmeno di parole scritte, ma solo di consegnare i nostri cuori, come libri, allo Spirito; ora che abbiamo perso questo onore e siamo arrivati ad aver bisogno di queste ultime, veniamo meno al dovere di impiegare anche questo secondo rimedio. Infatti, se è una colpa avere bisogno di parole scritte e non aver fatto scendere su di noi la grazia dello Spirito, considerate quanto sia pesante l’accusa di non aver scelto di trarre profitto anche da questo aiuto, ma di trattare ciò che è scritto con negligenza, come se fosse stato gettato senza scopo e a caso, facendo così ricadere su di noi, aumentata, la nostra punizione.

Ma affinché non si verifichi un simile effetto, prestiamo rigorosa attenzione alle cose scritte e impariamo come sia stata data l’Antica Legge da un lato e la Nuova Alleanza dall’altra.

3. Come fu data la legge nel passato, quando e dove? Dopo la distruzione degli Egiziani, nel deserto, sul monte Sinai, quando dal monte si levavano fumo e fuoco, una tromba suonava, tuoni e fulmini, e Mosè entrava nella profondità della nube. Ma nella nuova alleanza non è così: né nel deserto, né su un monte, né con fumo e tenebre, né con nubi e tempeste; ma all’inizio del giorno, in una casa, mentre tutti erano seduti insieme, con grande tranquillità, tutto ebbe luogo. Infatti, per quelli che erano più irragionevoli e difficili da guidare, c’era bisogno di una magnificenza esteriore, come un deserto, un monte, un fumo, un suono di tromba e altre cose simili: ma coloro che erano di carattere più elevato e sottomesso, e che si erano elevati al di sopra della mera immaginazione corporea, sì, perché si trattava della rimozione della punizione, della remissione dei peccati, della giustizia, della santificazione, della redenzione, dell’adozione, dell’eredità del cielo e della relazione con il Figlio di Dio, che egli venne a dichiarare a tutti; ai nemici, ai perversi, a coloro che sedevano nelle tenebre. Che cosa potrebbe mai essere all’altezza di questa buona novella?

4. Dio sulla terra, l’uomo in cielo; e tutti si mescolarono, gli angeli si unirono ai cori degli uomini, gli uomini ebbero comunione con gli angeli e con le altre potenze in alto: e si poteva vedere la lunga guerra terminata e la riconciliazione tra Dio e la nostra natura, il diavolo svergognato, i demoni in fuga, la morte distrutta, il Paradiso aperto, la maledizione cancellata, il peccato eliminato, l’errore scacciato, la verità ritornata, la parola di Dio seminata ovunque e fiorente nella sua crescita, la polarità di coloro che sono in alto piantata sulla terra, quelle potenze in rapporti sicuri con noi, e sulla terra gli angeli continuamente perseguitati, e la speranza abbondante riguardo alle cose a venire.

Per questo ha chiamato questa storia “buona novella”, perché tutte le altre cose sono sicuramente solo parole senza sostanza, come, ad esempio, l’abbondanza di ricchezze, la grandezza del potere, i regni, le glorie e gli onori e qualsiasi altra cosa tra gli uomini sia considerata buona; ma quelle manifestate dai pescatori sarebbero legittimamente e propriamente chiamate buone novelle, non solo in quanto benedizioni sicure e inamovibili, e al di là dei nostri meriti, ma anche in quanto ci vengono date con ogni facilità. Infatti, non con fatica e sudore, non con fatica e sofferenza, ma semplicemente in quanto amati da Dio, abbiamo ricevuto ciò che abbiamo ricevuto.

5. E perché mai, quando c’erano tanti discepoli, due soli scrissero tra gli apostoli e due tra i loro seguaci? (Perché uno che era discepolo di Paolo e un altro di Pietro, insieme a Matteo e Giovanni, scrissero i Vangeli). Perché non facevano nulla per vanagloria, ma tutto per l’uso.

E allora? Non bastava un solo evangelista per raccontare tutto? Uno solo era sufficiente; ma se ci sono quattro che scrivono, non negli stessi tempi, né negli stessi luoghi, né dopo essersi riuniti e aver conversato tra loro, e poi dicono tutto come se uscissero da una sola bocca, questa diventa una grandissima dimostrazione della verità.

6. Ma si può dire che si è verificato il contrario, perché in molti punti sono stati condannati per discordanza. Anzi, proprio questo è una prova molto grande della loro verità. Infatti, se si fossero trovati d’accordo in tutto e per tutto, anche per quanto riguarda il tempo, il luogo e le parole stesse, nessuno dei nostri nemici avrebbe creduto se non che si fossero riuniti e avessero scritto ciò che hanno scritto con un accordo umano, perché un accordo così completo non viene dalla semplicità. Ma ora anche quella discordanza che sembra esistere in piccole questioni li libera da ogni sospetto e parla chiaramente a favore del carattere degli scrittori.

Ma se c’è qualcosa che riguarda i tempi o i luoghi, che essi hanno raccontato in modo diverso, questo non pregiudica la verità di ciò che hanno detto. E anche queste cose, per quanto Dio ce lo permetterà, cercheremo di farle notare man mano che procediamo, chiedendovi, insieme a ciò che abbiamo menzionato, di osservare che nei punti principali, quelli fondamentali per la nostra vita e che forniscono i capisaldi della nostra dottrina, in nessun luogo si trova che qualcuno di loro sia in disaccordo, e nemmeno di una qualche seppur piccola misura.

Ma quali sono questi punti? Quelli che seguono: Che Dio si è fatto uomo, che ha compiuto miracoli, che è stato crocifisso, che è stato sepolto, che è risorto, che è asceso, che giudicherà, che ha dato comandamenti che tendono alla salvezza, che ha introdotto una legge non contraria all’Antico Testamento, che è un Figlio, che è unigenito, che è un vero Figlio, che è della stessa sostanza del Padre, e tutte le cose simili; perché su queste troveremo un pieno accordo.

E se i miracoli non sono stati citati tutti, ma uno ha citato questi, l’altro quelli, non è un fatto che debba procurarvi turbamento. Infatti, se uno avesse parlato di tutti, il numero degli altri sarebbe stato superfluo; e se anche tutti avessero scritto cose nuove e diverse l’una dall’altra, la prova del loro accordo non sarebbe stata evidente. Per questo motivo tutti hanno trattato di molte cose in comune, e ognuno di loro ha anche ricevuto e dichiarato qualcosa di proprio; affinché, da un lato, non sembrasse superfluo e gettato nel mucchio senza scopo; dall’altro, rendesse perfetta la nostra prova della verità delle loro affermazioni.

7. Ora Luca ci dice anche il motivo per cui procede a scrivere: “perché ti possa rendere conto”, dice, “della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto”; (Luca 1,4) cioè, affinché, ricordandovi continuamente, manteniate la certezza e rimaniate nella certezza.

Ma per quanto riguarda Giovanni, egli stesso ha mantenuto il silenzio sulla causa; tuttavia, (come dice una tradizione che ci è giunta fin dai primi Padri) non ha scritto senza scopo; ma poiché era stata cura dei tre soffermarsi sul resoconto della dispensazione e le dottrine della Divinità stavano per essere lasciate in silenzio, egli, mosso da Cristo, si mise allora, e non prima di allora, a comporre il suo Vangelo. E questo è evidente sia dalla storia stessa, sia dall’incipit del suo Vangelo. Infatti, non inizia come gli altri dal basso, ma dall’alto, dallo stesso punto a cui mirava, ed è in vista di questo che compose l’intero libro. E non solo all’inizio, ma in tutto il Vangelo, egli è più elevato degli altri.

Di Matteo si dice ancora che quando coloro che tra i Giudei, avendo creduto, venivano da lui e lo pregavano di lasciare loro per iscritto quelle stesse cose che aveva detto loro a voce, egli compose anche il suo Vangelo nella lingua degli Ebrei. E anche Marco, in Egitto, si dice che abbia fatto la stessa cosa su richiesta dei discepoli.

Per questo motivo Matteo, scrivendo agli Ebrei, non volle mostrare altro se non che Egli proveniva da Abramo e da Davide; Luca, invece, parlando a tutti in generale, traccia un resoconto più alto, arrivando fino ad Adamo. L’uno inizia con la sua generazione, perché nulla era così rassicurante per il Giudeo come il fatto che Cristo fosse la discendenza di Abramo e di Davide; l’altro non fa così, ma menziona molte altre cose, e poi procede alla genealogia.

8. Ma l’armonia tra loro sarà stabilita sia dal mondo intero, che ha accolto le loro affermazioni, sia dagli stessi nemici della verità. Dal loro tempo, infatti, sono nate molte sette che sostengono opinioni opposte alle loro parole; alcune hanno accolto tutto ciò che hanno detto, mentre altre hanno tagliato via dal resto alcune parti delle loro affermazioni, tenendole così per sé. Ma se ci fosse stata contraddizione nelle loro affermazioni, le sette che sostengono la parte contraria non avrebbero ricevuto tutto, ma solo ciò che sembrava armonizzarsi con loro stesse; né quelle che hanno tagliato una parte, sarebbero state completamente confutate da quella parte; così che i frammenti stessi non possono essere nascosti, ma dichiarano ad alta voce la loro connessione con l’intero corpo. E come se si prendesse una parte qualsiasi del fianco di un animale, anche in quella parte si troverebbero tutte le cose di cui è composto l’intero corpo – nervi e vene, ossa, arterie e sangue, e un campione, come si direbbe, dell’intera massa – così anche per quanto riguarda le Scritture: in ogni porzione di ciò che vi è scritto, si può vedere chiaramente la connessione con l’intero. Se invece fossero stati in disaccordo, non sarebbe stato possibile evidenziarlo, e la dottrina stessa sarebbe stata da tempo vanificata: perché ogni regno, dice Egli, diviso contro sé stesso non può restare in piedi (Mc 3,24). Ma anche in questo risplende la forza dello Spirito, cioè nel vedere che ha fatto sì che questi uomini, impegnati com’erano nelle cose più necessarie e urgenti, non si facessero scrupolo di queste piccole questioni.

Ora, dove si trovasse ciascuno di loro quando scriveva, non è corretto per noi affermarlo in modo positivo. Ma che non si oppongano l’uno all’altro, cercheremo di dimostrarlo in tutta l’opera. E tu, accusandoli di disaccordo, fai proprio come se insistessi sul fatto che usano le stesse parole e le stesse forme di linguaggio.

9. E non dico ancora che coloro che si gloriano molto di retorica e filosofia, avendo molti di loro scritto molti libri che toccano gli stessi argomenti, non solo si sono espressi in modo diverso, ma hanno addirittura parlato in opposizione l’uno all’altro (perché una cosa è parlare in modo diverso e un’altra è parlare in modo opposto); nessuna di queste cose dico. Lungi da me l’idea di inquadrare la nostra difesa dal punto di vista della frenesia di quegli uomini, ne sono disposto a fare raccomandazioni per la verità a partire dalla falsità.

Ma sarei lieto di chiedere: come sono stati creduti i diversi resoconti? Come hanno prevalso? Come mai, pur dicendo cose opposte, furono ammirati, creduti, celebrati ovunque nel mondo?

Eppure i testimoni di ciò che dicevano erano molti, e molti erano anche gli avversari e i nemici. Infatti, non scrissero queste cose in un angolo e le seppellirono, ma dappertutto, per mare e per terra, le dispiegarono alle orecchie di tutti, e queste cose furono lette in presenza dei nemici, proprio come avviene ora, e nessuna delle cose che dissero offese nessuno. Questo avvenne, naturalmente, perché era una potenza divina che pervadeva tutto e lo faceva prosperare presso tutti gli uomini.

10. Infatti, se così non fosse, come avrebbero potuto il pubblicano, il pescatore e l’ignorante giungere a tale filosofia? Infatti, le cose che i non addetti ai lavori non hanno mai potuto immaginare, neppure in sogno, sono da questi uomini con grande sicurezza rese pubbliche e convincenti, e non solo in vita, ma anche dopo la morte: né a due uomini, né a venti uomini, né a cento, né a mille, né a diecimila, ma a città, nazioni e popoli, sia per terra che per mare, sia in terra di Greci che di barbari, sia abitata che deserta; e tutto ciò riguarda cose molto al di là della nostra natura. Infatti, lasciando la terra, tutti i loro discorsi riguardano le cose del cielo, mentre ci portano un altro principio di vita, un altro modo di vivere: ricchezza e povertà, libertà e schiavitù, vita e morte, il nostro mondo e la nostra politica, tutto cambiato.

Non come Platone, che ha composto quella ridicola Repubblica, o Zenone, o se c’è qualcun altro che ha scritto un’opera politica o ha elaborato leggi. Infatti, per quanto riguarda tutti questi, è stato reso manifesto da loro stessi che uno spirito malvagio, un demone crudele in guerra con la nostra razza, nemico del pudore e del buon ordine, che sovrasta ogni cosa, ha fatto sentire la sua voce nella loro anima. Quando, per esempio, rendono le loro donne comuni a tutti, e spogliano le vergini nella Palæstra, portandole sotto gli occhi degli uomini; e quando istituiscono matrimoni segreti, mescolando tutte le cose insieme e confondendole, e rovesciando i limiti della natura, che altro c’è da dire? Il fatto che questi loro detti siano tutte invenzioni diaboliche e contrarie alla natura, lo testimonierebbe anche la natura stessa, che non tollera ciò che abbiamo menzionato; e questo, anche se essi scrivono non in mezzo a persecuzioni, né a pericoli, né a lotte, ma in tutta sicurezza e libertà, e lo adornano con molti ornamenti di varia provenienza. Ma queste dottrine dei pescatori, inseguiti come erano, flagellati e in pericolo, sia i dotti che i non dotti, sia gli schiavi che i liberi, sia i re che i soldati semplici, sia i barbari che i greci, le hanno accolte con tutta la buona volontà.

11. E non si può dire che, poiché queste cose sono insignificanti e basse, fossero facilmente ricevibili da tutti gli uomini; anzi, queste dottrine sono molto più elevate di quelle altre. Infatti, per quanto riguarda la verginità, non ne hanno mai immaginato il nome nemmeno in sogno, né la povertà volontaria, né il digiuno, né altre cose elevate.

Ma quelli che sono dalla nostra parte non solo sterminano la lussuria, ma castigano non solo l’atto, ma anche lo sguardo non casto, il linguaggio ingiurioso, il riso disordinato, il vestito, l’andatura e il clamore, e portano avanti la loro esattezza anche nelle cose più piccole, e hanno riempito tutta la terra con la pianta della verginità. E anche per quanto riguarda Dio e le cose del cielo, convincono gli uomini di essere sapienti con una conoscenza che nessuno di loro è mai riuscito a concepire nella propria mente. Come avrebbero potuto, infatti, coloro che hanno creato per gli dei immagini di bestie, di mostri che strisciano sulla terra e di altre cose ancora più vili?

Eppure queste alte dottrine sono state accettate e credute, e fioriscono ogni giorno e aumentano mentre le altre sono passate e scomparse, più facilmente delle ragnatele.

Naturalmente, perché erano demoni quelli che manifestavano queste cose; perciò, oltre alla loro impurità, la loro oscurità è grande e il lavoro che richiedono maggiore. Infatti, cosa c’è di più ridicolo di quella repubblica in cui, oltre a ciò che ho menzionato, il filosofo, dopo aver speso righe a non finire per poter mostrare cos’è la giustizia, ha riempito il suo discorso di molta indistinzione oltre a questa prolissità? Questo, anche se contenesse qualcosa di utile, dovrebbe essere considerato di fatto inutile per la vita dell’uomo. Infatti, se il contadino e il fabbro, il costruttore e il pilota e tutti coloro che vivono del lavoro delle proprie mani, devono abbandonare il loro mestiere e le loro oneste fatiche e trascorrere un certo numero di anni per imparare che cos’è la giustizia, prima di averla imparata saranno distrutti dalla fame e moriranno a causa di questa giustizia, non avendo imparato nient’altro di utile da conoscere e avendo terminato la propria vita con una morte crudele.

12. Ma le nostre lezioni non sono tali; piuttosto Cristo ci ha insegnato ciò che è giusto, ciò che è opportuno, ciò che è conveniente e tutte le virtù in generale, comprendendole in poche e semplici parole: a volte dicendo che su due comandamenti si fondano la Legge e i Profeti; (Mt 22,40) cioè sull’amore di Dio e sull’amore del prossimo; a volte dicendo: “Tutto ciò che volete che gli uomini facciano a voi, fatelo anche voi a loro, perché questa è la Legge e i Profeti”. (Mt 7,12)

E queste cose, anche per un operaio, per un servo, per una donna vedova, per un bambino e per colui che sembra essere estremamente lento di comprendonio, sono tutte chiare da capire e facili da imparare. Perché le lezioni della verità sono così, e il risultato concreto ne è testimone. Tutti hanno imparato le cose che devono fare, e non solo le hanno imparate, ma ne sono stati anche emuli; e non solo nelle città o in mezzo ai mercati, ma anche sulle cime dei monti.

Sì, perché lì vedrete la vera saggezza abbondare, cori di angeli risplendere in un corpo umano e la comunità del cielo manifestarsi qui sulla terra. Anche questi pescatori descrissero per noi una comunità, non ordinando di abbracciarla fin dall’infanzia, come gli altri, né imponendo come legge che l’uomo virtuoso debba avere tanti anni, ma rivolgendo il loro discorso in generale a tutte le età. Perché quelle altre lezioni sono giocattoli per bambini, mentre queste sono la verità delle cose.

E come luogo per questa loro comunità hanno scelto il cielo, e Dio l’hanno introdotto come artefice e legislatore degli statuti che vi sono stabiliti, come del resto era loro dovere. E le ricompense del loro paese non sono foglie di alloro o di ulivo, né una porzione di carne nella sala pubblica, né statue di ottone, queste cose fredde e ordinarie, ma una vita che non ha fine, e diventare figli di Dio, unirsi al coro degli angeli, stare accanto al trono reale e stare sempre con Cristo. Le guide del popolo di questa comunità sono pubblicani, pescatori e fabbricanti di tende, non quelli che hanno vissuto per un breve periodo, ma quelli che vivranno per sempre. Per questo, anche dopo la loro morte, possono fare il massimo bene ai governati.

Questa repubblica non è in guerra con gli uomini, ma con i diavoli e le potenze incorporee. Perciò anche il loro capitano non è un uomo, né un angelo, ma Dio stesso. Anche l’armatura di questi guerrieri si adatta alla natura della guerra, perché non è formata da pelli e acciaio, ma dalla verità, dalla rettitudine, dalla fede e da ogni vero amore per la saggezza.

13. Poiché la suddetta repubblica è l’argomento su cui è stato scritto questo libro e ora ci viene proposto di parlarne, prestiamo attenzione a Matteo, che parla chiaramente di questo, perché ciò che dice non è suo, ma tutto di Cristo, che ha fatto le leggi per questa città. Prestiamo attenzione, dico, per essere in grado di iscriverci in essa e di brillare tra coloro che ne sono già diventati cittadini e attendono le corone incorruttibili. A molti, però, questo discorso sembra facile, mentre gli scritti profetici sono difficili. Ma questa è l’opinione di coloro che non conoscono la profondità dei pensieri in essi contenuti. Perciò vi prego di seguirci con molta diligenza, in modo da entrare nell’oceano stesso delle cose scritte, con Cristo come guida in questo nostro ingresso.

Ma affinché la parola sia più facile da imparare, vi preghiamo e vi scongiuriamo, come abbiamo fatto anche per le altre Scritture, di prendere in anticipo la parte della Scrittura che stiamo per spiegare, in modo che la vostra lettura possa preparare la strada per la vostra comprensione (come avvenne anche per l’eunuco – At 8,28), e così facilitare molto il nostro compito.

14. E questo perché le domande sono molte e frequenti. Si veda, ad esempio, subito all’inizio del suo Vangelo, quante difficoltà potrebbero essere sollevate una dopo l’altra. In primo luogo, perché viene tracciata la genealogia di Giuseppe, che non era il padre di Cristo. In secondo luogo, da dove si evince che Egli trae la sua origine da Davide, mentre non si conoscono gli antenati di Maria, che lo ha partorito, poiché la genealogia della Vergine non è tracciata? In terzo luogo, per quale motivo viene tracciata la genealogia di Giuseppe, che non ha nulla a che fare con la nascita; mentre per quanto riguarda la Vergine, che era la madre stessa, non si sa da quali padri, nonni o antenati sia stata generata.

E oltre a queste cose, vale la pena di chiedersi come mai, nel tracciare la genealogia attraverso gli uomini, abbia menzionato anche le donne; e perché, avendo deciso di farlo, non le abbia menzionate tutte, ma, tralasciando le più eminenti, come Sara, Rebecca e tutte le altre simili, abbia menzionato solo quelle famose per qualche malefatta, come, ad esempio, se qualcuna fosse stata una prostituta o un’adultera, o una madre nata da un matrimonio illecito, se qualcuna fosse stata una straniera o una barbara. Infatti, ha menzionato la moglie di Uria, di Thamar, di Rahab e di Ruth, di cui una era di razza straniera, un’altra una prostituta, un’altra ancora era stata contaminata da un suo parente prossimo, e non in un rapporto matrimoniale, ma con un rapporto rubato, quando aveva indossato la maschera della prostituta; e della moglie di Uria nessuno ignora nulla, a causa della notorietà del crimine. Eppure l’evangelista ha tralasciato tutte le altre e ha inserito nella genealogia solo queste. Al contrario, se le donne dovevano essere menzionate, dovevano esserlo tutte; se non tutte, ma solo alcune, allora quelle famose per le virtù e non per le azioni malvagie.

Vedete quanta cura ci viene richiesta subito all’inizio? Eppure l’inizio sembra essere più semplice del resto; per molti forse addirittura superfluo, essendo una mera numerazione di nomi.

Dopo questo, un altro punto merita di essere indagato: perché ha omesso tre re? Se, infatti, a causa della loro empietà, avesse taciuto i loro nomi, non avrebbe dovuto menzionare neanche gli altri che erano come loro. E questa è un’altra domanda: perché, dopo aver parlato di quattordici generazioni, non ha mantenuto il numero nella terza divisione?

E per questo Luca ha menzionato altri nomi, e non solo non tutti uguali, ma anche molti di più, mentre Matteo ne ha di meno e di diversi, pur avendo concluso anch’egli con Giuseppe, con cui anche Luca ha concluso.

Vedete quanto sia necessaria una vigile attenzione da parte nostra, non solo per spiegare, ma anche per imparare quali cose dobbiamo spiegare. Non è una cosa da poco, infatti, riuscire a scoprire le difficoltà; c’è anche un altro punto difficile, ovvero come Elisabetta, che era della tribù levitica, fosse parente di Maria.

15. Ma per non sovraccaricare la vostra memoria, mettendo insieme molte cose, fermiamo qui il nostro discorso per un po’ di tempo. Perché è sufficiente per voi, affinché siate ben svegliati, che impariate solo le domande. Ma se desiderate anche la loro soluzione, anche questo dipende da voi stessi, prima di parlare nuovamente. Infatti, se vi vedo ben svegli e desiderosi di imparare, mi sforzerò di aggiungere anche la soluzione; ma se siete a bocca aperta e non partecipate, nasconderò sia le difficoltà che la loro soluzione, in obbedienza a una legge divina. Infatti, Egli dice: “Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino” (Mt 7,6).

Ma chi è che le calpesta? Colui che non considera queste cose preziose e venerabili. E chi è così miserabile da non considerare queste cose venerabili e più preziose di tutte? Colui che non vi dedica tanto tempo libero quanto alle prostitute nei teatri di Satana. Lì, infatti, la moltitudine passa l’intera giornata e rinuncia a non poche delle proprie faccende domestiche per questo impiego fuori dai normali schemi, e conserva con esattezza tutto ciò che ha ascoltato, anche se a danno della propria anima. Ma qui, dove Dio sta parlando, non sopportano di indugiare nemmeno un po’.

Perciò, vi avverto, non abbiamo nulla in comune con il Cielo, infatti la nostra cittadinanza non va oltre le parole. Eppure, per questo motivo, Dio ha minacciato persino l’inferno, non per gettarci lì, ma per convincerci a fuggire da questa terribile tirannia. Ma noi facciamo il contrario e percorriamo ogni giorno la strada che ci porta lì, e mentre Dio ci ordina non solo di ascoltare, ma anche di fare ciò che dice, noi non ci sottomettiamo nemmeno ad ascoltare.

Quando dunque, vi prego, faremo ciò che ci è stato comandato e metteremo mano alle opere, se non sopportiamo nemmeno di ascoltare le parole che le riguardano, ma siamo impazienti e inquieti per il tempo che restiamo qui, anche se è molto breve?

16. E poi, quando parliamo di cose indifferenti, se vediamo che quelli che sono in compagnia non partecipano, chiamiamo ciò che fanno un insulto; ma riteniamo forse di provocare Dio se, mentre Egli parla di queste cose, disprezziamo ciò che viene detto e guardiamo da un’altra parte? Chi è ormai vecchio e ha viaggiato per molti paesi, ci riferisce con esattezza il numero di stadi, la posizione delle città, i loro piani, i loro porti e mercati; ma noi stessi non sappiamo nemmeno quanto siamo lontani dalla città che è in cielo. Se avessimo conosciuto la distanza, avremmo cercato di accorciarla. Quella città non solo è lontana da noi come il cielo dalla terra, ma anche molto di più, se siamo negligenti; come, d’altra parte, se facciamo del nostro meglio, anche in un solo istante arriveremo alle sue porte. Infatti, queste distanze non sono definite dallo spazio locale, ma dalla disposizione morale.

Ma voi conoscete esattamente gli affari del mondo, sia quelli nuovi che quelli vecchi, e anche quelli più antichi; potete elencare i principi sotto i quali avete servito in passato, e i capi dei giochi, e quelli che hanno vinto il premio, e i capi degli eserciti, cose che non vi interessano; ma chi è diventato il capo di questa città, il primo o il secondo o il terzo, e per quanto tempo, ognuno di loro; e ciò che ognuno ha compiuto e portato a termine, non l’avete immaginato nemmeno in sogno. E le leggi che sono state stabilite in questa città non sopportate di sentirle, né le osservate, anche quando altri ve le raccontano. Come pensi dunque, ti prego, di ottenere le benedizioni promesse, se non ascolti nemmeno ciò che ti viene detto?

17. Ma anche se mai prima d’ora, ora, in ogni caso, facciamolo. Sì, perché stiamo per entrare in una città (se Dio lo permette) d’oro e più preziosa di qualsiasi altro oro. Segniamo allora le sue fondamenta, le sue porte costituite da zaffiri e perle; perché in effetti abbiamo in Matteo una guida eccellente. Infatti, attraverso la sua porta entreremo ora, ed è richiesta molta diligenza da parte nostra. Perché se vede qualcuno non attento, lo caccia dalla città. Sì, perché la città è molto regale e gloriosa; non come le nostre città, divise in una piazza del mercato e in corti reali, perché lì tutto è la corte del Re. Apriamo dunque le porte della nostra mente, apriamo le nostre orecchie e con grande tremore, quando siamo sul punto di mettere piede sulla soglia, adoriamo il Re che è lì. Infatti, il primo approccio ha il potere di confondere subito l’osservatore.

Per ora troviamo le porte chiuse; ma quando le vedremo aperte (perché questa è la soluzione delle difficoltà), allora percepiremo la grandezza dello splendore all’interno. Perché anche lì, guidandovi con gli occhi dello Spirito, c’è uno che si offre di mostrarvi tutto: questo pubblicano. Dove siede il Re e chi della sua schiera sta accanto a Lui; dove sono gli angeli, dove gli arcangeli; e quale posto è riservato ai nuovi cittadini in questa città, e che tipo di strada è quella che vi conduce, e che tipo di porzione hanno ricevuto, i primi che vi sono stati cittadini, e quelli dopo di loro, e quelli che li hanno seguiti. E quanti sono gli ordini di queste tribù, quanti quelli del senato, quante le distinzioni di dignità.

Non entriamo dunque con rumore o tumulto, ma con un mistico silenzio. Perché se in un teatro, quando si fa un grande silenzio, si leggono le lettere del re, tanto più in questa città tutti devono essere composti e stare con l’anima e l’orecchio eretti. Perché non sono le lettere di un maestro terreno, ma del Signore degli angeli, che stanno per essere lette.

Se ci ordiniamo in questo modo, la grazia stessa dello Spirito ci condurrà a una grande perfezione, e arriveremo al trono regale e raggiungeremo tutti i beni, per la grazia e l’amore verso l’uomo del nostro Signore Gesù Cristo, al quale sia la gloria e la potenza, insieme al Padre e allo Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli.

Amen.




GIOVANNI NANO

EVERGHETINòS

5,10. A una giovane di nome Taisia morirono i genitori, ed essa rimase orfana. Allora fece della sua casa un ospizio per gli stranieri, secondo un pensiero dei Padri di Scete e per molto tempo continuò ad accoglierli e a servirli.  Ma poi, una volta consumato tutto ciò che aveva, cominciò ad essere nell’indigenza, e uomini perversi si misero con lei e la distolsero dal suo buon proposito.  E in seguito visse male, al punto che arrivò a prostituirsi.

I Padri lo vennero a sapere e ne furono grandemente rattristati.  Chiamarono abbà Giovanni Nano e gli dissero: “Abbiamo saputo della sorella tale che vive malamente. Essa quando poteva ha mostrato carità nei nostri confronti e adesso noi vogliamo aiutarla come possiamo. Preoccupati dunque di andare da lei e, con la sapienza che Dio ti ha data, vedi di sistemare le sue cose».

L’anziano si recò da lei e disse alla vecchia che stava alla porta: «Annunciami alla tua padrona». Ma quella lo mandò via dicendo: «Prima voi avete divorato i suoi beni, e adesso eccola povera!».  Le dice l’anziano: «Dille che vengo appunto per aiutarla». La vecchia allora andò a dirle dell’anziano. E la giovane disse: «Questi monaci passano sempre lungo il Mar Rosso e trovano delle perle».  Si adornò, sedette sul letto e disse alla portinaia: «Portalo da me». Abbà Giovanni entrò, si sedette accanto a lei e, fissandola in viso, le disse: «Che hai da lamentarti di Gesù, per essere arrivata a questo punto?». A queste parole, essa restò agghiacciata. L’anziano, chinata la testa, si mise a piangere a dirotto. E lei: «Abbà, perché piangi?». Egli fece un cenno e, piegandosi di nuovo, le dice: «Vedo satana scherzare sul tuo volto e non dovrei piangere?». Allora la ragazza gli chiese: «C’è penitenza, abbà?».  E l ‘anziano: «Sì».  E lei: «Portami dove vuoi». E l’anziano: «Andiamo».  Essa si alzò subito e lo seguì.

L’anziano notò che essa non aveva dato alcuna disposizione per la sua casa e se ne stupì. La sera li colse quando erano ormai vicini al deserto. L’anziano fece per lei un piccolo cuscino, vi fece sopra un segno di croce e le disse:

«Dormi qui». Fece lo stesso per sé a poca distanza, disse le sue preghiere e si sdraiò anche lui. Si svegliò intorno a mezzanotte e vide come una strada di luce che dal cielo arrivava a lei, e vide gli angeli di Dio che portavano in alto la sua anima. Allora si alzò, andò da lei, la toccò col piede; vedendo che era morta, si gettò col viso a terra, pregando Dio, e udì una voce che diceva: «Un’ora del suo pentimento è stata accolta più della penitenza di anni di altri che non danno prova di così fervido pentimento».

1. Raccontavano del padre Giovanni Nano che, ritiratosi a Scete presso un anziano della Tebaide, visse nel deserto. Il suo padre, preso un legno secco, lo piantò e gli disse di innaffiarlo ogni giorno con un secchio d’acqua, finché non desse frutto. L’acqua era tanto lontana che doveva partire alla sera per essere di ritorno al mattino. Dopo tre anni il legno cominciò a vivere e a dare frutti. L’anziano li colse e li portò ai fratelli radunati insieme, dicendo: «Prendete, mangiate il frutto del­l’obbedienza» (204c; PJ XIV, 3).

2. Raccontavano che il padre Giovanni Nano disse un giorno al suo fratello maggiore: «Vorrei essere libero da ogni preoccupazione come lo sono gli angeli, che non fanno nessun lavoro, ma adorano Dio incessantemente». Si tolse quindi il mantello e se ne andò nel deserto. Trascorsa una settimana, ritornò dal fratello e bussò alla porta. Questi, prima di aprirgli, gli chiese: «Chi sei?». Disse: «Sono io, Giovanni, tuo fratello!». Ma l’altro replicò: «Giovanni è divenuto un angelo, non è più tra gli uomini». Giovanni supplicava: «Sono io». Ma il fratello non gli aprì e lo lasciò tribolare fino al mattino. Infine lo fece entrare e gli disse: «Sei un uomo, devi ancora lavorare per vivere». Allora si prostrò e disse: «Perdonami» (204d-205a; PJ X, 27)

8. Il padre Giovanni Nano era seduto un giorno davanti alla chiesa. Si radunarono attorno a lui i fratelli e lo interrogavano sui loro pensieri. Vedendo questo, un anziano, tentato d’invidia, disse: «Giovanni, il tuo calice è colmo di veleno!». «È proprio così, padre – gli dice Giovanni –, e dici questo benché tu veda soltanto l’esterno. Se tu vedessi l’interno, cosa avresti da dire?» (PJ XVI, 3).

10. Una volta dei fratelli si recarono dal padre Giovanni Nano per metterlo alla prova, poiché non permetteva alla sua mente di vagare né parlava di alcuna cosa di questo mondo. Gli dicono: «Ringraziamo Dio, perché quest’anno è piovuto molto, le palme hanno bevuto e mettono rami e i fratelli trovano il loro lavoro». Il padre Giovanni dice loro: «Così lo Spirito Santo: quando scende nel cuore degli uomini, essi si rinnovano e mettono rami nel timore di Dio» (PJ XI, 13).

13. Il padre Poemen raccontava che il padre Giovanni Nano aveva pregato Dio e furono allontanate da lui le passioni e fu liberato da ogni sollecitudine. Si recò allora da un anziano e gli disse: «Mi trovo nella quiete, e non devo sostenere nessuna lotta». Gli disse il vecchio: «Va’ e prega Dio perché sopraggiunga su di te la lotta e tu ne tragga quella contrizione ed umiltà che avevi prima. È attraverso la lotta che l’anima progredisce». L’altro pregò Dio per questo e, quando giunse la lotta, non pregò più perché la allontanasse da lui. Chiedeva invece: «Dammi, Signore, pazienza nei combattimenti» (208bc; PJ VII, 8).

16. Parlando dell’anima che vuole convertirsi, l’anziano disse ancora al fratello: «Vi era in una città una bella meretrice, che aveva molti amanti. Un giorno si recò da lei un principe, e le disse: – Promettimi che sarai casta, e io ti prenderò per moglie! Glielo promise, ed egli la prese e la condusse in casa sua. Ma i suoi amanti la cercarono e dissero: – Quel principe l’ha presa con sé: perciò, se andiamo alla porta di casa sua e se ne accorge, ci castiga. Ma se andiamo dietro a casa e fischiamo, lei riconoscerà il fischio, scenderà da noi, e non sarà scoperta la nostra colpa. Ma essa, al suono del fischio, si chiuse le orecchie, andò nella parte più interna delle sue stanze, e chiuse le porte». Il padre Giovanni spiegò che la meretrice è l’anima, i suoi amanti sono le passioni e gli uomini; il principe è Cristo; i recessi della casa sono la dimora eterna; quelli che fischiano sono i demoni malvagi. Ma essa si rifugia sempre nel Signore (209bc).




Anziano Iosif l’Esicasta: Lettere 18

Lettera 18.

E ANCORA MI RIALZAI E ATTACCAI BATTAGLIA CONTRO TUTTI GLI SPIRITI

Ciò che ti è capitato, figlio mio, mostra che hai molta vanagloria, che hai una grande opinione di te stesso. Per questo non hai uno spirito di condiscendenza e di umiltà. Ma credi di non cadere più, di non fare disobbedienza, di non subire cambiamento, ma di vivere una vita inalterabile, ciò che non è della natura degli uomini.

Ti è stato già detto che soffri di una grande mancanza di conoscenza, la quale genera l’arroganza. Fa’ attenzione dunque, figlio mio, e fuggi l’ignoranza, la madre di ogni male. L’ignoranza del bene è tenebra dell’anima. Se l’uomo non combatte col Cristo, che è la luce, non può essere riscattato dal principe della tenebra, il diavolo.

Ecco, mi è testimonio il Signore che fa perire i mentitori con le (loro) menzogne, sono venticinque anni e più che, in questo mondo, versando sangue lotto furiosamente contro i demoni. Sono disceso nel profondo del mare, spoglio di piacere a me stesso e della mia volontà, per poter trovare la preziosissima perla (Mt 13,46). Ho soggiogato lo stesso satana con tutto il suo esercito, scienza ed arte. E avendolo incatenato per mezzo dell’umiltà gli chiedo: “Perché hai tanto furore contro di noi e ci combatti con tanta ira?”. E mi dice: “Per poter avere molti compagni nell’inferno e per vantarmi di fronte al Nazareno che io non sono l’unico trasgressore, ma ecco molti altri sono assieme a me!”.

Di nuovo poi sono asceso ai cieli tramite la grazia e la contemplazione spirituale e ho visto le bellezze ineffabili del Paradiso, quelle cose che Dio ha preparato per coloro che lo amano (1 Cor 2,9) .

Dopo tutto ciò la grazia mi fu tolta un po’ e i miei piedi per un poco vacillarono (Sal 72,2). Caddi in una leggera negligenza, il sonno mi fece suo prigioniero e mi privò di molti beni. Ma di nuovo dopo un po’ mi rialzai, attaccai guerra e sanguinosa battaglia e, dopo aver ancora vinto, precipitai nella sonnolenza.

La madre di ogni male, la negligenza, mi mangiava ancora le ossa. Ma mi rialzai un’altra volta e attaccai battaglia contro tutti gli spiriti.

Per otto anni, all’inizio, lottai contro le passioni carnali. Non ho mai dormito (steso) sul fianco ma in piedi o seduto. Mi bastonavo due o tre volte al giorno, gemendo e piangendo, affinché Dio avesse pietà di me, togliendomi la guerra. Fino a quando Colui che è tutto misericordioso ebbe compassione di me e tolse di mezzo il furore di satana. Ed ora ti dipingo in breve i miei innumerevoli patimenti, ne do a te una goccia dal mare.

Durante tutte le notti battaglioni di demoni, con legni, scuri e qualunque altra cosa ci può essere di nocivo, mi tormentarono furiosamente per otto anni interi. Chi (tirava) la mia barbetta allora piccola, chi i capelli, i piedi, le mani, e ogni specie di mali e di tormenti. Tutti gridavano: “Soffocatelo! Omicidio!”. Solamente col nome di Cristo e della nostra Tuttasanta scomparivano e la loro potenza veniva dissolta. Infine il Signore mi usò misericordia e mi estrasse dalle profondità e del pozzo di pena. Ed ora, figlio mio, divengo stolto (2 Cor 12,11) nell’annunciarti queste cose, ma te le ho dette, e continuo a dirti le seguenti, credendo di procurarti utilità.

Adesso dunque, da giovane (qual ero), nel fiore dell’età, mi sono invecchiato cosi da sembrare centenario a causa delle sofferenze per i molti cambiamenti. Prima di tutto tramite il lavoro delle mie mani, come hai visto da ciò che ti ho mandato, guadagno il mio pane con sudore (Gen 3,19; 1 Cor 4,12; 1 Ts 2,9; 2Ts 3,8). Vengono da diversi monasteri o skiti dell'(Aghion) Oros e, per grazia divina, diciamo quelle cose elargite dal Signore. per l’utilità (di tutti).

Lavoro mentalmente[1] e adempio con esattezza i miei doveri monastici. Nel corso delle notti, per diverso tempo, quando la mente si è affaticata nella preghiera, scrivo non poche lettere, con le quali i cristiani in molti modi mi chiedono un beneficio. E dopo tutte queste cose che hai sentito, cado (vittima) dell’abbattimento perché non faccio la volontà del mio Signore. Dico piangendo: Chi conosce se quello che faccio è gradito al mio Signore o se mi inganno, (se) predicando agli altri, io rimango riprovato (1 Cor 9,27)? Non è manifesta a me infatti la divina volontà del mio Signore. Chi ha conosciuto la mente del Signore (Rm 11,14), o chi starà davanti a Lui, se osserva i peccati (Sal 129,3)?

Tu dunque, figlio mio, per una disobbedienza hai gettato via tutte le armi? Per la parola di un demonio abdichi alla lotta? Dove (mai) hai visto tu l’inverno? Dove tempeste di neve? Dove schiere e reggimenti di demoni che ti minacciano? Ti spaventi per la minaccia di un solo demonio? Ma non credere mai a quelle cose che dice! Poiché è mentitore dall’inizio (Gv 8,44) e non ha nessuna forza contro di noi, se non solo quando siamo trovati nella superbia e nell’ignoranza. Costoro (i demoni) minacciano solamente e ci atterriscono, ma non che abbiano potere. Infatti, se non avevano il potere di andare nei porci (Mt 8,31), come ci tenteranno senza il permessso del Signore?

Impara dunque ad avere un pensiero umile e non temere per nulla le parole di un uomo indemoniato. Abbiamo una chiara testimonianza del nostro Signore quando, avendo parlato una volta il demonio e avendo dichiarato “sappiamo, chi sei” (Mc 1,24), sebbene avesse detto la verità, il Signore lo ridusse al silenzio mostrando a noi, con questo esempio, che non dobbiamo ascoltare parole di indemoniati, per quanto possa sembrare dicano la verità. Poiché per mezzo della bocca dell’uomo parla il demonio. E, ora dirà la verità, ma più tardi mentirà, perché è mentitore dall’inizio e non rimane nella verità (Gv 8,44). Se una persona si lascia andare a credere a queste cose, in breve tempo si imbatterà nelle derisioni e nello scherno dei demoni. Ritorna dunque in te stesso e scaccia le loro parole dalla tua mente. L’umile, anche se cade miriadi di volte, di nuovo si rialza e (la sua caduta) gli viene computata a vittoria (Pr 24,16). Il superbo invece, subito dopo essere caduto nel peccato, cade anche nello scoraggiamento; e indurendosi non vuole più rialzarsi. Lo scoraggiamento è peccato mortale; in esso il diavolo si rallegra più di tutto. Ma viene dissolto subito con la confessione.

Allora, figlio mio, fatti violenza per ogni opera buona. Se non possiamo fare il bene e cadiamo, non restiamo tuttavia nella caduta, ma rialziamoci e chiediamo perdono al nostro Salvatore! E Lui, dal momento che ha detto al suo discepolo di perdonare il colpevole settanta volte sette al giorno (Mt 18,22),

(Lui che è) lo stesso legislatore, come non ci perdonerà? Per cui non temere. Ma per quante volte cadi, rialzati, e chiedi il perdono che si conviene. E Lui, buono com’ è, non mantiene il risentimento, non conserva l’ira: “Quanto dista l’oriente dall’occidente, ha allontanato da noi le nostre colpe” (Sal 102,12).


[1] È il lavoro della preghiera del cuore fatta mentalmente.




Concilio di Gerusalemme

Atti 15

1 Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli questa dottrina: «Se non vi fate circoncidere secondo l’uso di Mosè, non potete esser salvi».
2 Poiché Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro andassero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione. 3 Essi dunque, scortati per un tratto dalla comunità, attraversarono la Fenicia e la Samaria raccontando la conversione dei pagani e suscitando grande gioia in tutti i fratelli. 4 Giunti poi a Gerusalemme, furono ricevuti dalla Chiesa, dagli apostoli e dagli anziani e riferirono tutto ciò che Dio aveva compiuto per mezzo loro.
5 Ma si alzarono alcuni della setta dei farisei, che erano diventati credenti, affermando: è necessario circonciderli e ordinar loro di osservare la legge di Mosè.
6 Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema. 7 Dopo lunga discussione, Pietro si alzò e disse:
«Fratelli, voi sapete che già da molto tempo Dio ha fatto una scelta fra voi, perché i pagani ascoltassero per bocca mia la parola del vangelo e venissero alla fede. 8 E Dio, che conosce i cuori, ha reso testimonianza in loro favore concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi; 9 e non ha fatto nessuna discriminazione tra noi e loro, purificandone i cuori con la fede. 10 Or dunque, perché continuate a tentare Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri, né noi siamo stati in grado di portare? 11 Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati e nello stesso modo anche loro».
12 Tutta l’assemblea tacque e stettero ad ascoltare Barnaba e Paolo che riferivano quanti miracoli e prodigi Dio aveva compiuto tra i pagani per mezzo loro.
13 Quand’essi ebbero finito di parlare, Giacomo aggiunse: 14 «Fratelli, ascoltatemi. Simone ha riferito come fin da principio Dio ha voluto scegliere tra i pagani un popolo per consacrarlo al suo nome. 15 Con questo si accordano le parole dei profeti, come sta scritto:
16 Dopo queste cose ritornerò e riedificherò la tenda di Davide che era caduta; ne riparerò le rovine e la rialzerò, 17 perché anche gli altri uomini cerchino il Signore e tutte le genti sulle quali è stato invocato il mio nome, 18 dice il Signore che fa queste cose da lui conosciute dall’eternità.
19 Per questo io ritengo che non si debba importunare quelli che si convertono a Dio tra i pagani, 20 ma solo si ordini loro di astenersi dalle sozzure degli idoli, dalla impudicizia, dagli animali soffocati e dal sangue. 21 Mosè infatti, fin dai tempi antichi, ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe».
22 Allora gli apostoli, gli anziani e tutta la Chiesa decisero di eleggere alcuni di loro e di inviarli ad Antiochia insieme a Paolo e Barnaba: Giuda chiamato Barsabba e Sila, uomini tenuti in grande considerazione tra i fratelli. 23 E consegnarono loro la seguente lettera: «Gli apostoli e gli anziani ai fratelli di Antiochia, di Siria e di Cilicia che provengono dai pagani, salute! 24 Abbiamo saputo che alcuni da parte nostra, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con i loro discorsi sconvolgendo i vostri animi. 25 Abbiamo perciò deciso tutti d’accordo di eleggere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Barnaba e Paolo, 26 uomini che hanno votato la loro vita al nome del nostro Signore Gesù Cristo. 27 Abbiamo mandato dunque Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi queste stesse cose a voce. 28 Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: 29 astenervi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia. Farete cosa buona perciò a guardarvi da queste cose. State bene».
30 Essi allora, congedatisi, discesero ad Antiochia e riunita la comunità consegnarono la lettera. 31 Quando l’ebbero letta, si rallegrarono per l’incoraggiamento che infondeva. 32 Giuda e Sila, essendo anch’essi profeti, parlarono molto per incoraggiare i fratelli e li fortificarono. 33 Dopo un certo tempo furono congedati con auguri di pace dai fratelli, per tornare da quelli che li avevano inviati. 34  [Ma parve bene a Sila di rimanere qui.] 35 Paolo invece e Barnaba rimasero ad Antiochia, insegnando e annunziando, insieme a molti altri, la parola del Signore.
36 Dopo alcuni giorni Paolo disse a Barnaba: «Ritorniamo a far visita ai fratelli in tutte le città nelle quali abbiamo annunziato la parola del Signore, per vedere come stanno». 37 Barnaba voleva prendere insieme anche Giovanni, detto Marco, 38 ma Paolo riteneva che non si dovesse prendere uno che si era allontanato da loro nella Panfilia e non aveva voluto partecipare alla loro opera. 39 Il dissenso fu tale che si separarono l’uno dall’altro; Barnaba, prendendo con sé Marco, s’imbarcò per Cipro. 40 Paolo invece scelse Sila e partì, raccomandato dai fratelli alla grazia del Signore.
41 E attraversando la Siria e la Cilicia, dava nuova forza alle comunità.

LETTERA AI GALATI

Capitolo 2  

L’assemblea di Gerusalemme

1 Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba, portando con me anche Tito: 2 vi andai però in seguito ad una rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano. 3 Ora neppure Tito, che era con me, sebbene fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere. 4 E questo proprio a causa dei falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi. 5 Ad essi però non cedemmo, per riguardo, neppure un istante, perché la verità del vangelo continuasse a rimanere salda tra di voi.

6 Da parte dunque delle persone più ragguardevoli – quali fossero allora non m’interessa, perché Dio non bada a persona alcuna – a me, da quelle persone ragguardevoli, non fu imposto nulla di più. 7 Anzi, visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi – 8 poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani – 9 e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi. 10 Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare.

Pietro e Paolo ad Antiochia

11 Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto. 12 Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. 13 E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. 14 Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?




Calcedonia e Lione: due concili, due diverse visioni della Chiesa

articolo originale in inglese

Di Robert Spencer

Una delle affermazioni che separa il cattolicesimo romano dalla Chiesa ortodossa è la tesi cattolica romana secondo cui ci sono stati ventuno concili ecumenici, non solo i sette, otto (Foziano) o nove (Concili di Palamas) che gli ortodossi riconoscono. Poiché i concili ecumenici sono il mezzo principale mediante il quale lo Spirito Santo guida la Chiesa nella verità, come promesso dal Signore (Giovanni 16,13), gli apologeti cattolici romani a volte citano l’esistenza stessa dei concili cattolici romani come prova che nella chiesa latina, lo Spirito ha continuato a guidare la Chiesa attraverso queste assemblee episcopali, mentre affermano che la mancanza di concili ecumenici da parte dell’Ortodossia per un millennio è la prova della sua ossificazione e incapacità di affrontare le questioni contemporanee. Queste argomentazioni, tuttavia, si basano sul presupposto che i concili ecumenici post-scisma del cattolicesimo romano siano sostanzialmente lo stesso tipo di assemblee dei sette concili pre-scisma. Eppure ci sono ragioni considerevoli per credere che non lo siano, come mostra chiaramente il confronto tra il quarto concilio ecumenico, il Concilio di Calcedonia (451), con quello che i cattolici romani ritengono essere il quattordicesimo concilio ecumenico, il Secondo Concilio di Lione (1274).

I concili ecumenici della Chiesa ortodossa furono convocati per risolvere questioni controverse che agitavano la Chiesa. La risoluzione di tali questioni avveniva negli stessi concili, poiché i vescovi si dedicavano alla preghiera, allo studio degli scritti dei Padri e alla discussione teologica. Questi concili non furono convocati dai papi e nessuno di essi ebbe luogo a Roma o nei suoi dintorni. Sembra che il papa dell’epoca non fosse nemmeno a conoscenza del secondo concilio ecumenico (che si tenne a Costantinopoli nel 381), e nessuno dei suoi rappresentanti fosse presente. Gli atti del quarto concilio ecumenico dimostrano che a quei tempi nessuno, compreso lo stesso Papa di Roma, pensava che il Papa fosse “in possesso di quell’infallibilità di cui il divino Redentore ha voluto che la Sua Chiesa fosse dotata per definire la dottrina in materia di fede o di morale; e che pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono irreformabili di per sé, e non dal consenso della Chiesa” [1], come disse il ventesimo concilio ecumenico dei Cattolici Romani, il Vaticano I.

Prima del Concilio di Calcedonia, papa Leone scrisse un documento, noto come il Tomo, esponendo la posizione ortodossa sulla questione della natura di Cristo: che Egli ha due nature, una divina e una umana, in una Persona divina. Cecropius, Vescovo di Sebastopoli, ha detto al Concilio che “il santissimo Arcivescovo di Roma ha dato una formula con la quale siamo d’accordo, e tutti abbiamo sottoscritto la sua lettera” [2]. La sua affermazione presuppone la possibilità che i Padri, o qualche gruppo di essi, non fossero d’accordo.

Anatolio, Patriarca di Costantinopoli, dichiarò: “La lettera del santissimo e religioso Arcivescovo Leone concorda con il credo dei nostri 318 Padri a Nicea, e dei 150 che poi si riunirono a Costantinopoli, e confermarono la stessa fede, e con il procedimento ad Efeso sotto il beatissimo Cirillo, che è tra i santi, dal Concilio ecumenico e santo, quando condannò Nestorio. Lo accetto quindi, e lo sottoscrivo volentieri” [3]. Queste parole mostrano che Anatolio studiò attentamente il Tomo prima di dichiararlo ortodosso, invece di accoglierlo semplicemente come il giudizio finale di colui che era l’arbitro finale di ciò che costituiva l’ortodossia.

Perché i Padri presumevano che la loro approvazione fosse assolutamente necessaria? Perché avevano bisogno di affermare che la lettera di Leone era ortodossa? Chiaramente, non credevano che la dichiarazione del papa fosse infallibile come una cosa ovvia e che di conseguenza dovessero semplicemente accettarla. Ottocento anni dopo, il Secondo Concilio di Lione si svolse in un’atmosfera teologica (e politica) molto diversa. L’imperatore romano Michele VIII Paleologo era riuscito a restaurare l’impero a Costantinopoli dopo 57 anni di occupazione crociata. I crociati, tuttavia, e altri ancora minacciavano profondamente l’impero, e Michele credeva che una riunione della Chiesa ortodossa con la Sede di Roma avrebbe disinnescato quelle minacce, poiché i crociati non avrebbero esitato ad attaccare gli “scismatici” ma erano meno propensi a muoversi contro quelli che vedevano come fratelli nella fede.

L’imperatore di conseguenza scrisse a papa Clemente IV, sottolineando che le lotte intestine tra gruppi che erano entrambi cristiani non facevano che rafforzare i nemici del cristianesimo. Non avendo il potere o l’autorità, dato il Grande Scisma, che i suoi predecessori avevano di convocare lui stesso un concilio ecumenico, l’imperatore chiese al papa di convocare tale concilio da tenersi in una città imperiale romana, che molto probabilmente sarebbe stata la stessa Costantinopoli, al fine di influenzare la riunione.

Papa Clemente, tuttavia, rispose con la bruschezza imperiosa di un superiore che si rivolge a un servo recalcitrante, chiedendo che Michele e tutto il popolo dell’impero accettassero senza alcuna discussione il primato del papa, il filioque e il pane azzimo nella Santa Eucaristia. . Clemente scrisse:

A Paleologo, illustre imperatore dei Greci… Sebbene tu cerchi di riunire un concilio nella tua terra, non possiamo accettare di convocare un tale concilio per la discussione o la definizione della fede. Non perché temiamo l’apparizione di qualche persona particolare o che i Greci possano avere la precedenza sulla sacra chiesa romana, ma perché sarebbe assolutamente improprio – anzi non può essere permesso, poiché la purezza della fede non può essere messa in dubbio… [ 4]

Questo era un argomento strano, poiché i concili ecumenici si erano tenuti durante tutto il primo millennio della Chiesa senza che nessuno temesse che le discussioni di quei concili avrebbero messo in dubbio la purezza della fede. Ma la Chiesa romana si era evoluta. Il papa di Roma era ora la quintessenza del monarca assoluto. Clemente non aveva in mente nulla che somigliasse alle discussioni aperte e talvolta accese dei concili passati; chiedeva invece semplicemente la sottomissione dei “greci”: “Preparati”, disse a Michele, “affinché all’arrivo dei nostri nunzi tu, il tuo clero e il popolo possiate accettare umilmente e professare devotamente la verità della fede in affinché con l’aiuto di Dio sia facilitato il progresso[5].

Una volta che quella sottomissione era stata influenzata, allora Michele poteva tenere il suo consiglio: “Dopo che voi, il vostro clero e il popolo avete accettato la vera fede…, [poi] potete chiedere la convocazione di un concilio da parte di questa Sede nel luogo più conveniente a questa Sede…, un concilio da rafforzare con un trattato perpetuo tra Latini e Greci” [6]. Clemente disse a Michele che la riluttanza del suo popolo ad accettare una tale unione non era una scusa, e “se non puoi costringerli, evitali come scismatici” [7].

Queste discussioni furono interrotte dalla morte del papa; Clemente morì il 28 novembre 1268. Tuttavia, la minaccia all’impero sopravvisse e Michele riprese i colloqui di riunione con il successore di Clemente, Gregorio X, dopo un interregno di tre anni. Il concilio di riunione ebbe finalmente luogo nel 1274, non a Costantinopoli o ovunque all’interno dell’Impero Romano, come avevano fatto i primi concili, ma nella città francese di Lione. Non c’è stata discussione sui problemi in questione; i rappresentanti ortodossi arrivarono portando lettere che accettavano il filioque e la giurisdizione universale del papa di Roma. Papa Gregorio accolse con favore il “ritorno dei Greci all’obbedienza della Chiesa romana” [8]. Il Secondo Concilio di Lione si svolse così in un ambiente ecclesiastico radicalmente diverso da quello dei tempi in cui avevano la precedenza i concili ecumenici e gli scritti patristici. Il papato era ormai una monarchia assoluta e tutto ciò che era richiesto a tutti gli altri era la sottomissione.

La riunione di Lione fallì, nonostante la durezza di Michele nel forzare la sua accettazione. E il fatto che gli ortodossi fossero obbligati semplicemente ad accettare, senza esame o discussione, le dottrine cattoliche romane indica che il Secondo Concilio di Lione non era lo stesso tipo di assemblea del Concilio di Calcedonia. Calcedonia fu convocata proprio per “discussione e definizione della fede”, che è proprio ciò che Papa Clemente IV aveva escluso prima che il suo successore convocasse il Secondo Concilio di Lione.

La differenza tra questi due concili mostra un aspetto di come la Chiesa romana si era evoluta nella sua comprensione di se stessa tra il quinto secolo e il tredicesimo. Mentre il vescovo di Roma aveva il primato [d’onore] nella Chiesa al tempo di Calcedonia, al tempo di Lione rivendicava molto più del primato [d’onore], ma un’autorità assoluta e indiscutibile. Il Concilio di Calcedonia dimostra che i Padri della Chiesa non prevedevano né riconoscevano una monarchia papale assoluta e che lo sviluppo di una tale istituzione era un’innovazione, contraria alla fede apostolica.

Riferimenti

[1]. Concilio Vaticano I, “Decreta Dogmatica Concilli Vaticani De Fide Catholica Et De Ecclesia Christi”, in The Creeds of Christendom: With A History and Critical Notes, Volume II , ed. Philip Schaff (New York: Harper & Brothers, 1877), 270-271.

[2]. Vescovo Cecropio di Sebastopoli, “Il Concilio di Calcedonia”, in Documenti che illustrano l’autorità papale, ed. E. Giles (Londra: SPCK, 1952), 303.

[3]. Patriarca Anatolio di Costantinopoli, “Introduzione generale”, in Nicene & Post-Nicene Fathers, Volume XIV , ed. Philip Schaff (Peabody: Hendrickson Publications, 1999), 245.

[4]. Alexander Alexakis, “Contatti ufficiali e non ufficiali tra Roma e Costantinopoli prima del Secondo Concilio di Lione (1274)”, in Annuario Historiae Conciliorum, n. 39, 1-2, (2007): 99-124, doi: https://doi.org/10.30965/25890433-0390102005

[5]. Deno John Geanokoplos, Emperor Michael Paleologo and the West, 1258-1282: A Study in Byzantine-Latin Relations (Whitefish: Literary Licensing, LLC, 2011), 172.

[6]. Ivi, 174.

[7]. Ivi, 174.

[8]. Ivi, 219.