Padri del deserto

In questa pagina tutti gli apoftegmi (gerontikon) e gli articoli riguardanti i Padri del deserto.

Collezione alfabetica:

Orthos del Sabato dei latticini

Canone dei Santi Padri

Innalziamo un canto.

Concordi celebriamo tutti con cantici spirituali, i nostri divini padri  che hanno brillato per l’ascesi: quelli che ci hanno dato l’Egitto, Tebe e la Libia, e ogni altro luogo, città e regione.

Gioisci, principe dei monaci, Antonio gloriosissimo: tu Ammun teòforo, gloria di Nitria, tu angelico Arsenio forza dell’esichia, e tu Ammonas pneumatòforo.

Tripudia, vero vaso di Dio, Agatone dall’anima santa, e voi Achilla e Amoe, fiori del deserto, Anub e Alonio, Ammonata e Antimio, lucenti perle di virtù.

Quali lampade di discernimento si celebrino oggi Ares e il grande Apollo, e come luci di ubbidienza, Athros e Acacio; insieme a loro risplende Abbaciro quasi stella del mattino.

Monte di eccelsa vita si è mostrato Aussenzio; atleta della castità, il grande Abramo; con loro Afrodisio si è di­mostrato colonna di continenza, insieme ad Atenodoro.

Brilla come astro nel cielo Ammonio tra gli asceti, e pure il divino Anina: con loro rifulge anche il grande Antioco, il sommo Agapito, quant’altri mai, insieme a costoro risplende.

Con sacri inni celebriamo il grande Atanasio, sommo luminare di tutta la terra, che ha splendidamente esercita­to l’ascesi sul monte Athos: per la sua intercessione veniamo tutti salvati.

Con le vostre vite divinamente ispirate, siete realmente diventati paradiso della Chiesa di Cristo, padri beati: tutti, uno per uno, intercedete incessantemente per noi presso il Signore.

[…]

Con inni, o fedeli, glorifichiamo la mitezza e la purezza di Antonio, la grandezza e la straordinarietà di Eutimio, l’incontaminata solitudine ed esichia di Paolo ed Arsenio,  la gloria di Teoctisto, e le schiere di tutti gli altri santi monaci; insieme a loro inneggiamo alla vergi­ne Euprasia,  come pure a tutte le donne sapienti in Dio, ‘- e concordi gridiamo: * Intercedete presso il Cristo Dio, e concordi gridiamo: Intercedete presso il Cristo Dio perché doni la remissione delle colpe a quanti festeggiano con amore la vostra santa memoria.

Gloria.

Spezzàti i vincoli delle passioni, avete aderito all’amore del bene; vi siete rivestiti in Cristo di gloria ultramondana, trovando il riposo grazie alle vostre fatiche, giungendo alla vita superna con le pene della continenza. Per questo giustamente fate festa insieme alle potenze superne, stando gioiosamente davanti a Dio tra i canti. O padri nostri teòfori, chiedete la remissione delle colpe per quanti festeggiano con amore la vostra santa memoria.

[…]

Meravigliosi i nostri venerabilissimi padri: a loro le divine battaglie, a loro i prodigi, a loro le guarigioni. Chi infatti, all’infuori di loro, ha manifestato la forza dei prodigi?

Siano celebrati il mirabile Rabula, e con lui Rufo, e ancora Sisoes, che è pari agli angeli, e con loro il divino Serido e Silvano.

Un cielo con quattro stelle è apparso sulla terra: la doppia coppia dei Simeoni omonimi; tre sono gli stiliti, e uno è il folle per Cristo.

Come sole tra gli astri, di cui era principe, ha brillato Saba il santificato; e con lui brilla per le sue opere Serapione, insieme a Silvano.

Siano celebrati Sarmata e Timoteo, e insieme Titoes con Iperechio, come pure Farmuzio, Foca, Caritone e Psoi, e il sapiente Or.

O santa e gloriosa assemblea dei padri, di quelli ricordàti e di quelli sconosciuti: libera dai pericoli quanti celebrano con amore la tua memoria.

[…]

Tu hai reso splendente la folla dei teòfori che illumina la terra, perché essi sono araldi della pietà hanno chiuso la bocca all’empietà. Per le loro preghiere custodisci in pace perfetta quanti ti glorificano e ti magnificano, affinché a te salmeggino e cantino: Alleluia.

Tu solo sei immortale.

Ho ben considerato i piaceri della vita, scrutando col pensiero ciò che avviene, e osservandone l’affanno ho detto infelice la vita dei mortali: voi soli ho proclamato beati, voi che avete scelto la parte buona: amare Cristo, stare a lui vicini e soavemente salmeggiare col profeta Davide: Alleluia.

[…]

Lo stesso giorno si fa memoria di tutti i santi, uomini e donne, che hanno brillato nell’ascesi.

Per l’intercessione di tutti i tuoi santi asceti, o Cristo Dio nostro, abbi pietà di noi. Amen.

[…]

Venite, offriamo i dovuti inni alle donne che piamente hanno vissuto e al modo degli angeli; per le loro preghiere, gridiamo: O Dio, salvaci tutti.

Si onori Briene, portatice di Cristo, insieme alla divina Febronia, a Tomaide e Geria, e si canti Platonide, e insieme a loro, con fede, anche Melania.

Lode alle Euprasie dall’angelico sentire, insieme alle due Teodore; inno e gloria incessante alle felicissime Anastasie che mirabilmente hanno reso culto a Dio.

Maria egiziaca è divenuta luce nel mondo, e colei che fu detta Marino, un astro per la terra, ed Eufrosina un sole sfolgorante di virtù.

Tutta raggiante è Teodula nella sua vita, Teodota e Giulitta brillano nell’ascesi, e con loro risplende per le opere la felicissima Isidora.

Si onori ora Marina dal celeste sentire, insieme alla grande Matrona; e con canti si celebrino pure Sincletica, Sarra e insieme Giustina, per la loro sapienza.

Si cantino insieme Pelagia, angelo del Signore, Taisia, fiaccola di penitenza, e ogni altra donna che abbia brilla­to nell’ascesi.

[…]
Magnifichiamo con inni.

Chi potrà esprimere la franchezza di Ambrogio? E chi dirà la sapienza di Geroteo? E la fermezza a di­fesa della fede degli Alessandri, padri sapienti in Dio?

Si celebrino come astri divini il divino Fedimo, Spiridone il teeiforo insieme ad Antipatro, Pambone, Palladio e Nonno, Geronimo e il venerabilissimo Germano.

Come iniziato alle realtà celesti, sia onorato Dionigi sommo nelle cose divine, e così pure il grande lottatore Clemente, Flaviano e il grande Paolo, araldi della confessione.

Si celebri Michele Synadon con Tarasio; * e ancora Niceforo col sommo Teodoro, e Teofane e Geronimo, difensore della figura di Cristo espressa in immagini.

Si celebrino Pietro e Ignazio, veri teòfori, quali apostoli di Cristo e sacri atleti, insieme a Policarpo e a Cipriano martire di Cristo

Santi padri e pontefici del Signore, insieme agli iero­martiri e alle sante donne, tutti, noti e sconosciuti, pregate per la salvezza delle anime nostre.

[…]

Exapostilarion. Udite, donne.

Voi che avete rinnegato il mondo e preso la croce, moltitudine dei santi padri insieme ai cori dei martiri, assemblea dei pontefici e schiera delle donne, illuminateci, perché possiamo degnamente celebrare la vostra luminosissima memoria.

Un altro.  Con i discepoli conveniamo.

Gioiosamente celebriamo con inni i padri e i ponte­fici teòfori che hanno brillato per l’ascesi, e insieme le sante donne e i cori degli ieromartiri, perché possiamo venire santificati, e per le loro preghiere e l’intercessione della Madre-di-Dio portiamo a compimento senza difficol­tà la corsa del digiuno.

[…]

Con cantici, o fedeli, facciamo tutti l’elogio della moltitudine dei padri che hanno santamente praticato l’ascesi; con sentimenti divini, fratelli, e con un’ani­ma sola, lodiamo tra gli inni i pontefici di Cristo; hanno infatti vissuto con continenza e con digiuno puro, e ci hanno spiegato il vangelo di Cristo; con loro celebriamo le luminose donne teòfore, emulando la loro condotta con tut­ta l’anima, in modo degno di Dio, per ottenere nell’aldilà il perdono delle colpe.

Facciamo glorioso elogio, fratelli, di quanti hanno radiosamente brillato nell’ascesi e santamente vissuto. Essi hanno ben diretto la loro esistenza e sono piamente passati, nella gioia, alla vita eterna, all’eredità indistruttibile e beata dell’aldilà, avendo rettamente compiuto la loro corsa con virtù e santità: onoriamoli dunque degnamente, per ottenere da Dio misericordia, gloria e gioia eterne, grazie alla loro supplica, ed essere strappa­ti agli inesorabili castighi dell’aldilà.

O coro di tutti i pontefici, assemblea dei giusti, degli asceti e delle sante donne piamente vissuti, lasciatevi graziosamente commuovere e supplicate il solo buono e pie­tosissimo Signore, di aver compassione anche di noi; per le vostre preghiere, o sapienti, possiamo noi essere per sempre liberati dalla condanna dell’aldilà, e godere con­tinuamente del gaudio futuro, per i secoli dei secoli, anche noi esultanti, gridando incessantemente tra gli inni una lode al datore di vita.

Con magnificenza celebriamo oggi, o fedeli, una solennità degna di Dio, nella memoria dei santi pontefici, e ieromartiri e delle sante e pie donne: essi hanno infatti disprezzato le cose corruttibili ed effimere, le hanno realmente considerate come tela di ragno e come rifiuti, per guadagnare Cristo e il suo regno e le realtà divine che occhio non vide né orecchio mai udì. Per la loro intercessione, o Dio, strappa alla corruzione le anime nostre.

Gloria. Idiolmelon. Tono pl.4

Padri santi, per tutta la terra è uscita la voce delle vostre belle azioni: per questo nei cieli avete trovato la ricompensa delle vostre fatiche. Avete annientato le falangi dei demoni, avete raggiunto le schiere degli angeli, di cui, irreprensibili, avete emulato la vita. Poiché dunque avete confidenza col Signore, chiedete pace per le anime nostre.

Ora e sempre. Theotokion. Stesso tono.

O Madre-di-Dio, tu sei la vera vite che ha prodotto il frutto della vita. Noi ti imploriamo: intercedi, o Sovrana, insieme con i tuoi asceti e tutti i santi, perché sia fatta misericordia alle anime nostre.

VITA E DETTI DEI PADRI DEL DESERTO

Traduzione Teandrico.it, utilizzabile liberamente.




Arcivescovo Averky (Taushev): Commento all’Apocalisse o Rivelazione di San Giovanni il Teologo (I)

“Poi c’è un altro tipo di libro: i commentari alle Sacre Scritture. Non ce ne sono molti in inglese ma abbiamo alcuni dei commentari di san Giovanni Crisostomo. Questo è un campo un po’ debole in inglese, perché ci sono molti buoni libri in russo che non ci sono ancora in inglese, inclusi i libri più recenti di commentari alle Scritture, anche sull’Apocalisse. I libri dell’arcivescovo Averky sono molto buoni, ma solo ora vengono tradotti in inglese. A Dio piacendo, tra non molto saranno pubblicati”[1]

P. Seraphim Rose di Platina

Articolo del (PER)CORSO DI SOPRAVVIVENZA ORTODOSSA

Biografia dell’Arcivescovo Averky

Il futuro arcivescovo Averky (Taushev) nacque nel 1906 a Kazan’. A causa della natura del lavoro del padre, in gioventù viaggiò per tutta la Russia e giunse ad amare i suoi monasteri, facendo profonde letture. Nel 1920 la famiglia Taushev fuggì dalla Russia nella città bulgara di Varna. Qui, mentre ancora al liceo, il giovane incontrò l’arcivescovo esule Teofane di Poltava, che ispirò ulteriormente il suo amore per la vita monastica. Dopo aver lasciato la scuola il futuro arcivescovo si iscrisse alla facoltà di teologia dell’Università di Sofia.

Dopo la laurea accettò un posto di lavoro come assistente segretario della diocesi carpato-russa in quella che allora era la Cecoslovacchia. Lì, nel 1931, fu tonsurato monaco con il nome di Averky, fu ordinato diacono e nel 1932 sacerdote, in servizio nelle parrocchie locali. Dopo aver svolto vari compiti per la diocesi, nel 1940 padre Averky fu costretto a lasciare la Rus’ carpatica. Si trasferì a Belgrado, dove insegnò teologia pastorale e omiletica, ma nel 1945, ritirandosi di fronte all’avanzata dell’Armata Rossa, arrivò a Monaco insieme con il Sinodo dei Vescovi della Chiesa fuori della Russia. Qui continuò l’insegnamento.

Nel 1951 padre Averky fu assegnato a insegnare al Seminario della Santa Trinità a Jordanville nello Stato di New York. Padre Averky fu presto consacrato vescovo e nel 1960 fu scelto come abate del monastero. Come abate, l’arcivescovo Averky – questo era il suo nuovo titolo – guidò gli studi, insegnando Nuovo Testamento e omiletica, scrittura e predicazione. Inoltre partecipò attivamente alla pubblicazione del periodico russo ‘Rus ortodossa’. Si addormentò nel Signore nel 1976, noto per i suoi scritti e sermoni ortodossi che invitavano al pentimento, la sua vita santa, l’adesione alla Tradizione contro l’ecumenismo e l’estremismo, e la sua convinzione che la fine del mondo si stava rapidamente avvicinando in mezzo all’apostasia contemporanea.

Il mistero che ci riguarda deriva dal fatto che l’arcivescovo era molto convinto che la fine del mondo era vicina. Già una volta, oltre 1950 anni fa, l’apostolo Paolo scrisse allo stesso modo riguardo alla fine del mondo. È possibile quindi che i santi si sbaglino? In realtà, i santi non si sono sbagliati. La fine del mondo è stata vicina in diverse occasioni. Le persone di vita santa ne hanno intuizioni ed è proprio per questo che sono inviati da Dio ad avvertirci e a chiamarci al pentimento. Questo è ciò che ha fatto l’apostolo Paolo ed è anche quello che ha fatto l’arcivescovo Averky. E i fedeli hanno ascoltato le loro parole e quelle di altri.

Nel 1981, cinque anni dopo il riposo dell’arcivescovo Averky, il Sinodo dei Vescovi ha canonizzato i nuovi martiri e confessori della Russia. Grazie alle loro preghiere, le persecuzioni sono cessate nelle terre russe e ha avuto inizio il processo del ribattesimo della Rus’. Con questo atto di pentimento per l’abbattimento della vecchia Russia e dei suoi fondamenti ortodossi tre generazioni prima nel 1917, il mondo è cambiato. Dio ha dato una proroga al mondo, e la fine che effettivamente era stata vicina negli anni ’60 e ’70, proprio come aveva detto il santo arcivescovo, si ritrasse.

Oggi, con la situazione del mondo sul filo del rasoio, con il mondo occidentale che è attanagliato dalla brama satanica di controllo militare ed economico globale e cerca di distruggere le ultime vestigia di vita spirituale in tutto il mondo, con molti paesi ortodossi come la Grecia, Cipro, la Romania e la Bulgaria compromessi dalla propaganda occidentale, con molte delle ultime roccaforti di pietà ortodossa, tra cui la Serbia, la Georgia, la Moldova e ora l’Ucraina sotto minaccia, e con la Russia solo a metà strada del cammino del pentimento, è chiaro che la fine si avvicina ancora una volta. Ora solo la Madre di Dio può estendere la storia e concederci un altro periodo di pentimento. Ora dobbiamo tornare di nuovo alle profezie e agli avvertimenti dell’arcivescovo Averky.

originale: http://www.events.orthodoxengland.org.uk/the-mystery-of-archbishop-averky/

Commento all’Apocalisse o Rivelazione di San Giovanni il Teologo (I)

IL SIGNIFICATO DELL’APOCALISSE E L’INTERESSE PER ESSA

L’Apocalisse, o come di consueto si traduce dal greco, la Rivelazione di San Giovanni il Teologo, è l’unico libro profetico del Nuovo Testamento. È la conclusione naturale dell’intera raccolta dei libri sacri del Nuovo Testamento. Nei libri della Legge, in quelli storici o pedagogici, un cristiano acquisirà conoscenza sul fondamento e sulla crescita storica della vita della Chiesa di Cristo come fosse una guida per le personali attività quotidiane; nell’Apocalisse, la mente e il cuore dei credenti ricevono mistiche indicazioni profetiche sul destino futuro della Chiesa e del mondo intero. L’Apocalisse è un libro misterioso, molto difficile da comprendere e interpretare correttamente, per cui il Typicon della Chiesa non richiede letture da esso durante i servizi divini. Ma allo stesso tempo, è proprio il carattere misterioso di questo libro che attira l’interesse sia dei cristiani credenti che dei pensatori semplicemente curiosi. Nel corso di tutta la storia dell’umanità coeva al Nuovo Testamento, gli uomini hanno cercato di svelare il significato e il senso delle misteriose visioni in esso descritte. Esiste un’enorme letteratura sull’Apocalisse, tra cui anche molte opere assurde riguardanti l’origine e il contenuto di questo misterioso libro. Si potrebbe indicare come una di queste opere uscite in tempi recenti, il libro di N.A. Morozov “Rivelazioni in tuoni e tempeste. Sulla base dell’idea preconcetta che le visioni descritte nell’Apocalisse, con la precisione di un osservatorio astronomico, rappresentino lo stato del cielo stellato in un preciso momento storico, N.A. Morozov fa un calcolo astronomico e giunge alla conclusione che era descritto il cielo stellato del 30 settembre 395. Sostituendo le persone, le azioni e le immagini dell’Apocalisse con pianeti, stelle e costellazioni, N.A. Morozov utilizza ampiamente i vaghi contorni delle nuvole, sostituendo con essi i nomi mancanti di stelle, pianeti e costellazioni consentendogli di rappresentare un’immagine completa del cielo secondo i dati dell’Apocalisse. Se le nuvole non lo aiutano, con tutta la morbidezza e l’elasticità di questo materiale in mani capaci, allora Morozov rifà il testo dell’Apocalisse nel senso che gli necessita. Morozov giustifica la sua libera manipolazione del testo del libro sacro attraverso errori materiali o con l’ignoranza dei copisti dell’Apocalisse, “che non capirono il significato astronomico dell’immagine”, o anche con la considerazione che lo stesso scrittore dell’Apocalisse “grazie a un’idea preconcetta”, ha forzato l’interpretazione nel descrivere l’immagine del cielo stellato. Utilizzando lo stesso “metodo scientifico”, N.A. Morozov determina che l’autore dell’Apocalisse fosse San Giovanni Crisostomo (nato nel 347, morto nel 407), arcivescovo di Costantinopoli. Alla totale assurdità storica delle sue conclusioni, Morozov non presta alcuna attenzione. (Prot. Nik. Alexandrov). Nel nostro tempo – il periodo della prima guerra mondiale e della rivoluzione russa, e poi l’ancor più terribile seconda guerra mondiale, quando l’umanità ha vissuto tanti terribili sconvolgimenti e disastri – il tentativo di interpretare l’Apocalisse in rapporto con gli eventi vissuti sono aumentati ancora di più, con più o meno successo. Nel fare tali tentativi, c’è una cosa essenziale ed importante da ricordare: nell’interpretazione dell’Apocalisse, come in generale per ogni interpretazione di questo o quel libro della Sacra Scrittura, è essenziale fare uso dei fatti contenuti negli altri libri sacri che fanno parte della nostra Bibbia, come pure delle opere interpretative dei S. Padri e dei dottori della Chiesa. Delle specifiche opere patristiche sull’interpretazione dell’Apocalisse, bisogna valutare specialmente il “Commento sull’Apocalisse” di S. Andrea, arcivescovo di Cesarea, che riassume l’intera comprensione dell’Apocalisse nel periodo pre-niceno (cioè antecedente al primo Concilio Ecumenico del 325). Pregevolissima è anche l’Apologia sull’Apocalisse di S. Ippolito di Roma (c. 230). Nei tempi recenti sono apparse così tante opere interpretative sull’Apocalisse che alla fine del XIX secolo il loro numero era arrivato a 90. Delle opere russe, le più preziose sono: 1) A. Zhdanova- “La Rivelazione del Signore sulle sette Chiese d’Asia” (un tentativo di spiegare i primi tre capitoli dell’Apocalisse); 2) Vescovo Pietro – “Spiegazione dell’Apocalisse del S. Apostolo Giovanni il Teologo”; 3) N. A. Nikolsky – ” L’Apocalisse e la falsa profezia smascherate da essa”; 4) N. Vinogradova – “Sul destino finale del mondo e dell’uomo” e 5) M. Barsova – “Raccolta di Saggi sull’interpretazione e la lettura edificante dell’Apocalisse”.


[1]Il Padre Seraphim Rose tradusse l’intero Commento all’Apocalisse dell’arcivescovo Averky, oltre che alcune parti del suo Commento ai Vangeli e alle Epistole.




ACHILLE

ἀββᾷ Ἀχιλᾷ

Secondo un detto conservato solamente nella lingua armena, il padre Teodoro di Ferme disse del padre Achille che visse come un leone a Scete. Lo stesso  padre Achille diceva: “Vivi come una bestia selvatica, per non essere conosciuto in alcun modo”. (Eth. Coll. 13,65) Non stupiamoci quindi di sapere così poco di questo vecchio rude che, tuttavia, non poteva nasconderci completamente la diligenza e la profondità della sua carità. Nella memoria dei santi asceti che la Chiesa Ortodossa pone all’inizio della grande celebrazione quaresimale, si menzionano Achille e Amoe chiamandoli «i fiori del deserto»[1].

1. Tre anziani, di cui uno aveva una cattiva reputazione, vennero un giorno da Abba Achille. Il primo gli chiese: “Padre, fammi una rete da pesca”. “Non la farò”, rispose. Allora il secondo disse: “Per la tua carità fanne una, così avremo un ricordo di te nel monastero”. Ma lui rispose: “Non ho tempo”. Allora il terzo, che aveva una cattiva reputazione, disse: “Fammi una rete da pesca, così potrò avere qualcosa dalle tue mani, Padre”. Abba Achille gli rispose subito: “Per te la farò”. Allora gli altri due vecchi gli domandarono in privato: “Perché non hai voluto fare quello che noi ti abbiamo chiesto, ma hai promesso di fare quello che ti ha chiesto lui?”. L’anziano rispose loro: “Vi avevo detto che non l’avrei fatta, e non siete rimasti delusi, perché pensavate che non avessi tempo. Ma se a lui non l’avessi fatta, avrebbe detto: “Il vecchio ha saputo del mio peccato e per questo non vuole farmela”, e così il nostro rapporto si sarebbe interrotto. Ma ora ho rincuorato la sua anima, così che non sarà sopraffatto dal dolore”.

2. Abba Bitimius disse: “Un giorno, mentre scendevo a Scete, qualcuno mi diede della frutta da portare agli anziani. Così bussai alla porta della cella di Abba Achille per dargliene un po’. Ma lui mi disse: “Fratello, d’ora in poi non voglio che tu bussi alla mia porta con alcun tipo di cibo e non andare a bussare nemmeno in altre celle”. Così mi ritirai nella mia cella e portai la frutta in chiesa”.

3. Abba Achille si recò un giorno nella cella di Abba Isaia a Scete e lo trovò che mangiava qualcosa. Lo aveva mescolato con acqua e sale su un piatto. L’anziano, vedendo che lo nascondeva dietro a delle canne intrecciate, gli disse: “Dimmi, cosa stai mangiando?” Egli rispose: “Perdonami, padre, stavo tagliando delle foglie di palma e sono uscito al caldo; ho messo in bocca un boccone, con un po’ di sale, ma il caldo mi ha bruciato la gola e il boccone non è andato giù. Così sono stato costretto ad aggiungere un po’ d’acqua al sale, per poterlo inghiottire. Perdonatemi, padre”. Il vecchio disse: “Venite tutti a vedere Isaia che mangia la salsa a Scete. Se volete mangiare la salsa, andate in Egitto”.

4. Un anziano venuto a trovare Abba Achille lo trovò a sputare sangue dalla bocca. Gli chiese: “Cosa c’è, padre?”. L’anziano rispose: “La parola di un fratello mi ha addolorato, ho lottato per non dirglielo e ho pregato Dio di liberarmi da questa parola. Così è diventata come sangue nella mia bocca e l’ho sputata. Ora sono in pace, avendo dimenticato la questione”.

5. Abba Ammoes disse: “Con Abba Bitimius siamo andati a trovare Abba Achille. Lo abbiamo visto meditare su questo detto: “Non temere, Giacobbe, di scendere in Egitto”. (Gen 46,3) Per molto tempo rimase a fare questa meditazione. Quando bussammo, ci aprì la porta e ci chiese da dove venivamo. Avendo paura di dire che venivamo dalle Celle, rispondemmo: dalla montagna di Nitria. Allora ci disse: “Cosa posso fare per voi che venite da così lontano?”. Ci disse di entrare. Abbiamo notato che aveva lavorato tutta la notte e aveva tessuto molto e gli abbiamo chiesto di dirci una parola. Ci disse: “Da ieri sera fino ad ora ho tessuto venti misure, anche se non ne ho bisogno; ma è per paura che Dio si arrabbi e mi accusi dicendo: “Perché non hai lavorato, quando avresti potuto farlo. Ecco perché mi impongo questo lavoro e faccio il più possibile”. Così ce ne andammo, molto edificati”.

6. Un’altra volta, un grande anziano venne nella Tebaide a trovare Abba Achille e gli disse: “Padre, tu sei una tentazione per me”. Ed egli gli rispose: “Anche tu, vecchio, sei ancora tentato a causa mia? Nella sua umiltà, l’anziano rispose: “Sì, Padre”. Ora c’era un vecchio cieco e zoppo seduto vicino alla porta. Il vecchio gli disse: “Avrei voluto rimanere qui diversi giorni, ma non posso a causa di questo vecchio”. A queste parole, Abba Achille si meravigliò dell’umiltà dell’anziano e disse: “Questa non è fornicazione, ma odio verso i demoni maligni”.


[1] È molto bello il fatto che, accingendosi al grande digiuno quaresimale, la Chiesa celebri nella preghiera liturgica il ricordo di molti santi, e prima di tutto degli asceti. La vigilia della prima domenica di Quaresima, le grandi odi (composizioni inniche che costituiscono la parte principale dell’ufficio del mattino) menzionano uno dopo l’altro gran parte degli anziani di questa raccolta, aggiungendo per molti un attributo: Antonio «gloriosissimo», Ammonio «teoforo», cioè portatore di Dio, Arsenio «gloria del digiuno», Ammone «pneumatoforo», cioè portatore dello Spirito, Agatone «veramente vaso di Dio», ecc. La Chiesa ortodossa vuole porre dinanzi agli occhi gli esempi delle loro lotte e delle loro fatiche e invocare la loro intercessione all’inizio del cammino quaresimale, perché essi siano guide, maestri e sostegni nella lotta (vedi Triodio, sabato τῆς τυρίνης, orthros, odi 1-8. L’ode nona e ultima celebra la memoria dei Padri Atanasio, Basilio, i due Gregorio, Giovanni Crisostomo, ecc.). Nota tratta da: Vita e detti dei Padri del deserto, Città Nuova




Una Quaresima moderna!

Originale:

di Fr. Stephen Freeman – sacerdote della Orthodox Church in America, Pastore Emerito del St. Anne Orthodox Church in Oak Ridge, Tennessee.

https://blogs.ancientfaith.com/glory2godforallthings/2023/03/19/a-modern-lent-3/

https://www.oodegr.com/english/ekklisia/Modern-Lent.htm?fbclid=IwAR0P1h4TjOY1hLCNNE_hwrq7npxzGNkql2xcjAbg8irvq5_eeIjZg8ScpLI

Poche cose sono così difficili nel mondo moderno come il digiuno. Non è semplicemente l’azione di cambiare le nostre abitudini alimentari che troviamo problematico – è l’intero  concetto di digiuno e ciò che veramente comporta. Viene da un altro mondo!

Comprendiamo la dieta: cambiare il modo in cui mangiamo per migliorare il nostro aspetto o come ci sentiamo. Ma cambiare il modo in cui mangiamo per conoscere Dio o per celebrare giustamente una festa della Chiesa – questo è estraneo. La nostra prima domanda è spesso: “Come funziona?” Perché viviamo in una cultura dell’utilità: vogliamo conoscere l’uso delle cose. Sotto la questione dell’utilità c’è la richiesta che qualcosa abbia un senso per me, e che alla fine io sia in grado di prendermene cura, usarlo come ritengo opportuno e modellarlo secondo i miei desideri. Forse il digiuno potrebbe essere migliorato?

La nostra moderna autocomprensione vede le persone principalmente come singoli centri di scelta e decisione. Una persona è vista come il prodotto delle sue scelte e decisioni: le nostre vite sono auto-autenticate. In quanto tali, siamo manager.

Naturalmente ci sono molti problemi con questa visione del mondo dal punto di vista del cristianesimo classico. Sebbene siamo liberi di fare scelte e decisioni, la nostra libertà non è illimitata. La maggior parte della nostra vita non è autodeterminata. Gran parte della retorica della modernità è rivolta a coloro che hanno ricchezza e potere. Privilegia le loro storie e deride la debolezza di chi non ha potere con promesse che raramente, se non mai, vengono mantenute.

Le nostre vite sono un dono di Dio e non di nostra creazione. La vita spirituale cristiana classica non è segnata dalla scelta e dall’autodeterminazione: è caratterizzata dall’autosvuotamento e dalla via della Croce.

Quando un cristiano moderno affronta il periodo della Quaresima, la domanda spesso diventa: “A cosa voglio rinunciare per la Quaresima?” L’intenzione è buona, ma la domanda è sbagliata. La quaresima diventa presto un’altra scelta di vita, il digiuno del consumatore.

La pratica del digiuno tradizionale è stata notevolmente ridotta negli ultimi secoli. La Chiesa cattolica ha modificato i suoi requisiti e semplificato il digiuno quaresimale (oggi include solo l’astensione dalla carne nei venerdì di Quaresima – che li rende simili a tutti gli altri venerdì dell’anno). Le Chiese protestanti che osservano il tempo di Quaresima non offrono linee guida formali per la pratica quaresimale. L’individuo è lasciato a se stesso.

L’Ortodossia continua ad avere in vigore il digiuno tradizionale completo, che viene spesso modificato nella sua applicazione (le “regole” stesse sono generalmente riconosciute come scritte per i monaci). È essenzialmente una dieta vegana (niente carne, pesce, vino, latticini). Alcuni limitano il numero dei pasti e il loro modo di cucinare. Naturalmente, avere il digiuno al suo posto e “mantenere il digiuno” sono due cose molto diverse. Non conosco nessuno studio su come gli ortodossi nel mondo moderno digiunino effettivamente. La mia esperienza pastorale mi dice che le persone generalmente fanno un ottimo sforzo.

Qualcosa di tutto questo ha importanza? Perché i cristiani nel mondo moderno dovrebbero occuparsi con una pratica tradizionale?

Ciò che è in gioco nel mondo moderno è la nostra umanità. L’idea che siamo individui che si auto-autenticano è semplicemente falsa. Ovviamente non creiamo noi stessi: è un dono. E la maggior parte di ciò che costituisce la nostra vita è semplicemente dato, un dono. Non è sempre un regalo di cui qualcuno è felice: vorrebbero essere diversi da quello che sono. Ma il mito del mondo moderno è che noi, in effetti, creiamo noi stessi e le nostre vite – le nostre identità sono immaginate come di nostra creazione. Siamo chi scegliamo di essere. È un mito estremamente adatto a sostenere una cultura costruita sul consumo. L’identità si può ottenere ad un certo prezzo. I ricchi hanno a disposizione una gamma molto più ampia di possibili identità, mentre i poveri sono in gran parte bloccati nell’essere chi sono veramente.

Ma l’unica vita umana veramente autentica è quella che riceviamo in dono da Dio. La spiritualità della scelta e del consumo sotto le sembianze della libertà è vuota. L’identità che creiamo è effimera, un prodotto dell’immaginazione e del mercato. Le abitudini del mercato servono a renderci schiavi: la Quaresima è una chiamata alla libertà.

Il digiuno nella Chiesa ortodossa |  Arcidiocesi di Thyateira e Gran Bretagna
Oltre 100 idee creative per vetrine pasquali |  Mercanzia Zen

Una Quaresima moderna

Quindi, un buon inizio per una Quaresima moderna è staccarsi dal mondo moderno in sé. Con questo intendo rinunciare all’idea che tu sia un individuo autogenerato e auto-autenticante. Non sei definito dalle tue scelte e decisioni, tanto meno dalla tua carriera e dai tuoi acquisti. Inizi riconoscendo che solo Dio è il Signore (e tu non lo sei). La tua vita ha significato e scopo solo in relazione a Dio. La pratica fondamentale di tale vita incentrata su Dio è il ringraziamento.

Rinuncia a cercare di migliorare te stesso per diventare qualcosa. Non sei un work in progress. Se sei un’opera, allora sei opera di Dio. “Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo.” (Ef 2,10).

Non programmare una “buona Quaresima” o immaginare cosa sarebbe una “buona Quaresima”. Smetti di giudicare, specialmente di giudicare te stesso. Esci dal centro del tuo mondo. La Quaresima non riguarda te. Si tratta di Cristo e della sua Pasqua.

Digiuna secondo la tradizione invece che secondo le tue proprie idee e progetti. Questo potrebbe essere difficile per alcuni se non fanno parte alla Chiesa tradizionale e quindi non hanno una tradizione di digiuno. La maggior parte dei cattolici ha regole diverse per il digiuno rispetto agli ortodossi. Se sei cattolico, digiuna come un cattolico. Non ammirare il digiuno degli altri.

Se sei protestante ma vorresti vivere in modo più tradizionale, pensa a come diventare ortodosso. A parte questo, fai un patto con gli altri (famiglia, amici) per mantenere il digiuno tradizionale. Non essere troppo severo o troppo indulgente e, se possibile, mantieni il digiuno in un modo concordato di comune accordo piuttosto che progettato privatamente. Sii responsabile ma non colpevole.

Pregare. Il digiuno senza preghiera è chiamato “il digiuno dei demoni”, perché i demoni non mangiano mai, ma non pregano mai. Digiuniamo come mezzo per avvicinarci a Dio. Il tuo digiuno e la tua preghiera dovrebbero essere bilanciati il ​​più possibile. Se digiuni in modo rigoroso, dovresti pregare per lunghi periodi. Se digiuni leggermente, anche le tue preghiere potrebbero essere più leggere. Il punto è essere uno, affinché la preghiera e il digiuno siano una cosa sola.

Alla nostra preghiera e al nostro digiuno dovrebbe essere aggiunta la misericordia (dare via cose, soprattutto denaro). Non devi essere troppo espansivo. La tua misericordia dovrebbe essere il più invisibile possibile agli altri, tranne che nella tua gentilezza verso tutti. Spendi meno, dona di più.

Mangiare, bere, pregare e la generosità sono attività molto naturali. Guarda la tua vita. Quanto è naturale il tuo mangiare? La tua dieta è costituita prevalentemente da alimenti lavorati e trasformati (soprattutto quelli serviti nei ristoranti e nei fast food)? Questi possono essere modi di mangiare molto disumani. Mangiare dovrebbe richiedere tempo. Non è una perdita di tempo dedicare fino a sei ore su ventiquattro a preparare, condividere, mangiare e pulire. Anche gli animali hanno bisogno di tempo per mangiare.

Vai molto di più in chiesa (se la tua chiesa ha altri servizi quaresimali, frequentali). Questo può essere problematico per i protestanti, in quanto la maggior parte del culto protestante è abbastanza moderno, cioè focalizzato sull’individuo piuttosto che diretto a Dio, ben intenzionato ma antitetico al culto. Se la tua Chiesa non è noiosa, probabilmente è moderna. Questo non vuol dire che il cristianesimo classico sia intrinsecamente noioso: è solo vissuto come tale da persone addestrate per essere consumatori. Il cristianesimo classico adora secondo la tradizione e concentra la sua attenzione su Dio. Non è lì per te, per “ottenere qualcosa da esso”.

Divertiti meno. Nelle tradizionali terre ortodosse, i divertimenti vengono spesso abbandonati durante il periodo quaresimale. Questo può essere molto difficile per le persone moderne in quanto viviamo per consumare e siamo quindi intrappolati in un ciclo di dolore e piacere. I piaceri normali come l’esercizio fisico o la camminata non sono ciò che ho in mente, anche se mi sembra del tutto moderno il fatto che ci siano attività dedicate per aiutarci a fare qualcosa di normale (come camminare o fare esercizio), in modo tale che anche le nostre normali attività diventino una merce da consumare.

Digiuna dal guardare/leggere le notizie e dall’avere/esprimere opinioni. Le notizie non sono presentate per tenervi informati. Spesso sono imprecise e servono allo scopo principale della propaganda politica e della frenesia dei consumatori. Non fanno bene all’anima. Le opinioni sono profondamente distruttive per la salute dell’anima. Le opinioni che non sono adeguatamente considerate, non sono credenze necessarie. Sono passioni che si spacciano per pensieri o convinzioni. La necessità di esprimerli rivela la loro natura passionale.

Potrei benissimo immaginare che una persona moderna, leggendo un simile elenco, possa sentirsi sopraffatto e chiedersi cosa sia rimasto. Ciò che resta è essere umani. Davvero tanto nella nostra vita non è particolarmente umano, ma solo una distrazione effimera che spiega molto della nostra stanchezza e ansia. Non c’è cibo per noi in ciò che non è umano.

E allora mi vengono in mente le parole di Isaia:  

O voi tutti assetati venite all’acqua, chi non ha denaro venga ugualmente; comprate e mangiate senza denaro e, senza spesa, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro patrimonio per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi grassi. (Isaia 55,1-2).

“Lascia che la tua anima si diletti nei grassi…” l’ironia della Quaresima.




AMMONAS

ἀββᾶς Ἀμμωνᾶς

LA BIOGRAFIA

1. Un fratello chiese ad Abba Ammonas: “Dimmi una parola”, e l’anziano rispose: “Vai, rendi i tuoi pensieri come quelli dei malfattori. che sono in prigione. Perché chiedono sempre quando verrà il giudice e lo aspettano con ansia”. Così anche il monaco deve dedicarsi sempre ad accusare la propria anima, dicendo: “Infelice che sono. Come potrò presentarmi al tribunale di Cristo? Che cosa gli dirò in mia difesa?”. Se ti dedichi continuamente a questo, potrai essere salvato”.

2. Di Abba Ammonas si diceva che avesse ucciso un basilisco. Un giorno, recandosi nel deserto per attingere acqua dal lago e vedendo un basilisco, si gettò con la faccia a terra dicendo: “Signore, Signore, o muoio io o muore lui”, e subito, per la potenza di Dio, il basilisco si squarciò [1].

3. Abba Ammonas disse: “Ho trascorso quattordici anni a Scete chiedendo a Dio notte e giorno di concedermi la vittoria sull’ira”.

4. Uno dei Padri, raccontando delle Celle, disse che una volta c’era un anziano laborioso che indossava una stuoia. Andò a cercare Abba Ammonas, il quale, quando lo vide indossare la stuoia, gli disse: “Questa non ti serve a niente”. Allora l’anziano lo interrogò nel modo seguente: “tre pensieri mi occupano: quello di vagare per i deserti, o andare in una terra straniera dove nessuno mi conosce, o chiudermi in una cella senza aprire la porta a nessuno, mangiando solo ogni due giorni”. Abba Ammonas rispose: “non è giusto che tu faccia nessuna di queste tre cose. Piuttosto, siediti nella tua cella e mangia un po’ ogni giorno, tenendo sempre nel tuo cuore la parola del pubblicano, e sarai salvato”.

5. Alcuni fratelli trovavano la vita difficile nel luogo in cui vivevano. Volendo andarsene, vennero a cercare Abba Ammonas. Era fuori sul fiume. Vedendoli camminare lungo la sponda del fiume, chiese ai barcaiuoli di farlo scendere a terra. Poi chiamò i fratelli, dicendo loro: “Io sono Ammonas, alla cui dimora volete andare”. Dopo aver confortato i loro cuori, li rimandò da dove erano venuti perché questa difficoltà non derivava da una malattia dell’anima, ma semplicemente da un fastidio naturale.

6. Un giorno, quando Abba Ammonas andò per attraversare il fiume, trovò il traghetto pronto e vi si sedette. Poi un’altra barca giunse sul posto e trasportò gli uomini che si trovavano lì. Gli dissero: “Vieni qui, padre, e attraversa il fiume con noi”. Ma lui rispose: “Non mi imbarcherò se non sulla barca pubblica”. Siccome aveva una manciata di rami di palma, si sedette, li intrecciò e poi li sciolse e poi li disfece, finché la barca non si accostò. Così fece la traversata. Allora i fratelli inchinandosi verso di lui, gli dissero: “Perché hai fatto così?” L’anziano rispose loro: “Per poter camminare senza ansia di spirito”. Questo è un esempio: dobbiamo camminare sulla via di Dio in pace.

7. Un giorno Abba Ammonas stava andando a far visita ad Abba Antonio, ma perse la strada. Così, sedutosi, si addormentò per un po’. Al risveglio, pregò così Dio: “Ti supplico, Signore mio Dio, non lasciare che la tua creatura perisca”. Allora gli apparve come una mano d’uomo nel cielo, che gli indicò la strada, finché non raggiunse la grotta di Abba Antonio.

8. Abba Antonio predisse che questo Abba Ammonas avrebbe fatto progressi nel timore di Dio. Lo condusse fuori dalla sua cella e, mostrandogli una pietra, gli disse: “Insulta questa pietra e battila”. Egli lo fece. Allora Antonio gli chiese: “La pietra ha detto qualcosa?” Egli rispose: “No”. Allora Antonio disse: “Anche tu sarai in grado di farlo”, e così avvenne. Abba Ammonas arrivò al punto in cui la sua bontà era così grande che non si accorgeva della malvagità. Così, divenuto vescovo, qualcuno gli portò una ragazza incinta, dicendogli: “Guarda cosa ha fatto questa infelice; dalle una penitenza”. Ma egli, dopo aver segnato il grembo della giovane con il segno della croce, ordinò che le venissero date sei paia di lenzuola di lino fine, dicendo: “Per paura che, quando partorirà, possa morire, lei o il bambino, e non avere nulla per la sepoltura”. Ma i suoi accusatori ripresero: “Perché hai fatto questo? Datele un castigo”. Ma egli disse loro: “Guardate, fratelli, è vicina alla morte; cosa devo fare?”. Ed è così che l’anziano non osò condannare mai nessuno.

9. Si disse anche che alcune persone si recarono da lui per essere giudicate, ma Abba Ammonas finse di essere pazzo. Una donna che gli stava vicino disse: “l’anziano è pazzo”. Abba Ammonas la sentì e, dopo averla chiamata, le disse: “Quante fatiche ho fatto nei deserti per acquisire questa follia, e a causa tua oggi dovrei perderla?

10. Abba Ammonas venne un giorno a mangiare in un luogo dove c’era un monaco di cattiva reputazione. Accadde che una donna entrò nella cella del fratello di cattiva reputazione. Gli abitanti di quel luogo, venuti a conoscenza di ciò, si turbarono e si riunirono per cacciare il fratello dalla sua cella. Sapendo che il vescovo Ammonas si trovava in quel luogo, gli chiesero di unirsi a loro. Quando il fratello in questione lo seppe, nascose la donna in una grande botte. Quando la folla giunse sul posto, Abba Ammonas vide chiaramente la situazione, ma per amore di Dio mantenne il segreto. Entrò, si sedette sulla botte e ordinò di perquisire la cella. Quando ebbero cercato dappertutto senza trovare la donna, Abba Ammonas disse: “Che cos’è questo? Che Dio possa perdonarvi!”. Dopo aver pregato, fece uscire tutti, poi, prendendo il fratello per la mano disse: “Fratello, stai in guardia”. Con queste parole, si ritirò.

11. Ad Abba Ammonas fu chiesto: “Qual è la ‘via stretta e difficile’? Egli rispose: “La ‘via stretta e difficile’ è questa, controllare i propri pensieri e spogliarsi della propria volontà, per amore di Dio. Questo è anche il significato della frase: “Ecco, abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”. (Matteo 19,27)

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[1] Salmo 90,11-15 (LXX): Perché per te comanderà ai suoi angeli di custodirti in tutte le tue vie. Sulle loro mani ti porteranno, perché non inciampi col tuo piede nel sasso. Sull’aspide e sul basilisco camminerai e calpesterai il leone e il drago. Poiché in me ha sperato, lo libererò, lo metterò al riparo, perché ha conosciuto il mio nome. Mi invocherà e lo esaudirò, con lui sono nella tribolazione; lo scamperò e lo glorificherò.




AGATONE

1. Abba Pietro, discepolo di Abba Lot, disse: “Un giorno, mentre mi trovavo nella cella di Abba Agatone, entrò un fratello e gli disse: “Voglio vivere con i fratelli; dimmi come devo abitare con loro”. L’anziano gli rispose: “Per tutti i giorni della tua vita mantieni lo stato d’animo dello straniero che hai il primo giorno in cui ti unisci a loro, per non diventare troppo familiare con loro”. L’abba Macario chiese: “E cosa produce questa familiarità?”. L’anziano rispose: “È come un vento forte e bruciante, ogni volta che si alza tutto vola via davanti a lui, e distrugge i frutti degli alberi”. Allora abba Macario disse: “Parlare troppo liberamente è davvero così dannoso?”. Abba Agatone rispose: “Nessuna passione è peggiore di una lingua incontrollata, perché è la madre di tutte le passioni. Di conseguenza, il buon lavoratore non dovrebbe usarla, anche se vive in cella come un solitario. Conosco un fratello che ha trascorso molto tempo nella sua cella dove c’era un piccolo lettino e che ha detto: “Avrei lasciato la mia cella senza sapere di quel lettino se nessuno mi avesse detto che c’era”. Ecco un lavoratore e un guerriero”.

2. Abba Agatone disse: “In nessun caso il monaco dovrebbe lasciare che la sua coscienza lo accusi di qualcosa”.

3. Disse anche: “Se non osserva i comandamenti di Dio, l’uomo non può progredire, nemmeno in una sola virtù”.

4. Disse anche: “Non sono mai andato a dormire con una lamentela contro qualcuno e, per quanto mi è stato possibile, non ho mai lasciato che qualcuno andasse a dormire con una lamentela contro di me”.

5. A proposito di Abba Agatone si racconta che alcuni monaci vennero a cercarlo avendo sentito parlare del suo grande discernimento. Volendo vedere se avrebbe perso la calma, gli dissero: “Non sei tu quell’Agatone di cui si dice che sia un fornicatore e un orgoglioso?” “Sì, è proprio vero”, rispose. Ripresero: “Non sei tu quell’Agatone che dice sempre sciocchezze?” “Sono io”. Di nuovo dissero: “Non sei tu Agatone l’eretico?”. Ma egli rispose: “Non sono eretico”. Allora gli chiesero: “Dicci perché hai accettato tutto quello che ti abbiamo lanciato, ma hai ripudiato quest’ultimo insulto”. Egli rispose: “Le prime accuse le prendo per me, perché questo è un bene per la mia anima. Ma l’eresia è separazione da Dio. Ora non voglio essere separato da Dio”. A questa affermazione si stupirono del suo discernimento e tornarono indietro, edificati.

6. Di Abba Agatone si è detto che trascorse molto tempo a costruire una cella con i suoi discepoli. Alla fine, quando fu terminata, vennero a vivere lì. Durante la prima settimana, vedendo qualcosa che gli sembrava dannoso, disse ai suoi discepoli: “Alzatevi, lasciamo questo posto”. Ma essi si sgomentarono e risposero: “Se avevate già deciso di trasferirvi, perché abbiamo perso così tanto tempo, perché ci siamo presi tanta briga per costruire la cella? La gente si scandalizzerà di noi e dirà: “Guardateli, si muovono ancora che gente instabile!”. Vide che erano frenati dalla timidezza e allora disse loro: “Se alcuni si scandalizzeranno, altri, al contrario, saranno molto edificati e diranno: “Come sono beati coloro che se ne vanno per amore di Dio, non avendo altra cura”. Tuttavia, chi vuole venire, venga; quanto a me, io me ne vado”. Allora si prostrarono a terra e lo pregarono di permettere loro di andare con lui.

7. Si diceva di lui che spesso usciva portando con sé solo il suo coltello per fare cesti di vimini.

8. Qualcuno chiese ad Abba Agatone: “Che cosa è meglio, l’ascesi corporale o la vigilanza interiore?”. Il vecchio rispose: “L’uomo è come un albero, l’ascesi corporea è il fogliame, la vigilanza interiore il frutto”. Secondo quanto è scritto: “Ogni albero che non produce frutti buoni sarà tagliato e gettato nel fuoco” (Mt 3,10), è chiaro che tutta la nostra cura deve essere rivolta al frutto, cioè alla custodia[1] dello spirito[2]; ma esso ha bisogno della protezione e dell’abbellimento del fogliame, che è l’ascesi corporea”.

9. I fratelli gli chiesero anche: “Tra tutte le opere buone, qual è la virtù che richiede il massimo sforzo? Egli rispose: “Non credo ci sia fatica più grande della preghiera a Dio”. Perché ogni volta che un uomo vuole pregare, i suoi nemici, i demoni, vogliono impedirglielo, perché sanno che solo allontanandolo dalla preghiera possono ostacolare il suo cammino. Qualsiasi opera buona un uomo intraprenda, se persevererà in essa, raggiungerà il riposo. Ma la preghiera è guerra fino all’ultimo respiro”.

10. Abba Agatone era saggio nello spirito e attivo nel corpo. Egli provvedeva a tutto ciò di cui aveva bisogno, in termini di lavoro manuale, cibo e abbigliamento.

11. Lo stesso Abba Agatone camminava con i suoi discepoli. Uno di loro, trovando un piccolo pisello verde sulla strada, disse al vecchio, “Padre, posso prenderlo?”. Il vecchio, guardandolo con stupore, disse: “Sei stato tu a metterlo lì?” “No”, rispose il fratello, Come puoi prendere una cosa che non hai messo tu?

12. Un fratello andò a cercare Abba Agatone e gli disse: “Lasciami vivere con te”. Sulla strada aveva trovato un pezzo di nitro[3] e lo aveva portato con sé. Dove hai trovato quel nitro?”, chiese il vecchio. Il fratello rispose: “L’ho trovato sulla strada mentre venivo e l’ho raccolto”. Il vecchio gli disse: “Se stai venendo a vivere con me, come puoi prendere ciò che non hai deposto?”. Allora lo mandò a rimetterla dove l’aveva trovata.

13. Un fratello chiese all’anziano: “Ho ricevuto un ordine, ma c’è pericolo di tentazione nel luogo in cui è stato impartito. A causa del comando desidero eseguirlo, ma ho paura di questo pericolo”. L’anziano gli disse: “Se questo fosse stato comandato ad Agatone, avrebbe eseguito il comando e così avrebbe superato la tentazione”.

14. A Scete si era tenuta una riunione su una questione e si era presa una decisione in merito. Quando Agatone arrivò più tardi, disse loro: “Non avete deciso bene su questa questione”. “Chi siete voi”, replicarono, “per parlare così?” “Un figlio d’uomo”, rispose, “perché è scritto: Se veramente parlate di giustizia, giudicate con rettitudine, o figli degli uomini “.  (Sal 7,2)

15. Di Abba Agatone si dice che per tre anni visse con una pietra in bocca, finché non imparò a tacere.

16. Di lui e di Abba Amoun si diceva che, quando avevano qualcosa da vendere, dicevano il prezzo una sola volta e accettavano in silenzio ciò che veniva loro dato in pace. Così come, quando volevano comprare qualcosa, davano il prezzo che veniva loro chiesto in silenzio e prendevano l’oggetto senza aggiungere altre parole.

17. Lo stesso Abba Agatone disse: “Non ho mai offerto agapi; ma il fatto di dare e ricevere è stato per me un’agape, perché considero il bene del mio fratello come un’offerta sacrificale”.

18. Ogni volta che i suoi pensieri lo spingevano a dare un giudizio su qualcosa che vedeva, diceva a sé stesso: “Agatone, non è compito tuo farlo”. In questo modo il suo spirito era sempre raccolto.

19. Lo stesso Abba disse: “Un uomo che si adira, anche se risuscitasse i morti, non è gradito a Dio”.

20. Un tempo Abba Agatone aveva due discepoli che conducevano la vita anacoretica secondo la propria misura. Un giorno chiese al primo: “Come vivi nella cella?”. Egli rispose: “Digiuno fino a sera, poi mangio due biscotti duri”. Gli disse: “Il tuo modo di vivere è buono, non è sovraccarico di troppo ascetismo”. Poi chiese all’altro: “E tu, come vivi?” Rispose: “Digiuno per due giorni, poi mangio due biscotti duri”. Il vecchio disse: “Fai molta fatica sopportando due conflitti; è una fatica per qualcuno mangiare ogni giorno senza ingordigia; ci sono altri che, volendo digiunare per due giorni, dopo sono golosi; ma tu, dopo aver digiunato per due giorni, non sei avido”.

21. Un fratello chiese ad Abba Agatone della fornicazione. Egli rispose, “Va’, getta la tua debolezza davanti a Dio e troverai riposo”.

22. Abba Agatone e un altro anziano erano malati. Mentre giacevano nella loro cella, il fratello che stava leggendo loro la Genesi, arrivò al capitolo in cui Giacobbe disse: “Giuseppe non c’è più, Simeone non c’è più e tu mi togli Beniamino; porterai nella tomba i miei capelli grigi con dolore”. (Gen 42,36-38) L’altro anziano cominciò a dire: “Non ti bastano i dieci, Abba Giacobbe?” Ma Abba Agatone rispose: “Fermati, anziano, se Dio giustifica, chi condannerà?”. (Rm 8,33-34)

23. Abba Agatone disse: “Se una persona mi fosse particolarmente cara ma mi rendessi conto che mi sta portando a fare qualcosa di cattivo, lo allontanerei da me”.

24. Disse anche: “L’uomo deve essere sempre consapevole dei giudizi di Dio”.

25. Un giorno, mentre i fratelli discutevano sulla carità, Abba Giuseppe disse: “Sappiamo davvero cosa sia la carità?”. Poi raccontò che quando un fratello venne a trovare Abba Agatone vide un coltellino che egli possedeva e gli piacque; quando il fratello lo salutò, l’anziano non lo lasciò andare finché non ebbe preso con sé quel coltellino.

26. Abba Agatone disse: “Se potessi incontrare un lebbroso, dargli il mio corpo e prendere il suo, sarei molto felice”. Questa è davvero la perfetta carità.

27. Si dice anche che un giorno, venendo in città per vendere la sua merce, abbia incontrato in piazza un viandante malato che giaceva a terra senza che nessuno si prendesse cura di lui. L’anziano prese in affitto una cella e visse con lui, lavorando con le proprie mani per pagare l’affitto e spendendo il resto del denaro per le necessità del malato. Egli rimase lì quattro mesi, finché il malato non si rimise in salute. Poi tornò in pace nella sua cella.

28. Abba Daniele disse: “Prima che Abba Arsenio venisse a vivere con i miei padri, essi vivevano con Abba Agatone. Ora Abba Agatone amava Abba Alessandro perché era ascetico e discreto. Ora accadde che tutti i discepoli stavano lavando i loro giunchi nel fiume, ma Abba Alessandro lavava i suoi con molta calma. Gli altri fratelli dissero all’anziano: “Fratello Alessandro non fa nulla!”. Volendo curarli, disse a lui: “Fratello Alessandro, lavali accuratamente perché sono di lino”. Il fratello fu ferito da queste parole. In seguito l’anziano lo confortò dicendo: “Non sapevo che stavi lavorando bene? Ma l’ho detto davanti a loro per curarli con la tua obbedienza, fratello”.

29. Di Abba Agatone si diceva che si obbligava a rispettare tutti i comandamenti. Quando navigava su un battello era il primo a prendere i remi e quando i fratelli venivano a trovarlo apparecchiava la tavola con le proprie mani, non appena avevano pregato, perché era pieno di amore di Dio. Quando fu in punto di morte rimase tre giorni con gli occhi fissi, spalancati. I fratelli lo svegliarono dicendo: “Abba Agatone, dove sei?” Egli rispose: “Sono davanti al tribunale di Dio”. Gli dissero: “Non hai paura, padre?” Egli rispose: “Fino a questo momento ho fatto del mio meglio per osservare i comandamenti di Dio; ma sono un uomo; come posso sapere se le mie azioni sono gradite a Dio?” I fratelli gli dissero: “Non hai fiducia in tutto ciò che hai fatto secondo la legge di Dio?” Il vecchio rispose: “Non avrò fiducia finché non incontrerò Dio”. Il giudizio di Dio non è quello degli uomini”. Quando vollero interrogarlo ulteriormente, disse loro: “Per carità, non parlatemi più, perché non ho più tempo”. Così morì con gioia. Lo videro partire come uno che saluta i suoi amici più cari. Egli conservava la più rigorosa vigilanza in ogni cosa, dicendo: “Senza una grande vigilanza l’uomo non avanza nemmeno in una sola virtù”.

30. Andando un giorno in città per vendere alcuni piccoli articoli, Abba Agatone incontrò sul ciglio della strada uno storpio, paralizzato nelle gambe, che gli chiese dove stesse andando. Abba Agatone rispose: “In città, per vendere alcune cose”. L’altro disse: “Fammi il favore di portarmi lì”. Così lo portò in città. Lo storpio gli disse, “Mettimi giù dove vendi la tua merce”. Egli lo fece. Quando ebbe venduto un articolo, lo storpio gli chiese: “A quanto l’hai venduto?” e lui gli disse il prezzo. L’altro disse: “Comprami una focaccia” e lui la comprò. Quando Abba Agatone ebbe venduto un secondo articolo, il malato gli chiese: “A quanto l’hai venduto? Ed egli gli disse il prezzo. Allora l’altro disse: “Comprami questo”, e lo comprò. Ora, avendo venduto tutta la sua merce, Agatone voleva andarsene, e l’altro gli disse, “Torni indietro?” ed egli rispose: “Sì”. Allora disse: “Fammi il favore di riportarmi nel luogo in cui mi hai trovato”. Lo prese di nuovo in braccio e lo riportò in quel luogo. Infine lo storpio disse: “Agatone, tu sei colmo di benedizioni divine, in cielo e sulla terra”. Alzando gli occhi, Agatone non vide nessun uomo; era un angelo del Signore, venuto a metterlo alla prova.


[1] gr. φυλακή: carcere ma anche guardia, come atto, il far guardia, specialmente il far la sentinella di notte e quindi custodia. Attività principale del monaco è quella di badare alla custodia della mente (nous), del cuore e dei sensi.

[2] gr. νοῦς: è la suprema facoltà umana e organo della contemplazione; è quella parte dello spirito umano che – contrariamente alla ragione – non procede in modo discorsivo, ma percepisce intuitivamente e sinteticamente la verità divina, nell’illuminazione della grazia. Tramite l’intelletto, attraverso gradi successivi, l’uomo procede nella conoscenza spirituale fino agli stadi supremi della contemplazione. (Filocalia, Glossario, ed. Gribaudi)

[3] Il nitro, o carbonato di sodio, era un’importanti risorsa minerale dei laghi d’Egitto ed era impiegato nella produzione di sapone, vetro, medicine, sale.




SANTI CALABRO-ORTODOSSI

TESTI DI RIFERIMENTO SULLA CALABRIA ORTODOSSA

Pietro Dalena, Il lavoro manuale nelle esperienze monastiche (eremitiche e cenobitiche) del Mezzogiorno rurale (secc. VI-XI)

MERCURION

LINK: Archivio storico per la Calabria e la Lucania


MONASTERI


SANTI CALABRO-ORTODOSSI

Altri scritti su San Giovanni Theristis

Altri scritti su San Filareto l’Ortolano

Altri scritti su San Nicodemo di Kellarana

Altri scritti sui Santi Calabro-Ortodossi


San Fantino il Giovane dal sito http://www.ortodoxia.it/




SAN GIOVANNI THERISTÌS (995-1054) – 23 Febbraio

23 FEBBRAIO

Il 23 di febbraio, memoria del nostro Santo Padre Giovanni detto “Theristìs” (mietitore), il Calabro. II bios greco è contenuto nei manoscritti Suppl. Gr. 106 (pp. 140-147), della Biblioteca Nazionale di Parigi e II, E, 11 (pp. 185-193), della Biblioteca Nazionale di Palermo.

Apolitìkion, forse tono II

Hai abbandonato la splendida isola dei Siciliani e sei giunto nella felice terra paterna, la santa Calabria, spinto dai consigli della fedele madre. Giovanni, padre nostro, prega per noi il Signore.

Kathisma dall’ufficio del Mattutino

Nelle tende celesti la tua anima pura e immacolata danza con gli angeli, o beato, e con tutti i santi; in terra, invece, l’urna delle tue reliquie compie portenti per coloro che con fede vi ricorrono. Hai ricevuto da Colui che assegna le corone gloria degna dei tuoi dolori e la giusta ricompensa, Giovanni beato, prega Cristo Dio di donare a noi il perdono delle colpe.

(fonte: P. Basilio Koutsouras, I Santi della Magna Grecia, p. 268ss)

VITA E FATTI DEL SANTO PADRE NOSTRO GIOVANNI THERISTÌS

1. Il nostro santo padre Giovanni Theristìs era della regione della Calabria, del territorio della città di Stilo, figlio di Genitori cristiani nobili e ricchi, e suo padre era arconte di un villaggio chiamato Cursano. Giunti una volta dall’isola di Sicilia alcuni barbari, per mare, con delle navi, nella predetta regione, devastando e depredando molte città e villaggi, devastarono anche il predetto villaggio di Cursano ed uccisero il padre del santo, mentre condussero schiava la madre, che era incinta, nel loro paese, nella città di Palermo; lì uno dei loro arconti la prese in moglie. Quando partorì generò questo venerabile fanciullo, che la madre allevava nella disciplina e nella ammonizione del Signore, mentre suo marito lo abituava ai suoi costumi barbarici. Quando fu di circa quattordici anni, la madre gli disse: “Sappi, o figlio, che questa non è la nostra patria, né questa è la tua patria, ma sei figlio di un nobile: io fui condotta schiava qui, mentre tuo padre fu ucciso da questo popolo barbaro in Calabria, nella nostra patria, vicino allo Stilaro, presso il fiume sopra un monastero detto … di Rodo Robiano … sotto il monte di Stilo, nel quale villaggio vi è il nostro palazzo, ed in esso nascondemmo i nostri tesori”, e gli indicò il luogo dove li avevano posti. Dopo di ciò lo ammonì con parole salutari, dicendo:

2. “Figlio, nessuno può salvare la sua anima senza il battesimo, che è donato nella nostra patria, dove vi sono i cristiani ortodossi: infatti, restando qui, non potrai salvare la tua anima, giacché non hai chi ti battezza; se lo riceverai, guadagnerai il regno dei cieli”. La beata madre, detto ciò ed altre parole simili a queste, mosse e spinse suo figlio al divino zelo di diventare cristiano. Avendolo visto fermo e … nella fede di Cristo, gli disse le parole del profeta: “Affida al Signore la cura di te, ed egli ti nutrirà” ; ed avendo detto così, gli diede una piccola croce che aveva segretamente presso di sé, e piangendo gli diede la materna benedizione e lo mandò via; quello, allontanatosi dalla madre, andò via.

3. Giunto presso il mare, trovò lì una barchetta e si imbarcò. Avendolo visto alcuni marinai barbari, lo inseguirono; ma egli, presa la croce che aveva ed essendosi voltato, li disperse: infatti scomparvero. Giunto dalle parti di Stilo sbarcò dalla barchetta, ma gli uomini di quella regione, avendolo visto vestito con un abito barbarico, lo credettero un barbaro e lo condussero dal vescovo. Avendogli chiesto il vescovo: “Da dove vieni? e cosa vuoi?”, rispose: “Vengo dal paese dei barbari desiderando diventare cristiano, e ricevere il santo battesimo, che, come ho udito, è somministrato in questa regione”. Il vescovo, per metterlo alla prova, gli disse: “Non puoi essere battezzato, essendo così grande di età, se prima non ti getti in una pentola piena di olio bollente”. Quello subito con ardore rispose: “Sono pronto a sopportare tutto; sia fatto come vuole la tua signoria, affinché riceva questo santo battesimo: infatti sono venuto per questo”. Allora il vescovo comandò di porre sul fuoco una pentola di olio a bollire, e stava ad osservare l’ardore del giovinetto: quello eccitava il fuoco, affinché bollisse subito, e quando vide che la pentola già bolliva, incominciò a togliersi le vesti, per gettarsi nudo nella detta pentola. Avendo visto ciò il vescovo che era stato a vedere e ad ammirare la sua audacia, corse e glielo impedì, ed avendolo preso lo portò in chiesa con molto e grande onore, lo battezzò e lo chiamò dal proprio nome Giovanni, e si trattenne con lui un numero sufficiente di giorni, in cui lo ammaestrò e gli insegnò le cose della fede. In quei giorni il santo, andando spesso in chiesa, vedeva molte icone dipinte di differenti santi, ed interrogava quelli che erano con lui dicendo: “Di chi è questa icona? e quest’altra di chi è?”, e così per le altre. Giunto presso l’icona di san Giovanni Battista chiese: “E chi è questo, vestito di una pelle di cammello?” e gli risposero: “Questo è san Giovanni Battista, che tu devi imitare: tu infatti ti chiami Giovanni come questo santo, e perciò dovrai imitarne la vita”. Avendoli esortati a narrargli la vita di questo santo, gli dissero che questo santo andò nel deserto ed ivi trascorse il resto della vita. Egli, avendo udito ciò, fu riempito di amore divino, ed andato dal vescovo gli chiese il permesso di andare in un luogo deserto dove potesse vivere in solitudine e salvare la sua anima; e gli mostrarono un luogo selvoso sul monte che era a settentrione, a circa due miglia di distanza, dove vi era un cenobio, dicendogli: “In quella casa abitano alcuni monaci che osservano la regola e l’ascesi del grande Basilio”. Il santo giovanetto, giunto in quel luogo, vi trovò i santi padri Ambrogio e Nicola. Egli li chiamò affinché lo accogliessero lì come monaco, ma gli risposero: “Ritorna, o figlio, nel mondo; infatti sei ancora giovinetto, e sei venuto qui più per molestarci che per qualche buona intenzione”, ma quello con umiltà rispose: “O padri, non sono venuto da voi per qualche cattiva intenzione, ma solo desiderando la salvezza della mia anima”. E quelli: “Allontanati da noi, o figlio – dissero – perché non potrai sopportare qui con noi la regola del nostro grande padre Basilio, che noi sopportiamo, perché essa è molto rigida”. Ma quello rispose: “Potrò, venerandi padri, con l’aiuto di Dio e col vostro mezzo, sottostare a tutta la regola ed osservarne tutte le norme; perciò sono venuto qui da voi”. Quelli per molti giorni non lo fecero entrare, ma rimasero dentro a pregare, mentre il santo era fuori della porta aspettando con pazienza ed esortandoli continuamente ad accoglierlo.

4. Infine i padri, vedendone la perseveranza, lo condussero al monastero, lo vestirono dell’abito monastico, e gli insegnarono la regola e l’ascesi del grande Basilio; e lì rimase vivendo santamente. Dopo non molto tempo il santo si ricordò delle parole che gli aveva dette sua madre, ed espose tutto a quei santi padri: che egli era di quella regione, del villaggio distrutto chiamato Cursano, figlio del nobile che era stato ucciso dai barbari, e che aveva i tesori nascosti dove era il suo palazzo, e tutto il resto.

5. Uno di quei giorni dunque, il santo, prese con sé uno di quei santi padri, e insieme andarono nel luogo distrutto e cercarono i suoi tesori; avendoli trovati, li distribuirono ai poveri, secondo il precetto del loro padre, il grande Basilio.

6. Questo san Giovanni aveva una spelonca, non lontano dal monastero, dove vi era dell’acqua, e questa spelonca oggi si chiama l’Acqua del santo; in essa spesso soleva recarsi da solo per la preghiera. Un giorno, nella stagione invernale, egli si trovava lì, secondo il suo costume, pregando, quando passò un nobile, che tornava dalla caccia insieme ad altri; questi vide il santo nella grotta, e, credendo che si lavasse, si scandalizzò e voltatosi disse a quelli che erano con lui: “Vedete cosa fanno questi monaci? Si lavano per sembrare più freschi al mondo”. Appena detto ciò, subito nel corpo gli venne un fuoco che gli divorava le viscere; ed andato così pieno di dolore a casa sua, si gettò al petto di sua madre gridando acutamente e lamentandosi. La madre gli disse: “Cosa hai, o figlio?” e quello rispose: “Sento un fuoco che mi distrugge il corpo, ohimé, o madre!”. Avendogli chiesto: “Cosa hai fatto oggi? Dove sei stato? E per quale via sei passato?” rispose: “Sono andato a caccia, e ritornavo per la via dinanzi alla spelonca dell’acqua, e lì vidi un monaco che si lavava, mi scandalizzai; e subito venne in me questo dolore”. Subito sua madre andò al monastero e trovò i santi padri che pregavano; e, caduta ai loro piedi, narrò loro tutto chiedendo perdono per il peccato di suo figlio. San Giovanni, piegato dalle preghiere supplichevoli della donna, le diede un vaso dicendo: “Recati presso quella spelonca, riempi questo di quell’acqua, e dalla a bere a quel tuo figlio”. Avendo la donna fatto ciò, subito si spense quel fuoco, ed il nobile guarì con l’aiuto di Dio e per mezzo di san Giovanni Theristìs. Avendo visto il miracolo, il nobile e sua madre consacrarono a quel monastero un podere; e da quella malattia del fuoco questo podere è chiamato tutt’oggi “Pyriton” (campo del fuoco).

7. Vi era in Robiano, dove oggi si chiama Monasterace, un altro nobile, che era un benefattore del monastero, ed ogni anno soleva dare ai santi padri ciò che serviva per i loro bisogni. Una volta san Giovanni, nel mese di giugno, nell’epoca della mietitura, voleva andare da lui; prese con sé un piccolo vaso da vino ed un poco di pane e si avviò. Giunto nei luoghi chiamati Muturabulo e Marone, vide una moltitudine di mietitori che mietevano i campi del detto nobile. Questi allora, visto il santo cominciarono a prenderlo in giro e a deriderlo, ma quello, avvicinatosi, li salutò e chiamatili diede a tutti da mangiare e da bere dal pane e dal vino che aveva; e mentre tutti si saziarono, il suo pane ed il vaso non furono diminuiti. Il santo, avendo visto ciò, cadde a terra ringraziando Dio; e mentre egli pregava si levò il vento e cadde la pioggia. Tutti i mietitori fuggirono sotto gli alberi, e solo il santo rimase lì a pregare. Terminata la sua preghiera, vide quei campi mietuti e tutti i manipoli legati, e ritornò al proprio monastero. Terminata la pioggia, tornarono i mietitori a terminare il loro lavoro, e trovarono tutto già mietuto e legato, mentre non trovarono il santo. Andarono allora a casa del loro padrone per prendere la loro mercede, cantando e saltellando lungo la strada. Il loro padrone, avendoli incontrati per strada, incominciò a rimproverali ed a biasimarli dicendo loro: “Sciocchi e dissennati, perché avete fatto ciò? Chi vi ha insegnato a lasciare il lavoro a mezzogiorno nel tempo della mietitura?”. Essi allora gli risposero: “Padrone, tutto è mietuto e legato”, e quello allora disse: “Come può essere ciò, che trenta altri mietitori non compirebbero neanche per domani?”. Quelli maggiormente gli confermavano ciò che avevano detto, ed allora egli chiese: “Avete preso forse qualche aiuto?”. Risposero: “Non abbiamo avuto altro aiuto se non un monaco di quelli che sono nel monastero, che venne da noi, che ci diede da mangiare e da bere, e che poi non abbiamo visto più”. Allora disse quel nobile: “Questo monaco con l’aiuto di Dio ha mietuto i miei campi, e voglio che questi campi siano suoi”, e consacrò al monastero i predetti fondi di Muturabulo e di Marone, che il monastero finora possiede; e per questo miracolo il santo fu chiamato Theristìs (il Mietitore).

8. Un altro grande nobile di nome Ruggiero, figlio del re di quella regione, aveva nel volto un’ulcera inguaribile, che non poteva essere curata da nessun medico. Questi, avendo udito la fama di questo santo, che faceva molti miracoli, guariva molti da diverse malattie e scacciava molti demoni dagli uomini, pieno di coraggio andò a lui, ma trovò che era partito da questa vita, e le sue spoglie giacenti. Caduto per terra dinanzi ai suoi piedi, molto lo invocò dicendo: “Beato Giovanni, ti chiedo non per me, ma per la tua bontà e misericordia, supplica per me la misericordia di Dio, affinché mi liberi da questa malattia che ho nel viso”, ed avendo detto ciò, prese il lembo della veste del santo e con quello si nettò il volto, e subito fu liberato da quella malattia, senza che alcun segno rimanesse sul suo volto. Quel nobile, visto ciò ed altri miracoli compiuti dinanzi a lui, glorificò Dio e questo suo santo Giovanni Theristìs e per il beneficio ricevuto restaurò tutto il monastero e la chiesa, e consacrò ad esso molti fondi e molti possedimenti, che il detto monastero tuttora possiede.

Fonte: S. BORSARI, Vita di San Giovanni Terista. Testi greci inediti,

in “Archivio Storico per la Calabria e Lucania”,

Roma, XXII, 1953, pp. 136-15 1




Anziano Iosif l’Esicasta: dalla lettera 23

“La grazia precede sempre la tentazione per informare e dire: “Sta pronto e chiudi le tue porte”. Quando scorgi consolazione nel tuo cuore, illuminazione nella tua mente e contemplazione, sta subito pronto. Non dire: “Mi è stato dato riposo, che possa goderne!”, ma caricando le tue armi – lacrime, digiuno, veglia e preghiera – poni come sentinelle i sensi onde custodire la mente. In che modo avverrà dunque la lotta? Coi demoni? Con gli uomini? O con la natura del tuo stesso io? Non ti assopire fino a quando non suona la tromba della battaglia e, iniziato il combattimento, ti si rivelerà la tua lotta e la vittoria. Devi sicuramente temere quando la grazia opera: in te. Al contrario, quando vedi che ti soffocano da ogni parte le tentazioni e le tribolazioni, allora rallegrati”




ARSENIO

ἀββᾶς Ἀρσένιος

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1. Mentre viveva ancora nel palazzo, Abba Arsenio pregò Dio con queste parole: “Signore, guidami sulla via della salvezza”. E una voce gli disse: “Arsenio, fuggi dagli uomini e sarai salvato”.

2. Dopo essersi ritirato nella vita solitaria, fece di nuovo la stessa preghiera e udì una voce che gli diceva: “Arsenio, fuggi, taci, mantieni l’esichia, perché queste sono le sorgenti dell’assenza di peccato”.

3. Accadde che, mentre Abba Arsenio era seduto nella sua cella, fu assalito dai demoni. I suoi servi, al loro ritorno, stavano fuori dalla sua cella e lo sentirono pregare Dio con queste parole: “O Dio, non abbandonarmi! Non ho fatto nulla di buono al tuo cospetto, ma secondo la tua bontà, fammi iniziare”.

4. Si diceva di lui che, come nessuno a corte aveva indossato abiti più splendidi dei suoi quando vi abitava, così nessuno nella Chiesa indossava abiti così poveri.

5. Qualcuno disse al beato Arsenio: “Come mai noi, con tutta la nostra istruzione e la nostra vasta conoscenza, non arriviamo da nessuna parte, mentre questi contadini egiziani acquisiscono tante virtù?”. Abba Arsenio gli rispose: “Noi non otteniamo nulla dalla nostra istruzione secolare, ma questi contadini egiziani acquisiscono le virtù con il duro lavoro”.

6. Un giorno Abba Arsenio consultò un vecchio monaco egiziano sui propri pensieri. Qualcuno se ne accorse e gli disse: “Abba Arsenio, come mai tu, che hai una così buona istruzione latina e greca, chiedi a questo contadino informazioni sui tuoi pensieri? Egli rispose, Ho imparato il latino e il greco, ma non conosco nemmeno l’alfabeto di questo contadino”.

7. Il beato arcivescovo Teofilo, accompagnato da un magistrato, un giorno andò a cercare Abba Arsenio. Interrogò l’anziano, per sentire una parola da lui. Dopo un breve silenzio, l’anziano gli rispose: “Metterete in pratica ciò che vi dico?”. Gli promisero questo. Se sentirete che Arsenio è da qualche parte, non andateci”.

8. Un’altra volta l’arcivescovo, intenzionato a venire a trovarlo, mandò qualcuno a vedere se l’anziano lo avrebbe ricevuto. Arsenio gli disse: “Se vieni, ti riceverò; ma se ricevo te, dovrò ricevere tutti e quindi non potrò più vivere in questo luogo”. Sentendo questo, l’arcivescovo disse: “Se lo scaccio andando da lui, non ci andrò più”.

9. Un fratello interrogò Abba Arsenio per avere una parola da lui e l’anziano gli disse: “Sforzati con tutto te stesso affinché la tua attività interiore sia in accordo con Dio e vincerai così le passioni esteriori”.

10. Ha anche detto: “Se cerchiamo Dio, egli si mostrerà a noi, e se lo custodiamo, resterà vicino a noi”.

11. Qualcuno disse ad Abba Arsenio: “I miei pensieri mi disturbano, dicendo: Non puoi né digiunare né lavorare; almeno vai a visitare i malati, perché anche questa è carità”. Ma il vecchio, riconoscendo le suggestioni dei demoni, gli disse: “Vai, mangia, bevi, dormi, non lavorare, ma non uscire dalla tua cella”. Sapeva infatti che la costanza nella cella mantiene un monaco sulla retta via.

12. Abba Arsenio era solito dire che un monaco in viaggio all’estero non deve farsi coinvolgere in nulla; così rimarrà in pace.

13. Abba Marco disse ad Abba Arsenio: “Perché ci eviti?”. L’anziano gli rispose: “Dio sa che vi amo, ma non posso vivere con Dio e con gli uomini. Le migliaia e le diecimila schiere celesti hanno una sola volontà, mentre gli uomini ne hanno molte. Quindi non posso lasciare Dio per stare con gli uomini”.

14. Abba Daniele disse di Abba Arsenio che era solito passare tutta la notte senza dormire, e al mattino presto, quando la natura lo costringeva ad andare a dormire, diceva al sonno: “Vieni qui, servo malvagio”. Poi, seduto, strappava un po’ di sonno e si risvegliava subito.

15. Abba Arsenio diceva che un’ora di sonno è sufficiente per un monaco se è un buon combattente.

16. L’anziano raccontava che un giorno qualcuno aveva consegnato a Scete alcuni fichi secchi. Poiché erano di poco conto, nessuno ne portò ad Abba Arsenio per non offenderlo. Avendo capito questo, l’anziano non si presentò alla sinassi dicendo: “Mi avete scacciato non dandomi una parte della benedizione che Dio ha dato ai fratelli e che non ero degno di ricevere”. Tutti lo seppero e furono edificati dall’umiltà dell’anziano. Allora il sacerdote andò a prendergli i piccoli fichi secchi e glieli portò e poi lo condusse alla sinassi con gioia.

17. Abba Daniele diceva: “Ha vissuto con noi per molti anni e ogni anno gli portavamo solo un cesto di pane e quando andavamo a cercarlo l’anno successivo mangiavamo un po’ di quel pane”.

18. Dello stesso Abba Arsenio si diceva che cambiava l’acqua per le foglie di palma solo una volta all’anno; il resto del tempo la aggiungeva semplicemente. Un anziano lo implorava con queste parole: “Perché non cambi l’acqua di queste foglie di palma quando puzza? Gli rispose: “Al posto dei profumi e degli aromi che ho usato nel mondo, ora devo sopportare questo cattivo odore”.

19. Abba Daniele raccontava che quando Abba Arsenio sapeva che qualche varietà di frutta era matura, diceva: “Portatemene un po’”. Ne assaggiava pochissima, una sola volta, ringraziando Dio.

20. Una volta a Scete, Abba Arsenio era malato e non aveva neanche uno straccio di lino. Non avendo nulla con cui comprarlo, ne ricevette un po’ grazie alla carità di un altro e disse: “Ti rendo grazie, Signore, per avermi considerato degno di ricevere questa carità in tuo nome”

21. Si diceva di lui che la sua cella era a trentadue miglia di distanza e che non la lasciava volentieri: altri, infatti, facevano per lui le commissioni. Quando Scete fu distrutta se ne andò piangendo e disse: “Il mondo ha perso Roma e i monaci hanno perso Scete”.

22. Abba Marco chiese ad Abba Arsenio: “È bene non avere nulla di superfluo nella cella? Conosco un fratello che aveva delle piante e le ha tirate via”. Abba Arsenio rispose: “Indubbiamente è una cosa buona, ma deve essere fatto secondo le capacità dell’uomo. Perché se egli non ha la forza per questa pratica, presto ne pianterà altre”.

23. Abba Daniele, discepolo di Abba Arsenio, raccontò questo: “Un giorno mi trovai vicino ad Abba Alessandro ed egli era pieno di dolore. Si sdraiò e fissò l’aria a causa del suo dolore. Ora accadde che il beato Arsenio venne a parlare con lui e lo vide sdraiato. Durante la loro conversazione gli disse: “E chi era quell’uomo del mondo che ho visto qui?”. Abba Alessandro rispose: “Dove l’hai visto?” Egli rispose: “Mentre scendevo dalla montagna, ho gettato lo sguardo in questa direzione, verso la grotta e ho visto un uomo disteso supino che guardava in aria”. Così Abba Alessandro fece penitenza, dicendo: “Perdonami, sono stato io; sono stato sopraffatto dal dolore”. L’anziano gli disse: “Bene, allora sei stato tu? Bene; pensavo che fosse un laico ed è per questo che te l’ho chiesto”.

24. Un’altra volta Abba Arsenio disse ad Abba Alessandro: “Quando avrai tagliato le tue foglie di palma, vieni a mangiare con me, ma se vengono dei visitatori, mangia con loro”. Abba Alessandro lavorò lentamente e con attenzione. Quando arrivò il momento, non aveva ancora tagliato le foglie di palma e, volendo seguire le istruzioni del vecchio, aspettò di tagliarle. Quando Abba Arsenio vide che era in ritardo, mangiò, pensando che avesse avuto ospiti. Ma Abba Alessandro, quando finalmente ebbe finito, se ne andò. E il vecchio gli disse: “Hai avuto visite?” “No”, rispose. Allora perché non sei venuto?”. L’altro rispose: “Mi hai detto di venire quando avrei tagliato le foglie di palma; e seguendo le tue istruzioni, non sono venuto, perché non avevo finito”. L’anziano si meravigliò della sua esattezza e gli disse: “Interrompi subito il tuo digiuno per celebrare senza problemi la sinassi e bevi un po’ d’acqua, altrimenti il tuo corpo ne soffrirà presto”.

25. Un giorno Abba Arsenio giunse in un luogo in cui c’erano delle canne che ondeggiavano per il vento. Il vecchio disse ai fratelli: “Cos’è questo frastuono?”. Essi risposero: “Alcune canne”. Allora il vecchio disse loro Quando uno vive in preghiera silenziosa e sente il canto di un passerotto, il suo cuore non ha più la stessa pace. Quanto è peggio per voi se sentite il frastuono di quelle canne”.

26. Abba Daniele raccontò che alcuni fratelli, proponendo di andare nella Tebaide per trovare del lino, dissero: “Approfittiamo dell’occasione per vedere anche Abba Arsenio”. Così Abba Alessandro venne a dire all’anziano: “Alcuni fratelli venuti da Alessandria desiderano vederti”. Il vecchio rispose: “Chiedi loro perché sono venuti”. Avendo saputo che andavano nella Tebaide a cercare il lino, lo riferì all’anziano che rispose: “Non vedranno certo il volto di Arsenio perché non sono venuti per causa mia, ma per il loro lavoro”. Falli riposare e mandali via in pace e dì loro che l’anziano non può riceverli”.

27. Un fratello giunse alla cella di Abba Arsenio a Scete. Aspettando fuori dalla porta, vide l’anziano tutto come una fiamma (il fratello era degno di questo spettacolo). Quando bussò, il vecchio uscì e vide il fratello meravigliato. Gli disse: “Hai bussato a lungo? Hai visto qualcosa qui?”. L’altro rispose: “No”. Allora parlò con lui e lo mandò via.

28. Quando Abba Arsenio viveva a Canopo, una vergine di rango senatoriale, molto ricca e timorata di Dio, venne da Roma a trovarlo. Quando l’arcivescovo Teofilo la incontrò, gli chiese di persuadere l’anziano a riceverla. Così egli glielo chiese con queste parole: “Una certa persona di rango senatoriale è venuta da Roma e desidera vederti”. L’anziano rifiutò di riceverla. Ma quando l’arcivescovo lo disse alla giovane, lei ordinò di sellare la bestia da soma dicendo: “Confido in Dio che lo vedrò, perché non è un uomo quello che sono venuta a vedere (ce ne sono molti nella nostra città), ma un profeta”. Quando giunse alla cella dell’anziano, per una dispensa di Dio, egli era fuori dalla cella. Vedendolo, si gettò ai suoi piedi. Indignato, egli la sollevò e le disse, guardandola fisso: “Se vuol vedere il mio volto, eccolo qui, guardate”. Lei si coprì di vergogna e non guardò il suo volto. Allora il vecchio le disse: “Non ha sentito parlare del mio stile di vita? Dovrebbe essere rispettato. Come osa fare un viaggio del genere? Non si rende conto che è una donna e che non può andare dappertutto? O forse lo ha fatto perché tornando a Roma possa dire alle altre donne: Ho visto Arsenio? Allora il mare diventerà come una un’arteria stradale con le donne che vengono a vedermi”. Lei rispose: “Piaccia al Signore, non permetterà a nessuno di venire qui; ma preghi per me e si ricordi sempre di me”. Ma egli le rispose: “Io prego Dio di allontanare il vostro ricordo dal mio cuore”. Sconvolta all’udire queste parole, si ritirò. Quando tornò in città, nel suo dolore si ammalò di febbre e il beato arcivescovo Teofilo fu informato della sua malattia. Venne a trovarla e le chiese di dirgli qual era il problema. Lei gli disse: “Se solo non fossi andata lì! Poiché ho chiesto al vecchio di ricordarsi di me, mi ha detto: ‘Prego Dio di togliere il suo ricordo dal mio cuore’. Così ora sto morendo di dolore”. L’arcivescovo le disse: “Non si rende conto che lei è una donna e che è proprio attraverso le donne che il nemico guerreggia contro i santi? Questo è il motivo delle parole dell’anziano; ma per quanto riguarda la vostra anima, egli pregherà continuamente per lei”. A questo punto il suo spirito fu guarito e tornò a casa con gioia.

29. Abba Davide raccontò questa storia di Abba Arsenio. Un giorno arrivò un magistrato venne a portargli il testamento di un senatore, membro della sua famiglia, che gli aveva lasciato un’eredità molto grande. Arsenio lo prese e stava per distruggerlo. Ma il magistrato si gettò ai suoi piedi dicendo: “Vi prego, non distruggetelo o mi taglieranno la testa”. Abba Arsenio gli disse: “Ma io sono morto già molto tempo prima di questo senatore che è appena morto”, e gli restituì il testamento senza accettare nulla.

30. Di lui si diceva anche che il sabato sera, per prepararsi alla gloria della domenica, volgeva le spalle al sole e alzava le mani in preghiera verso il cielo, finché ancora una volta il sole non splendeva sul suo volto. Poi si sedeva.

31. Di Abba Arsenio e di Abba Teodoro di Pherme si diceva che, più di tutti gli altri, essi bistrattavano la stima degli altri uomini. Abba Arsenio non incontrava facilmente le persone, mentre Abba Teodoro era affilato come una spada quando incontrava qualcuno.

32. Nei giorni in cui Abba Arsenio viveva nel Basso Egitto, era continuamente disturbato e quindi ritenne opportuno lasciare la sua cella. Senza portare via nulla, si recò dai suoi discepoli a Pharan, Alessandro e Zoilo. Disse ad Alessandro: “Alzati e sali sulla barca”, cosa che egli fece. E disse a Zoilo: “Vieni con me fino al fiume e trovami una barca che mi porti ad Alessandria; poi imbarcati per raggiungere tuo fratello”. Zoilo fu turbato da queste parole, ma non disse nulla. Così si separarono. L’anziano scese nelle regioni di Alessandria dove si ammalò gravemente. I suoi discepoli si dissero l’un l’altro: “forse uno di noi ha infastidito il vecchio e per questo si è allontanato da noi?”. Ma non trovarono nulla di cui rimproverarsi né alcuna disobbedienza. Una volta guarito, l’anziano disse: “Tornerò dai miei padri”. Risalendo la corrente, giunse a Petra, dove si trovavano i suoi discepoli. Mentre era vicino al fiume, una ragazzina etiope si avvicinò e toccò il suo mantello di lana. Il vecchio la rimproverò e lei rispose: “Se sei un monaco, vai sulla montagna”. L’anziano, preso da pentimento a queste parole, diceva fra sé: «Arsenio, se sei monaco, vai sui monti». Mentre pensava a ciò, gli vennero incontro Alessandro e Zoilo che si gettarono ai suoi piedi e anche il vecchio cadde con loro e piansero insieme. Il vecchio disse loro: “Non avete sentito che ero malato?”. Risposero: “Sì”. “Allora”, continuò, “perché non siete venuti a trovarmi?”. Abba Alessandro disse: “Il tuo allontanamento da noi non è stato un bene per noi, e molti non ne sono rimasti soddisfatti, dicendo: Se non avessero contrariato, l’anziano non li avrebbe lasciati”. Abba Arsenio disse: “D’altra parte, ora diranno: La colomba, non trovando dove riposare, tornò da Noè nell’arca”. Così si confrontarono ed egli rimase con loro fino alla morte.

33. Abba Daniele disse: “Abba Arsenio ci ha detto quanto segue, come se si riferisse a qualcun altro, ma in realtà si riferiva a lui stesso. Un anziano era seduto nella sua cella e gli giunse una voce che gli disse: “Vieni e ti mostrerò le opere degli uomini”. Si alzò e la seguì. La voce lo condusse in un certo luogo e gli fece vedere un etiope che stava raccogliendo legna e la sistemava facendo una grande catasta. Poi si sforzò di trasportarla, ma invano. Ora, invece di prendere un po’ di legna alla volta, ne tagliò altra che aggiunse alla catasta. Fece così per molto tempo. Andando un po’ più avanti, al vecchio fu mostrato un uomo in piedi sulla riva di un lago che raccoglieva l’acqua e la versava in un recipiente rotto, in modo che l’acqua tornasse nel lago. Poi la voce disse al vecchio: “Vieni e ti mostrerò qualcos’altro”. Egli vide un tempio e due uomini a cavallo, uno di fronte all’altro, che portavano un pezzo di legno di traverso. Volevano entrare dalla porta, ma non potevano perché tenevano il loro pezzo di legno trasversalmente. Nessuno dei due si ritraeva davanti all’altro, in modo da portare il legno dritto e così rimasero fuori dalla porta. La voce disse all’anziano: “Questi uomini portano il giogo della giustizia con orgoglio e non si umiliano per correggersi e camminare nell’umile via di Cristo. Così essi rimangono fuori dal Regno di Dio. L’uomo che taglia la legna è colui che vive in molti peccati e, invece di pentirsi, aggiunge altre colpe ai propri peccati. Colui che attinge l’acqua è colui che compie buone azioni, ma mescolando quelle cattive con esse, rovina anche le buone opere. Perciò ognuno deve stare attento alle proprie azioni, per non faticare invano”.

34. Lo stesso Abba raccontò di alcuni Padri che un giorno vennero da Alessandria per vedere Abba Arsenio. Tra loro c’era l’anziano Timoteo, arcivescovo di Alessandria, detto il Povero. L’anziano, che era malato, rifiutò di vederli per paura che altri venissero a disturbarlo. In quei giorni viveva a Petra di Troe. Così tornarono indietro, infastiditi. Ora c’era un’invasione di barbari e l’anziano andò a vivere nel basso Egitto. Saputo questo, vennero a trovarlo di nuovo e li accolse con gioia. Il fratello che era con loro gli disse: “Abbà, non sai che siamo venuti a trovarti a Troe e non ci hai ricevuto?”. L’anziano gli rispose: “Voi avete mangiato pane e bevuto acqua, ma in verità, figlio mio, io non ho assaggiato né pane né acqua e non mi sono seduto finché non ho pensato che foste arrivati a casa, per punirmi perché vi siete stancati per colpa mia. Ma perdonatemi, fratelli miei”. Così se ne andarono consolati.

35. Lo stesso Abba disse: “Un giorno Abba Arsenio mi chiamò e mi disse: “Sii di conforto a tuo padre, in modo che quando andrà al Signore pregherà per te, affinché il Signore sia buono con te a tua volta”.

36. Di Abba Arsenio si racconta che una volta, quando era malato a Scete, il sacerdote venne a portarlo in chiesa e lo mise su un letto con un piccolo cuscino sotto la testa. Un anziano che veniva a trovarlo, vedendolo disteso su un letto con un piccolo cuscino sotto la testa, rimase scioccato e disse: “È davvero questo Abba Arsenio, quest’uomo disteso in questo modo?”. Allora il sacerdote lo prese in disparte e gli chiese: “Nel villaggio in cui vivevi, che mestiere facevi?” “Ero un pastore”, rispose. E come vivevi?” “Avevo una vita molto dura”. Allora il sacerdote disse: “E come vivi ora nella tua cella?”. L’altro rispose: “Più comodo”. Allora gli disse: “Vedi questo Abba Arsenio? Quando era nel mondo era come un padre per l’imperatore, circondato da migliaia di schiavi con cinture d’oro, tutti con collari d’oro e abiti di seta. Sotto di lui erano stese ricche coperte. Mentre tu eri nel mondo come pastore non godevi nemmeno delle comodità che hai ora, ma egli non gode più della vita delicata che conduceva nel mondo. Così tu ora sei confortato mentre egli è afflitto”. A queste parole l’anziano fu pieno di compunzione e si prostrò dicendo: “Padre, perdonami, perché ho peccato”. In verità la via seguita da quest’uomo è la via della verità, perché conduce all’umiltà, mentre la mia conduce al benessere”. Così l’anziano si ritirò, edificato.

37. Uno dei Padri andò a trovare Abba Arsenio. Quando bussò alla porta, l’anziano aprì, pensando che fosse il suo servo. Ma quando vide che era un’altra persona, cadde con la faccia a terra. L’altro gli disse: “Alzati, padre, perché possa salutarti”. Ma l’anziano rispose: “Non mi alzerò finché non te ne sarai andato” e, nonostante le molte suppliche, non si alzò finché l’altro non se ne fu andato.

38. Si racconta di un fratello che venne a trovare Abba Arsenio a Scete che, giunto in chiesa, chiese ai chierici se poteva incontrare Arsenio. Gli dissero: “Fratello, prendi un po’ di cibo e poi vai a trovarlo”. Non mangerò nulla”, disse, “prima di averlo incontrato”. Allora, poiché la cella di Arsenio era lontana, mandarono un fratello con lui. Dopo aver bussato alla porta, entrarono, salutarono l’anziano e si sedettero senza dire nulla. Poi il fratello della chiesa disse: “Vi lascio. Pregate per me”. Il fratello in visita, non sentendosi a proprio agio con l’anziano, disse: “Verrò con te” e se ne andarono insieme. Poi il visitatore chiese: “Portami da Abba Mosè, quello che era un ladro”. Quando arrivarono, l’Abba li accolse con gioia e poi li congedò con piacere. Il fratello che aveva portato l’altro disse al suo compagno: “Vedi, ti ho portato dallo straniero e dall’egiziano, quale dei due preferisci?” “Per quanto mi riguarda”, rispose, “preferisco l’egiziano”. Un padre, udito ciò, pregò Dio dicendo: “Signore, spiegami questa faccenda: per amore del tuo nome l’uno fugge dagli uomini e l’altro, per amore del tuo nome, li accoglie a braccia aperte”. Allora gli furono mostrate due grandi barche su un fiume ed egli vide Abba Arsenio e lo Spirito di Dio che navigavano in una, in perfetta pace; e nell’altra c’era Abba Moses con gli angeli di Dio, e tutti mangiavano dolci al miele.

39. Abba Daniele disse: “In punto di morte, Abba Arsenio ci inviò questo messaggio: “Non preoccupatevi di fare offerte per me, perché in verità ho fatto un’offerta per me stesso e la ritroverò”.

40. Quando Abba Arsenio fu in punto di morte, i suoi discepoli erano turbati. Egli disse loro: “Non è ancora giunta l’ora; quando verrà, ve lo dirò. Ma se mai darete le mie spoglie a qualcuno, saremo giudicati davanti al tremendo seggio del giudizio”. Gli dissero: “Che cosa faremo? Non sappiamo come seppellire qualcuno”. Il vecchio disse loro: “Non sapete come legare una corda ai miei piedi e trascinarmi sul monte?

L’anziano diceva spesso a sé stesso: “Arsenio, perché hai lasciato il mondo? Mi sono spesso pentito di aver parlato, ma mai di aver taciuto”. Quando la morte si avvicinava, i fratelli lo videro piangere e gli dissero: “In verità, padre, sei tu a piangere? Padre, hai anche tu paura?” “Certo”, rispose loro, la paura che ho di quest’ora mi accompagna da quando sono diventato monaco”. A questo punto si addormentò.

41. Di lui si disse che aveva un brutto incavo nel petto, che era stato scavato dalle lacrime che gli erano cadute dagli occhi per tutta la vita, mentre era seduto al suo lavoro manuale. Quando Abba Poemen seppe che era morto, disse piangendo: “Veramente sei benedetto, Abba Arsenio, perché hai pianto per te stesso in questo mondo! Chi non piange per sé stesso quaggiù, piangerà eternamente nell’aldilà; quindi è impossibile non piangere, sia volontariamente qui o quando si è costretti dalla sofferenza dei tormenti”.

42. Abba Daniele diceva di lui: “Non volle mai rispondere a una domanda sulle Scritture, anche se avrebbe potuto farlo se avesse voluto, così come non scrisse mai prontamente una lettera. Quando di tanto in tanto veniva in chiesa, si sedeva dietro un pilastro, in modo che nessuno lo vedesse in faccia e che lui stesso non notasse gli altri. Il suo aspetto era angelico, come quello di Giacobbe. Il suo corpo era aggraziato e snello; la sua lunga barba gli arrivava fino alla vita. A causa di molte lacrime, le sue ciglia erano cadute. Alto di statura, era curvo per la vecchiaia. Aveva novantacinque anni quando morì. Per quarant’anni fu impiegato nel palazzo di Teodosio il Grande di divina memoria, che era il padre dei divini Arcadio e Onorio; poi visse quarant’anni a Scete, dieci anni a Troe’ sopra Babilonia, di fronte a Memphis e tre anni a Canopo di Alessandria. Gli ultimi due anni tornò a Troe dove morì, terminando la sua corsa in pace e nel timore di Dio. Era un uomo buono, “pieno di Spirito Santo e di fede”. (At 11,24) Mi ha lasciato la sua tunica di cuoio, un cilicio di pelo bianco[1] e i suoi sandali di foglie di palma. Sebbene non ne sia degno, li indosso per ottenere la sua benedizione”.

43. Abba Daniele raccontava anche questo di Abba Arsenio: “Un giorno chiamò i miei Padri, Abba Alessandro e Abba Zoilo, e per umiliarsi disse loro: “Poiché i demoni mi attaccano e non so se riusciranno a derubarmi quando dormirò stanotte, condividete la mia sofferenza e vegliate affinché non mi addormenti durante la veglia”. A notte fonda si sedettero in silenzio, uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra. I miei Padri dissero: “Quanto a noi, ci siamo addormentati, poi ci siamo svegliati di nuovo, ma non ci siamo accorti che si era assopito”. Al mattino presto (Dio sa se lo fece apposta per farci credere che aveva dormito, o se davvero aveva ceduto al sonno) fece tre sospiri, poi si alzò subito, dicendo: “Ho dormito, vero?”. Noi rispondemmo che non lo sapevamo”.

44. Un giorno alcuni anziani vennero da Abba Arsenio e insistettero per vederlo. Egli li ricevette. Poi gli chiesero di dire loro una parola su coloro che vivono in solitudine senza vedere nessuno. L’anziano disse loro: “Finché una ragazza vive nella casa paterna, molti giovani desiderano sposarla, ma quando ha preso marito non è più gradita a tutti; disprezzata da alcuni, lodata da altri, non gode più della stima un tempo, quando viveva una vita nascosta. Così è per le cose dell’anima; nel momento in cui vengono mostrate a tutti, non sono più in grado di essere apprezzate da tutti”.


[1] Il cilicio anticamente era un tessuto di peli di capra o di cammello, in uso anche fra i soldati dell’esercito romano. Nel mondo greco-romano tali stoffe, utilizzate per tende, vele, sacchi, vesti grossolane, ecc., presero il nome di “cilici”, termine che proviene dal greco κιλίκιον (kilíkion), ovvero della regione della Cilicia, l’odierno Sud della Turchia, in quanto i Cilici ne ebbero quasi il monopolio (Plinio, VI, 143). A scopo ascetico questa stoffa veniva indossata a immediato contatto con la nuda pelle, come viene frequentemente attestato nella Bibbia, nella quale la traduzione abituale di cilicio è “sacco”, in quanto in ebraico cilicio si dice saq. (fonte Wikipedia e Treccani)