SAN NICEFORO L’ESICASTA

San Niceforo il monaco, noto anche come l’esicasta, è a noi noto grazie alla vita di San Gregorio Palamas, che lo aveva come maestro e guida. Secondo Gregorio era “un italiano” che si convertì dal Cattolicesimo all’Ortodossia. Questo potrebbe significare che era di origine greca, della Sicilia o della Calabria, ma la cui famiglia era stata costretta a unirsi con Roma, oppure potrebbe significare che era un italiano o misto di
discendenza greca e italiana. Questo dato biografico non è verificabile. Tuttavia sappiamo che quando è arrivato a Costantinopoli, Niceforo si oppose alle politiche unioniste dell’Imperatore Michele VIII Paleologo (1259-1282) che furono successivamente concordate al Sinodo di Lione nel 1274. Per questo motivo, lui fu imprigionato nel 1267-8 e in seguito scrisse un suo resoconto del calvario subito. Inoltre, con la sua posizione a favore dell’Ortodossia, fece molti discepoli tra l’élite della Capitale Imperiale.

Dopo questo periodo, Niceforo partì per il Monte Athos, dove divenne monaco e visse in un eremo vicino a Karyes, la capitale athonita. Qui dimorò in “calma e quiete”, secondo Palamas, e alla fine si ritirò in “luoghi più isolati” della montagna. Qui scrisse un opuscolo intitolato “Sulla vigilanza e la custodia del cuore”, che lo ha reso famoso come esicasta, e sul quale è fondata la sua memoria e la sua venerazione. Quest’opera è infatti un’antologia di citazioni da precedenti esicasti, santi e padri asceti, come i santi
Antonio e Macario il Grande, Giovanni Climaco e Simeone il Nuovo Teologo. Nel suo lavoro Niceforo raccomanda in particolare l’importanza di avere un padre spirituale a cui dare obbedienza. Questo, dice, è essenziale se vogliamo custodire il cuore dalle distrazioni e raggiungere la preghiera incessante invocando il nome di Gesù Cristo e chiedendo misericordia. Lui consiglia anche come aiuto per i principianti la tecnica di respirazione, inspirando ed espirando mentre si dice la Preghiera.

Niceforo può quindi essere riconosciuto per aver assimilato la spiritualità esicasta, tipica del XIII secolo. Inoltre, era sulla base di tale esperienza cristiana, compresa quella di Niceforo, e sulla base della sua
propria esperienza personale, che nel XIV secolo Gregorio Palamas scrisse le sue “Triadi in difesa dei santi esicasti”.
Gregorio scrisse: “Vedendo che molti principianti erano incapaci di controllare l’instabilità del loro intelletto (nous), anche in misura limitata, Niceforo ha proposto un metodo con cui potevano frenare in una certa misura i vagabondaggi dell’immaginazione”. Il “metodo” in questione è molto simile alla tecnica psicosomatica raccomandata nei “Tre metodi di preghiera”, attribuiti a San Simeone il Nuovo Teologo. Niceforo è talvolta definito “l’inventore” di questo “metodo” corporeo, ma Palamas in realtà non lo afferma. Il testo di Niceforo era così prezioso che fu successivamente incluso nella Filocalia. Come si sà, il tema principale di questo testo nella Filocalia è la “nepsis” (greco: νήψις) che di solito è tradotto come vigilanza o veglia. Per chi è inesperto nella preghiera e nell’autocontrollo spirituale, l’intelletto (nous) tende a vagare e cadere nell’immaginazione. Niceforo descrisse un metodo di respirazione mentre si pregava per concentrare l’intelletto (nous) nel cuore e quindi praticare la vigilanza. In questo modo ci purifichiamo dalle nostre passioni, acquisiamo virtù e questo porta alla nostra deificazione. Niceforo ha insegnato specificamente: “Raccogli il tuo nous e forzalo ad entrare nel cuore e a rimanervi. Quando il tuo nous è stabilito nel cuore, non dovrebbe rimanere vuoto, ma consentigli di recitare continuamente questa preghiera: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me”. Non permetterle mai di cessare, per questo entrerà in te tutta la catena delle virtù: l’amore, la gioia, la pace e tutte le altre, per cui ogni tua richiesta a Dio sarà in seguito esaudita”.

San Gregorio Palamas afferma che Niceforo scrisse “in modo semplice e non sofisticato”. Le affermazioni su come far discendere l’intelletto (nous) nel cuore, insiste Palamas, non devono essere interpretate letteralmente, poiché le nostre facoltà mentali (noetiche) non si trovano spazialmente all’interno del cuore fisico “come in un contenitore”. Ma c’è nondimeno una genuina correlazione – quella che è stata talvolta definita una relazione di “partecipazione analogica” – tra le nostre modalità fisiche e il nostro stato mentale o spirituale: “Dopo la caduta il nostro essere interiore si adatta naturalmente alle forme esteriori”. Niceforo aveva quindi ragione, conclude Palamas, nel suggerire modi specifici con cui le nostre energie corporee possono essere imbrigliate per il lavoro della preghiera noetica.

Introduzione agli scritti di Niceforo il monaco contenuta nella Filocalia
di san Nicodemo l’Agiorita

Il nostro veneratissimo padre Niceforo, che seguì il percorso del combattimento spirituale sul santo Monte Athos, fiorì poco prima dell’anno 1340. Fu la guida e il mistagogo di Gregorio (Palamas) di Tessalonica nei sublimi insegnamenti della filosofia ascetica, come Gregorio testimonia lui stesso.
Occupandosi unicamente di esichia, libero da preoccupazioni e quindi unito in sé stesso, fu ineffabilmente unito a ciò che è al di sopra del mondo e alla più alta delle cose desiderabili, per cui ricevette la beatitudine nel suo cuore attraverso la luce della grazia essenziale. Avendo riccamente riempito sé stesso, prima di tutto, del dono deificante e nell’imitazione dell’inimitabile deificazione, il beato, come un padre, generosamente e senza invidia ha permesso che anche noi ne fossimo partecipi, se, naturalmente, vogliamo essere resi degni di doni pari ai suoi.

In quest’opera ha raccolto dalle biografie dei Santi tutti i riferimenti che descrivono la vigilanza (nepsis), l’attenzione e la preghiera, consegnandoci anche un metodo che nessuno avrebbe potuto immaginare migliore, cioè il metodo naturale e veramente saggio di raccogliere il nous nel cuore attraverso il respiro, e allo stesso tempo invocare il Signore Gesù. Così fece della sacra vigilanza una regola fissa e stabilì, per tutti coloro che volevano essere salvati, una scala di preghiera pura e indisturbata insieme ai beni che ne scaturiscono, perché era il primo, come un nuovo Bezalel (Es 36,1), a costruirla con l’abilità dello Spirito.
Salite dunque, salite, quanti desiderate che Cristo viva in voi e desiderate essere trasformati nell’immagine dello Spirito Santo, procedendo di gloria in gloria (2 Cor 3,18), e allora sarete divinizzati e resi degni della splendida porzione dei salvati.




04 MAGGIO

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

04 Maggio secondo l’antico calendario della Chiesa

  1. LA SANTA MARTIRE PELAGIA DI TARSO

Pelagia nacque nella città di Tarso da genitori pagani ma illustri e benestanti. Sentendo parlare di Cristo e della salvezza delle anime dai cristiani, ardeva d’amore per il Salvatore e, nella sua anima, era totalmente cristiana. A quel tempo c’era una terribile persecuzione dei cristiani. Accadde così che l’imperatore Diocleziano si fermò a Tarso e, durante il suo soggiorno, suo figlio, il principe ereditario si innamorò profondamente di Pelagia e volle prenderla in moglie. Pelagia rispose per il tramite della sua nefasta madre che era già stata promessa in sposa al suo Sposo celeste, Cristo Signore. In fuga dal profano principe ereditario e dalla sua malvagia madre, Pelagia cercò e trovò il vescovo Lino, uomo distinto per la sua santità. Istruì Pelagia nella fede cristiana e la battezzò. Allora Pelagia diede via le sue vesti lussuose, molte ricchezze, e tornò a casa confessando alla madre di essere già battezzata. Venuto a conoscenza di ciò e avendo perso ogni speranza di ottenere questa santa vergine per sua moglie, il principe ereditario si pugnalò con una spada e morì. La madre malvagia denunciò sua figlia davanti all’imperatore e gliela consegnò per il processo. L’imperatore rimase sbalordito dalla bellezza di questa giovane vergine e, dimenticando il figlio, si accese di impure passioni verso di lei. Ma poiché Pelagia rimase incrollabile nella sua fede, l’imperatore la condannò ad essere bruciata viva in un toro di metallo, acceso di un fuoco ardente. Quando il carnefice la spogliò, Santa Pelagia si fece il segno della croce e con una preghiera di ringraziamento a Dio sulle labbra, entrò nel toro ardente dove, in un batter d’occhio, si sciolse completamente come cera. Pelagia soffrì onorevolmente nell’anno 287 d.C. I resti delle sue ossa furono acquisiti dal vescovo Lino e li seppellì su una collina sotto una pietra. Al tempo dell’imperatore Costantino Copronymos (741-775 d.C.) in quel punto esatto fu costruita una bellissima Chiesa in onore della santa vergine e martire Pelagia, che si sacrificò per Cristo per regnare eternamente con Lui.

  1. LO IEROMARTIRE SILVANO, VESCOVO DI GAZA

All’inizio Silvano era in servizio militare ma poi, spinto dalla forza della sua fede, entrò nel servizio spirituale. Accusato di convertire i pagani al cristianesimo, dapprima fu crudelmente torturato e, successivamente, fu decapitato con altri quaranta soldati nell’anno 311 d.C. Diventarono così tutti cittadini del cielo.

  1. IL VENERABILE NICEFORO

All’inizio Niceforo era cattolico e in seguito abbracciò la fede ortodossa. Visse la vita da asceta come monaco sul Monte Athos con il saggio Theoliptos. Fu maestro del glorioso Gregorio Palamas e scrisse un’opera sull’orazione mentale. Si presentò pacificamente al Signore nel XIV secolo. Niceforo insegnò: “Raccogli la tua mente e costringila ad entrare nel cuore e a rimanervi. Quando la tua mente è stabilita nel cuore, non deve rimanere vuota, ma consentile di eseguire continuamente questa preghiera: O SIGNORE GESÙ CRISTO, FIGLIO DI DIO, ABBI PIETA’ DI ME [LA PREGHIERA DI GESÙ]! Non permettere mai che taccia. Per questo entrerà in te tutta la catena delle virtù: l’amore, la gioia, la pace e tutte le altre, per le quali ogni tua richiesta a Dio, in seguito, si realizzerà”.

Inno di lode
SANTA PELAGIA

Pelagia, come un angelo luminoso
Davanti all’imperatore stava, per processo e giudizio;
L’Imperatore dall’aspetto brutale, a lei parlò:
Con il diadema regale ti incoronerò,
Tra le donne, sii mia moglie!
Pelagia rispose coraggiosamente:
Un matrimonio con un pagano, detesto
Mai, o imperatore, sarò tua,
A me cosa offri? Una corona di polvere!
Tre corone ho, con il Signore,
In Cristo, mio eterno Sposo.
La prima corona – per la Fede, l’ho conservata,
La seconda corona – per la mia verginità ho conservato,
La terza corona – la corona del martirio.
Non esitare, imperatore senza Dio,
Questo corpo di polvere – schiaccia,
Schiacciare, tagliare, bruciare e macinare,
Che l’anima, per le nozze presto se ne vada,
Che presto, accanto al mio Sposo, io stia
Il Salvatore, Dio e immortale.

Riflessione
Un uomo giovane e inesperto nel combattimento spirituale sottolinea ogni sua opera buona con l’elogio di sé. Ma il soldato esperto in mezzo alle lotte con passioni e demoni minimizza ogni sua azione e intensifica la sua preghiera per l’aiuto di Dio. Abba Matoes diceva: “Più un uomo è vicino a Dio, più si considera peccatore”. Si conosceva anche il suo detto: “Quando ero giovane, forse pensavo di fare del bene; e ora che sono vecchio, vedo che non ho nessuna buona azione”. Non ha forse detto nostro Signore: “Nessuno è buono se non Uno, cioè Dio” (Mt 19,17). Quindi, se solo l’unico Dio è buono e la fonte di ogni bene, come può essere fatta una buona azione che non sia da Dio? E come può uno che compie una buona azione attribuirla a se stesso e non a Dio? Se è così, con che cosa si può lodare l’uomo mortale? Da niente, se non con Dio e la bontà di Dio!

Contemplazione
Per contemplare il Signore Gesù asceso:

  1. Come, con la sua ascensione, manifestò la sua natura divina e la sua potenza divina;
  2. Come, con la sua ascensione al cielo, manifesta all’uomo che esiste un mondo e una vita migliori, più elevati: un mondo e una vita celesti.

Omelia
Sull’idolatria come adulterio

“Giuda, come Israele, contaminava il paese e commetteva adulterio con le pietre e con il legno” (Geremia 3,9).

Che tipo di adulterio fu quello che commisero il popolo d’Israele e di Giuda con pietre e legno? Era l’adorazione di idoli di pietra e di legno. Prima di questo peccato, hanno commesso un altro peccato; si allontanarono dall’adorare il Vero Dio, il Dio Vivente e l’Unico Dio. Perché la loro idolatria si chiama adulterio? Perché, prima erano legati dall’amore per il Vero Dio, il Dio Vivente e l’Unico Dio e poi hanno tradito questo amore e hanno consegnato il loro cuore a strani idoli di pietra e legno. Per questo il Signore chiama la loro idolatria, adulterio.

Questo rimprovero di Dio era meritato solo nei tempi antichi e non nel nostro tempo? E solo da Israele e Giuda e non dai cristiani? Sfortunatamente, questo rimprovero di Dio è pienamente meritevole anche oggi da molti cristiani. In chi l’amore verso il Dio Vero, il Dio Vivente e l’Unico Dio si è raffreddato, e un amore minore si è infiammato verso le cose di pietra e di legno, verso le cose putrescenti e le creature mortali, che commette adulterio e che fa scendere su di sé la rimprovero di Dio. Quindi, quel rimprovero di Dio è appropriato oggi come lo era allora, perché allora gli uomini peccarono senza conoscere Cristo e ora gli uomini peccano conoscendo Cristo.

O fratelli, fino a quando questa oscura idolatria sarà trascinata sulla terra? Fino a quando la terra puzzerà dell’adulterio dell’umanità con i suoi idoli di pietra e legno, d’argento e d’oro, di carne e sangue? Il Cristo Onnipotente non ha distrutto tutti gli idoli in polvere e cenere? Perché ora alcuni si chinano e di nuovo si fanno dèi con quella polvere? A causa delle bugie del diavolo e del loro autoinganno individuale.

O Signore asceso nei cieli più alti, proteggici dalle bugie del diavolo e dal nostro autoinganno. Proteggici dal vergognoso adulterio con gli idoli distrutti dalla tua onorevole croce. Aiutaci o Signore, aiutaci affinché, senza sosta, adoriamo Te l’unico Vero Dio, il Dio Vivente e l’Unico Dio.

A Te sia gloria e grazie sempre. Amen.




ANZIANO PORFIRIOS – Testimonianze ed esperienze: Breve biografia.

Breve biografia dell’anziano Porfirio

La sua famiglia

L’anziano Porfirio nacque il 7 febbraio 1906 nel villaggio di San Giovanni Karystia, vicino ad Aliveri, nella provincia di Eubea. I suoi genitori erano poveri ma pii agricoltori. Il padre si chiamava Leonidas Bairaktaris e la madre Eleni, figlia di Antonios Lambrou.

Al battesimo gli fu dato il nome di Evangelos. Era il quarto di cinque figli e il terzo dei quattro sopravvissuti. La sorella maggiore, Vassiliki, morì quando aveva un anno. Oggi è ancora viva solo la sorella più giovane, che è una suora.

Suo padre aveva una vocazione monastica, ma ovviamente non si fece monaco. Era però il cantore del villaggio e San Nettario ricorreva ai suoi servizi durante i suoi viaggi nella zona, ma la povertà lo costrinse a emigrare in America per lavorare alla costruzione del canale di Panama.

Gli anni dell’infanzia

L’anziano frequentò la scuola del suo villaggio per soli due anni. L’insegnante era quasi sempre malato e i bambini non imparavano molto. Vedendo come stavano le cose, Evangelos lasciò la scuola, lavorò nella fattoria di famiglia e si occupò dei pochi animali che possedevano. Iniziò a lavorare dall’età di otto anni. Anche se era ancora molto giovane, per guadagnare di più andò a lavorare in una miniera di carbone. In seguito lavorò in un negozio di alimentari a Halkhida e al Pireo.

Suo padre gli aveva insegnato il Canone Supplicatorio (Paraclesis) alla Madre di Dio (Panaghia) e tutto ciò che poteva della nostra fede. Da bambino si sviluppò rapidamente. Lui stesso ci ha detto che aveva otto anni quando ha iniziato a radersi. Sembrava molto più vecchio di quanto fosse in realtà.

Fin dall’infanzia era molto serio, laborioso e diligente.

La vocazione monastica

Mentre badava alle pecore, e anche quando lavorava nel negozio di alimentari, leggeva lentamente la storia della vita di San Giovanni il Calibita. Voleva seguire l’esempio del santo. Così partì più volte per il Monte Athos, ma per vari motivi non ci riuscì mai e tornò a casa. Infine, quando aveva circa quattordici o quindici anni, partì di nuovo per il Monte Athos. Questa volta era determinato a farcela e questa volta ce la fece.

Il Signore, che veglia sui destini di tutti noi, fece in modo che Evangelos incontrasse il suo futuro padre spirituale, lo ieromonaco Panteleimon, mentre si trovava sulla barca tra Salonicco e la Montagna Santa. Padre Panteleimon prese subito il ragazzo sotto la sua ala. Evangelos non era ancora adulto e quindi non avrebbe dovuto essere ammesso sulla Montagna Santa. Padre Panteleimon disse che era suo nipote e così assicurò il suo ingresso.

La vita monastica

L’anziano, p. Panteleimon, lo portò a Kavsokalyvia, nella capanna di San Giorgio. P. Panteleimon viveva lì con il fratellastro P. Ioannikios. Un tempo vi aveva vissuto anche il noto monaco, il beato Hatzigeorgios.

In questo modo, l’anziano Porfirio acquisì due padri spirituali allo stesso tempo. A entrambi prestò volentieri obbedienza assoluta. Abbracciò la vita monastica con grande zelo. La sua unica lamentela era che i suoi anziani non gli chiedevano abbastanza. Ci ha raccontato molto poco delle sue lotte ascetiche e abbiamo pochi dettagli. Da ciò che disse molto raramente ai suoi figli spirituali, possiamo dedurre che egli lottò felicemente e continuamente. Camminava a piedi nudi tra i sentieri rocciosi e innevati della Montagna Santa. Dormiva pochissimo, e poi con una sola coperta e sul pavimento della capanna, tenendo persino la finestra aperta quando nevicava. Durante la notte faceva molte prostrazioni, spogliandosi fino alla vita perché il sonno non lo sopraffacesse. Lavorava, intagliando il legno o tagliando alberi all’aperto, raccogliendo lumache o portando sulla schiena sacchi di terra per lunghi tratti, in modo da creare un giardino sul terreno roccioso vicino alla capanna di San Giorgio.

Si immergeva anche nelle preghiere, nelle funzioni e negli inni della Chiesa, imparandoli a memoria mentre lavorava con le mani. Alla fine, grazie alla continua ripetizione del Vangelo e al fatto di impararlo a memoria nello stesso modo, non riuscì più ad avere pensieri non buoni o oziosi. In quegli anni si definiva “sempre in movimento”.

Tuttavia, il segno distintivo della sua lotta ascetica non era lo sforzo fisico che faceva, ma piuttosto la sua totale obbedienza ai suoi anziano. Era completamente dipendente da loro. La sua volontà scompariva nella volontà degli anziani. Aveva un amore, una fede e una devozione totali. Si identificava completamente con loro, facendo della condotta di vita dell’anziano la propria condotta. È qui che troviamo l’essenza di tutto. È qui, nella sua obbedienza, che scopriamo il segreto, la chiave della sua vita.

Questo ragazzo non istruito, di seconda elementare, usando le Sacre Scritture come dizionario, è stato in grado di istruirsi da solo. Leggendo del suo amato Cristo è riuscito in pochi anni a imparare tanto quanto, se non più di quanto abbiamo fatto noi con tutte le nostre comodità. Avevamo scuole e università, insegnanti e libri, ma non avevamo l’ardente entusiasmo di questo giovane novizio.

Non sappiamo esattamente quando, ma certamente non molto tempo dopo aver raggiunto la Santa Montagna, fu tonsurato come monaco e gli fu dato il nome di Nikitas.

La visita della grazia divina

Non dobbiamo trovare strano che la grazia divina si posasse su questo giovane monaco che era pieno di fuoco per Cristo e dava tutto per il suo amore. Non pensò mai una volta a tutte le sue fatiche e lotte. Era ancora l’alba e la chiesa principale di Kavsokalyvia era chiusa. Nikitas, tuttavia, era in piedi in un angolo dell’ingresso della chiesa, in attesa che le campane suonassero e le porte venissero aperte.

Lo seguiva il vecchio monaco Dimas, un ex ufficiale russo di oltre novant’anni, asceta e santo segreto. Padre Dimas si guardò intorno e si assicurò che non ci fosse nessuno. Non si accorse del giovane Nikitas che aspettava all’ingresso. Cominciò a prostrarsi completamente e a pregare davanti alle porte chiuse della chiesa.

La grazia divina si riversò sul santo p. Dimas e scese a cascata sul giovane monaco Nikitas, che allora era pronto a riceverla. I suoi sentimenti erano indescrivibili. Mentre tornava alla capanna, dopo aver ricevuto la Santa Comunione nella Divina Liturgia di quella mattina, i suoi sentimenti erano così intensi che si fermò, stese le mani e gridò a gran voce “Gloria a Te, o Dio! Gloria a Te, o Dio!

Il cambiamento operato dallo Spirito Santo.

In seguito alla visita dello Spirito Santo, si verificò un cambiamento fondamentale nella composizione psicosomatica del giovane monaco Nikitas. Era il cambiamento che viene direttamente dalla destra di Dio. Egli acquisì doni soprannaturali e fu investito di potere dall’alto.

Il primo segno di questi doni fu quando i suoi anziani stavano tornando da un viaggio lontano, egli fu in grado di “vederli” a grande distanza. Li “vedeva” lì, dove si trovavano, anche se non erano sotto gli occhi di tutti. Lo confessò a p. Panteleimon, che gli consigliò di essere molto cauto riguardo al suo dono e di non dirlo a nessuno. Consiglio che seguì con molta attenzione fino a quando non gli fu detto di fare altrimenti.

 Ne seguirono altri. La sua sensibilità per le cose che lo circondano divenne molto acuta e le sue capacità umane si svilupparono al massimo. Ascoltava e riconosceva le voci degli uccelli e degli animali al punto da sapere non solo da dove venivano, ma anche cosa dicevano. Il suo olfatto si sviluppò a tal punto da poter riconoscere i profumi a grande distanza. Conosceva i diversi tipi di aroma e la loro composizione. Dopo un’umile preghiera era in grado di “vedere” le profondità della terra e i confini dello spazio. Poteva vedere attraverso l’acqua e le formazioni rocciose. Poteva vedere i depositi di petrolio, la radioattività, i monumenti antichi e sepolti, le tombe nascoste, le fessure nelle profondità della terra, le sorgenti sotterranee, le icone perdute, le scene di eventi accaduti secoli prima, le preghiere che erano state innalzate nel passato, gli spiriti buoni e maligni, l’anima umana stessa, praticamente tutto. Assaggiava la qualità dell’acqua custodita nelle profondità della terra. Interrogava le rocce e queste gli raccontavano le lotte spirituali degli asceti che lo avevano preceduto. Guardava le persone ed era in grado di guarirle. Toccava le persone e le faceva stare bene. Pregava e la sua preghiera diventava realtà. Tuttavia, non cercò mai consapevolmente di usare questi doni di Dio per beneficiare sé stesso. Non ha mai chiesto la guarigione dei propri disturbi. Non cercò mai di trarre un vantaggio personale dalla conoscenza che gli era stata data dalla grazia divina.

Ogni volta che usava il dono del discernimento (diakrisis), gli venivano rivelati i pensieri nascosti della mente umana. Era in grado, per grazia di Dio, di vedere il passato, il presente e il futuro allo stesso tempo. Confermò che Dio è onnisciente e onnipotente. Era in grado di osservare e toccare tutta la creazione, dai confini dell’universo fino alla profondità dell’anima e della storia umana. La frase di San Paolo “Uno stesso Spirito opera tutte queste cose, distribuendo a ciascuno individualmente come vuole” (1 Cor 12,11) era certamente vera per l’anziano Porfirio.

Naturalmente, egli era un essere umano e riceveva la grazia divina, che viene da Dio. Un Dio che, per motivi suoi, a volte non ha rivelato tutto. La vita vissuta nella grazia è un mistero sconosciuto per noi. Ogni altro discorso in merito sarebbe una scortese invasione in questioni che non comprendiamo. L’anziano lo faceva sempre notare a tutti coloro che attribuivano le sue capacità a qualcosa di diverso dalla grazia. Sottolineava questo fatto, ancora e ancora, dicendo: “Non è qualcosa che si impara. Non è un’abilità. È la GRAZIA”.

Il ritorno al mondo

Anche dopo essere stato adombrato dalla grazia divina, questo giovane discepolo del Signore continuò le sue lotte ascetiche come prima, con umiltà, zelo divino e un amore per l’apprendimento senza precedenti. Il Signore voleva ora farne un maestro e un pastore delle sue pecore razionali. Lo mise alla prova, lo misurò e lo trovò adeguato. Il monaco Nikitas non pensò mai e poi mai di lasciare la Santa Montagna e di tornare nel mondo. Il suo amore divino e totalizzante per il nostro Salvatore lo spingeva a desiderare e a sognare di trovarsi in un deserto aperto e, tranne che per il suo dolce Gesù, completamente solo. Tuttavia, una grave pleurite, trovandolo logorato dalle sue sovrumane lotte ascetiche, lo colse mentre raccoglieva lumache sui dirupi rocciosi. Questo costrinse i suoi anziani a ordinargli di prendere dimora in un monastero nel mondo, in modo da poter guarire di nuovo. Obbedì e tornò nel mondo, ma appena guarito tornò al luogo del suo pentimento. Si ammalò di nuovo; questa volta i suoi anziani, con molta tristezza, lo rimandarono definitivamente nel mondo.

Così, a diciannove anni, lo troviamo a vivere come monaco nel monastero Lefkon di San Charalambos, vicino alla sua casa natale. Tuttavia, continuò a seguire il regime che aveva imparato sulla Santa Montagna, la sua salmodia e simili. Tuttavia, fu costretto a ridurre il digiuno fino a quando la sua salute non migliorò.

Ordinazione sacerdotale

Fu in questo monastero che incontrò l’arcivescovo del Sinai, Porfirio III, ospite in visita. Dalla conversazione con Nikitas, egli notò la virtù e i doni divini che possedeva. Ne rimase così colpito che il 26 luglio 1927, festa di Santa Paraskevi, lo ordinò diacono. Il giorno successivo, festa di San Panteleimon, lo promosse al sacerdozio, come membro del monastero sinaita. Gli fu dato il nome di Porfirio. L’ordinazione ebbe luogo nella cappella della Santa Metropoli di Karystia, nella diocesi di Kymi. Anche il Metropolita di Karystia, Panteleimon Phostinis, prese parte alla funzione. L’anziano Porfirio aveva solo ventuno anni.

Il padre spirituale

In seguito il metropolita residente di Karystia, Panteleimon, lo nominò con una lettera di mandato ufficiale padre confessore. Portò a termine questo nuovo “talento” che gli era stato dato con umanità e duro lavoro. Studiò il “Manuale del confessore”. Tuttavia, quando cercò di seguire alla lettera ciò che diceva a proposito della penitenza, rimase turbato. Si rese conto che doveva trattare ogni fedele individualmente. Trovò la risposta negli scritti di San Basilio, che consigliava: “Scriviamo tutte queste cose perché possiate gustare i frutti del pentimento. Non consideriamo il tempo che ci vuole, ma prendiamo nota del modo di pentirsi”. (Ep. 217 n. 84.) Egli prese a cuore questo consiglio e lo mise in pratica. Anche in età matura ricordava questo consiglio ai giovani padri confessori.

Maturato in questo modo, il giovane ieromonaco Porfirio, per grazia di Dio, si applicò con successo al lavoro di padre spirituale in Eubea fino al 1940. Ogni giorno riceveva un gran numero di fedeli per la confessione. In molte occasioni confessava per ore senza interruzione. La sua fama di padre spirituale, conoscitore delle anime e guida sicura si diffuse rapidamente in tutta l’area circostante. Questo significa che molte persone accorrevano al suo confessionale nel Santo Monastero di Lefkon, vicino ad Avlonarion, in Eubea.

A volte passavano giorni e notti intere, senza sosta e senza riposo, mentre egli svolgeva quest’opera divina, questo sacramento. Aiutava coloro che si rivolgevano a lui con il suo dono del discernimento, guidandoli alla conoscenza di sé, alla confessione veritiera e alla vita in Cristo. Con questo stesso dono scopriva le insidie del demonio, salvando le anime dalle sue trappole e dai suoi stratagemmi.

Arcimandrita

Nel 1938 fu insignito della carica di Archimandrita dal Metropolita di Karystia, “in onore del servizio che Lei ha reso alla Chiesa come Padre Spirituale fino ad oggi, e per le virtuose speranze che la nostra Santa Chiesa nutre nei Suoi confronti” (protocollo n. 92/10-2-1938), come scrisse il Metropolita. Speranze che, per grazia di Dio, si sono realizzate. Sacerdote, per un breve periodo alla parrocchia di Tsakayi, in Eubea, e al Monastero di San Nicola di Ano Vathia.

Il metropolita residente lo assegnò come sacerdote al villaggio di Tsakayi, in Eubea. Alcuni anziani del villaggio conservano ancora oggi un bel ricordo della sua presenza in quel luogo. Aveva lasciato il Santo Monastero di San Charalambos perché era stato trasformato in un convento. Così, intorno al 1938, lo troviamo a vivere nel Santo Monastero di San Nicola, in rovina e abbandonato, ad Ano Vathia, in Eubea, nella giurisdizione del Metropolita di Halkhida.

Nel deserto della città

Quando il tumulto della Seconda guerra mondiale si avvicinò alla Grecia, il Signore arruolò il suo servo obbediente, Porfirio, assegnandogli un nuovo incarico, più vicino al suo popolo in difficoltà. Il 12 ottobre 1940 gli fu affidato l’incarico di sacerdote temporaneo della cappella di San Gerasimo nel Policlinico di Atene, che si trova all’angolo tra via Socrate e via Pireo, vicino a piazza Omonia. Egli stesso chiese questo incarico per l’amore compassionevole che aveva per i suoi compagni che soffrivano. Voleva essere vicino a loro nei momenti più difficili della loro vita, quando la malattia, il dolore e l’ombra della morte mostravano la mancanza di ogni altra speranza, tranne quella in Cristo.

C’erano altri candidati con ottime credenziali che erano interessati al posto, ma il Signore illuminò il direttore del Policlinico. Fu scelto Porfirio, umile e affascinante, non istruito secondo gli standard del mondo ma saggio secondo Dio. La persona che aveva fatto questa scelta espresse in seguito il suo stupore e la sua gioia per aver trovato un vero sacerdote dicendo: “Ho trovato un padre perfetto, proprio come vuole Cristo”.

Ha servito il Policlinico come cappellano dipendente, per trent’anni interi e poi per essere al servizio dei suoi figli spirituali che lo cercavano, volontariamente, per altri tre anni.

Qui, oltre al ruolo di cappellano, che svolgeva con totale amore e devozione, celebrando le funzioni con meravigliosa devozione; confessando, ammonendo, curando le anime e molte volte anche le malattie corporali, faceva anche da padre spirituale a quanti si rivolgevano a lui.

“Sì, voi stessi sapete che queste mani hanno provveduto alle mie necessità e a quelle di coloro che erano con me”. (Atti 20,34)

L’anziano Porfirio, pur non avendo titoli accademici, accettò di essere cappellano del Policlinico per uno stipendio quasi nullo. Non era sufficiente per mantenere sé stesso, i suoi genitori e i pochi parenti stretti che contavano su di lui. Doveva lavorare per vivere. Organizzò in successione un allevamento di pollame e poi una tessitura. Nel suo zelo per celebrare le funzioni religiose nel modo più edificante, si applicò alla creazione di sostanze aromatiche che potevano essere utilizzate nella preparazione dell’incenso usato nel culto divino. Negli anni ’70, infatti, fece una scoperta originale. Combinò il carbone di legna con le essenze aromatiche, incensando la chiesa con il suo carbone a combustione lenta che emanava un dolce profumo di spiritualità. Sembra che non abbia mai rivelato i dettagli di questa scoperta.

Dal 1955 prese in affitto il piccolo monastero di San Nicola, a Kallisia, che appartiene al Santo Monastero di Pendeli. Coltivò sistema-ticamente la terra intorno ad esso, impegnandosi a fondo. Era qui che voleva stabilire il convento, che poi costruì altrove. Migliorò i pozzi, costruì un sistema di irrigazione, piantò alberi e lavorò il terreno con una macchina scavatrice che utilizzava personalmente. Tutto questo insieme al lavoro, ventiquattro ore al giorno, come cappellano e confessore.

Apprezzava molto il lavoro e non si concedeva riposo. Imparò dall’esperienza le parole di Abba Isacco il Siro: “Dio e i suoi angeli trovano gioia nella necessità; il diavolo e i suoi operai trovano gioia nell’ozio”.

La partenza dal Policlinico

Il 16 marzo 1970, dopo aver compiuto trentacinque anni di servizio come sacerdote, ricevette una piccola pensione dal Fondo Ellenico di Assicurazione Clericale e lasciò i suoi compiti al Policlinico. In sostanza, però, rimase fino all’arrivo del suo sostituto. Anche in seguito continuò a visitare il Policlinico per incontrare i suoi numerosi figli spirituali. Infine, intorno al 1973, ridusse al minimo le visite al Policlinico e ricevette invece i suoi figli spirituali a San Nicola a Kallisia, Pendeli, dove celebrava la liturgia e ascoltava le confessioni.

La mia forza è resa perfetta nella debolezza

L’anziano Porfirio, oltre alla malattia che lo costrinse a lasciare il Monte. Athos e che gli rendeva particolarmente sensibile il fianco sinistro, soffrì di molti altri disturbi, in tempi diversi.

Verso la fine del suo servizio al Policlinico si ammalò di problemi renali. Tuttavia, fu operato solo quando la sua malattia era in fase avanzata. Questo perché lavorava instancabilmente nonostante la malattia. Si era abituato a essere obbediente “fino alla morte”. Era obbediente persino al direttore del Policlinico, che gli disse di rimandare l’operazione per poter celebrare le funzioni della Settimana Santa. Questo ritardo lo fece entrare in coma. I medici dissero ai suoi parenti di preparare il suo funerale. Tuttavia, per volontà divina, e a dispetto di tutte le aspettative mediche, l’anziano tornò alla vita terrena per continuare il suo servizio ai membri della Chiesa.

Qualche tempo prima si era fratturato una gamba. A ciò è legato un esempio miracoloso della premura di San Gerasimo (nella cui cappella del Policlinico prestava servizio) per lui. Inoltre, la sua ernia, di cui ha sofferto fino alla morte, si è aggravata a causa dei pesanti carichi che portava a casa sua, a Turkovounia, dove ha vissuto per molti anni.

Il 20 agosto 1978, mentre si trovava a San Nicola, a Kallisia, ebbe un attacco di cuore (infarto miocardico). Fu trasportato d’urgenza all’ospedale “Hygeia”, dove rimase per venti giorni. Quando lasciò l’infermeria, continuò la sua convalescenza ad Atene, nelle case di alcuni dei suoi figli spirituali. Questo per tre motivi. In primo luogo, non poteva recarsi a San Nicola, a Kallisia, perché non c’era la strada e avrebbe dovuto percorrere un lungo tragitto a piedi. Inoltre, la sua casa a Turkovounia non aveva nemmeno i comfort più elementari. Infine, doveva essere vicino ai medici.

Più tardi, quando si era sistemato in un rifugio temporaneo a Milesi, dove sorgeva il convento da lui fondato, fu operato all’occhio sinistro. Il medico commise un errore, togliendo la vista da quell’occhio. Dopo qualche anno l’anziano divenne completamente cieco. Durante l’operazione, senza il permesso dell’anziano Porfirio, il medico gli somministrò una forte dose di cortisone. L’anziano era particolarmente sensibile ai farmaci e soprattutto al cortisone. Il risultato di questa iniezione fu una continua emorragia gastrica che durò per circa tre mesi. A causa della continua emorragia gastrica, non poteva mangiare cibo normale. Si sosteneva con qualche cucchiaio di latte e acqua ogni giorno. Questo lo portò a un tale esaurimento fisico che arrivò al punto di non riuscire nemmeno a stare seduto. Ricevette dodici trasfusioni di sangue, tutte nel suo alloggio a Milesi. Alla fine, nonostante fosse di nuovo sulla soglia della morte, per grazia di Dio sopravvisse.

Da quel momento in poi, la sua salute fisica fu terribilmente compromessa. Tuttavia, continuò a svolgere il suo ministero di padre spirituale il più possibile, confessando sempre per periodi più brevi e soffrendo spesso di vari altri problemi di salute e dei dolori più atroci. Infatti, perse progressivamente la vista fino a diventare completamente cieco nel 1987.

Diminuì costantemente le parole di consiglio che dava alle persone e aumentò le preghiere che rivolgeva a Dio per loro. Pregava in silenzio, con grande amore e umiltà, per tutti coloro che cercavano la sua preghiera e l’aiuto di Dio. Con gioia spirituale vedeva la grazia divina agire su di loro. Così, l’anziano Porfirio divenne un chiaro esempio delle parole dell’apostolo San Paolo: “La mia forza è resa perfetta nella debolezza”.

Costruisce un nuovo convento

Era da tempo che l’anziano desiderava fondare un suo santo convento, costruire una fondazione monastica in cui potessero vivere alcune donne devote, che erano sue figlie spirituali. Aveva giurato a Dio che non avrebbe abbandonato queste donne quando avrebbe lasciato il mondo, perché erano state sue fedeli collaboratrici per molti anni. Con il passare del tempo sarebbe stato possibile per altre donne che volevano dedicarsi al Signore stabilirsi lì.

Il suo primo pensiero fu quello di costruire il convento nella località di Kallisia, Pendeli, che aveva preso in affitto nel 1955 dal Santo Monastero di Pendeli. Cercò più volte di convincere i proprietari a donargli o a vendergli il terreno necessario. Non ottenne alcun risultato. Sembrava ormai che il Signore, saggio regolatore e fornitore di tutti, avesse destinato un altro luogo per questa particolare impresa. Così l’anziano guardò verso un’altra zona nella sua ricerca di immobili.

Nel frattempo, però, con la collaborazione dei suoi figli spirituali, mise insieme i documenti necessarie per la fondazione del convento e li sottopose alle autorità ecclesiastiche competenti. Non avendo ancora scelto il luogo specifico in cui costruire il convento, individuò in Turkovounia, ad Atene, il luogo in cui fondarlo. Qui aveva un’umile casetta di pietra che, priva persino dei comfort di base, era la sua dimora impoverita dal 1948.

L’anziano Porfirio non faceva nulla senza la benedizione della Chiesa. Così, in questo caso, ha chiesto e ottenuto l’approvazione canonica sia di Sua Eminenza, l’Arcivescovo di Atene, sia del Santo Sinodo. Sebbene le relative procedure fossero state avviate nel 1978, fu solo nel 1981, dopo aver superato molte difficoltà burocratiche e procedurali, che ebbe il privilegio di vedere riconosciuto il “Santo Convento della Trasfigurazione del Salvatore” da un decreto presidenziale e pubblicato nella gazzetta governativa.

La ricerca di un luogo adatto alla fondazione del convento era stata avviata dall’anziano molto prima dell’infarto, quando era più che certo che non sarebbe stato a Kallisia. Con estrema cura e grande zelo, cercò instancabilmente un sito che presentasse i maggiori vantaggi. Quando le sue forze si ripresero moderatamente dopo l’infarto e quando si sentì in grado di farlo, continuò l’intensa ricerca del luogo che desiderava. Non risparmiò alcuno sforzo. Viaggiò per tutta l’Attica, l’Eubea e la Beozia con le auto di vari suoi figli spirituali. Si informò sulla possibilità di costruire il suo convento a Creta o in qualche altra isola. Lavorò in modo incredibilmente intenso. Si informò su centinaia di proprietà e ne visitò la maggior parte. Consultò molte persone. Viaggiò per migliaia di chilometri. Fece innumerevoli calcoli. Soppesò tutti i fattori e, infine, scelse e acquistò una proprietà nel sito di Hagia Sotira, a Milesi di Malakasa, in Attica, vicino a Oropos.

All’inizio del 1979 si stabilì in questa proprietà a Milesi, che era stata acquistata per la costruzione di un convento. Per più di un anno, all’inizio, visse in una casa mobile in condizioni molto difficili, soprattutto in inverno. In seguito si stabilì in una casa piccola e malandata, in cui soffrì tutti i disagi a causa di tre mesi di emorragia gastrica continua e dove ricevette anche numerose trasfusioni di sangue. Il sangue veniva donato con molto amore dai suoi figli spirituali.

Anche i lavori di costruzione, che l’anziano seguiva da vicino, iniziarono nel 1980. I lavori furono pagati con i risparmi che lui, i suoi amici e i suoi parenti avevano accumulato nel corso degli anni con questo obiettivo. Fu aiutato anche da diversi figli spirituali.

La costruzione della Chiesa della Trasfigurazione

Il suo grande amore per il prossimo era incentrato sul guidarlo alla gioia della trasfigurazione secondo Cristo. Insieme all’apostolo Paolo, ha implorato noi, suoi fratelli e sorelle, attraverso la compassione di Dio: “Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, per provare qual è la buona, gradita e perfetta volontà di Dio”. (Rm 12,2) Voleva guidarci verso lo stato in cui viveva lui, secondo il quale: “Noi tutti, a viso scoperto, contemplando come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati nella stessa immagine di gloria in gloria, come per opera dello Spirito del Signore”. (2 Cor 3,18)

Per questo motivo chiamò il suo convento “Trasfigurazione” e volle che la Chiesa fosse dedicata alla Trasfigurazione. Infine, grazie alle sue preghiere, influenzò i suoi compagni di lavoro in questa impresa e riuscì nel suo intento. Dopo molte consultazioni e un duro lavoro da parte dell’anziano, si giunse a un progetto semplice, gradevole e perfetto in tutto. Nel frattempo, grazie all’intervento canonico di Sua Eminenza, l’Arcivescovo di Atene (poiché il Convento rientra nell’Arcidiocesi ateniese), il Metropolita locale, diede il permesso di costruire la chiesa all’interno della sua giurisdizione, presso l’annesso Convento, a Milesi.

La posa delle fondamenta avvenne a mezzanotte tra il 25 e il 26 febbraio 1990, durante una veglia notturna in onore di San Porfirio, vescovo di Gaza, il Taumaturgo. L’anziano Porfirio, malato e impossibilitato a scendere quegli undici metri fino al terreno dove sarebbe stata posta la prima pietra, con grande emozione offrì la sua croce per la pietra angolare. Dal suo letto pregò, usando queste parole: “O Croce di Cristo, rendi salda questa casa. O Croce di Cristo, salvaci con la tua forza. Ricordati, o Signore, del tuo umile servo Porfirio e dei suoi compagni…”. Dopo aver pregato per tutti coloro che avevano lavorato con lui, dispose che i loro nomi fossero collocati in una posizione speciale nella chiesa, per la loro commemorazione eterna.

I lavori di costruzione della Chiesa (in cemento armato) iniziarono immediatamente. Accompagnati dalle preghiere dell’anziano, procedettero senza interruzioni. Egli poté vedere con i suoi occhi spirituali – poiché aveva perso la vista naturale molti anni prima – la Chiesa che raggiungeva le fasi finali della sua costruzione. Vale a dire, alla base della cupola centrale. Essa giunse effettivamente a questo punto il giorno della partenza definitiva dell’anziano.

Egli prepara il suo ritorno alla Santa Montagna.

L’anziano Porfirio non aveva mai lasciato emotivamente il Monte Athos. Non c’era altro argomento che lo interessasse più della Montagna Santa, e soprattutto della Kavsokalyvia. Per molti anni ha avuto una capanna lì, a nome di un suo discepolo che visitava di tanto in tanto. Quando, nel 1984, seppe che l’ultimo abitante della capanna di San Giorgio se n’era andato per sempre e si era stabilito in un altro monastero, si affrettò a recarsi alla Santa Grande Lavra di Sant’Atanasio, a cui apparteneva, e chiese che gli venisse consegnata. Era stato a San Giorgio che aveva preso per la prima volta i voti monastici. Aveva sempre desiderato tornare, per mantenere il voto fatto alla tonsura circa sessant’anni prima, di rimanere nel suo monastero fino all’ultimo respiro. Ora si stava preparando per il suo ultimo viaggio.

La capanna gli fu consegnata secondo le usanze del Monte Athos, con il pegno sigillato del monastero, datato 21 settembre 1984. L’anziano Porfirio vi insediò in successione diversi suoi discepoli. Nell’estate del 1991 erano cinque. Questo è il numero che aveva indicato a un suo figlio spirituale circa tre anni prima come il totale che indicava l’anno della sua morte.

Ritorno al pentimento

Durante gli ultimi due anni della sua vita terrena parlava spesso della sua preparazione per la difesa davanti al terribile tribunale di Dio. Aveva dato ordini precisi che se fosse morto qui, il suo corpo avrebbe dovuto essere trasportato senza fanfare e sepolto a Kavsokalyvia. Alla fine decise di andarci mentre era ancora vivo. Parlò di una storia contenuta nei Detti dei Padri:

Un certo anziano, che aveva preparato la sua tomba quando sentiva che la sua fine era vicina, disse al suo discepolo: “Figlio mio, le rocce sono scivolose e ripide e metterai in pericolo la tua vita se mi porterai da solo alla mia tomba. Vieni, andiamo ora che sono vivo”. Il discepolo lo prese per mano e l’anziano si sdraiò nella tomba e abbandonò la sua anima in pace.

Alla vigilia della festa della Santissima Trinità, nel 1991, dopo essersi recato ad Atene per confessarsi dal suo padre spirituale, molto anziano e malato, ricevette l’assoluzione e partì per la sua capanna sul Monte Athos. Si sistemò e attese la fine, pronto a dare una buona difesa davanti a Dio.

Poi, quando gli scavarono una fossa profonda, secondo le sue istruzioni, dettò una lettera d’addio di consiglio e perdono a tutti i suoi figli spirituali, tramite un suo figlio spirituale. Questa lettera, datata 4 giugno (Vecchio Calendario) e 17 giugno (Nuovo Calendario), è stata trovata tra gli abiti monastici stesi per il suo funerale il giorno della sua morte. È pubblicata integralmente alle pagine 55-56 di questo libro ed è un’ulteriore prova della sua sconfinata umiltà.

“Attraverso la mia venuta da voi di nuovo”

L’anziano Porfirio lasciò l’Attica per il Monte Athos con l’intenzione nascosta di non tornare più qui. Aveva parlato a un numero sufficiente di suoi figli spirituali in modo tale che sapessero che lo avrebbero visto per l’ultima volta. Ad altri aveva solo accennato. Solo dopo la sua morte hanno capito cosa intendeva. Naturalmente, a coloro che non avrebbero sopportato la notizia della sua partenza, disse che sarebbe tornato. Disse così tante cose sulla sua morte, in modo chiaro o criptico, che solo la speranza di coloro che lo circondavano che sarebbe sopravvissuto come tutte le altre volte (una speranza nata dal desiderio), può forse spiegare la repentinità dell’annuncio della sua morte.

Forse egli stesso esitava come l’apostolo Paolo, che scriveva ai Filippesi: “Io infatti sono indeciso tra le due cose, avendo il desiderio di separarmi e di stare con Cristo, che è molto meglio. Tuttavia, rimanere nella carne è più necessario per voi” (Fil 1, 23-24) Forse…

I suoi figli spirituali ad Atene lo chiamavano continuamente e per due volte fu costretto a tornare al convento contro la sua volontà. Qui diede consolazione a tutti coloro che ne avevano bisogno. In ogni occasione si fermò solo per pochi giorni, “affinché la nostra gioia per lui fosse più abbondante in Gesù Cristo con la sua venuta a noi”. (Parafrasando le parole dell’Apostolo, Fil 1,26) Poi tornava in fretta e furia al Monte Athos. Desiderava ardentemente morire lì ed essere sepolto in silenzio, in mezzo alla preghiera e al pentimento.

Verso la fine della sua vita fisica, si sentì a disagio per la possibilità che l’amore dei suoi figli spirituali influenzasse il suo desiderio di morire da solo. Era abituato a essere obbediente e a sottomettersi agli altri. Perciò disse a uno dei suoi monaci. Se vi dico di riportarmi ad Atene, impeditemelo, sarà per tentazione”. In effetti, molti suoi amici avevano fatto diversi piani per riportarlo ad Atene, poiché l’inverno si avvicinava e la sua salute stava peggiorando.

Dorme nel Signore

Dio, che è Tutto-buono e che esaudisce i desideri di coloro che lo temono, ha esaudito il desiderio dell’anziano Porfirio. Lo ha reso degno di avere una fine benedetta in estrema umiltà e oscurità. Sul Monte Athos era circondato solo dai suoi discepoli che pregavano con lui. L’ultima notte della sua vita terrena si confessò e pregò noeticamente. I suoi discepoli leggevano il Cinquantesimo e altri salmi e il servizio per i morenti. Recitavano la breve preghiera “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me”, fino a completare la regola di un grande monaco di schema.

Con grande amore i suoi discepoli gli offrivano ciò di cui aveva bisogno, un po’ di conforto corporeo e molto spirituale. Per molto tempo poterono sentire le sue sante labbra sussurrare le ultime parole che uscivano dalla sua venerabile bocca. Erano le stesse parole che Cristo aveva pregato alla vigilia della sua crocifissione, “affinché fossimo una cosa sola”.

Dopo di che lo sentirono ripetere una sola parola. La parola che si trova alla fine del Nuovo Testamento, alla conclusione della Divina Apocalisse (Apocalisse) di San Giovanni,

“Vieni” (“Sì, vieni, Signore Gesù”).

Il Signore, il suo dolce Gesù è venuto.  L’anima santa dell’anziano Porfirio ha lasciato il suo corpo alle 4:31 del mattino del 2 dicembre 1991 e si è incamminata verso il cielo. Il suo venerabile corpo, vestito alla maniera monastica, è stato deposto nella chiesa principale di Kavsokalyvia. Secondo l’usanza, i padri hanno letto il Vangelo ogni giorno e durante la notte hanno tenuto una veglia notturna. Tutto è stato fatto in accordo con le dettagliate istruzioni verbali dell’anziano Porfirio. Erano state scritte per evitare qualsiasi errore.

All’alba del 3 dicembre 1991, la terra ricoprì le venerabili spoglie del santo anziano alla presenza dei pochi monaci della santa skete di Kavsokalyvia. Solo allora, secondo i suoi desideri, fu annunciato il suo riposo.

Era quel momento della giornata in cui il cielo si colora di rosa, riflettendo la luminosità del nuovo giorno che si avvicina. Un simbolo per molte anime del passaggio dell’anziano dalla morte alla luce e alla vita.

Un breve profilo

La caratteristica principale dell’anziano Porfirio, durante tutta la sua vita, è stata la sua completa umiltà. A ciò si accompagnarono l’assoluta obbedienza, il caldo amore e l’incredibile pazienza per un dolore insopportabile. Era noto per la sua saggia discrezione, il suo inconcepibile discernimento; il suo sconfinato amore per l’apprendimento, la sua straordinaria conoscenza (un dono di Dio e non della sua inesistente formazione scolastica nel mondo); il suo inesauribile amore per il lavoro duro e la sua continua, umile (e per questo fruttuosa) preghiera. A ciò si aggiungono le sue convinzioni ortodosse, pure, senza alcun tipo di fanatismo; il suo vivo, ma per lo più invisibile e non conosciuto, interesse per gli affari della nostra Santa Chiesa; i suoi consigli efficaci; i molteplici aspetti del suo insegnamento; il suo spirito lungamente sofferente; la sua profonda devozione; il modo apparente delle funzioni sacre, che celebrava con grande cura per tenere nascosta la sua lunga offerta, fino alla fine.

Come epilogo

a) “colui che viene a me, non lo respingerò”. (Gv 6,37)

L’anziano Porfirio ha accolto per tutta la vita tutti coloro che si rivolgevano a lui, facendosi, come San Paolo, “tutto a tutti per salvarli”.

Nella sua umile cella sono passati tutti i tipi di persone: asceti, santi e ladri, peccatori, cristiani ortodossi e persone di altre confessioni e religioni, persone insignificanti e personaggi famosi, ricchi e poveri, analfabeti e letterati, laici e clero di ogni grado. A tutti ha offerto l’amore di Cristo per la loro salvezza.

Questo non significa che tutti coloro che si sono recati dall’anziano o che lo hanno conosciuto, per quanto a lungo, abbiano fatto proprio il suo messaggio o acquisito le sue virtù, e quindi siano, come lui, degni della nostra completa fiducia. È necessaria molta attenzione, vigilanza e buon senso, perché, man mano che l’anziano divenne noto, ad alcuni venne la tentazione di rivendicare un qualche tipo di attaccamento o legame con lui. Si vanteranno o creeranno la falsa impressione di parlare in suo nome. Oltre alla pura devozione e al vero amore, oltre all’approccio umile e all’apprendimento onesto, ci sono anche la presunzione e il tornaconto personale. L’ingenuità esiste, ma anche l’astuzia. Esiste l’ignoranza, ma anche l’errore e l’inganno.

Nei suoi ultimi anni di vita, l’anziano Porfirio si addolorò molto per questo. Molte persone si spacciavano per suoi figli spirituali e lasciavano intendere di fare ciò che facevano con la benedizione o l’approvazione dell’anziano. Tuttavia, l’anziano non li conosceva né sosteneva le loro attività. Anzi, per due volte chiese che venissero redatti degli avvisi per informare i cristiani. In entrambe le occasioni ha revocato l’ordine di pubblicazione.

Ecco un esempio. L’anziano aveva preso una certa posizione riguardo a varie questioni ecclesiastiche che dividevano i fedeli. Questo era noto a pochissime persone, che avrebbero dovuto mantenere il riserbo. A volte, però, arrivavano persone che seguivano o esprimevano l’opinione di una parte o dell’altra. Non è giusto supporre che, poiché una certa persona vide l’anziano, la sua opinione sia stata benedetta dall’anziano. Se solo fossimo obbedienti all’anziano! Se solo quelli di noi che si sono avvicinati a lui avessero accolto i suoi consigli e in generale il suo spirito!

Il suo spirito, in generale, era di assoluta sottomissione alla Chiesa “ufficiale”. Non faceva assolutamente nulla senza la sua approvazione. Sapeva per esperienza nello Spirito Santo che i vescovi sono portatori della grazia divina indipendentemente dalla loro virtù personale. Sentiva percettibilmente la grazia divina e vedeva dove agiva e dove non agiva. Sottolineava graficamente che la grazia si oppone ai superbi, ma non ai peccatori, per quanto umili.

Per questo motivo, non era d’accordo con le azioni che provocavano dispute e conflitti all’interno della Chiesa o con gli attacchi verbali ai vescovi. Ha sempre consigliato che la soluzione a tutti i problemi della Chiesa deve essere trovata nella Chiesa e dalla Chiesa con la preghiera, l’umiltà e il pentimento. È meglio, diceva, commettere errori all’interno della Chiesa che agire correttamente al di fuori di essa.

b) “Rimanete saldi in un solo spirito con una sola mente lottando insieme per la fede del Vangelo”. (Fil 1,27)

L’anziano ha insegnato che l’elemento fondamentale della vita spirituale in Cristo, il grande mistero della nostra fede, è l’unità in Cristo. È quel senso di identificazione con il fratello, di portare i pesi l’uno dell’altro, di vivere per gli altri come viviamo per noi stessi, di dire “Signore Gesù Cristo abbi pietà di ME” e che quel “ME” contenga e diventi per noi stessi il dolore e i problemi dell’altro, di soffrire come lui soffre, di gioire come lui gioisce, di sentire la sua caduta come la nostra caduta e il suo rialzarsi diventare il nostro rialzarsi.

Ecco perché le sue ultime parole, la sua ultima supplica a Dio, la sua ultima preghiera, il suo più grande desiderio è stato quello di “diventare uno”. Questo era ciò che soffriva, desiderava e ambiva.

In questo modo meraviglioso e semplice, quanti problemi sono stati risolti e quanti peccati sono stati evitati. Mio fratello è caduto? Io sono caduto. Come posso biasimarlo, visto che la colpa è mia? Mio fratello ha avuto successo? Io ho avuto successo. Come posso invidiarlo, visto che sono io il vincitore?

L’anziano sapeva che, essendo il nostro punto più debole, è qui che il maligno combatte di più. Mettiamo i nostri interessi al primo posto. Ci separiamo. Vogliamo fuggire dalle conseguenze delle nostre azioni solo per noi stessi. Tuttavia, quando questo spirito prevale, non c’è salvezza per noi. Dobbiamo voler essere salvati insieme a tutti gli altri. Dovremmo, insieme al Santo di Dio, dire: “Se non salvi tutte queste persone, Signore, allora cancella il mio nome dal libro della vita”. Oppure, come l’apostolo di Cristo, desiderare di diventare maledetti da Cristo, per amore del mio prossimo, dei miei fratelli e delle mie sorelle.

Questo è l’amore. Questa è la forza di Cristo. Questa è l’essenza di Dio. Questa è la via regale della vita spirituale. Dobbiamo amare Cristo, che è TUTTO, amando i suoi fratelli e le sue sorelle, per i quali Cristo è morto.


Tradotto da Teandrico.it

Tratto dal sito OODE

https://www.oodegr.com/english/biblia/Porfyrios_Martyries_Empeiries/A5.htm

Published by the Holy Convent of the Transfiguration of the Saviour – Athens 1997

(con il permesso del Monastero ad OODE di pubblicare il libro in formato elettronico)

CAPITOLO PRECEDENTE




EUCARISTO – EULOGIO – EUPREPIO

EUCARISTO IL SECOLARE

Εὐχάριστος

1. Due Padri chiesero a Dio di rivelare loro quanto erano avanzati. Venne una voce che disse: “In un certo villaggio in Egitto c’è un uomo chiamato Eucaristo e sua moglie che si chiama Maria. Voi non avete ancora raggiunto il loro grado di virtù”. I due anziani partirono e si recarono al villaggio. Dopo aver chiesto informazioni, trovarono la sua casa e sua moglie. Le chiesero: “Dov’è tuo marito?”. Lei rispose: “È un pastore e sta dando da mangiare alle pecore”. Allora li fece entrare in casa. Quando fu sera, Eucaristo tornò con le pecore. Vedendo gli anziani, apparecchiò la tavola e portò l’acqua per lavare loro i piedi. Gli anziani gli dissero: “Non mangeremo nulla finché non ci avrai parlato del tuo stile di vita”. Eucaristo rispose con umiltà: “Sono un pastore e questa è mia moglie”. Gli anziani insistettero, ma lui non volle dire di più. Allora gli dissero: “Dio ci ha mandato da te”. A queste parole, Eucaristo si spaventò e disse: “Ecco queste pecore; le abbiamo ricevute dai nostri genitori e se, con l’aiuto di Dio, riusciamo a fare un po’ di profitto, lo dividiamo in tre parti: una per i poveri, la seconda per l’ospitalità e la terza per i nostri bisogni personali. Da quando ho sposato mia moglie, non abbiamo avuto rapporti sessuali tra di noi, perché lei è vergine; ognuno di noi vive da solo. Di notte indossiamo il cilicio e di giorno i nostri abiti normali. Nessuno l’ha mai saputo fino ad ora”. A queste parole furono pieni di ammirazione e se ne andarono rendendo gloria a Dio.

EULOGIO PRESBITERO

Εὐλόγιός πρεσβύτερος

1. Un certo Eulogio, discepolo del beato Giovanni il Vescovo, sacerdote e grande asceta, era solito digiunare per due giorni di seguito e spesso estendeva il suo digiuno all’intera settimana, mangiando solo pane e sale. Gli uomini lo lodavano molto. Si recò da Abba Giuseppe a Panefisi, nella speranza di trovare presso di lui esempi di una maggiore austerità. L’anziano lo accolse con gioia e gli fornì tutto ciò che aveva per rifocillarlo. I discepoli di Eulogio dissero: “Il sacerdote mangia solo pane e sale”. Abba Giuseppe mangiò in silenzio. I visitatori trascorsero lì tre giorni senza sentirli cantare o pregare, perché i fratelli lottavano in segreto. Se ne andarono senza essere stati edificati. Per volontà di Dio, si fece così buio che persero la strada e tornarono dall’anziano. Prima di bussare alla porta, sentirono dei canti. Aspettarono quindi il momento opportuno e bussarono. Quelli che erano dentro, terminata la salmodia, li accolsero con gioia. Poi, a causa del caldo, i discepoli di Eulogio si precipitarono alla giara d’acqua e gliela offrirono. Ora, essa conteneva un miscuglio di acqua di mare e di acqua di fiume, cosicché egli non poté berla. Tornato in sé, Eulogio si gettò ai piedi dell’anziano e, volendo conoscere il suo stile di vita, gli chiese: “Abbà, che cos’è questo? Prima non cantavi, ma solo dopo la nostra partenza. E ora, quando prendo la brocca, ci trovo dell’acqua salata”. Il vecchio gli rispose: “Il fratello è sciocco e ha mescolato per errore l’acqua di mare”. Ma Eulogio incalzò il vecchio, volendo sapere la verità. Allora l’anziano disse: “Questa bottiglietta di vino è per l’ospitalità, ma quell’acqua è quella che bevono sempre i fratelli”. Poi lo istruì sul discernimento dei pensieri e sul controllo di tutto ciò che di meramente umano c’è in lui. Così divenne più equilibrato, mangiò tutto ciò che gli veniva portato e imparò a lottare in segreto. Poi disse all’anziano: “In verità, il tuo modo di vivere è davvero genuino”.

EUPREPIO

ἀββᾶς Εὐπρέπιος

1. Abba Euprepio disse: “Sapendo che Dio è fedele e potente, abbiate fede in lui e condividerete ciò che è suo. Se siete depressi, allora non credete. Noi tutti crediamo che egli è potente e crediamo che tutto è possibile a lui. Per quanto riguarda i vostri affari, comportatevi con fede in lui anche per quelli, perché egli è in grado di fare miracoli anche in voi”.

2. Lo stesso anziano aiutò alcuni ladri mentre lo derubavano. Quando portarono via quello che c’era nella sua cella, Abba Euprepio vide che avevano lasciato il suo bastone e si dispiacque. Così lo prese e corse dietro a loro per darglielo. Ma i ladri non volevano prenderlo, temendo che gli sarebbe successo qualcosa se lo avessero fatto. Allora chiese ad alcuni che incontrò e che stava facendo la stessa strada di dare loro il bastone.

3. Abba Euprepio disse: “Le cose corporee sono composte di materia. Chi ama il mondo ama le occasioni di caduta. Perciò, se ci capita di perdere qualcosa, dobbiamo accettarlo con gioia e gratitudine, rendendoci conto che siamo stati liberati dalle preoccupazioni”.

4. Un fratello interrogò Abba Euprepio sulla sua vita. L’anziano disse: “Mangia paglia, indossa paglia, dormi sulla paglia, cioè rinuncia a tutto e procurati un cuore di ferro”.

5. Un fratello chiese allo stesso vecchio: “Come dimora il timore di Dio nell’anima?”. Il vecchio rispose: “Se un uomo è dotato di umiltà e povertà e se non giudica gli altri, il timore di Dio verrà a lui”.

6. Disse anche: “Che il timore, l’umiltà, la mancanza di cibo e la compunzione siano con voi”.

7. Abba Euprepio andò a trovare un anziano e gli disse: “Abba, dammi una parola perché io sia salvato”. L’altro rispose: “Se vuoi essere salvato, quando vai a trovare qualcuno, non cominciare a parlare prima di essere stato interpellato”. Pieno di compassione per questo detto, si prostrò, dicendo: “Ho letto molti libri prima, ma non ho mai ricevuto un tale insegnamento”, e se ne andò molto edificato.




EPHREM

ἀββᾶς Ἐφραὶμ

Efrem il Siro è il più importante teologo di lingua siriaca del IV secolo e grande innografo. Per questo dono fu soprannominato “l’arpa dello Spirito Santo”, Nacque intorno al 306 nella città di Nisibi nell’attuale Turchia sud orientale da una famiglia cristiana. Morì nel 373. Fu molto venerato ed apprezzato tanto che i suoi inni e altri suoi scritti furono introdotti nelle celebrazioni liturgiche. 

1. Ancora bambino, Abba Ephrem ebbe un sogno e poi una visione. Un tralcio di vite uscì dalla sua lingua, si ingrandì e riempì ogni cosa sotto il cielo. Era carico di frutti meravigliosi. Tutti gli uccelli del cielo vennero a mangiare del frutto della vite, e più mangiavano, più il frutto aumentava.

2. Un’altra volta, uno dei santi ebbe una visione. Secondo l’ordine di Dio, un gruppo di angeli scese dal cielo, tenendo in mano un rotolo (cioè un pezzo di papiro scritto dentro e fuori), e si dissero l’un l’altro: “A chi dobbiamo darlo?” Alcuni dissero: “A questo”, altri: “A quello”. Allora la risposta arrivò con queste parole: “In verità, essi sono santi e giusti, ma nessuno di loro è in grado di riceverlo, tranne Ephrem”. L’anziano vide che il rotolo fu dato a Ephrem e vide come una fontana che sgorgava dalle sue labbra. Allora capì che ciò che usciva dalle labbra di Ephrem era dello Spirito Santo.

3. Un’altra volta, mentre Efrem era in viaggio, una prostituta cercò con le sue lusinghe, se non di indurlo a un rapporto sessuale vergognoso, almeno di farlo arrabbiare, perché nessuno lo aveva mai visto arrabbiato. Egli le disse: “Seguimi”. Quando giunsero in un luogo molto affollato, le disse: “In questo luogo, vieni, fai ciò che desideri”. Ma lei, vedendo la folla, gli disse: “Come possiamo fare quello che vogliamo davanti a una folla così grande, senza vergognarci?”. Egli rispose: “Se voi arrossite davanti agli uomini, quanto più dovremmo arrossire noi davanti a Dio, che conosce ciò che è nascosto nelle tenebre?”. Lei si coprì di vergogna e se ne andò senza aver ottenuto nulla.




03 MAGGIO

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

03 Maggio secondo l’antico calendario della Chiesa

  1. I SANTI MARTIRI TIMOTEO E MAURA (*)

Il destino di questi due meravigliosi martiri, marito e moglie, è sorprendente! A causa della loro fede cristiana e solo venti giorni dopo il loro matrimonio, furono portati in tribunale davanti ad Arriano, il governatore della Tebaide, durante il regno di Diocleziano. Timoteo era un lettore nella sua chiesa locale. Il governatore lo interrogò: “Chi sei?”. Timoteo rispose: “Sono un cristiano e un lettore della Chiesa di Dio”. Il governatore gli disse inoltre: “Non vedi intorno a te questi strumenti preparati per la tortura?”. Timoteo rispose: “E non vedi tutti gli angeli di Dio che mi rafforzano?”. Allora il governatore ordinò di trafiggergli le orecchie con una sbarra di ferro, in modo che le pupille dei suoi occhi sporgessero dal dolore. Poi lo appesero a testa in giù e gli misero un pezzo di legno in bocca. All’inizio Maura era spaventata per le sofferenze di Timoteo, ma quando il marito la incoraggiò, confessò anche lei la sua fede salda davanti al governatore. Il governatore ordinò allora di strapparle tutti i capelli della testa e poi le tagliò le dita delle mani. Dopo molte altre torture, per le quali avrebbero ceduto se la Grazia di Dio non li avesse rafforzati, furono entrambi crocifissi l’uno di fronte all’altro. Così, appesi alla croce, vissero per nove giorni consigliandosi e incoraggiandosi a vicenda nella perseveranza. Il decimo giorno consegnarono le loro anime al loro Signore, per il quale sopportarono la morte di croce e furono così resi degni del suo regno. Soffrirono onorevolmente per Cristo nell’anno 286 d.C.

  1. IL VENERABILE TEODOSIO DELLE GROTTE DI KIEV

Fin dalla prima giovinezza, Teodosio evitò il riso e l’allegria e si dedicò ai pensieri divini e alle preghiere. Per questo motivo, veniva spesso maltrattato dalla madre, soprattutto un giorno, quando quest’ultima notò una cintura di ferro attorno al suo corpo nudo, a causa della quale la camicia era insanguinata. Avendo letto una volta le parole del Salvatore nel Vangelo “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me” (San Matteo 10,37), Teodosio lasciò la casa dei suoi genitori e fuggì al Monastero delle Grotte di Kiev per vedere il Venerabile Antonio. Antonio lo accolse e, poco dopo, lo tonsurò monaco. Quando la madre lo trovò e gli chiese di tornare a casa, egli consigliò la madre e anche lei entrò in convento e fu tonsurata monaca. In breve tempo Teodosio superò tutti i monaci per mortificazione, mitezza e bontà e divenne molto caro ad Antonio, che lo insediò come abate del monastero. Durante il periodo in cui fu abate, la fratellanza del monastero aumentò notevolmente, furono costruite chiese e celle e fu introdotta la Costituzione [la Regola] del Monastero Studita nella sua interezza. Dio dotò Teodosio di un’abbondante grazia a causa della sua purezza verginale, del grande impegno nella preghiera, dell’amore verso il prossimo e così quest’uomo di Dio possedeva un grande potere sugli spiriti immondi, guariva le malattie e discerneva il destino degli uomini. Insieme a Sant’Antonio, Teodosio è considerato il fondatore e l’organizzatore del monachesimo in Russia. Morì serenamente nell’anno 1074 d.C. Le sue reliquie di guarigione riposano accanto a quelle di Antonio.

Inno di lode
SANTO TIMOTEO E SANTA MAURA

Timoteo e Maura, crocifissi e pallidi,
attraverso il Signore Cristo, si sono guardati l’un l’altro,
e con lo spirito si vedono meglio che con gli occhi,
Per il dolore esaltati, al di sopra di ogni cosa.
E Timoteo parla: Maura, sorella mia,
sei di natura femminile e il tuo dolore è più grande!
Con la preghiera incoraggiati, non disperare sorella,
tutti i tuoi pensieri offrili a Cristo.
Maura rispose: Fratello Timoteo,
lo Spirito di Dio lo sento, nella mia anima ondeggia
Mi mantiene forte, e impotente, mi rafforza,
e il dolce Gesù allevia le mie pene,
Ma di te, mio glorioso orgoglio, sono preoccupato,
Quali dolori, ai tuoi, possono essere simili?
Ma solo un po’, un po’, mio dolce fratello,
Dalle spine delle sofferenze, allora fioriranno le rose,
Per l’intera schiera celeste, il tesoro che sarai,
Sopporta, sopporta senza rumore e senza singhiozzi.
Stiamo attenti, fratello, non addormentiamoci,
Forse il Signore potrebbe venire, affinché non ci vergogniamo.
Ecco, i cieli interi si sono aperti, io vedo
tesori invisibili per noi preparati.
Poi Timoteo a Maura: O sorella, meravigliosa,
Sposa di Cristo, martire gloriosa,
per la sua gloriosa misericordia, glorifichiamo Dio,
che ci ha permesso una morte così onorevole.
Gloria a te, o Salvatore, che hai sofferto per noi;
Il nostro spirito, ora, lo affidiamo alle tue mani.

Riflessione
L’Abba Giovanni il Nano chiese ai monaci: “Chi ha venduto Giuseppe?”. Un monaco rispose: “I suoi fratelli”. A questo, l’anziano rispose: “Non i fratelli, piuttosto la sua umiltà. Giuseppe avrebbe potuto dire che è loro fratello e avrebbe potuto protestare per non essere venduto, ma è rimasto in silenzio. La sua umiltà, quindi, lo ha venduto. In seguito, questa stessa umiltà lo ha reso padrone dell’Egitto”. Nell’abbandonarci alla volontà di Dio, ci difendiamo troppo dalle sgradevolezze esterne, per questo perdiamo i buoni frutti che si raccolgono alla fine delle sgradevolezze sopportate con umiltà. Abba Pimen ha parlato saggiamente: “Abbiamo abbandonato il giogo facile, cioè il rimprovero di sé, e ci siamo caricati di un giogo pesante, cioè l’autogiustificazione”. Il cristiano accetta ogni sgradevolezza come merito dei suoi peccati presenti o passati; cerca in tutto la volontà di Dio con fede e attende la fine con speranza.

Contemplazione
Contemplare il Signore Gesù asceso:

  1. Come ha iniziato la sua opera di salvezza sulla terra come un umile lavoratore comune;
  2. Come ha completato la sua opera di salvezza con la sua miracolosa e gloriosa ascensione al cielo.

Omelia
Sul modo in cui gli adoratori di idoli saranno svergognati

“Come il ladro si vergogna quando viene sorpreso, così si vergognerà la casa d’Israele: Quelli che dicono a un pezzo di legno: “Tu sei mio padre” e a una pietra: “Tu mi hai fatto nascere”, rivolgono a Me le loro spalle, non il loro volto; eppure in tempo di difficoltà gridano: “Alzati e salvaci”! ” (Geremia 2, 26-27).

In verità, fratelli, saranno tutti svergognati coloro che non vedono oltre il legno e la pietra e che, nella loro ignoranza, dicono che l’uomo è composto interamente da piante e minerali e che gli accade la stessa cosa che accade con le piante e i minerali. Volgendo le spalle al Creatore, non riescono a vedere altro che la creazione e, dimenticando il Creatore, proclamano la creazione il Creatore. Dicono che la natura ha creato e partorito l’uomo, per questo l’uomo è inferiore alla natura, più basso della natura, servo in grembo alla natura, schiavo alla catena della natura e morto nella tomba della natura. Coloro che parlano così saranno svergognati quando cadranno nella disgrazia e grideranno a Dio: “Alzati e salvaci!”.

Perché gridano a Dio “Alzati” come se Dio fosse sdraiato? Dio non è sdraiato, ma sta in piedi; sta in piedi e aspetta di essere al servizio di tutti coloro che, con fede e umiltà, gli chiedono un favore. Ma coloro che si sono innamorati del legno e della pietra, confidando nel proprio potere, lo hanno rovesciato nella loro vita e lo hanno escluso dalla loro esistenza. Per questo motivo, quando sono pressati dalle difficoltà, gridano a Lui: “Alzati!”.

Ma il Signore è mite, si alza e viene in aiuto di ogni penitente. Che il peccatore si penta veramente e, abbandonato il suo amore peccaminoso, torni a Dio nell’amore e Dio lo aiuterà. Lasciategli voltare le spalle al legno morto e alla pietra e rivolgete la faccia al Dio vivente e Dio lo redimerà. Perché l’Onnipotente non è vendicativo. Non ha creato l’uomo per la morte, ma per la vita.

O fratelli, non cerchiamo aiuto nell’indifeso né vita nell’inanimato. Volgiamo la testa verso il nostro Creatore vivente, che ci ha dato un volto più radioso di quello di ogni cosa terrena. Passiamo dalle vie occidentali al sentiero orientale, perché su questo sentiero c’è la salvezza. Affrettiamoci prima che il nostro ultimo giorno sulla terra sprofondi nelle tenebre dell’occidente.

O Signore asceso, eleva le nostre menti al cielo. Purificale dalle tenebre e liberale dalla terra, o nostro Creatore portatore di luce.

A Te siano rese gloria e lodi sempre. Amen.

(*) Il nome Maura [Mavra] significa nero. Per questo motivo, in Macedonia, la festa di questi due santi viene chiamata “Giorno del Nero” o “Giorno Nero”. Sull’isola di Zacinto esiste una chiesa dedicata ai santi Timoteo e Maura, nella quale sono avvenuti molti miracoli di guarigione.




02 MAGGIO

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

02 Maggio secondo l’antico calendario della Chiesa

  1. I SANTI MARTIRI ESPERO, ZOE, CIRIACO E TEODULO

Durante il regno dell’imperatore Adriano (117-138 d.C.), un pagano di nome Catallo acquistò come schiavi Espero, sua moglie Zoe e i loro figli Ciriaco e Teodulo. Poiché erano cristiani convinti, non volevano assaggiare nulla dei sacrifici agli idoli e, ciò che veniva loro offerto, lo gettavano ai cani e loro stessi avevano fame ma sopportavano. Venuto a conoscenza di ciò, Catalo si infuriò e cominciò a torturare crudelmente i suoi schiavi. All’inizio torturò i bambini, ma questi rimasero incrollabili nella Fede e, anzi, cercarono torture più dure dai loro persecutori. Infine, tutti e quattro furono gettati in una fornace ardente dove, dopo preghiere di ringraziamento, consegnarono le loro anime al Signore. I loro corpi rimasero intatti e non furono consumati dal fuoco.

  1. SANT’ATANASIO IL GRANDE, ARCIVESCOVO DI ALESSANDRIA

In questo giorno si commemora la traslazione delle reliquie di Sant’Atanasio e i miracoli compiuti dalle sue reliquie. La vita e l’opera di questo grande santo sono ricordate il 18 gennaio.

  1. I SANTI MARTIRI BORIS E GLEB

Boris e Gleb erano figli del grande principe Vladimir, il battezzatore del popolo russo. Fino al suo battesimo, Vladimir aveva avuto numerose mogli e molti figli da loro. Boris e Gleb erano fratelli della stessa madre. Prima di morire, Vladimir divise lo Stato tra tutti i suoi figli. Ma anche Svjatpolk, suo figlio maggiore, principe di Kiev, desiderava usurpare le porzioni destinate a Boris e Gleb. Per questo motivo inviò degli uomini per uccidere Boris che si trovava in un luogo e per uccidere Gleb che si trovava in un altro luogo. Entrambi i fratelli erano eccezionalmente pii e, in tutto, graditi a Dio. Hanno affrontato la morte con la preghiera e l’elevazione dei loro cuori a Dio. I loro corpi rimasero incorrotti e profumati. Boris e Gleb furono sepolti a Vishgorod dove, ancora oggi, dai loro corpi proviene un potere benedetto che guarisce gli uomini da varie malattie e sofferenze.

  1. SAN MICHELE (BORIS), LO ZAR DI BULGARIA

Boris nacque e fu educato come pagano e fu battezzato sotto l’influenza di suo zio Bojan e di sua sorella. Al momento del battesimo gli fu dato il nome di Michele. Il patriarca Fozio gli inviò dei sacerdoti che gradualmente battezzarono tutto il popolo bulgaro. Molti nobili bulgari si opposero a questa nuova Fede, ma la nuova Fede conquistò e la Croce brillò su molte Chiese costruite dal devoto zar Michele. La fede tra i bulgari, come tra i serbi, si affermò soprattutto grazie ai Cinque Seguaci, i discepoli di San Cirillo e San Metodio, che predicarono al popolo la conoscenza di Cristo in volgare: la lingua slava.

In età avanzata Michele si ritirò in un monastero e fu tonsurato monaco. Quando il figlio Vladimir iniziò a distruggere l’opera paterna e a sterminare il cristianesimo, Michele indossò nuovamente l’uniforme militare, si cinse di spada, spodestò Vladimir dal trono e insediò come zar il figlio minore Simeone. Dopodiché, vestì nuovamente l’abito monastico e si ritirò in silenzio dove, nella mortificazione e nella preghiera, portò a termine la sua vita terrena “nella buona fede; nella corretta confessione di nostro Signore Gesù Cristo; grande, onorevole e devoto”, e prese dimora nella vita celeste il 2 maggio 906 d.C.

Inno di lode
SAN MICHAEL [BORIS] IL BULGARO

Michele il Bulgaro, il popolo con la croce battezzò,
ha immesso i pagani nel numero del gregge di Cristo,
e con il suo esempio ha toccato il cuore degli uomini,
affinché gli uomini amassero la fede salvifica.
Costruì Chiese ed estirpò il paganesimo.
E in se stesso, lo Spirito di Dio ha glorificato.
Inoltre, abbandonò la gloria e la vanità degli uomini,
Agli uomini insegnò la verità e la giustizia.
Non si impietosì a causa del Nome di Dio
e per la salvezza del popolo bulgaro.
Si sposò sulla terra con una corona di fiori,
e in cielo con una corona di eterno giubilo.

Riflessione

Il beato Maxim, “folle per Cristo”, camminava senza vestiti per le strade di Mosca in inverno. In risposta al consiglio degli uomini di vestirsi e proteggersi dal freddo, Maxim era noto per rispondere: “Sì, fa un freddo cane, ma il Paradiso è dolce!”. Rispondeva anche: “Per la pazienza, Dio concede la salvezza!”. Se Cristo stesso non ha provato dispiacere nel consegnarsi alla sofferenza e alla morte, perché noi dovremmo dispiacerci per noi stessi? Egli [Cristo] ci ha prescritto una ricetta, una dieta per il nostro risanamento spirituale e l’ha chiamata “giogo facile”. “Perché il mio giogo è facile e il mio carico è leggero” (Matteo 11, 30). Il giogo che ci imponiamo è molto più pesante, perché ci trascina sempre più in basso nella malattia spirituale. La terra cerca da noi sacrifici molto più grandi e non ci promette alcuna ricompensa dopo la morte. La terra vuole che le sacrifichiamo persino Dio, l’anima, la coscienza, la mente e tutta la dignità umana e divina e, per questo, ci mostra una tomba buia e putrida come fine di tutto e ricompensa per tutti. Cristo vuole che noi sacrifichiamo solo la terra, la nostra bestialità e il peccato, il vizio e tutta la malvagità e, per questo, promette la resurrezione e la vita eterna in Paradiso. “Sì, è amaramente freddo, ma il Paradiso è dolce!”.

Contemplazione
Contemplare l’Ascensione del Signore Gesù:

  1. Come i discepoli lo adorano;
  2. Come tornano a Gerusalemme con grande gioia.

Omelia
Sulla fonte di acqua viva e sulla cisterna asciutta

“Stupitevi di questo, o cieli, e rabbrividite di puro orrore, dice il Signore. Due mali ha fatto il mio popolo: ha abbandonato Me, fonte di acqua viva. Si sono scavati delle cisterne, delle cisterne rotte che non contengono acqua (Geremia 2, 12-13)”.

Questo discorso vale solo per allora o anche per noi oggi? Certamente per noi oggi. Si parla solo per il popolo ebraico o anche per il nostro popolo? Certamente anche per il nostro popolo. Come è stato detto: Non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso. È stato detto non solo per quel tempo, ma anche per tutti i tempi e non solo per il popolo ebraico, ma per tutti i popoli. E così anche questo. Questo vale oggi e sempre, per tutti i popoli e per ogni uomo che volta le spalle alla fonte dell’acqua viva nel proprio giardino e scava una cisterna per bere l’acqua piovana.

La fonte di acqua viva è il Signore stesso, inesauribile, copiosa e dolce. La cisterna è l’opera di ogni uomo che viene eseguita in opposizione a Dio e alla legge di Dio e dalla quale gli uomini si aspettano progresso, felicità e soddisfazione per la loro fame e sete. Tale cisterna è senza Dio, avara, golosa, immorale, assetata di potere, vana, idolatra, indovina e tutto ciò che ha il diavolo come consigliere, il peccato come scavatore e la falsa speranza come portatore d’acqua. “Stupitevi di questo, o cieli, e rabbrividite di orrore” dice il Signore su come l’uomo sia diventato insensato e abbia cominciato a rinunciare all’acqua viva e a scavare una cisterna nei carboni ardenti che infiammano ancora di più la sua sete!

O fratelli, anche il nostro popolo ha commesso due mali, perché ha dimenticato il Signore come fonte di ogni bene e perché è andato a cercare, per sé, il bene nel male e il male nel bene. Si può trovare l’acqua nel fuoco? O il grano nella sabbia? Non è possibile; non è possibile, fratelli. Ancor meno si possono trovare pace, felicità, gioia e vita o qualsiasi altro bene nelle cisterne del peccato e dell’empietà.

O Signore, fonte immortale di ogni bene che il cuore dell’uomo può desiderare e che la mente dell’uomo può immaginare, abbi pietà di noi peccatori e indegni. Con la tua potente mano destra allontanaci dalle nostre opere vane e senza Dio e dissetaci con la tua acqua dolce e viva.

A Te sia gloria e grazie sempre. Amen.




30 APRILE

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

30 Aprile secondo l’antico calendario della Chiesa

  1. IL SANTO APOSTOLO GIACOMO

Giacomo era figlio di Zebedeo, fratello di Giovanni e uno dei Dodici Apostoli. Su invito del Signore Gesù, Giacomo lasciò la sua rete di pescatori e suo padre e, insieme a Giovanni, seguì immediatamente il Signore. Apparteneva a quella trinità di apostoli ai quali il Signore rivelò i più grandi misteri, davanti ai quali si trasfigurò sul Tabor e davanti ai quali agonizzò nell’orto del Getsemani prima della sua passione. Dopo aver ricevuto lo Spirito Santo, predicò il Vangelo in vari luoghi e si recò in Spagna. Al suo ritorno dalla Spagna, i Giudei cominciarono a litigare con lui riguardo alle Sacre Scritture, ma nessuno era in grado di contrastarlo, nemmeno un certo mago, Ermogene. Ermogene e il suo discepolo Filippo furono sconfitti dalla forza della verità che Giacomo predicava ed entrambi furono battezzati. Allora i Giudei accusarono Giacomo davanti a Erode e convinsero un certo Josia a calunniare l’apostolo. Giosia, vedendo il comportamento coraggioso di Giacomo e ascoltando la sua chiara spiegazione della verità, si pentì e credette in Cristo. Quando Giacomo fu condannato a morte, fu condannato a morte anche questo Josia. Durante il tragitto verso il luogo dell’esecuzione, Josia implorò Giacomo di perdonargli il peccato di calunnia. Giacomo lo abbracciò, lo baciò e gli disse: “Pace e perdono siano per te!”. Entrambi chinarono il capo sotto la spada e furono decapitati per il Signore, che amavano e che servivano. San Giacomo patì a Gerusalemme nell’anno 45 d.C. Il suo corpo fu traslato in Spagna, dove ancora oggi si verificano guarigioni miracolose sulla sua tomba.

  1. SAN DONATO

Donato era vescovo di Evira, in Albania. Fu dotato da Dio della grande benedizione di operare miracoli, grazie alla quale compì molti miracoli a beneficio del popolo. Donato trasformò l’acqua amara in dolce, fece scendere la pioggia durante la siccità, guarì la figlia del re dalla pazzia e resuscitò un uomo dalla morte. Questo defunto aveva pagato il suo debito a un certo creditore. Ma il creditore senza scrupoli voleva che il debito fosse pagato una seconda volta e così, volendo approfittare della morte del suo debitore, si recò dalla vedova e pretese che il debito fosse ripagato immediatamente. La vedova pianse e si lamentò con il vescovo. San Donato avvertì il creditore di aspettare, almeno finché l’uomo non fosse stato sepolto, e allora il debito sarebbe stato discusso. Il creditore si oppose con rabbia. Allora Donato si avvicinò al morto, lo toccò e gridò: “Alzati, fratello, e occupati del tuo creditore!”. Il morto si alzò e con uno sguardo spaventoso guardò il suo creditore e gli raccontò quando e dove aveva pagato il debito. Chiese anche al creditore la sua ricevuta scritta. Il creditore, spaventato, gli mise in mano il documento e il cadavere risorto lo strappò e si sdraiò di nuovo e morì. San Donato riposò pacificamente in età avanzata e prese dimora presso il Signore, nell’anno 387 d.C. Le sue reliquie riposano a Evira, in Albania, e ancora oggi beneficiano i fedeli.

  1. LA SANTA MARTIRE ARGYRA

Questa nuova martire nacque a Brusa da genitori devoti. Non appena Argyra si sposò con un cristiano, un certo turco del quartiere si innamorò di lei e la invitò a vivere con lui. Argyra, amante di Cristo, rifiutò la vile proposta di questo turco. Egli si infuriò e la accusò davanti al giudice, dicendo che lei voleva abbracciare l’Islam e poi aveva rinunciato. Questa santa Argyra passò quindici anni a soffrire per Cristo, passando da giudice a giudice e da prigione a prigione. Amava Cristo al di sopra di ogni cosa in questo mondo. Alla fine morì in prigione a Costantinopoli nell’anno 1725 d.C.

Inno di lode
IL SANTO APOSTOLO GIACOMO

Giacomo di Zebedeo era uno dei tre
Che vide i misteri più miracolosi di Cristo,
che vide la Trasfigurazione del Salvatore,
in bianche vesti, con un volto radioso.
E di nuovo nel Giardino lo videro addolorato,
come un prigioniero apparentemente indifeso nella gabbia del mondo.
Questa contraddizione confondeva Giacomo,
finché la luce della risurrezione non lo illuminò.
E quando il Signore sorse, Giacomo credette;
I suoi dubbi si dissolsero, come una nuvola di sogni!
E ancora di più quando lo Spirito scese e gli diede potere,
Giacomo divenne un comandante invincibile.
Cominciò a fare la guerra sia di giorno che di notte,
e a fare miracoli con l’aiuto di Dio.
Tutto per il nome di Cristo, tutto per la gloria di Cristo,
finché quel santo nome non risplendesse nel mondo.
Invano il sanguinario Erode gli tagliò la testa;
Dio concesse al suo comandante la gloria eterna.

Riflessione
Un anziano devoto giaceva sul letto di morte. I suoi amici si riunirono intorno a lui e lo piansero. L’anziano si mise a ridere tre volte. I monaci gli chiesero: “Perché ridi?”. L’anziano rispose: “Ho riso la prima volta perché tutti voi avete paura della morte, la seconda perché nessuno di voi è preparato alla morte e la terza perché sto passando dal lavoro al riposo”. Ecco come muore un uomo giusto! Non ha paura della morte. È preparato alla morte. Vede che attraverso la morte passa dalla vita difficile al riposo eterno. Quando la natura dell’uomo contempla il suo stato originale in Paradiso, allora la morte è innaturale, così come è innaturale il peccato. La morte deriva dal peccato. Dopo essersi pentito ed essersi purificato dal peccato, l’uomo non considera la morte come l’annientamento, ma come la porta della vita eterna. Se a volte i giusti pregavano Dio di prolungare la loro vita terrena, non era per amore di questa vita o per paura della morte, ma solo per avere più tempo per il pentimento e la purificazione dal peccato, in modo da presentarsi davanti a Dio più senza peccato e più puri. Anche se mostravano timore davanti alla morte, era per paura non della morte ma del giudizio di Dio. Quale timore deve provare allora il peccatore impenitente davanti alla morte?

Contemplazione
Contemplare l’Ascensione del Signore Gesù:

  1. Come tutte le forze gravitazionali della terra non riuscirono a impedire al corpo del Signore di salire;
  2. Come, con la sua Ascensione, il Signore si sia mostrato al di sopra delle leggi della natura.

Omelia
sull’illuminazione di Cristo

“Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti darà la luce” (Efesini 5,14).

L’apostolo Paolo, come tutti gli altri apostoli e santi cristiani, insegna ciò che insegna per esperienza personale, perché la fede di Cristo è esperienza e non teoria o sofismi umani. Anche Paolo aveva giaciuto come uno spiritualmente addormentato, ed era spiritualmente morto mentre si opponeva alla Fede cristiana. San Paolo si è poi risvegliato, è risorto nello spirito ed è stato illuminato da Cristo. Egli conosce se stesso dal momento in cui era spiritualmente addormentato e dal momento in cui si è svegliato, è risorto, è stato risuscitato dallo Spirito ed è stato illuminato da Cristo. Ciò che sa di sé come cristiano, lo raccomanda agli altri. Come apostolo, vede se stesso in una grande luce e crede che tutti gli altri uomini, se lo desiderano, possano essere luminosi come lui. La luce non è sua, ma di Cristo. Il suo è solo l’amore per quella Luce, che è Cristo.

Ma l’illuminazione di Cristo è necessaria all’uomo sia all’inizio che alla fine. Senza l’illuminazione di Cristo, infatti, l’uomo non è in grado di svegliarsi, di sorgere o di risorgere dai morti, così come dopo non è in grado da solo di vivere nella fede o di morire nella speranza. Cristo è necessario all’inizio come alla fine. Come la mano del genitore è necessaria per recuperare dall’acqua un bambino che sta annegando e poi per condurlo sulla terraferma, proteggendolo e impedendogli di annegare di nuovo, così Cristo è necessario per coloro che annegano nelle acque del peccato. L’Apostolo stesso ha ricevuto l’illuminazione di Cristo all’inizio, sulla via di Damasco, e l’ha ricevuta di nuovo in seguito. La prima illuminazione fu la sua conversione a Cristo e la seconda la sua conferma in Cristo. La prima illuminazione la riceviamo tutti attraverso il battesimo e la seconda attraverso la fede e l’adempimento dei comandamenti del Signore. Tutti coloro che non possiedono l’illuminazione di Cristo – o che l’hanno avuta e l’hanno persa – sono come addormentati, come morti.

O dolce Signore, svegliaci, rialzaci, risuscitaci, perché non possiamo fare nessuna di queste cose senza di Te. A Te sia gloria e lode per sempre. Amen.




29 APRILE

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

29 Aprile secondo l’antico calendario della Chiesa

  1. SAN BASILIO DI OSTROG

Basilio nacque a Popova, un villaggio dell’Erzegovina, da genitori semplici e timorati di Dio. Fin dalla giovinezza fu pervaso dall’amore per la Chiesa di Dio e, una volta raggiunta la maturità, entrò nel monastero della Dormizione della Theotokos a Trebinje e lì ricevette la tonsura monastica. Come monaco, divenne presto famoso per la sua vita ascetica assidua e rara. San Basilio si accollò lavori ascetici su lavori ascetici, ognuno più pesante e difficile dell’altro. In seguito, contro la sua volontà, fu eletto e consacrato vescovo di Zahum e Skenderia. Come gerarca, visse dapprima nel monastero di Tvrdoš e da lì, come un buon pastore, rafforzò il suo gregge nella fede ortodossa, proteggendolo dalla crudeltà dei turchi e dalle astuzie dei latini. Quando Basilio fu messo a dura prova dai suoi nemici e Tvrdoš fu distrutta dai Turchi, si trasferì a Ostrog, dove visse un’austera vita ascetica, proteggendo il suo gregge con la sua incessante e fervente preghiera. Si ritirò serenamente nel Signore nel XVI secolo, lasciando le sue reliquie incorrotte e guaritrici, intatte e miracolose fino ai giorni nostri. I miracoli sulla tomba di San Basilio sono innumerevoli. Cristiani e musulmani si recano davanti alle sue reliquie e trovano la guarigione delle loro più gravi malattie e afflizioni. Ogni anno, in occasione della festa di Pentecoste, si svolge un grande raduno nazionale (pellegrinaggio).

 *) Una nuova chiesa, sulle rovine dell'antico monastero di Tvrdoš, è stata costruita ai nostri giorni da Nikola Runjevac del villaggio di Poljica, vicino a Trebinje. È un monumento meraviglioso e glorioso agli occhi di Dio e del suo popolo.

  1. I NOVE SANTI MARTIRI A CIZICO

Questi nove coraggiosi martiri, infiammati dall’amore per Cristo, rifiutarono di offrire sacrifici agli idoli o di rinnegare Cristo Signore, per cui furono brutalmente torturati e infine decapitati. Durante il regno dell’imperatore Costantino, a Cizico fu costruita una chiesa in onore di questi martiri, dove furono collocate le loro reliquie incorrotte. Sulle loro reliquie sono avvenute innumerevoli guarigioni. I loro nomi erano Teognes, Rufo, Antipatro, Teostico, Artemas, Magno, Teodoto, Taumasio e Filemone. Tutti loro disprezzavano ciò che è temporale a favore di ciò che è eterno, il corruttibile per l’incorruttibile. Per questo il Signore li ha condotti alla sua dimora eterna e li ha incoronati con corone di gloria imperitura. Hanno sofferto onorevolmente e sono stati glorificati nel terzo secolo.

  1. IL VENERABILE MEMNONE IL PRODIGIOSO

Fin dalla giovinezza Memnone si dedicò al digiuno e alla preghiera e si purificò a tal punto da diventare una dimora per lo Spirito Santo. Guarì malattie incurabili e compì molti altri miracoli. Apparve nelle tempeste in mare e salvò le navi dal disastro. Nel secondo secolo si ritirò pacificamente nel Signore e prese dimora nei cortili celesti del Signore.

Inno di lode
SAN BASILIO DI OSTROG

San Basilio, compiacitore di Dio
e mirabile guaritore da ogni afflizione:
Con la forza del tuo Cristo,
che hai molto amato,
sei stato in grado di guarire le malattie più gravi.
Anche ora sei in grado di guarire tutti coloro che ti onorano,
e che credono fermamente nel Dio vivente.
Non smettere di aiutare, o gloria del popolo serbo;
Non smettere di pregare il Signore per i peccatori.
Tu sei un santo di Dio nella gloria celeste,
e i santi sono uomini con uno spirito pieno e sano.
In te vediamo un vero uomo,
libero dal peccato e pieno di guarigione,
In cui arde il fuoco dello Spirito Santo,
In cui dimora l’amore di Cristo risorto.
Siamo grati a te e al Dio onnipotente,
che attraverso di te Dio riversa abbondante misericordia;
Per mezzo di te, suo santo, mirabile e dal volto angelico…
Basilio il Serbo, il gradito a Dio!

Riflessione
Nulla può essere tenuto nascosto a Dio onnisciente. In ogni momento, Egli conosce tutto ciò che viene fatto nel mondo, sia nel mondo esterno che in quello interiore, spirituale. Non una sola intenzione, non un solo desiderio, non un solo pensiero può essere nascosto a Dio. Come si può nascondere a Dio ciò che non si può nascondere agli uomini, ai santi? Un giorno lo zar Ivan il Terribile si recò in Chiesa per pregare Dio. In chiesa, il beato Basilio il folle per Cristo si trovava per pregare. È vero che lo zar era fisicamente in Chiesa, ma i suoi pensieri erano rivolti alla Collina dei Passeri, a poca distanza da Mosca, sulla quale aveva iniziato a costruire un palazzo. Durante le funzioni liturgiche lo zar pensava a come ampliare e completare il suo palazzo su quella collina. Dopo le funzioni lo zar notò Basilio e gli chiese: “Dove sei stato?”. Basilio rispose: “In Chiesa”. Basilio allora chiese subito allo zar: “E tu dov’eri, o zar?”. “Anch’io ero in Chiesa”, rispose lo zar. Il santo chiaroveggente rispose: “Non dici la verità, Ivanushka, perché ho percepito come, nei tuoi pensieri, tu stessi camminando sulla Collina dei Passeri e costruendo un palazzo”.

Contemplazione
Contemplare l’Ascensione del Signore Gesù:

  1. Come il Signore, benedicendo i suoi discepoli, fu elevato al di sopra della terra e portato in cielo;
  2. Come i discepoli lo guardarono mentre ascendeva, finché una nube non lo nascose alla loro vista.

Omelia
Sull’incomparabile amore di Cristo

“E conoscere l’amore di Cristo, che supera la conoscenza” (Efesini 3,19).

L’amore di Cristo, che supera la conoscenza! Supera non la conoscenza di Dio, ma la conoscenza dell’uomo, oscurata e inficiata dal peccato. La conoscenza di Dio è uguale all’amore di Dio e nessuno dei due supera l’altro. Ma la conoscenza dell’uomo, alienato da Dio, non comprende affatto l’amore di Dio, manifestato attraverso il Signore Gesù Cristo. Dio comprende l’uomo, ma l’uomo non comprende Dio. Dio ha cercato di mettere l’uomo in grado di capire con la ragione attraverso la natura e l’Antica Rivelazione, attraverso la Legge e i profeti, ma l’uomo non ha voluto sottomettersi a questa conoscenza. Allora Dio ha cercato di vincere gli uomini attraverso l’amore e, attraverso questo amore, di attirarli a sé. Da qui l’incarnazione del Figlio di Dio, il suo sacrificio e la sua sofferenza fino alla morte. Questo amore inesprimibile da parte di Dio, al di là delle parole e della conoscenza, ha catturato e riportato molti a Dio, cioè li ha fatti comprendere e ha dato loro una nuova conoscenza, pura e luminosa. Ma ha anche confuso molti di loro, perché non si accordava con la loro comprensione oscurata e amareggiata.

E per conoscere, dice l’Apostolo. Come possiamo, fratelli, conoscere ciò che è al di là della conoscenza e della comprensione? In nessun altro modo se non attraverso un cambiamento di mente, un risveglio e un’acutizzazione della mente, un’illuminazione e un’elevazione della mente: in breve, attraverso l’acquisizione di una mente nuova, che abbia la capacità di comprendere l’amore di Cristo, che è al di là dell’attuale mente peccaminosa degli uomini.

Oh, la profondità della sapienza e della conoscenza di Dio! Chiunque si avvicini anche solo un po’ a te sente che tu sei allo stesso tempo la profondità dell’amore di Dio.

O Signore, asceso al cielo, illumina le nostre menti con la Tua comprensione, affinché possiamo più facilmente fare nostro il Tuo insondabile amore verso gli uomini e piangere – piangere di dolore a causa dei nostri cuori induriti e delle nostre menti oscurate e malvagie, e piangere di gioia a causa del Tuo amore verso di noi, che siamo oscurati e amareggiati.

A Te sia gloria e lode per sempre. Amen.




SANTO STEFANO DI FILEIKA: SULLA PREGHIERA

Estratti dalle sue opere

Santo Stefano nella sua cella

Sacerdote Alexei Veretelnikov

Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato (Rm 10,13)

Lo scopo della vita cristiana sulla terra è quello di lottare per l’unione con Dio, affinché l’uomo, sviluppando gradualmente le capacità spirituali poste in lui dal Creatore, possa alla fine unirsi a Lui nell’eternità e godere della comunione con Lui. Chi desidera raggiungere la salvezza dell’anima non deve solo lottare contro il peccato, ma anche sforzarsi di acquisire le virtù. Secondo l’insegnamento dell’asceta e scrittore spirituale Santo Stefano di Fileika, l’aspetto più importante del lavoro spirituale, nonché mezzo per acquisire le virtù, è la preghiera.

È impossibile immaginare la vita spirituale di un uomo senza l’ascesi della preghiera, perché “senza la preghiera non solo si indebolisce ogni virtù, ma cessa nell’uomo la stessa vita spirituale dei perfetti”. “Per lavorare ad una buona impresa per la fede e completare il corso della nostra vita terrena senza inciampare, dobbiamo pregare con vigilanza”.

La preghiera, secondo l’insegnamento del santo, è innanzitutto un mezzo necessario e insostituibile “per liberarci dalle tenebre ed entrare nella meravigliosa luce di Dio, ovvero per uscire dal potere di satana (cfr. At 26,18) e stabilirci nel Regno di Dio”. In secondo luogo, è necessaria per la conservazione della grazia data da Dio. “La fiamma accesa dalla preghiera non permette a nessun pensiero peccaminoso di raggiungere il cuore”, insegna p. Stefano. In terzo luogo, la preghiera è il nucleo e il respiro della vita spirituale, senza la quale l’uomo muore nello spirito: “Come la vita di un pesce finisce senza acqua, così senza la preghiera l’anima dell’uomo, separata dallo Spirito di Dio, si congela o cade in un sonno mortale”. “Ecco il segno di un’anima morta per Dio: l’intorpidimento del cuore, la cessazione della preghiera interiore”. Molti disturbi spirituali, secondo P. Stefano, sono direttamente collegati all’assenza di attività di preghiera nella vita dell’uomo: “È per questo che l’uomo si perde d’animo: perché smette di pregare”.

Il santo definisce la preghiera come “la petizione della mente e del cuore a Dio, l’unione dell’anima con Dio e, attraverso la sua azione, la rivitalizzazione e il respiro dello Spirito immortale”. Allo stesso tempo, l’essenza della preghiera dovrebbe manifestarsi nell’appello della mente e del cuore dell’uomo a Dio, senza il quale “la preghiera esterna è come un frutto del grembo senza anima, nato morto”. Secondo Santo Stefano, la preghiera stessa è un dono di Dio: “L’uomo impara la preghiera solo da Dio, che dà la preghiera a colui che prega”. All’uomo è richiesta la partecipazione del suo cuore: “Chi prega veramente è colui che prega con il suo spirito, senza il quale anche le suppliche più eloquenti sono vane. Perciò, non considerate un successo nella preghiera quando leggete molte preghiere, ma quando ogni parola viene dal vostro cuore”.

Come pregare

Parlando della preghiera, Santo Stefano non enfatizza la regola della preghiera in sé, ma parla del lavoro orante in quanto tale. Va notato che Santo Stefano celebrava l’intero ciclo di funzioni quotidiane e leggeva ogni giorno l’acatisto. Dava una particolare preferenza all’akathistos della Santa Protezione della Santissima Theotokos e consigliava agli altri di leggere un akathistos ogni giorno.

Né il luogo né la posizione del corpo giocano un ruolo essenziale nel successo dell’opera di preghiera. “Se avete il cuore spezzato, le persone non vi ostacoleranno e il luogo non vi impedirà di offrire il vostro sacrificio a Dio in qualsiasi momento. Potete sedervi per terra e guardare il cielo e sospirare per i vostri peccati – anche sdraiarsi non è peggio che stare in piedi in Chiesa – e implorare la misericordia di Dio, perché Dio non disdegna nessuna posizione da un uomo di preghiera se ha una disposizione spirituale verso di Lui e un cuore pentito”.

Allo stesso tempo, il santo indica con chiarezza la necessità di andare alle funzioni religiose: “Sappiamo che nella casa di Dio c’è un ministero divino; perché se qualcuno non va alla casa di Dio, significa che non vuole servire Dio; chi non vuole essere un servitore di Dio, diventa involontariamente uno schiavo del nemico di Dio – il diavolo – e perderà l’eredità degli schiavi di Dio – il Regno dei Cieli – e andrà nel tormento preparato per il diavolo e i suoi complici”. Va notato che un’opera di P. Stefano, Colloqui sul servire Dio nei giorni di festa, è completamente dedicata all’adempimento del quarto comandamento della Legge di Dio.

Per pregare con successo, abbiamo bisogno di umiltà e timore di Dio. “Il Signore, come è detto, esaudirà i desideri di coloro che lo temono e ascolterà le loro suppliche (Sal 144,19); perciò, quando inizi a pregare, pensa a chi sei e a chi stai osando parlare”.

Secondo il santo, una condizione necessaria per una preghiera corretta è la rinuncia alla propria volontà e la completa fiducia in Dio nel ricevere ciò che si implora: “Così, per esempio, un uomo desidera fare un bene che non è in grado di fare, o che è incongruente con il suo stile di vita, o che è prematuro, quando non ha né conoscenza né umiltà; allora lo spirito maligno accende un desiderio e lo costringe a fare il bene, da cui deriva confusione dell’anima, sconforto e persino disperazione. Ecco perché non dobbiamo pregare secondo il nostro desiderio, ma come è gradito a Dio; perché Lui solo sa come l’anima di ogni uomo può essere salvata”.

Sarebbe irrazionale pregare con un cuore impuro, con uno spirito non contrito, chiedendo cose vane e terrene a scapito di quelle spirituali. “Ma forse il più grande di questi mali”, conclude P. Stefano, “è pregare con cattiveria contro il nostro prossimo. Se un uomo porta nella casa di Dio l’odio per un altro invece del sacrificio gradito a Dio di uno spirito contrito, la sua preghiera sarà peccato per lui, gli porterà una grande condanna e sarà rifiutata da Dio”.

“La preghiera esterna fatta con malizia, senza il perdono del nostro prossimo e fatta per esibire la nostra vanità non è solo inaccettabile, ma peccaminosa davanti a Dio. La longanimità di Dio è messa a dura prova da quelli di noi che si rivolgono a Lui con minore riverenza che ad un nobile, che leggono le preghiere così frettolosamente che la mente non riesce a seguire le parole; e quindi i nostri pensieri, come il fumo del sacrificio di Caino, non fanno che vorticare sopra la terra”. Non meno importanti nell’opera di preghiera sono la temperanza del ventre e il silenzio divinamente saggio.

Santo Stefano rivela il problema della dispersione mentale nella preghiera. In linea con l’esperienza patristica, egli incoraggia l’uomo a non scoraggiarsi e a non rinunciare alla preghiera, ma a “sforzarsi con tutte le sue forze di rivolgere la mente a Dio o di racchiuderla nel significato delle parole della preghiera”, di dirigere i propri pensieri a Dio anche solo per un breve periodo. Attraverso la preghiera frequente, l’uomo può acquisire “quello spirito orante che si riverserà davanti a Dio dalla pienezza del cuore”.

La preghiera di Gesù

Naturalmente, Santo Stefano pone un’enfasi particolare sulla preghiera di Gesù: “L’invocazione del nome del Signore, o la preghiera: ‘Signore, abbi pietà! Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore!'” è un’opera senza la quale è impossibile salvarsi. Perché non siamo salvati con le nostre forze, ma per la misericordia di Dio; perciò, per ogni petizione gridiamo in chiesa: “Kyrie elison!”.

“La preghiera del cuore, o preghiera noetica, è accompagnata dalla visione, dalla contemplazione di Dio stesso, che si ottiene costringendosi costantemente a pensare a Dio, implorando senza sosta la misericordia di Dio per se stessi… Chi purifica il suo cuore da ogni pensiero vano e stabilisce la sua mente in pensieri di Dio, la sua anima sarà piena di gioia alla presenza del Signore e godrà per sempre della beatitudine alla sua destra (Sal 15,11)”.

Un tale uomo “non cessa più di pregare, se abbandona se stesso, perché lo Spirito di Dio in lui intercede costantemente per la sua salvezza e produce nella sua anima gemiti che sono, come si dice, inesprimibili. Allora, anche in stato di sonno, come in stato di veglia, la preghiera non cessa mai nell’anima; ma sia che quest’uomo prenda cibo e bevande o altro, anche nel sonno profondo, la preghiera sgorga dal suo cuore senza alcuna difficoltà. Tale preghiera, anche se esternamente tace, emette sempre una dolce fragranza nell’anima, la porta sempre alla tenerezza, alla contemplazione dell’imperscrutabile bontà di Dio”.

Per questo motivo, l’uomo che ha acquisito una tale dispensa si sforza di fare più silenzio e si allontana dalla comunione con le persone. Ed è proprio questo stato di spirito orante che è prezioso davanti a Dio, quando “l’uomo nascosto nel cuore gli offre le sue suppliche e la gratitudine di uno spirito mite e silenzioso”.

Come imparare la preghiera di Gesù

Per coloro che non hanno acquisito l’abilità di pregare sempre nello spirito, Santo Stefano li esorta a pregare verbalmente più spesso e a rafforzare questa preghiera con le prostrazioni. “La preghiera noetica e la preghiera del cuore non si acquisiscono da un giorno all’altro, ma avvengono come risultato di una maggiore costrizione e di un esercizio costante della preghiera”, conclude P. Stefano.

Secondo il santo, costringersi alla preghiera notturna aiuta ad acquisire la preghiera, che non si ferma più, nemmeno nel silenzio del sonno.

Ma allo stesso tempo è importante ricordare che “la forza della consolazione piena di grazia della preghiera non sta nelle parole, ma nella disposizione dell’anima e nell’unione del cuore con Dio. Perciò non preoccupatevi di dire il più possibile la Preghiera di Gesù (così chiamata perché si ripete il nome di Gesù Cristo), ma cercate di tenere la mente e il cuore incollati a Dio e di trovare ogni bene nella comunione con Lui”.

“Il modo migliore per la preghiera silenziosa – noetica o spirituale – è il seguente: Attirare l’attenzione della mente sul cuore e mantenerla in quello stato senza alcun pensiero, dicendo internamente: ‘Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me’. Questa semplice azione porta l’anima nello stato più pacifico, stabilisce il Regno di Dio all’interno e produce una meravigliosa consolazione e un riposo insormontabile in Dio”.

Parlando delle altezze dell’attività di preghiera, il santo spesso conforta il suo lettore con questi pensieri: “Certo, non si può raggiungere subito lo stato in cui si prega con vera preghiera; i santi non hanno raggiunto subito questa alta beatitudine; ma con lo sforzo, impegnandosi costantemente nella preghiera, hanno prodotto i frutti nella pazienza”.

Preghiera ed elemosina

Ma nonostante l’importanza dell’opera della preghiera, “la preghiera da sola non basta per la salvezza”, ammonisce Santo Stefano, “perché il Signore stesso dichiara: E perché mi chiamate Signore, Signore, e non fate le cose che dico?” (Lc 6,46). La fede senza le buone opere è morta (cfr. Gc 2,20). Pertanto, dobbiamo guardare alle opere gradite a Dio che animano l’anima ed elevano l’uomo al regno della vita eterna”.

“Affinché l’anima si elevi dalle cure terrene a quelle celesti, dobbiamo, come qualcuno ha detto, darle due ali: la preghiera e l’elemosina. L’elemosina ci libera dalla morte”, dice la Scrittura, “e non ci permette di sprofondare nelle tenebre (cfr. Tb 4,11). Nella ricerca delle benedizioni celesti, la preghiera funge da seconda ala. Per sconfiggere gli spiriti celesti del male (cfr. Ef 6,12), che fanno sprofondare l’anima nell’incredulità e nello sconforto, abbiamo bisogno di una preghiera diligente a Dio Salvatore”…

Santo Stefano, lui stesso grande uomo di preghiera che ha sperimentato i frutti dell’opera della preghiera, con il suo consiglio ispira ad andare incontro al Dio che ci cerca attraverso la preghiera, per entrare in comunione con Dio e raggiungere la conoscenza di Dio. Il consiglio del santo ispira ogni uomo che desidera salvare la propria anima a intraprendere il lavoro della preghiera: “La preghiera dell’uomo più peccatore può fare molto quando sorge dal profondo di un cuore contrito e umile; l’esperienza di tutti i secoli dimostra che tutti coloro che sperano nel Signore sono considerati degni del suo favore”. “Quindi, abbiate zelo per la preghiera e non consideratela più inutile; non pensate di sprecare tempo ed energie quando offrite un servizio verbale a Dio”.

FONTE: https://orthochristian.com/149198.html