San Pietro di Damasco: Filocalia della conoscenza divina dei Padri

San Pietro di Damasco: Filocalia della conoscenza divina dei Padri

IN TRADUZIONE (bozza)

Poiché per grazia di Dio mi sono stati concessi molti grandi doni e tuttavia non ho mai fatto nulla di buono, ho avuto paura che nella mia pigrizia e indolenza avrei dimenticato le Sue benedizioni – così come i miei difetti e peccati – e non avrei nemmeno offerto a Lui grazie o mostrato la mia gratitudine in alcun modo. Ho quindi scritto questo trattato come un rimprovero alla mia anima infelice, inserendovi tutto ciò che ho conosciuto dalle vite e dagli scritti dei santi Padri, citandoli per nome, in modo da avere con me un promemoria delle loro parole, anche se incompleto.

Poiché io stesso non possiedo né ho mai posseduto libri, li ho presi in prestito da amici amanti di Cristo, che si occupano anche delle mie necessità fisiche; e dopo averli esaminati con grande cura per amore di Dio, li ho poi restituiti ai loro proprietari. Questi libri includono prima di tutto l’Antico e il Nuovo Testamento, cioè il Pentateuco, il Salterio, i Quattro Libri dei Re, i Sei Libri della Sapienza, i Profeti, le Cronache, gli Atti degli Apostoli, i Santi Vangeli e i commenti su tutti questi; e poi tutti gli scritti dei grandi Padri e maestri: di Dionigi, Atanasio e Basilio, del Teologo, del Crisostomo, Gregorio di Nissa e Antonio, Arsenio, Macario, Nilo, Efrem, Isacco, Marco, del Damasceno e del Klimakos e di Massimo, Doroteo, Filimone, così come le vite e i detti di tutti i santi.

Ho esaminato tutto questo lentamente e diligentemente, cercando di scoprire la radice della perdizione e della salvezza dell’uomo e quali delle sue azioni o pratiche lo portano o lo allontanano dalla salvezza. Volevo scoprire cosa cerca ognuno e come le persone hanno servito Dio in passato e come lo servono ancora oggi, nella ricchezza o nella povertà, vivendo tra molti peccatori o in solitudine, sposati o nella verginità: come, molto semplicemente, in ogni circostanza e attività troviamo vita o morte, salvezza o perdizione. Anche tra noi monaci ci sono situazioni diverse: obbedienza a un padre spirituale in tutte le questioni che riguardano il corpo o l’anima; l’esichia che purifica l’anima; oppure consiglio spirituale al posto dell’obbedienza o gli uffici di igumeno e vescovo. In ciascuna di queste situazioni, alcuni trovano la salvezza e altri periscono.

Questo di per sé mi meravigliò; ma fui sbigottito anche dalla caduta di quell’angelo che un tempo era in cielo, immateriale per natura, rivestito di sapienza e di ogni virtù, che all’improvviso divenne un diavolo, pieno di oscurità e ignoranza, principio e fine di ogni male e malizia. E poi c’era Adamo, che godeva di tanto onore e di tante benedizioni, di tanta familiarità con Dio, che era adornato di sapienza e virtù, solo in paradiso con Eva: divenne all’improvviso un esule, pieno di passioni, mortale, costretto a lavorare con sudore e afflizione. Da lui nacquero gli unici due fratelli al mondo, Caino e Abele e tra loro trionfarono la gelosia e l’inganno, e questi diedero origine all’omicidio, alla maledizione e al terrore. Fui sbigottito anche dai loro discendenti, i cui peccati furono così tanti che provocarono il diluvio; e poi, dopo che Dio nella sua compassione ebbe salvato quelli che erano nell’arca, uno di loro – Canaan – fu maledetto, benché fosse stato suo padre Cam a peccare: perché per non abrogare la benedizione di Dio, il giusto Noè maledisse il figlio invece del padre (cfr Gen 9,22-27). Poi c’erano la torre di Babele, la gente di Sodoma, gli Israeliti, Salomone, i Niniviti, Ghehazi, Giuda e tutti coloro che erano dotati di benedizioni e tuttavia si erano convertiti al peccato .

Sono rimasto anche stupito di come Dio, che è buono oltre ogni bontà e ricco di compassione, permetta tutte le numerose e varie prove e afflizioni del mondo. Alcune le permette come sofferenze che conducono al pentimento: di questo tipo sono la fame, la sete, il dolore, la privazione delle cose necessarie alla vita, l’astinenza dal piacere, la consunzione del corpo attraverso l’ascetismo, le veglie, le fatiche, le difficoltà, le lacrime amare e prolifiche, l’angoscia, la paura della morte, del tremendo tribunale, di essere chiamati a rendere conto, di vivere all’inferno con i demoni, il giorno spaventoso del giudizio, l’ignominia che deve cadere sul mondo intero, il terrore, l’amaro rimprovero e valutazione dei propri atti, parole e pensieri, le minacce e l’ira; e in aggiunta a queste, le varie punizioni secolari, i lamenti inutili e le lacrime incessanti, l’oscurità senza sollievo, la paura, il dolore, l’esilio, lo sgomento, l’oppressione, lo strangolamento dell’anima in questo mondo e nell’altro. E poi ci sono tutti i pericoli che si affrontano in questo mondo: naufragi, malattie di ogni genere, fulmini, tuoni, grandine, terremoti, carestie, maremoti, morti premature: tutte le cose dolorose che Dio permette che ci accadano contro la nostra volontà.

Altre cose non sono volute da Dio, ma da noi stessi o dai demoni. Tra queste ci sono battaglie, passioni, l’intera gamma di peccati, dalla follia alla disperazione e alla perdizione finale, di cui parlerà il nostro trattato man mano che procede; l’attacco dei demoni, le guerre, la tirannia delle passioni; gli abbandoni, i tumulti e le vicissitudini della vita; l’ira, la calunnia e tutte le afflizioni che noi di nostra volontà portiamo su noi stessi e gli uni sugli altri contro la volontà di Dio. Di nuovo sono rimasto stupito di come, sebbene afflitti da tali mali, molti siano stati salvati e che nulla sia stato in grado di impedirlo. D’altra parte, molti sono periti contro la volontà di Dio.

Quando dal mio laborioso studio delle Scritture divenni consapevole di tutte queste cose e di molte altre ancora, la mia anima si frantumò e spesso mi sentii completamente impotente, come acqua versata. Non afferrai appieno il significato di ciò che leggevo; in effetti, se l’avessi fatto, non sarei stato in grado di rimanere in questa vita, piena com’è di peccato e di disobbedienza a Dio, che producono tutti i mali di questo mondo e dell’altro. Tuttavia, attraverso la grazia di Dio, giunsi alle risposte che cercavo e vidi, dalla mia lettura dei santi Padri, che dobbiamo fare certe distinzioni.

In primo luogo, dobbiamo riconoscere che il punto di partenza di tutto il nostro sviluppo spirituale è la conoscenza naturale che ci è stata data da Dio, sia che questa provenga dalle Scritture per mezzo della mediazione umana, sia per mezzo dell’angelo che ci è dato nel divino battesimo per custodire l’anima di ogni credente, per agire come sua coscienza e per ricordargli i comandamenti divini di Cristo. Se la persona battezzata osserva questi comandamenti, la grazia del Santo Spirito è preservata in lui.

Poi, accanto a questa conoscenza, c’è la nostra capacità di scegliere. Questo è l’inizio della nostra salvezza; per nostra libera scelta abbandoniamo i nostri desideri e pensieri e facciamo ciò che Dio desidera e pensa. Se riusciamo a fare questo, non c’è oggetto, attività o luogo in tutta la creazione che possa impedirci di diventare ciò che Dio fin dall’inizio ha desiderato che fossimo: vale a dire, secondo la sua immagine e somiglianza, dèi per adozione mediante la grazia, impassibili, giusti, buoni e saggi: non importa se siamo ricchi o poveri, sposati o non sposati, in autorità e liberi o sotto obbedienza e in schiavitù – in breve, qualunque sia il nostro tempo, luogo o attività. Ecco perché, allo stesso modo prima della Legge, sotto la Legge e nella grazia, sono sorti molti uomini giusti, uomini che hanno preferito la conoscenza di Dio e la sua volontà ai propri pensieri e desideri. Eppure, ci sono stati anche molti che sono periti in questi stessi tempi e nelle stesse circostanze perché hanno preferito i propri pensieri e desideri a quelli di Dio.

Questo, quindi, è il quadro generale. Ma le situazioni e le attività variano e si deve acquisire discernimento, sia attraverso l’umiltà data da Dio, sia interrogando coloro che possiedono i doni del discernimento. Perché senza discernimento nulla di ciò che accade è buono, anche se noi nella nostra ignoranza pensiamo che lo sia. Ma quando, attraverso il discernimento sulle proprie capacità, impariamo i corretti modi per ottenere ciò che desideriamo, allora ciò che facciamo inizia a conformarsi alla volontà di Dio.

Soltanto, come è stato detto, in tutte le cose dovremmo rinunciare alla nostra volontà per raggiungere l’obiettivo che Dio ha stabilito per noi e perseguire qualunque cosa Egli desideri. Se non lo facciamo non potremo mai essere salvati. Perché dalla trasgressione di Adamo siamo tutti soggetti alle passioni a causa della nostra costante associazione con esse. Non perseguiamo volentieri la bontà, né desideriamo ardentemente la conoscenza di Dio, né facciamo il bene per amore, come fanno i disinteressati; invece ci aggrappiamo alle nostre passioni e ai nostri vizi e non aspiriamo affatto a fare ciò che è bene a meno che non siamo costretti dalla paura della punizione. E questo è il caso di coloro che ricevono la parola di Dio con fede e propositi saldi. Il resto di noi non aspira nemmeno a questa misura, ma consideriamo le afflizioni di questa vita e le punizioni a venire come di nessun conto e siamo completamente schiavi delle nostre passioni. Alcuni di noi non percepiscono nemmeno la propria situazione disperata e solo sotto costrizione e con riluttanza si impegnano nella lotta per la virtù. Nella nostra ignoranza desideriamo ardentemente ciò che meriterebbe solo il nostro odio.

Proprio come i malati hanno bisogno di un intervento chirurgico e di una cauterizzazione per recuperare la salute che hanno perso, così noi abbiamo bisogno di prove, di fatiche di pentimento e di paura della morte e della punizione, così da poter riacquistare la nostra precedente salute dell’anima e scrollarci di dosso la malattia che la nostra follia ha indotto. Quanto più il Medico delle nostre anime ci concede sofferenze volontarie e involontarie, tanto più dovremmo ringraziarlo per la sua compassione e accettare la sofferenza con gioia: perché è per aiutarci che aumenta la nostra tribolazione, sia attraverso le sofferenze che abbracciamo volontariamente nel nostro pentimento, sia attraverso le prove e le punizioni non soggette alla nostra volontà. In questo modo, se accettiamo volontariamente l’afflizione, saremo liberati dalla nostra malattia e dalle punizioni a venire e forse anche dalle punizioni presenti. Anche se siamo ingrati, il nostro Medico nella sua grazia ci guarirà comunque, sebbene per mezzo di castighi e molteplici prove. Ma se ci aggrappiamo alle nostre passioni e persistiamo in esse, attireremo meritatamente su noi stessi una punizione eterna. Ci saremo resi simili ai demoni e quindi condivideremo giustamente con loro le punizioni eterne preparate per loro; perché, come loro, avremo disprezzato il nostro Benefattore.

Non tutti sanno ricevere le benedizioni allo stesso modo. Alcuni, ricevendo il fuoco del Signore, cioè la sua parola, la mettono in pratica e così diventano più teneri di cuore, come la cera, mentre altri per pigrizia diventano più duri dell’argilla e del tutto simili a pietre. E nessuno ci costringe a ricevere queste benedizioni in modi diversi. È come con il sole i cui raggi illuminano tutto il mondo: chi vuole vederlo può farlo, mentre chi non vuole vederlo non è costretto a farlo, così che lui solo è da biasimare per la sua condizione di mancanza di luce. Perché Dio ha fatto sia il sole che gli occhi dell’uomo, ma come l’uomo li usa dipende da lui stesso. Allo stesso modo, quindi, Dio irradia la conoscenza a tutti e allo stesso tempo ci dà la fede come un occhio attraverso il quale possiamo percepirla.

Se scegliamo di afferrare questa conoscenza saldamente per mezzo della fede, veramente la teniamo nella giusta considerazione mettendola in pratica; e Dio allora ci dà più ardore, conoscenza e potere. Perché la nostra ricerca della conoscenza naturale accende il nostro ardore e questo ardore aumenta la nostra capacità di mettere in pratica la conoscenza. Mettendola in pratica dimostriamo di interessarci veramente ad essa e questo a sua volta ci induce a praticarla in misura ancora maggiore. Una pratica maggiore è ricompensata da una conoscenza maggiore e dalla comprensione così acquisita otteniamo il controllo delle passioni e impariamo come sopportare pazientemente le nostre sofferenze. Le sofferenze producono devozione a Dio e un riconoscimento dei Suoi doni e dei nostri difetti. Questi danno vita alla gratitudine e la gratitudine inculca il timore di Dio che ci porta all’osservanza dei comandamenti, al dolore interiore, alla mitezza e all’umiltà. Queste tre virtù producono discernimento che ci dà intuizione spirituale e rende possibile all’intelletto nella sua purezza di prevedere gli sbagli futuri e di prevenirli attraverso la sua esperienza e il ricordo di ciò che è accaduto in passato; in questo modo può proteggerci dagli attacchi furtivi. Tutto ciò genera speranza e dalla speranza provengono il distacco e l’amore perfetto.

Una volta che saremo avanzati fin qui, non desidereremo altro che la volontà di Dio; piuttosto abbandoneremo con gioia questa vita transitoria per amore di Dio e dei nostri simili. Attraverso la saggezza e la dimora del Santo Spirito, attraverso l’adozione a figliolanza, siamo crocifissi con Cristo e sepolti con Lui, e risorgiamo con Lui e ascendiamo con Lui spiritualmente imitando il Suo modo di vivere in questo mondo. Per parlare semplicemente, diventiamo dèi per adozione mediante la grazia, ricevendo il pegno della beatitudine eterna, come dice San Gregorio il Teologo. In questo modo, riguardo agli otto pensieri malvagi, diventiamo impassibili, giusti, buoni e saggi, avendo Dio dentro di noi – come Cristo stesso ci ha detto (cfr Gv 14,21-23) – attraverso l’osservanza dei comandamenti in ordine, dal primo all’ultimo. Parlerò più avanti di come i comandamenti dovrebbero essere praticati.

Poiché abbiamo parlato della conoscenza delle virtù, parleremo anche delle passioni. La conoscenza viene come la luce dal sole. L’uomo stolto per mancanza di fede o pigrizia chiude deliberatamente gli occhi – cioè la sua facoltà di scelta – e subito consegna la conoscenza all’oblio perché nella sua indolenza non riesce a metterla in pratica. Infatti la stoltezza conduce all’indolenza e questa a sua volta genera inerzia e quindi dimenticanza. La dimenticanza genera l’amor proprio – l’amore della propria volontà e dei propri pensieri – che equivale all’amore del piacere e della lode. Dall’amor proprio deriva l’avarizia, radice di tutti i mali (cfr 1 Tim 6,10), perché ci intrappola nelle preoccupazioni mondane e in questo modo conduce alla completa inconsapevolezza dei doni di Dio e dei nostri difetti. È ora che le otto passioni dominanti prendono residenza: la gola, che porta all’impudicizia, che genera avarizia, che dà origine all’ira quando non riusciamo a ottenere ciò che vogliamo, cioè, non riusciamo ad avere ciò che desideriamo. Ciò produce abbattimento e l’abbattimento genera prima l’apatia e poi l’autostima e l’autostima porta all’orgoglio. Da queste otto passioni provengono ogni male, passione e peccato. Quelli che ne sono consumati sono condotti alla disperazione e alla perdizione totale; si allontanano da Dio e diventano come i demoni, come è già stato detto.

L’uomo si trova al bivio tra la rettitudine e il peccato e sceglie qualsiasi strada desideri. Ma dopo di ciò, la strada che ha scelto di seguire e le guide assegnategli, siano esse angeli e santi o demoni e peccatori, lo condurranno alla fine, anche se non ha alcun desiderio di andarci. Le buone guide lo conducono verso Dio e il regno dei cieli, le cattive guide verso il diavolo e la punizione eterna. Ma niente e nessuno è da biasimare per la perdizione di ognuno, tranne il suo libero arbitrio. Perché Dio è il Dio della salvezza, che ci dona, insieme all’essere e al benessere, la conoscenza e la forza che non possiamo avere senza la grazia di Dio. Nemmeno il diavolo può perdere un uomo, costringendolo a scegliere male o riducendolo all’impotenza o all’ignoranza forzata o a qualsiasi altra cosa: può solo suggerirgli il male.

Così chi agisce rettamente dovrebbe attribuire la grazia di farlo a Dio, perché insieme al nostro essere Egli ci ha dato ogni altra cosa. Ma la persona che ha optato per la via del male e in realtà commette il male, dovrebbe biasimare solo se stessa, perché nessuno può costringerla a commetterlo, poiché Dio l’ha creata con il libero arbitrio. Quindi meriterà la lode di Dio quando sceglierà la via del bene; perché lo fa, non per una necessità della sua natura, come nel caso degli animali e delle cose inanimate che partecipano passivamente alla bontà, ma come si addice a un essere che Dio ha onorato con il dono dell’intelligenza. Noi stessi scegliamo deliberatamente e volontariamente di fare il male, essendo istruiti in esso dallo stesso inventore della malizia. Dio, che è sommamente buono, non ci costringe, per timore che essendo costretti e continuando a disobbedire, potremmo essere ancora più colpevoli. Né ci toglie la libertà che nella sua bontà ci ha concesso.

Chi vuole agire rettamente lo chieda a Dio nella preghiera e subito gli saranno dati conoscenza e potere. In questo modo sarà evidente che la grazia concessa da Dio è stata giustamente data; perché è stata data dopo la preghiera, sebbene avrebbe potuto essere data senza preghiera. Nessuna lode, tuttavia, è dovuta all’uomo che respira l’aria per mezzo della quale vive, sapendo che senza di essa la vita è impossibile; piuttosto egli stesso deve ringraziare il suo Creatore che gli ha dato un naso e la salute per respirare e vivere. Allo stesso modo, anche noi dovremmo piuttosto ringraziare Dio perché nella sua grazia ha creato la nostra preghiera, la nostra conoscenza, la nostra forza, la nostra virtù, tutte le nostre circostanze e noi stessi. E non solo ha fatto tutto questo, ma fa incessantemente tutto ciò che può per vincere la nostra malvagità e quella dei nostri nemici, i demoni.

Anche il diavolo, avendo perso la conoscenza di Dio, e così è inevitabilmente divenuto ignorante nella sua ingratitudine e superbia, non può sapere da sé cosa fare. Al contrario, vede ciò che Dio fa per salvarci e maliziosamente impara da questo e escogita cose simili per la nostra perdizione. Perché odia Dio e, non essendo in grado di combatterlo direttamente, combatte contro di noi che siamo a immagine di Dio, pensando di vendicarsi di Dio in questo modo; e, come dice san Giovanni Crisostomo, ci trova obbedienti alla sua volontà. Ad esempio, vede come Dio ha creato Eva come compagna di Adamo e così arruola la sua cooperazione per provocare disobbedienza e trasgressione. Oppure, ancora, Dio diede un comandamento affinché Adamo, osservandolo, potesse essere consapevole dei grandi doni che aveva ricevuto e ringraziare il suo Benefattore per essi; ma il diavolo fece di questo comandamento il punto di partenza per la disobbedienza e la morte. Invece di profeti, promuove falsi profeti; invece di apostoli, falsi apostoli; invece di legge, illegalità; invece di virtù, vizi; invece di comandamenti, trasgressioni; invece di rettitudine, eresie immonde.

Inoltre, quando il diavolo vide Cristo discendere nella sua estrema bontà verso i santi martiri e i venerati Padri, apparendo o in sé stesso o tramite angeli o in qualche altra forma ineffabile, cominciò a fabbricare numerose illusioni per ingannare le persone. È per questo che i padri, nel loro discernimento, scrissero che non si dovrebbe prestare alcuna attenzione a tali manifestazioni diaboliche, che provengano tramite immagini, o luce, o fuoco, o qualche altra forma ingannevole. ‘Perché il diavolo può ingannare anche nel sonno o tramite i sensi. Se accettiamo tali illusioni, fa sì che l’intelletto, nella sua totale ignoranza e presunzione, rappresenti varie forme o colori in modo che pensiamo che questa sia una manifestazione di Dio o di un angelo. Spesso nel sonno o attraverso i nostri sensi quando siamo svegli, ci mostra demoni che sono apparentemente sconfitti. In breve, fa tutto il possibile per perderci facendoci soccombere a queste illusioni.

Nonostante tutto questo, il diavolo fallirà nel suo scopo se applichiamo il consiglio dei santi Padri: che durante il tempo della preghiera dovremmo mantenere il nostro intelletto libero da forma, figura e colore e non dare accesso a nulla, sia luce, fuoco o qualsiasi altra cosa; e che dovremmo fare tutto il possibile per limitare la nostra mente esclusivamente alle parole che stiamo dicendo, poiché chi prega solo con la bocca disperde parole al vento che non arrivano a Dio. Infatti, a differenza degli uomini, Dio è attento all’intelletto e non alle parole pronunciate. Dobbiamo adorare, è detto, “in spirito e verità” (Gv 4,24); e ancora, “Preferisco dire cinque parole con il nous, piuttosto che diecimila parole in una lingua straniera” (1 Cor 14,19).

È a questo punto che il diavolo, avendo fallito in tutti i suoi altri piani, ci tenta con pensieri di disperazione: cerca di convincerci che in passato le cose erano diverse e che gli uomini attraverso i quali Dio ha compiuto prodigi per il rafforzamento della fede non erano come noi. Ci dice anche che ora non c’è più bisogno di tale sforzo. Perché non siamo forse tutti noi ora cristiani e tutti battezzati? “Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato” (Mc 16,16). Di cosa abbiamo bisogno di più? Ma se soccombiamo a questa tentazione e rimaniamo come siamo, saremo completamente sterili. Saremo cristiani solo di nome, senza renderci conto che chi ha creduto ed è stato battezzato deve osservare tutti i comandamenti di Cristo; e anche quando è riuscito a farlo, dovrebbe dire: “Sono un servo inutile” (Lc 17,10), come il Signore disse ai suoi Apostoli quando li istruì a portare a termine tutto ciò che aveva stabilito per loro.

Chiunque è battezzato rinuncia al diavolo, dicendo: “Rinuncio a Satana e a tutte le sue opere e mi unisco a Cristo e a tutte le sue opere”. Ma dov’è la nostra rinuncia, se non abbandoniamo ogni passione e desistiamo da ogni atto peccaminoso che il diavolo promuove? Piuttosto, odiamo tali cose con tutta la nostra anima e mostriamo il nostro amore per Cristo attraverso l’osservanza dei suoi comandamenti. E come osserveremo i suoi comandamenti se non rinunciamo alla nostra volontà e al nostro pensiero, cioè alla volontà e al pensiero che sono contrari ai comandamenti di Dio?

Ci sono spesso persone che per temperamento personale o per abitudine scelgono di fatto ciò che è buono in certe situazioni e odiano ciò che è cattivo. E ci sono anche buoni pensieri, come attestano le Scritture, sebbene richiedano il discernimento di coloro che possiedono esperienza; perché senza discerniomento anche quei pensieri che sembrano buoni non sono in realtà buoni, o perché arrivano al momento sbagliato, o sono inutili, o indegni, o non sono correttamente compresi. Perché a meno che sia chi interroga sia chi è interrogato non siano attenti non solo alle Scritture ma anche alla domanda sollevata, perderanno il significato di ciò che è stato detto e il danno risultante sarà grave. Io stesso l’ho spesso riscontrato, sia quando ho chiesto sia quando sono stato interrogato; e quando in seguito ho compreso il vero senso del brano in discussione, sono rimasto stupito nell’apprendere come le parole possano essere le stesse, ma il significato molto diverso.

Abbiamo quindi bisogno di discernimento, in tutte le cose, se vogliamo sapere come agire per fare la volontà di Dio. Perché Dio, come creatore di tutte le cose, conosce a fondo la nostra natura e ha ordinato tutte le cose per il nostro beneficio; e ha stabilito leggi che sono in accordo con la nostra natura e non le sono estranee, anche se non sono in grado di condurre alla perfezione coloro che aspirano volontariamente a raggiungere Dio in un modo che trascende la natura. Perché ciò richiede le qualità più che naturali della verginità, della povertà deliberata, dell’umiltà, non della gratitudine, perché questa è naturale. L’umiltà è più che naturale, poiché l’uomo umile persegue ogni virtù e, sebbene non sia un debitore, si considera il più grande debitore di tutti. La persona grata, d’altra parte, riconoscerà semplicemente il debito che ha. Allo stesso modo, l’uomo misericordioso che compie i suoi atti di carità attingendo ai suoi beni rimane entro i limiti della natura e non li oltrepassa come fa la persona che deliberatamente dona tutto ciò che possiede. Ancora, il matrimonio è naturale, mentre la verginità è una grazia più che naturale. La persona che rimane nei limiti della natura è salva se abbandona la propria volontà e adempie quella di Dio; ma alla persona che trascende questi limiti Dio darà la corona della resistenza e della gloria, perché ha rinunciato non solo a ciò che è proibito dalla legge, ma anche, con l’aiuto di Dio, alla propria natura. Ama il Dio soprannaturale con tutta la sua anima e imita la Sua impassibilità con tutte le sue forze.

Tuttavia, poiché ignoriamo non solo noi stessi e ciò che facciamo, ma anche lo scopo di ciò che viene fatto e il vero obiettivo di ogni cosa, le divine Scritture e le parole dei Santi, siano esse degli antichi Profeti e giusti o dei Santi Padri più recenti, appaiono contraddittorie a coloro che desiderano essere salvati sembrano essere in disaccordo tra loro. Ma in realtà non è così.

In breve, possiamo dire che nella natura delle cose, se qualcuno vuole essere salvato, nessuna persona e nessun tempo, luogo o occupazione può impedirglielo. Non deve, tuttavia, agire in modo contrario all’obiettivo che ha in vista, ma deve con discernimento riferire ogni pensiero allo scopo divino. Le cose non accadono per necessità: dipendono dalla persona attraverso la quale accadono. Non pecchiamo contro la nostra volontà, ma prima acconsentiamo a un pensiero malvagio e così cadiamo in cattività. Quindi il pensiero stesso porta il prigioniero con la forza e contro i suoi desideri nel peccato. Lo stesso vale per i peccati che si verificano per ignoranza: derivano da peccati commessi consapevolmente. Infatti, a meno che un uomo non sia ubriaco di vino o di desiderio, non è inconsapevole di ciò che sta facendo; ma tale ubriachezza oscura l’intelletto e così cade e muore di conseguenza. Tuttavia, quella morte non è avvenuta in modo inspiegabile: è stata indotta inconsapevolmente dall’ubriachezza a cui abbiamo consapevolmente acconsentito. Troveremo molti casi, specialmente nei nostri pensieri, in cui cadiamo da ciò che è sotto il nostro controllo a ciò che è al di fuori di esso, e da ciò di cui siamo coscienti a ciò che è inconsapevole. Ma poiché il primo appare poco importante e attraente, scivoliamo involontariamente e inconsapevolmente nel secondo. Eppure, se fin dall’inizio avessimo voluto osservare i comandamenti e rimanere come eravamo quando siamo stati battezzati, non saremmo caduti in così tanti peccati o non avremmo avuto bisogno delle prove e delle tribolazioni del pentimento.

Se lo desideriamo, tuttavia, il secondo dono della grazia di Dio, il pentimento , può riportarci alla nostra antica bellezza. Ma se non ci pentiamo, inevitabilmente avremo la sorte dei demoni impenitenti verso una punizione eterna, più per nostra libera scelta che contro la nostra volontà. Tuttavia, Dio non ci ha creati per l’ira ma per la salvezza (cfr. 1 Ts 5,9), affinché potessimo godere delle Sue benedizioni; e dovremmo quindi essere grati e riconoscenti verso il nostro Benefattore. Ma la nostra incapacità di arrivare a conoscere i Suoi doni ci ha resi indolenti, e l’indolenza ci ha resi smemorati, con il risultato che l’ignoranza domina su di noi.

Dobbiamo fare sforzi strenui all’inizio, quando cerchiamo di tornare al punto da cui siamo caduti. Perché non ci và di abbandonare i nostri desideri e pensiamo di poter realizzare sia i desideri di Dio che i nostri, il che è impossibile. Nostro Signore stesso ha detto: «Non sono venuto a fare la mia volontà, ma la volontà del Padre che mi ha mandato». (cfr. Gv 6,38) Dissse questo non solo perché la volontà del Padre, del Figlio e del Santo Spirito è una, poiché costituiscono un’unica natura inseparabile, ma anche per conto nostro e rispetto alla volontà della carne. Perché se la carne non è consumata e se un uomo non è interamente guidato dallo Spirito di Dio, non farà la volontà di Dio a meno che non sia costretto a farlo. Ma quando la grazia dello Spirito governa dentro di lui, allora non ha più una volontà propria, ma tutto ciò che fa è secondo la volontà di Dio. Allora è in pace. Uomini di tal fatta saranno chiamati figli di Dio (cfr Mt 5,9), perché vogliono la volontà del Padre loro, come fece il Figlio di Dio che è anche Dio.

Tuttavia è impossibile scoprire la volontà di Dio se non osserviamo i comandamenti – tagliando così fuori ogni piacere o volontà personale – e se non sopportiamo tutto il dolore che ciò comporta. Come è stato detto, il piacere e il dolore nascono dalla stoltezza e danno origine a ogni male. Perché l’uomo stolto ama se stesso e non può amare suo fratello o Dio; non può astenersi dal piacere o dai desideri che gli danno soddisfazione, né può sopportare il dolore ma, quando ottiene ciò che vuole, allora è pieno di piacere ed esultanza; quando non lo ottiene, allora, è completamente dominato dal dolore e finisce nello sconforto e nell’asfissia dell’anima che è la caparra della geenna. Invece, dalla conoscenza, cioè dalla prudenza, nascono sopportazione e continenza. Il prudente imbriglia la propria volontà e sopporta il dolore che ne consegue. Così, considerandosi indegno delle cose desiderate, è grato e riconoscente al suo Benefattore, nel timore che per i molti doni di cui Dio lo ha beneficato nel mondo presente vedrà aumentato il suo debito nel secolo futuro. Anzi, nel timore e nella continenza attua anche le altre virtù, perché si considera debitore di tutte e, non trovando come contraccambiare un poco un tale Benefattore, considera le virtù come il suo più grande debito: poiché riceve e non ha nulla da dare. Chiede solo che gli sia consentito di offrire grazie a Dio. Eppure persino il fatto che Dio accetti i suoi ringraziamenti lo mette, così pensa, in un debito ancora maggiore. Ma egli continua a rendere grazie, facendo sempre il bene e considerandosi sempre più debitore; nella sua umiltà si considera inferiore a tutti gli uomini, si diletta in Dio suo benefattore e trema esultando (cfr Sal 2,11).

Mentre avanza attraverso questa umiltà verso l’amore divino e infallibile, accetta le sofferenze come se le meritasse. In effetti, pensa di meritare più sofferenze di quelle che incontra; ed è contento che gli sia stata concessa qualche afflizione in questo mondo, poiché attraverso di essa può essere risparmiato di una parte delle punizioni che ha preparato per sé stesso nel mondo a venire. E poiché in tutto questo conosce la propria debolezza e che non dovrebbe esultare e poiché è stato trovato degno di conoscere e sopportare queste cose per grazia di Dio, è pieno di un forte e divino desiderio.

L’umiltà nasce dalla conoscenza spirituale e tale conoscenza nasce da prove e tentazioni. Alla persona che conosce sè stessa è data la conoscenza di tutte le cose e chi si sottomette a Dio porta ogni pensiero materiale sotto il suo controllo; e allora tutte le cose sono soggette a lui, perché è completamente umile. Secondo san Basilio e san Gregorio, chi conosce sè stesso, è colui che sa di stare a metà strada tra la nobiltà e la bassezza, in quanto ha un’anima capace di conoscenza spirituale e un corpo mortale e terreno, non esulta mai né si dispera. Piuttosto, con un sentimento di vergogna davanti alla sua anima noetica, rifiuta tutto ciò che è vergognoso e, conoscendo la sua debolezza, si ritrae da ogni senso di esaltazione.

Così chi conosce la propria debolezza come risultato delle molte tentazioni e prove che subisce attraverso le passioni dell’anima e del corpo, comprende la potenza smisurata di Dio e come Egli redime gli umili che gridano a Lui attraverso la preghiera persistente dal profondo del loro cuore. Per una persona simile la preghiera diventa una delizia. Sa che senza Dio non può fare nulla (cfr Gv 15,5) e nel suo timore di cadere si sforza di aderire a Dio e si stupisce nel considerare come Dio lo abbia salvato da tante tentazioni e passioni. Rende grazie al suo Salvatore e al suo ringraziamento aggiunge umiltà e amore; e non osa giudicare nessuno, sapendo che come Dio ha aiutato lui, così può aiutare tutti gli uomini quando vuole, come dice san Massimo. Sa anche che se una persona riconosce la sua debolezza può essere in grado di combattere e vincere molte passioni; perché in tal caso Dio viene rapidamente in suo aiuto, affinché la sua anima non venga completamente distrutta. E per molte altre ragioni ancora, la persona che riconosce la propria debolezza non cade. Nessuno può raggiungere questo riconoscimento se prima non soffre molte tentazioni dell’anima e del corpo e non acquisisce esperienza sopportandole pazientemente e vincendole così con la forza di Dio.

Un uomo del genere non osa agire secondo la propria volontà o dipendere dalle proprie idee senza prima interrogare coloro che hanno esperienza. Perché cosa guadagna una persona scegliendo di fare o pensare qualcosa che non contribuisce alla sua vita corporea o alla salvezza della sua anima? E se non sa quale desiderio abbandonare e quale pensiero mettere da parte, metta alla prova ogni azione e ogni pensiero trattenendosi da esso con autocontrollo e osservando come ciò lo influenza. Se la sua realizzazione porta piacere, ma resistergli porta dolore, allora è qualcosa di cattivo e dovrebbe respingerlo prima che metta radici; altrimenti troverà difficile superarlo in seguito, quando vedrà quale danno fa. Questo vale per ogni azione o pensiero che non ci aiuta a mantenerci in vita e a conformarci alla volontà di Dio. Perché un’abitudine di lunga data assume la forza della natura; ma se non cedi all’abitudine, essa perde forza e gradualmente viene distrutta. Che un’abitudine sia buona o cattiva, il tempo la nutre, proprio come la legna alimenta un fuoco. Pertanto, per quanto possibile, dovremmo coltivare e praticare ciò che è buono, in modo che diventi un’abitudine consolidata che opera automaticamente e senza sforzo quando necessario. Fu attraverso vittorie in piccole cose che i Padri vinsero le loro grandi battaglie.

Se, infatti, l’uomo rifiuta di soddisfare anche i bisogni essenziali del corpo, ma li respinge per percorrere la strada retta e angusta, come potrà mai cadere vittima dell’amore per i beni materiali? L’amore per i beni materiali non consiste solo nel possedere molte cose, ma anche nell’attaccamento ad esse, o nel loro cattivo o eccessivo uso. Infatti molti santi dell’antichità, come Abramo, Giobbe, Davide e molti altri, avevano beni materiali in abbondanza, ma non vi erano attaccati: li consideravano un dono di Dio e cercavano di piacergli ancora di più attraverso il loro uso. Tuttavia, il Signore, essendo perfettissimo ed essendo la sapienza stessa, taglia alla radice: poiché esorta coloro che vogliono seguirlo attraverso l’imitazione della suprema virtù a rinunciare non solo ai beni materiali o alle ricchezze, ma anche alla propria stessa anima (cfr Lc 14,26 – gr. τὴν ⸂ψυχὴν ἑαυτοῦ⸃), vale a dire ai propri pensieri e alla propria volontà.

Poiché sapevano questo, i Padri fuggirono dal mondo come ostacolo alla perfezione; e non solo dal mondo ma anche dalla propria volontà per la stessa ragione. Nessuno di loro fece mai ciò che voleva. Alcuni vivevano in obbedienza corporale, così che al posto di Cristo assumevano un padre spirituale che guidasse ogni loro pensiero. Altri, fuggendo totalmente dalla società umana, vivevano nel deserto e avevano Dio stesso come loro maestro, per amore del quale scelsero di sottoporsi a una morte volontaria. Altri perseguirono la “via regale”, conducendo una vita di silenzio con uno o due compagni: questi avevano l’un l’altro come consiglieri nel fare la volontà di Dio. E coloro che, dopo essere stati sottomessi a un padre spirituale furono poi nominati da lui per prendersi cura di altri fratelli, svolsero il loro compito come se fossero ancora loro stessi sotto obbedienza, mantenendo le tradizioni dei loro padri spirituali. Così tutti i loro sforzi furono benedetti da Dio.

Oggigiorno, tuttavia, sia che siamo sotto obbedienza o in autorità, non siamo disposti ad abbandonare la nostra volontà e quindi nessuno di noi fa alcun progresso. Ciò nonostante, è ancora possibile sfuggire alla società umana e agli affari mondani e prendere la “via regale” vivendo la vita esicasta con una o due persone, studiando i comandamenti di Cristo e tutte le Scritture giorno e notte. In questo modo, attraverso l’essere messi alla prova in ogni cosa dalla nostra coscienza e applicazione, dalla lettura e dalla preghiera, possiamo forse raggiungere il primo comandamento, il timore di Dio, che viene attraverso la fede e lo studio delle Sacre Scritture; e attraverso questo possiamo raggiungere il dolore interiore e così arrivare ai comandamenti di cui ha parlato San Paolo: fede, speranza e amore (cfr 1 Cor 13,13). Perché chi ha fede nel Signore teme il castigo e questo timore lo spinge a osservare i comandamenti. L’osservanza dei comandamenti lo porta a sopportare l’afflizione e la sopportazione dell’afflizione produce speranza in Dio. Tale speranza separa l’intelletto da ogni attaccamento materiale e la persona liberata da tale attaccamento possiede amore per Dio. Chiunque segua questa sequenza sarà salvato.

L’esichia, che è la base della purificazione dell’anima, rende l’osservanza dei comandamenti relativamente indolore. “Fuggite”, è stato detto, “mantenete il silenzio, state fermi, perché qui stanno le radici dell’impeccabilità”. Ancora è stato detto: “Fuggite gli uomini e sarete salvati”. Perché la società umana non permette all’intelletto di percepire né i propri difetti né le astuzie dei demoni, così da proteggersi da essi. Né, d’altra parte, permette all’intelletto di percepire la provvidenza e la generosità di Dio, così da acquisire in questo modo la conoscenza di Dio e l’umiltà.

Ecco perché, chiunque desideri percorrere la via più breve verso Cristo, la via del distacco e della conoscenza spirituale e raggiungere con gioia la perfezione, non dovrebbe voltarsi né a destra né a sinistra, ma in tutto il suo modo di vivere dovrebbe camminare diligentemente lungo la via regale. Dovrebbe tenere una via di mezzo tra l’eccesso e l’insufficienza, poiché entrambi generano piacere. Non dovrebbe oscurare l’intelletto con cibo eccessivo e convivialità, rendendosi cieco attraverso tali distrazioni; ma non dovrebbe nemmeno annebbiare la sua mente con digiuni e veglie prolungate. Piuttosto, dovrebbe praticare attentamente e pazientemente le sette forme di disciplina corporea come se salisse una scala, padroneggiandole una volta per tutte e avanzando verso quello stato morale in cui, come ha detto il Signore (cfr. Mt 13,1-12), per grazia di Dio sono dati al credente i diversi stadi della contemplazione spirituale.

Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile (cfr. 2 Tim 3,16), e nessuno può ostacolare chi desidera salvarsi. Solo Dio che ci ha creati ha potere su di noi ed è pronto ad aiutare e proteggere da gni tentazione coloro che gridano a Lui e vogliono fare la sua santa volontà. Senza di Lui non possiamo fare nulla (cfr. Gv 1,12): non possiamo nemmeno subire il male contro la nostra volontà, a meno che Dio non lo permetta per castigarci e salvare le nostre anime. Ma il male che commettiamo noi stessi è nostra responsabilità e nasce dalla nostra pigrizia e con l’aiuto dei demoni. D’altra parte, ogni conoscenza, forza e virtù sono grazia di Dio, come tutte le altre cose. E per grazia ha dato a tutti gli uomini il potere di diventare figli di Dio (cfr. Gv 1,12) osservando i comandamenti divini. O, meglio, questi comandamenti ci custodiscono e sono grazia di Dio, poiché senza la sua grazia non possiamo osservarli. Non abbiamo nulla da offrirgli se non la nostra fede, la nostra risoluzione e, in breve, tutti i veri dogmi che sosteniamo con fede ferma attraverso l’insegnamento che abbiamo ascoltato (cfr. Rom. 10,17). Con tutto questo in mente, mettiamoci al lavoro senza distrazioni, come se iniziassimo le lezioni a scuola e in questo modo impariamo attentamente le sette forme di disciplina a cui abbiamo fatto riferimento.

La seconda forma di disciplina corporea consiste nel digiuno moderato. Dovremmo mangiare una volta al giorno e non fino al punto di sazietà. Dovremmo mangiare un tipo di cibo semplice e facilmente accessibile, se possibile, il tipo di cibo che non ci piace particolarmente. In questo modo possiamo superare la gola, l’avidità e il desiderio , e vivere senza distrazioni. Ma non dovremmo rifiutare completamente alcun tipo di cibo, per non rifiutare ingiustamente cose che, essendo create da Dio, sono “totalmente buone e belle” (Gn 1,31). Né dovremmo ingozzarci di tutto in una volta, con indulgenza e senza ritegno; ma ogni giorno dovremmo mangiare un tipo di alimento, con autocontrollo. Dovremmo usare tutte le cose per la gloria di Dio e non dovremmo rifiutare nulla sulla base del fatto che è malvagio, come fanno gli eretici che sono maledetti. Possiamo bere vino quando è appropriato: nella vecchiaia, nella malattia e nel freddo è molto utile, ma deve essere bevuto solo in piccole quantità. Quando siamo giovani e in buona salute e il clima è caldo, l’acqua è meglio, anche se dovremmo berne il meno possibile. Perché la sete è la migliore di tutte le discipline corporee.

La terza forma di disciplina consiste nel mantenere veglie moderate. Dovremmo dormire per metà della notte e dedicare l’altra metà alla recitazione dei salmi e alla preghiera, al dolore della compunzione e alle lacrime. Attraverso questo digiuno e questa veglia giudiziosi il corpo diventerà flessibile all’anima, sano e pronto per ogni buona opera; mentre l’anima guadagnerà in fortezza e illuminazione così da vedere e fare ciò che è giusto.

La quarta forma di disciplina consiste nella recitazione dei salmi, vale a dire nella preghiera espressa in modo corporeo attraverso salmi e prostrazioni. Questo per sferzare il corpo e umiliare l’anima, affinché i nostri nemici, i demoni, possano fuggire e i nostri alleati, gli angeli, possano venire da noi, e possiamo sapere da dove riceviamo aiuto. Altrimenti, nell’ignoranza, potremmo diventare arroganti, pensando che ciò che facciamo sia dovuto a noi stessi. Se ciò accade, saremo abbandonati da Dio affinché possiamo riconoscere la nostra debolezza.

La quinta forma di disciplina consiste nella preghiera spirituale, preghiera offerta dall’intelletto e libera da ogni pensiero. Durante tale preghiera l’intelletto è concentrato nelle parole pronunciate e, inesprimibilmente contrito, si umilia davanti a Dio, chiedendo solo che la Sua volontà possa essere fatta in tutte le sue attività e concezioni. Non presta attenzione a nessun pensiero, forma, colore, luce, fuoco o qualsiasi cosa di questo tipo, ma, consapevole di essere osservato da Dio e di comunicare solo con Lui, è libero da forma, colore e figura. Tale è la preghiera pura appropriata per coloro che sono ancora impegnati nella pratica ascetica; per i contemplativi ci sono forme di preghiera ancora più elevate.

La sesta forma di disciplina consiste nel leggere gli scritti e le vite dei Padri, senza prestare attenzione a dottrine estranee o ad altre persone, specialmente agli eretici. In questo modo impariamo dalle divine Scritture e dal discernoimanto dei Padri come vincere le passioni e acquisire le virtù. Il nostro intelletto sarà riempito dai pensieri del Santo Spirito e dimenticheremo le parole e le concezioni sconvenienti a cui abbiamo prestato attenzione prima di diventare monaci. Inoltre, attraverso una profonda comunione nella preghiera e nella lettura saremo in grado di cogliere significati preziosi; perché la preghiera è aiutata dalla lettura in silenzio e la lettura è aiutata dalla preghiera pura, finché prestiamo attenzione a ciò che viene detto e non leggiamo o recitiamo con noncuranza. È vero, tuttavia, che non possiamo comprendere correttamente il pieno significato di ciò che leggiamo a causa dell’oscurità indotta dalle passioni; la nostra presunzione spesso ci porta fuori strada, specialmente quando ci affidiamo alla saggezza di questo mondo che pensiamo di possedere e non ci rendiamo conto che abbiamo bisogno di una conoscenza basata sull’esperienza per comprendere queste cose e che, se desideriamo raggiungere la conoscenza di Dio, la semplice lettura o l’ascolto non sono sufficienti. Perché la lettura e l’ascolto sono una cosa e l’esperienza è un’altra. Non si può diventare un artigiano semplicemente per sentito dire: bisogna esercitarsi, osservare, fare numerosi errori ed essere corretti da coloro che hanno esperienza, così che attraverso una lunga perseveranza ed eliminando i propri desideri si possa alla fine padroneggiare l’arte. Allo stesso modo, la conoscenza spirituale non si acquisisce semplicemente attraverso lo studio, ma è data da Dio attraverso la grazia agli umili. Che una persona leggendo le Scritture possa pensare di comprenderne parzialmente il significato non deve sorprendere, specialmente se quella persona è nella fase della pratica ascetica. Ma non possiede la conoscenza di Dio; ascolta semplicemente le parole di coloro che possiedono questa conoscenza. Scrittori come i profeti spesso possedevano davvero la conoscenza divina, ma ad oggi il lettore comune non ce l’ha. Così è nel mio caso: ho raccolto materiale dalle Sacre Scritture, ma non sono stato ritenuto degno di imparare direttamente dal Santo Spirito; ho imparato solo da coloro che hanno imparato direttamente dal Santo Spirito. È come imparare qualcosa su una persona o una città da coloro che le hanno effettivamente viste.

La settima forma di disciplina corporale consiste nell’interrogare coloro che hanno esperienza su tutti i nostri pensieri e azioni, nel caso in cui, per inesperienza e autocompiacimento, sbagliassimo strada, pensando e facendo una cosa dopo l’altra e diventassimo presuntuosi, immaginando di sapere come si deve, mentre ancora non sappiamo nulla, come dice san Paolo (cfr 1 Cor 8,2).

Oltre a praticare queste sette discipline corporee, dovremmo sopportare pazientemente tutto ciò che Dio permette che ci accada in modo da poter imparare e acquisire esperienza e conoscenza delle nostre debolezze. Non dovremmo né diventare troppo audaci né cadere nella disperazione, qualunque cosa ci accada, sia buona che cattiva. Dovremmo ripudiare ogni sogno e ogni parola o azione oziosa e dovremmo sempre meditare sul nome di Dio, in ogni momento, in ogni luogo, in tutto ciò che facciamo, come qualcosa di più prezioso del respiro stesso. E dovremmo sinceramente abbassarci davanti a Dio, ritirando l’ intelletto da tutti i pensieri mondani, cercando solo che la volontà di Dio possa essere fatta. Allora l’ intelletto inizierà a vedere che i suoi difetti sono come la sabbia del mare. Questo è l’inizio dell’illuminazione dell’anima e un segno della sua salute: l’anima diventa contrita e il cuore umile e si considera veramente la minima delle cose. Allora iniziamo a comprendere le benedizioni di Dio, siano esse particolari o onnicomprensive, di cui parlano le Sacre Scritture; iniziamo a comprendere anche le nostre offese. Cominciamo a osservare tutti i comandamenti, dal primo all’ultimo, pienamente consapevoli di ciò che stiamo facendo. Perché il Signore li ha stabiliti come una scala e non possiamo saltarne uno e passare al successivo: come con i gradini, dobbiamo passare dal primo al secondo, dal secondo al terzo, e così via. Alla fine rendono l’uomo un dio, attraverso la grazia di Colui che ha dato i comandamenti a coloro che scelgono di osservarli.

Se vogliamo cominciare, dobbiamo concentrarci sulla pratica di queste sette forme di disciplina corporale e su nient’altro: altrimenti cadremo in un precipizio o, piuttosto, nel caos. Nel merito dei sette doni dello Spirito come delle Beatitudini del Signore, ci viene insegnato che se non iniziamo con il timore non potremo mai ascendere al resto. Perché, come dice Davide, «il timore del Signore è il principio della sapienza» (Sal 111,10). Un altro profeta ispirato descrive i sette doni come «lo spirito di sapienza e di intelligenza, lo spirito di consiglio e di forza, lo spirito di conoscenza e di riverenza, lo spirito del timore di Dio» (cfr. Is 11,2-3). Nostro Signore stesso ha iniziato il suo insegnamento parlando di timore perché dice: «Beati i poveri in spirito» (Mt 5,3), cioè coloro che tremano per il timore di Dio e sono inesprimibilmente contriti nell’anima. Poiché il Signore ha stabilito questo come comandamento fondamentale, sapendo che senza questo anche la vita in cielo sarebbe inutile, perché si continuerebbe ad avere la stessa follia in cui sono caduti il ​​diavolo, Adamo e molti altri.

Se, quindi, desideriamo osservare il primo comandamento, cioè possedere il timore del Signore, dovremmo meditare profondamente sulle contingenze della vita già descritte e sulle benedizioni incommensurabili e insondabili di Dio. Dovremmo considerare quanto Egli ha fatto e continua a fare per il nostro bene attraverso cose visibili e invisibili, attraverso comandamenti e dogmi, minacce e promesse; come Egli ci custodisce, ci nutre e provvede per noi, dandoci la vita e salvandoci dai nemici visibili e invisibili; come attraverso le preghiere e le intercessioni dei suoi santi guarisce le malattie causate dal nostro stesso disordine; come Egli è sempre paziente per i nostri peccati, per la nostra irriverenza, la nostra delinquenza, per tutte quelle cose che abbiamo fatto, stiamo facendo e faremo, dalle quali la sua grazia ci ha salvati; quanto Egli sia paziente con le nostre azioni, parole e pensieri che hanno provocato la Sua ira e come non solo ci sopporti, ma ci conceda anche benedizioni più grandi, agendo direttamente o tramite gli angeli, le Scritture, tramite uomini giusti e profeti, Apostoli e Martiri, Maestri e santi Padri.

Inoltre, non dovremmo solo ricordare le sofferenze e le lotte dei Santi e dei Martiri, ma dovremmo anche riflettere con stupore sull’umiliazione di nostro Signore Gesù Cristo, sul modo in cui ha vissuto nel mondo. La sua pura Passione, la Croce, la sua morte, sepoltura, resurrezione e ascensione, l’avvento del Santo Spirito, gli indescrivibili miracoli che accadono sempre ogni giorno, il paradiso, le corone di gloria, l’adozione a figliolanza che ci ha accordato e tutte le cose contenute nella Sacra Scrittura e tanto altro. Se riportiamo tutto questo alla mente, saremo stupiti dalla compassione di Dio e con tremore ci meraviglieremo della sua tolleranza e pazienza. Ci addoloreremo per ciò che la nostra natura ha perso – l’impassibilità angelica, il paradiso e tutte le benedizioni che abbiamo perso – e per i mali in cui siamo caduti: demoni, passioni e peccati. In questo modo la nostra anima sarà piena di contrizione, pensando a tutti i mali che ci sono stati causati dalla nostra malvagità e dall’inganno dei demoni.

Così è che Dio ci concede la benedizione del dolore interiore, che costituisce il secondo comandamento. Perché, come dice Cristo, «Beati coloro che sono nel dolore» (Mt 5,4) – che piangono sé stessi e anche per amore e compassione per gli altri. Diventiamo come chi piange una persona morta, perché percepiamo le terribili conseguenze che le cose che abbiamo fatto prima della nostra morte avranno per noi dopo la nostra morte; e piangiamo amaramente, dal profondo del nostro cuore e con inesprimibile dolore. L’onore o il disonore del mondo non ci riguardano più; diventiamo indifferenti alla vita stessa, spesso dimenticando persino di mangiare a causa del dolore nel nostro cuore e del nostro incessante lamento.

In questo modo la grazia di Dio, nostra madre universale, ci darà la mitezza, così che iniziamo a imitare Cristo. Questo costituisce il terzo comandamento; perché il Signore dice: «Beati i miti» (Mt 5,5). Così diventiamo come una roccia saldamente radicata, incrollabile dalle tempeste e dalle angustie della vita, sempre gli stessi, ricchi o poveri, nell’agio o nelle difficoltà, nell’onore o nel disonore. In breve, in ogni momento e qualsiasi cosa faremo saremo consapevoli che tutte le cose, dolci o amare passano e che questa vita è un cammino che conduce alla vita futura. Riconosceremo che, ci piaccia o no, ciò che accade accade; essere turbati per questo è inutile, e inoltre ci priva della corona della pazienza e ci rivela in rivolta contro la volontà di Dio. Perché tutto ciò che Dio fa è «buono e bello» (Gen 1,31), anche se noi non ce ne rendiamo conto. Come dice il salmo: «Insegnerà ai mansueti come giudicare» (Sal 25, 9 della LXX) o, meglio, come esercitare il discernimento. Allora, anche se qualcuno si arrabbia con noi, non ne saremo turbati; al contrario, saremo lieti di aver avuto l’opportunità di trarne profitto e di esercitare la nostra intelligenza, riconoscendo che non saremmo stati messi alla prova in questo modo se non ci fosse stata una causa. Inconsapevolmente o consapevolmente dobbiamo aver offeso Dio, o un fratello, o qualcun altro, e ora ci viene data la possibilità di ricevere il perdono per questo. Infatti, attraverso la paziente sopportazione possiamo ottenere il perdono per molti peccati. Inoltre, se non perdoniamo agli altri i loro debiti, il Padre non perdonerà a noi i nostri debiti (cfr Mt 6,14). In effetti, nulla conduce più rapidamente al perdono dei peccati di questa virtù o comandamento: «Perdonate e vi sarà perdonato» (cfr Mt 6,14).

Questo, quindi, è ciò che realizziamo quando imitiamo Cristo, diventando mansueti attraverso la grazia del comandamento. Ma siamo angosciati per il nostro fratello, perché è stato a causa dei nostri peccati che questo fratello è stato tentato dal nemico comune e così è diventato un rimedio per la guarigione della nostra debolezza. Ogni prova e tentazione è permessa da Dio come cura per l’anima di qualche persona malata. In effetti, tali prove non solo ci conferiscono il perdono dei nostri peccati passati e presenti, ma agiscono anche come un freno ai peccati non ancora commessi. Ma questo non è a merito né del diavolo, né della persona che tenta, né della persona tentata. Il diavolo, essendo malefico, merita il nostro odio, perché agisce senza preoccuparsi del nostro benessere. La persona che ci tenta merita la nostra compassione, non perché ci tenta per amore, ma perché è ingannata e oppressa. La persona tentata, infine, sopporta l’afflizione a causa dei suoi difetti, non per conto di qualcun altro. Se fosse così, meriterebbe lode; ma così com’è, egli non è senza peccato . Se fosse senza peccato – il che è impossibile – sopporterebbe comunque l’afflizione nella speranza della ricompensa e per paura della punizione. Tale, quindi, è la situazione di questi tre. Ma Dio, essendo autosufficiente e dando a ciascuno ciò che è per il suo profitto, merita davvero i nostri ringraziamenti, poiché Egli sopporta pazientemente sia il diavolo che la malvagità degli uomini e tuttavia elargisce le Sue benedizioni a coloro che si pentono, sia prima che dopo aver peccato.

Così la persona a cui è stata concessa la grazia di osservare il terzo comandamento, e quindi ha acquisito pieno discernimento, non sarà più ingannata né consapevolmente né inconsapevolmente. Invece, avendo ricevuto la grazia dell’umiltà, considererà se stesso come un nulla. Perché la gentilezza è la sostanza dell’umiltà, e l’umiltà è la porta che conduce al distacco. Attraverso il distacco un uomo entra nell’amore perfetto e incrollabile; perché comprende la sua stessa natura, ciò che era prima della nascita e ciò che sarà dopo la morte. Perché l’uomo mortale non è altro che un leggero, breve fetore, più vile di qualsiasi altro essere creato. Perché nessun essere creato, animato o inanimato, ha mai sovvertito la volontà di Dio tranne l’uomo che, sebbene carico di benedizioni, fa arrabbiare Dio senza fine.

Ecco perché all’uomo è stato dato il quarto comandamento, cioè il desiderio di acquisire le virtù: «Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia» (Mt 5,6). Egli diventa come uno che ha fame e sete di ogni giustizia, cioè sia della virtù corporale che della virtù morale dell’anima. Chi non ha gustato qualcosa, dice Basilio il Grande, non sa cosa gli manca; ma una volta che l’ha gustato, è pieno di desiderio. Così chi ha gustato la dolcezza dei comandamenti e si rende conto che lo conducono gradualmente all’imitazione di Cristo, desidera ardentemente acquisirli tutti, con il risultato che spesso disdegna persino la morte per amor loro. Scorgendo i misteri di Dio nascosti nelle Sacre Scritture, ha sete di comprenderli pienamente; e più conoscenza acquisisce, più ha sete, bruciando come se bevesse fiamme. E poiché il Divino non può essere compreso pienamente da nessuno, continua ad avere sete per sempre.

Ciò che la salute e la malattia sono per il corpo, la virtù e la malvagità sono per l’anima e la conoscenza e l’ignoranza per l’ intelletto. Quanto più grande è la nostra devozione alla pratica delle virtù, tanto più il nostro intelletto è illuminato dalla conoscenza. È in questo modo che siamo considerati degni di misericordia, cioè attraverso il quinto comandamento: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7). La persona misericordiosa è colui che dà agli altri ciò che ha ricevuto lui stesso da Dio, che si tratti di denaro, o cibo, o forza, una parola di aiuto, una preghiera, o qualsiasi altra cosa che abbia e attraverso cui può esprimere la sua compassione per chi è nel bisogno. Allo stesso tempo si considera un debitore, poiché ha ricevuto più di quanto gli è stato chiesto di dare. Per grazia di Cristo, sia nel mondo presente che nel mondo a venire, davanti a tutta la creazione è chiamato misericordioso, proprio come Dio è chiamato misericordioso (cfr Lc 6,36). Attraverso il fratello, è Dio stesso ad aver bisogno di lui e in questo modo Dio è diventato suo debitore. Sebbene il fratello bisognoso possa vivere senza che lui dia ciò che gli viene chiesto, lui stesso non può né vivere né essere salvato se non fa ciò che può per mostrare misericordia. Se non è disposto a mostrare misericordia ai suoi simili, come può chiedere a Dio di mostrare misericordia a lui? Tenendo presenti queste e molte altre cose, la persona a cui è concesso di osservare i comandamenti dona non solo i suoi beni, ma persino la sua stessa vita per il suo prossimo. Questa è la misericordia perfetta; poiché come Cristo sopportò la morte per noi, dando a tutti un esempio e un modello, così anche noi dovremmo morire gli uni per gli altri, e non solo per i nostri amici, ma anche per i nostri nemici, se l’occasione lo richiedesse.

Non che sia necessario, naturalmente, avere proprietà per mostrare misericordia. I beni materiali, piuttosto, sono una grande debolezza. In effetti, è meglio non avere nulla da dare e tuttavia essere pieni di compassione per tutti. E se abbiamo qualcosa da dare a chi è nel bisogno, dovremmo essere noi stessi distaccati dalle cose di questa vita e tuttavia sentirci profondamente coinvolti con i nostri simili. Né dovremmo, nella nostra arroganza, prenderci la responsabilità di insegnare agli altri quando non abbiamo ancora dimostrato noi stessi con le nostre azioni; anche se ci scusiamo dicendo che stiamo aiutando le anime dei deboli, la verità è che siamo noi stessi più deboli di coloro che affermiamo di aiutare. Perché ogni azione deve essere fatta al momento giusto e con discernimeto, in modo che non sia inopportuna o dannosa. Per una persona debole la fuga è sempre la cosa migliore, mentre la totale perdita dei beni materiali è di gran lunga superiore all’elemosina.

È attraverso il distacco che si è in grado di adempiere al sesto comandamento: «Beati i puri di cuore» (Mt 5,8). I puri di cuore sono coloro che hanno compiuto ogni virtù in modo riflesso e riverente e sono giunti a vedere la vera natura delle cose. In questo modo trovano pace nei loro pensieri. Perché, come dice il settimo comandamento, «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9), cioè coloro che hanno messo in pace anima e corpo sottomettendo la carne allo spirito, così che la carne non si ribella più allo spirito (cfr. Gal 5,17). Invece, la grazia del Santo Spirito regna nella loro anima e li conduce dove vuole, conferendo la conoscenza divina mediante la quale l’uomo può sopportare persecuzioni, vilipendio e maltrattamenti «per amore della giustizia» (Mt 5,10), rallegrandosi perché la sua «ricompensa è grande nei cieli» (Mt 5,12).

Tutte le Beatitudini rendono l’uomo un dio per grazia; egli diventa gentile, anela alla giustizia, è caritatevole, imparziale, un pacificatore e sopporta ogni dolore con gioia per amore di Dio e dei suoi simili. Perché le Beatitudini sono doni di Dio e dovremmo ringraziarlo grandemente per esse e per le ricompense promesse: il regno dei cieli nell’era a venire, il ristoro spirituale in questo mondo, la pienezza di tutte le benedizioni e misericordie di Dio. La sua manifestazione quando contempliamo i misteri nascosti che si trovano nelle Sacre Scritture e in tutte le cose create e la grande ricompensa in cielo (cfr Mt 5,12). Perché se impariamo mentre siamo sulla terra a imitare Cristo e riceviamo la beatitudine insita in ogni comandamento, ci sarà concesso il bene più alto e il fine ultimo del nostro desiderio. Come dice l’Apostolo, Dio solo, che abita una luce inaccessibile, è benedetto (cfr. 1 Tim 6,15-16). Noi, da parte nostra, abbiamo il dovere di osservare i comandamenti, o meglio, di essere conservati da essi; ma attraverso di essi Dio, nella sua compassione, darà al credente ricompense sia in questo mondo che nel mondo futuro.

Quando attraverso il beato dolore interiore tutto questo è stato realizzato, allora l’ intelletto trova sollievo dalle passioni: attraverso le molte lacrime amare che versa sui suoi peccati è riconciliato con Dio. È crocifisso con Cristo spiritualmente attraverso la pratica morale, cioè, attraverso l’osservanza dei comandamenti e la custodia dei cinque sensi, in modo che non facciano nulla di contrario alla loro natura. Frenando gli impulsi insensati, l’intelletto inizia a frenare le passioni dell’ira e della concupiscenza che lo circondano. A volte placa l’ira tempestosa con la gentilezza della concupiscenza e altre volte calma la concupiscenza con la severità dell’ira. Quindi, tornando in sé, l’intelletto riconosce la sua dignità propria – essere padrone di sé stesso – ed è in grado di vedere le cose come sono veramente perché il suo occhio, reso cieco dal diavolo attraverso la tirannia delle passioni, si è aperto. Allora all’uomo viene concessa la grazia di essere sepolto spiritualmente con Cristo, così che sia liberato dalle cose di questo mondo e non più affascinato dalla bellezza esteriore. Guarda l’oro, l’argento e le pietre preziose e sa che come altre cose inanimate, come il legno e la roccia, sono della terra e che anche l’uomo, dopo la morte, è un po’ di polvere e muffa nella tomba. Considerando tutte le delizie di questa vita come nulla, guarda alla loro continua alterazione con il giudizio che proviene dalla conoscenza spirituale. Muore volentieri al mondo e il mondo diventa morto per lui: non ha più alcun sentimento violento dentro di sé, ma solo calma e distacco.

Così, in virtù della purezza della sua anima, egli è trovato degno di essere risuscitato spiritualmente con Cristo, e riceve la forza di guardare senza passioni la bellezza esteriore delle cose visibili e di lodare attraverso di esse il Creatore di tutte le cose. Contemplando in queste cose visibili la potenza e la provvidenza di Dio, la sua bontà e sapienza, come dice san Paolo (cfr Rm 1, 20-21), e percependo i misteri nascosti nelle divine Scritture, il suo intelletto riceve la grazia di ascendere con Cristo attraverso la contemplazione delle realtà intelligibili, cioè attraverso la conoscenza delle potenze intelligibili. Percependo, dopo lacrime di comprensione e di gioia, l’invisibile attraverso il visibile (cfr. Rm 1,20) e l’eterno attraverso il transitorio, egli si rende conto che se questo mondo effimero, che si dice essere un luogo di esilio e di punizione per coloro che hanno trasgredito i comandamenti di Dio, è così bello, quanto più belle devono essere le benedizioni eterne e inconcepibili «che Dio ha preparato per coloro che lo amano» (1 Cor 2,9). E se queste benedizioni vanno oltre la nostra concezione, quanto più deve esserlo il Dio che ha creato tutte le cose dal nulla.

Se ti allontani da ogni altra attività e ti dedichi interamente alla coltivazione delle virtù dell’anima e del corpo – che è ciò che i Padri intendono per devozione religiosa – e se ignori qualsiasi sogno o pensiero privato non confermato dalla Scrittura ed eviti ogni compagnia inutile, non ascoltando o leggendo nulla di infruttuoso e specialmente qualsiasi cosa che implichi eresia, allora le lacrime di gioia e comprensione sgorgheranno copiosamente dentro di te e berrai dalla loro pienezza. In questo modo otterrai un’altra forma di preghiera, la forma di preghiera pura che è propria del contemplativo. Perché proprio come prima avevi una forma di lettura, una forma di lacrime e preghiera, così ora ne hai un’altra. Poiché il tuo intelletto si è spostato nella sfera della contemplazione spirituale, dovresti ora sondare tutti i pozzi delle Scritture, non temendo più i passaggi più difficili e oscuri, come nel caso di coloro che sono ancora allo stadio della pratica ascetica, che sono deboli nella loro ignoranza.

Con la vostra lotta persistente nel praticare le virtù del corpo e dell’anima, siete stati crocifissi con Cristo e sepolti con Lui attraverso la conoscenza delle cose create – sia della loro natura che dei cambiamenti che subiscono – e siete stati risuscitati con Lui attraverso il distacco e attraverso la conoscenza dei misteri di Dio inerenti al mondo visibile. Come risultato di questa conoscenza siete ascesi con Cristo nel mondo trascendente attraverso la conoscenza delle realtà intelligibili e dei misteri nascosti nelle divine Scritture. Vi muoverete dalla paura alla devozione religiosa, da cui scaturisce la conoscenza spirituale; da questa conoscenza deriva il giudizio, cioè il discernimento; dal discernimento deriva la forza che conduce alla comprensione e da lì giungerete alla saggezza.

Passando attraverso tutti questi livelli di pratica e contemplazione ti viene concessa una preghiera pura e perfetta, stabilita dentro di te attraverso la pace e l’amore di Dio e attraverso la dimora del Santo Spirito. Questo è ciò che si intende dicendo: “Prendi possesso di Dio dentro di te” e, come ha detto San Giovanni Crisostomo, questa manifestazione e dimora di Dio si realizza quando il tuo corpo e la tua anima diventano, per quanto possibile, senza peccato, come quelli di Cristo. A questo stadio possiederai, per la potenza di Cristo, attraverso la grazia e la saggezza del Santo Spirito, un intelletto capace di ottenere la conoscenza delle cose sia umane che divine.

Ci sono quattro forme di saggezza:

Prima – il giudizio morale, o prudenza, la conoscenza di ciò che si dovrebbe e non si dovrebbe fare, combinato con la vigilanza dell’intelletto.

Seconda – l’autocontrollo o temperanza per mezzo del quale il nostro scopo morale è salvaguardato e mantenuto libero da tutti gli atti, pensieri e parole che non sono in accordo con Dio.

Terza – il coraggio, o fortezza e resistenza nelle sofferenze, prove e tentazioni incontrate sul cammino spirituale.

Quarta – la giustizia, che consiste nel mantenere un giusto equilibrio tra le prime tre.

Queste quattro virtù generali derivano dalle tre potenze dell’anima nel modo seguente: dall’intelligenza, o intelletto, provengono il giudizio morale e la giustizia o discernimento; dalla potenza della concupiscenza proviene l’autocontrollo; e dalla potenza dell’ira proviene il coraggio.

Ogni virtù si trova tra due passioni innaturali. Il giudizio si trova tra l’astuzia e la sconsideratezza; l’autocontrollo, tra l’ostinazione e la licenziosità; il coraggio, tra l’arroganza e la codardia; la giustizia tra l’eccessiva frugalità e l’avidità. Le quattro virtù costituiscono un’immagine dell’uomo celeste, mentre le otto passioni innaturali costituiscono un’immagine dell’uomo terreno (cfr. 1 Cor. 15,49).

Dio possiede una conoscenza perfetta di tutte queste cose, proprio come conosce il passato, il presente e il futuro; e sono conosciute in una certa misura da colui che per grazia ha imparato da Dio le Sue opere e che per questa grazia è stato reso capace di realizzare in sé ciò che è secondo l’immagine e la somiglianza di Dio (cfr. Gn 1,26). Ma se qualcuno afferma che, semplicemente sentendo parlare di queste cose, le conosce come dovrebbe, è un bugiardo. L’intelletto dell’uomo non può mai salire al cielo senza Dio come guida e non può parlare di ciò che non ha visto, ma deve prima ascendere e vederlo. A livello di sentito dire, dovresti parlare solo di cose che hai imparato dalle Scritture e, inoltre, con circospezione, confessando la tua fede nel Padre del Logos, come dice San Basilio il Grande e non immaginando che per sentito dire possiedi conoscenza spirituale: perché questo è peggio che essere ignoranti. Come ha detto San Massimo, “Pensare di sapere impedisce di progredire nella conoscenza”. San Giovanni Crisostomo sottolinea che c’è un’ignoranza che è lodevole: consiste nel sapere consapevolmente di non sapere nulla. Inoltre, c’è una forma di ignoranza che è peggiore di ogni altra: non sapere di non sapere. Allo stesso modo, c’è una conoscenza che è falsamente chiamata così, che si verifica quando, come dice san Paolo, si pensa di sapere ma non si sa (cfr. 1 Cor 8,2).

Esiste una cosa come la vera conoscenza spirituale, e c’è l’ignoranza totale; ma la migliore di tutte è la conoscenza spirituale attiva. Perché a cosa serve possedere tutta la conoscenza, o, piuttosto, riceverla da Dio per grazia, come fece Salomone (cfr. I Re 3:12) – e non ci sarà mai un altro uomo come lui – e tuttavia andare in punizione eterna? A cosa serve tale conoscenza se, come risultato delle tue azioni e della tua fede ferma , la tua coscienza non ti assicura che sei liberato dalla punizione futura e che non hai motivo di condannarti per aver trascurato qualcosa che avresti dovuto e potuto fare? Come dice San Giovanni il Teologo: “Se il nostro cuore non ci condanna, allora possiamo avvicinarci a Dio con fiducia” (1 Giovanni 3:21). Ma può darsi, dice San Nilo, che la nostra stessa coscienza ci inganni, sopraffatta dall’oscuramento delle passioni, come osserva San Giovanni Klimakos. ‘ Poiché il male può da solo oscurare l’ intelletto , come dice San Basilio il Grande, e la presunzione può renderlo cieco, non permettendogli di diventare ciò che suppone di essere. Cosa diremo allora di coloro che sono schiavi delle passioni, e tuttavia pensano di avere una coscienza pulita? Anche l’apostolo Paolo, in cui Cristo dimorò in parola e in atto, disse: ‘Sebbene non abbia nulla sulla mia coscienza’ – nessun peccato , vale a dire – ‘non sono tuttavia assolto per questo’ (1 Cor. 4:4).

A causa della nostra grande insensibilità, la maggior parte di noi pensa di essere qualcosa mentre in realtà non è nulla (cfr Gal 6,3): come dice san Paolo, «quando parlano di pace… la sventura cade su di loro» (1 Ts 5,3). Infatti, non possedevano la pace, ma, come spiega san Giovanni Crisostomo, ne parlavano soltanto, pensando nella loro grande insensibilità di possederla. Tali persone, come sottolinea Giacomo, fratello del Signore, hanno dimenticato i loro peccati (cfr Gc 1,24), e la maggior parte di loro, nel loro orgoglio, si illudono, come dice san Giovanni Klimakos, di essere imparziali.

Io stesso, in verità, sono terrorizzato da quei tre giganti del diavolo di cui ha scritto San Marco l’Asceta: pigrizia, dimenticanza e ignoranza. Perché sono sempre dominato da loro e ho paura che nella mia inconsapevolezza dei miei limiti mi allontanerò dalla retta via, come dice Sant’Isacco. È per questo motivo che ho compilato questa presente raccolta. La persona che odia essere rimproverata è ovviamente soggetta alla passione dell’orgoglio, dice San Giovanni Klimakos; ma la persona che si mette alle spalle la colpa per cui è stata rimproverata è sciolta dai suoi legami. Come dice Salomone, “Quando uno stolto chiede la sapienza, è considerato saggio” (cfr. Prov. 17:28. LXX).

Ho dato i nomi dei libri e dei santi all’inizio, per non appesantire il mio lavoro specificando a chi appartiene ogni detto. In effetti, i santi padri spesso copiavano le parole delle divine Scritture così come sono, come fece san Gregorio il Teologo con quelle di Salomone; e Simeone Metafraste il Logoteta disse riferendosi a san Giovanni Crisostomo che sarebbe stato sbagliato non usare le parole del santo e sostituire le proprie. E tuttavia avrebbe potuto farlo; perché tutti i padri furono ispirati dallo stesso Spirito Santo. A volte citano i loro autori, adornando le loro opere con i loro nomi e nella loro umiltà preferendo le parole delle Scritture alle proprie; altre volte, a causa del gran numero di citazioni, citano in forma anonima, per non appesantire i loro testi.

Le virtù corporee come strumenti per l’acquisizione delle virtù dell’anima

È bene che certe cose siano ricordate frequentemente, e perciò comincerò citando per lo più dagli scritti di altri. Perché ciò che dico non è una mia invenzione, ma proviene dalle parole e dal discernimento delle divine Scritture e dei santi padri.

San Giovanni Damasceno afferma che le virtù corporee, o meglio, gli strumenti della virtù, sono essenziali, perché senza di esse non si possono acquisire le virtù dell’anima. ‘Ma bisogna perseguirle con umiltà e con conoscenza spirituale. Se non vengono perseguite in questo modo, ma solo per se stesse, allora non servono a nulla, proprio come le piante sono inutili se non portano alcun frutto. Inoltre, nessuno può padroneggiare pienamente un’arte senza una lunga applicazione e l’estirpazione dei propri desideri. Quindi, dopo la pratica ascetica abbiamo bisogno di conoscenza spirituale, totale devozione a Dio in tutte le cose e attento studio delle divine Scritture; perché senza queste cose nessuno può mai acquisire la virtù. La persona abilitata dalla grazia a dedicarsi completamente e sempre a Dio ha raggiunto il bene più alto; chi non ha raggiunto questo punto dovrebbe fare attenzione a non diventare negligente in alcun modo. Beati coloro che sono completamente devoti a Dio, sia attraverso l’obbedienza a qualcuno esperto nella pratica delle virtù e vivendo una vita ordinata in quiete , sia attraverso se stessi vivendo in quiete e totale distacco, scrupolosamente obbedienti alla volontà di Dio e cercando il consiglio di uomini esperti in tutto ciò che dicono o pensano. Beati soprattutto coloro che cercano di raggiungere il distacco e la conoscenza spirituale senza labonomia attraverso la loro totale devozione a Dio: come Dio stesso ha detto attraverso il suo profeta, “Dedicatevi alla quiete e riconoscete che sono Dio” (Sal. 46: 10).

Coloro che vivono nel mondo – o piuttosto che vivono secondo la moda del mondo, perché questo include molti cosiddetti monaci – dovrebbero cercare di raggiungere una certa misura di devozione, come fecero gli uomini giusti di un tempo, così da esaminare la loro anima infelice prima della morte e correggerla o umiliarla, e non portarla alla distruzione totale attraverso la loro totale ignoranza e i loro peccati consapevoli o inconsapevoli. Davide, in effetti, era un re; ma ogni notte bagnava il suo letto di lacrime a causa del suo senso della presenza divina (cfr Sal 6:6). E Giobbe dice: “I peli della mia carne si sono rizzati” (Gb 4:15). Dedichiamo quindi, come coloro che vivono nel mondo, almeno una piccola parte del giorno e della notte a Dio; e consideriamo cosa diremo in nostra difesa davanti al nostro giusto Giudice nel terribile giorno del giudizio. Prendiamoci la briga di questo, perché è essenziale in vista della minaccia di punizione secolare; e non preoccupiamoci di come vivremo se siamo poveri o di come possiamo arricchirci in modo da fare l’elemosina, dedicando così stupidamente tutta la nostra attenzione alle questioni mondane. Dobbiamo lavorare, dice san Giovanni Crisostomo; ma non dobbiamo preoccuparci o preoccuparci di molte cose, come nostro Signore disse a Marta (cfr. Luca 10:4i). Perché la preoccupazione per questa vita impedisce quella preoccupazione per la propria anima e il suo stato che è lo scopo dell’uomo che si dedica a Dio ed è attento a se stesso. È detto nella Legge: “Sii attento a te stesso” (Deut. 15:9. LXX). San Basilio il Grande ha scritto su questo testo con meravigliosa saggezza.

La custodia dell’intelletto

Come dice San Giovanni Damasceno, senza attenzione e vigilanza dell’intelletto non possiamo essere salvati e liberati dal diavolo, che cammina come un leone ruggente, cercando chi possa divorare’ (1 Pt 5,8). Per questo motivo il Signore diceva spesso ai suoi discepoli: ‘Vegliate e pregate, perché non sapete in quale ora verrà il vostro Signore’ (Mt 26,41; 24,42). Attraverso di loro ci stava dando un avvertimento a tutti sul ricordo della morte, affinché fossimo preparati a offrire una difesa, fondata sulle opere e sull’attenzione , che sarà gradita a Dio. Perché i demoni, come ha detto Sant’Ilarione, sono immateriali e insonni, preoccupati solo di combattere contro di noi e di distruggere le nostre anime attraverso parole, azioni e pensieri . A noi manca una simile persistenza e ci preoccupiamo ora del nostro comfort e di opinioni effimere, ora di questioni mondane, ora di mille e una cosa. Non siamo minimamente interessati ad esaminare la nostra vita, affinché il nostro intelletto sviluppi l’abitudine di farlo e possa dedicare attenzione a se stesso ininterrottamente.

Come dice Salomone, “Camminiamo tra molte insidie” (Sir 9,13); e san Giovanni Crisostomo ne ha scritto, spiegando cosa sono con grande precisione e saggezza. Il Signore stesso, volendo purificarci da ogni preoccupazione mondana, ci esorta a non preoccuparci di ciò che mangiamo o indossiamo, ma ad avere una sola preoccupazione: come essere salvati “come una gazzella dal laccio e come un uccello dalla rete” (Prov 6,5. LXX), ottenendo in questo modo la prontezza di vista della gazzella e il volo librato dell’uccello. È davvero notevole che queste cose siano dette dal re Salomone; e anche suo padre disse lo stesso. Entrambi vissero, in virtù e saggezza, con grande attenzione e molte lotte ascetiche. Eppure, dopo aver ricevuto tanti doni di grazia e perfino la manifestazione di Dio, furono vinti, ahimè, dal peccato : il primo si lamentò sia dell’omicidio che dell’adulterio, mentre il secondo commise molti atti terribili (cfr. 2 Sam. cap. 11-12; 1 Re cap. 11). Come affermano san Giovanni Klimaco e Filimone l’Asceta, questo non riempie di paura e terrore chiunque abbia intelletto? Nella nostra debolezza, come possiamo non rabbrividire e cercare di sfuggire alle distrazioni di questa vita, noi che non siamo nulla e che siamo insensibili come bruti? Misero come sono, vorrei essere stato fedele alla mia natura, come lo sono gli animali; perché il cane è migliore di me.

Obbedienza e quiete

Se vogliamo percepire la nostra condizione letale, dobbiamo abbandonare i nostri desideri e tutte le preoccupazioni di questa vita. Attraverso questa fuga da tutto, dedichiamoci assiduamente a Dio con una devozione che è veramente benedetta e divina. Cerchiamo ciascuno la propria anima attraverso lo studio delle divine Scritture, sia in perfetta obbedienza di anima e corpo, sia in quiete seguendo la via angelica. Ciò è particolarmente importante per coloro che sono ancora soggetti alle passioni e non possono controllare i propri desideri, grandi o piccoli che siano.

“Siediti nella tua cella, è stato detto, ‘e la tua cella ti insegnerà ogni cosa’”. O come dice San Basilio, ‘ La quiete avvia la purificazione dell’anima’. È anche vero che Salomone dice, ‘Dio ha dato una distrazione nociva ai figli degli uomini, così che possano essere distratti da cose vane’ (cfr Eccles. 1:3). Questo per impedire che la loro inerzia insensata e appassionata li trascini in ciò che è ancora peggio.

Ma che cosa dobbiamo dire di chi, per grazia di Dio, è stato salvato da entrambe queste insidie ​​ed è diventato monaco, indossando l’abito angelico della vita solitaria o monastica, e in tal modo, come dice san Dionigi l’Areopagita, dimostrando di essere, in parole e azioni, per quanto possibile, un’immagine dell’unico Dio? Non dovrebbe una persona del genere dedicarsi sempre a Dio ed essere attenta con il suo intelletto in tutto ciò che intraprende, meditando continuamente su Dio secondo lo stato che ha raggiunto? Questo è ciò che Efrem e altri santi padri raccomandano a coloro che intraprendono il cammino spirituale. Uno dovrebbe avere un salmo sulle labbra, un altro un versetto di un inno; tutti coloro che non sono stati ancora trovati degni di entrare nel regno della contemplazione e della conoscenza spirituale, ci dicono i padri, dovrebbero prestare attenzione con l’ intelletto ai salmi e ai tropari. In questo modo ognuno sarà impegnato in qualche tipo di meditazione, sia che lavori o viaggi o si sdrai prima di dormire. Non appena ognuno ha terminato la sua regola di preghiera assegnata, dovrebbe subito racchiudere il suo intelletto in qualche forma di meditazione, affinché il nemico non lo trovi occupato nel ricordo di Dio e lo attacchi con vanità o peggio. Questo consiglio è dato a tutti.

Per mezzo delle virtù dell’anima e del corpo, e dopo molte lotte, una persona è in grado di elevarsi noeticamente, per grazia di Cristo, e di impegnarsi nel lavoro spirituale – il lavoro dell’intelletto – così che inizia a soffrire interiormente per la propria anima. Quando ciò accade, dovrebbe custodire come la pupilla del suo occhio il pensiero che induce lacrime cariche di dolore, per usare le parole di San Giovanni Klimakos. Dovrebbe continuare a fare questo finché Dio nella sua provvidenza, per impedirgli di insuperbirsi, non ritira il fuoco e l’acqua. Il fuoco è il dolore del cuore e la sua fede ardente ; l’acqua sono le lacrime. E non sono date a tutti, dice Sant’Atanasio il Grande, ma solo a coloro che sono resi capaci dalla grazia di vedere le cose terribili che accadono prima e dopo la morte, e che nella quiete le tengono costantemente a mente . Come dice Isaia: “L’orecchio dell’esicasta ode strani prodigi” (cfr. Giobbe 4:12); e ancora: «Dedicati al silenzio e conosci» (Sal 46,10).

Solo la quiete genera la conoscenza di Dio, perché è di grandissimo aiuto anche per i più deboli e per coloro che sono più soggetti alle passioni. Permette loro di vivere senza distrazioni e di ritirarsi dalla società umana, dalle preoccupazioni e dagli incontri che oscurano l’ intelletto . Non intendo semplicemente le preoccupazioni mondane, ma anche quelle che sembrano insignificanti e senza peccato. Come dice San Giovanni Klimakos, “Un piccolo capello irriterà l’occhio”. E Sant’Isacco dice: “Non pensare che l’avarizia consista semplicemente nel possesso di argento o oro; è presente ogni volta che il nostro pensiero è attaccato a qualcosa”. Il Signore stesso ha detto: “Dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore ” (Mt 6,21) – sia nei pensieri e nelle preoccupazioni divini che in quelli mondani. Per questo motivo tutti dovrebbero essere distaccati e dovrebbero dedicarsi a Dio. Se vivono nel mondo, possono in questo modo raggiungere almeno una certa misura di comprensione e conoscenza spirituale. Oppure possono dedicarsi completamente a Dio, facendo della loro unica preoccupazione quella di conformarsi alla sua volontà; e allora Dio, vedendo la loro intenzione, concederà loro il riposo attraverso la conoscenza spirituale. Con questo mezzo Egli conferisce loro la meditazione che appartiene al primo stadio della contemplazione , che li rende capaci di acquisire un’inesprimibile contrizione dell’anima e di diventare poveri in spirito (cfr. Mt 5,3). Guidandoli in questo modo gradualmente attraverso gli altri stadi della contemplazione , Egli renderà possibile per loro di mantenere le Beatitudini finché non raggiungeranno la pace nei loro pensieri. Questa pace è il ‘regno’ o ‘dimora di Dio’, come dice Evagnos, riferendosi al Salterio: ‘Nella pace è la sua dimora’ (Sal 76, 2. LXX).

Le otto fasi della contemplazione

Gli stadi della contemplazione sono, mi sembra, otto in numero. Sette appartengono a questa età presente , mentre l’ottavo è la ricerca dell’età a venire, come dice Sant’Isacco.

Il primo stadio, secondo San Doroteo, è la conoscenza delle tribolazioni e delle prove di questa vita. Ciò ci riempie di dolore per tutto il danno fatto alla natura umana attraverso il peccato .

La seconda è la conoscenza dei nostri difetti e della generosità di Dio, come esprimono san Giovanni Klimakos, sant’Isacco e molti altri padri.

La terza è la conoscenza delle cose terribili che ci attendono prima e dopo la morte, come rivelate nelle Sacre Scritture.

Il quarto è la profonda comprensione della vita condotta dal nostro Signore Gesù Cristo in questo mondo, e delle parole e delle azioni dei suoi discepoli e degli altri santi, dei martiri e dei santi padri.

Il quinto è la conoscenza della natura e del flusso delle cose, come affermano San Gregorio e San Giovanni Damasceno.

Il sesto è la contemplazione degli esseri creati, cioè la conoscenza e la comprensione della creazione visibile di Dio.

Il settimo è la comprensione della creazione spirituale di Dio.

L’ottava è la conoscenza riguardante Dio, o ciò che chiamiamo ” teologia “.

Questi sono gli otto stadi della contemplazione . I primi tre sono adatti a chi è ancora impegnato nella pratica ascetica, così che con molte lacrime amare possa purificare la sua anima da tutte le passioni e possa essere autorizzato, attraverso la grazia di Dio, a procedere verso gli stadi rimanenti.

Gli ultimi cinque stadi appartengono al contemplativo o gnostico. Attraverso di essi egli mantiene un attento controllo sulle attività sia del corpo che dell’anima, e le esegue correttamente. Di conseguenza, egli è in grado di afferrare questi stadi successivi chiaramente con il suo intelletto .

Così l’uomo impegnato nella pratica ascetica comincia ad entrare nel sentiero della conoscenza spirituale attraverso i primi tre stadi; e concentrandosi sul suo compito e meditando sui pensieri prodotti dentro di lui, egli progredisce in essi finché non si stabiliscono in lui. In questo modo il successivo stadio di conoscenza entra automaticamente nel suo intelletto . Lo stesso accade con tutti gli stadi rimanenti.

Per rendere le cose molto chiare, parlerò, nonostante la mia incompetenza, di ogni fase della contemplazione , e di ciò che si comprende e si dice in ogni fase. In questo modo possiamo scoprire come dovremmo agire quando la grazia inizia ad aprire gli occhi della nostra anima e arriviamo con stupore a comprendere pensieri e parole che instillano in noi il timore di Dio o, in altre parole, la contrizione dell’anima.

La prima fase della contemplazione

Il primo stadio della contemplazione è quello che conduce il ricercatore a tutti gli stadi successivi. La persona che è chiamata a questo primo stadio dovrebbe agire come segue. Dovrebbe sedersi rivolto a est, come fece una volta Adamo, e meditare in questo modo:

‘Adamo allora si sedette e pianse per il suo piacere delle delizie del paradiso, battendosi gli occhi con i pugni e dicendo: ‘O Misericordioso, abbi pietà di me, perché sono caduto.’

‘Quando Adamo vide l’angelo che lo scacciava e chiudeva la porta del giardino divino, gemette forte e disse: ‘O Misericordioso, abbi pietà di me, perché sono caduto.’

Dopo di che, riflettendo su quanto allora accadde, cominci a lamentarsi in questo modo, addolorandosi con tutta l’anima e scuotendo la testa e dicendo con grande dolore nel cuore :

La seconda fase della contemplazione

Guai a me, peccatore! Cosa mi è successo? Ahimè, cosa ero e cosa sono diventato! Cosa ho perso, cosa ho trovato? Invece del paradiso, questo mondo perituro. Invece di Dio e della vita in compagnia degli angeli, del diavolo e dei demoni dell’impurità. Al posto del riposo, duro lavoro; al posto della letizia e della gioia, i dolori e le tribolazioni di questo mondo; invece della pace e della felicità infinita, paura e lacrime di dolore . Al posto della virtù e della giustizia, ingiustizia e peccato . Invece della bontà e dell’impassibilità , del male e della passione ; invece della saggezza e dell’intimità con Dio, ignoranza ed esilio; invece del distacco e della libertà, una vita piena di preoccupazioni e il peggior tipo di schiavitù. Guai, guai a me! Come, creato re, sono diventato nella mia follia uno schiavo della passione ? Come ho potuto abbracciare la morte invece della vita attraverso la mia disobbedienza? Ahimè! Che cosa mi è successo, pietoso che sono, a causa della mia sconsideratezza? Che cosa farò? Guerra e confusione mi assalgono, malattia e tentazione , pericolo e naufragio, paura e dolore , passione e peccato , amarezza e angoscia. Che cosa farò? Dove fuggirò? “Tutte le porte sono chiuse per me”, come disse Susanna (Sus. 1:22).

Non so cosa chiedere. Se chiedo la vita, temo le prove della vita, i suoi alti e bassi, i suoi conflitti. Vedo come Satana, l’angelo che un tempo sorse come stella del mattino (cfr Is 14,12), ora è diventato il diavolo, come lo chiamiamo noi. Vedo come il primo uomo creato fu mandato in esilio (cfr Gen 3,23); come Caino divenne l’assassino di suo fratello (cfr Gen 4,8); come Canaan fu maledetto (cfr Gen 9,25); vedo i cittadini di Sodoma bruciati dal fuoco (cfr Gen 19,24-25); Esaù bandito (cfr Gen 25,33); vedo gli Israeliti sottoposti all’ira di Dio (cfr Nm 14,34); Vedo Ghehazi e Giuda, l’apostolo, cacciati fuori perché malati di avarizia (cfr 2 Re 5,26-27; Mt 26,15.24); vedo Davide, il grande profeta e re, che si lamenta del suo duplice peccato (cfr Sal 51); Vedo Salomone, nonostante tutta la sua sapienza, caduto (cfr. 1 Re 11,9- Vedo come uno dei sette diaconi e uno dei quaranta martiri caddero, come dice san Basilio il Grande: Con gioia il principe del male intrappolò il meschino Giuda, uno dei dodici; strappò l’uomo dall’Eden e ingannò uno dei quaranta martiri. Addolorato per lui lo stesso Basilio il Grande dice: “Stolto e degno delle nostre lacrime è lui, perché si è smarrito in entrambe le vite: in questa vita fu distrutto dal fuoco e nell’altra andò al fuoco eterno. E vedo molti altri, innumerevoli, che caddero; non solo infedeli, ma anche molti dei padri, nonostante tutte le loro fatiche.

Eppure chi sono io, chi sono peggiore, più ostinato e più debole di tutti loro? Come mi chiamerò? Abramo dice di essere «solo polvere e cenere» (Gen. 18:27); Davide si definisce «un cane morto» (2Sam. 9:8) e «una pulce» (1Sam. 24:14) in Israele; Salomone si definisce «un bambino, che non sa distinguere la destra dalla sinistra» (cfr. 1Re 3:7); i tre bambini santi dicono: «Siamo diventati una vergogna e un obbrobrio» (Cantico dei tre bambini, versetto 10); il profeta Isaia dice: «Guai a me, perché sono perduto, perché sono un uomo dalle labbra impure» (Is. 6:5); il profeta Abacuc dice: «Sono un bambino» (Ger. 1:6); san Paolo si definisce il capo dei peccatori (cfr. 1Tm. 1:15); e tutti gli altri dicevano che non erano niente. Che cosa dovrei fare allora? Dove mi nasconderò dai miei molti crimini? Che ne sarà di me, che non sono niente, peggio del niente? Perché ciò che è niente non ha peccato, né ha ricevuto le benedizioni di Dio come me. Ahimè, come trascorrerò il resto della mia vita? E come sfuggirò alle insidie ​​del diavolo? Perché i demoni sono insonni e immateriali, la morte è vicina e io sono debole. Signore, aiutami; non lasciare che la tua creatura perisca, perché ti prendi cura di me nella mia miseria. “Fammi conoscere, Signore, la via che devo percorrere; perché elevo l’anima mia a te” (Sal. 143:8). “Non abbandonarmi, Signore Dio mio, non allontanarti da me; affrettati ad aiutarmi, Signore della mia salvezza” (Sal. 38:21-22).

Con tali parole l’anima è resa contrita, se ha almeno un po’ di sensibilità. Perseverando in questo modo e abituandosi al timore di Dio, l’ intelletto comincia a comprendere e meditare sul secondo stadio della contemplazione . Guai a me, infelice che sono! Che farò? Ho peccato molto; molte benedizioni mi sono state concesse; sono molto debole. Molte sono le tentazioni: la pigrizia mi sopraffà, l’oblio mi oscura e non mi lascia vedere me stesso e i miei molti crimini. L’ignoranza è un male; la trasgressione consapevole è peggiore; la virtù è difficile da raggiungere; le passioni sono molte; i demoni sono astuti e sottili; il peccato è facile; la morte è vicina; il conto è amaro. Ahimè, che farò? Dove fuggirò da me stesso? Perché sono la causa della mia stessa distruzione. Sono stato onorato con il libero arbitrio e nessuno può costringermi. Ho peccato, pecco costantemente e sono indifferente a qualsiasi cosa buona, sebbene nessuno mi costringa. Chi posso biasimare? Dio, che è buono e pieno di compassione, che desidera sempre che ci rivolgiamo a Lui e ci pentiamo? Gli angeli, che mi amano e mi proteggono? Gli uomini, che desiderano anche il mio progresso? I demoni? Non possono costringere nessuno a meno che, per negligenza o disperazione, non scelga di distruggere se stesso. Chi è allora da biasimare? Sicuramente sono io?

1 Comincio a vedere che la mia anima sta venendo distrutta, e tuttavia non faccio alcuno sforzo per intraprendere una vita devota. Perché, anima mia, sei così indifferente a te stessa? Perché, quando pecchi , non ti vergogni davanti a Dio e ai suoi angeli come ti vergogni davanti agli uomini? Ahimè, ahimè, perché non provo la vergogna davanti al mio Creatore e Padrone che provo davanti a un uomo. Davanti a un uomo non posso peccare , ma faccio tutto il possibile per apparire come se stessi agendo rettamente; eppure stando davanti a Dio penso pensieri malvagi e spesso non mi vergogno di parlarne. Che follia! Sebbene pecchi , non ho timore di Dio che mi osserva, e tuttavia non posso dire a un solo uomo cosa ho fatto in modo da dargli la possibilità di correggermi. Ahimè, perché conosco la punizione e tuttavia non sono disposto a pentirmi. Amo il regno celeste, e tuttavia non acquisisco virtù. Credo in Dio e disobbedisco costantemente ai suoi comandamenti. Odio il diavolo, e tuttavia non smetto di fare ciò che vuole. Se prego, perdo interesse e divento insensibile. Se digiuno, divento orgoglioso e mi dannò ancora di più. Se veglio, penso di aver raggiunto qualcosa e quindi non ne traggo alcun profitto. Se leggo, faccio una di queste due cose malvagie nella mia ostinazione: o leggo per amore di un apprendimento profano e dell’autostima e quindi sono ancora più ottenebrato; o leggendo e non agendo nello spirito di ciò che leggo.

Semplicemente aumento la mia colpa. Se per grazia di Dio mi capita di smettere di peccare nell’azione esteriore, non smetto di peccare continuamente in ciò che dico. E se la grazia di Dio dovesse proteggermi anche da questo, continuo a provocare la Sua ira con i miei pensieri malvagi. Ahimè, cosa posso fare? Ovunque vada, trovo il peccato . Ovunque ci sono demoni. La disperazione è la cosa peggiore di tutte. Ho provocato Dio, ho rattristato i Suoi angeli, ho spesso ferito e offeso gli uomini.

Vorrei. Signore, cancellare il ricordo dei miei peccati con le lacrime, e attraverso il pentimento vivere il resto della mia vita secondo la Tua volontà. Ma il nemico mi inganna e combatte con la mia anima. Signore, prima che io perisca completamente, a meno che non abbia peccato contro di Te, Salvatore, come il figliol prodigo; accoglimi. Padre, nel mio pentimento e abbi pietà di me, Dio.

Io invoco te, Cristo mio Salvatore, con la voce del pubblicano: abbi pietà di me, come di lui, e abbi pietà di me, o Dio.

Cosa accadrà negli ultimi giorni? Cosa verrà dopo? Quanto sono infelice! “Chi darà acqua alla mia testa e una fontana di lacrime ai miei occhi?” (Ger. 9:1. LXX). Chi può piangere per me come merito? Non posso farlo. Venite, montagne, copritemi con la mia abiezione. Cosa ho da dire? Quante benedizioni mi ha elargito Dio, benedizioni che solo Lui conosce, e quante cose terribili in atti, parole e pensieri ho fatto nella mia ingratitudine, provocando sempre il mio Benefattore. E più Egli è longanime, più io lo disprezzo, diventando più duro di cuore delle pietre senza vita. Eppure non dispero, ma riconosco la Tua grande compassione.

Non ho pentimento , né lacrime. Perciò ti prego, Salvatore, di farmi tornare indietro prima di morire e di concedermi il pentimento , così che io possa essere risparmiato dalla punizione.

Signore Dio mio, non abbandonarmi, benché io non sia nulla davanti a te, benché io sia tutto un peccatore. Come potrò rendermi conto dei miei molti peccati? Perché se non ne divento consapevole, severa è la mia condanna. Per me hai creato il cielo e la terra, i quattro elementi e tutto ciò che è formato da essi, come dice san Gregorio il Teologo. Io tacerò sul resto, perché sono indegno di dire alcunché a causa dei miei molti crimini. Chi, anche se avesse l’ intelletto di un angelo, potrebbe comprendere tutti gli innumerevoli benefici che ho ricevuto? Eppure, poiché non cambio i miei modi, li perderò tutti.

Meditando in questo modo, l’uomo avanza gradualmente verso il terzo stadio della contemplazione .

La terza fase della contemplazione

Di nuovo si lamenta: Ahimè, quale angoscia prova l’anima quando è separata dal corpo. Quante lacrime versa allora, e non c’è nessuno che abbia pietà di lei. Volgendo gli occhi agli angeli, supplica invano. Tendendo le mani verso gli uomini, non trova nessuno che la aiuti.

Piango e mi addoloro quando penso alla morte e vedo la bellezza dell’uomo, creata da Dio a sua immagine, giacere nella tomba, brutta, abietta, la sua forma fisica distrutta. Che mistero è questo che ci è capitato? Come siamo stati abbandonati alla corruzione? Come siamo stati aggiogati alla morte? In verità è per comando di Dio, come è scritto. Ah, cosa farò al momento della mia morte, quando i demoni circonderanno la mia infelice anima, portando l’accusa dei peccati che ho commesso, consapevolmente o inconsapevolmente, in parole, atti e pensieri , e chiedendomi la mia difesa? Ma ahimè, anche senza alcun altro peccato , sono già condannato – e giustamente – per non aver osservato i comandamenti. Dimmi, mia misera anima, dove sono le tue promesse battesimali? Che cosa è successo al tuo patto con Cristo e alla tua rinuncia a Satana? Dov’è la tua osservanza dei comandamenti di Dio, la tua imitazione di Cristo attraverso le virtù del corpo e dell’anima? Per questo sei stato chiamato cristiano. Che cosa è successo alla tua professione dell’abito monastico? Se dovessi biasimare la debolezza del corpo, dov’è la fede che getta ogni preoccupazione sul Signore, la fede con la quale, anche se non fosse stata più grande di un granello di senape, saresti stato in grado di spostare le montagne (cfr Mt 17,20)? Dov’è il pentimento completo che respinge ogni parola o azione malvagia?

Dov’è la contrizione dell’anima e la profonda griglia interiore? Dov’è la gentilezza, la generosità, la libertà del cuore dai pensieri malvagi, l’autocontrollo onnicomprensivo che trattiene ogni membro del corpo e ogni pensiero e desiderio che non sia indispensabile per la salvezza dell’anima o per la vita corporea? Dov’è la pazienza che sopporta così tante tribolazioni per amore del regno dei cieli? Dov’è la gratitudine in tutte le cose? La preghiera incessante? Il ricordo della morte? Le lacrime di angoscia per il mio fallimento nell’amare? Dov’è il giudizio morale in sintonia con Dio, che tiene l’anima lontana dalle insidie ​​dei nostri nemici? Dov’è l’autocontrollo che impedisce che qualsiasi cosa contraria alla volontà di Dio venga fatta o deliberatamente pensata ? Dov’è il coraggio che sopporta terribili sofferenze e che avanza pieno di speranza contro l’avversario? Dov’è la giustizia che dà a ogni cosa il suo dovuto, l’umiltà che conosce la propria debolezza e ignoranza, e la compassione divina che mi avrebbe salvato da tutte le astuzie dei demoni? Dov’è il distacco e l’amore perfetto, la pace che supera ogni intelletto (cfr Fil 4,7), per cui avrei dovuto essere chiamato figlio di Dio (cfr Mt 5,9)? Anche senza forza fisica, chi lo desidera può possedere tutte queste cose semplicemente attraverso la propria risoluzione.

Cosa posso dire di tutto questo? Cosa posso fare? Se nella mia incertezza mi perdo d’animo per un po’ perché ho completamente fallito nel fare ciò che dovevo nei limiti delle mie forze, cadrò più in basso dell’Ade, come dice Sant’Atanasio il Grande. Quanto sono infelice! Cosa ho attirato su me stesso, non solo attraverso i miei peccati, ma piuttosto attraverso il mio rifiuto di pentirmi! Perché se come il figliol prodigo mi fossi pentito, il mio Padre amorevole mi avrebbe riaccolto (cfr. Luca 15:11-32). E se fossi stato onesto come il pubblicano (di Luca 18:13), condannando solo me stesso e nessun altro, anch’io avrei ricevuto il perdono dei peccati da Dio, soprattutto se lo avessi invocato con tutta la mia anima come fece il pubblicano. Così com’è, non mi considero ancora in questo modo. Per questo temo di dover abitare nell’Ade con i demoni e vivo nel terrore del giudizio imminente, con il fiume di fuoco, i troni e i libri aperti (cfr. Dan. 7:9-12), gli angeli che corrono avanti, tutta l’umanità in piedi, ogni cosa nuda ed esposta (cfr. Ebr. 4:13) davanti al Giudice temibile e giusto.

Come sopporterò l’esame, il dispiacere del Giudice imparziale che incute timore, la riunione di innumerevoli angeli, la punizione richiesta con terribili minacce, la decisione che non può essere alterata? Come sopporterò il lamento incessante e le lacrime inutili, l’oscurità pece e il verme che non dorme, il fuoco inestinguibile e molti tormenti? Come sopporterò l’esclusione dal regno e la separazione dai santi, la partenza degli angeli e l’alienazione da Dio, l’indebolimento dell’anima e la morte eterna, la paura, il dolore, l’angoscia, la vergogna, la tortura della coscienza?

Guai a me, peccatore. Cosa mi è successo? Perché dovrei distruggermi così ingiustamente? Ho ancora tempo per il pentimento . Il Signore mi chiama: devo rimandare? Quanto a lungo, anima mia, rimarrai nei tuoi peccati? Quanto a lungo rinvierai il pentimento ? Pensa al giudizio a venire, grida a Cristo tuo Dio; Scrutatore dei cuori, ho peccato; prima che Tu mi condanni, abbi pietà di me! Alla tua tremenda venuta, Cristo, che io non senta: “Non ti conosco” (Matteo 25:12). Perché abbiamo riposto la nostra speranza in Te, nostro Salvatore, anche se nella nostra negligenza non riusciamo a osservare i Tuoi comandamenti. Ma, ti preghiamo, risparmia le nostre anime. Ahimè, Signore, perché Ti ho addolorato e non l’ho percepito; eppure ecco, attraverso la Tua grazia ho iniziato a percepire, e così sono pieno di confusione. La mia infelice anima è scossa dalla paura.

Mi sarà concesso di vivere ancora per un breve periodo, così da piangere lacrime amare e purificare il mio corpo e la mia anima contaminati? Oppure, dopo essermi addolorato per un po’, mi fermerò di nuovo, ostinato come sempre? Cosa farò per acquisire un dolore incessante dell’anima? Digiunerò e veglierò? Eppure senza umiltà non otterrò nulla. Leggerò e canterò salmi solo con la mia bocca? Perché le mie passioni hanno oscurato il mio intelletto e non riesco a comprendere il significato di ciò che viene detto. Cadrò prostrato davanti a Te, il datore di tutte le benedizioni? Ma non ho fiducia. La mia vita è senza speranza; ho distrutto la mia anima. Signore, aiutami e accoglimi come il pubblicano; perché come il figliol prodigo ho peccato contro il cielo e davanti a Te (cfr Luca 15:18). Ho peccato come la prostituta che venne a te piangendo, e di cui è scritto: ‘Piena di disperazione a causa della vita, con le sue vie ben note, venne a te portando mirra e gridando: ‘O vergine nata, non respingermi, anche se sono una prostituta; non disprezzare le mie lacrime, gioia degli angeli; ma accoglimi nel mio pentimento , Signore, e nella tua grande misericordia non respingere me, un peccatore.’ ‘Perché anch’io sono disperato a causa dei miei molti peccati, ma sono ben noto alla tua ineffabile compassione e al mare sconfinato delle tue misericordie.

Gettando la disperazione della mia anima in questo mare, oso concentrare il mio intelletto nel santo ricordo di Te; e, alzandomi, con timore e tremore faccio questa sola richiesta: che, sebbene indegno, io possa essere trovato degno di essere Tuo servo; che per grazia io possa avere un intelletto libero da ogni forma, aspetto, colore o materialità; che, come Daniele una volta si inchinò davanti al Tuo angelo (cfr. Dan. 10:9), io possa cadere a mani e ginocchia davanti a Te, l’unico Dio, Creatore di tutto, e offrirti prima il ringraziamento e poi la confessione. In questo modo comincerò a cercare la Tua santissima volontà, confessando la Tua grazia in tutte le benedizioni che Tu hai concesso a me, che non sono che polvere, fango e cenere, e sapendo che, essendo interamente una creatura di terra, è solo attraverso l’ intelletto che sono in grado di avvicinarmi a Te.

Allora, consapevole che il Tuo sguardo è su di me, con tutta la mia anima griderò e dirò: Signore misericordioso, Ti ringrazio, Ti glorifico, Ti inneggio, Ti venero, perché indegno benché io sia, Tu mi hai trovato degno in quest’ora di renderti grazie e di essere consapevole delle meraviglie e delle benedizioni – innumerevoli e insondabili, visibili e invisibili, note e sconosciute – che la Tua grazia ha elargito e ancora elargisce alle nostre anime e ai nostri corpi. Confesso i Tuoi doni; non nascondo le Tue benedizioni; proclamo le Tue misericordie; Ti riconosco, Signore Dio mio, con tutto il mio cuore e glorifico il Tuo nome per sempre. “Perché grande è la Tua misericordia verso di me” (Sal 86:13), e inesprimibile è la Tua pazienza e la Tua longanimità per i miei molti peccati e iniquità, per le cose atroci e empie che ho fatto, e faccio ancora, e farò in futuro. Da queste la Tua grazia mi ha salvato, siano esse commesse consapevolmente o inconsapevolmente, in parole, in azioni o in pensieri . Tu le conosci tutte, Signore, Scrutatore dei cuori, dalla mia nascita fino alla mia morte; e, abietto che sono, oso confessarle davanti a Te. “Ho peccato, ho trasgredito, ho agito empiamente” (cfr. Dan. 9:5), “Ho fatto il male ai tuoi occhi” (Sal. 51:4), e non sono degno di contemplare l’altezza del cielo.

Eppure, trovando coraggio nella Tua inesprimibile compassione, nella Tua bontà e tenera misericordia che superano la nostra comprensione, mi prostro davanti a Te e Ti supplico, Signore: “Abbi pietà di me, Signore, perché sono debole” (Sal 6:2), e perdona i miei molti crimini. Non permettere che io pecchi di nuovo o che mi allontani dalla Tua retta via, o che ferisca o offenda qualcuno, ma frena in me ogni iniquità, ogni cattiva abitudine, ogni impulso insensato dell’anima e del corpo, dell’ira e del desiderio ; e insegnami ad agire secondo la Tua volontà.

Abbi pietà dei miei fratelli e padri, di tutti i monaci e sacerdoti ovunque, dei miei genitori, dei miei fratelli e sorelle, dei miei parenti, di coloro che ci hanno servito e di coloro che ci servono ora, di coloro che pregano per noi e che ci hanno chiesto di pregare per loro, di coloro che ci odiano e di coloro che ci amano, di coloro che ho ferito o offeso, di coloro che mi hanno ferito o offeso o che lo faranno in futuro, e di tutti coloro che confidano in Te. Perdonaci ogni peccato, sia deliberato che involontario. Proteggi le nostre vite e la nostra partenza da questo mondo dagli spiriti impuri, da ogni tentazione , da ogni peccato e malizia, dalla presunzione e dalla disperazione, dalla mancanza di fede , dalla follia, dall’auto-inflazione e dalla codardia, dall’illusione e dall’indifferenza, dalle astuzie e dalle insidie ​​del diavolo. Nella Tua compassione concedici ciò che è buono per le nostre anime in questa età e nell’età a venire. Dona riposo ai nostri padri e fratelli che hanno lasciato questa vita prima di noi, e attraverso le preghiere di tutti loro abbi pietà del mio infelice io nella mia depravazione. Guarda quanto sono debole in ogni cosa: rettifica la mia condotta, indirizza la mia vita e la mia morte nei sentieri della pace, modellami in ciò che vuoi e come vuoi, che io lo voglia o no. Concedi solo che io non manchi di trovarmi alla tua destra nel giorno del giudizio. Signore Gesù Cristo mio Dio, anche se sono il più piccolo di tutti i tuoi servi da salvare.

Dona pace al Tuo mondo e, nei modi a Te più noti, abbi pietà di tutti gli uomini. Considerami degno di prendere parte al Tuo corpo puro e al Tuo sangue prezioso, per la remissione dei peccati, per la comunione nello Spirito Santo, come un anticipo della vita eterna in Te con i Tuoi eletti, attraverso le intercessioni della Tua purissima Madre, degli angeli e delle potenze celesti e di tutti i Tuoi santi; perché Tu sei benedetto in tutte le età. Amen.

Santissima Signora, Madre di Dio, potenze celesti, santi angeli e arcangeli e santi tutti, intercedete per me peccatore.

Dio nostro Maestro, Padre onnipotente. Signore Gesù Cristo, Figlio unigenito, e Spirito Santo, una sola Divinità, una sola Potenza, abbi pietà di me peccatore.

Dopo aver pregato in questo modo dovresti immediatamente rivolgerti ai tuoi pensieri e dire tre volte: “O venite, adoriamo e prostriamoci davanti a Dio nostro Re”. Poi dovresti iniziare i salmi, recitando il Trisagio dopo ogni sottosezione del Salterio e racchiudendo il tuo intelletto nelle parole che stai dicendo. Dopo il Trisagio di’ “Signore, abbi pietà” quaranta volte; e poi fai una prostrazione e di’ una volta dentro di te: “Ho peccato. Signore, perdonami”. Quando ti alzi, dovresti allungare le braccia e dire una volta: “Dio, abbi pietà di me peccatore”. Dopo aver pregato in questo modo, dovresti dire ancora una volta: “O venite, adoriamo…” tre volte, e poi un’altra sottosezione del Salterio nello stesso modo.

Quando, tuttavia, la grazia di Dio accende un senso di profonda penitenza nel cuore , dovresti permettere al tuo intelletto di essere bagnato da lacrime di compunzione , anche se questo significa che la tua bocca smette di recitare salmi e la tua mente è resa prigioniera di ciò che Sant’Isacco il Siro chiama “beata prigionia”. Perché ora è il momento di raccogliere, non di piantare (cfr. Eccles. 3:2). Dovresti quindi persistere in tali pensieri, così che il tuo cuore diventi più pieno di compunzione e porti frutto sotto forma di lacrime divine. San Giovanni Klimakos dice che se una parola particolare ti muove alla compunzione , dovresti indugiare su di essa. Ogni attività corporea – con cui intendo il digiuno, le veglie, la salmodia, la lettura spirituale, la quiete e così via – è diretta alla purificazione dell’intelletto ; ma senza dolore interiore l’ intelletto non può essere purificato, e quindi unito a Dio attraverso la preghiera pura che lo trasporta oltre ogni pensiero concettuale , e lo libera da ogni forma e figura. Eppure tutto ciò che è buono nelle attività corporee ha buoni risultati – e anche il contrario è vero. Tutto, tuttavia, richiede discriminazione se deve essere usato per il bene; senza discriminazione ignoriamo la vera natura delle cose.

Molti di noi possono rimanere scioccati quando vediamo disaccordo in ciò che è stato detto e fatto dai santi padri. Ad esempio, la Chiesa ha ricevuto attraverso la sua tradizione la pratica di cantare molti inni e tropari; ma san Giovanni Klimakos, nel lodare coloro che hanno ricevuto da Dio il dono del dolore interiore, dice che tali persone non cantano inni tra loro. Ancora, mentre parla di coloro che sono in uno stato di pura preghiera, sant’Isacco dice che spesso accade che una persona concentri così tanto il suo intelletto durante la preghiera che, come il profeta Daniele (cfr. Dan. 10:9), cade in ginocchio senza essere invitato, con le mani tese e gli occhi fissi sulla Croce di Cristo; i suoi pensieri sono cambiati e le sue membra sono indebolite a causa dei nuovi pensieri che sorgono spontaneamente nel suo intelletto . Molti dei santi padri scrivono in modo simile di queste persone, come nello stato rapito del loro intelletto non solo vanno oltre gli inni e la salmodia ma, come dice Evagrio, diventano persino ignari dell’intelletto stesso . Tuttavia, a causa della debolezza del nostro intelletto , la Chiesa ha ragione a raccomandare il canto di inni e tropari; perché con questo mezzo quelli di noi che mancano di conoscenza spirituale possono lodare Dio volenti o nolenti attraverso la dolcezza della melodia, mentre coloro che possiedono tale conoscenza e quindi comprendono le parole sono portati a uno stato di compunzione .

Così, come dice san Giovanni Damasceno, siamo condotti come su una scala verso il pensiero di buoni pensieri. Quanto più questi pensieri diventano abituali, tanto più il desiderio di Dio ci spinge a comprendere e adorare il Padre “in Spirito e verità” (Gv 4,24), come ha detto il Signore. Anche san Paolo lo indica quando dice: “Preferisco dire cinque parole di cui comprendo il significato, piuttosto che diecimila parole in una lingua straniera” (1 Cor 14,19); e ancora: “Vorrei che gli uomini pregassero in ogni luogo, alzando mani pure senza ira e senza litigi” (1 Tim 2,8). Così inni e tropari sono rimedi per la nostra debolezza, mentre le esperienze di rapimento segnano la perfezione dell’intelletto . Questa è la soluzione a tali domande. Perché “tutte le cose sono buone a loro tempo” (cfr. Eccl 39,34); e, come dice Salomone, «per ogni cosa c’è un tempo opportuno» (Ecclesi 3:1). Ma a coloro che ignorano questo tempo opportuno tutto apparirà discordante e intempestivo.

Quando si è raggiunto il livello dei buoni pensieri, si dovrebbe prestare estrema attenzione a tenere a mente questi punti , per evitare che per negligenza o presunzione si venga privati ​​della grazia di Dio, come dice Sant’Isacco. Quando i pensieri dati da Dio aumentano nell’anima di un uomo e lo conducono verso una maggiore umiltà e compunzione , egli dovrebbe sempre ringraziare, riconoscendo che solo per grazia di Dio conosce tali cose e considerandosi indegno di esse. Se i buoni pensieri cessano e la sua mente è di nuovo oscurata, perdendo il suo timore reverenziale e il suo senso di dolore interiore, dovrebbe essere molto angosciato e umiliarsi in parole e azioni; perché la grazia lo ha già abbandonato, così che possa rendersi conto della propria debolezza, acquisire umiltà e cercare di emendare la sua vita, come dice San Basilio il Grande. Perché se non avesse trascurato quel dolore interiore che è così caro a Dio, non gli sarebbero mancate le lacrime quando le desiderava. Ecco perché dovremmo sempre essere consapevoli della nostra debolezza e del potere della grazia di Dio, e non dovremmo perdere la speranza se ci accade qualcosa, né essere incoraggiati a pensare di essere qualcosa. Piuttosto dovremmo sempre sperare in Dio con umiltà. Ciò vale in particolare per coloro che nel pensiero e nell’azione cercano di riconquistare il dono delle lacrime: una volta avevano ricevuto questa grazia provvidenziale, ma non sono riusciti a conservarla a causa di negligenza o euforia passate, presenti o future, come abbiamo spiegato.

Se qualcuno ha deliberatamente rinunciato a questi doni di grazia – dolore interiore, lacrime e pensieri radiosi – cosa merita se non profonda angoscia? Perché quale follia più grande c’è di quella dell’uomo che, dopo aver iniziato da ciò che è contro natura e aver raggiunto attraverso la grazia uno stato al di sopra della natura – con cui intendo lacrime di comprensione e amore – poi ritorna attraverso qualche atto banale o pensiero estraneo e la sua stessa volontà all’ignoranza di una bestia, come un cane al suo vomito? Tuttavia, se un tale uomo decide ancora una volta di dedicarsi a Dio, leggendo le divine Scritture con attenzione e il ricordo della morte, e mantenendo il suo intelletto , per quanto può, libero da pensieri vani durante la preghiera, può recuperare ciò che ha perso. E può farlo tanto più facilmente se non si arrabbia mai con nessuno, per quanto soffra per mano dell’altro, e se non permette mai a nessuno di arrabbiarsi con lui, ma fa tutto ciò che può attraverso le sue azioni e le sue parole per rimediare alle cose. Quando ciò accade, il suo intelletto esulta ancora di più, essendo liberato dalla turbolenza dell’ira; e impara con la pratica a non trascurare mai la propria anima, temendo di essere abbandonato ancora una volta. E a causa della sua paura è tenuto a non ingrassare, ed è sempre benedetto con lacrime di pentimento e dolore interiore finché non raggiunge le lacrime di gioia e amore, per cui attraverso la grazia di Cristo i suoi pensieri sono messi in pace.

Tuttavia noi che siamo ancora appassionati e ostinati dovremmo sempre meditare sulle parole di dolore e dovremmo esaminare noi stessi ogni giorno, sia prima della nostra regola di preghiera, durante e dopo. Dovremmo farlo se stiamo ancora lottando, nonostante la nostra debolezza, per dedicarci a Dio e per allontanarci da ogni altra cosa, come dice Sant’Isacco; e dovremmo farlo anche se ci siamo allontanati e rimaniamo concentrati, i nostri occhi insonni e le nostre menti vigile, come dice San Giovanni Klimakos. Considera quali progressi stai facendo in queste cose, così che la tua anima possa essere castigata e possa iniziare a sperimentare il dono delle lacrime, come dice San Doroteo.

Tali sono dunque i primi tre stadi della contemplazione , per mezzo dei quali siamo in grado di procedere verso gli stadi successivi.

La quarta fase della contemplazione

Il quarto stadio della contemplazione consiste nella comprensione dell’incarnazione del nostro Signore e del Suo modo di vivere in questo mondo, al punto che praticamente dimentichiamo persino di mangiare, come scrive San Basilio il Grande. Questo, secondo San Giovanni Klimakos, è ciò che accadde al re Davide (cfr. Sal 102:4) quando la sua mente fu rapita in estasi dalle meraviglie di Dio. Come dice San Basilio, era in perdita su cosa fare in cambio: “Cosa darò al Signore in cambio di tutti i suoi benefici verso di me?” (Sal 116:12). Per amore nostro Dio visse tra gli uomini; a causa della nostra natura corrotta il Logos si fece carne e dimorò tra noi. La Fonte della Benedizione visitò gli ingrati, il Liberatore i prigionieri, il Sole della Giustizia coloro che sedevano nelle tenebre. L’Uomo dell’Impassione venne alla Croce, Luce all’Ade, Vita alla morte. Resurrezione ai caduti. A Lui gridiamo: ‘Dio nostro, gloria a Te!’. Dice san Giovanni Damasceno: ‘Il cielo si stupì e le estremità della terra rimasero stupite, che Dio si manifestasse in forma corporea agli uomini e che il tuo grembo, Madre di Dio, diventasse capace di contenere i cieli; per questo gli ordini degli angeli e degli uomini ti magnificano’. E ancora: ‘Tutti coloro che udirono rabbrividirono per l’ineffabile condiscendenza di Dio; come l’Altissimo di sua volontà discese fino al corpo, nato uomo da un grembo verginale. Per questo noi fedeli magnifichiamo la pura Madre del nostro Dio.’

‘Venite, popoli tutti, e credete. Saliamo sul monte santo e celeste; liberi dalla materialità, fermiamoci nella città del Dio vivente e contempliamo con il nostro intelletto la divinità immateriale del Padre e dello Spirito che arde nel Figlio Unigenito. Tu mi hai rapito con il desiderio di Te, Cristo, e mi hai trasformato con l’intensità del Tuo amore divino; con fuoco immateriale consuma i miei peccati e riempimi di delizia in Te, così che nella mia gioia, Signore, io possa lodare la Tua prima e seconda venuta. Tu sei tutta la tenerezza, Salvatore, tutto il mio desiderio , veramente la meta del mio desiderio insaziabile; Tu sei tutta la bellezza irresistibile.’

Se qualcuno attraverso le virtù del corpo e dell’anima ha ricevuto la conoscenza di queste cose e dei misteri nascosti nelle parole dei santi padri, delle divine Scritture e specialmente dei santi Vangeli, non perderà mai il suo desiderio né cesserà di versare le lacrime che gli vengono spontaneamente. E anche noi, che non facciamo altro che ascoltare le Scritture, dovremmo dedicarci ad esse e meditarle così costantemente che attraverso la nostra persistenza un desiderio di Dio sia impresso nei nostri cuori, come dice san Maxnnos. Perché questo è ciò che fecero i santi padri prima di acquisire una conoscenza spirituale diretta. Tutto il desiderio dei martiri era diretto solo verso Dio. Erano uniti a Lui attraverso l’amore e cantavano le sue lodi, come dice san Giovanni Damasceno dei tre santi bambini: “Questi bambini benedettissimi, rischiando la vita a Babilonia per le loro leggi ancestrali, disdegnarono lo stolto comandamento del loro re; gettati tra le fiamme ma non consumati, cantavano un inno degno di Colui che li aveva protetti.’ Ciò è del tutto naturale; perché quando una persona percepisce veramente le meraviglie di Dio è completamente fuori di sé e dimentica questa vita transitoria perché ha compreso le divine Scritture, come dice Sant’Isacco.

Un uomo del genere non è come noi: perché anche se per un po’ siamo leggermente commossi dalle Scritture, siamo di nuovo immersi nelle tenebre per pigrizia, dimenticanza e ignoranza, e diventiamo ostinati a causa delle nostre passioni. Ma colui che è stato purificato dalle passioni attraverso il dolore interiore percepisce i misteri nascosti in tutte le Scritture e ne è stupito, specialmente dalle parole e dalle azioni registrate nei Santi Vangeli. È stupito nel vedere come la sapienza di Dio renda facile ciò che è difficile, così che gradualmente deifica l’uomo. È pieno di bontà, così che umilia i suoi nemici; è misericordioso, come è misericordioso il Padre suo (cfr Lc 6,36); è impassibile, come è impassibile Dio; è dotato di ogni virtù ed è perfetto, come è perfetto il Padre (cfr Mt 5,48). In breve, la Sacra Bibbia ci insegna che ciò che si addice a Dio si addice anche all’uomo, così che egli diventa dio per adozione divina.

Chi non si meraviglierebbe dell’insegnamento del Santo Vangelo? Perché, semplicemente a condizione che scegliamo correttamente, Dio ci concede il riposo completo sia in questo mondo che nell’altro, e ci conferisce grandi onori. È come ha detto il Signore: “Chi si umilia sarà esaltato” (Lc 18,14). San Pietro lo conferma quando lascia le sue reti e riceve le chiavi del cielo (cfr Mt 16,19); e ciascuno degli altri discepoli, lasciando quel poco che aveva, ricevette in sua custodia il mondo intero in questo secolo e nel secolo a venire. “L’occhio non ha visto, l’orecchio non ha udito, il cuore dell’uomo non ha compreso le cose che Dio ha preparato per coloro che lo amano” (1 Cor 2,9). Questo è vero non solo per gli apostoli, ma anche per tutti coloro che fino ad oggi hanno scelto di perseguire la vita spirituale. Come dice uno dei padri: “Anche se si affaticavano nel deserto, avevano molto riposo”. Lo disse riferendosi alla vita tranquilla e senza problemi.

Chi ha più riposo e onore, la persona che si dedica a Dio e agisce di conseguenza, o la persona coinvolta in affari, tribunali e preoccupazioni mondane? La persona che dialoga sempre con Dio attraverso la meditazione sulle Sacre Scritture e la preghiera e le lacrime senza distrazioni, o la persona che è sempre in movimento, che si dedica alla frode e alle azioni illegali che, quando non portano a nulla, lo lasciano solo con il suo esaurimento e forse una doppia morte? Considera come alcuni di noi sopportano persino una morte dolorosa e disonorevole per niente. In effetti, alcuni per fini puramente distruttivi hanno inflitto il danno più grande alle proprie anime. Ho in mente ladri, pirati, fornicatori, istigatori di litigi, tutte persone che hanno rifiutato la salvezza e il riposo, l’onore e le ricompense che ne derivano. Quanto siamo ciechi! Sopportiamo la morte per amore della distruzione, ma non amiamo la vita per amore della salvezza. E se preferiamo la morte al regno dei cieli, in che cosa siamo diversi dal ladro o dal profanatore di tombe o dal soldato? Questi, semplicemente per amore del cibo, hanno spesso sopportato la morte che deve venire così come la morte in questa vita presente.

Dobbiamo fare di Cristo il nostro obiettivo primario; perché a coloro che lo scelgono Egli conferisce il regno dei cieli. Ciò significa che in questa vita presente dobbiamo elevarci spiritualmente al di sopra di tutte le cose, sottomettendole tutte a Lui. Dobbiamo governare non solo: sulle cose esterne, ma anche sul corpo, attraverso il nostro non attaccamento ad esso, e sulla morte, attraverso il coraggio della nostra fede ; quindi nella vita a venire regneremo nei nostri corpi eternamente con Cristo attraverso la grazia della risurrezione generale. La morte viene sia per i giusti che per i peccatori, ma c’è una grande differenza. Come mortali entrambi muoiono, e non c’è nulla di straordinario in questo. Ma l’uno muore senza ricompensa e forse condannato; l’altro è benedetto in questo mondo e nell’altro.

Qual è il senso di accumulare ricchezze? Nonostante la sua riluttanza, il possessore apparente dovrà rinunciarvi, non solo al momento della sua morte, ma spesso prima di questo, con molta vergogna, tribolazione e dolore. La ricchezza genera innumerevoli prove – paura, ansia, preoccupazione costante e problemi cercati e non cercati – e tuttavia molti hanno sopportato persino la morte per amor suo. Ma il santo comandamento di Dio salva ogni uomo da tutto questo e gli dà completa libertà da ansia e paura; spesso, in effetti, conferisce un piacere inesprimibile a coloro che scelgono deliberatamente di liberarsi dei beni. Perché cosa porta più piacere che raggiungere il distacco e non essere più sotto l’influenza dell’ira o del desiderio delle cose mondane? Considerando come nulla le cose che la maggior parte delle persone apprezza e innalzandoci al di sopra di esse, viviamo come in paradiso, o meglio come in cielo, liberati da tutti i vincoli attraverso la nostra devozione indisturbata a Dio.

Poiché una persona in tale stato accetta con gioia tutto ciò che le accade, tutte le cose le danno riposo; poiché ama tutti, tutti la amano; poiché è distaccata da tutte le cose, si eleva al di sopra di tutte. Inoltre, non ha alcun desiderio per le cose per cui le altre persone combattono e che causano loro angoscia quando non riescono ad acquisirle, anche se sarebbero solo condannate se le acquisissero. Questo distacco libera una persona acquisitiva da tutte le sofferenze in questa vita presente e nella vita a venire. Poiché non desidera nulla che non possieda, è al di sopra e al di là di ogni comfort e ricchezza; mentre desiderare ciò che manca è il più grande tormento che un uomo possa soffrire prima del tormento secolare . Una persona in questa condizione è uno schiavo, anche se può sembrare un uomo ricco o un re. I comandamenti del Signore non sono gravosi (cfr I Giovanni 5:3).

Eppure, per quanto abietti siamo, non li portiamo a termine con entusiasmo, a meno che non veniamo ricompensati per questo.

Chi può comprendere in parte la grazia del Santo Vangelo e le cose che sono in esso – vale a dire, le azioni e gli insegnamenti del Signore, i suoi comandamenti e le sue dottrine. Le sue minacce e le sue promesse – sa quale tesoro inesauribile ha trovato, anche se non può parlare di tali cose come dovrebbe, poiché ciò che è celeste è inesprimibile. Perché Cristo è nascosto nel Vangelo, e chi desidera trovarlo deve prima vendere tutto ciò che ha e acquistare il Vangelo (cfr. Mt 13,44). Non basta semplicemente trovare Cristo attraverso la propria lettura, ma si dovrebbe anche accoglierlo in se stessi imitando il suo modo di vivere nel mondo. Perché chi cerca Cristo, dice san Massimo, non dovrebbe cercarlo fuori ma dentro di sé. Come Cristo dovrebbe diventare senza peccato nel corpo e nell’anima, per quanto un essere umano può fare questo; e dovrebbe custodire la testimonianza della sua coscienza (cfr. 2 Cor 1,12) con tutte le sue forze. In questo modo, anche se agli occhi del mondo è povero e senza importanza, governerà come un re sulla sua volontà in ogni momento, elevandosi al di sopra di essa e respingendola. Perché a cosa serve apparire un re se sei schiavo dell’ira e del desiderio in questo mondo, mentre nell’altro riceverai una punizione eterna perché non hai voluto osservare i comandamenti?

Quanto siamo insensati quando, per amore di cose meschine e transitorie, non aspiriamo a ricevere grandi ed eterne benedizioni. Rifiutiamo ciò che è buono e perseguiamo l’opposto. Cosa può essere più semplice che dare un bicchiere d’acqua fredda o un pezzo di pane, o astenersi dai propri desideri e pensieri meschini? Eppure attraverso queste cose il regno dei cieli ci viene offerto, per grazia di Colui che disse: “Ecco, il regno dei cieli è dentro di voi” (Luca 17:21). Perché, come dice san Giovanni Damasceno, il regno dei cieli non è lontano, non fuori di noi, ma dentro di noi. Scegli semplicemente di superare le passioni e lo possederai dentro di te perché vivi in ​​conformità con la volontà di Dio. Ma se non scegli di fare questo, finirai con niente. Perché il regno di Dio, dicono i padri, è vivere in conformità a Dio; e questo è anche il significato della prima e della seconda venuta di Cristo.

Abbiamo parlato della seconda venuta quando abbiamo trattato il dolore interiore. Quanto alla prima venuta, colui che per grazia e con piena consapevolezza dell’anima coglie il significato dell’incarnazione dovrebbe esclamare nel suo stupore: Grande sei Tu, Signore, e meravigliose sono le Tue opere; e nessuna parola basta per inneggiare alle Tue meraviglie. Ecco, caro Signore, io, Tuo servo, sto davanti a Te, senza parole, immobile, in attesa della luce della conoscenza spirituale che viene da Te. Perché Tu hai detto. Signore, “Senza di me non potete far nulla” (Giovanni 15:5). Insegnami, quindi, di Te stesso. Per questo motivo ho osato, come la sorella del Tuo amico Lazzaro (cfr. Luca 10:39), sedermi ai Tuoi piedi purissimi, così che anch’io possa sentire attraverso il mio intelletto , se non della Tua incomprensibile divinità, almeno del modo della Tua vita incarnata nel mondo. In questo modo acquisirò una certa consapevolezza del significato di ciò che nella Tua grazia hai detto nel Santo Vangelo; e di come hai abitato tra noi, “mite e umile di cuore ” (Mt 1, 29), come Tu stesso hai detto, affinché noi potessimo imparare da Te a essere gli stessi. Hai vissuto in povertà, sebbene tu sia ricco di misericordia; per la Tua libera scelta hai sopportato fatica e sete, sebbene tu abbia offerto alla donna samaritana acqua viva (cfr Gv 4, 10), e abbia detto: “Se qualcuno ha sete, venga a me e beva” (Gv 7, 37). Poiché Tu sei la fonte della guarigione, e chi può cantare inni al Tuo modo di vivere in questo mondo?

Io sono terra, cenere, polvere, un trasgressore, un suicida, che ha peccato molte volte contro di Te e continua a farlo; eppure Tu mi hai permesso di afferrare qualcosa delle Tue azioni e parole; e oso chiederTi di esse, sperando di vederTi per fede , sebbene Tu sia invisibile all’intera creazione. Perdonami la mia audacia. Perché Tu sai, Signore, Scrutatore dei cuori, che non chiedo per vana curiosità, ma cerco di imparare, credo che se sarò trovato degno della Tua conoscenza spirituale, allora nella Tua compassione Tu mi concederai, come fai a tutti coloro che desiderano ardentemente Te, la forza di imitare la Tua vita nella carne ; perché è in virtù della Tua incarnazione che io per grazia sono chiamato Cristiano. Sebbene, a differenza dei tuoi discepoli, nessuno di noi sia capace di sopportare la morte per amore dei suoi nemici, o di acquisire la povertà e la virtù che Tu e loro possedevate, tuttavia ognuno di noi fa ciò che può secondo la forza della sua risoluzione. Perché anche se dovessimo morire per amor tuo ogni giorno, non potremmo comunque ripagarti ciò che ti dobbiamo. Perché tu, Signore, essendo perfetto Dio e perfetto uomo, hai vissuto in questo mondo senza peccato e hai sopportato ogni cosa per conto nostro; mentre noi, anche se sopportiamo qualcosa, soffriamo per conto nostro e per i nostri peccati. Chi non si stupisce quando pensa alla tua inesprimibile auto-umiliazione? Perché sei Dio, imperscrutabile, onnipotente e governante di tutte le cose, intronizzato sopra i cherubini – che sono figure di sapienza nella sua molteplicità – per conto nostro, che abbiamo provocato la tua ira fin dall’inizio. Ti sei umiliato, accettando di nascere e crescere tra noi. Hai sopportato persecuzioni, lapidazioni, scherni, insulti, schiaffi e percosse, scherni e sputi, poi la Croce e i chiodi, la spugna e la canna, l’aceto e il fiele, e tutto il resto di cui sono indegno di sentire parlare. Poi una lancia trafisse il Tuo costato purissimo, e da questa ferita hai versato per noi la vita eterna: il Tuo prezioso sangue e la Tua acqua.

Io inno alla Tua nascita e a colei che Ti ha dato alla luce: colei che Tu hai preservato vergine dopo aver partorito com’era prima di partorire. Ti adoro nella grotta, fasciato nella mangiatoia. Ti glorifico, che sei sceso in Egitto con la Tua Madre verginale e purissima; che hai vissuto a Nazareth in obbedienza ai Tuoi genitori mortali. Il Tuo padre putativo e la Tua vera madre. Io inno a Te, battezzato nel Giordano da Giovanni il Precursore: Te, Signore, e Tuo Padre che ti ha reso testimonianza, e il Tuo Santo Spirito che ti ha manifestato. Io inno al Tuo battesimo e al Tuo battezzatore Giovanni, Tuo profeta e Tuo servo. Io glorifico Te che hai digiunato per noi, che hai accettato volontariamente la tentazione e hai trionfato sul nemico nel corpo che Tu hai preso da noi, dandoci la vittoria su di lui nella Tua inesprimibile saggezza. Ti glorifico perché hai vissuto insieme ai tuoi discepoli, hai purificato i lebbrosi, hai fatto stare in piedi gli storpi, hai dato luce ai ciechi, parola e udito ai muti e ai sordi; perché hai benedetto i pani e camminato sul mare come sulla terraferma, hai insegnato alle folle la pratica delle virtù e la contemplazione , hai proclamato il Padre e lo Spirito Santo, hai predetto le minacce e le promesse a venire e hai parlato di tutto ciò che ci porta alla salvezza. Ti lodo che hai già sconfitto il nemico; che sradichi le passioni dalle radici con il tuo saggio insegnamento; che rendi saggi gli stolti e rovesci gli idioti astuti con la tua sconfinata saggezza; che risusciti i morti con la tua inesprimibile potenza e scacci i demoni con la tua autorità di Dio di tutti. E non solo fai queste cose nella tua persona, ma dai ai tuoi servi il potere di fare cose ancora più grandi (cfr Gv 14,12), affinché noi possiamo stupirci ancora di più, come

Tu stesso hai detto: Grande è il tuo nome, perché per mezzo tuo i tuoi santi compiono tutti i loro miracoli.

Signore Gesù Cristo, Figlio e Logos di Dio, il nome più tenero della nostra salvezza, grande è la Tua gloria, grandi sono le Tue opere, meravigliose sono le Tue parole, ‘più dolci anche del miele e del favo’ (Sal 19:10). Gloria a Te, Signore, gloria a Te. Chi può glorificare e inneggiare alla Tua venuta nella carne ? La Tua bontà, potenza, sapienza. La Tua vita in questo mondo e il Tuo insegnamento? E come mai i Tuoi santi comandamenti ci insegnano la vita della virtù così naturalmente e così facilmente? Come hai detto Tu. Signore: ‘Perdonate e vi sarà perdonato’ (cfr. Mt 6:14); e ancora: ‘Cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto’ (Mt 7:7); e: ‘Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, fatelo anche a loro’ (Mt 7:12). Chi, avendo compreso i tuoi comandamenti e altri detti, non resterà stupito quando percepirà la tua sconfinata sapienza? Perché tu sei la sapienza di Dio, la vita di tutti, la gioia degli angeli, la luce ineffabile, la risurrezione dei morti, il buon pastore “che dà la sua vita per le pecore” (Giovanni 10: 11)1 inno alla tua trasfigurazione, crocifissione, sepoltura, risurrezione, ascensione. La tua intronizzazione alla destra di Dio Padre, la discesa dello Spirito Santo e il tuo futuro avvento, quando verrai con potenza e grande, incomprensibile gloria.

Io mi indebolisco, mio ​​Signore, di fronte alle tue meraviglie e, smarrito, desidero ardentemente rifugiarmi nel silenzio. Eppure non so cosa fare. Perché se taccio, lo stupore mi sopraffà; ma se oso dire qualcosa, resto ammutolito e rapito. Mi considero indegno del cielo e della terra, e meritevole di ogni punizione, non solo per i peccati che ho commesso, ma molto di più per le benedizioni che ho ricevuto senza che io mostri alcuna gratitudine, spregevole come sono. Perché tu, Signore, che trascendi ogni bontà, hai riempito la mia anima di ogni benedizione. Percepisco debolmente le tue opere e la mia mente è stupita. Il solo guardare ciò che è tuo mi riduce a nulla. Eppure la conoscenza non è mia, né lo sforzo, perché è la tua grazia. Perciò metterò la mia mano sulla mia bocca, come fece una volta Giobbe (cfr. Giobbe 40:4), e mi rifugerò nei tuoi santi, perché sono sconcertato.

Beata Regina dell’universo, tu sai che noi peccatori non abbiamo intimità con il Dio che hai generato. Ma, confidando in te, per tua mediazione noi tuoi servi ci prostriamo davanti al Signore: perché tu puoi liberamente avvicinarti a Lui poiché è tuo figlio e nostro Dio. Così anch’io, indegno credente che sono, ti prego, santa Regina, che mi sia concesso di percepire i doni di grazia concessi a te e agli altri santi, e di comprendere come tu mostri tante virtù. Semplicemente il tuo parto del Figlio di Dio mostra che eccelli su tutti gli altri esseri. Perché Colui che, come creatore di tutto, conosce tutte le cose prima che giungano all’esistenza, ha trovato il tuo grembo degno della sua dimora. Nessuno può interrogarti sui tuoi misteri, perché trascendono la natura, il pensiero e l’intelletto . Giustamente noi, che siamo stati salvati per mezzo di te, Vergine pura, confessiamo che sei la Madre di Dio, esaltandoti con i cori angelici. ‘ Poiché Dio, che gli uomini non possono vedere, su cui le schiere degli angeli non osano guardare, è diventato visibile agli uomini attraverso di te come il Logos fatto carne . Glorificandolo con le schiere celesti ti proclamiamo beata. E come ti chiameremo, che sei piena di grazia? Cielo, perché hai fatto risplendere il Sole di Giustizia? Paradiso, perché hai fatto spuntare il fiore dell’immortalità? Vergine, perché sei rimasta inviolata? Madre pura, perché hai tenuto nel tuo santo abbraccio il Dio di tutti? Madre di Dio, tu sei la vera vite, perché hai portato il frutto della vita. Ti supplichiamo, intercedi nella tua gloria con gli apostoli e tutti i santi, affinché Dio possa avere pietà delle nostre anime. Poiché con la vera fede confessiamo che tu sei la Madre di Dio e ti benediciamo, la sempre benedetta. Tutte le generazioni ti proclameranno beata come l’unica Madre di Dio, più onorata dei cherubini e incomparabilmente più gloriosa dei serafini.

Incapace di comprendere i misteri della Madre di Dio, mi meraviglio della vita degli altri santi e chiedo: come hai abitato? Battista e Precursore del Signore, nel deserto? Come ti chiameremo, profeta: angelo, apostolo, martire? Angelo, perché hai vissuto come se fossi incorporeo; apostolo, perché hai preso le nazioni nella tua rete; martire, perché sei stato decapitato per amore di Cristo. Prega Lui per la salvezza delle nostre anime. “La memoria dei giusti è lodata”, dice Salomone (cfr Prov 10:7. LXX); ma la testimonianza del Signore ti basta. Precursore: in verità sei stato proclamato più in onore dei profeti, perché sei stato trovato degno di battezzare colui che essi profetizzavano.

Santi apostoli e discepoli del Salvatore, testimoni oculari dei suoi misteri, voi avete annunciato Colui che nessuno può contemplare e che non ha origine, dicendo: “In principio era il Logos ” (Gv 1,1). Non foste creati prima degli angeli, né lo avete imparato dagli uomini, ma dalla sapienza che viene dall’alto. Vi preghiamo, quindi, poiché avete comunione con Dio, intercedete per le nostre anime. Mi meraviglio del vostro amore per Dio. È come dicono gli antichi tropari: “Signore, poiché gli apostoli desideravano veramente te sulla terra, consideravano tutte le cose come spazzatura, per guadagnare te solo (cfr Fil 3,8). Per te hanno consegnato i loro corpi ai supplizi e, glorificati per questo, intercedono per le nostre anime. ‘Come mai, essendo uomini come noi, e indossando carne di argilla, avete mostrato tali virtù, tanto da sopportare persino la morte per amore di coloro che vi hanno ucciso? Come, benché pochi foste, avete conquistato il mondo intero? Come, benché semplici e illetterati, avete sconfitto re e governanti? Come, benché disarmati, nudi e poveri, racchiusi in carne debole , avete sconfitto i demoni invisibili? E qual è stata la grande forza, o meglio la fede , che vi ha permesso di ricevere il potere dello Spirito Santo, voi e i santi martiri che hanno combattuto la buona battaglia e hanno ricevuto le loro corone? Apostoli, martiri, profeti, gerarchi, uomini santi, vi supplichiamo di intercedere presso Cristo affinché nella sua bontà salvi le nostre anime.

Chi non si stupisce quando vede, santi martiri, la buona battaglia che avete combattuto? Essendo nel corpo, avete vinto il nemico incorporeo, confessando Cristo e armati della Croce. In questo modo giustamente siete stati rivelati come scacciatori di demoni e nemici delle potenze barbariche. Intercedete incessantemente per la salvezza delle nostre anime. Poiché, come i tre bambini nella fornace ardente, non avete sopportato le vostre prove nella speranza di una ricompensa, ma per amore di Dio, come voi stessi avete dichiarato: “Perché anche se egli non ci libera, tuttavia non lo rinnegheremo come uno che non salva” (cfr. Dan. 3:17-18). Mi meraviglio della vostra estrema umiltà, santi figli, perché anche se eravate circondati dalle fiamme, avete dichiarato di non sapere come rendere grazie a Dio. Non c’è in questo momento nessun principe, profeta, capo o olocausto’, hai detto, ‘… ma poiché veniamo con un cuore contrito e uno spirito umile, accettaci’ (Cantico dei tre fanciulli, versetti 15-16). Mi meraviglio del potere di Dio che ti ha riempito, e che ha riempito anche il profeta Elia: come ha detto san Giovanni Damasceno: ‘Dallo Stesso hai fatto cadere la rugiada sui tuoi santi (cfr. Cantico dei tre fanciulli, versetto 27), e hai bruciato con acqua il sacrificio del Giusto (cfr. 1 Re 18:58). Perché fai tutte le cose, Cristo, semplicemente con la tua sola volontà/ Eppure cosa contemplerò per primo? Le testimonianze trovate nel Vangelo, o gli Atti degli Apostoli? Le contese dei martiri, o le lotte dei santi padri, o dei santi antichi e recenti, sia uomini che donne? Le loro vite e i loro detti, o il loro potere di interpretazione e discernimento? Sono perplesso e resto sbalordito.

Ma ti prego, Signore compassionevole, non permettere che io sia condannato a causa del modo indegno e ingrato in cui contemplo i grandi misteri che hai rivelato ai tuoi santi e attraverso di loro a me, peccatore e tuo indegno servo. Ecco, Signore, il tuo servo sta davanti a te, inerte in tutto, senza parole, come uno che è morto; e io non oso dire nulla di più o presuntuosamente contemplare oltre. Ma come sempre cado davanti a te, gridando dal profondo della mia anima e dicendo: “Maestro, ricco di misericordia. Signore Gesù Cristo…” e il resto della preghiera. (Qui dovresti meditare sulla seconda preghiera e sui salmi, vigilando sulla condotta della tua anima e del tuo corpo, così da sviluppare una disposizione recettiva ai pensieri divini. Allora sarai in grado con piena consapevolezza di comprendere tutti i misteri e i miracoli nascosti nelle Sacre Scritture. Stupito in questo modo dai doni di Dio, arriverai ad amare Lui solo e a soffrire per amor Suo con gioia, come hanno fatto tutti i santi. Perché le Sacre Scritture sono piene di cose stupefacenti, come dice Salomone.)

Insieme alle altre meraviglie, mi meraviglio della potenza di Dio che si manifestò nella manna. Infatti la manna non conservò la stessa forma fino al giorno seguente, ma si dissolse e si trovò piena di vermi (cfr. Esodo 16:20). Questo per impedire a coloro che non avevano fede di preoccuparsi del giorno dopo. Ma nella brocca che era nel tabernacolo rimase immutata (cfr. Esodo 16:32-34). Inoltre, quando veniva cotta sul fuoco, la manna non bruciava; tuttavia si scioglieva al più debole raggio di sole, così che gli avidi non ne raccogliessero più di quanto necessario per sopravvivere. Quanto meravigliosamente Dio opera ovunque per la salvezza degli uomini, come dice il Signore riguardo alla divina provvidenza: “Il Padre mio continua a operare e anch’io opero” (Gv 5:17). Chi medita riverentemente su questo è istruito esteriormente dalle Sacre Scritture e interiormente dalla divina provvidenza. Egli comincia a vedere le cose come sono nella loro vera natura, come dicono san Gregorio di Nissa e san Giovanni Damasceno. Non è più ingannato dall’attrattiva esteriore delle cose di questo mondo, come la bellezza fisica, la ricchezza, la gloria transitoria e così via; né è sedotto dalle ombre che proiettano, come lo sono coloro che sono ancora soggetti alle passioni.

La quinta fase della contemplazione

Attraverso il quinto stadio della contemplazione , quello chiamato “consiglio” dal profeta (cfr. Is 11,2), si giunge a comprendere, come indica l’ultima Beatitudine, la natura mutevole delle cose create visibili: come esse derivino dalla terra e ritornino di nuovo alla terra, confermando così le parole dell’Ecclesiaste: “Vanità delle vanità; tutto è vanità” (Eccl. 1,2). Lo stesso dice san Giovanni Damasceno: “Tutte le cose umane, tutto ciò che non esiste dopo la morte, sono vanità. Le ricchezze svaniscono, la gloria ci abbandona. Quando giunge la morte, tutte queste cose scompaiono”. E ancora. In verità tutte le cose sono vanità; la vita non è che un’ombra e un sogno, e ogni uomo nato dalla terra si affanna invano, come dicono le Scritture (cfr. Sal 39,6. LXX). Quando avremo guadagnato il mondo intero saremo nella tomba, dove re e povero sono una cosa sola.

La sesta fase della contemplazione

Quando una persona ha acquisito l’abitudine del distacco, allora le viene concesso l’accesso al sesto stadio della contemplazione , quello noto come ‘forza’ (cfr Is 1 1,2). In questo stadio si comincia a guardare senza passione la bellezza delle cose create.

Ci sono tre categorie di pensiero : umano, demoniaco e angelico. Il pensiero umano consiste nella concezione astratta, che sorge nel cuore , di qualche cosa creata, come un uomo, o l’oro, o qualche altro oggetto sensibile. Il pensiero demoniaco consiste in un’immagine concettuale composta da passione . Si pensa, ad esempio, a un essere umano, ma questo pensiero è accompagnato da affetto insensato, vale a dire, dal desiderio di una relazione non benedetta da Dio ma che implica impudicizia; oppure è accompagnato da odio irragionevole, vale a dire, da rancore o dispetto. Ancora, si pensa all’oro avidamente o con l’intenzione di rubarlo o impossessarsene; oppure si è spinti all’odio e alla bestemmia contro le opere di Dio, causando così la propria perdizione. Perché se non amiamo le cose come dovrebbero essere amate, ma le amiamo più di quanto amiamo Dio, allora non siamo diversi dagli idolatri, come dice San Massimo. Ma se, d’altro canto, odiamo e disprezziamo le cose, non riuscendo a percepire che sono state create “tutta buona e bella” (Gen. 1:31), provochiamo l’ira di Dio.

Il pensiero angelico , infine, consiste nella contemplazione spassionata delle cose, che è la conoscenza spirituale vera e propria. È il punto intermedio tra due precipizi, che protegge l’ intelletto e gli consente di distinguere tra il suo vero obiettivo e le sei insidie ​​diaboliche che lo minacciano. Queste insidie ​​si trovano sopra e sotto, a destra e a sinistra, e sul lato vicino e sul lato lontano del vero obiettivo dell’intelletto . Quindi la conoscenza spirituale vera e propria sta come se fosse al centro, circondata da queste insidie. È la conoscenza insegnata da quegli angeli terreni che si sono resi morti al mondo, così che il loro intelletto è diventato spassionato e quindi vede le cose come dovrebbe. In questo modo, l’ intelletto non va oltre il suo vero obiettivo per orgoglio o autostima, pensando di comprendere le cose semplicemente attraverso il suo potere di pensiero ; né cade al di sotto del suo vero obiettivo, impedito dall’ignoranza di raggiungere la perfezione. Non vira a destra rifiutando e odiando le cose create, o a sinistra attraverso un affetto insensato per esse e un attaccamento a esse. Non rimane sul lato vicino del suo vero obiettivo a causa della sua totale ignoranza e pigrizia, né sconfina nel suo lato più lontano, allettato dallo spirito di intromissione e curiosità insensata che nasce dal disprezzo o dalla malizia. Piuttosto, accetta la conoscenza spirituale con pazienza, umiltà e la speranza che nasce da una fede profonda . In questo modo, attraverso la sua conoscenza parziale delle cose, l’ intelletto è condotto verso l’alto verso l’amore divino. Ma, anche se possiede una certa conoscenza, è consapevole di essere ancora ignorante; e questa consapevolezza lo mantiene in uno stato di umiltà. Così attraverso la speranza e la fede persistenti raggiunge il suo obiettivo, senza odiare nulla completamente come male, o amare nulla oltre misura.

Dovremmo guardare l’uomo con meraviglia, consapevoli che il suo intelletto , essendo infinito, è l’immagine del Dio invisibile; e che anche se è limitato per un tempo dal corpo, come dice San Basilio, può abbracciare ogni forma, proprio come la provvidenza di Dio abbraccia l’intero universo. Perché l’ intelletto ha la capacità di trasformarsi in ogni cosa, ed è tinto con la forma dell’oggetto che apprende. Ma quando è assunto in Dio, che è senza forma e senza forma, diventa esso stesso senza forma e senza immagine. Allora dovremmo meravigliarci di come l’ intelletto possa conservare qualsiasi pensiero o idea, e di come un pensiero precedente non abbia bisogno di essere modificato da pensieri successivi, o un pensiero successivo danneggiato da quelli precedenti. Al contrario, la mente come una stanza del tesoro immagazzina instancabilmente tutti i pensieri. E questi pensieri, siano essi nuovi o a lungo tenuti in serbo, l’ intelletto quando lo desidera può esprimerli nel linguaggio; tuttavia, sebbene le parole provengano sempre da esso, non è mai esaurito.

Quando giungiamo a considerare il corpo, dovremmo meravigliarci del modo in cui occhi, orecchie e lingua sono usati esternamente secondo il desiderio dell’anima, occhi attraverso il mezzo della luce, e orecchie e lingua attraverso il mezzo dell’aria; e come nessun senso impedisca uno degli altri o possa fare qualcosa che l’anima non intenda. Dovremmo anche meravigliarci di come il corpo, che non è il suo principio animatore, sia, al comando di Dio, mescolato con l’ anima noetica e deiforme, creato dallo Spirito Santo che gli soffia la vita (cfr Gen. 2:7), come dice San Giovanni Damasceno. Tuttavia è sbagliato pensare, come alcuni fanno, che l’anima sia un’emanazione della Divinità sopraessenziale, perché questo è impossibile. Come dice San Giovanni Giovanni Crisostomo, “Per impedire all’intelletto umano di pensare di essere Dio, Dio lo ha sottoposto all’ignoranza e all’oblio, affinché in questo modo possa acquisire umiltà”. Egli dice anche che il Creatore ha voluto che ci fosse una separazione in questa naturale mescolanza di anima e corpo. L’anima deiforme, come dice san Giovanni Klimakos, o ascende verso l’alto in cielo, o scende verso l’Ade, mentre il corpo terreno ritorna alla terra da cui è stato tratto. Ma attraverso la grazia del nostro Salvatore Gesù Cristo questi due elementi separati sono di nuovo uniti insieme alla sua seconda venuta, così che ognuno di noi possa ricevere la dovuta ricompensa per le sue opere. Chi può afferrare solo un barlume di questo mistero senza essere stupito? Dio solleva di nuovo l’uomo dalla terra dopo che ha commesso così tanti crimini terribili, disprezzando i comandamenti divini, e conferisce all’uomo la stessa immortalità che possedeva originariamente, anche se l’uomo ha disobbedito al comandamento che lo preserva dalla morte e dalla corruzione, e nella sua arroganza ha attirato la morte su di sé.

Illuminato spiritualmente attraverso l’ispirazione angelica, l’uomo si meraviglia di queste e di molte altre cose riguardanti la natura umana. Ancora, egli contempla la bellezza e l’uso dell’oro, e si meraviglia di come una cosa del genere sia uscita dalla terra per amor nostro, così che i deboli possano distribuire la loro ricchezza in atti di carità, mentre coloro che non sono disposti a esercitare tale carità sono aiutati a farlo da varie prove non ricercate che, finché sono accettate con gratitudine, conducono alla salvezza. Così entrambi i gruppi sono salvati. Coloro, tuttavia, che scelgono di liberarsi di tutti i loro beni saranno incoronati di gloria, perché – come coloro che vivono nella verginità – realizzano ciò che trascende la natura. Nella misura in cui l’oro è una cosa deperibile e terrena, non è da preferire ai comandamenti di Dio; tuttavia, come qualcosa creato da Dio e utile per la vita corporea e per la salvezza, merita, non il nostro odio, ma il nostro amore e autocontrollo.

Contemplando così spassionatamente la bellezza e l’utilità di ogni cosa, colui che è illuminato è colmo di amore per il Creatore. Egli osserva tutte le cose visibili nei mondi superiori e inferiori: il cielo, il sole, la luna, le stelle e le nuvole, le trombe d’acqua e la pioggia, la neve e la grandine, come i liquidi si coagulano sotto un caldo intenso, il tuono, il fulmine, i venti e le brezze e il modo in cui cambiano, le stagioni, gli anni, i giorni, le notti, le ore, i minuti, la terra, il mare, le innumerevoli greggi, gli animali a quattro zampe, le bestie selvatiche e i rettili, tutti i tipi di uccelli, le sorgenti e i fiumi, le numerose varietà di piante ed erbe, sia selvatiche che coltivate. Egli vede in tutte le cose l’ordine, l’equilibrio, la proporzione, la bellezza, il ritmo, l’unione, l’armonia, l’utilità, la concordanza, la varietà, la piacevolezza, la stabilità, il movimento, i colori, le forme, il ritorno delle cose alla loro fonte, la permanenza in mezzo alla corruzione.

Contemplando così tutte le realtà create, egli è pieno di meraviglia. Si meraviglia di come il Creatore con un semplice comando abbia fatto uscire i quattro elementi dal nulla; di come, in virtù della Sua sapienza, gli opposti non si distruggano a vicenda; e di come dai quattro elementi Dio abbia creato tutte le cose per il nostro bene. Eppure, come dice san Gregorio il Teologo, queste cose sono insignificanti in confronto all’incarnazione di Cristo e alle benedizioni a venire. Percepisce anche come la bontà e la sapienza di Dio. La Sua forza e la Sua previdenza, che sono nascoste nelle cose create, siano portate alla luce dai poteri artistici dell’uomo. È come Dio stesso disse a Giobbe (cfr Giobbe 12:13). Similmente vede come per mezzo di parole e lettere – attraverso frammenti di inchiostro inanimato – Dio ci abbia rivelato così grandi misteri nelle Sacre Scritture; e come, ancora più meravigliosamente, i santi profeti e apostoli abbiano ottenuto tali benedizioni attraverso il loro grande lavoro e amore per Dio, mentre noi possiamo imparare su queste questioni semplicemente leggendo. Poiché, ispirate dal Logos , le Scritture ci parlano delle cose più sorprendenti.

Chi è consapevole di tutto questo riconosce che non c’è nulla di accidentale o di malvagio nella creazione, e che persino ciò che avviene contro la volontà di Dio è miracolosamente trasformato da Dio in qualcosa di buono. Ad esempio, la caduta del diavolo non era la volontà di Dio, eppure è stata trasformata a vantaggio di coloro che vengono salvati. Perché al diavolo è permesso di tentare gli eletti – secondo la forza di ciascuno, come dice Sant’Isacco – in modo che possa essere deriso e, con l’aiuto di Dio, sconfitto da loro. E queste persone, che hanno raggiunto l’uguaglianza con gli angeli, includono non molti uomini, ma anche un gran numero di donne. A causa della loro paziente sopportazione e fede nel Giudice divino ricevono, per la Sua grazia e compassione, corone di immortalità: perché Dio ha sconfitto e continua a sconfiggere il serpente omicida e insolente.

Chi ha ricevuto la grazia della conoscenza spirituale sa che tutte le cose sono “totalmente buone e belle” (Gen. 1:31); ma chi possiede solo i primi barlumi di tale conoscenza dovrebbe riconoscere in tutta umiltà di essere ignorante e, come consiglia San Giovanni Crisostomo, dovrebbe ammettere in ogni occasione: “Non lo so”. Perché, come dice Giovanni Crisostomo, “se qualcuno afferma che l’altezza del cielo è tale e tale, e io dico che non lo so, almeno ho detto la verità, mentre l’altra persona è ingannata nel pensare di sapere mentre in realtà non sa, come dice San Paolo” (cfr I Cor. 8:2). È per questo motivo che con fede ferma e interrogando coloro che hanno esperienza dovremmo accettare le dottrine della Chiesa e le decisioni dei suoi maestri, sia riguardo alle Sacre Scritture che riguardo al mondo sensibile e spirituale. Altrimenti potremmo rapidamente cadere perché camminiamo secondo la nostra comprensione, come dice San Doroteo. Dobbiamo ammettere la nostra ignoranza in ogni cosa, così che attraverso la ricerca e la diffidenza nelle nostre opinioni possiamo aspirare a imparare e, nonostante lo smarrimento e la grande conoscenza, possiamo renderci conto della nostra ignoranza attraverso il riconoscimento dell’infinita saggezza di Dio.

L’ intelletto , essendo spirituale, è capace di ogni percezione spirituale quando si purifica per Dio, secondo San Gregorio il Teologo. Tuttavia dovremmo considerare tale conoscenza con la massima apprensione, affinché non vi sia nascosta nella nostra anima una sola dottrina malvagia in grado di distruggerla senza che commettiamo alcun altro peccato , come dice San Basilio il Grande. Per questo motivo non dovremmo cercare, attraverso disprezzo o zelo arrogante, di raggiungere prematuramente questo tipo di conoscenza contemplativa; piuttosto dovremmo praticare i comandamenti di Cristo nel dovuto ordine e procedere senza distrazioni attraverso i vari stadi di contemplazione precedentemente discussi. Una volta che abbiamo purificato l’anima attraverso la paziente sopportazione e con lacrime di paura e dolore interiore, e abbiamo raggiunto lo stato di vedere la vera natura delle cose, allora – iniziato spiritualmente dagli angeli – l’ intelletto raggiunge spontaneamente questa conoscenza contemplativa.

Ma se una persona è presuntuosa e cerca di raggiungere il secondo stadio prima di aver raggiunto il primo, allora non solo non riuscirà a conformarsi al proposito di Dio, ma provocherà molte battaglie contro se stessa, in particolare attraverso speculazioni sulla natura dell’uomo, come abbiamo imparato nel caso di Adamo. Coloro che sono ancora soggetti alle passioni non guadagnano nulla tentando di agire o pensare come se fossero impassibili: il cibo solido non è buono per i bambini, anche se è eccellente per gli adulti (cfr Eb 5:14). Piuttosto dovrebbero esercitare discriminazione , desiderando ardentemente di agire e pensare come gli impassibili, ma trattenendosi, come se fossero indegni. Tuttavia, quando la grazia giunge, non dovrebbero rifiutarla per disperazione o pigrizia, né dovrebbero presuntuosamente chiedere qualcosa prematuramente, per timore che cercando ciò che ha il suo tempo prima che quel tempo sia giunto, come dice San Giovanni Klimakos, non riescano a ottenerlo al suo tempo e cadano nell’illusione , forse al di là dell’aiuto dell’uomo o delle Scritture.

Se lo scopo di una persona è fissato in Dio con tutta umiltà e sopporta pazientemente le prove che gli vengono incontro, Dio risolverà per lui ogni questione che lo lascia perplesso e forse lo porta persino all’illusione . Quindi, grandemente vergognoso ma pieno di gioia, torna indietro, cercando la via dei padri. Perché, come afferma San Giovanni Klimakos, dovremmo considerare ciò che accade secondo la volontà di Dio, e nient’altro, come proveniente dalla grazia per il nostro bene, anche se in sé non è molto buono. Senza tale pazienza e umiltà una persona soffrirà ciò che molti hanno sofferto, perendo nella loro stupidità, confidando nelle proprie opinioni e pensando di potercela fare molto bene senza una guida o l’esperienza che deriva dalla pazienza e dall’umiltà. Perché l’esperienza trascende la tribolazione, le prove e persino la guerra attiva. Se una persona esperta dovesse essere soggetta a qualche leggero attacco da parte dei demoni, questa prova sarà per lei una fonte di grande gioia e profitto; perché ciò è permesso da Dio affinché egli possa acquisire ancora più esperienza e coraggio nell’affrontare i suoi nemici.

I segni che ha fatto questo sono le lacrime, la contrizione dell’anima davanti a Dio, la fuga nella quiete e il paziente ricorso a Dio, una diligente ricerca nelle Scritture e un desiderio , basato sulla fede , di realizzare il proposito di Dio. Quando, d’altra parte, una persona manca di pazienza e umiltà, i segni di ciò sono il dubbio riguardo all’aiuto di Dio, la vergogna di porre domande umilmente, l’evitamento della quiete e della lettura della Scrittura, un amore per la distrazione e la compagnia umana, con l’idea – del tutto fuorviante – che si raggiungerà uno stato di riposo in questo modo. Al contrario, è ora che le passioni trovano un’opportunità per mettere radici e che le prove e le tentazioni si rafforzano, mentre la propria pusillanimità, ingratitudine e apatia aumentano a causa della propria abbondante ignoranza.

Le prove imposte dai padri spirituali per disciplinare e istruire i loro figli spirituali sono una cosa; ma le prove portate dai nostri nemici per la nostra distruzione sono un’altra. Ciò è particolarmente vero quando siamo ingannati dall’orgoglio; perché “Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili” (cfr. Giac. 4:6; Prov. 3:34. LXX). Ogni tribolazione che accettiamo pazientemente è buona e proficua; ma se non l’accettiamo pazientemente, ci allontana da Dio e non serve a nessuno scopo utile. Quando ciò accade, c’è una sola cura: l’umiltà. L’uomo umile censura e incolpa se stesso e nessun altro quando soffre l’afflizione. Di conseguenza, attende pazientemente che Dio lo liberi, e quando ciò accade gioisce e sopporta con gratitudine qualsiasi cosa accada; e attraverso la sua esperienza di queste cose acquisisce conoscenza spirituale. Riconoscendo la propria ignoranza e debolezza, egli cerca diligentemente il Medico e, cercando, lo trova, come Cristo stesso ha detto (cfr Mt 7,8). Avendo trovato Dio, lo desidera; e più lui desidera, più Dio desidera lui. Quindi, purificandosi il più possibile, si sforza di fare spazio in sé all’Amato che desidera. E l’Amato che desidera, trovando spazio per sé in quest’uomo, prende dimora lì, come dice il Gerontikon. Abitando lì. Egli protegge la sua casa e la riempie di luce. E la persona così piena di luce conosce e, conoscendo, è conosciuta, come dice san Giovanni Damasceno.

In tutto questo, e in quanto è stato detto sopra, si dovrebbe mantenere un ordine appropriato, e si dovrebbe lavorare su ciò che si capisce. Per ciò che non si può capire si dovrebbe ringraziare in silenzio, come dice Sant’Isacco, ma non si dovrebbe presumere presuntuosamente di averlo capito. E Sant’Isacco, prendendo a prestito le sue parole dal Siracide, dice anche: “Quando trovi il miele, mangia moderatamente, perché esagerando non ti ammali” (cfr. Prov. 25:16). Come dice San Gregorio il Teologo, ” La contemplazione incontrollata può ben spingerci oltre il limite, quando cerchiamo ciò che è al di là delle nostre forze e non siamo disposti a dire: “Dio lo sa; ma chi sono io?” E come osserva San Basilio, dobbiamo credere che Colui che ha creato le montagne e i grandi mostri marini ha anche scavato il pungiglione dell’ape.

Così colui che è abbastanza forte da raggiungere la comprensione apprende lo spirituale dal sensibile, e l’invisibile e l’eterno da ciò che è visibile e transitorio. Avendo afferrato, attraverso la grazia, una conoscenza dei poteri superiori, vede che un singolo uomo giusto vale più del mondo intero. “Considerate quante lingue e nazioni eccelle l’uomo giusto”, dice San Giovanni Crisostomo. “Tuttavia un angelo è più grande dell’uomo, e la visione di un singolo angelo è sufficiente a riempirci di stupore. Ricordate cosa accadde a Daniele, l’uguale degli angeli, quando vide l’angelo” (cfr. Dan. 10:5-21).

La settima fase della contemplazione

Una persona a cui è stata data la grazia di raggiungere il settimo stadio della contemplazione si meraviglia della moltitudine di poteri incorporei: autorità, troni, domini, serafini e cherabini, i nove ordini menzionati in tutte le divine Scritture, la cui natura, potere e altre buone qualità, così come la loro disposizione gerarchica, sono note a Dio loro Creatore. Ma le schiere celesti hanno anche altri ranghi, di cui parla San Giovanni Crisostomo. Egli dice che le parole “Signore degli Sabaoth” significano “Signore dei poteri celesti”, e che questi poteri si trasmettono l’illuminazione l’uno all’altro. Gli angeli, dice, illuminano l’uomo, mentre a loro volta sono illuminati dagli arcangeli; questi sono illuminati dai principati. Così ogni ordine riceve illuminazione e conoscenza dall’altro. Ci dice anche che l’umanità costituisce, per così dire, una sola pecora, perduta non da Dio ma per sua scelta, e che le altre novantanove pecore sono gli ordini degli angeli (cfr Mt 18,12-14).

Considerando la saggezza e il potere del Creatore e come Egli abbia prodotto tali molteplici stati dell’essere semplicemente convocandoli all’esistenza, San Gregorio il Teologo afferma che Dio ha concepito prima i poteri angelici e poi gli stati successivi a loro. Come afferma Sant’Isacco, passando spiritualmente oltre la soglia, cioè oltre il velo del tempio, si diventa immateriali. La parte esterna del tempio rappresenta questo mondo; il velo o la soglia rappresentano il firmamento del cielo; il sancta sanctorum rappresenta il regno sovracosmico dove i poteri incorporei e immateriali inneggiano incessantemente a Dio e intercedono per noi, come afferma Sant’Atanasio il Grande. In quel regno i pensieri sono in pace e si diventa figli di Dio per grazia, iniziati ai misteri nascosti nelle Sacre Scritture, come afferma San Giovanni Damasceno: “Il velo divino del tempio fu squarciato dalla Croce del Creatore, rivelando ai fedeli la verità nascosta sotto il senso letterale della Scrittura; e gridano: Dio dei nostri padri, benedetto sei tu.’ Come dice san Cosma l’Innografo, ‘Quando il primo uomo assaggiò l’albero, fu commutato con la corruzione: cacciato ignobilmente dalla vita e con un corpo soggetto alla corruzione, trasmise questa punizione a tutta l’umanità. Ma noi, nati dalla terra, restaurati attraverso il legno della Croce, gridiamo ad alta voce: Benedetto sei tu e lodato sopra tutti per sempre.’

L’ottava fase della contemplazione

Attraverso l’ottavo stadio della contemplazione siamo condotti verso l’alto alla visione di ciò che appartiene a Dio per mezzo del secondo tipo di preghiera, la preghiera pura propria del contemplativo. In essa l’intelletto è colto durante il trasporto della preghiera da un desiderio divino, e non sa più nulla di questo mondo, come confermano sia San Massimo che San Giovanni Damasceno. Non solo l’ intelletto dimentica tutte le cose, ma dimentica anche se stesso. Evagrio dice che finché l’ intelletto è ancora cosciente di sé, dimora, non solo in Dio, ma anche in se stesso. Secondo San Massimo, è solo quando dimora solo in Dio che gli viene concessa la visione diretta di ciò che appartiene a Dio e, attraverso l’inabitazione dello Spirito Santo, diventa nel vero senso un teologo.

Nella nostra ignoranza, tuttavia, non dovremmo identificare Dio in Sé con i Suoi attributi divini, come la Sua bontà, generosità, giustizia, santità, luce, fuoco, essere, natura, potenza, saggezza e gli altri di cui parla San Dionigi l’Areopagita. Dio in Sé non è tra nessuna delle cose che l’ intelletto è capace di definire, perché è indeterminato e indeterminabile. In teologia possiamo parlare degli attributi di Dio ma non di Dio in Sé, come spiega San Dionigi a San Timoteo, invocando San Ieroteo come testimone. È infatti più corretto parlare di Dio in Sé come imperscrutabile, imperscrutabile, inesplicabile, come tutto ciò che è impossibile definire. Perché Egli è al di là dell’intelletto e del pensiero , ed è noto solo a Sé, un Dio in tre ipostasi, senza origine, senza fine, al di là della bontà, al di sopra di ogni lode. Tutto ciò che è detto di Dio nella Scrittura divina è detto con questo senso della nostra inadeguatezza: sebbene possiamo sapere che Dio è, non possiamo sapere cosa sia; perché in Sé stesso è incomprensibile a ogni essere dotato di intelletto e ragione .

Lo stesso vale per l’incarnazione del Figlio di Dio e per l’unione ipostatica, come dice san Cirillo. Non possiamo che meravigliarci del modo in cui la carne che Egli ha assunto da noi è assunta nella Sua divinità, come dice san Basilio il Grande. L’unione è come quella del fuoco e del ferro, ed è su questo modello che dobbiamo concepire le due nature nell’unica persona di Cristo. Come dice san Giovanni Damasceno nel suo inno alla Madre di Dio: ‘O santissima Signora, hai dato alla luce il Dio incarnato come un’unica ipostasi in due nature; e a Lui tutti cantiamo: Benedetto sei tu, Dio’. E ancora: ‘Senza cambiare. Colui che è al di là della determinazione era in te, tutta santa Signora, unito ipostaticamente alla nostra carne ; perché Egli è compassionevole e Lui solo è benedetto’.

Che non ci sono contraddizioni nella Sacra Scrittura

Ogni volta che una persona anche leggermente illuminata legge le Scritture o canta i salmi, trova in esse materia di contemplazione e teologia , un testo che ne sostiene un altro. Ma colui il cui intelletto è ancora poco illuminato pensa che le Sacre Scritture siano contraddittorie. Eppure non c’è contraddizione nelle Sacre Scritture: Dio non voglia che ci sia. Perché alcuni testi sono confermati da altri, mentre alcuni sono stati scritti con riferimento a un tempo particolare o a una persona particolare. Quindi ogni parola della Scrittura è al di sopra di ogni rimprovero. L’apparenza di contraddizione è dovuta alla nostra ignoranza. Non dovremmo trovare difetti nelle Scritture, ma al limite delle nostre capacità dovremmo prestare attenzione a loro come sono, e non come vorremmo che fossero, alla maniera dei Greci e degli Ebrei. Perché i Greci e gli Ebrei si rifiutavano di ammettere di non capire, ma per presunzione e autocompiacimento trovavano difetti nelle Scritture e nell’ordine naturale delle cose, e le interpretavano come ritenevano opportuno e non secondo la volontà di Dio. Di conseguenza, furono indotti nell’illusione e si abbandonarono a ogni sorta di male.

La persona che cerca il significato delle Scritture non avanzerà la propria opinione, buona o cattiva; ma, come hanno detto San Basilio il Grande e San Giovanni Crisostomo, prenderà come suo maestro, non l’apprendimento di questo mondo, ma la Sacra Scrittura stessa. Quindi, se il suo cuore è puro e Dio vi mette qualcosa di non premeditato, lo accetterà, a patto che possa trovarne conferma nelle Scritture, come dice Sant’Antonio il Grande. Perché Sant’Isacco dice che i pensieri che entrano spontaneamente e senza premeditazione negli intelletti di coloro che perseguono una vita di quiete devono essere accettati; ma che investigare e poi trarre le proprie conclusioni è un atto di volontà propria e si traduce in conoscenza materiale.

Ciò è particolarmente vero se una persona non si avvicina alle Scritture attraverso la porta dell’umiltà ma, come dice san Giovanni Crisostomo, sale in un altro modo, come un ladro (cfr Gv 10,1), e le costringe ad accordarsi con la sua allegorizzazione. Infatti nessuno è più stolto di colui che forza il significato delle Scritture o le critica per dimostrare la propria conoscenza, o meglio, la propria ignoranza. Quale tipo di conoscenza può derivare dall’adattare il significato delle Scritture ai propri gusti e dall’osare di alterarne le parole? Il vero saggio è colui che considera il testo come autorevole e scopre, attraverso la sapienza dello Spirito, i misteri nascosti di cui le divine Scritture rendono testimonianza.

I tre grandi luminari, san Basilio Magno, san Gregorio il Teologo e san Giovanni Crisostomo, sono esempi eccezionali di questo: si basano o sul testo particolare che stanno considerando o su qualche altro passaggio della Scrittura. Quindi nessuno può contraddirli, perché non adducono un sostegno esterno per ciò che dicono, così che si potrebbe sostenere che fosse semplicemente la loro opinione, ma si riferiscono direttamente al testo in discussione o a qualche altro passaggio della Scrittura che lo illumina. E in questo hanno ragione; perché ciò che capiscono ed espongono proviene dallo Spirito Santo, della cui ispirazione sono stati trovati degni. Nessuno, quindi, dovrebbe fare o acconsentire mentalmente a qualcosa la cui integrità è in dubbio e non può essere attestata dalla Scrittura. Perché che senso ha rifiutare qualcosa la cui integrità la Scrittura attesta chiaramente come conforme alla volontà di Dio, per fare qualcos’altro, buono o no? Solo la passione potrebbe provocare un simile comportamento.

La classificazione della preghiera secondo gli otto stadi della contemplazione

Per quanto riguarda i primi quattro degli otto stadi della contemplazione , dovremmo recitare quotidianamente le preghiere scritte tradizionali; per quanto riguarda gli ultimi quattro, come San Filimone dovremmo pronunciare continuamente le parole “Signore, abbi pietà”, mantenendo il nostro intelletto completamente libero dai pensieri. Coloro che sono avanzati sulla via spirituale dovrebbero dirigere il loro intelletto ora alla contemplazione delle realtà sensibili, e ora alla cognizione delle realtà intelligibili e a ciò che è senza forma; ora al significato di qualche passaggio delle Scritture, e ora alla pura preghiera. A livello corporeo dovrebbero impegnarsi a volte nella lettura, a volte nella preghiera, a volte nel versare lacrime per il proprio stato o, per “simpatia divinamente ispirata, per conto degli altri; o dovrebbero intraprendere qualche compito per assistere qualcuno che non sta bene mentalmente o fisicamente.

Così in ogni momento compiranno l’opera degli angeli, senza mai preoccuparsi delle cose di questo mondo. Perché Dio, che li ha scelti, che li ha messi da parte per essere i suoi compagni, e ha concesso loro questo modo di vivere e questa libertà dall’ansia, si prenderà cura di loro e li nutrirà nell’anima e nel corpo: “Getta sul Signore il tuo peso, ed egli ti nutrirà” (Sal 55:22. LXX). Quanto più ripongono la loro speranza nel Signore riguardo a tutte le cose che li riguardano, sia dell’anima che del corpo, tanto più scopriranno che il Signore provvede a loro. Alla fine si considereranno inferiori a tutte le altre creature a causa dei molti doni di Dio, visibili e invisibili, elargiti sia all’anima che al corpo. Così grande cresce il loro debito che non possono sentirsi orgogliosi di nulla a causa della loro vergogna per la generosità di Dio. Quanto più gli rendono grazie e cercano di impegnarsi con tutte le loro forze per il suo amore, tanto più Dio si avvicina a loro attraverso i suoi doni e desidera riempirli di pace, facendo sì che apprezzino la quiete e la povertà volontaria più di tutti i regni di questa terra, senza neppure tener conto di alcuna ricompensa nel mondo a venire.

I santi martiri soffrirono quando furono tormentati dai loro nemici, ma il loro desiderio del regno e il loro amore per Dio sconfissero il dolore. Considerarono persino la forza che era stata data loro per sconfiggere i loro nemici come un’ulteriore grande benedizione che si aggiungeva ai loro debiti. Di conseguenza, quando furono trovati degni di sopportare la morte per amore di Cristo, in molti casi avevano perso ogni senso del dolore. Allo stesso modo i santi padri all’inizio si sforzarono con forza in molte forme di ascetismo, così come nella loro guerra contro gli spiriti del male; ma il loro desiderio e la loro aspirazione allo stato di impassibilità furono trionfanti.

Dopo le sue lotte, la persona che raggiunge lo stato di distacco è liberata da ogni preoccupazione e ansia, perché ha conquistato le passioni. Una persona ancora soggetta alle passioni può anche pensare che tutto vada bene, ma lo fa semplicemente a causa della sua cecità. È solo il contendente spirituale che vuole conquistare le passioni ma scopre di non poterlo fare che soffre tribolazione e guerra. A volte Dio permette che una persona in questa situazione venga sconfitta dai suoi nemici in modo che possa acquisire umiltà. Per questo motivo dovrebbe riconoscere la propria debolezza e fuggire vigorosamente da ciò che lo danneggia, in modo da dimenticare le sue precedenti abitudini. Perché se uno non si sottrae alla distrazione e non acquisisce completa quiete, non sarà mai distaccato nei confronti di nulla, o sarà sempre in grado di dire ciò che è giusto e buono. In breve, questa totale fuga dalla distrazione è di primaria importanza in tutte le cose, se non si vuole essere trascinati indietro dalle proprie precedenti abitudini. Ma nessuno, sentendo parlare di umiltà, imparzialità e altre cose simili, pensi nella sua ignoranza di possederle. Dovrebbe cercare i segni di queste cose in se stesso e vedere se può trovarli. Questi sono i segni dell’umiltà: quando si possiede ogni virtù del corpo e dell’anima, considerarsi tanto più debitori a Dio perché, sebbene indegni, si è ricevuto così tanto per grazia; quando si è tentati o tentati dai demoni o dagli uomini, considerarsi meritevoli di tali cose – e molto di più – in modo che una piccola parte del proprio debito possa essere tolta e si possa trovare una certa mitigazione della punizione che ci si aspetta nel giorno del giudizio; quando non si soffre alcuna di tali prove, essere estremamente turbati e afflitti e cercare un modo in cui esercitarsi con maggiore forza; quando si ottiene questo, di nuovo prenderlo come un dono da Dio e così umiliarsi ulteriormente; e, non scoprendo nulla da dare a Dio in cambio, continuare a lavorare e considerarsi tanto più debitori.

Impassibilità

Questo, sicuramente, è il segno del distacco ; rimanere calmi e senza paura in tutte le cose perché si è ricevuta per grazia di Dio la forza di fare qualsiasi cosa, come dice San Paolo (cfr Fil 4, 13). Una persona del genere è totalmente indifferente alla sua vita materiale, ma si sforza in lavori ascetici con tutta la forza che può, e così raggiunge uno stato di riposo. Pieno di gratitudine, si sforza ancora più forzatamente, trovandosi così sempre impegnato in battaglia e trionfando con l’aiuto dell’umiltà. È con questo mezzo che una persona avanza; perché, come dice Sant’Isacco, le cose compiute senza forza non sono opere ma doni di Dio. Se uno dovesse trovare riposo dopo i suoi primi sforzi, sarebbe il premio della sconfitta e non una ragione per vantarsi. Non sono coloro che ricevono una ricompensa che devono essere lodati, ma coloro che si sforzano con forza nei loro lavori e che non ricevono nulla.

Cosa possiamo dire? Quanto più agiamo e quanto più rendiamo grazie al nostro Benefattore, tanto più siamo suoi debitori; perché egli è senza bisogno e non vuole nulla, mentre senza di lui non siamo in grado di fare nulla di buono (cfr Gv 15,5). Chi è trovato degno di lodare Dio guadagna più di Dio, perché ha ricevuto un grande e meraviglioso dono di grazia. Quanto più loda Dio, tanto più diventa debitore, finché alla fine non trova alcun limite o interruzione alla sua conoscenza di Dio o al ringraziamento o all’umiltà o all’amore. Perché queste cose appartengono, non a questo mondo – il che significherebbe che hanno una fine – ma a quel mondo eterno che non ha una fine e in cui c’è al contrario un aumento di conoscenza e di doni di grazia. Chi nel pensiero e nella pratica è trovato degno di quel mondo è liberato da tutte le passioni.

Per ottenere tutto questo dobbiamo concentrare la nostra attenzione su Dio, non preoccuparci di questo mondo e non lasciarci sgomentare da nessuna prova o tentazione . Partendo da questo mondo, dobbiamo avanzare continuamente, ascendendo a un livello superiore di realtà. Non dovremmo essere distratti da nulla: né dai sogni, siano essi malvagi o apparentemente buoni, né dal pensiero di qualcosa, sia buono che cattivo, né dall’angoscia o dalla gioia ingannevole, né dall’autocompiacimento o dalla disperazione, né dalla depressione o dall’euforia, né da un senso di abbandono o da un aiuto e una forza illusori, né dalla negligenza o dal progresso, né dalla pigrizia o dall’apparente zelo, né dall’apparente distacco o dall’attaccamento appassionato. Piuttosto con umiltà dovremmo sforzarci di mantenere uno stato di quiete , libero da ogni distrazione, sapendo che nessuno può farci del male a meno che non lo desideriamo noi stessi.

A causa della nostra presunzione e della nostra incapacità di ricorrere costantemente a Dio, dovremmo prostrarci davanti a Lui, chiedendo che la Sua volontà sia fatta in tutte le cose e dicendo a ogni pensiero che ci viene: Non so chi sei; Dio sa se sei buono o no; perché mi sono gettato, e continuerò a gettarmi, nelle Sue mani, e Lui si prende cura di me (cfr. 1 Pt 5,7). Perché proprio come mi ha creato da ciò che non era, così è in Suo potere salvarmi con la Sua grazia se così sceglie. Possa la Sua santa volontà essere fatta in questo mondo e nell’altro, come Egli desidera e quando desidera. Non ho una volontà mia. So solo una cosa: che, sebbene abbia peccato molto, ricevo grandi benedizioni; e tuttavia non ringrazio nemmeno Dio per la Sua bontà attraverso le mie azioni e i miei pensieri, per quanto è in mio potere farlo. Nonostante questo Egli è in grado e disposto a salvare tutti gli uomini, me compreso, come desidera. Come faccio a sapere, essendo un uomo, se Lui vuole che io sia questo o quello? Così, per paura di peccare, sono fuggito in questa quiete ; e a causa dei miei peccati e delle mie molte debolezze, siedo senza far nulla nella mia cella, come un prigioniero, in attesa della decisione del Signore.

Tuttavia, anche se ci accorgiamo di non fare nulla e di essere completamente perduti, non abbiamo paura; perché se non usciamo dalla nostra cella, impareremo la contrizione dell’anima e verseremo lacrime sincere. Ma ancora, se ci accorgessimo di essere ansiosi di intraprendere lavori spirituali e ci fossero concesse tali lacrime, non rallegriamoci per questo, ma stiamo in guardia contro la frode e prepariamoci alla guerra.

In breve, dovremmo essere distaccati da tutte le cose, buone o cattive, in modo che nulla ci turbi e raggiungiamo uno stato di quiete , lottando il più possibile e, se abbiamo qualcuno che ci consiglia, facendo ciò che ci viene detto di fare. Se non abbiamo nessuno che ci consigli, dovremmo prendere Cristo come nostro consigliere, chiedendogli con umiltà e attraverso una preghiera sincera e pura su ogni pensiero e impresa. Non presumiamo di essere monaci completamente provati finché non abbiamo incontrato Cristo nel mondo che verrà, come ci dicono Abba Agathon e San Giovanni Klimakos. Se il nostro unico scopo è fare la volontà di Dio, Dio stesso ci insegnerà cosa sia, assicurandocelo direttamente, attraverso l’ intelletto , o per mezzo di qualche persona o della Scrittura. E se per amore di Dio amputiamo la nostra volontà. Dio ci consentirà di raggiungere, con gioia inesprimibile, una perfezione che non abbiamo mai conosciuto; e quando sperimenteremo questo saremo pieni di meraviglia nel vedere come gioia e conoscenza spirituale inizieranno a riversarsi da ogni parte. Otterremo un certo profitto da ogni cosa e Dio regnerà in noi, poiché non abbiamo una volontà nostra, ma ci siamo sottomessi alla santa volontà di Dio. Diventiamo come re, così che qualunque cosa desideriamo la riceviamo senza sforzo e rapidamente da Dio, che ci ha sotto la sua cura.

Un’ulteriore analisi delle sette forme di disciplina corporea

Questa è la fede con cui il Signore ha detto che è possibile spostare le montagne (cfr Mt 21,21); su di essa, secondo san Paolo (cfr Col 1,23), si fondano le altre virtù. Per questo motivo il nemico fa di tutto per turbare il nostro stato di quiete e farci cadere in tentazione . E se ci trova in qualche modo privi di fede , confidando in tutto o in parte nelle nostre forze e nel nostro giudizio, ne approfitta per vincerci e farci prigionieri, miseri come siamo. Una volta che abbiamo veramente compreso questo, abbandoneremo tutte le delizie e le comodità di questo mondo e ci libereremo il più rapidamente possibile dalle sue preoccupazioni e ansie. Lo faremo sia attraverso la via dell’obbedienza, ponendo il nostro padre spirituale al posto di Cristo e riferendo a lui ogni idea, pensiero e azione, così da non avere nulla che possiamo chiamare nostro; sia seguendo la via della quiete nella fede risoluta , fuggendo da tutte le cose.

Allora Cristo per noi prende il posto di tutte le cose e diventa tutto per noi, in questo mondo e nel mondo a venire, come dicono san Giovanni Crisostomo e san Giovanni Damasceno. Cristo ci nutre, ci veste, ci porta gioia, ci incoraggia, ci rallegra, ci dà riposo, ci insegna e ci illumina. In breve, Cristo si prende cura di noi come si prese cura dei suoi discepoli; e anche se non dobbiamo faticare come loro, tuttavia abbiamo la loro fermezza di fede , che ci libera dall’egocentrismo che domina le altre persone. Come gli apostoli nella loro paura dei Giudei, noi sediamo nelle nostre celle per paura degli spiriti del male e aspettiamo il nostro Maestro. Lo aspettiamo affinché attraverso la contemplazione in senso pieno, o attraverso la conoscenza spirituale delle sue creature, possiamo essere aiutati a sollevarci noeticamente dalle passioni e ricevere la pace, come accadde secondo san Massimo agli apostoli quando le porte furono chiuse (cfr Gv 20, 19). Dobbiamo sempre mettere in pratica quanto detto all’inizio di quest’opera riguardo alle sette forme di disciplina fisica e morale, senza fare né più né meno di quanto lì raccomandato.

Le eccezioni possono essere se una persona è troppo giovane per impegnarsi in una guerra corporale, o se possiede una forza fisica eccessiva che richiede un corrispondente grado severo di disciplina. Di nuovo, si possono fare eccezioni in casi di fragilità fisica: qui può essere consentito un certo rilassamento, ma non una sospensione totale della disciplina, perché questo secondo Sant’Isacco può danneggiare anche i disinteressati. Il rilassamento non deve essere più di quanto sia necessario come rimedio per la malattia; allora l’anima non lo prenderà come una scusa per allentare i propri sforzi. Questa è la strada giusta quando una persona desidera disperatamente un po’ di rilassamento. Eppure tale rilassamento, dicono, può essere pericoloso per i giovani e i sani.

I santi padri san Basilio e san Massimo affermano che per alleviare la fame e la sete sono necessari solo pane e acqua, mentre per la salute e la forza fisica abbiamo bisogno di altri cibi che Dio nella sua compassione ci ha dato. Ma affinché il mangiare costantemente la stessa cosa non produca un sentimento di repulsione nella persona malata, dovrebbe mangiare cibi diversi, uno alla volta, come già detto. Sono l’astensione e la dissipazione che portano alla malattia, mentre l’autocontrollo e un cambiamento di cibo ogni giorno sono favorevoli alla salute. Il corpo rimane quindi impermeabile al piacere e alla malattia e coopera all’acquisizione delle virtù.

Come è stato detto, tutto questo è destinato a coloro che sono ancora impegnati nella lotta per la purificazione. Quanto a coloro che hanno raggiunto lo stato di distacco , spesso non mangiano per giorni interi, poiché sono diventati come bambini nella loro devozione a Cristo e dimenticano il loro corpo. San Sisois era una persona del genere: nell’estasi del suo amore per Dio chiese di prendere la comunione dopo aver mangiato. Come disse san Paolo per il bene di tutti noi, “Se usciamo da noi stessi in estasi , è per Dio; se siamo trattenuti, è per il vostro bene” (2 Cor. 5:13). Tra gli altri, anche san Basilio il Grande ha parlato di queste cose. Certe persone in questo stato, anche dopo aver mangiato abbondantemente, non ne sono state consapevoli: è come se non avessero mangiato nulla. Perché il loro intelletto non è nel corpo, e quindi non è consapevole della facilità del corpo o del suo dolore.

Ciò è chiaro da molti padri e santi martiri, così come dal santo che Evagrio descrisse. Un certo anziano che viveva nel deserto, ci racconta, era solito pregare noeticamente; e accadde – per il suo beneficio e per quello di molti altri – che Dio permise ai demoni di afferrarlo mani e piedi e di gettarlo giù da un luogo elevato; tuttavia, affinché non si facesse male cadendo da tale altezza, lo afferravano su una stuoia di giunco. Fecero questo per un po’ di tempo, cercando di vedere se il suo intelletto sarebbe sceso dai cieli; ma non furono in grado di farlo. “Quando un uomo del genere sarebbe consapevole del cibo o della bevanda o di qualsiasi cosa corporea? Oppure prendi il caso di Sant’Efrem: dopo aver vinto tutte le passioni dell’anima e del corpo con la grazia di Cristo, chiese nella sua immensa umiltà che il dono del distacco gli fosse tolto, così che non cadesse nell’ozio e fosse condannato perché non doveva più combattere il nemico. San Giovanni Khmakos ne fu stupito e scrisse che alcuni, come Sant’Efrem, sono più imparziali di coloro che hanno raggiunto lo stato di imparzialità .

Discriminazione

Abbiamo quindi bisogno di discriminazione in tutte le cose, così da poter valutare correttamente ogni forma di azione. Per chi la possiede, la discriminazione è una luce che illumina il momento giusto, l’azione proposta, la forma che assume, la forza, la conoscenza, la maturità, la capacità, la debolezza, la risoluzione, l’attitudine, il grado di contrizione, lo stato interiore, l’ignoranza, la forza fisica e il temperamento , la salute e la miseria, il comportamento, la posizione, l’occupazione, l’educazione, la fede , la disposizione, lo scopo, lo stile di vita, il grado di impavidità, l’abilità, l’intelligenza naturale, la diligenza, la vigilanza, la pigrizia e così via. -Quindi la discriminazione rivela la natura delle cose, il loro uso, la quantità e la varietà, così come lo scopo e il significato divino in ogni parola o passaggio della Sacra Scrittura. Un esempio di come discernere tale significato si trova nel Vangelo di San Giovanni. Quando i Greci vennero desiderando vedere il Signore, Egli disse: “L’ora è venuta” (Giovanni 12:23). Chiaramente Egli intendeva che il momento della chiamata dei Gentili era arrivato: perché il tempo della Sua passione era iniziato, e usò questa richiesta dei Greci come un segno. La discriminazione chiarisce tutte queste cose e anche il significato dell’interpretazione data dai padri. Come dice San Neilos, non è ciò che accade che è l’oggetto della nostra indagine, ma perché accade.

Se agiamo ignorando tutto questo, potremmo impegnarci molto ma non otterremo nulla. Questo è ciò che Sant’Antonio il Grande e Sant’Isacco dicono di coloro che lottano per raggiungere le virtù corporee ma trascurano il lavoro proprio dell’intelletto , sebbene tale lavoro dovrebbe essere la nostra preoccupazione principale. Nelle parole di San Massimo, “Impegna il corpo nella pratica ascetica secondo la sua capacità, ma applica tutto il tuo sforzo all’intelletto ” . Come sottolinea, la persona che disciplina il suo corpo è talvolta sopraffatta dalla gola e dalla sonnolenza, dalla distrazione e dalla loquacità, e attraverso queste oscura il suo intelletto ; altre volte annebbia la sua mente attraverso digiuni prolungati, veglie e lavori eccessivi. Ma colui che coltiva l’ intelletto contempla, prega e si impegna nella teologia , ed è in grado di raggiungere ogni virtù.

Una persona sensata lotta intelligentemente per ridurre al minimo, per quanto possibile, i bisogni del suo corpo, così da potersi dedicare all’osservanza dei comandamenti con poche o nessuna preoccupazione materiale. Infatti, il Signore stesso dice: “Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete” (Mt 6,25). Quando una persona è piena di tale ansia non riesce nemmeno a vedere se stessa: come può allora percepire le insidie ​​a lungo preparate dal nemico? Perché, come osserva San Giovanni Crisostomo, il nemico non combatte sempre allo scoperto. Se lo facesse, molti di noi non sarebbero caduti così facilmente nelle sue insidie, lasciando solo pochi che si sono salvati, come dice il Signore (cfr Lc 13,23-24). Al contrario, quando vuole far precipitare una persona in qualche grande peccato , il nemico prepara il terreno rendendola negligente in cose banali e inosservate. Ad esempio, prima dell’adulterio, ci sono frequenti sguardi licenziosi; prima dell’omicidio, momenti di rabbia; prima dell’annebbiamento della mente , piccole distrazioni; e, prima di queste, preoccupazione per ciò che sembrano essere i bisogni del corpo. Per questo motivo il Signore che, come Sapienza del Padre (cfr. I Cor. 1:24), preconosce ogni cosa e quindi anticipa i trucchi del diavolo, ci comanda di frustrare gli impulsi al peccato tagliandoli prima che possano svilupparsi, affinché pensando che le piccole cose possano essere facilmente condonate, non cadiamo calamitosamente in peccati grandi e terribili. Questo Egli sottolinea nel Discorso della Montagna, quando dice: “Fu detto dagli uomini antichi”, cioè da quelli sotto la Legge, e poi continua: “Ma io vi dico” (cfr. Mt. 5:21-48).

Il vero studioso dei Santi Vangeli dovrebbe quindi prestare attenzione a ciò che il Salvatore gli insegna e fare tutto il possibile per sfuggire alle trappole del nemico. Dovrebbe considerare i comandamenti come un privilegio e una grande benedizione, poiché attraverso la loro profonda saggezza può salvare la sua anima. I comandamenti sono un dono di Dio e, come dice giustamente San Giacomo, fratello di Dio, “Ogni buon dono e ogni dono perfetto vengono dall’alto” (Gc 1,17). E San Giovanni Damasceno dice: “Hai costituito colei che ti ha generato come ambasciatrice infallibile per noi, Cristo; per sua intercessione donaci il tuo Spirito misericordioso, dispensatore di ogni bontà, che viene attraverso di te dal Padre”.

L’uomo che ha ricevuto la grazia di essere attento alla Sacra Scrittura troverà, come dicono i padri, ogni benedizione nascosta ovunque al suo interno. “Colui che è istruito nel regno dei cieli”, dice il Signore, “è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e vecchie” (Mt 13,52); e questo significa qualcuno che ha imparato a leggere la Scrittura con devota attenzione. Perché la Scrittura presenta un aspetto alla maggior parte delle persone, anche se pensano di capirne il significato, e un altro alla persona che si è dedicata alla preghiera continua, cioè che tiene sempre dentro di sé il pensiero di Dio, come se fosse il suo respiro. Come dice San Basilio il Grande, questo è vero anche se in senso mondano la persona è ignorante e incolta per quanto riguarda la conoscenza secolare e meramente umana. Dio si rivela, come afferma San Giovanni Khmakos, alla semplicità e all’umiltà, e non a coloro che si impegnano in uno studio laborioso e in un apprendimento superfluo. In effetti, Dio si allontana da tale apprendimento se non è alleato con l’umiltà: come dice san Paolo, è meglio essere ignoranti nel parlare piuttosto che nella conoscenza spirituale (cfr 2 Cor 11,6). La conoscenza spirituale è un dono della grazia, ma l’abilità nel parlare è una questione di apprendimento umano, come lo sono le altre forme di educazione mondana: non contribuiscono alla salvezza dell’anima. L’esempio dei pagani greci lo rende chiaro.

La lettura serve come promemoria per coloro che conoscono per esperienza ciò che viene detto, mentre per coloro che non hanno esperienza fornisce istruzione. Come osserva San Basilio, quando Dio trova un cuore libero da tutte le questioni mondane e dall’apprendimento mondano. Poi scrive su di esso i Suoi pensieri come se fosse una lavagna pulita. Dico questo affinché nessuno legga ciò che non lo aiuta a conformarsi alla volontà di Dio. Ma se nell’ignoranza di questo lo fa, legge qualcosa di non proficuo, che cerchi rapidamente di cancellarlo dalla sua mente attraverso la lettura spirituale nelle Sacre Scritture, e specialmente in quelle che contribuiscono alla salvezza della sua anima nel particolare punto che ha raggiunto nel suo sviluppo. Se è ancora impegnato nella pratica ascetica, che legga le vite e i detti dei padri; se la grazia lo ha elevato alla sfera della conoscenza divina, legga tutta la Sacra Scrittura, poiché, secondo le parole di san Paolo, questa è in grado di distruggere “ogni orgoglio che si esalta contro la conoscenza di Dio” (2 Cor. 10:5), e di correggere ogni disobbedienza e trasgressione attraverso la virtù attiva e la vera conoscenza dei comandamenti divini e degli insegnamenti di Cristo. Non leggere altro che queste; perché a cosa serve dare ammissione a uno spirito immondo piuttosto che allo Spirito Santo? Perché il nostro scopo è di afferrare lo spirito di qualsiasi testo studiamo, anche se ciò non ci appare così difficile come a coloro che hanno esperienza.

Lettura spirituale

Lo scopo della lettura spirituale è di tenere l’ intelletto lontano dalla distrazione e dall’irrequietezza, perché questo è il primo passo verso la salvezza. Salomone dice che il nemico “odia il suono della fermezza” (Prov. 11:15. LXX), mentre il vagare della mente è il primo passo verso il peccato, come afferma Sant’Isacco. “Se vuoi essere completamente libero dalla distrazione, resta nella tua cella. Se diventi apatico, lavora un po’ per il bene degli altri e per aiutare i malati, perché questo è ciò che fa l’uomo impassibile e l’uomo di conoscenza spirituale”. Questo, in effetti, è ciò che fecero i più grandi dei padri, permettendo a se stessi per amore dell’umiltà di agire nello stesso modo di coloro che erano schiavi delle passioni. Perché erano sempre in grado di tenere Dio dentro di sé e di dedicarsi alla contemplazione in Lui, sia che lavorassero con le loro mani o nella piazza del mercato. Come dice San Basilio il Grande, anche quando sono in mezzo alla folla i veri perfetti sono sempre soli con se stessi e con Dio.

Se non hai ancora raggiunto questo stadio, ma vuoi liberarti di un po’ della tua apatia, dovresti rinunciare a ogni conversazione con altre persone e a ogni sonno oltre il necessario, lasciando che l’apatia ti annusi nel corpo e nell’anima, finché non si esaurisca e si ritiri di fronte alla tua paziente e ininterrotta devozione a Dio, alla tua lettura e alla purezza della tua preghiera. Infatti ogni nemico assalitore, se vede che può realizzare qualcosa, continua a combattere; ma quando vede che non può, si ritira, o per sempre o per breve tempo. Quindi, se vuoi sconfiggere i tuoi assalitori, dovresti sopportare con ogni pazienza: “Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato” (Mt 10,22). Secondo san Paolo, è giusto affliggere coloro che ci affliggono e portare sollievo a noi stessi quando siamo afflitti (cfr 2 Ts 1,6-7).

Niente fatto in umiltà per amore di Dio è cattivo. Ma le cose e le attività sono diverse. Tutto ciò che non è strettamente necessario è un ostacolo alla salvezza, vale a dire tutto ciò che non contribuisce alla salvezza dell’anima o alla vita del corpo. Perché non è il cibo, ma la gola, che è cattivo; non il denaro, ma l’attaccamento ad esso; non il discorso, ma il parlare ozioso; non i piaceri del mondo, ma la dissipazione; non l’amore per la propria famiglia, ma la negligenza di Dio che tale amore può produrre; non i vestiti indossati solo per coprirsi e proteggersi dal freddo e dal caldo, ma quelli che sono eccessivi e costosi; non le case che ci proteggono anche dal caldo e dal freddo, così come da qualsiasi cosa umana o animale che potrebbe danneggiarci, ma case con due o tre piani, grandi e costose; non possedere qualcosa, ma possederla quando non ha un uso vitale per noi; non il possesso di libri da parte di coloro che hanno abbracciato la povertà totale, ma il possesso di libri per qualche scopo diverso dalla lettura spirituale; non l’amicizia, ma l’avere amici che non sono di alcun beneficio all’anima; non la donna, ma l’impudicizia; non la ricchezza, ma l’avarizia; non il vino, ma l’ubriachezza; non l’ira usata secondo natura per punire il peccato , ma il suo uso contro i propri simili.

Ancora, non è l’autorità che è cattiva, ma l’amore per l’autorità; non la gloria, ma l’amore per la gloria e, cosa peggiore, la vanagloria; non l’acquisizione della virtù, ma il supporre di averla acquisita; non la conoscenza spirituale, ma il pensare di essere sapienti e, cosa peggiore, l’ignorare la propria ignoranza; non la vera conoscenza, ma ciò che è falsamente chiamato conoscenza (cfr. I Tim. 6:20); non il mondo, ma le passioni; non la natura, ma ciò che è contro natura; non l’accordo, ma l’accordo di fare ciò che è male non contribuisce alla salvezza dell’anima; non le membra del corpo, ma il loro cattivo uso. Perché la vista ci è stata data, non perché desiderassimo ciò che non dovremmo desiderare , ma affinché, vedendo le creature di Dio, potessimo per mezzo loro glorificare il Creatore e così nutrire la nostra anima e il nostro corpo. Le orecchie ci sono state date non per ascoltare calunnie e stupidaggini, ma per ascoltare la parola di Dio e ogni forma di discorso – di uomini, uccelli o qualsiasi altra cosa – che porti a glorificare il Creatore. Il naso ci è stato dato non perché potessimo indebolire e snervare la nostra anima con profumi deliziosi, come dice San Gregorio il Teologo, ma perché potessimo respirare l’aria donataci da Dio e glorificarlo per questo; perché senza di essa né l’uomo né la bestia possono vivere fisicamente.

Mi meraviglio della saggezza di Dio, di come le cose più indispensabili – aria, fuoco, acqua, terra – siano facilmente accessibili a tutti. E non solo questo, ma le cose che contribuiscono alla salvezza dell’anima sono più accessibili di altre cose, mentre le cose che distruggono l’anima sono più difficili da trovare. Ad esempio, la povertà, che chiunque può sperimentare, contribuisce alla salvezza dell’anima; mentre le ricchezze, che non sono semplicemente a nostro comando, sono generalmente un ostacolo. Lo stesso vale per il disonore, l’umiliazione, la pazienza, l’obbedienza, la sottomissione, l’autocontrollo, il digiuno, le veglie, il taglio della propria volontà, l’indebolimento fisico, la gratitudine per tutte le cose, le prove, le ferite, la mancanza delle necessità della vita, l’astinenza dal piacere sensuale, la miseria, la tolleranza – in breve, tutte le cose che contribuiscono alla vita spirituale sono liberamente disponibili. Nessuno combatte per loro. Al contrario, tutti le lasciano a coloro che scelgono di accettarle, sia che siano state cercate o siano arrivate contro la nostra volontà. Le cose che distruggono l’anima, d’altro canto, non sono così facilmente alla nostra portata: cose come ricchezza, gloria, orgoglio, intolleranza, potere, autorità, dissipazione, gola, sonno eccessivo, fare a modo proprio, salute e forza fisica, una vita facile, un buon reddito, edonismo senza restrizioni, vestiti sontuosi e costosi, e così via. Le persone lottano molto per queste cose, ma solo pochi le ottengono, e in ogni caso il beneficio che conferiscono è fugace. In breve, producono un sacco di guai e pochissimo divertimento. Perché portano a coloro che le possiedono, così come a coloro che non le possiedono ma desiderano farlo, ogni sorta di angoscia.

Tuttavia, non è la cosa in sé, ma il suo uso improprio, che è malvagio. Perché ci sono state date mani e piedi, non per rubare, saccheggiare e usare mani violente gli uni sugli altri, ma per usarli in modi graditi a Dio. I più deboli tra noi dovrebbero usare ciò che hanno in atti di compassione verso i poveri, così da aiutare il nostro sviluppo spirituale e assistere i bisognosi; mentre coloro che sono più forti nell’anima e nel corpo dovrebbero donare tutti i loro beni a imitazione di Cristo e dei suoi santi discepoli. In questo modo possiamo glorificare Dio e allo stesso tempo imparare a guardare con meraviglia la saggezza divina nascosta nelle nostre membra. Perché attraverso la provvidenza di Dio le nostre mani e le nostre dita sono adatte a ogni abilità e attività, sia la scrittura che qualsiasi altra cosa. Da Dio, inoltre, viene la conoscenza di innumerevoli arti e scritture, della guarigione e della medicina, delle lingue e dei vari altri rami dell’apprendimento. In breve, tutte le cose, passate, presenti o future, ci sono state e ci vengono sempre date da Dio nella Sua grande bontà, affinché i nostri corpi possano vivere e le nostre anime possano essere salvate, a patto che usiamo tutte queste cose secondo il Suo proposito, glorificandolo attraverso di esse con ogni gratitudine. Se non lo faremo, cadremo e periremo, e tutte le cose ci causeranno afflizione in questa età presente , mentre nell’età a venire ci porteranno una punizione eterna, come è stato detto.

Vera discriminazione

Se per grazia di Dio hai ricevuto il dono della discriminazione , dovresti fare con grande umiltà tutto ciò che puoi per custodirlo, così da non fare nulla senza di esso. Altrimenti ti attirerai un castigo maggiore peccando consapevolmente a causa della tua negligenza. Se non hai ricevuto questo dono, non dovresti pensare, dire o fare nulla senza consultare gli altri al riguardo, e senza una base di fede ferma e preghiera pura. Senza tale fede e tale preghiera non otterrai mai veramente la discriminazione .

La discriminazione nasce dall’umiltà. Al suo possessore conferisce intuizione spirituale, come dicono sia Mosè che San Giovanni Klimakos: un uomo del genere prevede i disegni nascosti del nemico e li sventa prima che vengano messi in atto. È come afferma Davide: “E i miei occhi guardavano i miei nemici” (Sal 14:7. LXX). La discriminazione è caratterizzata da un riconoscimento infallibile di ciò che è buono e di ciò che non lo è, e dalla conoscenza della volontà di Dio in tutto ciò che si fa. L’intuizione spirituale è caratterizzata, in primo luogo, dalla consapevolezza dei propri fallimenti prima che si manifestino in azioni esteriori, così come dei trucchi furtivi dei demoni; e, in secondo luogo, dalla conoscenza dei misteri nascosti nelle Scritture divine e nella creazione sensibile.

Come è già stato spiegato, l’umiltà, la madre della discriminazione e dell’intuizione spirituale, ha allo stesso modo una sua caratteristica con cui è conosciuta. La persona umile deve possedere ogni virtù e tuttavia pensare veramente di essere il più grande dei debitori e inferiore a ogni altra cosa nella creazione. Se, tuttavia, una persona non pensa in questo modo, allora può essere certa di essere di fatto inferiore a ogni altra cosa nella creazione, anche se sembra condurre una vita come quella degli angeli. Perché anche un vero angelo che possiede così tante virtù e così tanta saggezza non può conformarsi alla volontà del Creatore se non possiede anche l’umiltà. Cosa può, allora, una persona che pensa di essere un angelo dire di sé se gli manca l’umiltà, fonte di tutte le benedizioni presenti e future, generatrice di quella discriminazione che illumina le estremità della terra e senza la quale tutte le cose sono oscure?

La discriminazione non è solo chiamata luce; è veramente luce. Abbiamo bisogno di questa luce prima di dire o fare qualsiasi cosa. Quando è presente siamo in grado di vedere ogni altra cosa con meraviglia. Possiamo meravigliarci di come Dio, nel primo e più grande dei giorni, abbia iniziato creando la luce, così che ciò che è stato creato in seguito non fosse invisibile e come se non esistesse, come dice San Giovanni Damasceno. ‘Sia detto di nuovo: la discriminazione è luce; e l’intuizione spirituale che genera è più necessaria di tutti gli altri doni. Perché cosa è più necessario che percepire le astuzie dei demoni e con l’aiuto della grazia di Dio proteggere la propria anima? Altre cose più necessarie per noi includono, secondo Sant’Isacco, la purezza della coscienza; e, secondo l’apostolo, la santificazione del corpo (cfr Rom. 12:1; I Cor. 6:19-20) senza la quale ‘nessuno vedrà il Signore’ (Eb. 12:14).

Che non dovremmo disperare anche se pecchiamo molte volte

Anche se non sei ciò che dovresti essere, non dovresti disperare. È già abbastanza grave che tu abbia peccato; perché in più fai torto a Dio considerandolo impotente nella tua ignoranza? Lui, che per amor tuo ha creato il grande universo che vedi, è forse incapace di salvare la tua anima? E se dici che questo fatto, così come la sua incarnazione, non fa che peggiorare la tua condanna, allora pentiti; ed Egli riceverà il tuo pentimento , come accettò quello del figliol prodigo (cfr. Luca 16:20) e della prostituta (cfr. Luca 7:37-50). Ma se il pentimento è troppo per te, e pecchi per abitudine anche quando non vuoi, mostra umiltà come il pubblicano (cfr. Luca 18:13): questo è sufficiente per assicurare la tua salvezza. Perché chi pecca senza pentirsi, ma non dispera, deve necessariamente considerarsi la più bassa delle creature, e non oserà giudicare o censurare nessuno. Piuttosto, si meraviglierà della compassione di Dio e sarà pieno di gratitudine verso il suo Benefattore, e così potrà ricevere anche molte altre benedizioni. Anche se è soggetto al diavolo in quanto pecca, tuttavia per timore di Dio disobbedisce al nemico quando quest’ultimo cerca di farlo disperare. Per questo ha la sua parte con Dio; perché è grato, rende grazie, è paziente, teme Dio, non giudica per non essere giudicato. Tutte queste sono qualità cruciali. È come dice San Giovanni Crisostomo della Geenna: è quasi di maggiore beneficio per noi del regno dei cieli, poiché per essa molti entrano nel regno dei cieli, mentre pochi vi entrano per amore del regno stesso; e se vi entrano, è in virtù della compassione di Dio. La Geenna ci perseguita con timore, il regno ci abbraccia con amore, e attraverso entrambi siamo salvati dalla grazia di Cristo.

Se coloro che sono attaccati da molte passioni dell’anima e del corpo sopportano pazientemente, non rinunciano per negligenza al loro libero arbitrio e non disperano, sono salvati. Allo stesso modo, colui che ha raggiunto lo stato di impassibilità , libertà dalla paura e leggerezza di cuore , cade rapidamente se non confessa continuamente la grazia di Dio non giudicando nessuno. Infatti, se osa giudicare qualcuno, rende evidente che nell’acquisire la sua ricchezza ha riposto le sue forze, come afferma San Massimo. San Giovanni Damasceno dice che se qualcuno ancora soggetto alle passioni e ancora privo della luce della conoscenza spirituale viene messo a capo di qualcuno, è in grande pericolo: e così è la persona che ha ricevuto impassibilità e conoscenza spirituale da Dio ma non aiuta le altre persone.

Niente giova tanto ai deboli quanto il ritiro nella quiete , o all’uomo soggetto alle passioni e senza conoscenza spirituale quanto l’obbedienza unita alla quiete . Né c’è niente di meglio che conoscere la propria debolezza e ignoranza, né niente di peggio che non riconoscerle. Nessuna passione è così odiosa come l’orgoglio, o così ridicola come l’avarizia, “radice di tutti i mali” (1 Tim. 6:10): perché coloro che con grande fatica estraggono l’argento e poi lo nascondono di nuovo nella terra, rimangono senza alcun profitto. Ecco perché il Signore dice: “Non accumulate tesori sulla terra” (Mt. 6:19): e ancora: “Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore ” (Mt. 6:21). Perché l’ intelletto dell’uomo è attratto dal desiderio verso quelle cose di cui si occupa abitualmente, siano esse cose terrene, o passioni, o benedizioni celesti ed eterne. Come dice San Basilio il Grande, un’abitudine persistente acquisisce tutta la forza della natura.

Una persona debole in particolare dovrebbe prestare attenzione ai suggerimenti della sua coscienza, così da liberare la sua anima da ogni condanna. Altrimenti alla fine della sua vita potrebbe pentirsi invano e piangere eternamente. La persona che non può sopportare per amore di Cristo una morte fisica come Cristo ha fatto, dovrebbe almeno essere disposta a sopportare la morte spirituale. Allora sarà un martire rispetto alla sua coscienza, in quanto non si sottomette ai demoni che lo assalgono, o ai loro scopi, ma li vince, come hanno fatto i santi martiri e i santi padri. I primi erano martiri corporali, i secondi martiri spirituali. Forzando se stessi leggermente, si sconfigge il nemico: per leggera negligenza si è riempiti di tenebre e distrutti.

Breve discorso sull’acquisto delle virtù e sull’astensione dalle passioni

Secondo San Basilio il Grande, nulla oscura la mente come il male, e nulla illumina l’ intelletto come la lettura spirituale in silenzio . Né nulla riempie così rapidamente l’anima di dolore come il pensiero della morte, o contribuisce così al nostro progresso segreto come l’auto-rimprovero e l’escissione della nostra volontà. D’altra parte, nulla favorisce la nostra distruzione segreta come la presunzione e l’auto-soddisfazione, o ci separa così tanto da Dio e provoca il nostro castigo per mano di altri uomini come il brontolio, o ci dispone così tanto al peccato come una vita disordinata e la loquacità. Ancora, nulla favorisce così rapidamente l’acquisizione della virtù come la vita solitaria e la meditazione, o promuove così rapidamente la gratitudine e la riconoscenza come la riflessione sui doni di Dio e sulla nostra malvagità. Niente aumenta così rapidamente le benedizioni che ci sono state concesse come il nostro riconoscimento di esse, o contribuisce così tanto alla nostra salvezza, anche contro la nostra volontà, come le prove e le tentazioni. Non c’è via più breve per Cristo, vale a dire, per il distacco e la saggezza dello Spirito, della via regale che evita sia l’eccesso che la mancanza in tutte le cose; né alcuna virtù è più capace di comprendere la volontà divina dell’umiltà e dell’abbandono di ogni pensiero e desiderio personale . Niente contribuisce a ogni buona azione come la preghiera pura, e niente impedisce l’acquisizione delle virtù come la minima distrazione mentale e il sogno ad occhi aperti.

Quanto più uno è puro, tanto più chiaramente vede quanto pecca; e quanto più uno pecca, tanto più è ottenebrato, anche se può sembrare puro. Ancora, quanto più si ha conoscenza, tanto più ci si crede ignoranti; e quanto più si ignora la propria ignoranza e le mancanze della propria conoscenza spirituale, tanto più si pensa di sapere. Quanto più il contendente spirituale sopporta le afflizioni, tanto più sconfiggerà il nemico; e, infine, quanto più uno cerca per un giorno di fare qualcosa di buono, tanto più è debitore per tutti i giorni della propria vita, come ha detto San Marco; perché anche se la capacità e il desiderio di fare il bene sono propri. Se i peccatori tremano perché hanno fatto arrabbiare Dio, coloro che sono stati protetti dalla Sua grazia a causa della loro debolezza e propensione alla disperazione dovrebbero tremare ancora di più, poiché sono profondamente in debito con Lui. Sant’Epifanio dice che l’ignoranza delle Scritture è un abisso enorme; peggio ancora è il male commesso consapevolmente; mentre grande è il beneficio che l’anima riceve attraverso la Scrittura e attraverso la preghiera. Sopportare il nostro prossimo; non angosciarlo quando ci fa del male, ma aiutarlo a essere in pace quando è turbato, come dice San Doroteo; mostrare compassione verso di lui, condividendo il suo fardello e pregando per lui, quiete del desiderio che possa essere salvato e possa godere di ogni altra benedizione del corpo e dell’anima: questa è vera tolleranza; e purifica l’anima e la conduce verso Dio.

Guarire una persona è la cosa più grande che si possa fare e supera ogni altra virtù, perché tra le virtù non c’è nulla di più alto e perfetto dell’amore per il prossimo. Il segno di questo amore non è solo che non si trattiene nulla di cui un altro abbia bisogno, ma anche che, come comanda il Signore, si sopporti con gioia la morte per amor suo (cfr Gv 15,13), considerandola come un debito che dobbiamo pagare. E così è: perché dobbiamo amare il prossimo fino a morire per lui, non solo perché la natura ce lo richiede, ma anche a causa del sangue prezioso versato per noi da Cristo che ci ha comandato di amare in questo modo. Non amare te stesso, dice san Massimo, e amerai Dio; non assecondare il tuo ego e amerai il tuo fratello. Tale amore viene dalla speranza; e sperare è credere senza esitazione che si otterrà sicuramente ciò che si spera. Questo a sua volta nasce da una fede ferma , dove non ci si preoccupa affatto della propria vita o morte, ma si getta ogni preoccupazione su Dio (cfr. I Pt 5,7), come ho detto parlando della persona che vuole acquisire i segni del distacco , di cui la fede è il fondamento. Chi ha fede dovrebbe riflettere che poiché Dio nella sua estrema bontà ha creato tutte le cose – noi compresi – dal non-essere. Egli è certamente in grado di provvedere come ritiene opportuno per le nostre anime e i nostri corpi.

Come acquisire la vera fede

Se desideriamo acquisire la fede – il fondamento di tutte le benedizioni, la porta verso i misteri di Dio, la sconfitta instancabile dei nostri nemici, la più necessaria di tutte le virtù, le ali della preghiera e la dimora di Dio nella nostra anima – dobbiamo sopportare ogni prova imposta dai nostri nemici e dai nostri molti e vari pensieri. Solo l’inventore del male, il diavolo, può percepire questi pensieri o scoprirli e descriverli. Ma dovremmo prendere coraggio; perché se trionfiamo con la forza sulle prove e le tentazioni che ci capitano, e manteniamo il controllo sul nostro intelletto in modo che non ceda ai pensieri che nascono nel nostro cuore , supereremo una volta per tutte tutte le passioni; perché non saremo noi ad essere vittoriosi, ma Cristo, che è presente in noi attraverso la fede . Fu a questo proposito che Cristo disse: “Se avete fede non più grande di un granello di senape..” (Luca 17:6). Eppure, anche se il nostro pensiero , in un momento di debolezza, dovesse soccombere, non dovremmo avere paura o disperare, o attribuire alla nostra anima ciò che ci viene detto dal diavolo. Al contrario, dovremmo pazientemente e diligentemente, fino al limite delle nostre forze, praticare le virtù e osservare i comandamenti, in quiete e devozione a Dio, liberandoci da tutti i pensieri soggetti alla nostra volontà.

In questo modo il nemico, che giorno e notte promuove ogni genere di fantasia e inganno, non ci troverà preoccupati per i suoi trucchi e illusioni e per tutti i pensieri in cui si nasconde, presentandoci come verità ciò che in realtà sono inganni e falsità, e così si perderà d’animo e se ne andrà. Attraverso tale esperienza della debolezza del diavolo, l’uomo che pratica i comandamenti di Cristo non sarà più allarmato da nessuno dei suoi trucchi. Al contrario, farà tutto ciò che è in accordo con la volontà di Dio con gioia e senza impedimento, rafforzato dalla fede e assistito da Dio in cui ha creduto. Come ha detto il Signore stesso, “Tutte le cose sono possibili per la persona che crede” (Marco 9:23). Perché non è lui che combatte il nemico, ma Dio, che veglia su di lui a causa della sua fede . Come ha detto il Profeta, “Hai fatto dell’Altissimo il tuo rifugio” (Salmo 91:9. LXX). Una persona del genere non prova più ansia per nulla, perché sa che “anche se il cavallo è pronto per la battaglia, la salvezza viene dal Signore” (Prov. 21:31). Grazie alla sua fede affronta ogni cosa con coraggio. Come dice Sant’Isacco, “Acquista la fede dentro di te e calpesterai i tuoi nemici”.

L’uomo di fede agisce non come uno dotato di libero arbitrio, ma come una bestia guidata dalla volontà di Dio. Egli dice a Dio: “Sono diventato come una bestia davanti a te; eppure sono continuamente con te” (Sal 73:22-23). ​​Se il tuo desiderio è che io abbia pace nella tua conoscenza, non rifiuterò. Se è che io debba sperimentare la tentazione per imparare l’umiltà, di nuovo sono con te. Da solo, non c’è assolutamente nulla che io possa fare. Perché senza di te non sarei venuto all’esistenza dal non-essere; senza di te non posso vivere o essere salvato. Fai ciò che vuoi alla tua creatura; perché credo che, essendo buono. Tu mi concedi benedizioni, anche se non riconosco che sono per il mio beneficio. Né sono degno di sapere, né pretendo di capire, per essere in pace: questo potrebbe non essere per il mio profitto.

Non oso chiedere sollievo in nessuna delle mie battaglie, anche se sono debole e completamente esausto: perché non so cosa sia bene per me. “Tu sai ogni cosa” (Giovanni 21:17); agisci secondo la Tua conoscenza. Solo non lasciarmi andare fuori strada, qualunque cosa accada; che lo voglia o no, salvami, anche se, di nuovo, solo se è in accordo con la Tua volontà. Io, quindi, non ho nulla: davanti a Te sono come uno che è morto; affido la mia anima nelle Tue mani pure, in questa età e nell’età futura . Tu sei in grado di fare ogni cosa; Tu sai ogni cosa; Tu desideri ogni genere di bene per tutti gli uomini e desideri sempre la mia salvezza. Ciò è chiaro dalle molte benedizioni che nella Tua grazia hai elargito e sempre elargisci a noi, visibili e invisibili, noti a noi e sconosciuti; e da quel dono di Te stesso a noi, Figlio e Logos di Dio, che è al di là della nostra comprensione. Eppure chi sono io che dovrei osare parlarti di queste cose? Tu che scruti i cuori? Ne parlo per far sapere a me stesso e ai miei nemici che mi rifugio in Te, il porto della mia salvezza. Perché so per la Tua grazia che “Tu sei il mio Dio” (Sal. 31:14).

Non oso dire molte cose, ma desidero solo porre davanti a Te un intelletto inattivo, sordo e muto. Non sono io, ma la Tua grazia che compie tutte le cose: perché, sapendo che sono sempre pieno di male, non attribuisco tali cose alla mia bontà; e per questo cado come un servo davanti a Te, perché Tu mi hai trovato degno di pentimento , e “io sono il Tuo servo e il figlio della Tua ancella” (Sal. 116:16). Ma non permettere che io, mio ​​Signore Gesù Cristo, mio ​​Dio, faccia, dica o pensi nulla di contrario alla Tua volontà: i peccati che ho già commesso sono sufficienti. Ma in qualunque modo Tu desideri, abbi pietà di me. Ho peccato: abbi pietà di me come Tu sai. Credo. Signore, che Tu ti avvicini a questo mio pietoso grido, ‘Aiuta la mia incredulità’ (Marco 9:24), Tu che mi hai concesso, non solo di essere, ma anche di essere un cristiano. ‘È una cosa grande’. San Giovanni di Karpathos ha detto, ‘per me essere chiamato un monaco e un cristiano’. Come Tu hai detto. Signore, a uno dei Tuoi servi, ‘Non è cosa da poco per te essere chiamato con il Mio nome’ (cfr Isaia 49:6. LXX). Questo è più per me di tutti i regni del cielo o della terra. Fa’ che io sia sempre chiamato con il Tuo dolcissimo nome. Maestro, pieno di compassione, ti rendo grazie.

Proprio come certe letture e certe parole, lacrime e preghiere sono appropriate per chi è impegnato in una pratica ascetica, così la sua è una fede diversa da quella fede superiore che dà vita alla quiete . La prima è la fede del sentito dire, la seconda è la fede della contemplazione , come dice Sant’Isacco. La contemplazione è più sicura del sentito dire. Perché la fede iniziale ordinaria degli ortodossi nasce dalla conoscenza naturale, e da questa fede nascono la devozione a Dio, il digiuno e la veglia, la lettura e la salmodia, la preghiera e l’interrogatorio di coloro che hanno esperienza. Sono tali pratiche che danno vita alle virtù dell’anima, cioè alla costante osservanza dei comandamenti e della condotta morale. Attraverso questa osservanza giungono grande fede , speranza e l’amore perfetto che rapisce l’ intelletto a Dio nella preghiera, quando si è uniti a Dio spiritualmente, come dice San Nilo.

Le parole della preghiera sono scritte una volta per tutte, così che chi desidera presentare il suo intelletto immobile davanti alla Santa e vivificante Trinità possa sempre pregare una e la stessa preghiera. L’ intelletto stesso mi fa sentire che è visto, anche se in quel momento è del tutto impossibile per lui vedere qualcosa, perché è senza immagini, senza forma, senza colore, indisturbato, non distratto, immobile, senza materia, trascendendo completamente tutte le cose che possono essere apprese e percepite nel mondo creato. Comunica con Dio – in profonda pace e con perfetta calma, avendo solo Dio in mente , finché non è colto dal rapimento e ritenuto degno di dire la preghiera del Signore come dovrebbe essere detta. Questo è ciò che ci viene detto da San Filimione e Sant’Irene, così come dai santi apostoli, dai martiri e da altri uomini santi. Tutto il resto è un’illusione nata dall’autocompiacimento. Poiché il Divino è infinito e incircoscritto, e l’ intelletto che ritorna a se stesso deve trovarsi in uno stato simile, affinché mediante la grazia possa sperimentare la presenza dello Spirito Santo. «Poiché camminiamo per fede e non per visione», dice san Paolo (2 Cor. 5:7).

Per questo motivo dovremmo persistere nella nostra pratica ascetica, così che attraverso questa persistenza duratura il nostro intelletto sia attratto nel desiderio verso il Divino. Perché se l’ intelletto non trova qualcosa che è superiore alle realtà sensibili non può dirigere il suo desiderio verso di esso, abbandonando le cose a cui è stato così a lungo abituato. Proprio come i compassionevoli e gli imparziali non sono molto danneggiati dagli affari di questa vita, poiché li gestiscono bene, così coloro che hanno ricevuto grandi doni di grazia non sono danneggiati, poiché attribuiscono i loro successi a Dio.

Che la quiete è di grande beneficio per coloro che sono soggetti alla passione

La quiete e il ritiro dagli uomini e dalle faccende umane sono di beneficio per tutti, ma specialmente per coloro che sono deboli e soggetti alle passioni. Infatti l’ intelletto non può raggiungere il distacco mediante la sola pratica ascetica: tale pratica deve essere seguita dalla contemplazione spirituale . Né nessuno sfuggirà indenne dalla distrazione e dall’esercitare autorità sugli altri a meno che non abbia prima acquisito il distacco attraverso il ritiro. Le preoccupazioni e la confusione di questa vita sono soggette a danneggiare anche i perfetti e i distaccati. Lo sforzo umano è inutile, dice San Giovanni Crisostomo, senza l’aiuto dall’alto; ma nessuno riceve tale aiuto a meno che non scelga lui stesso di fare uno sforzo. Abbiamo sempre bisogno di entrambe le cose; abbiamo bisogno dell’umano e del divino, della pratica ascetica e della conoscenza spirituale, della paura e della speranza, del dolore interiore e del conforto, del pianto e dell’umiltà, della discriminazione e dell’amore. Poiché, dice, tutte le cose nella vita sono duplici: giorno e notte, luce e oscurità, salute e malattia, virtù e vizio, facilità e avversità, vita e morte. Attraverso l’aiuto dall’alto noi nella nostra debolezza giungiamo ad amare Dio, mentre attraverso il nostro sforzo fuggiamo il peccato per paura delle prove. Ma se siamo forti possiamo amare Dio come nostro Padre in tutte le cose, sapendo che tutte le cose sono “totalmente buone e belle” (Gen. 1:31) e che Dio le ordina per il nostro beneficio. Ci asterremo dai piaceri e desidereremo l’avversità, sapendo che attraverso tale autocontrollo i nostri corpi sono imbevuti di vita per la gloria del Creatore, mentre attraverso l’avversità le nostre anime sono aiutate verso la salvezza dall’ineffabile misericordia di Dio.

Gli uomini sono di tre tipi: schiavi, mercenari o figli. Gli schiavi non amano il bene, ma si astengono dal male per paura della punizione; questo, come osserva San Doroteo, è una cosa buona, ma non pienamente in accordo con la volontà di Dio. I mercenari amano ciò che è bene e odiano ciò che è male, per speranza di ricompensa. Ma i figli, essendo perfetti, si astengono dal male, non per paura della punizione, ma perché odiano violentemente il male; e fanno ciò che è bene, non perché sperano in una ricompensa, ma perché lo considerano loro dovere. Amano l’impassibilità perché imita Dio e lo conduce a dimorare in loro; attraverso di essa si astengono da ogni male, anche se nessuna punizione li minaccia. Perché se non siamo impassibili, Dio nella sua santità non invia su di noi il suo Spirito Santo, per timore che violiamo la sua dimora perché per abitudine siamo ancora attratti dalle passioni e quindi incorriamo in una condanna maggiore. Ma quando siamo stabiliti nella virtù, e non siamo più amici dei nostri nemici o tirati qua e là dalle nostre abitudini appassionate, allora riceviamo la grazia e non siamo soggetti a condanna per averla ricevuta. È per questa ragione , secondo San Giovanni Klimakos, che Dio non ci rivela la Sua volontà affinché, dopo averla appresa, non gli disobbediamo e quindi incorriamo in una condanna maggiore, fallendo come bambini nel riconoscere nella nostra ingratitudine la Sua misericordia illimitata verso di noi. Perché se vogliamo imparare la volontà divina, dice, dobbiamo morire al mondo intero e a ogni nostro desiderio.

Non dovremmo fare nulla per cui proviamo esitazione, né dovremmo considerare qualcosa di buono a meno che non possiamo vivere o essere salvati senza di esso. Ecco perché dovremmo interrogare gli uomini di esperienza. In questo modo, attraverso la preghiera e la fede ferma riceviamo un senso di sicurezza, fino al momento in cui raggiungiamo il perfetto distacco che rende il nostro intelletto invulnerabile e invulnerabile in ogni buona attività. Quindi la battaglia è grande, ma restiamo illesi. “Perché la mia potenza si manifesta pienamente nella tua debolezza”, dice il Signore a San Paolo; e San Paolo aggiunge: “Quando sono debole, allora sono forte” (2 Cor. 12:9-10). Non è bene essere liberi dalla guerra. Perché i demoni si ritirano per molte ragioni, come spiega San Giovanni Klimakos: può essere per tendere un’imboscata o per rendere qualcuno presuntuoso; e lasciano dietro di sé l’autoesaltazione o qualche altro male, accontentandosi di questo sulla base del fatto che può prendere il posto delle altre passioni.

I padri, dice il Gerontikon, osservavano i comandamenti; i loro successori li hanno messi per iscritto; ma noi abbiamo riposto i loro libri sugli scaffali. E anche se volessimo leggerli, non abbiamo l’applicazione per comprendere ciò che è detto e per metterlo in pratica; li leggiamo o come qualcosa di incidentale, o perché pensiamo che leggendoli stiamo facendo qualcosa di grande, diventando così pieni di orgoglio. Non ci rendiamo conto che incorriamo in una condanna più grande se non mettiamo in pratica ciò che leggiamo, come dice san Giovanni Crisostomo. E dovremmo ricordare ciò che il Signore dice del servo che conosceva la volontà del suo padrone ma non la fece (cfr Lc 12,47).

Così la lettura e la conoscenza spirituale sono buone, ma solo quando conducono a una maggiore umiltà; e chiedere consiglio è buono finché non si è curiosi della vita del proprio insegnante. Come dice san Gregorio il Teologo: “Non mettere in dubbio l’autorità di colui che ti insegna o ti predica”. Il Signore stesso ci comanda di eseguire ciò che i sacerdoti ci dicono di fare (cfr. Mt 23,3). Perché le azioni di coloro a cui chiediamo consiglio non ci danneggiano; né, d’altra parte, il loro consiglio ci aiuta se non riusciamo a metterlo in pratica. Ognuno dovrà rendere conto di sé: l’insegnante, delle sue parole; il discepolo, della sua obbedienza nel fare ciò che gli viene detto. Tutto il resto è contrario alla natura e merita condanna. Come diceva sant’Evstratio: “Dio è buono e giusto, e nella sua bontà ci dà ogni cosa buona, finché siamo grati, riconoscendo attraverso il nostro ringraziamento il bene che abbiamo ricevuto. Ma se siamo ingrati, siamo condannati dal giusto giudizio di Dio. Quindi la bontà e la giustizia di Dio per natura ci forniscono ogni cosa buona; se usiamo male i suoi doni, essi ci procurano una punizione eterna.

Il grande beneficio del vero pentimento

È sempre possibile ricominciare da capo per mezzo del pentimento . «Sei caduto», è scritto, «ora risorgi» (cfr Prov. 24:16). E se cadi di nuovo, allora risorgi di nuovo, senza disperare affatto della tua salvezza, non importa cosa accada. Finché non ti arrendi volontariamente al nemico, la tua paziente sopportazione, unita all’auto-rimprovero, basterà per la tua salvezza. «Infatti un tempo anche noi ci siamo smarriti nella nostra stoltezza e disobbedienza», dice san Paolo. «… Eppure egli ci ha salvati, non per opere buone da noi compiute, ma per la sua misericordia» (Tit. 3:3,5). Quindi non disperare in alcun modo, ignorando l’aiuto di Dio, perché Egli può fare tutto ciò che desidera. Al contrario, riponi la tua speranza in Lui ed Egli farà una di queste cose: o attraverso prove e tentazioni, o in qualche altro modo che solo Lui conosce. Egli porterà la tua restaurazione; o accetterà la tua paziente sopportazione e umiltà al posto delle opere; o a causa della tua speranza agirà amorevolmente verso di te in qualche altro modo di cui non sei consapevole, e così salverà la tua anima incatenata. Solo non abbandonare il tuo Medico, perché altrimenti soffrirai insensatamente la duplice morte perché non conosci le vie nascoste di Dio.

Ciò che è stato detto in relazione alla conoscenza spirituale si applica anche alla pratica ascetica. Ogni azione dell’anima e del corpo è assediata da sei insidie: a sinistra e a destra ci sono l’eccesso e la mancanza di sforzo; sopra e sotto ci sono l’autoesaltazione e la disperazione; sul lato vicino e sul lato lontano ci sono la codardia e l’eccessiva audacia che, come dice San Gregorio il Teologo, è molto diversa dall’audacia, anche se le parole stesse sono simili. Nel punto medio tra queste sei insidie ​​si trova l’azione compiuta con la dovuta misura e con pazienza e umiltà.

È notevole come l’ intelletto umano veda le cose in modo diverso secondo la propria luce, anche quando queste cose sono inalterabili e in sé rimangono ciò che sono. È per questo che non abbiamo tutti lo stesso atteggiamento verso le cose, ma ognuno di noi le usa come desidera, sia per il bene che per il male. Usiamo le cose sensibili nella nostra attività pratica e le cose intelligibili nel pensiero e nella disputa.

Mi sembra che ci siano quattro modi di vedere gli uomini e che questi corrispondano ai quattro stati di cui parla san Gregorio il Teologo. Alcuni, come i santi e coloro che raggiungono il distacco , prosperano sia in questo mondo che nel mondo futuro. Altri, come il ricco nel Vangelo (cfr. Mt 19,22), prosperano solo in questo mondo, in quanto, sebbene siano benedetti nell’anima o nel corpo, ne sono indegni, poiché sono senza gratitudine verso il loro Benefattore. Altri, come il paralitico (cfr. Mt 9,2), che sono soggetti a malattie prolungate e abbracciano volentieri le afflizioni, sono puniti solo in questo mondo. Altri, infine, come coloro che sono tentati come Giuda dai propri desideri egoistici, sono puniti sia in questo mondo che nel mondo futuro.

Inoltre, gli uomini hanno anche quattro diversi atteggiamenti verso le realtà sensibili. Alcuni, come i demoni, odiano le opere di Dio e commettono il male deliberatamente. Altri, come gli animali irrazionali, amano queste opere perché sono attraenti, ma il loro amore è pieno di passione e non si sforzano di acquisire la contemplazione naturale o di mostrare gratitudine. Altri, in un modo che si addice agli uomini, amano le opere di Dio in modo naturale, con conoscenza spirituale e gratitudine, e usano tutto con autocontrollo. Infine, altri, come gli angeli, amano queste opere in un modo che è al di sopra e al di là della natura, contemplando tutte le cose per la gloria di Dio e facendo uso di esse solo nella misura in cui sono necessarie per la vita, come dice San Paolo (cfr. 1 Tim. 6:8).

I doni universali e particolari di Dio

Dovremmo tutti sempre ringraziare Dio per i doni universali e particolari dell’anima e del corpo che Egli ci concede. I doni universali consistono nei quattro elementi e in tutto ciò che viene all’essere attraverso di essi, così come in tutte le meravigliose opere di Dio menzionate nelle divine Scritture. I doni particolari consistono in tutto ciò che Dio ha dato a ciascun individuo. Questi includono la ricchezza, affinché si possano compiere atti di carità; la povertà, affinché si possa sopportare con pazienza e gratitudine; l’autorità, affinché si possa esercitare un giusto giudizio e stabilire la virtù; l’obbedienza e il servizio, affinché si possa raggiungere più facilmente la salvezza dell’anima; la salute, affinché si possa assistere coloro che sono nel bisogno e intraprendere un lavoro degno di Dio; la malattia, affinché si possa guadagnare la corona della pazienza; la conoscenza e la forza spirituale, affinché si possa acquisire la virtù; la debolezza e l’ignoranza, affinché, voltando le spalle alle cose del mondo, si possa essere sotto obbedienza in quiete e umiltà; perdita non richiesta di beni e possedimenti, affinché si possa deliberatamente cercare di essere salvati e si possa essere aiutati quando non si è in grado di liberarsi di tutti i propri beni o persino di fare l’elemosina; facilità e prosperità, affinché si possa lottare e soffrire volontariamente per raggiungere le virtù e quindi diventare imparziali e adatti a salvare altre anime; prove e difficoltà, affinché coloro che non possono sradicare la propria volontà possano essere salvati nonostante se stessi, e coloro che sono capaci di gioiosa sopportazione possano raggiungere la perfezione. Tutte queste cose, anche se sono opposte tra loro, sono comunque buone quando usate correttamente; ma quando usate male, non sono buone, ma sono dannose sia per l’anima che per il corpo.

Meglio di tutte, tuttavia, è la paziente sopportazione delle afflizioni; e colui che è stato trovato degno di questo grande dono dovrebbe rendere grazie a Dio in quanto è stato tanto più benedetto. Perché è diventato un imitatore di Cristo, dei suoi santi apostoli, e dei martiri e dei santi: ha ricevuto da Dio grande forza e conoscenza spirituale, così che possa volontariamente astenersi dal piacere e possa facilmente abbracciare la difficoltà attraverso lo sradicamento della sua volontà e il suo rifiuto di pensieri profani, e possa così sempre fare e pensare ciò che è in accordo con la volontà di Dio. Coloro che sono stati trovati degni di usare le cose come dovrebbero essere usate dovrebbero in tutta umiltà rendere grazie di cuore a Dio. perché per la sua grazia sono stati liberati da ciò che è contrario alla natura e dalla trasgressione dei comandamenti. Noi, tuttavia, che siamo ancora soggetti alle passioni e che ancora usiamo male le cose, e che quindi agiamo in un modo che è contrario alla natura, dovremmo tremare e in tutta gratitudine dovremmo ringraziare di cuore il nostro Benefattore, stupiti dalla Sua indicibile pazienza, nel fatto che sebbene abbiamo disobbedito ai Suoi comandamenti, abbiamo abusato della Sua creazione e respinto i Suoi doni. Egli sopporta la nostra ingratitudine e non cessa di conferire le Sue benedizioni su di noi, aspettando fino al nostro ultimo respiro la nostra conversione e il nostro pentimento .

Perciò dovremmo tutti renderGli grazie, come è detto: «In ogni cosa rendete grazie» (1 Tess. 5:18). Strettamente legata a questa frase è un’altra delle ingiunzioni di San Paolo: «Pregate incessantemente» (1 Tess. 5:17), cioè siate consapevoli di Dio in ogni momento, in ogni luogo e in ogni circostanza. Perché non importa cosa fate, dovreste tenere a mente il Creatore di tutte le cose. Quando vedete la luce, non dimenticate Colui che ve l’ha data; quando vedete il cielo, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, meravigliatevi di queste cose e glorificate il loro Creatore; quando indossate un vestito, riconoscete di chi è il dono e lodate Colui che nella Sua provvidenza vi ha dato la vita. In breve, se tutto ciò che fate diventa per voi un’occasione per glorificare Dio, pregherete incessantemente. E in questo modo la tua anima gioirà sempre, come raccomanda san Paolo (cfr 1 Ts 5,15). Infatti, come spiega san Doroteo, il ricordo di Dio rallegra l’anima; e adduce Davide come testimone: «Mi sono ricordato di Dio e ne ho gioito» (cfr Sal 77,3. LXX).

Come Dio ha fatto ogni cosa per il nostro bene

Dio ha fatto ogni cosa per il nostro bene. Siamo custoditi e istruiti dagli angeli; siamo tentati dai demoni affinché possiamo essere umiliati e ricorrere a Dio, venendo così salvati dall’autoesaltazione e liberati dalla negligenza. Da un lato, siamo portati a ringraziare il nostro Benefattore attraverso le cose buone di questo mondo, con cui intendo salute, prosperità, forza, riposo, gioia, luce, conoscenza spirituale, ricchezze, progresso in tutte le cose, una vita pacifica, il godimento degli onori, autorità, abbondanza e tutte le altre presunte benedizioni di questa vita. Siamo portati ad amarlo e a fare il bene che possiamo, perché sentiamo di avere un obbligo naturale di ripagare Dio per i suoi doni a noi compiendo buone opere. È ovviamente impossibile ripagarlo, perché il nostro debito cresce sempre di più. D’altra parte, attraverso quelle che sono considerate difficoltà raggiungiamo uno stato di pazienza, umiltà e speranza di benedizioni nell’età a venire; e con queste cosiddette difficoltà intendo cose come la malattia, il disagio, la tribolazione, la debolezza, l’angoscia non cercata, l’oscurità, l’ignoranza, la povertà, la sfortuna generale, la paura della perdita, il disonore, l’afflizione, l’indigenza e così via. In effetti, non solo nell’era a venire, ma anche in questa epoca presente queste cose sono una fonte di grande benedizione per noi.

Così Dio nella sua ineffabile bontà ha disposto tutte le cose in modo meraviglioso per noi; e se vuoi capire questo ed essere come dovresti, devi lottare per acquisire le virtù in modo da essere in grado di accettare con gratitudine tutto ciò che viene, sia che sia buono o che sembri cattivo, e di rimanere imperturbabile in tutte le cose. E anche quando i demoni suggeriscono qualche pensiero che provoca orgoglio per riempirti di autoesaltazione, dovresti ricordare le cose vergognose che ti hanno detto in passato e dovresti respingere questo pensiero e diventare umile. E quando ti suggeriscono di nuovo qualcosa di vergognoso, dovresti ricordare quel pensiero che provoca orgoglio e quindi respingere questo nuovo suggerimento. Così, attraverso la cooperazione della grazia e per mezzo del ricordo, fai in modo che i demoni scaccino i demoni, e non sei portato alla disperazione a causa dei loro vergognosi suggerimenti, o scacciato dalla tua mente a causa della tua stessa presunzione. Al contrario, quando il tuo intelletto è esaltato, fingi di rifugiarti nell’umiltà; e quando i tuoi nemici ti umiliano davanti a Dio, sei sollevato attraverso la speranza. In questo modo fino al tuo ultimo respiro non sarai mai confuso e cadrai, o per paura soccomberai alla disperazione. Questa, secondo il Gerontikon, è la grande opera del monaco. Quando i suoi nemici suggeriscono una cosa, lui suggerisce qualcos’altro: quando propongono quest’altro, lui introduce di nuovo la prima cosa, sapendo che nulla in questa vita è esente da cambiamenti, e che “chi persevererà fino alla fine sarà salvato” (Mt 10,22). Ma la persona che vuole che le cose accadano come lui stesso vuole non sa dove sta andando e, come un cieco gettato qua e là dal vento, è completamente dominato da qualsiasi cosa gli accada. Come uno schiavo teme ciò che produce angoscia, ed è condotto prigioniero dalla sua stessa presunzione: nella sua gioia inane pensa di possedere cose che non ha mai visto e della cui origine è completamente ignorante – e se dice di non ignorarlo, allora è ancora più cieco. Ciò accade perché non si censura. Tale mancanza di autocritica è una forma di autocompiacimento e conduce impercettibilmente alla distruzione, come dice San Macano nei suoi discorsi sul monaco che vide la Gerusalemme celeste: mentre questo monaco pregava con alcuni dei fratelli, il suo intelletto fu rapito in estasi , ma perì perché pensò di aver ottenuto qualcosa con i propri sforzi e non si rese conto di essere diventato un debitore ancora più grande. Proprio come coloro che sono dominati dalle passioni non sanno nemmeno ciò che è ovvio a tutti a causa dell’offuscamento prodotto dalle loro passioni, così i spassionati, a causa della purezza del loro intelletto, conoscono cose che la maggior parte delle persone ignora.

Come il discorso di Dio non è un chiacchiericcio sciolto

Il discorso di Dio, dice san Massimo, non è una chiacchierata sguaiata, perché anche se tutti noi dovessimo parlare a lungo, non avremmo comunque pronunciato l’equivalente di una sola parola di Dio. Per esempio. Dio dice: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore , con tutta la tua anima e con tutte le tue forze” (Dt 6,5): eppure quanto hanno detto e scritto i padri – e ancora dicono e scrivono – senza eguagliare ciò che è contenuto in quella singola frase? Perché, come ha detto san Basilio il Grande, amare Dio con tutta la tua anima significa non amare nulla insieme a Dio: perché se qualcuno ama la propria anima, ama Dio, non con tutta la sua anima, ma solo parzialmente: e se amiamo noi stessi e innumerevoli altre cose, come possiamo amare Dio o osare affermare di amarlo? Lo stesso vale per l’amore del prossimo. Se non siamo disposti a sacrificare questa vita temporale, o forse anche la vita a venire, per il bene del nostro prossimo, come fecero Mosè e san Paolo, come possiamo dire di amarlo? Perché Mosè disse a Dio riguardo al suo popolo: Se vuoi perdonare i loro peccati, perdona; ma se no, cancella anche me dal libro della vita che hai scritto’ (Esodo 32:32. LXX); mentre san Paolo disse: ‘Poiché vorrei essere io stesso separato da Cristo per il bene dei miei fratelli’ (Rom. 9:3). Pregò, cioè, che perisse affinché altri potessero essere salvati – e questi altri erano gli Israeliti che cercavano di ucciderlo.

Tali sono le anime dei santi: amano i loro nemici più di se stessi, e in questo secolo e nel secolo a venire mettono il loro prossimo al primo posto in ogni cosa, anche se a causa della sua cattiva volontà può essere loro nemico. Non cercano ricompensa da coloro che amano, ma poiché hanno ricevuto loro stessi, gioiscono nel dare agli altri tutto ciò che hanno, in modo che possano conformarsi al loro Benefattore e imitare la sua compassione al meglio delle loro capacità; “perché egli è generoso verso gli ingrati e i peccatori” (cfr Lc 6,35). In effetti, quanto più un uomo è trovato degno di ricevere i doni di Dio, tanto più deve considerarsi debitore verso Dio, che lo ha sollevato da terra e ha conferito alla polvere il privilegio di imitare in qualche modo il suo Creatore e Dio. Sopportare con gioia l’ingiustizia, fare del bene con pazienza ai propri nemici, dare la propria vita per il prossimo, e così via, sono doni di Dio, elargiti a coloro che sono decisi a riceverli da Lui attraverso la loro sollecitudine nel coltivare e proteggere ciò che è stato loro affidato, come fu comandato ad Adamo (cfr Gen 2,15). In questo modo si aggrappano ai doni attraverso la loro gratitudine verso il loro Benefattore. Poiché non abbiamo mai ottenuto nulla di buono da soli, ma tutte le cose buone ci vengono da Dio per grazia, e provengono come dal nulla all’essere. Infatti, “che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto?”, chiede san Paolo – ricevi, cioè, gratuitamente da Dio; “e se l’hai ricevuto, perché ti vanti come se non l’avessi ricevuto” (1 Cor 4,7), ma l’avessi ottenuto da te stesso?7 Eppure da te stesso non puoi ottenere nulla, perché il Signore ha detto: “Senza di me, non potete far nulla” (Gv 15,5).

Come è impossibile essere salvati senza umiltà

A causa della grande oscurità prodotta dalle passioni, una persona può diventare così demente da immaginare nella sua mancanza di umiltà di essere uguale agli angeli, o persino più grande di loro. Fu proprio questa mancanza di umiltà da parte di Lucifero che fu sufficiente senza alcun altro peccato a trasformarlo in tenebre. Quale sarà, allora, il destino di un uomo che è senza umiltà, poiché non è che polvere e mortale, per non dire un peccatore? Forse nella sua cecità non crede di aver peccato. San Giovanni Crisostomo dice che l’uomo perfetto diventerà certamente uguale agli angeli, come afferma il Signore; ma lo farà nella risurrezione dei morti, e non in questo mondo presente. Anche allora i perfetti non saranno angeli, ma “uguali agli angeli” (Luca 20:36). Ciò significa che gli uomini non possono rinunciare alla propria natura, anche se, come gli angeli, possono diventare immutabili attraverso la grazia e liberati da ogni necessità, liberi in tutto ciò che fanno, possedendo una gioia incessante, l’amore di Dio e tutto ciò che “occhio non ha visto e orecchio non ha udito” (1 Cor. 2:9).

In questa vita presente, tuttavia, è impossibile per chiunque divenire perfetto, anche se può ricevere come un pegno delle benedizioni promessegli. Perché proprio come coloro che non hanno ricevuto i doni di Dio dovrebbero umiliarsi a causa della loro indigenza, così coloro che li hanno ricevuti dovrebbero umiliarsi allo stesso modo, poiché li hanno ricevuti da Dio; altrimenti saranno condannati per la loro mancanza di gratitudine. E proprio come i ricchi dovrebbero confessare la grazia di Dio a causa dei doni che ha dato loro, così coloro che sono ricchi di virtù dovrebbero farlo ancora di più. Proprio come i poveri dovrebbero ringraziare Dio e restituire un amore ricco a coloro che li assistono, così tanto più dovrebbero ringraziare i ricchi, perché attraverso la provvidenza di Dio sono in grado di compiere atti di carità e così sono salvati sia in questa età che nell’età futura . Perché senza i poveri non possono salvare le loro anime o aver bisogno delle tentazioni della ricchezza.

Proprio come i discepoli devono amare i loro maestri, così i maestri devono amare i loro discepoli, e a nome l’uno dell’altro devono riconoscere reciprocamente la grazia di Dio che ha dato a tutti gli uomini la conoscenza spirituale e ogni altra cosa buona. Per queste cose buone dovremmo tutti sempre dare pensieri a Lui, specialmente coloro che hanno ricevuto da Lui il potere di rinnovare il loro santo battesimo attraverso il pentimento , perché senza pentimento nessuno può essere salvato. Poiché il Signore ha detto: “Perché mi chiamate: Signore, Signore, e non fate le cose che vi dico?” (Luca 6:46). Ma nessuno sia così stupido da pensare, sentendo queste o simili parole, che se non invoca il Signore non sarà colpevole. Al contrario, sarà tanto più condannato; perché, come ha detto il Signore: “Se fanno queste cose quando il legno è verde, che avverrà quando sarà secco?” (Luca 23:31); e come dice Salomone: «Se il giusto è salvato appena, dove compariranno l’empio e il peccatore?» (Prov. 11:31. LXX).

Tuttavia, quando una persona si vede assediata da ogni parte dai comandamenti divini, non dovrebbe disperare e quindi subire una condanna maggiore di chi si suicida. Piuttosto, dovrebbe meravigliarsi di come le Scritture divine e i comandamenti spingano un uomo da questa parte e da quella verso la perfezione, così che non possa trovare una via di fuga dal bene cercando sollievo in ciò che è inferiore. Non appena desidera fare qualcosa di male, si trova faccia a faccia con pericoli minacciosi, e così si volge verso il bene. Dio nel suo amore dispone tutto questo in modo meraviglioso, così che ogni uomo possa in qualche modo diventare perfetto, anche suo malgrado, se solo si prenderà in mano. Coloro che provano gratitudine, pieni di un senso di vergogna a causa delle benedizioni che hanno ricevuto, si imbarcano nella lotta spirituale come persone che attraversano un fiume mentre dormono, come dice Sant’Efrem. Dio ha moltiplicato le nostre prove, dice Sant’Isacco, così che per paura di esse possiamo rifugiarci in Lui. Chi non capisce questo, ma per autoindulgenza rifiuta questo dono, ha ucciso e distrutto se stesso: avendo ricevuto le armi per usarle contro i suoi nemici, le ha usate per uccidere se stesso. Perché come Dio, dice san Basilio il Grande, vuole fare del bene a tutti perché Lui stesso è buono, così il diavolo, perché Lui stesso è malvagio, desidera coinvolgere tutti nella sua depravazione, anche se non può farlo. E come i genitori amorevoli, spinti dal loro amore, si rivolgono ai loro figli con minacce quando fanno cose stolte, così Dio permette prove e tentazioni perché sono una verga che allontana coloro che sono degni dalla maleficenza del diavolo. “Chi risparmia la verga odia suo figlio; ma chi lo ama lo corregge con durezza” (Prov. 13:24).

Autoindulgenti ed egocentrici come siamo, il pericolo ci assale da entrambe le parti. Coloro che amano Dio sono salvati attraverso le prove e le tentazioni che Egli permette loro di subire; ma nonostante tali prove siamo minacciati di distruzione a causa del nostro orgoglio e perché non riusciamo a rimanere fedeli a Dio, come figli che sono “corretti e non uccisi” (2 Cor. 6:9). Scegliamo quindi la via meno pericolosa. Perché è meglio rifugiarsi in Dio sopportando pazientemente qualsiasi cosa ci accada piuttosto che allontanarci da Lui per paura di affrontare le prove e le tentazioni che può inviare; perché se facciamo quest’ultima cosa, cadiamo nelle mani del diavolo – il che significa distruzione eterna – o, piuttosto, attiriamo la punizione su noi stessi insieme a lui. Perché ci troviamo di fronte a questa alternativa: dobbiamo sopportare o prove e tentazioni temporanee, o altrimenti una punizione eterna. I giusti, d’altra parte, sono liberi da entrambi i pericoli che ci assalgono, perché accolgono con gioia ciò che ci sembra doloroso e abbracciano le prove e le tentazioni come un’opportunità di profitto, pur rimanendo invulnerabili ad esse. Perché se un uomo è colpito da una freccia ma non ferito, non morirà; è l’uomo che riceve una ferita mortale che perisce a causa di essa. In che modo la peste danneggiò Giobbe? Non aggiunse piuttosto alla sua gloria? O la calamità tumultuò gli apostoli e i martiri? Piuttosto se ne rallegrarono, perché “furono trovati degni di soffrire oltraggi per amore del suo nome” (Atti 5: 41).

Quanto più il vincitore deve lottare, tanto più è onorato, e da ciò trae grande gioia. Quando una persona del genere sente il suono della tromba, non prova paura perché lo chiama ad affrontare la morte, ma piuttosto gioisce perché predice la gloria che lo attende. Perché non c’è nulla che prepari così facilmente alla vittoria come il coraggio unito a una fede ferma ; e nulla prepara così facilmente alla sconfitta come l’egocentrismo e la codardia che deriva dalla mancanza di fede . E non c’è istruttore migliore di coraggio della diligenza e dell’esperienza; né di chiarezza di pensiero che di lettura spirituale nella quiete . Né c’è causa di dimenticanza così grande come l’indolenza, o percorso più rapido per il perdono dei peccati della paziente sopportazione del male. Non c’è modo più sicuro per ottenere il perdono dei peccati del pentimento e dello sradicamento del male, e non c’è progresso più rapido dell’anima di quello ottenuto tagliando fuori i propri desideri e pensieri. Né c’è niente di più grande che prostrarsi davanti a Dio giorno e notte e chiedere che la Sua volontà sia fatta in tutte le cose; o niente di peggio che amare la licenza e la distrazione dell’anima o del corpo. Perché tale licenza non è in alcun modo benefica per coloro di noi che si attaccano al bene perché siamo ancora spaventati dalle prove e dalla punizione. Al contrario, siamo aiutati dalla vigilanza e dall’allontanamento dagli affari mondani, così che, almeno rinunciando a quelle cose che ci danneggiano a causa della nostra debolezza, possiamo essere in grado di lottare con i nostri pensieri.

Il dominio imparziale sugli spiriti dominanti perché hanno già trionfato sulle loro vergognose passioni, mentre coloro che sono ancora sotto l’obbedienza di un padre spirituale devono lottare con gli spiriti che sono subordinati. Sia San Makanos che Abba Kronios dicono che ci sono demoni dominanti e demoni subordinati. I demoni dominanti sono l’autostima, la presunzione e così via; i demoni subordinati sono la gola, l’impudicizia e cose simili. Coloro che hanno raggiunto l’amore perfetto hanno il potere di fare ciò che è buono senza doversi sforzare: gioiscono nel farlo e non desiderano mai smettere. Se dovessero incontrare qualche ostacolo non cercato, agiscono sotto completo controllo: attratti dal loro amore per Dio ricorrono subito alla quiete e al lavoro spirituale come a un’attività familiare e deliziosa. È a tali uomini che i padri dicono: “Prega un po’, leggi un po’, medita un po’, lavora un po’, veglia un po’ sul tuo intelletto e in questo modo trascorri il tuo tempo. ‘ Possono dire questo perché gli spassionati hanno il controllo su se stessi e non sono peccaminosamente condotti prigionieri dai loro desideri. Quando vogliono, controllano l’ intelletto e comandano il corpo come se fosse il loro servo.

Noi, tuttavia, dovremmo essere soggetti a una regola di vita, così che siamo tenuti a fare ciò che è bene, anche contro la nostra volontà. Perché continuiamo a soddisfare le nostre passioni e i nostri piaceri, il comfort dei nostri corpi e i nostri desideri; e così il nemico conduce il nostro intelletto dove vuole. Allo stesso modo il nostro corpo, dominato da impulsi disordinati, fa tutto ciò che vuole in modo incontrollabile. Questo è solo da aspettarsi; perché dove l’ intelletto non è al comando, tutto è fuori controllo e contrario alla natura. È del tutto diverso con i veri Israeliti. Quando il Signore dice a Natanaele: “Ecco un vero Israelita, in cui non c’è inganno” (Giovanni I: 47), proclama con ciò la virtù dell’uomo; perché Natanaele significa “zelo per Dio”. Il nome datogli dalla sua famiglia era “Simone”; era chiamato “il Cananeo” perché proveniva da Cana di Galilea, e “Natanaele” per la sua virtù. Così l’Israelita, cioè l’ Intelletto che vede Dio, è senza inganno. Infatti, secondo san Basilio Magno, è consuetudine nella divina Scrittura chiamare un uomo con un nome che esprima la sua virtù particolare, piuttosto che con il nome datogli alla nascita; così è nel caso dei due principali apostoli, Pietro e Paolo: Pietro fu prima chiamato Simone e poi gli fu dato il nome Pietro a causa della sua fermezza (cfr Mc 3,16), mentre Saulo, che significa “tempestoso”, fu cambiato in Paolo, che significa “riposo”, “riposo” (cfr At 13,9). E questo era appropriato: perché all’inizio Paolo turbava e turbava i fedeli, ma in seguito diede riposo alle loro anime con la parola e l’azione, come dice di lui san Giovanni Crisostomo.

Considerate la riverenza dimostrata da san Paolo. Quando voleva parlare di Dio, non cominciava prima di avergli offerto la preghiera e il ringraziamento che gli si addicevano, mostrando così che era da Dio che aveva la sua conoscenza e la sua forza. E questo è l’ordine giusto, perché il consiglio viene dopo la preghiera. Allo stesso modo san Luca non lasciò incompiuti gli Atti degli Apostoli per negligenza o per qualche costrizione mondana, ma perché lasciò questa vita per stare con Dio. Noi, invece, lasciamo i nostri compiti incompiuti per la nostra negligenza o debolezza, perché non svolgiamo diligentemente l’opera di Dio e non la consideriamo come il nostro compito principale; al contrario, la disdegniamo come una specie di compito incidentale. Per questo motivo non prosperiamo, o anzi spesso regrediamo, come quegli altri che “tornarono indietro” e non seguirono più Gesù (cfr Gv 6,66). E tuttavia, dice san Giovanni Crisostomo, ciò che Gesù disse non fu nulla di duro, come pensavano , perché stava parlando loro di dottrina. Tuttavia, quando mancano una disposizione e un desiderio risoluti , anche le cose facili appaiono difficili, sebbene sia vero anche il contrario.

Sull’edificazione dell’anima attraverso le virtù

Secondo san Basilio il Grande, la cosa principale di cui ogni uomo ha bisogno è la resistenza, proprio come la terra ha bisogno di acqua. Su questa terra dovrebbe porre il fondamento della fede (cfr 2 Pt 1,5). Quindi la discriminazione , come un costruttore esperto, può iniziare a costruire lentamente la casa dell’anima con l’argilla presa dalla terra dell’umiltà, legando successivamente una pietra all’altra, cioè una virtù all’altra, finché il tetto, che è l’amore perfetto, non è stato messo al suo posto. Quindi, quando ha piazzato buoni portieri, sempre armati, cioè pensieri luminosi e azioni divine capaci di proteggere il re dall’essere disturbato, il padrone di casa viene e prende residenza in essa. Non dovrebbe avere una portinaia donna, una che è impegnata con il suo lavoro, come dice san Neilos nella sua interpretazione dell’Antico Testamento: spiega come fu per questo motivo che il patriarca Abramo non nominò una portinaia donna, ma piuttosto qualcuno che fosse virile – pensiero rapido e incisivo – armato, tra le altre cose, “della spada dello Spirito, che è la parola di Dio” (Ef 6,17), così da poter combattere e uccidere coloro che cercano di entrare. Infatti un tale portinaio è insonne e sta al suo posto uccidendo i pensieri estranei con azioni di rappresaglia e discorsi confutanti. Respinge tutto ciò che entra nel cuore contrario al proposito di Dio, disdegnandolo e respingendolo, così che l’ intelletto illuminato non smetta mai di contemplare Dio o sia vuoto di pensieri divini. Questa è l’opera della quiete , come osserva san Neilos. Altrove, riferendosi alla Sacra Scrittura, san Neilos spiega che la distrazione è la causa dell’oscuramento dell’intelletto . Questo è prevedibile; perché se l’ intelletto non è completamente confinato come l’acqua in un tubo, allora la mente non può essere raccolta in se stessa, e quindi elevarsi a Dio. E se uno non si eleva spiritualmente e non gusta almeno qualcosa di ciò che è in alto, come può uno essere prontamente distaccato da ciò che è in basso?

Così, come dice san Paolo (cfr 2 Cor. 5:7), dovremmo procedere sulla base della fede , sforzandoci pazientemente di conformarci alla volontà di Dio. E, con il tempo, coloro che fanno buoni progressi riescono a raggiungere una conoscenza parziale e a sconfiggere il nemico. Riceveranno quindi la pienezza di questa conoscenza nel mondo futuro, quando lo specchio – questa vita mortale – sarà stato rotto (cfr 1 Cor. 13:12), e quando l’anima non avrà più desideri contrari alla carne , o la carne contrari allo Spirito (cfr Gal. 5:17), e quando l’indolenza non genererà dimenticanza o l’ignoranza dimenticanza. Questo è ciò che la maggior parte di noi sperimenta in questa vita presente, motivo per cui abbiamo bisogno di un testo scritto che ce lo ricordi. In effetti, spesso un pensiero mi è venuto spontaneamente in mente, ed è stato scrivendolo che l’ho memorizzato. Così nel tempo della lotta spirituale l’ho avuto come fonte di aiuto o sollievo o gratitudine, sostenuto com’era dalla testimonianza della divina Scrittura. Se fossi stato negligente nello scriverlo, non l’avrei trovato quando ne ho avuto bisogno e sarei stato privato del suo aiuto dal più grande dei mali: la dimenticanza.

Per questa ragione dovremmo imparare le virtù praticandole, non semplicemente parlandone, così che acquisendone l’abitudine non dimentichiamo ciò che ci è di beneficio. “Il regno di Dio”, come dice san Paolo, “non risiede nelle parole ma nella potenza” (1 Cor. 4:20). Perché chi cerca di scoprire le cose attraverso la pratica effettiva arriverà a capire quale guadagno o perdita si trova in qualsiasi attività che persegue, come dice sant’Isacco; e può anche dare consigli agli altri, perché ha spesso sofferto e ha così acquisito esperienza. Perché alcune cose, ci dice sant’Isacco, sembrano buone, ma nascondono non poco danno; mentre altre sembrano cattive, ma contengono in sé il più grande profitto. Per questa ragione , afferma, non tutti gli uomini sono affidabili quando danno consigli a coloro che li cercano. Possiamo fidarci solo di colui che ha ricevuto da Dio la grazia della discriminazione e che, come dice san Maxnnos, ha acquisito attraverso grande umiltà e lunga pratica delle virtù un intelletto benedetto con intuizione spirituale. Un uomo del genere è in grado di consigliare, non tutti, ma almeno coloro che lo cercano volontariamente e che lo interrogano di loro spontanea volontà; perché ha imparato le cose nel loro vero ordine. È a causa della sua umiltà, e perché i suoi interroganti lo cercano volontariamente, che ciò che dice è impresso nell’anima dei suoi ascoltatori: sono pieni del calore della fede , considerando il loro buon consigliere come se fosse quel “consigliere meraviglioso” di cui parla il profeta Isaia, chiamandolo “Dio potente, sovrano, principe della pace” (Isaia 9:6. LXX).

Questo si riferisce naturalmente al nostro Signore Gesù Cristo, che disse all’uomo che si era appellato a Lui: “Chi mi ha costituito giudice o arbitro su di voi?” (Luca 12:14). Eppure dice anche: “Il Padre ha rimesso ogni giudizio al Figlio” (Giovanni 5:22). Attraverso la Sua santa umiltà. Ci mostra qui, come ovunque, la via per la salvezza e come non costringe nessuno. “Se qualcuno vuol venire dietro a me”, dice, “rinneghi se stesso e mi segua” (Uomo 16:24), cioè non si preoccupi in alcun modo della propria vita, ma proprio come Io subisco attivamente la Mia morte visibile e volontaria per il bene di tutti, così dovrebbe seguirmi in parole e azioni, come fecero gli apostoli e i martiri; e se non può farlo esteriormente, allora che sopporti la morte per quanto riguarda la probità della sua intenzione. Ancora, al giovane ricco disse: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto quello che hai, poi vieni e seguimi» (Mt 19,21).

È in riferimento a questo incidente che san Basilio il Grande osserva che il giovane mentì quando disse di aver osservato i comandamenti; perché se li avesse osservati, non avrebbe acquisito molti beni, poiché il primo comandamento della Legge è: “Amerai il Signore Dio tuo con tutta la tua anima” (Dt 6,5). La parola “tutti” proibisce a chi ama Dio di amare qualsiasi altra cosa a tal punto da renderlo triste se gli venisse tolta. Dopo questo la Legge dice: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lv 19,18), cioè “amerai ogni uomo”. Ma come avrebbe potuto osservare questo comandamento se, quando molti altri uomini mancavano del nutrimento quotidiano, lui aveva molti beni ed era appassionatamente attaccato ad essi? Se, come Abramo, Giobbe e altri uomini giusti, avesse considerato quei beni come proprietà di Dio, non se ne sarebbe andato via addolorato. Lo stesso dice san Giovanni Crisostomo: il giovane credette che ciò che gli era stato detto dal Signore fosse vero, e per questo se ne andò pieno di tristezza , perché non aveva la forza di metterlo in pratica. Perché ci sono molti che credono alle parole delle Scritture, ma non hanno la forza di adempiere ciò che è scritto.

Il grande valore dell’amore e dei consigli dati con umiltà

Il Signore, dunque, ci dà questi e molti altri consigli simili, come fanno anche gli apostoli quando dicono: “Vi esortiamo, carissimi, a fare questa o quella cosa”. Noi, invece, non siamo disposti a incoraggiare coloro che chiedono consiglio da noi. Tuttavia, se ci vedessero umili e pieni di rispetto per loro, ci ascolterebbero con gioia, sentendosi sicuri perché parliamo le parole della Sacra Scrittura con grande umiltà e amore. Perseguirebbero con entusiasmo l’onore e l’amore che ricevono da noi e, insieme a questo onore e amore, accetterebbero anche ciò che è difficile, poiché a causa del nostro amore sembrerebbe loro facile.

Fu il caso del santo apostolo Pietro, che ripetutamente sentì parlare della morte e della croce e tuttavia ne gioì (cfr Gv 21, 18-20); esse erano come nulla per lui, perché era pieno dell’amore che provava verso il suo Maestro. Non si preoccupò dei miracoli, come lo sono i non credenti, ma disse al Signore: “Le tue parole sono parole di vita eterna. Noi abbiamo creduto e siamo certi che tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Gv 6, 68-69). Non fu così con Giuda, che morì due volte; perché si impiccò, ma non morì, ma visse senza pentirsi, si ammalò e “si aprì”, come dice l’apostolo Pietro (Atti 1, 18). D’altra parte, il santo apostolo Paolo dice in un luogo ai fratelli: «Il nostro affetto per voi è così grande che abbiamo desiderato di comunicarvi non solo il Vangelo di Cristo, ma anche le nostre anime» (1 Tess. 1:8); e altrove dice: «Noi siamo vostri servi per amore di Cristo» (2 Cor. 4:5). Di nuovo, scrivendo a Timoteo, gli dice di trattare gli anziani come padri e i giovani come fratelli (cfr 1 Tim. 5:1). Chi è capace di comprendere l’umiltà dei santi e l’amore ardente che provavano verso Dio e il prossimo? Infatti, dovremmo essere attenti non solo a Dio e al prossimo, ma a chiunque a cui parliamo o scriviamo.

Chi infatti desidera ammonire qualcuno o dargli un consiglio, o piuttosto rinfrescargli la memoria, come dice san Giovanni Klimakos, deve prima purificarsi dalle passioni, affinché comprenda veramente lo scopo di Dio e lo stato della persona che chiede il suo consiglio. Infatti non è adatta a tutti la stessa medicina, anche quando la malattia è la stessa. Poi dobbiamo accertare dalla persona che chiede consiglio se lo fa perché si è impegnato una volta per tutte all’obbedienza nell’anima e nel corpo; o se ha fatto la sua richiesta spontaneamente e con fede fervente , chiedendo consiglio a noi prima di interrogare il suo maestro; o se c’è qualcos’altro che lo costringe a fingere di desiderare tale consiglio. Perché se quest’ultimo è il caso, sia il maestro che il discepolo soccomberanno alla falsità e alle chiacchiere oziose, all’inganno e a molte altre cose. Il discepolo, costretto dal suo presunto maestro a parlare contro la sua volontà, si vergogna e dice bugie, fingendo di voler fare del bene; e il maestro agisce anche in modo ingannevole, adulando il suo discepolo per scoprire ciò che è nascosto nella sua mente , e in generale impiegando ogni genere di trucco e parlando a lungo, nonostante il fatto che Salomone abbia detto: “Per mezzo della loquacità non sfuggirai al peccato ” (Prov. 10:19). Anche san Basilio il Grande ha descritto i peccati che derivano dalla loquacità.

Tutto questo è stato detto non perché ci rifiutiamo di consigliare coloro che vengono da noi con prontezza e fede ferma , soprattutto se abbiamo raggiunto uno stato di imparzialità ; è detto perché non dobbiamo, per amor proprio, insegnare presuntuosamente a coloro che non esprimono il desiderio di ascoltarci né con le loro azioni né con la loro fede fervente . Finché siamo ancora soggetti alle passioni, non dobbiamo farlo anche se sentiamo di averne l’autorità. Piuttosto, come hanno detto i padri, a meno che non siamo interrogati dai fratelli, non dobbiamo dire nulla per dare aiuto, così che qualsiasi beneficio sia una conseguenza della loro libera scelta. Sia san Paolo che san Pietro hanno seguito questo principio (cfr. Filemone, versetto 14; 1 Pietro 5:2); e san Pietro aggiunge che non dobbiamo dominare sui membri del nostro gregge, ma essere per loro un esempio (cfr. 1 Pietro 5:3). E san Paolo scrisse a san Timoteo: “Il contadino che fa il lavoro dovrebbe essere il primo a mangiare il prodotto” (2 Tim. 2:6); vale a dire, prima pratica ciò che intendi predicare. Di nuovo, scrive: “Nessuno ti disprezzi perché sei giovane” (1 Tim. 4:12); vale a dire, non fare nulla che sia immaturo o infantile, ma piuttosto sii come uno che è perfetto in Cristo. Similmente, è detto nel Gerontikon che, a meno che non fossero interrogati dai fratelli, i padri non dicevano nulla che potesse contribuire alla salvezza dell’anima; consideravano i consigli non richiesti come vane chiacchiere. Questo è del tutto giusto; perché è perché pensiamo di sapere più degli altri che parliamo senza essere invitati. E più siamo colpevoli di questo, maggiore è la libertà davanti a Dio che presumiamo di possedere, sebbene più i santi si avvicinino a Dio, più si considerano peccatori, come dice san Doroteo; restano sbalorditi dalla conoscenza di Dio che è stata loro concessa e si sentono ridotti all’impotenza.

Così, anche i santi angeli nella loro infinita felicità e meraviglia non possono mai soddisfare il loro desiderio di glorificare Dio; e poiché sono stati trovati degni di celebrare un così grande Maestro, cantano le sue lodi incessantemente, meravigliandosi di ciò che ha fatto accadere, come dice san Giovanni Crisostomo, e avanzando verso una conoscenza ancora maggiore, come afferma san Gregorio il Teologo. È lo stesso con tutti i santi, in questo mondo e nell’altro. Proprio come gli angeli si trasmettono l’illuminazione l’un l’altro, così gli esseri intelligenti sono istruiti l’uno dall’altro. Alcuni derivano la loro conoscenza dalle divine Scritture e insegnano a coloro che sono più nel bisogno, mentre altri sono istruiti spiritualmente dallo Spirito Santo e fanno conoscere ai loro fratelli per iscritto i misteri che sono stati loro rivelati.

Perciò tutti noi dobbiamo umiliarci davanti a Dio e gli uni davanti agli altri, in quanto abbiamo ricevuto da Dio il nostro essere e tutte le altre cose, e gli uni dagli altri, attraverso di Lui, la nostra conoscenza. Chi si umilia è illuminato ancora di più, mentre chi rifiuta di umiliarsi rimane nelle tenebre, come nel caso di colui che era la Stella del mattino ed è ora il diavolo. Infatti Lucifero originariamente apparteneva all’ordine angelico più basso, quello più vicino alla terra e il più lontano dall’ordine supremo che sta accanto al trono inaccessibile; ma a causa della sua autoesaltazione lui e coloro che gli obbedivano divennero inferiori non solo ai nove ordini di angeli e a noi che abitiamo la terra, ma persino inferiori ai poteri sotterranei: poiché fu gettato nel Tartaro a causa della sua arroganza insensata.

Per questo si dice spesso che la sola presunzione, senza nessun altro peccato , è sufficiente a distruggere l’anima; perché chi considera i propri peccati come insignificanti è lasciato cadere in quelli più grandi, come dice sant’Isacco. E chi ha ricevuto un dono da Dio, e ne è ingrato, è già sulla via della perdita; perché, come dice san Basilio il Grande, si è reso indegno del dono di Dio. Perché la gratitudine è una forma di intercessione. Solo che non deve essere come la gratitudine del fariseo, che condannava gli altri e giustificava se stesso (cfr Lc 18,11). Al contrario, deve far considerare se stessi come un debitore più grande di tutti gli altri uomini; si rende grazie con stupore stupito perché si comprende l’ineffabile moderazione e tolleranza di Dio. Inoltre, bisogna meravigliarsi che Dio, che è senza bisogno, che è lodato sopra ogni cosa, accetti questa gratitudine da parte nostra, nonostante il modo in cui lo adiriamo e lo amareggiamo costantemente, dopo che ci ha elargito così tanti e così vari benefici, sia universali che particolari.

Queste benedizioni, sia del corpo che dell’anima, sono state descritte da san Gregorio il Teologo e dagli altri padri, e assumono innumerevoli forme. Una di queste consiste nel fatto che nelle Sacre Scritture alcune cose sono ovvie e facili da afferrare, mentre altre sono poco chiare e difficili da afferrare. Attraverso la prima categoria Dio attira i più lenti tra noi verso la fede e verso l’indagine di cose più difficili; e in questo modo assicura che non cadiamo nella disperazione e perdiamo la nostra fede a causa della nostra totale incapacità di comprendere ciò che viene detto. Attraverso la seconda categoria ci preserva dall’incorrere in una condanna ancora maggiore disdegnando i passaggi che possiamo comprendere. Egli desidera che coloro che vogliono farlo si impegnino volentieri per ricercare e mettere in atto ciò che non è chiaro, e per questo riceveranno lode, come dice san Giovanni Crisostomo.

Che la frequente ripetizione che si trova nella Scrittura Divina non è verbosità

La Scrittura divina ripete spesso le stesse parole, ma questo non deve essere considerato come verbosità. Al contrario, per mezzo di questa frequente ripetizione, inaspettatamente e compassionevolmente attira anche coloro che sono molto lenti nell’afferrare le cose alla consapevolezza e alla comprensione di ciò che viene detto; e assicura che un particolare detto non sfugga all’attenzione a causa della sua fugacità e brevità. Ciò può accadere soprattutto quando siamo molto coinvolti negli affari di questa vita e non conosciamo nulla se non in parte – sebbene, come dice san Giovanni Crisostomo, non conosciamo del tutto nemmeno ciò che è dato “in parte”, ma conosciamo solo una parte di una parte. Questa parte stessa sarà “eliminata” (1 Cor. 13:10), non nel senso che scompaia e si riduca a nulla – perché allora non avremmo alcuna conoscenza e non saremmo umani – ma nel senso che cederà il posto alla conoscenza che deriva dall’incontro “faccia a faccia”, allo stesso modo in cui l’infanzia scompare quando si cresce, per usare l’analogia data da san Paolo (cfr 1 Cor. 13:11-12). Questo è ancora ciò che intende san Giovanni Crisostomo quando dice che ora sappiamo che il cielo esiste, anche se non cosa è: ma che più tardi il minore sarà “eliminato” dal maggiore, cioè dal nostro sapere cosa è il cielo, così che la nostra conoscenza aumenta. Poiché vi sono molti misteri nascosti nelle divine Scritture, e non conosciamo il significato di Dio in ciò che vi è detto. “Non disprezzare la nostra franchezza”, dice San Gregorio il Teologo, “e non criticare le nostre parole, quando noi sfruttiamo la nostra ignoranza”. È stupido e rozzo, dichiara San Dionigi l’Areopagita, prestare attenzione non al significato inteso ma solo alle parole. “Ma chi cerca con santo dolore troverà”. Questo è un compito da intraprendere con timore, perché attraverso il timore ci vengono rivelate cose nascoste.

Così in un passo il profeta Isaia dice: “I morti non vedranno la vita” (Isaia 26:14. LXX); in un altro dice: “I morti risorgeranno” (Isaia 26:19. LXX). Ma questa non è contraddizione, come pensano coloro che non riescono a comprendere il significato svelato da un’interpretazione spirituale della Scrittura divina. Infatti si riferiva agli idoli dei Gentili quando diceva: “Non vedranno la vita”, perché sono senz’anima; mentre quando diceva: “I morti risorgeranno”, si riferiva alla risurrezione generale e alla beatitudine dei giusti, sebbene profetizzasse anche la risurrezione dei morti insieme al nostro Salvatore Gesù Cristo. Allo stesso modo, nei Santi Vangeli, nei racconti della trasfigurazione del Signore, uno degli Evangelisti dice “dopo sei giorni” (Mt 17,1: cf. Mc 9,2) e un altro parla di “otto giorni” (Lc 9,28) – intendendo, in ogni caso, dopo i precedenti miracoli e l’insegnamento del Signore. Ma l’uno tralascia dal computo il primo e l’ultimo giorno e conta solo i sei giorni che stanno in mezzo, mentre l’altro include entrambi questi e quindi parla di otto giorni.

Ancora, nel suo Vangelo san Giovanni il Teologo dice in un punto: “E vi sono molti altri segni che Gesù fece in presenza dei suoi discepoli, che non sono stati scritti in questo libro” (Gv 20,30); mentre in un altro punto dice: “E vi sono ancora molte altre cose che Gesù fece” (Gv 21,25), senza dire “in presenza dei suoi discepoli”. Riguardo a questi passaggi san Procoro, che li ha scritti entrambi, dice che nel primo caso l’evangelista si riferisce ai miracoli e ad altre cose che il Signore fece, che non ha registrato perché erano stati precedentemente scritti dagli altri evangelisti; ed è per questo che ha aggiunto “in presenza dei suoi discepoli”. Nel secondo caso si riferisce alla creazione del mondo, quando il Logos di Dio era nel suo stato incorporeo, e quando insieme a Lui il Padre creò tutte le cose dal non-essere, dicendo: «Sia questa cosa, e così fu» (Gen 1,3-14). «Se tutte queste cose fossero scritte singolarmente», dice il Teologo, «penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere» (Gv 21,25).

In generale, ogni brano scritturale e ogni parola di Dio, o di qualsiasi santo, si riferisce in modo nascosto allo scopo delle cose create, che appartengano al regno sensibile o a quello intelligibile. Lo stesso vale anche per qualsiasi affermazione umana. E nessuno conosce il significato del brano in questione se non per rivelazione. Come disse il Signore, “Il vento soffia dove vuole” (Giovanni 3:8). Commentando questo, San Giovanni Crisostomo osserva che il Signore non intendeva che il vento avesse un potere proprio: ma, tenendo conto della debolezza di Nicodemo. Parlò del vento affinché Nicodemo potesse capire cosa gli veniva detto. Il Signore si riferiva infatti allo Spirito Santo quando parlava del vento. Stava cercando di dire a Nicodemo e ad altri che ciò che diceva loro era spirito o spirituale e non ciò che pensavano fosse . Non stava parlando di cose corporee, in un modo che potesse essere compreso semplicemente da persone dalla mente terrena. Per questo motivo san Giovanni Damasceno scrive che, se chi parla non ci svela il significato di ciò che dice, non possiamo sapere cosa significa. E come può qualcuno osare dire: “Conosco il proposito di Dio che è nascosto nella divina Scrittura”, se non gli è stato rivelato dal Figlio?

Cristo stesso ha detto che rivela la verità a chiunque Egli voglia (cfr Mt 1,1-21). Ciò significa che la rivela solo se abbiamo precedentemente deciso di ricevere questa conoscenza da Lui spiritualmente attraverso l’osservanza dei Suoi comandamenti divini; perché senza questo chiunque pretenda di possedere la conoscenza mente. Infatti, come dice San Giovanni Klimakos, egli parla per congettura, non imparando autorevolmente da Dio, anche se nella sua presunzione si vanta immensamente. È una persona del genere che San Gregorio il Teologo ha in mente quando usa le frasi “o tu grande amante della sapienza” o “o tu meraviglioso studioso”, rimproverandolo per la sua presunzione nel pensare di sapere qualcosa quando in realtà è ignorante. In tali casi, anche ciò che pensa di avere gli sarà tolto (cfr Mt 13,12), perché non è disposto a dire: “Non so”, come hanno detto tutti i santi. Se avesse detto ciò, ciò di cui è privo avrebbe potuto essergli dato per la sua umiltà, e dato in abbondanza, come è stato dato ai santi. Perché i santi, sebbene sapessero, dicevano di non sapere. Come osserva san Giovanni Crisostomo, san Paolo non disse: “Non ho mai saputo nulla finora”, ma che non aveva mai saputo nulla finora “come avrebbe dovuto sapere” (cfr. I Cor. 8:2). Così sapeva, ma non come avrebbe dovuto sapere.

Conoscenza spuria

La conoscenza spuria, o “conoscenza falsamente chiamata” (1 Tim. 6:20), è quella che un uomo possiede quando pensa di sapere ciò che non ha mai saputo. È peggiore dell’ignoranza completa, dice San Giovanni Crisostomo, in quanto la sua vittima non accetterà la correzione da nessun insegnante perché pensa che questo peggior tipo di ignoranza sia in realtà qualcosa di eccellente. Per questo motivo i padri dicono che dovremmo esaminare le Scritture assiduamente, in umiltà e con il consiglio di uomini esperti, imparando non solo teoricamente ma mettendo in pratica ciò che leggiamo; e che non dovremmo affatto indagare su ciò che è taciuto dalla Sacra Scrittura.

Tale ricerca è insensata, ci dice Sant’Antonio il Grande, parlando con riferimento a coloro che vogliono conoscere il futuro piuttosto che rinunciare a qualsiasi pretesa di tale conoscenza sulla base della loro indegnità. Se Dio nella Sua provvidenza impartisce tale conoscenza, come fece a Nabucodonosor (cfr. Dan. 2:31-45) e Balaam (cfr. Num. 23:8-10), la impartisce per il beneficio di tutti, anche se alcuni dei destinatari sono indegni del dono. In tali casi, non proviene dai demoni, specialmente quando è dato attraverso sogni e certe forme di immaginazione. Non ci viene detto molto su queste cose, per timore che cerchiamo le Scritture semplicemente con la nostra mente e poi per orgoglio pensiamo di aver afferrato qualcosa. Perché il Signore comanda che dovremmo cercare le Scritture soprattutto per mezzo di azioni corporee e morali, e in questo modo trovare la vita eterna (cfr. Gv. 5:39-40). In particolare, dovremmo tenere presente che le cose ci sono state nascoste per una nostra maggiore umiltà e affinché non siamo condannati per aver peccato consapevolmente.

L’uomo che è stato reso capace dalla grazia di acquisire conoscenza spirituale dovrebbe sforzarsi di studiare le divine Scritture e questa conoscenza con profonda dedizione, umiltà, attenzione e timore di Dio; perché se non lo fa sarà privato della sua conoscenza e minacciato di punizione, come indegno di ciò che Dio gli ha dato, nello stesso modo in cui Saul fu privato del suo regno, come spiega San Massimo. Ma colui che si dedica alla conoscenza spirituale e si sforza di ottenerla, afferma San Massimo, dovrebbe invocare Dio in ogni momento, come fece Davide, dicendo: “Crea in me un cuore puro , o Dio, e rinnova dentro di me uno spirito retto” (Sal 51:10). In questo modo può diventare degno della dimora di Dio, come gli apostoli che ricevettero la grazia “all’ora terza” (Atti 2:15). Poiché lo Spirito scese sugli apostoli, come attesta san Luca, all’ora terza del giorno, di domenica, poiché la Pentecoste è la settima domenica dopo la domenica in cui si celebra la Pasqua.

Questa parola ebraica, ‘Pascha’, quando tradotta, significa ‘passaggio’ o ‘libertà’; e la domenica che segue cinquanta giorni dopo è perciò chiamata ‘Pentecoste’ o ‘Cinquantesimo’, perché nella Legge segna il completamento dei cinquanta giorni che seguono la Pasqua. Come dice san Giovanni il Teologo nel suo Vangelo, ‘In quell’ultimo, quel grande giorno della festa’ (Giovanni 7:37), perché la Pentecoste costituisce la conclusione della festa di Pasqua. ‘La terza ora ha ricevuto questa grazia’, dice san Giovanni Damasceno. Allo stesso tempo, la grazia è stata data nel ‘giorno uno’, il giorno del Signore. Ciò significa che adoriamo tre persone con un solo potere, cioè un’unica Divinità. Perché la domenica è chiamata ‘giorno uno’ e non il primo giorno della settimana, dice san Giovanni Crisostomo; questo è il modo in cui è individuata e descritta profeticamente nell’Antico Testamento. Non è semplicemente enumerato con gli altri giorni della settimana, come il secondo giorno e il resto. Se non fosse stato individuato, sarebbe stato chiamato il “primo giorno”, ma così com’è è chiamato “giorno uno” della settimana (cfr Gen. I :5. LXX). Nella nuova dispensazione della grazia, tuttavia, questo “giorno santo” e “scelto” (Lev. 23:35. LXX) è chiamato “giorno del Signore” (Ap. 1:10), perché in esso hanno avuto luogo gli eventi più signorili e magistrali nella vita di Cristo, l’Annunciazione, la Natività, la Resurrezione; e in questo giorno avrà luogo anche la resurrezione generale dei morti. Perché è stato in questo giorno che Dio ha creato la luce visibile, dice San Giovanni Damasceno, e sarà anche il giorno della seconda venuta di Cristo. Così durerà per ere illimitate: è sia il primo giorno che l’ottavo giorno, in quanto è al di fuori delle altre sette ere che contengono giorni e notti.

Ci è stato concesso di apprendere il significato di queste cose dai santi. Impariamo quindi anche a fondo il significato di ogni argomento di questa presente opera, dall’inizio alla fine. Dovremmo recitare di seguito i nomi dei libri biblici e dei santi, così da poter ricordare continuamente le loro parole e imitare con zelo le loro vite, come dice San Basilio il Grande; e dovremmo far conoscere queste cose a coloro che le ignorano. La persona che le conosce già le ricorderà, mentre la persona che non le conosce può essere così incoraggiata a cercare i libri in questione. Menzioniamo il nome di un santo o di un libro particolare di tanto in tanto in modo da poterli richiamare alla mente più frequentemente e per mezzo di questa breve menzione possiamo ricordare gli atti e le parole di ciascuno. Ciò ci aiuta anche a cogliere le implicazioni dei passaggi scritturali e a comprendere la discriminazione e il consiglio dell’insegnante in questione. Rende anche chiaro che ciò che viene detto qui, in quest’opera, non è mio, ma proviene dalla Sacra Scrittura. Inoltre, accresce la nostra meraviglia e comprensione dell’amore ineffabile di Dio: come per mezzo di penna e inchiostro Egli abbia provveduto alla salvezza delle nostre anime e ci abbia donato così tanti scritti e maestri della fede ortodossa .

Io stesso mi meraviglio di come io, ignorante e pigro com’è, abbia avuto il privilegio di leggere così tanti testi, sebbene non abbia un libro mio né alcun altro possesso, ma sia sempre uno straniero e povero; e tuttavia trascorro il mio tempo in completa tranquillità e sicurezza, con molto piacere fisico. Se qualche libro rimane senza nome, è a causa della mia negligenza o perché il mio lavoro non diventi troppo lungo. Le domande e le soluzioni che propongo qui riguardo ai nostri problemi comuni sono avanzate per aiutare la nostra comprensione. Sono anche un modo per esprimere gratitudine a Colui che ha concesso conoscenza spirituale e discriminazione ai Suoi santi, i nostri santi padri, e attraverso di loro a noi, per quanto indegni. Ci aiutano anche a condannare la nostra debolezza e ignoranza.

Ho detto qualcosa sui giusti uomini di un tempo che furono salvati in mezzo a grandi ricchezze e tra peccatori e miscredenti, sebbene fossero per natura uguali a noi. Ma a noi manca la volontà di raggiungere la perfezione, anche se possiamo attingere a una maggiore esperienza e conoscenza del bene e del male, poiché abbiamo imparato da loro e così ci è stata concessa una grazia e una conoscenza più complete delle Scritture. Ho anche menzionato dettagli tratti dalla vita di noi monaci, in modo che possiamo sapere che possiamo essere salvati in qualsiasi situazione, a condizione che rinunciamo alla nostra volontà. Infatti, se non lo facciamo, non possiamo trovare riposo, né possiamo acquisire né la conoscenza della volontà di Dio né la pratica per adempierla. Perché la nostra volontà è un muro divisorio, che ci separa da Dio: e se non viene abbattuto, non possiamo imparare e fare ciò che è in accordo con la volontà di Dio, ma siamo estraniati da Lui e tiranneggiati dai nostri nemici contro la nostra volontà.

Dobbiamo ricordare, inoltre, che la quiete è il dono più alto di tutti, e che senza di essa non possiamo essere purificati e arrivare a conoscere la nostra debolezza e l’inganno dei demoni; né saremo in grado di comprendere il potere di Dio e la Sua provvidenza dalle parole divine che leggiamo e cantiamo. Perché abbiamo tutti bisogno di questa devozione e quiete , totale o parziale, se vogliamo raggiungere l’umiltà e la conoscenza spirituale necessarie per la comprensione dei misteri nascosti nelle divine Scritture e in tutta la creazione. Dobbiamo anche ricordare che non dovremmo usare alcun oggetto o alcuna parola, o impegnarci in alcuna attività o pensiero , che non sia necessario per la vita e la salvezza dell’anima e del corpo; e che, a meno che non esercitiamo discriminazione , nemmeno ciò che sembra buono è accettabile a Dio, e che a meno che non siano giustamente motivate, anche le buone opere non sono di alcuna utilità per nessuno.

I tropana che si trovano nei libri liturgici hanno lo scopo di aiutarci a comprendere questi libri e altri testi. Inoltre, come dice san Giovanni Klmiakos, stimolano la compunzione nelle persone il cui intelletto è ancora debole. Perché la melodia, dice san Basilio il Grande, attira la mente dove vuole, sia al dolore o al desiderio, al rimorso o alla gioia. Inoltre, dovremmo cercare le Scritture secondo il comandamento del Signore, così da trovare in esse la vita eterna (cfr Gv 5,39); e dovremmo prestare attenzione al significato dei salmi e dei tropari, diventando in questo modo totalmente consapevoli della nostra ignoranza. Perché se uno non gusta la conoscenza, dice san Basilio il Grande, non sa quanto gli manca. Per promuovere questa esperienza e conoscenza ho descritto le origini delle virtù e delle passioni; perché in tal modo altri possano arrivare a riconoscerle e così lottare per acquisire ciò che genera le virtù ed espellere con un’azione di ritorsione ciò che produce le passioni. Dovremmo anche e in ogni momento vigilare sulle nostre attività corporee come se fossero piante, e dovremmo sempre prestare attenzione alle virtù dell’anima e studiare come possiamo acquisire ciascuna virtù. Dovremmo imparare questo dalle divine Scritture e dagli uomini santi; e ciò che impariamo dovremmo custodirlo con zelo e nel lavoro dell’anima come un tesoro, fino a quando non avremo saldamente stabilito la virtù in questione. Quindi dovremmo iniziare diligentemente ad acquisire un’altra virtù, come dice San Basilio il Grande, per non esaurirci nel tentativo di acquisirle tutte in una volta. Dovremmo iniziare sopportando pazientemente ciò che ci accade e dovremmo quindi insistere con entusiasmo e forza per affrontare le altre virtù, con lo scopo di conformarci alla volontà di Dio. Perché dovremmo tutti, come cristiani, osservare i comandamenti, poiché per acquisire le virtù dell’anima abbiamo bisogno, non dello sforzo fisico, ma semplicemente della probità di intenzione e del desiderio di ricevere ciò che ci viene dato, come dicono San Basilio il Grande, San Gregorio il Teologo e molti altri. Tuttavia l’ascetismo corporeo aiuta nell’acquisizione delle virtù, specialmente nel caso di coloro che conducono una vita di quiete e sono completamente senza distrazioni e distaccati. Perché un uomo non può vedere le proprie abitudini e correggerle se non è libero dalle preoccupazioni per le cose mondane. Quindi dovremmo prima acquisire distacco ritirandoci dagli affari mondani e dalla società umana; perché solo allora possiamo iniziare, quando il tempo è maturo, a prenderci cura degli altri e ad amministrare le cose senza sbagliare e senza causare danni. Ciò è possibile solo perché, essendo il nostro distacco diventato un’abitudine, abbiamo raggiunto il distacco totale; e soprattutto, come dice san Giovanni Damasceno, perché abbiamo ricevuto una chiamata da Dio, come è avvenuto nel caso di Mosè (cfr Es 3,4), Samuele (cfr 1 Sam 3,10) e degli altri profeti (cfr Is 6,8; Ger 1,5), come pure dei santi apostoli (cfr Mt 4,19), per la salvezza di molti altri. Anche san Giovanni Damasceno dice che bisogna in un primo momento rifiutare di accettare la chiamata, come fecero Mosè (cfr Es 3,11; 4,10), Abacuc (cfr Bel e Dragone, v. 35), san Gregorio il Teologo e altri.

San Procoro dice di San Giovanni Evangelista che non desiderava lasciare la sua amata quiete , anche se come apostolo era sottomesso a rinunciare alla quiete e ad annunciare il Vangelo. Non fu minimamente perché era soggetto alle passioni che San Giovanni si rifugiò nella quiete , perché lui di tutti gli uomini ne era il più libero. Lo fece perché non voleva mai essere tagliato fuori dalla contemplazione di Dio o essere privato della grande dolcezza della quiete . Ma altri, sebbene impassibili, fuggirono nei deserti più lontani per umiltà, temendo la confusione. San Sisois il Grande ne è un esempio: quando il suo discepolo gli disse di riposare, si rifiutò di farlo e disse: “Andiamo dove non si trova nessuno”; e tuttavia aveva raggiunto uno stato così elevato di impassibilità che era diventato prigioniero del suo amore per Dio e non era più consapevole se mangiava o no.

In breve, ritirandosi in completa quiete tutti questi uomini tagliarono fuori la propria volontà. Poi alcuni di loro, come discepoli, furono nominati dal loro Maestro per istruire gli altri, accettando la confessione dei loro pensieri e governandoli, sia come vescovi che come abati. Ricevettero attraverso i loro sensi spirituali la conferma di ciò dallo Spirito Santo stesso, quando venne a dimorare in loro. Questo fu ciò che accadde ai santi apostoli (cfr. At 2,3) e a coloro che li precedettero, come Aronne (cfr. Es 28,1; Eb 5,4), Melchisidec (cfr. Gen 14,18; Sal 110,4) e altri. Ma san Giovanni Damasceno dice che colui che sfacciatamente cerca di assumere questo stato di sua spontanea volontà è condannato. Infatti, se coloro che assumono sfacciatamente un alto ufficio senza autorizzazione reale sono severamente puniti, quanto più lo sono coloro che audacemente si prendono carico di ciò che è di Dio senza ricevere la Sua chiamata? Ciò è particolarmente vero se per ignoranza o orgoglio pensano che un compito così grandioso non comporti alcun pericolo di condanna, immaginando che porterà loro onore o facilità, e non realizzando che saranno piuttosto tenuti, quando verrà il momento, a entrare in un abisso di umiltà e morte per il bene dei loro figli spirituali e dei loro nemici. Perché questo è ciò che fecero i santi apostoli – che erano al massimo grado compassionevoli e saggi – quando insegnarono agli altri. Se non sappiamo nemmeno di essere deboli e insufficienti per il compito, cosa si può dire? Perché l’orgoglio e l’ignoranza accecano coloro che, rifiutandosi di dedicarsi a Dio in silenzio , non riescono a riconoscere la propria debolezza e ignoranza. Come dice il Gerontikon, la cella di un monaco è come la fornace di Babilonia in cui i tre santi bambini trovarono il Figlio di Dio (cfr. Dan. 3:23). Di nuovo dice: “Siediti nella tua cella e ti insegnerà ogni cosa”. E il Signore stesso dice:

«Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20). San Giovanni Klimakos ci esorta: «Non voltatevi né a destra né a sinistra, come dice Salomone (cfr Pr 4,27), ma percorrete piuttosto la via regale, vivendo in silenzio con una o due persone, né da soli nel deserto né in grande compagnia; perché la via di mezzo tra queste due è adatta alla maggior parte degli uomini». E ancora: «Il digiuno umilia il corpo, le veglie illuminano l’ intelletto , il silenzio induce il dolore interiore, e il dolore battezza l’uomo, lava la sua anima e la libera dal peccato ».

Per questo motivo i nomi di quasi tutte le virtù e le passioni sono elencati alla fine di questo discorso, così che possiamo sapere quante virtù dobbiamo acquisire e per quanti atti peccaminosi dobbiamo soffrire. Perché senza dolore non c’è purificazione, e non può esserci dolore in mezzo a una continua distrazione. Senza purificazione dell’anima non c’è sicurezza; e senza sicurezza la separazione dell’anima e del corpo è piena di pericoli. Perché, come ha detto San Giovanni Klimakos, “Non possiamo fidarci di ciò che rimane ancora sconosciuto”.

Gli otto stadi di contemplazione precedentemente menzionati non si raggiungono con le nostre fatiche, ma sono la ricompensa concessa in cambio dei nostri sforzi per acquisire le virtù. Non dovremmo cercare di raggiungere questi stadi di contemplazione semplicemente leggendo, o sforzandoci di ottenerli con un’impazienza piena di orgoglio, come dice San Giovanni Klimakos riferendosi ai quattro stadi più alti e più perfetti; perché questi stadi sono celestiali, e un intelletto non purificato è incapace di abbracciarli. Invece, dovremmo dedicare tutti i nostri sforzi all’acquisizione delle virtù dell’anima e del corpo, e in questo modo nascerà in noi il primo comandamento, cioè il timore di Dio. E se perseveriamo in questo, nascerà anche il dolore. Poiché non appena siamo stabiliti in uno stadio di contemplazione , allora la grazia di Dio, la madre comune di tutti noi, come la chiama Sant’Isacco, ci concederà ciò che sta oltre. Ciò continuerà finché non avremo stabilito i sette stadi della conoscenza spirituale in noi stessi; e poi l’ottava, che è l’opera del secolo futuro, sarà concessa a coloro che lavorano diligentemente nelle virtù con la genuina intenzione di compiere la volontà di Dio.

Ogni volta che un pensiero divino ci viene spontaneamente, all’improvviso e senza che sappiamo come, che appartenga al primo stadio o a qualsiasi altra cosa, dovremmo sempre abbandonare subito ogni preoccupazione mondana e persino la nostra regola di preghiera. Dovremmo farlo per custodire, come la pupilla dei nostri occhi, qualsiasi conoscenza spirituale o compunzione possa portare, finché attraverso la provvidenza di Dio non si ritiri da noi. Quindi, dopo tale esperienza e prima di riprendere la nostra regola, dovremmo sempre meditare su ciò che è stato scritto sulla paura e sul dolore Deboli come siamo ancora, e inclini al sonno e alla pigrizia, a qualsiasi ora della notte o del giorno abbiamo un momento libero, sia che siamo impegnati in qualche lavoro manuale, o siamo senza occupazione e quindi in grado di abbandonarci completamente al dolore, dovremmo arrenderci a ciò che è detto in questi scritti e alle lacrime che inducono. Perché sono stati scritti in modo che anche coloro – specialmente io – che non hanno esperienza delle cose che descrivono possano risvegliare i loro intelletti pigri studiandoli attentamente. Coloro che possiedono lo scopo e l’esperienza che deriva dalla pratica abituale delle virtù sanno e possono parlare di molto più di quanto abbiamo detto in quest’opera. Ciò è il caso in particolare nel momento in cui sentono la contrizione spontanea; perché quel momento possiede un grande potere, ben oltre la nostra capacità.

Tuttavia nessuno pensi di essere lui stesso a procurare questi doni di grazia. Piuttosto, ha ricevuto molto più di quanto meriti, e dovrebbe essere profondamente grato, e dovrebbe andare nel timore di incorrere in una condanna maggiore a causa di ciò che gli è stato dato; perché senza fatica gli sono stati concessi i frutti per cui si sforzano gli angeli. La conoscenza è data per ungere l’ intelletto , per rafforzarci nell’osservanza dei comandamenti e per aiutarci nella pratica delle virtù. È anche data affinché possiamo sapere come e perché pratichiamo le virtù, e cosa dovremmo fare e cosa non dovremmo fare, in modo da evitare la condanna. Perché così, portati sulle ali della conoscenza, ci sforziamo gioiosamente e riceviamo ancora più conoscenza, forza e letizia attraverso il nostro sforzo; e, quando ciò accade, siamo resi capaci dalla grazia di ringraziare Colui che ci ha elargito queste grandi benedizioni, sapendo da dove le abbiamo ricevute. Perché quando Dio è ringraziato, Egli ci dà ancora ulteriori benedizioni, mentre noi, ricevendo i suoi doni, lo amiamo ancora di più e attraverso questo amore raggiungiamo quella sapienza divina il cui inizio è il timore di Dio (cfr Prov. I :7). Il timore produce il pentimento , dice Sant’Isacco, e attraverso il pentimento viene la rivelazione delle cose nascoste.

Ecco come dovremmo meditare sul timore di Dio. Dopo il servizio di Compieta, ognuno di noi dovrebbe recitare il Credo e la preghiera del Signore, e poi ripetere “Signore, abbi pietà” molte volte. Dovremmo sederci rivolti a est, come qualcuno che piange i morti, muovendo la testa avanti e indietro con dolore nell’anima e con un cuore addolorato , e pronunciando le parole appropriate al nostro particolare stadio di conoscenza, iniziando dal primo stadio, finché non raggiungiamo lo stato di preghiera. Quindi dovremmo cadere con la faccia a terra davanti a Dio con inesprimibile timore e dovremmo iniziare a pregare. Per prima cosa la nostra preghiera dovrebbe essere il ringraziamento, poi la confessione dei nostri peccati, e poi le altre parole di preghiera come dato in precedenza. Sant’Atanasio il Grande dice che dovremmo confessare i peccati che abbiamo commesso per ignoranza, così come quelli che avremmo commesso se non fossimo stati salvati da essi per grazia di Dio, in modo che questi non possano essere contati contro di noi nell’ora della nostra morte. Dobbiamo pregare anche gli uni per gli altri, secondo il comandamento del Signore (cfr Lc 22,32) e dell’apostolo Giacomo (cfr Gc 5,16).

Lo scopo di ciò che diciamo nelle nostre preghiere è il seguente. Il ringraziamento è il riconoscimento della nostra incapacità di offrire ringraziamento come dovremmo in questo momento presente, della nostra negligenza nel farlo in altri momenti e del fatto che il momento presente è un dono della grazia di Dio. La nostra confessione dei peccati proclama che i doni di Dio sono incommensurabili e che non siamo in grado di comprenderli tutti o persino di riconoscerli: li abbiamo conosciuti solo per sentito dire, e poi non di tutti. Proclama anche che siamo costantemente beneficiati, visibilmente e invisibilmente, e che la moderazione di Dio di fronte ai nostri molti peccati non può essere espressa a parole. Confessiamo che, come il pubblicano, siamo indegni persino di alzare gli occhi al cielo (cfr. Luca 18:13) e che, affidandoci unicamente al Suo amore ineffabile, cadiamo davanti a Lui, come Daniele, l’apostolo Giovanni e gli altri padri caddero davanti al santo angelo (cfr. Dan. 8:17; Ap. 1:17). Noi cadiamo con tutta l’anima, e anzi con una certa temerarietà, perché siamo indegni anche di questo. E dobbiamo confessare brevemente tutti i vari tipi di peccati in cui cadiamo, per ricordarli e per dolercene, riconoscendo la nostra debolezza affinché la potenza di Cristo venga su di noi, come dice san Paolo (cfr 2 Cor 12,9), e affinché le nostre molte azioni cattive siano perdonate. Non osiamo supplicare per tutti, ma solo per i nostri peccati. Chiediamo che ogni nostro vizio e ogni cattiva abitudine siano frenati, perché non possiamo controllarli, e invochiamo l’Onnipotente che freni gli impulsi delle nostre passioni e non ci permetta di peccare contro di Lui o contro alcun uomo, affinché possiamo in questo modo trovare la salvezza attraverso la sua grazia.

Preghiamo anche affinché attraverso il ricordo dei nostri peccati possiamo acquisire tribolazione dell’anima e la capacità di pregare per gli altri, adempiendo così il comandamento di san Giacomo (cfr Gc 5,16), nonché esprimendo il nostro amore per tutti gli uomini. Elencando le forme di passione che ci tiranneggiano, siamo condotti a rifugiarci nel nostro Maestro e portati a uno stato di contrizione. Preghiamo per coloro che abbiamo afflitto, e per coloro che ci hanno afflitto, o che ci affliggeranno, perché non vogliamo covare la minima traccia di rancore, e perché temiamo che a causa della nostra debolezza non saremo in grado di sopportare con pazienza quando verrà il momento, o di pregare per coloro che ci maltrattano, come il Signore comanda (cfr Lc 6,28). Per questo motivo anticipiamo quel momento e, come dice sant’Isacco, cerchiamo un medico prima di ammalarci e preghiamo prima di essere affrontati dalla tentazione . Preghiamo poi per i defunti, affinché possano ricevere la salvezza e per ricordarci della nostra morte. È un segno d’amore pregare per tutti gli uomini, anche quando abbiamo bisogno delle preghiere di tutti. Preghiamo anche per essere guidati da Dio e per diventare ciò che Lui desidera che siamo; e per essere uniti agli altri, affinché attraverso le loro preghiere possiamo ricevere misericordia, pur considerandoli superiori a noi stessi.

Non osiamo ancora chiedere perdono per tutti i nostri peccati, per timore che minimizzando le nostre colpe giungiamo a considerare gli altri indegni di perdono. Ignoranti, incapaci di fare qualsiasi cosa, ci rifugiamo in Cristo; e temendo la Sua giustizia perché siamo peccatori, Gli chiediamo di ordinare tutte le cose come Egli giudica meglio nel Suo amore compassionevole. Chiediamo anche di non essere privati ​​di un posto alla Sua destra, anche se siamo i più piccoli di tutti coloro che sono salvati e siamo indegni di essere annoverati con loro. Preghiamo anche per il mondo intero, come ci è stato insegnato a fare dalla Chiesa, e che sebbene peccatori possiamo essere trovati degni di prendere parte alla santa comunione come dovremmo, e che pregando prima di prenderla possiamo trovare Lui pronto ad aiutarci quando giunge il momento della comunione. Preghiamo di poter ricordare la santa Passione del nostro Salvatore e di poterci unire con amore a questo ricordo. Preghiamo che attraverso il sacramento possiamo entrare in comunione con lo Spirito Santo; perché in questo mondo e nell’altro lo stesso Paraclito consola coloro che sono pieni di dolore divino (cfr Mt 5,4), e che con tutta l’anima e con molte lacrime invocano il suo aiuto e dicono: “O Re celeste, Paraclito, Spirito di verità…”. Preghiamo affinché la nostra partecipazione ai misteri incontaminati sia pegno di vita eterna in Cristo, attraverso le intercessioni di sua Madre e di tutti i santi. Poi ci prostriamo davanti ai santi, invocandoli perché intercedano per noi, poiché sono in grado di portare le loro petizioni al Maestro. Poi diciamo come al solito la preghiera di san Basilio il Grande, così meravigliosamente carica di teologia , chiedendo che possiamo cercare solo la volontà divina e possiamo sempre benedire Dio. Dopo ciò, vigilando con piena attenzione sui nostri pensieri , diciamo subito tre volte: «Venite, adoriamo e prostriamoci davanti a Dio nostro Re», nel modo già descritto, affinché mediante la preghiera del cuore e la meditazione della divina Scrittura l’ intelletto si purifichi e cominci a vedere i misteri nascosti nella Scrittura.

L’anima deve essere libera da ogni male, specialmente dal rancore, al momento della preghiera, come il Signore stesso ci ha detto (cfr Mc 11,25). Per questo motivo san Basilio il Grande, castigando la contesa come fonte di rancore, dice che l’abate dovrebbe sottoporre chiunque discuta con lui a ben mille prostrazioni. Egli disse, quando diede questa alta cifra, “o mille o una”: cioè, la persona che risponde dovrebbe fare o mille prostrazioni davanti a Dio, o una davanti all’abate stesso, dicendo semplicemente: “Perdonami, padre”. In questo modo sarà assolto con una sola prostrazione, ma deve essere una prostrazione genuina, che sradichi la passione della contesa. La contesa è estranea allo stile di vita cristiano, afferma Sant’Isacco, appellandosi alle parole di San Paolo che disse: “Ma se qualcuno vuole discutere, non abbiamo questa usanza tra noi”: e affinché non sembrasse che stesse espellendo la persona litigiosa semplicemente sulla base delle sue opinioni personali, San Paolo aggiunge: “né nelle chiese di Dio” (1 Cor. 11:16). In questo modo tutti possono sapere che quando discute è fuori da tutte le chiese ed estraniato da Dio. Ha bisogno di quell’unico atto meraviglioso di pentimento , e se non riesce a farlo in modo genuino, e quindi rimane impenitente, nemmeno mille prostrazioni lo aiuteranno.

Poiché il pentimento , propriamente parlando, è lo sradicamento del male, dice san Giovanni Chiysostomo; mentre quelli che vengono chiamati atti di pentimento o prostrazioni sono un piegamento delle ginocchia, che esprime il fatto che la persona che si inchina sinceramente davanti a Dio e all’uomo dopo aver offeso qualcuno assume l’atteggiamento di un servo. Facendo questo può affermare per legittima difesa di non aver risposto affatto o tentato di giustificarsi, come fece il fariseo, ma è più simile al pubblicano nel considerarsi l’ultimo di tutti gli uomini e indegno di alzare gli occhi al cielo (cfr Lc 18,11-13). Infatti, se pensa di essere pentito e tuttavia tenta di confutare la persona che – a ragione o a torto – lo sta giudicando, non è degno della grazia del perdono, poiché agisce come se cercasse un’udienza in tribunale e l’opportunità di giustificarsi, sperando di ottenere ciò che desidera attraverso un regolare processo di legge. Tale comportamento è del tutto in contrasto con i comandamenti del Signore. E naturalmente così; perché se uno cerca di giustificare se stesso, allora fa appello ai diritti legittimi, non all’amore per i propri simili. In tal caso la grazia non è più il nostro principio guida, la grazia che giustifica gli empi senza le opere di giustizia (cfr. Rom. 4:5), ma solo a condizione che siamo grati per i rimproveri e li sopportiamo con pazienza, rendendo grazie a coloro che ci rimproverano e rimanendo pazienti e senza risentimento di fronte ai nostri accusatori. In questo modo la nostra preghiera sarà pura e il nostro pentimento efficace. Perché più preghiamo per coloro che ci calunniano e ci accusano, più Dio pacifica coloro che ci portano inimicizia e ci dà anche la pace attraverso la nostra preghiera pura e persistente.

Quando facciamo richieste specifiche nelle nostre preghiere, non è per informare Dio, perché Lui conosce già i nostri cuori; le facciamo per essere portati alla contrizione. Lo facciamo anche perché desideriamo rimanere più a lungo alla Sua presenza, rivolgendoGli attentamente ancora più parole, rendendoGli grazie, riconoscendo i molti benefici che abbiamo ricevuto da Lui, per tutto il tempo che possiamo, come dice San Giovanni Crisostomo del profeta Davide. Perché ripetere le stesse cose o cose simili più e più volte non è parlare in modo loquace o casuale, poiché, come nel caso del profeta, è fatto per desiderio e affinché la parola della divina Scrittura sia impressa nell’intelletto di chi legge o prega. Perché Dio conosce tutte le cose prima che accadano e non ha bisogno che gli vengano raccontate. Noi, tuttavia, abbiamo bisogno di sentire le cose, così possiamo sapere cosa chiediamo e perché stiamo pregando, e possiamo essere pieni di gratitudine e unirci a Dio attraverso le nostre suppliche. È attraverso tale ripetizione che evitiamo di essere sopraffatti dai nostri nemici quando siamo turbati nei pensieri , perché allora non ci troveranno dimentichi di Lui; ed è anche attraverso di essa che, aiutati dalla preghiera e dallo studio della divina Scrittura, possiamo arrivare ad acquisire le virtù di cui i santi padri hanno scritto nelle loro varie opere, attraverso la grazia dello Spirito Santo. È dai padri che io stesso ho imparato le virtù, e ne darò un elenco, per quanto posso, anche se non è completo a causa della mia mancanza di conoscenza.

Un elenco delle virtù

Le virtù sono: giudizio morale, autocontrollo, coraggio, giustizia, fede , speranza, amore, paura, devozione religiosa, conoscenza spirituale, risoluzione, forza, comprensione, saggezza, contrizione, dolore, gentilezza, ricerca delle Scritture, atti di carità, purezza di cuore , pace, paziente sopportazione, autocontrollo, perseveranza, probità di intenzione, determinazione, sensibilità, attenzione, stabilità divina, calore, prontezza, fervore dello Spirito, meditazione, diligenza, vigilanza, consapevolezza , riflessione, riverenza, vergogna, rispetto, pentimento, astensione dal male, pentimento , ritorno a Dio, fedeltà a Cristo, rifiuto del diavolo, osservanza dei comandamenti, custodia dell’anima, purezza di coscienza, ricordo della morte, tribolazione dell’anima, compiere buone azioni, sforzo, fatica, una vita austera, digiuno, veglie, fame, sete, frugalità, autosufficienza, ordine, grazia, modestia, riserva, disprezzo del denaro, mancanza di acquisizioni, rinuncia alle cose del mondo, sottomissione, obbedienza, conformità, povertà, mancanza di possesso, ritiro dal mondo, sradicamento della propria volontà, negazione di sé, consiglio, magnanimità, devozione a Dio, quiete , disciplina, dormire su un letto duro, astensione dal lavarsi, servizio, lotta, attenzione , mangiare cibo crudo, nudità, deperimento del proprio corpo, solitudine, quiete, calma, allegria, fortezza, audacia, zelo divino, fervore, progresso, follia per Cristo, vigilanza sull’intelletto , integrità morale, santità, verginità, santificazione, purezza del corpo, castità dell’anima, lettura per amore di Cristo, preoccupazione per Dio, comprensione, cordialità, veridicità, mancanza di curiosità, assenza di censure, perdono dei debiti, buona gestione, abilità, acutezza, equità, il giusto uso delle cose, intuizione cognitiva, bonarietà, esperienza, salmodia, preghiera, ringraziamento, riconoscimento, supplica, inginocchiamento, supplica, intercessione, petizione, appello, innodia, dossologia, confessione, sollecitudine, lutto, afflizione, dolore, angoscia, lamento, sospiri di dolore , pianto, lacrime strazianti , compunzione, il silenzio, la ricerca di Dio, il grido di angoscia, la mancanza di. ansia per ogni cosa, pazienza, mancanza di autostima, disinteresse per la gloria, semplicità d’animo, simpatia, auto-ritiro, bontà d’animo, attività che sono in accordo con la natura, attività che superano la capacità naturale, amore fraterno, concordia, comunione in Dio, dolcezza, disposizione spirituale, mitezza, rettitudine, innocenza, gentilezza, semplicità, buona reputazione, parlare bene degli altri, buone opere, preferenza per il prossimo, tenerezza divina, carattere virtuoso, coerenza, nobiltà, gratitudine, umiltà, distacco, dignità, pazienza, longanimità, gentilezza, bontà, discriminazione , accessibilità, cortesia, tranquillità, contemplazione , guida, affidabilità, chiaroveggenza, imparzialità , gioia spirituale, sicurezza, lacrime di comprensione, lacrime dell’anima, desiderio amorevole di Dio, pietà, misericordia, compassione, purezza d’anima, purezza d’ intelletto , prescienza, preghiera pura, pensieri liberi da passioni , fermezza, idoneità dell’anima e del corpo, illuminazione, recupero della propria anima, odio per la vita, insegnamento appropriato, un sano desiderio della morte, infanzia in Cristo, radicamento, ammonimento e incoraggiamento, sia moderati che energici, una lodevole capacità di cambiare, estasi verso Dio, perfezione in Cristo, vera illuminazione, un intenso desiderio di Dio. rapimento dell’intelletto , dimora di Dio, amore di Dio, amore per la saggezza interiore, teologia , una vera confessione di fede , disprezzo della morte. santità, realizzazione di successo, perfetta salute dell’anima, virtù, lode da Dio, grazia, regalità, adozione a figliolanza – in tutto 228 virtù. Acquisirle tutte è possibile solo attraverso la grazia di Colui che ci concede la vittoria sulle passioni.

Un elenco delle passioni

Le passioni sono: durezza, inganno, malizia, perversità, sconsideratezza, licenziosità, seduzione, ottusità, mancanza di comprensione, pigrizia, lentezza, stupidità, adulazione, sciocchezza, idiozia, pazzia, squilibrio, grossolanità, temerarietà, codardia, letargia, mancanza di buone azioni, errori morali, avidità, eccessiva frugalità, ignoranza, follia, conoscenza spuria, dimenticanza, mancanza di discriminazione , ostinazione, ingiustizia, cattiva intenzione, un’anima senza coscienza, pigrizia, chiacchiere oziose, rottura della fede , trasgressione, peccaminosità, illegalità, criminalità, passione , seduzione, assenso al male, accoppiamento insensato, provocazione demoniaca , indugiare, comfort fisico oltre ciò che è richiesto, vizio, inciampo, malattia dell’anima, snervamento, debolezza dell’intelletto , negligenza, pigrizia, uno sconforto riprovevole, disonore. di Dio, aberrazione, trasgressione, incredulità, mancanza di fede , credenza errata, povertà di fede , eresia, associazione all’eresia, politeismo, idolatria, ignoranza di Dio, empietà, magia, astrologia, divinazione, stregoneria, negazione di Dio, amore per gli idoli, dissipazione, dissolutezza, loquacità, indolenza, amor proprio, disattenzione, mancanza di progresso, inganno, delusione , audacia, stregoneria, contaminazione, mangiare cibo impuro, vita oziosa, dissolutezza, voracità, impudicizia, avarizia, ira, abbattimento, apatia, autostima, orgoglio, presunzione, autoesaltazione, vanagloria, infatuazione, sporcizia, sazietà, stupidità, torpore, sensualità, abbuffate, gola, insaziabilità, mangiare di nascosto, essere suini, mangiare in solitudine, indifferenza, volubilità, egoismo, sconsideratezza, autocompiacimento, amore per la popolarità, ignoranza della bellezza, rozzezza, goffaggine, superficialità, maleducazione, maleducazione, litigiosità, maleducazione, urla, risse, combattimenti, rabbia, desiderio insensato, fiele, esasperazione, offendere, inimicizia, immischiarsi, cavillare, asprezza, calunnia, censura, calunnia, condanna, accusa, odio, invettiva, insolenza, disonore, ferocia, frenesia, severità, aggressività, rinnegare se stessi, giuramento, mancanza di compassione, odio per i propri fratelli, parzialità, parricidio, matricidio, rompere il digiuno, lassismo, accettazione di tangenti, furto, rapina, gelosia, contesa, invidia, indecenza, scherno, diffamazione, scherno, derisione, sfruttamento, oppressione, disprezzo del prossimo, fustigazione, prendersi gioco degli altri, impiccagione, strangolamento, spietatezza, implacabilità, rottura dei patti, incantesimo, durezza, sfacciataggine, impudenza, offuscamento dei pensieri, ottusità, cecità mentale, attrazione per ciò che è fugace, passionalità, frivolezza, disobbedienza, stupidità, sonnolenza dell’anima, sonno eccessivo, fantasia , bere molto, ubriachezza, inutilità, pigrizia, godimento insensato, autoindulgenza, venereria, uso di un linguaggio scurrile, effeminatezza, desiderio sfrenato , lussuria ardente, masturbazione, sfruttamento della prostituzione, adulterio, sodomia, bestialità, contaminazione, sregolatezza, un’anima macchiata, incesto, sporcizia, inquinamento, sordidità, affetto finto, risate, scherzi, balli immodesti, applausi, canzoni improprie, baldoria, suonare il flauto, licenza di parola, amore eccessivo per l’ordine, insubordinazione, disordine, collusione riprovevole, cospirazione, guerra, omicidio, brigantaggio, sacrilegio, guadagni illeciti, usura, astuzia, furto di tombe, durezza di cuore , ingiuria, lamentele, bestemmia, criticare, ingratitudine, malevolenza, disprezzo, meschinità, confusione, menzogna, verbosità, parole vuote, gioia sconsiderata, fantasticheria, amicizia sconsiderata, cattive abitudini, assurdità, discorsi sciocchi, loquacità, avarizia, depravazione, intolleranza, irritabilità, ricchezza, rancore, abuso, malumore, aggrapparsi alla vita, ostentazione, affettazione, amore per il potere, dissimulazione, ironia, tradimento, discorsi frivoli, pusillanimità, amore satanico, curiosità, contumelia, mancanza del timore di Dio, mancanza di insegnamento, insensatezza, alterigia, auto-vantaggio, auto-gonfiamento, disprezzo per il prossimo, spietatezza, insensibilità, mancanza di speranza, paralisi spirituale, odio per Dio, disperazione, suicidio, allontanamento da Dio in tutte le cose, distruzione totale: in tutto 298 passioni.

Queste, quindi, sono le passioni che ho trovato nominate nelle Sacre Scritture. Le ho messe giù in un unico elenco, come ho fatto all’inizio del mio discorso con i vari libri che ho usato. Non ho cercato, né sarei stato in grado, di sistemarle tutte in ordine; questo sarebbe stato al di là delle mie capacità, per la ragione data da San Giovanni Klimakos: “Se cerchi la comprensione negli uomini malvagi, non la troverai”. Perché tutto ciò che i demoni producono è disordinato. In comune con gli empi e gli ingiusti, i demoni hanno un solo scopo: distruggere le anime di coloro che accettano i loro malvagi consigli. Tuttavia, a volte aiutano effettivamente gli uomini a raggiungere la santità. In tali casi sono conquistati dalla pazienza e dalla fede di coloro che ripongono la loro fiducia nel Signore e che attraverso le loro buone azioni e la resistenza ai pensieri malvagi contrastano i demoni e attirano su di loro maledizioni.

La differenza tra pensieri e provocazioni

I nostri pensieri differiscono molto l’uno dall’altro. Alcuni sono completamente esenti da peccato . Altri inizialmente non implicano peccato : questo è il caso di quelle che vengono chiamate provocazioni, in altre parole, concezioni di bene o male, che di per sé non sono né lodevoli né riprovevoli. Ciò che segue a queste è noto come ” accoppiamento “: vale a dire, iniziamo a intrattenere un pensiero particolare e a parlarne, per così dire; e questo ci porta o a dargli il nostro assenso o a rifiutarlo. La nostra reazione al pensiero , se in accordo con la volontà di Dio, è lodevole, anche se non molto; ma se è in accordo con il male, allora merita censura. Dopo questo arriva la fase in cui il nostro intelletto lotta con il pensiero , e o lo conquista o ne è conquistato; e questo porta all’intelletto credito o punizione quando il pensiero viene messo in azione. Lo stesso vale per ciò che viene chiamato assenso : questa è un’inclinazione piacevole dell’anima verso ciò che vede; e conduce allo stato di seduzione o prigionia in cui il cuore è indotto con la forza e contro la volontà a mettere in atto il pensiero .

Quando l’anima si diletta a lungo con un pensiero appassionato, sorge ciò che chiamiamo passione . Questa a sua volta, attraverso il suo rapporto con l’anima, diventa una disposizione consolidata dentro di noi, costringendo l’anima a muoversi di sua spontanea volontà verso l’azione corrispondente. Quando si tratta di passione , indiscutibilmente e invariabilmente dobbiamo pentirci proporzionalmente o altrimenti subire una punizione nell’età a venire, come afferma San Giovanni Klimakos. Siamo puniti per la nostra mancanza di pentimento , e non perché abbiamo dovuto lottare contro la tentazione ; altrimenti la maggior parte di noi non potrebbe ricevere il perdono finché non avessimo raggiunto il totale distacco . Ma come osserva ancora San Giovanni Klimakos, “Non è possibile per tutti raggiungere il distacco , ma tutti possono essere salvati e riconciliati con Dio”.

Una persona intelligente , consapevole di tutto questo, rifiuterà così la provocazione maligna iniziale , madre di ogni male, così da poterne tagliare con un colpo solo tutte le conseguenze perniciose. Ma è sempre pronta a mettere in atto la buona provocazione , così che la sua anima e il suo corpo possano dare una ferma disposizione alla virtù e siano liberati dalle passioni attraverso la grazia di Cristo. Poiché non abbiamo nulla che non abbiamo ricevuto da Lui (cfr. 1 Cor. 4:7), né possiamo offrirgli nulla se non la nostra facoltà di libero arbitrio. Se ci mancasse, non possederemmo la conoscenza o la forza di fare ciò che è bene. Tuttavia anche questa facoltà di libero arbitrio ci è data da Dio nel suo amore, così che non possiamo essere condannati come incapaci di fare nulla. Poiché l’ozio è la fonte di ogni male.

Inoltre, secondo il Gerontikon, anche il fare ciò che è bene richiede discriminazione . Infatti la vergine che digiunava per sei giorni ogni settimana e studiava costantemente l’Antico e il Nuovo Testamento, non guardava con distacco a ciò che è piacevole e a ciò che è spiacevole. Dopo tali fatiche avrebbe dovuto raggiungere lo stato di impassibilità , ma ciò non accadde; perché il bene non è bene se il suo scopo non è conforme alla volontà di Dio. In molte occasioni nella Scrittura divina Dio è addolorato con qualcuno che sta facendo qualcosa che a tutti sembra essere buono, e guarda favorevolmente a qualcuno che sembra fare del male. Un caso emblematico è quello del profeta che chiese a qualcuno di colpirlo; quando l’uomo rifiutò fu divorato da una bestia selvaggia, sebbene avesse agito in un modo che era apparentemente buono (cfr. I Re 20:35-36). Anche san Pietro pensò di agire correttamente quando rifiutò di farsi lavare i piedi, ma fu rimproverato per questo (cfr. Gv 13:8). Perciò dovremmo fare tutto il possibile per discernere la volontà di Dio e per farla, che corrisponda a ciò che pensiamo bene o no. Così il fare del bene non deve essere compiuto senza sforzo da parte nostra; perché in questo modo non siamo privati ​​né della nostra libertà di scelta né della lode che guadagniamo per aver esercitato pressione su noi stessi. In breve, tutto ciò che Dio dispone è ammirevole, al di là della portata dell’intelletto e del pensiero .

Dobbiamo ammirare non solo il significato interiore di tutte le cose che vengono celebrate nella Chiesa dei cristiani ortodossi, ma anche le azioni sacramentali attraverso le quali questo significato è espresso: come attraverso il battesimo divino diventiamo figli di Dio per grazia; sebbene non abbiamo fatto nulla prima di questo, e non facciamo nulla dopo se non osservare i comandamenti; e come questi misteri impressionanti – mi riferisco al santo battesimo e alla santa comunione – non possano aver luogo senza il sacerdozio, come dice san Giovanni Crisostomo. Qui, anche, vediamo il significato del potere dato a san Pietro, capo degli apostoli; perché se le porte del regno dei cieli non sono aperte dall’azione sacerdotale, nessuno può entrare (cfr Mt 16,19). Come dice il Signore: “Se uno non nasce da acqua e da Spirito…” (Gv 3,5); e ancora: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete vita in voi” (Gv 6,53).

Allo stesso modo dobbiamo riflettere con stupore come la parte esterna del tempio dell’Antica Alleanza, dove i sacerdoti compivano sacrifici, fosse un’immagine del cosmo (cfr. 1 Re 8,64), mentre all’interno vi era il Santo dei Santi (cfr. Es 30,10; Eb 9,3), in cui veniva offerto l’incenso fatto di quattro componenti, gomma profumata, mirra, balsamo e cassia, che rappresentano le quattro virtù universali. Le cerimonie compiute nella parte esterna erano una concessione accordata da Dio, affinché gli ebrei, con la loro mentalità infantile, non fossero tratti in inganno dai canti e dalle delizie per adorare gli idoli. Ma la Chiesa della Nuova Alleanza è l’immagine delle benedizioni riservate, e per questo motivo ciò che si compie al suo interno è spirituale e celeste. Perché come ci sono nove ordini in cielo, così ci sono nove ordini nella Chiesa; patriarchi, metropoliti, vescovi, sacerdoti, diaconi, suddiaconi, lettori, cantori e monaci.

Allora dovremmo anche meravigliarci di come i demoni e le varie malattie siano dissipati dal segno della preziosa e vivificante Croce, che tutti possono fare senza costo o sforzo. Chi può contare i panegirici composti in suo onore? I santi padri ci hanno tramandato il significato interiore di questo segno, così che possiamo confutare gli eretici e gli infedeli. Le due dita e la mano singola con cui è fatto rappresentano il Signore Gesù Cristo crocifisso, e in tal modo si riconosce che Egli esiste in due nature e un’unica ipostasi o persona. L’uso della mano destra simboleggia il Suo potere infinito e il fatto che Egli siede alla destra del Padre. Che il segno inizi con un movimento verso il basso dall’alto significa la Sua discesa verso di noi dal cielo. Di nuovo, il movimento della mano dal lato destro a quello sinistro allontana i nostri nemici e dichiara che con il Suo potere invincibile il Signore ha vinto il diavolo, che è sul lato sinistro, oscuro e privo di forza.

Ancora una volta, dobbiamo meravigliarci di come attraverso piccoli tratti di colore i dipinti ci mostrino tante cose meravigliose compiute in tanti anni dal nostro Signore e da tutti i suoi santi, facendole sembrare come se fossero state appena compiute. Ciò avviene attraverso la provvidenza di Dio, affinché diventando testimoni oculari, per così dire, di queste cose, il nostro desiderio di Dio possa crescere ancora di più, come dice san Pietro, capo degli apostoli, nel racconto del martirio del suo discepolo Pancrazio.

Tutto ciò che è stato detto dall’inizio di questo discorso non è di alcun beneficio per nessuno senza la vera fede ; né può essere messo in pratica senza fede , proprio come non c’è fede senza opere (cfr. Giac. 2:20). Molti dei santi padri hanno scritto sulla fede e sulle opere. Come promemoria conclusivo dirò brevemente che, a qualunque ordine apparteniamo, dovremmo tutti noi intraprendere le opere di cui ho scritto, così come attenerci saldamente alla fede ortodossa che abbiamo ricevuto dai santi che ho citato, così che con loro possiamo ottenere benedizioni eterne attraverso la grazia e l’amore del nostro Signore Gesù Cristo, al quale giustamente appartengono onore e adorazione, insieme al Suo Padre non onnipotente e al Suo Spirito tutto santo, benedetto e vivificante, ora e sempre e attraverso tutte le età. Amen.

Dopo aver completato questo, dissi: “Cristo, la gloria è giustamente tua”.

Libro II: Ventiquattro Discorsi

I: Saggezza spirituale

In tutte le lingue la prima lettera dell’alfabeto è A, anche se alcune persone non lo sanno. Allo stesso modo, la prima di tutte le virtù è la saggezza spirituale, anche se è anche il loro compimento. Perché se l’ intelletto non è imbevuto di saggezza spirituale, nessuno può realizzare nulla di valore, perché non avrà nemmeno imparato ciò che è di valore. Ma se è stato reso capace dalla grazia di imparare qualcosa su questo, possiederà in quella misura la saggezza. Tuttavia, sebbene imparare l’alfabeto sia qualcosa di elementare, se non lo impariamo non possiamo procedere a nessuno studio più avanzato. Allo stesso modo, sebbene i nostri primi passi nella conoscenza spirituale possano essere molto lievi, se non li facciamo non acquisiremo alcuna virtù. Per questo motivo ho paura di scrivere qualcosa sulla saggezza, poiché ne sono completamente privo.

Mi sembra che ci siano quattro cose che rendono articolato l’ intelletto : primo, la grazia e la beatitudine soprannaturali; secondo, la purezza che deriva dalla pratica delle virtù e che riporta l’anima alla sua bellezza incontaminata; terzo, l’esperienza delle forme inferiori di insegnamento, attraverso l’educazione umana e l’apprendimento secolare; quarto, l’ illusione maledetta e satanica che opera in noi attraverso l’orgoglio e l’astuzia demoniaca e distorce la nostra natura. Non ho alcuna parte in nessuna di queste cose. Quindi come posso scrivere? Forse la fede di voi che nella vostra devozione a Dio mi spingete a scrivere porterà grazia alla mia penna; perché il mio intelletto e la mia mano sono indegni e impuri. So per esperienza che questo può accadere. Perché, padri, ogni volta che ho voluto scrivere qualcosa non sono stato in grado di formularlo nel mio intelletto finché non ho effettivamente preso la mia penna. Spesso era qualche piccolo pensiero suggerito dalla Scrittura, o qualcosa che avevo sentito o visto in questo mondo, che metteva la mia mente al lavoro; ma non appena ho preso la penna e ho cominciato a scrivere, ho scoperto subito cosa dovevo dire. È come se qualcuno mi costringesse a scrivere la cosa; e quando ciò accade, comincio a scrivere liberamente e senza ansia per tutto il tempo che la mia mano è tesa. Se Dio mette qualcosa nel mio cuore oscurato , lo scrivo senza pensare. Questo mi impedisce di immaginare di essere la fonte di ciò che ho ricevuto attraverso le preghiere di un altro, come dice san Giovanni Klimakos, basandosi sulle parole di san Paolo: “Che cosa hai che tu non abbia ricevuto? Ora, se l’hai ricevuto, perché te ne vanti, come se non l’avessi ricevuto?” (1 Cor. 4:7) – come se, cioè, tu stesso ne fossi l’autore.

Secondo Sant’Isacco le idee che sorgono spontaneamente nell’intelletto di coloro che hanno raggiunto uno stato di quiete , libero dal pensiero discorsivo , devono essere accettate. Ma ciò che deriva dal pensiero discorsivo è una nozione puramente soggettiva e individuale. Sant’Antonio dice che ogni parola o atto dovrebbe essere supportato dalla Scrittura divina. È in questo spirito che inizio a scrivere, proprio come l’asina di Balaam iniziò a parlare (cfr. Num. 22:28-30). Lo faccio non per insegnare agli altri – Dio non voglia! – ma per rimproverare la mia anima infelice, così che, vergognato dalle mie stesse parole, come dice San Giovanni Klimakos, io che non ho fatto altro che parlare possa iniziare ad agire. Chi sa se vivrò e avrò la forza di scrivere? O se sarai in grado di eseguire ciò che dico? Ma iniziamo entrambi a fare entrambe le cose, ciascuno nella misura delle proprie capacità. Perché non sappiamo quando moriremo e quando verrà la nostra fine. Ma Dio che preconosce ogni cosa conosce anche noi. A Lui sia la gloria per tutte le età. Amen.

II. I due tipi di fede

San Paolo disse che la fede era la base di tutte le azioni conformi alla volontà di Dio, e che l’abbiamo ricevuta attraverso il santo battesimo per grazia di Cristo e non attraverso le opere (cfr Col. I:23; Rom. I 1:6). Secondo Sant’Isacco, questo è il primo tipo di fede , e genera la paura che è insita in essa. Tale paura ci porta a osservare i comandamenti e a sopportare pazientemente prove e tentazioni, come ha spiegato San Massimo. Quindi, dopo che abbiamo iniziato ad agire in questo modo, nasce in noi un secondo tipo di fede , la grande fede della contemplazione , a cui il Signore si riferiva quando disse: “Se avete fede quanto un granello di senape… nulla vi sarà impossibile” (Mt 17:20). Quindi c’è, in primo luogo, la fede ordinaria di tutti i cristiani ortodossi, vale a dire la corretta credenza dottrinale riguardante Dio e la sua creazione, sia visibile che invisibile, come la Santa Chiesa cattolica, per grazia di Dio, l’ha ricevuta; e c’è, in secondo luogo, la fede della contemplazione o conoscenza spirituale, che non è in alcun modo opposta al primo tipo di fede ; al contrario, la prima fa nascere la seconda, mentre la seconda rafforza la prima.

Acquisiamo il primo tipo di fede ascoltandolo, ereditandolo da genitori e insegnanti devoti della fede ortodossa ; ma il secondo è generato in noi dalla nostra vera fede e dal nostro timore del Signore in cui siamo giunti a credere. Perché a causa di questo timore abbiamo scelto di osservare i comandamenti e quindi abbiamo deciso di praticare le virtù che riguardano il corpo: quiete , digiuno, veglie moderate, salmodia, preghiera, lettura spirituale e interrogare coloro che hanno esperienza su tutti i nostri pensieri, parole o iniziative. Pratichiamo queste virtù affinché il corpo possa essere purificato dalle peggiori passioni: gola, impudicizia e beni superflui e affinché possiamo essere contenti di ciò che abbiamo, come dice l’apostolo (cfr. Eb. 13:5).

È in questo modo che un uomo trova la forza di dedicarsi senza distrazioni a Dio. Impara dalle Scritture e dalle persone esperte le dottrine e i comandamenti divini, e inizia a rifiutare il resto delle otto passioni principali. Percependo le punizioni che minacciano l’uomo, non ha semplicemente paura di Dio: lo teme come Dio, nelle parole di San Neilos. Come conseguenza di questa paura, inizia a osservare i comandamenti con vera conoscenza del perché lo fa. E più sopporta la morte volontaria per amore di ogni comandamento, più entra in una maggiore conoscenza e contempla ciò che sta accadendo in se stesso attraverso la grazia di Cristo. Di conseguenza, arriva a credere che la fede ortodossa è veramente gloriosa, e inizia a desiderare ardentemente di fare la volontà di Dio. Non ha più dubbi sull’aiuto di Dio, ma “getta il suo fardello sul Signore” (Sal. 55: 22). Come dice San Basilio il Grande, chi desidera acquisire il tipo più elevato di fede non deve preoccuparsi della propria vita o della propria morte: anche se affrontato da una bestia feroce o attaccato da demoni o uomini malvagi, non deve avere affatto paura, poiché sa che sono tutte creature di un unico Creatore e sono co-servitori con lui, e non avrebbero alcun potere contro di lui se Dio non glielo permettesse. Deve temere solo Dio, perché solo Lui ha potere.

Ciò è reso chiaro dal Signore stesso quando dice: «Vi mostrerò chi dovete temere», proseguendo: «Temete colui che ha il potere di gettare l’anima e il corpo nella Geenna»; e per confermare le sue parole dice: «Sì, vi dico, temete Lui» (cfr Lc 12,5). Ha una buona ragione per dire questo; perché se qualcun altro all’infuori di Dio avesse potere, dovremmo temerlo; ma poiché Dio solo è il Creatore e il Padrone delle cose di sopra e di sotto, chi può fare qualcosa senza di Lui? Se qualcuno dice che ci sono creature che possiedono il libero arbitrio, anch’io sono d’accordo che gli angeli e gli uomini, così come i demoni, lo possiedono davvero. Ma gli ordini angelici e gli uomini buoni non possono sopportare di infliggere alcun danno a uno dei loro conservi, anche se è molto malvagio; invece, provano compassione per lui e supplicano Dio per lui, come dice Sant’Atanasio il Grande. Quanto agli uomini malvagi e ai loro insegnanti nel male, i demoni, vorrebbero certamente danneggiare gli altri, ma sono assolutamente incapaci di farlo, a meno che la persona in questione non abbia egli stesso causato l’abbandono di Dio attraverso le sue azioni peccaminose. Eppure anche questo avviene per amore della sua istruzione e salvezza per mano del Dio onnipotente, a patto, cioè, che egli sia disposto ad accettare la correzione di Dio della sua innocenza con grata sopportazione. Se rifiuta di farlo, allora l’azione di Dio si rivela di beneficio per qualcun altro, poiché Dio desidera la salvezza di tutti. Le prove e le tentazioni degli uomini giusti e santi avvengono con il consenso di Dio e contribuiscono sia al perfezionamento delle loro anime sia alla vergogna dei loro nemici, i demoni. Così quando la persona che esegue i comandamenti di Cristo diventa consapevole di queste cose, non crede semplicemente che Cristo sia Dio e che abbia potere; perché anche i demoni se ne rendono conto a causa delle sue azioni e rabbrividiscono (cfr. Giac. 2:19). Al contrario, egli crede che tutto è possibile per Cristo, che ogni sua volontà è buona e che senza di Lui non può accadere nulla di buono. È per questo motivo che una tale persona non vuole fare nulla di contrario alla volontà divina, anche se si tratta di salvare la propria vita; sebbene, naturalmente, sia impossibile salvare la propria vita se non si compie la volontà di Dio, perché questa volontà divina è la vita eterna (cfr Gv 12,50), la più grande delle benedizioni, anche se lo sforzo necessario per ottenerla sembra ad alcuni arduo.

Per questo io nella mia miseria sono peggiore dell’infedele, perché non sono disposto a fare sforzi per trovare quella fede più grande e pervenire attraverso di essa al timore di Dio, principio della sapienza dello Spirito (cfr. Prov. I :7). A volte chiudo deliberatamente gli occhi della mia anima e trasgredisco la legge; altre volte sono accecato dalla dimenticanza ed entro in uno stato di totale ignoranza: ignaro di ciò che giova alla mia anima, cado in cattive abitudini e divento un peccatore incallito. Di conseguenza, anche se volessi tornare da dove sono caduto, non potrei farlo, poiché la mia volontà è diventata un muro divisorio tra me e Dio, come dicono i santi padri, e non ho alcun desiderio di sforzarmi per distruggerlo. Se avessi la fede che viene dal compiere opere di pentimento , potrei dire: “Con l’aiuto del mio Dio salterò il muro” (Sal. I 8:29. LXX). Non esiterei per codardia a chiedermi che cosa mi accadrà se mi precipito oltre questo muro, e se non ci sia una fossa dall’altra parte, e che cosa farò se non riesco a passare e cado di nuovo a capofitto all’indietro dopo i miei sforzi, e tante altre domande di questo genere. Tali domande non vengono mai in mente a chi ha fede che Dio è vicino e non lontano (cfr Ger 23,23), e che nella sua determinazione di raggiungere il suo fine avanza direttamente verso Dio, fonte di ogni forza, potenza, bontà e amore, agendo non come uno che “batte l’aria” (cfr 1 Cor 9,26), ma come un nuotatore. Egli aspira al regno di sopra e, lasciando ogni propria volontà alle spalle, viaggia verso la volontà divina finché non sente “nuove lingue” e forse parla anche con loro (cfr Mc 16,17), percependo i misteri. Così egli ottiene, o piuttosto gli viene dato, il potere di ascendere dalla pratica delle virtù allo stato di contemplazione , attraverso la grazia e l’amore del nostro Signore Gesù Cristo, al quale appartengono tutta la gloria, l’onore e il dominio attraverso i secoli. Amen.

III: I due tipi di paura

La gola è il primo degli otto campioni del male. Ma il timore di Dio, che è il primo comandamento, sconfigge tutti gli otto, mentre senza questo timore non si può possedere alcuna benedizione. Infatti, come può la persona che non prova timore osservare il comandamento, se non ha già raggiunto lo stato di amore? Anche colui che ha raggiunto lo stato di amore ha iniziato con il timore, anche se non sa come questo timore iniziale gli sia passato. Se qualcuno dice di aver raggiunto lo stato di amore per qualche altra via, è stato preso prigioniero o dalla gioia spirituale o dalla sua stessa ostinazione, così che è come qualcuno che attraversa un fiume mentre dorme, come dice Sant’Efrem. L’uomo preso dalla gioia spirituale è stupito dalle molte benedizioni che Dio nella sua grazia gli ha concesso, e ama il suo Benefattore. Ma chi si abbandona ostinatamente al lusso e allo splendore, come il ricco (cfr Lc 16,19), pensa che coloro che sono consumati dalla paura e affrontano prove e tentazioni soffrano in questo modo a causa dei loro peccati, e nella sua comodità e compiacenza li disprezza. Immagina di meritare la sua vita facile, anche se in realtà non la merita affatto; perché, accecato dal suo amore insensato per l’effimero, si è reso indegno della vita che gli è riservata. Può anche pensare di aver raggiunto lo stato di amore e per questo di aver ricevuto maggiori benefici rispetto agli altri. Ciò dimostra che è totalmente inconsapevole della tolleranza di Dio nei suoi confronti. Per questo motivo si troverà indifeso nel giorno del giudizio e giustamente sentirà le parole: “Hai ricevuto i tuoi beni durante la tua vita” (Lc 16,25). Tutto ciò è ovvio dal fatto che ci sono molti non credenti di questo tipo, che sono beneficiati da Dio senza meritarlo; eppure nessuno dotato di un minimo di senno li chiamerebbe beati o direbbe che sono degni di essere amati da Dio, o che amano Dio e forse per questo vivono comodamente nella vita presente.

Ma torniamo alla questione del timore di Dio. Come la fede , il timore è di due tipi: il primo è introduttivo, mentre il secondo, che cresce dal primo, è perfetto. Chi ha paura della punizione di Dio ha un timore di Dio da schiavo, ed è questo che lo fa astenersi dal male: “Per timore del Signore gli uomini fuggono il male” (Prov. 16:6. LXX); “Vi insegnerò il timore del Signore” (Sal. 34: I 1). Secondo san Doroteo, queste e simili cose sono dette riguardo al timore introduttivo, affinché attraverso il timore di ciò che ci minaccia noi peccatori possiamo essere indotti a pentirci e possiamo cercare di trovare liberazione dai nostri peccati. Inoltre, quando è attivo in noi, questo timore introduttivo ci insegna la via che conduce alla vita, perché è detto: “Fuggi il male e fa il bene” (Sal. 34:14).

Quanto più un uomo si sforza di fare il bene, tanto più cresce in lui la paura, fino a mostrargli i suoi minimi difetti, quelli che egli considerava come niente mentre era ancora nell’oscurità dell’ignoranza. Quando la paura in questo modo è diventata perfetta, egli stesso diventa perfetto attraverso il dolore interiore: non desidera più peccare ma, temendo il ritorno delle passioni, rimane in questa paura pura invulnerabile. Come dice il salmo, “Il timore del Signore è puro, e dura per sempre” (Sal 19:9. LXX). Il primo tipo di paura non è puro, perché sorge in noi a causa dei nostri peccati. Ma, indipendentemente dal peccato , la persona che è stata purificata continua a provare paura, non perché pecca, ma perché, essendo umano, è mutevole e incline al male. Nella sua umiltà, più avanza attraverso l’acquisizione delle virtù, più teme. Questo è naturale; perché chiunque possieda ricchezze teme molto la perdita, la punizione, il disonore e la conseguente caduta dal suo alto stato. Il povero, al contrario, è nel complesso senza paura: ha solo paura di essere picchiato.

Quanto appena detto vale per coloro che sono del tutto perfetti e puri nell’anima e nel corpo. Ma se qualcuno inciampa ancora, anche se i suoi peccati sono di minima e insignificante specie, non si inganni pensando che il suo timore sia puro. Perché se lo pensa, si inganna, come afferma san Giovanni Klimakos: il suo timore non è puro, né è umiltà. È solo prudenza servile e timore delle punizioni minacciate. Quindi i pensieri di una tale persona devono essere corretti, così che possa imparare a quale tipo di timore è soggetto, e attraverso il più profondo dolore e sopportando pazientemente l’afflizione possa purificarsi dai peccati, e in questo modo attraverso la grazia di Cristo possa raggiungere il timore perfetto. Il segno del primo tipo di timore è l’odio del peccato e l’ira verso di esso, come qualcuno ferito da una bestia feroce. Il segno del timore perfetto è l’amore della virtù e il timore di ricadere, poiché nessuno è immutabile.

Perciò in ogni situazione di questa vita presente dovremmo sempre temere di cadere; perché vediamo il grande re e profeta Davide piangere per i suoi due peccati (cfr Sal 51; 2 Sam 11,1-17), e lo stesso Salomone cedere al male grave (cfr 1 Re 11,1-10). Come dice san Paolo: «Chi pensa di stare in piedi, guardi di non cadere» (1 Cor 10,12). Se qualcuno dice che, secondo san Giovanni, «il timore scaccia il timore» (1 Gv 4,18), ha ragione; ma questo si riferisce al primo timore, quello introduttivo. Riguardo al timore perfetto Davide ha detto: «Beato l’uomo che teme il Signore e trova grande gioia nei suoi comandamenti» (Sal 1 12,1), cioè che nutre grande amore per la virtù. Una persona del genere ha lo status di un figlio, perché ama la virtù non per paura della punizione, ma per l’amore che “scaccia la paura”. Ecco perché “si diletta grandemente”, a differenza dello schiavo che esegue gli ordini sotto costrizione a causa della sua paura della punizione. Da questa punizione possiamo tutti essere salvati, attraverso la grazia e l’amore del nostro Signore Gesù Cristo, al quale appartengono tutta la gloria, l’onore e l’adorazione attraverso i secoli. Amen.

IV: Vera pietà e autocontrollo

È chiaro che la vera pietà abbraccia una grande varietà di cose, come fa la filosofia secolare. Infatti la filosofia presuppone il completamento di dieci diversi rami dell’apprendimento, abbracciando non solo uno o due di questi rami, ma tutti e dieci insieme. Allo stesso modo, la vera pietà non consiste nel possesso di una sola virtù, ma nell’osservanza di tutti i comandamenti. Nella sua forma greca, il termine “vera pietà” deriva da una parola che significa “servire bene”. Se alcuni dicono che “servire bene” è la stessa cosa della fede , spieghino come è possibile temere il Signore prima di credere in Lui. Non si crede prima nel Signore e poi si teme Lui? Quindi la fede fa sorgere la paura e dalla paura nasce la vera pietà. Il profeta Isaia indica che questa è la sequenza corretta: iniziando dalla sapienza, procede in ordine discendente, riferendosi allo “spirito di conoscenza e vera pietà” e, infine, allo “spirito del timore di Dio” (Isaia 11:2-3. LXX). Il Signore stesso comincia con la paura e poi guida l’uomo che possiede questa paura verso uno stato di dolore interiore.

Non è questo il momento di parlare sistematicamente di ogni forma di vera pietà o attività spirituale. Lasciando da parte le pratiche ascetiche pertinenti al corpo che precedono l’acquisizione sia del tipo superiore di fede che del puro timore – perché tutti sanno quali sono queste pratiche – parlerò degli alberi del paradiso spirituale, cioè, con l’aiuto della grazia di Dio parlerò brevemente delle virtù dell’anima. Di queste, la più onnicomprensiva è l’autocontrollo, con cui intendo l’astinenza da tutte le passioni. C’è anche un’altra forma di autocontrollo più parziale, che si applica alle azioni corporee e ci insegna l’uso corretto del cibo e delle bevande. Qui, tuttavia, mi riferisco all’autocontrollo che si applica, come ho detto, alle passioni e che frena ogni pensiero e ogni movimento delle membra che non sia in armonia con la volontà di Dio. La persona che possiede questa virtù non tollera alcun pensiero o parola, alcun movimento della mano o del piede o di qualsiasi altra parte del corpo, a meno che non sia essenziale alla vita del corpo o alla salvezza dell’anima.

È dopo l’acquisizione di questa virtù che le prove e le tentazioni incitate dai demoni aumentano, perché vedono davanti a loro un angelo incarnato, impegnato con tutto il cuore a fare ciò che è giusto e buono. Questo è ciò che si intende con il comando dato all’uomo in paradiso, “di coltivarlo e di custodirlo” (Gen. 2:15); perché l’autocontrollo deve essere coltivato e custodito incessantemente, così da impedire a qualsiasi passione che si trovi fuori dal giardino di insinuarsi furtivamente. Come ho detto, le due forme di autocontrollo o autocontrollo non sono identiche, perché mentre la prima frena l’impudicizia e le altre passioni vergognose, la seconda controlla anche il più piccolo pensiero , sottoponendolo a sorveglianza prima che possa condurre al peccato , e quindi conducendolo a Dio.

Nessuno può parlare o apprendere di questo con precisione solo per sentito dire; è solo attraverso l’esperienza che si può arrivare a comprendere e contrastare tutte queste cose che tanto disturbano l’ intelletto . Come è possibile, infatti, semplicemente dando un nome alle cose, resuscitare la polvere e rendere immateriale il materiale? I nomi sono una cosa, e l’apprendimento secolare, sulla base dell’etimologia, può fornire una conoscenza su di essi. Ma l’esperienza e l’acquisizione delle virtù richiedono l’aiuto di Dio; e si ottengono solo attraverso molto sforzo e in un lungo periodo di tempo. Ciò è particolarmente vero per le virtù dell’anima, perché queste sono le virtù più interiori ed essenziali. Le virtù che appartengono al corpo – che sono meglio descritte come gli strumenti delle virtù – sono più facili da acquisire, anche se richiedono uno sforzo fisico. Ma le virtù dell’anima, anche se richiedono il controllo del solo pensiero , sono molto più difficili da ottenere. Per questo la Legge dice prima: “Guarda te stesso attentamente” (Esodo 23:21. LXX). San Basilio il Grande ha scritto un eccellente trattato su questa frase.

Ma cosa diremo, noi che non siamo affatto attenti? Siamo come i farisei. Alcuni di noi possono digiunare e vegliare e fare altre cose del genere, e spesso lo facciamo con una comprensione parziale. Ma manchiamo di discriminazione perché non prestiamo attenzione a noi stessi e non sappiamo cosa ci viene chiesto. Né siamo disposti a dare un’attenzione persistente e paziente ai nostri pensieri, così da acquisire esperienza dalle nostre numerose prove e battaglie, e diventare così per gli altri almeno un marinaio esperto, se non un capitano. Sebbene siamo tutti ciechi, affermiamo di vedere noi stessi, come sostenevano i farisei. Ecco perché si dice che saranno giudicati più severamente (cfr. Giovanni 9:41). Perché se riconoscessimo la nostra cecità, non saremmo condannati; ci basterebbe essere grati e ammettere il nostro fallimento e la nostra ignoranza. Ma, ahimè, riceveremo una condanna più grande, come i pagani greci; perché, secondo Salomone, aspiravano a tante cose e tuttavia non riuscirono a ottenere ciò che cercavano. Dovremmo quindi tacere, come se non ci fosse nulla da fare per noi? Ciò sarebbe ancora peggio. Rimproveriamo piuttosto noi stessi, perché è vergognoso persino menzionare le cose che facciamo in segreto (cfr Ef 5,12). Quindi non dirò nulla di tali cose, ma parlerò delle virtù che tanto meritano la nostra stima. Poiché il ricordo della loro dolcezza riempie di piacere il mio cuore ottenebrato , e dimentico i miei limiti e non sono più turbato per la condanna che mi attende se parlo e non agisco.

L’autocontrollo, quindi, e l’autocontrollo hanno lo stesso potere e sono duplici, come è stato detto. Ma ora voglio dire qualcosa di più sulla loro forma più perfetta. Colui che per grazia di Dio gode della grande fede della contemplazione insieme al timore puro e divino, e che desidera sulla base di questi mantenere il possesso dell’autocontrollo e dell’autocontrollo, dovrebbe prima dominare se stesso sia esteriormente che interiormente, agendo come se fosse già morto nell’anima e nel corpo per quanto riguarda questo mondo e tutti gli altri uomini. In ogni circostanza dovrebbe dire a se stesso: “Chi sono io? Che cosa è la mia esistenza? Nient’altro che abominio. Perché inizio come terra e finisco come putrefazione, e nel mezzo sono pieno di ogni sorta di insolenza e peggio. Che cosa è la mia vita? E quanto è lunga? Una sola ora e poi viene la morte. Perché mi preoccupo di questo e di quello? Sto già morendo. Perché Cristo controlla sia la vita che la morte. Perché mi preoccupo e mi sforzo invano? Tutto ciò di cui si ha bisogno è un pezzo di pane: perché cercare di più? Se ho questo, non c’è nulla di cui preoccuparsi. Se non ce l’ho, può darsi che nella mia ignoranza me ne preoccupi; eppure è Dio che provvede.’

Per queste ragioni ogni uomo dovrebbe fare della sua intera preoccupazione di custodire i suoi sensi e i suoi pensieri, in modo da non escogitare o fare nulla che non sembri essere in accordo con la volontà di Dio. Si prepari ad accettare pazientemente le cose che gli accadono per mano di uomini e demoni, siano esse piacevoli o spiacevoli. Né l’una né l’altra dovrebbero eccitarlo o farlo cedere a una gioia e a una presunzione insensate, o a un abbattimento e a una disperazione. Non dovrebbe intrattenere alcun pensiero troppo fiducioso finché non verrà il Signore. A Lui sia la gloria per tutte le età. Amen.

V: Resistenza del paziente

Il Signore ha detto: “Chi avrà perseverato pazientemente fino alla fine sarà salvato” (Mt 10,22). La pazienza è il consolidamento di tutte le virtù, perché senza di essa nessuna di esse può sussistere. Infatti chiunque si converte non è “adatto per il regno dei cieli” (Lc 9,62). Infatti, anche se qualcuno pensa di essere in possesso di tutte le virtù, non è ancora adatto per il regno finché non ha prima perseverato fino alla fine ed è sfuggito alle insidie ​​del diavolo; perché solo così può ottenerlo. Anche coloro che hanno ricevuto un assaggio del regno hanno bisogno di pazienza se vogliono ottenere la loro ricompensa finale nell’età a venire. In effetti, in ogni forma di apprendimento e conoscenza è necessaria la perseveranza. Ciò è naturale, poiché anche le cose sensibili non possono essere prodotte senza di essa: quando una cosa del genere nasce, deve esserci un periodo di paziente attesa se deve continuare a vivere.

In breve, è richiesta una paziente sopportazione prima che qualcosa possa accadere; e, una volta che qualcosa è accaduto, può essere sostenuto e portato alla perfezione solo attraverso tale sopportazione. Se è qualcosa di buono, questa virtù lo assiste e lo protegge; se è qualcosa di cattivo, conferisce sollievo e forza d’animo e non consente alla persona tentata di diventare pusillanime, sperimentando così un assaggio dell’inferno. La paziente sopportazione uccide la disperazione che uccide l’anima; insegna all’anima a trovare conforto e a non diventare apatica di fronte alle sue numerose battaglie e afflizioni.

Giuda era privo di questa virtù e, a causa della sua inesperienza nella guerra spirituale, subì una doppia morte (cfr. Mt 27,5j. Pietro, capo degli apostoli, la possedeva, essendo un guerriero esperto; e quando cadde, sconfisse il diavolo che lo aveva rovesciato (cfr. Mt 26,75; Gv 21,15-17). Il monaco che una volta cadde nell’impudicizia la acquisì e conquistò il suo vincitore non cedendo al consiglio della disperazione che lo spingeva ad abbandonare la sua cella e la sua solitudine. Pazientemente disse ai pensieri che lo tentavano: “Non ho peccato; e di nuovo ti dico: non ho peccato”. Quale comprensione divina e pazienza in quell’uomo nobile! Questa benedetta virtù portò a compimento il giusto Giobbe e le sue buone opere iniziali; perché se gli fosse mancata anche solo di poco, avrebbe cancellato tutto il bene che aveva fatto in precedenza. Ma Dio che conosceva la sua pazienza permise che la peste lo colpisse per il suo perfezionamento e per il beneficio di molti altri.

Chi, quindi, sa cosa è a suo vantaggio dovrebbe lottare per acquisire questa virtù prima di ogni altra cosa, secondo San Basilio il Grande. Infatti San Basilio ci consiglia di non combattere contro tutte le passioni in una volta, poiché se non abbiamo successo potremmo tornare indietro e non essere più adatti al regno dei cieli. Piuttosto dovremmo combattere le passioni una alla volta e iniziare sopportando pazientemente qualsiasi cosa ci accada. Questo è giusto; perché la persona a cui manca la pazienza non sarà mai in grado di resistere nemmeno in una battaglia ordinaria, ma porterà solo fuga e distruzione su se stesso e sugli altri ritirandosi. Ecco perché Dio disse a Mosè di non permettere a nessuno che fosse codardo di uscire con l’esercito (cfr. Deut. 20:8). In una guerra ordinaria potrebbe essere possibile per qualcuno rimanere dentro casa sua e non uscire a combattere; e sebbene facendo questo perda doni e onori, potrebbe vivere in povertà e disonore. Ma nella guerra spirituale è impossibile trovare un posto in qualsiasi parte della creazione in cui non si stia combattendo una battaglia. Nel deserto ci sono bestie selvagge e demoni e altre cose malefiche e terrificanti; nei luoghi di solitudine e quiete ci sono demoni, prove e tentazioni; in mezzo alla compagnia umana ci sono demoni e uomini che ci mettono alla prova e ci tentano. Non c’è posto in cui si sia indisturbati; e, per questo motivo, senza una paziente sopportazione è impossibile trovare la pace.

Tale resistenza nasce dal timore e dalla fede , sebbene abbia origine nella comprensione. Chi è assennato esamina le cose alla luce del suo intelletto e, quando scopre di essere “accantonato da ogni parte” – per usare le parole di Susanna – sceglie ciò che è meglio, come fece lei. Perché disse a Dio: “Sono accerchiata da ogni parte. Se faccio la volontà dei sacerdoti senza legge, la mia anima perirà a causa del mio adulterio; ma se disobbedisco loro, mi accuseranno di adulterio e come giudici del popolo mi condanneranno a morte. È meglio per me rifugiarmi nell’Onnipotente, anche se la morte mi attende” (cfr. Sus., versetti 22-23). ​​Quanto grande era la saggezza di quella donna benedetta! Infatti, appena il popolo si fu radunato e i giudici iniqui si furono seduti per accusare lei, che era innocente, e condannarla a morte come adultera, allora Daniele, benché avesse solo dodici anni, fu dichiarato profeta da Dio e la salvò dalla morte, trasferendo la condanna a morte da lei ai sacerdoti che stavano per giudicarla ingiustamente (cfr Sus., vv. 44-62).

Attraverso Susanna Dio ha mostrato quanto è vicino a coloro che sono disposti a sopportare le prove per amor Suo, e che non abbandoneranno la virtù per codardia a causa della sofferenza coinvolta, ma si aggrapperanno alla legge di Dio sopportando pazientemente ciò che accade loro, rallegrandosi nella speranza della salvezza. E hanno una buona ragione per farlo; perché quando ci si trova di fronte a due pericoli, uno con conseguenze temporanee e l’altro con conseguenze eterne, non è meglio scegliere il primo? Per questo motivo Sant’Isacco dice che è meglio sopportare i pericoli per amore di Dio e aggrapparsi a Lui nella speranza della vita eterna, che per paura delle prove allontanarsi da Dio nelle mani del diavolo ed essere condannati con lui alla punizione. Se amiamo Dio, allora come i santi dovremmo rallegrarci delle nostre prove. Ma anche se non siamo come loro, scegliamo almeno la via migliore semplicemente per costrizione; perché siamo costretti o a correre rischi fisici in questa vita presente, raggiungendo così lo stato di impassibilità e giungendo così a regnare con Cristo spiritualmente in questa età e nell’età futura ; oppure, come ho detto, a decadere per paura delle prove ed essere condannati a una punizione eterna.

Che Dio ci salvi dalla punizione dandoci la forza di sopportare pazientemente qualsiasi cosa terribile ci capiti. La resistenza è come una roccia incrollabile nei venti e nelle onde della vita. Per quanto la tempesta lo colpisca, l’uomo paziente rimane saldo e non torna indietro; e quando trova sollievo e gioia, non si lascia trasportare dall’autogloria: è sempre lo stesso, che le cose siano difficili o facili, e per questo motivo è al sicuro dalle insidie ​​del nemico. Quando le tempeste lo assalgono, le sopporta con gioia, aspettando la loro fine; e quando i cieli gli sorridono, si aspetta la tentazione , fino al suo ultimo respiro, come ha detto Sant’Antonio. Una persona del genere sa che nulla nella vita è immutabile e che tutte le cose passano. Quindi non è turbato o ansioso per nessuna di esse, ma lascia ogni cosa nelle mani di Dio, perché Egli ci ha nella sua cura (cfr. I Pt 5,7); e a Lui appartengono tutta la gloria, l’onore e il dominio attraverso i secoli. Amen.

VII: Distaccamento

La vita è speranza libera da ogni ansia, ricchezza nascosta ai sensi ma attestata dalla comprensione e dalla vera natura delle cose. I contadini lavorano faticosamente, seminando e piantando, i marinai sopportano molti pericoli e i bambini imparano a leggere e scrivere e altri rami della conoscenza. Tutti guardano avanti con speranza, lavorando con gioia. Esteriormente sacrificano vantaggi immediati, ma in realtà, anche se perdono ciò che sacrificano, attraverso la loro paziente resistenza guadagnano ciò che ha un valore molto più grande. Ma in tali casi, si potrebbe dire, lo fanno perché sanno per esperienza che stanno per guadagnare qualcosa, mentre nel regno dello spirituale nessuno è risorto dai morti così che possiamo sapere quali ricompense aspettarci. È, tuttavia, solo perché non abbiamo esperienza di doni spirituali e conoscenza spirituale che pensiamo in questo modo. Né è sorprendente che dovremmo farlo. Perché anche i contadini e i marinai sono pieni di apprensione finché non hanno acquisito esperienza. E i bambini, ignorando il valore della scrittura e delle altre materie, cercano di evitare di impararle; ma i genitori, consapevoli di ciò che si può guadagnare, nel loro amore li costringono a studiare; poi, quando il tempo è maturo, i figli stessi acquisiscono esperienza e non solo cominciano ad amare le lezioni e coloro che li costringono a studiare, ma anche ad accettare con gioia le prove dell’apprendimento. Così anche noi, partendo nella fede , dovremmo sforzarci pazientemente di progredire e non perderci d’animo a causa delle nostre tribolazioni; e poi, quando il tempo è maturo, come loro arriveremo a conoscere il valore di ciò che ci sta accadendo e quindi lavoreremo instancabilmente e con gioia e letizia. “Camminiamo per fede “, come dice San Paolo, “non per visione” (2 Cor. 5:1).

Eppure, proprio come è impossibile per qualcuno impegnato negli affari fare un profitto sulla base della sola fede , così è impossibile per chiunque raggiungere la conoscenza spirituale e il riposo prima di aver lavorato nel pensiero e nell’azione per acquisire le virtù. E proprio come gli uomini d’affari temono sempre la perdita e sperano nel guadagno, così dovremmo farlo anche noi, fino al nostro ultimo respiro; e come loro si sforzano non solo quando fanno un profitto, ma anche dopo aver subito una perdita e aver corso dei rischi, così dovremmo farlo anche noi, sapendo che l’uomo ozioso non mangerà il frutto delle proprie fatiche e così diventerà un povero, forse persino cadendo pesantemente in debito. È per questo che il profeta dice: “Mi hai fatto abitare nella speranza” (Sal. 4:8. LXX); e l’apostolo scrive: “Per mezzo della speranza furono resi perfetti” (cfr. Ebr. I 1:39-40).

Ecco in breve ciò che possiamo apprendere dalla natura e dalla Sacra Scrittura. Ma se qualcuno desidera conoscere queste cose attraverso l’esperienza, faccia tutto il possibile per praticare assiduamente, come se fosse a scuola, le sette forme di disciplina corporale, e presti attenzione anche alle virtù morali, cioè alle virtù che appartengono all’anima. Quindi, dopo aver raggiunto la speranza e aver persistito in essa, otterrà una conoscenza precisa di ciò che è stato detto. Si renderà conto che fin dall’inizio del suo pentimento , quando ha iniziato a praticare la prima delle sette forme di disciplina corporale, vale a dire la quiete , la ricompensa della speranza e le benedizioni che conferisce gli sono state concesse anche prima che iniziasse a praticare le altre sei, vale a dire il digiuno, le veglie e così via. Non appena ha iniziato a praticare la prima di esse, la quiete , l’inizio della purificazione dell’anima, subito gli sono state conferite le benedizioni a cui aspirava. Ma essendo uno studente inesperto non riconobbe la grazia del suo Maestro, proprio come un bambino non riconosce la generosità dei suoi genitori, sebbene prima che nascesse fosse già loro desiderio di aiutarlo, perché pregarono che nascesse e vivesse. Il bambino non riesce nemmeno a realizzare che sarà il loro erede e avrà tutto ciò che già possiedono così come ciò che le loro fatiche possono ancora accumulare. Nella sua ignoranza non presta alcuna attenzione a tali cose, ma pensa all’obbedienza ai suoi genitori come a una prova. In effetti, se non avesse bisogno di cibo e di altre necessità naturali, non sarebbe affatto grato nei loro confronti.

Chi desidera ereditare il regno dei cieli, ma non sopporta pazientemente ciò che gli accade, si mostra ancora più ingrato di un simile bambino. Perché è stato creato dalla grazia di Dio, ha ricevuto tutte le cose in questo mondo, attende ciò che deve venire ed è stato chiamato a regnare eternamente con Cristo, che lo ha onorato, nonostante il suo nulla, con doni così grandi, visibili e invisibili, fino al punto di versare per lui il suo sangue preziosissimo, senza chiedergli nulla se non che scegliesse di ricevere le sue benedizioni. Perché questa è l’unica richiesta di Cristo, e chiunque può capirla rimarrà stupito. “Che cosa richiede Dio da te?” ci viene chiesto (cfr. Mic. 6:8. LXX). Quanto siamo stupidi! Come è possibile che guardiamo e non riusciamo a vedere i suoi misteri terrificanti? Perché proprio ciò che sembra esigere da noi è in realtà un altro dono, un dono più grande. Come non comprendere che colui che coltiva le virtù è il più grande degli uomini, superiore a tutti, anche se è un povero e di umile nascita? Come possiamo riconoscere i profeti, gli apostoli e i martiri in questa vita presente, e tuttavia dubitare delle benedizioni che li aspettano? Consideriamo le loro vite e ciò che hanno fatto, e da dove dicono di aver ricevuto grazia e forza. Non compiono miracoli anche dopo la loro morte? Non abbiamo notato come i re e i ricchi venerano le loro sante icone? Abbiamo visto come gli uomini virtuosi vivono anche in questa vita presente pieni di gratitudine, virtù e gioia spirituale, mentre i ricchi sono turbati e sperimentano prove e tentazioni più grandi degli asceti e di coloro che non possiedono nulla. Tutto ciò ci dà motivo di sperare che la virtù sia veramente più grande di ogni altra cosa. Ma se non bastasse, allora dovremmo notare come i non credenti, sebbene possano non conoscere Dio, lodino comunque la virtù, nonostante il fatto che l’uomo virtuoso sembri avere una fede diversa dalla propria. Perché anche un nemico è capace di rispettare la virtù del suo avversario.

Se crediamo che la virtù sia buona, allora necessariamente Dio, che ha creato la virtù e l’ha data agli uomini, è anche buono; e se è buono, allora necessariamente è anche giusto, perché la giustizia è una virtù e quindi è buona. Se Dio è sia buono che giusto, allora ha certamente fatto tutto ciò che ha fatto e sta facendo per bontà, anche se questo non sembra essere così ai malvagi. Perché nulla oscura la mente di un uomo quanto il male, mentre Dio si rivela alla semplicità e all’umiltà, non alla fatica e alla stanchezza. Ma si rivela, non nel modo in cui alcuni nella loro inesperienza pensano, ma attraverso la contemplazione degli esseri creati e attraverso la rivelazione dei misteri nascosti nelle divine Scritture. Tale è la ricompensa, in questa vita presente, della quiete e delle altre virtù. Quanto all’età futura , “l’occhio non ha visto, l’orecchio non ha udito, e il cuore dell’uomo non ha afferrato le cose che Dio ha preparato per coloro che lo amano” (1 Cor. 2:9), e che rinunciano alla propria volontà nella paziente perseveranza e nella speranza delle benedizioni tenute in serbo. Preghiamo affinché anche noi possiamo ottenere queste benedizioni attraverso la grazia e l’amore del nostro Signore Gesù Cristo, al quale appartengono tutta la gloria, l’onore e il dominio attraverso i secoli. Amen.

Il distacco ha origine nella speranza, perché chi spera di acquisire altrove ricchezze eterne disprezza facilmente ciò che è materiale e transitorio, anche se gli offre ogni genere di conforto. Infatti, sebbene la sua vita possa essere dura e piena di dolore, chi potrebbe persuadere un uomo intelligente a dare valore alle ricchezze materiali al di sopra dell’amore per Dio, che dà entrambe le forme di ricchezza a coloro che lo amano? Ciò potrebbe accadere solo a qualcuno cieco e incapace di vedere affatto a causa della sua mancanza di fede o a causa della sua cattiva disposizione e delle sue abitudini. Se avesse posseduto la fede , sarebbe stato illuminato; e se attraverso la sua ferma fede avesse ricevuto solo una piccola misura dell’illuminazione che deriva dalla conoscenza spirituale, avrebbe lottato per distruggere quelle cattive abitudini. E se avesse deciso di fare questo, la grazia di Dio avrebbe lavorato e lottato con lui. Ma il Signore ha detto che pochi sono salvati (cfr Luca 13:23-24); perché le cose che vediamo sembrano essere dolci, anche quando sono in realtà amare. Il cane che si lecca la ferita con la lingua non si accorge del dolore a causa della dolcezza, e non si rende conto che sta bevendo il suo stesso sangue; e il ghiottone che mangia ciò che gli fa male sia nell’anima che nel corpo non si accorge del danno che fa a se stesso. Tutti coloro che sono schiavi della passione soffrono allo stesso modo a causa della loro mancanza di consapevolezza; e anche se resistono per un po’ sono di nuovo sopraffatti dall’abitudine.

Per questo motivo il Signore dice: «Il regno dei cieli è sottoposto a violenza» (Mt 11,12). Tale violenza è dovuta non alla nostra natura, ma alla nostra intimità con le passioni. Se fosse dovuta alla nostra natura, nessuno entrerebbe nel regno. Per coloro che hanno scelto il regno, tuttavia, il giogo del Signore è facile da portare e il suo carico è leggero (cfr Mt 1,11-30), mentre per coloro che non hanno fatto questa scelta, «stretta è la porta e angusta la via» (Mt 7,14) e «il regno è sottoposto a violenza» (Mt 11,12). Nel caso di coloro che lo scelgono, il regno è dentro e vicino a loro, perché lo desiderano e desiderano raggiungere qui e ora lo stato di distacco . Perché ciò che aiuta o ostacola la nostra salvezza è la volontà, e nient’altro. Se vuoi fare qualcosa di buono, fallo; e se non puoi farlo, allora decidi di farlo, e avrai raggiunto la risoluzione anche se non compi l’azione stessa. Così un’abitudine, buona o cattiva che sia, può essere gradualmente e spontaneamente superata. Se così non fosse, nessun criminale sarebbe mai salvato, mentre in realtà non solo sono stati salvati, ma molti sono diventati noti per la loro eccellenza. Pensa a quale grande abisso separa il criminale dal santo; eppure la risoluzione alla fine ha superato l’abitudine. Se per grazia di Cristo qualcuno è religioso o monaco, cosa gli impedisce di raggiungere la santità, come l’hanno raggiunta i criminali? Erano lontani dalla santità, lui è vicino; ha già completato la maggior parte del viaggio, aiutato dalla grazia, o dalla natura, o dalla devozione e dalla riverenza che ha ereditato dai suoi genitori. Non è strano, allora, che quando i briganti e i ladri di tombe diventano santi, i monaci siano condannati? Ma, ahimè, “la vergogna del mio volto mi ha coperto” (Sal. 44:15).

I re rinunciano alle loro ricchezze, come fece Joasaph e altri come lui; ma spesso un uomo povero non è in grado di continuare nel suo stato originale, e quindi di entrare senza lottare nel regno dei cieli semplicemente rimanendo distaccato dalle cose che non ha acquisito per eredità dai suoi genitori. Perché sebbene al battesimo abbia rinunciato anche a ciò che non gli apparteneva – poiché un altro possiede il mondo e le cose in esso, ha solo il potere di desiderarle – e sebbene abbia rinunciato anche a questo sovrano del mondo, tuttavia anche così può in seguito cercare di acquisire beni. Può dire: “Non sono in grado di vivere senza beni o di sopportare le cose che mi capitano”. “Quali cose?” si potrebbe chiedere. Le celle di prigione e le catene che ha sopportato in precedenza, e che avrebbe potuto sopportare, anche se fosse stato un sovrano? Perché anche coloro che sono in posizioni di autorità e che possiedono ricchezza sono soggetti a queste cose. Cosa, allora? La privazione delle necessità della vita, la nudità e le altre cose che deve sopportare? Ma per non prolungare questa discussione entrando nei dettagli e così accumulando ulteriore vergogna su coloro che sono già pieni di vergogna, aggiungerò solo quanto segue. Se desideriamo ardentemente solo una delle cose visibili, il desiderio a cui abbiamo rinunciato, allora come Ghehazi e Giuda (cfr. 2 Re 5:25-27; Matteo 27:3-5) mieteremo vergogna e disonore nell’età a venire. Perché Ghehazi desiderava ciò che non aveva e così contrasse la lebbra e si allontanò da Dio; mentre Giuda desiderava riprendere possesso di ciò a cui aveva rinunciato e così fu punito non solo con l’impiccagione ma anche con la perdizione.

In che cosa il monaco è eccezionale se non persevera nella verginità e in uno stato di totale spossessamento? Tutti gli uomini sono tenuti a osservare gli altri comandamenti, perché appartengono alla nostra natura; vale a dire, siamo tutti tenuti ad amare Dio e il nostro prossimo, a sopportare pazientemente ciò che ci accade, a fare uso delle cose secondo la loro vera natura e ad astenerci dal commettere il male. Dobbiamo osservare questi comandamenti anche se non vogliamo. Infatti, se non li osserviamo, non troveremo pace nemmeno in questo mondo, poiché le leggi puniscono coloro che le offendono e i nostri governanti ci costringono a vivere virtuosamente. Come dice san Paolo, il governante “non porta la spada invano” (Rom. 13:4); e ancora: “Vuoi non aver paura delle autorità? Fa’ ciò che è giusto e avrai la loro approvazione” (Rom. 13:3). Tutti fanno e vogliono fare queste cose perché sono in accordo con la natura – anzi, insistiamo che debbano essere fatte. Ma la sorte del monaco, in quanto soldato di Cristo, è di fare ciò che è al di là della natura; per questo motivo deve gustare le sofferenze di Cristo, affinché possa anche raggiungere la sua gloria.

Anche questa è una legge di natura, verificata da ciò che accade in questo mondo. I soldati del re non sono forse onorati perché soffrono con lui? E ciascuno di loro non riceve lode in proporzione alla sua sofferenza? E nella misura in cui si mostra incapace di soffrire in questo modo, non è forse disonorato? Non è forse ovvio che quanto più regali sono le vesti che una persona indossa, tanto più è vicina al re? E quanto meno regali, tanto più è lontana? Le stesse cose valgono per il nostro Re. Quanto più soffriamo con Cristo e imitiamo la sua povertà, gustando le sue sofferenze e i maltrattamenti a cui è stato sottoposto prima di essere crocifisso per noi e sepolto, tanto più diventiamo intimi con lui e più partecipiamo della sua gloria. È come dice san Paolo: se soffriamo con lui, saremo anche glorificati con lui (cfr Rm 8,17).

Perché, come sappiamo, soldati e ladri soffrono semplicemente cercando di procurarsi del cibo, viaggiatori e marinai sono assenti da casa per lunghi periodi e le persone sopportano grandi prove del tutto indipendenti da qualsiasi speranza del regno dei cieli, spesso fallendo davvero nel raggiungere ciò per cui lottano. Ma non siamo disposti a sopportare nemmeno una piccola difficoltà per amore del regno dei cieli e delle benedizioni eterne. Eppure queste potrebbero non rivelarsi così difficili da raggiungere se la nostra risoluzione ci aiutasse e se considerassimo l’acquisizione delle virtù non come un compito laborioso e intollerabile, ma piuttosto come una gioia e un rilassamento, a causa della speranza, della libertà dall’ansia e dell’onore non richiesto che derivano dalla virtù; perché persino il suo nemico la rispetta e l’ammira. Infine, la virtù ci porta felicità ed esultanza. In effetti, il distacco è pieno di gioia, proprio come l’esistenza materiale e le sue vergognose passioni sono piene di dolore . Possiamo essere redenti da questa esistenza materiale e possiamo raggiungere la vita eterna e immateriale attraverso il distacco che conduce alla mortificazione del corpo, in Gesù Cristo nostro Signore, al quale appartengono tutta la gloria, l’onore e l’adorazione attraverso i secoli. Amen.

VIII: Mortificazione delle passioni

Chi ha raggiunto il distacco ha la sua attenzione fissata sempre su Dio attraverso la contemplazione . Perché il distacco dalle cose materiali dà origine alla contemplazione delle realtà spirituali, la contemplazione non degli esseri creati in questa vita presente, ma delle cose meravigliose che hanno luogo prima e dopo la morte. Perché la persona distaccata è istruita su queste cose dalla grazia, così che attraverso il dolore interiore possa mortificare le passioni e, quando il tempo è maturo, raggiungere pace e dolcezza nei suoi pensieri.

Dalla fede viene la paura, e dalla paura viene la vera pietà, o autocontrollo, la sopportazione del dolore, e le altre cose di cui parlano le Beatitudini del Signore (cfr. Mt 5,3-12) – dolcezza, fame e sete di giustizia, cioè di tutte le virtù, atti di misericordia – e anche distacco. Dal distacco viene la mortificazione del corpo, realizzata attraverso il dolore compuntivo e le lacrime amare di pentimento e angoscia. Per mezzo di queste l’anima nella sua angoscia rinuncia alle gioie di questo mondo e persino al cibo che mangiamo, perché inizia a vedere che i suoi difetti sono innumerevoli come la sabbia del mare. Questo è l’inizio dell’illuminazione dell’anima e il segno della sua salute. Le lacrime che possono verificarsi prima di questo, e i pensieri apparentemente divini, la compunzione e simili, sono tutti inganni e astuzie dei demoni, specialmente nel caso di coloro che vivono tra gli uomini o sono soggetti a distrazione, anche se è solo lieve.

Nessuno infatti è ancora attratto da alcun oggetto sensibile, e può vincere le passioni. E se si dice che i santi di un tempo non solo vivevano tra gli uomini, ma possedevano anche beni materiali, la risposta è che, sebbene ciò sia certamente vero, non hanno mai usato nessuno di questi oggetti sotto l’influenza delle passioni. Ciò è chiaro dal fatto che, come è registrato nelle genealogie dell’Antico Testamento, sposarono delle mogli e tuttavia le conobbero solo dopo molti anni, dimostrando così che erano in un certo senso sia sposati che non sposati. Lo stesso vale per Giobbe e altri uomini giusti. Infatti, Davide fu sia re che profeta, e anche Salomone fino a un certo punto della sua vita. Egli stesso descrive come Dio abbia inviato tentazioni sottili ai figli degli uomini, affinché fossero distratti da cose vane (cfr. Eccles. 1:13) e così impediti dal volgersi verso ciò che è ancora peggio. Tutto questo è meglio per noi se ci distraiamo superficialmente e ci impediamo di dedicarci alle cose sante e ai pensieri santi, piuttosto che fare molte altre cose che in realtà sono peggiori.

Ma colui che per grazia di Dio ha raggiunto un certo grado di conoscenza spirituale e può comprendere le cose meravigliose che accadono prima e dopo la morte come risultato della disobbedienza primordiale dell’uomo, dovrebbe continuare in tutta quiete e distacco a occuparsi di tali pensieri così come delle azioni che li inducono, e non dovrebbe lasciarsi distrarre da cose vane. “Vanità delle vanità, tutto è vanità” (Eccles. 1:2); e sulla base di questo testo san Giovanni Damasceno disse. “In verità tutte le cose sono vanità, e la vita non è che un’ombra e un sogno”. Perché tutti si preoccupano invano, come dice giustamente la Scrittura (cfr. Sal. 39:6): perché cosa può essere più vano di una vita la cui fine è putrefazione e polvere? Quindi il distacco è mortificazione, non dell’intelletto , ma degli impulsi iniziali del corpo verso il piacere e il comfort. Perché il desiderio di comfort, per quanto leggero, è un desiderio non spirituale . E quando l’anima riconosce in sé un’attività o una conoscenza del tutto spirituale, prova ancora più angoscia per la presenza di questo desiderio non spirituale ; perché se l’anima non è spirituale, lo Spirito di Dio non dimorerà in essa (cfr. Gen. 6:3). Quando ciò accade, l’anima non sarà interessata a nessuna buona opera, ma lotterà per soddisfare i desideri del corpo e delle sue passioni interiori, accumulando oscurità su oscurità e accettando volentieri di vivere sempre nell’ignoranza totale.

Quando un uomo è stato sufficientemente illuminato, tuttavia, per percepire i propri difetti, non cessa mai di piangere per sé e per tutti gli uomini, vedendo la grande tolleranza di Dio e quali peccati noi nella nostra miseria abbiamo commesso e continuiamo a commettere. Come risultato di ciò diventa pieno di gratitudine, non osando condannare nessuno, vergognandosi della profusione delle benedizioni di Dio e della moltitudine dei nostri peccati. Quindi rinuncia con gioia a tutto ciò che è contrario a Dio nella sua volontà, e vigila sui propri sensi, in modo da impedire loro di fare qualsiasi cosa al di là di ciò che è inevitabilmente necessario, soffre ciò che ha sofferto Davide, senza forse essere in grado di pentirsi come Davide fece. Perché peccare , anche nel caso di coloro che sono i più giusti, è facile, mentre il pentimento non è facile per tutti perché la morte è vicina; e anche prima che la morte giunga c’è disperazione. È bene, quindi, non cadere; o, se cadiamo, risorgere. E se dovessimo cadere, non dovremmo disperare e quindi estraniarci dall’amore del Signore. Perché se Lui lo desidera. Può trattare misericordiosamente la nostra debolezza. Solo che non dovremmo tagliarci fuori da Lui o sentirci oppressi quando siamo costretti dai Suoi comandamenti, né dovremmo perderci d’animo quando non raggiungiamo il nostro obiettivo. Piuttosto, impariamo che mille anni agli occhi del Signore sono solo un giorno, e un giorno è come mille anni (cfr. Sal. 90:4). Non siamo né frettolosi né lenti, e siamo sempre pronti a ricominciare. Se cadi, rialzati. Se cadi di nuovo, rialzati di nuovo. Solo non abbandonare il tuo Medico, per non essere condannato come peggio di un suicidio a causa della tua disperazione. Aspetta Lui, ed Egli sarà misericordioso, o riformandoti, o inviandoti prove, o tramite qualche altra disposizione di cui sei ignorante.

Perché il diavolo ha l’abitudine di promuovere nell’anima tutto ciò che vede essere in accordo con la disposizione dell’anima stessa, che si tratti di gioia o presunzione, angoscia o disperazione, fatica eccessiva o totale indolenza, o pensieri e azioni intempestivi e inutili, o cecità e odio irriflessivo per tutto ciò che esiste. Semplicemente, egli infiamma nell’anima qualsiasi materiale che vi trovi già, in modo da farle più male possibile, anche se in sé la cosa può essere buona e gradita a Dio, a condizione che venga usata con la dovuta moderazione da chi è in grado di giudicare le cose e di discernere l’intenzione di Dio nascosta nelle sei passioni che lo circondano, quelle, cioè, sopra di lui e sotto, alla sua destra e alla sua sinistra, dentro di lui e fuori. Che si tratti della pratica delle virtù o della conoscenza spirituale, c’è qualche buon proposito nascosto nelle sei passioni che gli si oppongono.

Così, come dice Sant’Antonio, “dovremmo sempre cercare consiglio su ogni cosa; e non dovremmo consultare chiunque, ma coloro che pensano che agli ignoranti sembri del tutto buono; perché ciò che è fatto senza discriminazione sarà o intempestivo, o inutile, o sproporzionato, o al di là delle forze o della conoscenza della persona che lo fa, o difettoso in qualche altro modo. Chi ha il dono della discriminazione lo ha ricevuto a causa della sua umiltà. Attraverso di esso conosce tutte le cose per grazia e, quando il tempo è maturo, raggiunge l’intuizione spirituale.

Dal dolore interiore, quindi, e dalla paziente sopportazione nascono la speranza e il distacco; e attraverso la speranza e il distacco moriamo al mondo. Possiamo anche morire al mondo sopportando pazientemente e non disperando quando vediamo ovunque sgomento e morte, sapendo che questa è sia una prova che un’illuminazione; o non essendo troppo sicuri di aver raggiunto il nostro obiettivo. Versando molte lacrime di angoscia, iniziamo a vedere chiaramente davanti a noi le sante sofferenze del Signore, e ne siamo grandemente consolati. E ci consideriamo veramente inferiori a tutti gli altri uomini, percependo quante benedizioni ci vengono concesse tramite la grazia di Dio, al quale sia gloria e dominio in tutte le epoche. Amen.

IX: Il ricordo delle sofferenze di Cristo

Affinché non pensiamo di fare qualcosa di grande attraverso i nostri sforzi ascetici e i nostri numerosi sospiri e lacrime, ci viene data la conoscenza delle sofferenze di Cristo e dei suoi santi. Meditando su queste siamo stupiti e nel nostro stupore ci esauriamo attraverso le nostre fatiche ascetiche. Poiché contemplando le innumerevoli prove che i santi hanno accettato con gioia e le numerose sofferenze che il Signore ha sopportato per conto nostro, diventiamo consapevoli della nostra debolezza. Allo stesso tempo siamo illuminati dalla conoscenza di ciò che il Signore ha fatto e detto. E comprendendo ciò che è affermato nel Vangelo, iniziamo a volte a piangere amaramente nel dolore , a volte a gioire spiritualmente nel ringraziamento. Non perché pensiamo di aver fatto qualcosa di buono, perché ciò sarebbe presunzione; ma perché, nonostante siamo tali peccatori, ci è stata concessa la contemplazione di queste cose.

In questo modo diventiamo ancora più umili nell’azione e nel pensiero , praticando le sette forme di disciplina corporea di cui abbiamo parlato, così come le virtù morali, vale a dire le virtù dell’anima; e custodiamo i cinque sensi e osserviamo i comandamenti del Signore. Non consideriamo queste come buone opere meritevoli di ricompensa; piuttosto le consideriamo come un debito da pagare. Né speriamo in alcun modo di essere liberati dal debito, perché riconosciamo quanto enormi siano i doni di conoscenza che abbiamo ricevuto. Diventiamo, per così dire, prigionieri del significato di ciò che leggiamo e del messaggio di ciò che cantiamo; e nella nostra gioia spesso dimentichiamo inconsciamente i nostri peccati, e nella nostra gioia iniziamo a versare lacrime dolci come il miele. Ma poi, temendo di essere ingannati nel caso in cui tutto ciò sia prematuro, ci tratteniamo; e ricordando il nostro precedente modo di vivere, piangiamo di nuovo amaramente. In questo modo oscilliamo tra questi due tipi di lacrime, il dolce e l’amaro.

Quindi andiamo avanti, a patto che siamo attenti e consultiamo sempre qualcuno di esperienza, e a patto che ci presentiamo davanti a Dio con la preghiera pura che è appropriata per chi pratica le virtù, mentre allo stesso tempo ritiriamo il nostro intelletto da tutto ciò che ha conosciuto o sentito, e lo concentriamo sul ricordo di Dio, chiedendo solo che la volontà di Dio possa essere fatta in tutti i nostri pensieri e iniziative. Ma se non riusciamo a farlo, allora siamo soggetti a essere ingannati, pensando che vedremo un’apparizione di uno dei santi angeli, o di Cristo. Non riusciamo a realizzare che chi cerca di vedere Cristo non dovrebbe guardare fuori di sé, ma dentro di sé, emulando la vita di Cristo in questo mondo, e diventando senza peccato nel corpo e nell’anima, come lo era Cristo. Il suo intelletto dovrebbe comprendere ogni cosa attraverso Cristo.

Avere in mente qualsiasi forma, colore o pensiero durante il tempo della preghiera non è una buona cosa, anzi può essere estremamente pericoloso. Evagrio ha spiegato cosa si intende per intelletto che si trova nel regno o nella dimora di Dio. Ha preso l’espressione dal Salterio: “Nella pace è la sua dimora” (Sal. 76:2. LXX). Essere “in pace” significa non avere pensieri, buoni o cattivi, perché, come dice Evagrio, se l’ intelletto percepisce qualcosa, non è solo in Dio, ma anche in se stesso. Questo è vero; perché poiché Dio è indeterminato e indeterminabile, senza forma o colore, l’ intelletto che è solo con Dio dovrebbe essere esso stesso senza forma o colore, libero da ogni figurazione e non distratto. Altrimenti sarà soggetto all’illusione demoniaca . Ecco perché dobbiamo stare attenti e, a meno che non abbiamo preso consiglio da qualcuno di esperienza, non dovremmo intrattenere alcun pensiero , buono o cattivo, perché non sappiamo quale sia. Perché i demoni prendono qualunque forma vogliano e ci appaiono in questo modo, proprio come l’ intelletto umano è modellato da ciò che vuole ed è colorato dalle forme delle cose che percepisce. I demoni fanno questo per ingannarci, e sotto la loro influenza il nostro intelletto vaga senza senso nei suoi sforzi per raggiungere la perfezione.

Così si dovrebbe limitare l’ intelletto il più possibile entro i limiti di una meditazione accettabile a Dio. Poiché come ci sono sette forme di disciplina corporea, così ci sono otto tipi di contemplazione , o tipi di conoscenza spirituale, che appartengono all’intelletto . Tre di queste, che sono già state menzionate, sono collegate alle sante sofferenze del Signore e dovremmo sempre meditare su di esse di nostra spontanea volontà, così da addolorarci per la nostra anima e per quelle dei nostri simili. Ma oltre a queste, dovremmo anche pensare alle cose terribili che sono accadute all’inizio a causa della trasgressione dell’uomo; a come la nostra natura ha ceduto a così tante passioni; ai nostri stessi difetti e alle prove che si verificano per amore della nostra correzione e guarigione. Infine dovremmo pensare sia alla morte che alle spaventose punizioni che attendono i peccatori dopo la morte. In questo modo l’anima può essere rafforzata e dedicarsi al dolore. Nello stesso tempo sarà consolato e umiliato, senza disperarsi a causa di questi pensieri terribili né immaginare di aver raggiunto il livello del lavoro spirituale; e continuerà nella paura e nella speranza, uno stato equivalente alla gentilezza di pensiero e uno che è sempre lo stesso. È questo che conduce l’ intelletto alla conoscenza spirituale e alla discriminazione . Il salmista lo conferma quando scrive: “Condurrà i mansueti al giudizio” (Sal. 25:9), o meglio, alla discriminazione , o a ciò che il profeta descrive come conoscenza spirituale e santità (cfr Is. I 1:2. LXX).

Tuttavia, come la vera pietà, sebbene un singolo termine, assume molte forme esteriori, così la conoscenza spirituale, anch’essa un singolo termine, include molte forme di conoscenza e contemplazione . Infatti, anche il primo passo nella pratica della disciplina corporea è una forma di conoscenza; infatti, senza conoscenza nessuno fa nulla di buono. Finché non raggiungiamo il nostro obiettivo – con ciò intendo finché non siamo adottati come figli e il nostro intelletto ascende ai cieli in Cristo – ogni stato è una forma di conoscenza e contemplazione . La conoscenza che abbiamo prima di iniziare a praticare una disciplina spirituale aiuta a rendere questa pratica efficace, servendo così come una specie di strumento; mentre la conoscenza che segue la fede protegge la nostra fede con la paura come con un muro.

La conoscenza e la pratica delle virtù dell’anima hanno come scopo la preparazione e la piantagione degli alberi del paradiso. Questi alberi sono la conoscenza dell’intelletto dell’uomo e il suo lavoro spirituale; in altre parole, l’ attenzione del suo intelletto e lo stato morale della sua anima. Praticando i comandamenti egli “coltiva e custodisce” gli alberi (cfr Gen 2,15) con intelligenza e intuito. Nello stesso tempo è aiutato dalla divina provvidenza, che agisce come il sole, la pioggia, il vento e la crescita, senza i quali tutto lo sforzo del giardiniere è vano, anche se tutto è stato fatto nel dovuto ordine. Poiché nulla di buono può venire senza l’aiuto dall’alto; tuttavia l’aiuto dall’alto e la grazia sono concessi solo a coloro che hanno deciso di agire, come dice san Giovanni Crisostomo.

In questa vita, tutte le cose vanno in coppia: pratica e conoscenza spirituale, libero arbitrio e grazia, paura e speranza, lotta e ricompensa. La seconda non arriva finché la prima non si è realizzata; e se sembra che lo faccia, questa è un’illusione , proprio come qualcuno che non ha conoscenze orticole, nel vedere il fiore e pensare che sia il frutto, si precipita a coglierlo, senza rendersi conto che cogliendo il fiore distrugge il frutto, così è qui: perché, come dice San Massimo, “Pensare di sapere impedisce di progredire nella conoscenza”. Quindi dovremmo aderire a Dio e fare tutte le cose con discriminazione .

La discriminazione nasce dal cercare consiglio con umiltà e dal criticare se stessi e ciò che si pensa e si fa. Non c’è nulla di sorprendente nel fatto che il diavolo assuma la forma di “un angelo di luce” (2 Cor. 11:14), perché i pensieri che semina in noi sembrano anche giusti quando ci manca l’esperienza. L’umiltà è la porta d’accesso al distacco , diceva San Giovanni Klimakos; e, secondo San Basilio il Grande, il carburante dell’umiltà è la gentilezza. È questo che dà all’uomo la costanza, così che egli è sempre lo stesso, che le circostanze e i pensieri siano piacevoli o spiacevoli. È indifferente sia all’onore che al disonore, accettando con gioia le cose dolci e dolorose e rimanendo imperturbabile.

In questo egli è diverso dalla vergine di cui parla Sant’Antonio il Grande. Un giorno, mentre Sant’Antonio era seduto con un certo Abba, una vergine si avvicinò e disse all’Anziano: “Abba, digiuno sei giorni alla settimana e ripeto a memoria porzioni dell’Antico e del Nuovo Testamento ogni giorno”. Al che l’Anziano rispose: “Per te la povertà significa la stessa cosa dell’abbondanza?” “No”, rispose lei. “O il disonore è la stessa cosa della lode?” “No, Abba”. “I tuoi nemici sono per te la stessa cosa dei tuoi amici?” “No”, rispose lei. A ciò il saggio Anziano le disse: “Va’, mettiti al lavoro, non hai realizzato nulla”. Ed era giustificato nel parlare così. Perché se digiunava così rigorosamente da mangiare solo una volta alla settimana, e poi molto poco, non avrebbe dovuto considerare la povertà allo stesso modo dell’abbondanza? E se ripeteva quotidianamente passaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento, non avrebbe dovuto anche imparare l’umiltà? E poiché aveva rinunciato a tutto ciò che era mondano, non avrebbe dovuto considerare tutte le persone come sue amiche? E se avesse avuto ancora dei nemici, non avrebbe potuto imparare a trattarli come amici dopo tanto sforzo ascetico? L’Anziano aveva perfettamente ragione quando disse: “Non hai realizzato nulla”.

In effetti, aggiungerei che una persona del genere merita una severa condanna. È come disse San Giovanni Crisostomo riguardo alle cinque vergini stolte: avevano la forza di praticare la forma più difficile di ascetismo – la verginità che è al di là della natura – ma non di compiere ciò che è meno difficile – atti di misericordia – sebbene pagani e non credenti compiano tali atti come qualcosa di naturale. Così con questa vergine: poiché non sapeva cosa fosse realmente necessario, si è affaticata invano. Come disse il Signore: “Tutto questo avreste dovuto fare, senza trascurare il resto” (Mt 23,23). La pratica ascetica è una buona cosa, ma solo quando fatta con il giusto obiettivo in mente . Dovremmo pensarla non come il vero compito, ma come una preparazione per il vero compito; non come il frutto, ma come la terra che può, con il tempo, il lavoro e l’aiuto di Dio, produrre alberi da cui verrà il frutto – il frutto che è purezza di intelletto e unione con Dio. A Lui sia gloria nei secoli. Amen.

X: Umiltà

L’uomo veramente umile non cessa mai di rimproverarsi, anche quando il mondo intero lo attacca e lo insulta. Agisce in questo modo, non semplicemente per raggiungere la salvezza, per così dire passivamente, sopportando con pazienza qualsiasi cosa gli accada, ma per spingersi avanti attivamente e deliberatamente per abbracciare le sofferenze di Cristo. Da queste sofferenze impara la più grande di tutte le virtù, l’umiltà: la dimora dello Spirito Santo, la porta del regno dei cieli, cioè del distacco . Chi passa attraverso questa porta arriva a Dio; ma senza umiltà la sua strada è piena di dolore e il suo sforzo inutile. L’umiltà conferisce completo riposo a chiunque la possieda nel suo cuore , perché ha Cristo che dimora in lui. Attraverso di essa la grazia rimane con lui e i doni di Dio sono preservati. È la progenie di molte diverse virtù: dell’obbedienza, della paziente sopportazione, della perdita dei beni, della povertà, del timore di Dio, della conoscenza spirituale e di altre ancora. Ma soprattutto è il frutto della discriminazione , la virtù che illumina le più lontane propaggini dell’intelletto . Eppure nessuno pensi che sia una questione semplice e casuale diventare umili. È qualcosa che va oltre i nostri poteri naturali; ed è quasi vero dire che più una persona è dotata, più è difficile per lei raggiungere l’umiltà. Presuppone grande giudizio e resistenza di fronte alle prove e agli spiriti maligni che ci si oppongono. Perché l’umiltà sfugge a tutte le loro insidie.

L’umiltà è anche la progenie della conoscenza spirituale, e tale conoscenza nasce da prove e tentazioni. All’uomo che conosce se stesso è data la conoscenza di tutte le cose; e all’uomo che si sottomette a Dio, tutte le cose saranno sottomesse quando l’umiltà regna nelle sue membra. Perché è proprio attraverso il subire molte prove e tentazioni, e attraverso il sopportarle pazientemente, che un uomo acquisisce esperienza; e di conseguenza arriva a conoscere sia la propria debolezza che il potere di Dio. Nel prendere coscienza della propria debolezza e ignoranza, riconosce di aver ora imparato ciò che una volta non sapeva; e questo gli consente di vedere che proprio come non sapeva queste cose, e non era consapevole di non sapere, così ci sono molte altre cose che in seguito potrebbe essere in grado di imparare. San Basilio il Grande osserva a questo proposito che se non si assaggia qualcosa, non si è consapevoli di ciò che si sta perdendo. Ma chi ha assaggiato la conoscenza spirituale sa almeno in una certa misura di essere ignorante, e così la sua conoscenza diventa per lui una fonte di umiltà. Di nuovo, chi sa di essere una creatura mutevole non manterrà mai un’alta opinione di sé; riconoscerà che tutto ciò che può avere appartiene al suo Creatore. Non lodi un vaso perché si è reso utile; lodi il suo creatore. E quando si rompe, biasimi chi lo ha rotto, non il suo creatore.

Tuttavia, se il vaso di cui stiamo parlando è dotato di intelligenza, allora necessariamente avrà libero arbitrio. Tutto ciò che è buono in esso viene dal suo Creatore, ed Egli è anche la causa della sua creazione; ma la sua caduta o deviazione dipenderà da come esercita il suo libero arbitrio. Se non devi, Dio nella Sua grazia ti concederà il sigillo della Sua approvazione; ma se presti orecchio al consiglio malvagio del serpente, la disapprovazione sarà la tua sorte. L’approvazione e la gratitudine, tuttavia, non sono dovute all’uomo che riceve i doni, ma a Colui che li elargisce. Tuttavia, per grazia, colui che riceve un dono può meritare l’approvazione perché per sua scelta ha accettato ciò che non aveva o, piuttosto, perché è grato al suo Benefattore. E se non è grato, non solo perde ogni approvazione, ma si condanna anche per la sua ingratitudine. Eppure nessuno, credo, è così sfacciato da sostenere che il dono non gli è stato concesso liberamente e da fingere nella sua iniquità di meritare lode, gonfiandosi tranquillamente e condannando coloro che apparentemente non sono come lui, sulla base del fatto che lui stesso si è attribuito la ricchezza che pensa di possedere e non l’ha ricevuta per grazia di Dio. Se una persona del genere ringrazia il Donatore, lo fa allo stesso modo del fariseo nel Vangelo e dice a se stesso: “Ti ringrazio, o Dio, perché non sono come gli altri uomini” (Luca 18: I 1). L’evangelista – o, meglio, Dio, che conosce i cuori degli uomini – aveva ragione a dire che parlava “a se stesso, perché il fariseo non stava parlando a Dio. Anche se oralmente sembrava che stesse parlando a Dio, tuttavia Dio che conosceva la sua anima che si auto-applaudiva dice che stava in piedi e pregava non a Dio ma a se stesso.

Il fatto che le Scritture facciano spesso uso di frasi identiche o molto simili è dovuto, dice san Giovanni Crisostomo, non alla ripetitività o alla prolissità, ma al desiderio di imprimere ciò che è detto nel cuore del lettore. Nell’ardore del suo scrivere il salmista non ha voluto fermarsi, come fanno coloro che non hanno gustato la dolcezza delle sue parole e che nella loro apatia le calpestano per liberarsene dal peso. Una persona simile trarrà mai profitto dalla Sacra Scrittura? Non si guadagna semplicemente la condanna e un oscuramento del suo intelletto aprendo la porta ai demoni che lo stanno attaccando?

Come ha detto il Signore: “Se fanno queste cose quando il legno è verde, che accadrà quando sarà verde?” (Luca 23:31); e ancora: “Se il giusto è appena salvato, dove compariranno l’empio e il peccatore?” (1 Pietro 4:18). I demoni attaccano anche coloro il cui intelletto , immateriale e informe, è concentrato interamente sul ricordo di Dio; e, a meno che Dio non li assista a causa della loro umiltà, la loro preghiera non salirebbe al cielo ma ricadrebbe vuota. Quale sarà allora la nostra sorte, abietti come siamo? Non apriamo nemmeno le labbra e non parliamo all’aria, affinché alla fine Dio possa avere pietà di noi, scendendo al livello della nostra ignoranza e debolezza perché gli abbiamo mostrato gratitudine.

Quanto al fatto che i demoni attacchino o meno anche i perfetti in questo mondo, ascoltiamo cosa dice San Macario: “Nessuno diventa perfetto in quest’epoca presente ; perché se lo facessero, allora ciò che viene dato qui non sarebbe semplicemente un pegno delle benedizioni tenute in serbo, ma la loro piena realizzazione”. Egli cita a testimonianza uno dei fratelli che stava pregando con molti altri e che fu improvvisamente rapito mentalmente in cielo e vide la Gerusalemme celeste e i tabernacoli dei santi. Quando tornò al suo stato abituale, tuttavia, decadde dalla virtù e finì per essere completamente distrutto; perché pensava di aver realizzato qualcosa e non si rendeva conto che, essendo indegno e solo polvere per natura, era tanto più in debito per aver avuto il privilegio di ascendere a tale altezza. San Macario dice anche di aver conosciuto molti uomini e, dalla sua esperienza, di essere giunto a riconoscere senza alcun dubbio che nessuno in questo mondo è perfetto: anche se diventa del tutto immateriale e diventa quasi uno con Dio, tuttavia il peccato lo perseguita e non scomparirà completamente prima della sua morte.

Evagrio il Solitario ha raccontato come un certo monaco stava pregando quando, per il suo bene e per quello di molti altri, Dio permise ai demoni di prenderlo per le mani e per i piedi e di gettarlo in aria; e affinché il suo corpo non si facesse male quando cadeva a terra, lo afferrarono in una stuoia di giunco. Fecero questo per molto tempo, ma non riuscirono a distrarre il suo intelletto dal cielo. Come avrebbe potuto un uomo del genere percepire ciò che stava mangiando? Quando avrebbe avuto bisogno di salmodiare o leggere? Ma noi ne abbiamo bisogno a causa della debolezza del nostro intelletto , sebbene anche in questo modo non riusciamo a concentrarci. Ahimè, un uomo così santo ha sofferto gli attacchi dei demoni, eppure non ci preoccupiamo affatto dei loro assalti. I santi sono protetti dalla loro umiltà dalle insidie ​​del diavolo, mentre noi nella nostra ignoranza siamo gonfi. È davvero un segno di grande ignoranza per qualcuno essere egocentrico per ciò che non è suo. Perché “che cosa hai che tu non abbia ricevuto”, né gratuitamente da Dio né attraverso le preghiere degli altri? “Ora se l’hai ricevuto, perché ti vanti come se non l’avessi ricevuto” (1 Cor. 4:7), ma l’avessi ottenuto tu stesso? Così lo dice Abba Cassiano.

L’umiltà, quindi, nasce dalla conoscenza spirituale, e da essa stessa nasce la discriminazione ; mentre dalla discriminazione deriva l’intuizione spirituale che il profeta chiama “consiglio” (Isaia 1:2). Per mezzo di tale intuizione vediamo le cose secondo la loro vera natura, e l’ intelletto muore al mondo perché ora contempla le creazioni di Dio. A Lui sia gloria nei secoli. Amen.

XI: Discriminazione

È eccellente chiedere consiglio su ogni cosa, ma solo a chi ha esperienza. È pericoloso porre domande agli inesperti, perché non possiedono discriminazione . La discriminazione sa quando è maturo il tempo, quali mezzi impiegare, lo stato interiore di chi pone la domanda, a che livello è giunto, la sua forza, il suo grado di conoscenza spirituale e la sua intenzione, così come lo scopo di Dio e il significato di ogni versetto della Sacra Scrittura, e molto altro ancora. Quindi chi manca di discriminazione può sforzarsi enormemente, ma non può ottenere nulla; mentre la persona che la possiede è una guida per i ciechi e una luce per coloro che sono nelle tenebre (cfr Rm 2,19). Dovremmo riferire ogni cosa a una persona del genere e accettare qualsiasi cosa dica, anche se a causa della nostra inesperienza non ne vediamo l’importanza così bene come vorremmo. Infatti, chi ha discriminazione deve essere riconosciuto in particolare dal fatto che è in grado di comunicare il senso di ciò che dice anche a coloro che non vogliono saperlo. Perché lo Spirito scruta le cose; e la presenza di Dio ha il potere di persuadere anche un intelletto riluttante a credere. Questo è ciò che accadde nel caso di Giona (cfr Giona 1:3), Zaccana (cfr Luca 1:18) e – il monaco Davide, un tempo brigante, al quale l’angelo impedì di dire qualsiasi cosa tranne i salmi che recitava secondo la sua regola di preghiera.

Se in questa generazione presente nessuno possiede discriminazione , è perché nessuno ha l’umiltà che la genera. Dovremmo quindi pregare ferventemente per tutto ciò che facciamo, come consiglia San Giacomo (cfr. Giac. 5:16). Perché anche se ci mancano mani sante, cioè se ci manca la purezza dell’anima e del corpo, dovremmo almeno sforzarci di essere senza rancore e pensieri cattivi. Perché San Paolo ci dice di tenere mani sante senza ira e senza litigi (1 Tim. 2:8). Se pensiamo che qualcosa sia in accordo con la volontà di Dio, dovremmo farlo spassionatamente; e anche se non è una cosa così buona, ciò che facciamo sarà contato a nostro merito dalla grazia di Dio, a causa della nostra perplessità e del fatto che lo facciamo con Dio in mente . Anche se facciamo la volontà di Dio quando la passione è ancora presente, le conseguenze saranno come affermato. Questo è inevitabilmente così, semplicemente a causa della bontà di Dio. Ma dove è coinvolta la nostra volontà, e non quella di Dio, è presente anche l’auto-inflazione, e Dio non approva; né ci rivela allora la sua volontà, affinché non sappiamo qual è e tuttavia non la facciamo, e quindi incorriamo in una condanna maggiore. Perché sia ​​che Dio ci dia qualcosa o ce la neghi. Egli agisce per il nostro bene, anche se noi, come bambini, non ne siamo consapevoli. Egli non invia il suo Spirito Santo a qualcuno che non si è purificato dalle passioni attraverso la pratica delle virtù che appartengono sia al corpo che all’anima, affinché questa persona non soccomba per abitudine alle sue passioni e diventi così colpevole di abusare della presenza dello Spirito Santo in lui.

Una persona deve prima trascorrere molto tempo in pratica ascetica. Deve iniziare purificando il suo corpo dall’effettivo peccato commesso , sia grande che piccolo, e poi purificare la sua anima da ogni forma di desiderio o rabbia. I suoi impulsi morali devono essere disciplinati da una buona abitudine, in modo che non faccia nulla attraverso i suoi cinque sensi che sia contrario allo scopo del suo intelletto , né il suo sé interiore acconsenta a nulla del genere. È allora, quando finalmente diventa soggetto a se stesso, che Dio rende tutte le cose a lui soggette attraverso l’impassibilità e la grazia dello Spirito Santo. Perché un uomo deve prima sottomettersi alla legge di Dio, e poi governerà come un essere intelligente su tutto ciò che lo circonda. Il suo intelletto regnerà come era stato originariamente creato per regnare, con giudizio e autocontrollo, con coraggio e giustizia. Ora calmerà la sua ira con la gentilezza del suo desiderio , ora placherà il suo desiderio con l’austerità della sua ira ; e saprà di essere un re. Tutte le membra del suo corpo, non più rapite dall’ignoranza e dalla dimenticanza, agiranno in conformità al comandamento di Dio. Quindi attraverso la sua devozione a Dio raggiungerà l’intuizione spirituale e inizierà ad anticipare le insidie ​​preparate dal diavolo e i suoi attacchi segreti e furtivi.

Egli non prevederà, tuttavia, il futuro come fecero i profeti. Questa capacità è infatti un dono soprannaturale concesso per il bene della comunità. L’intuizione, tuttavia, è intrinseca alla natura dell’uomo; e, una volta purificato l’ intelletto , emerge dalla tirannia delle passioni sotto le quali è stato nascosto, per così dire, nell’oscurità. Allora, attraverso l’umiltà, giunge la grazia e apre l’occhio dell’anima, accecato dal diavolo, e subito l’uomo comincia a vedere le cose secondo la loro vera natura. Non è più sedotto dall’aspetto esteriore delle cose come lo era prima. Guarda imparzialmente l’oro, l’argento e le pietre preziose e non si lascia fuorviare, né le valuta falsamente a causa delle sue passioni: sa che queste e altre cose materiali simili provengono dalla terra, come sottolineano i santi padri. Guarda un uomo e sa che anche lui è dalla terra e che tornerà ad essa (cfr Gen. 3:19). E non ci pensa semplicemente in modo astratto, perché tutti sappiamo per esperienza che è così; tuttavia, poiché siamo tiranneggiati dalle passioni, abbiamo ancora un desiderio ardente per le cose materiali. Se qualcuno nella sua presunzione pensa che anche senza le lotte e le virtù prerequisito è in grado di vedere le cose secondo la loro vera natura, non c’è nulla di strano in questo. Perché la presunzione può far credere anche ai ciechi di poter vedere e gli uomini stolti si vantano quando non hanno nulla di cui vantarsi. Tuttavia, se fosse facile vedere le cose secondo la loro vera natura semplicemente pensandoci in modo astratto, allora il dolore interiore e la purificazione che ne deriva sarebbero superflui; e così sarebbero le molte forme di lavoro ascetico, così come l’umiltà, la grazia soprannaturale e il distacco . Ma non è affatto così. Perché spesso questa capacità di vedere le cose secondo la loro vera natura viene più facilmente alle persone semplici, a coloro i cui intelletti sono liberi dal trambusto e dall’astuzia di questo mondo, una volta che si sono sottomessi a un padre spirituale esperto. Può anche essere concesso attraverso la speciale dispensazione della grazia di Dio, come è stato per le persone nei tempi antichi, prima che conoscessero la mano sinistra o la mano destra (cfr Giona 4:11). Ma il fatto che abbiamo servito le passioni fin dalla nostra giovinezza e abbiamo praticato virtualmente ogni forma di malizia e frode con completa disponibilità e zelo, significa che è impossibile per noi essere liberati da tali mali e vedere le cose come sono veramente senza sforzo, tempo e l’aiuto di Dio. È davvero impossibile, a meno che non ci dedichiamo all’acquisizione delle virtù come una volta ci dedicavamo alle passioni e a meno che non coltiviamo queste virtù diligentemente nel pensiero e nell’azione.

Se nonostante questo i nostri sforzi sono spesso inutili, questo è perché non sopportiamo le nostre prove fino alla fine, o perché non conosciamo la strada o la meta, o per pigrizia o mancanza di fede , o per una delle innumerevoli altre ragioni. Ma se questo è il caso, e colpiamo molto lontano dal bersaglio, come possiamo osare affermare di aver raggiunto l’antica bellezza, a meno che non siamo stati ingannati dall’autocompiacimento e dall’autodistruzione inavvertita? Perché proprio come l’autocritica è una forma di progresso invisibile – poiché ci porta lungo la strada giusta anche se non ne siamo consapevoli – così sia la presunzione che l’autocompiacimento sono forme di distruzione invisibile, poiché siamo tornati indietro senza rendercene conto. Questo è inevitabilmente così; perché le passioni espulse dalla grazia ritornano in un’anima arrogante, come ci ha detto il Signore quando ha parlato dello spirito immondo che, dopo essere stato espulso da un uomo, poi è ritornato, portando con sé altri sette spiriti peggiori di lui (cfr Mt 12,43-4;). Perché ciò accade? Perché il luogo da cui è partito lo spirito immondo non è pieno di attività spirituale, o di umiltà; e perciò lo spirito immondo esce dalla schiavitù e di nuovo prende dimora in questo luogo, insieme a molti altri mali.

Chi capisce prenda nota. Perché il Logos desidera trasmetterci le cose in un modo che non è né troppo chiaro né troppo oscuro, ma è nel nostro migliore interesse. San Giovanni Crisostomo dice che è una grande benedizione da parte di Dio che alcune parti delle Scritture siano chiare mentre altre non lo sono. Per mezzo della prima acquisiamo fede e ardore e non cadiamo nell’incredulità e nella pigrizia a causa della nostra totale incapacità di comprendere ciò che viene detto. Per mezzo della seconda siamo stimolati alla ricerca e allo sforzo, rafforzando così sia la nostra comprensione sia imparando l’umiltà dal fatto che tutto non è intelligibile per noi. Quindi, se facciamo il punto sui doni che ci sono stati conferiti, raccoglieremo umiltà e desiderio di Dio sia da ciò che comprendiamo sia da ciò che non comprendiamo. Così la misura del quinto stadio della contemplazione , di cui stiamo parlando ora, è questa: che siamo in grado di guardare con discriminazione alla creazione sensibile e ai nostri pensieri, non accecati da alcuna illusione , o facendo qualcosa di contrario al proposito di Dio a causa della nostra sottomissione alle passioni, o sottomettendoci a uno qualsiasi dei nostri pensieri malvagi. Anche se minacciati di morte, non devieremmo dal proposito di Dio nel pensiero o nell’azione.

Quanto appena detto si applica alle fasi finali della conoscenza spirituale. Per quanto riguarda la fase iniziale, inevitabilmente non raggiungeremo il nostro obiettivo perché siamo studenti. In effetti, sconfitti dalle nostre cattive abitudini, potremmo non ottenere nulla come risultato del nostro lavoro. A volte, tuttavia. Dio nella sua provvidenza ci permette di andare leggermente fuori strada, e poi di tornare subito con grande umiltà; altre volte ci permette nella nostra presunzione di pensare troppo a noi stessi. Quando ciò accade, dovremmo renderci conto che la grazia di Dio ci sta disciplinando, insegnandoci a essere umili e a riconoscere da dove riceviamo la nostra forza e conoscenza, “affinché non confidiamo in noi stessi ma in Dio che risuscita i morti” (2 Cor. 1:9), cosa che accade anche in questo mondo. Perché se sopportiamo con pazienza e non diventiamo presuntuosi o abbandoniamo la virtù, saremo risuscitati dallo stato di morte del corpo e delle cose materiali alla conoscenza spirituale delle realtà create. Infatti, secondo san Paolo (cfr Rm 6,4-6), siamo crocifissi con Cristo corporalmente attraverso la pratica della disciplina corporale, e nell’anima attraverso la pratica delle virtù che appartengono all’anima. Siamo poi sepolti attraverso la mortificazione dei sensi e della conoscenza naturale. Infine, attraverso il raggiungimento dello stato di distacco, siamo risuscitati spiritualmente in Cristo Gesù nostro Signore, al quale sia gloria e onore per tutti i secoli. Amen.

XII: Contemplazione del mondo sensibile

Finché il nostro intelletto non è morto alle passioni, non dovrebbe tentare di imbarcarsi nella contemplazione delle realtà sensibili. Perché se è ancora soggetto a distrazione e non è in grado di dedicarsi alla meditazione sulle Scritture divine in quiete e conoscenza spirituale, allora volgendoci prematuramente a tale contemplazione tendiamo a sprofondare più profondamente nell’oblio e ad avvicinarci gradualmente a uno stato di ignoranza, anche se il nostro intelletto può aver già raggiunto un certo grado di conoscenza spirituale. Ciò accade soprattutto se, a nostra insaputa, la nostra conoscenza non ci è giunta attraverso la grazia di Dio, ma stiamo ancora imparando tali misteri attraverso la lettura e da persone che li hanno sperimentati.

Come la terra, e specialmente la buona terra, diventa zollosa se l’agricoltore non la lavora, così il nostro intelletto diventa grossolano e ottuso se non ci dedichiamo alla preghiera e alla lettura, facendo di questo il nostro compito principale. E come la terra, anche quando è bagnata dalla pioggia e riscaldata dal sole, non produce nulla se l’agricoltore non la semina e la coltiva, così il nostro intelletto non può mantenere il possesso della conoscenza spirituale, anche se questa conoscenza gli è stata conferita dalla grazia, se non pratichiamo le virtù morali, quelle, cioè, dell’anima. Infatti, non appena l’ intelletto diventa negligente e si volge anche leggermente verso le passioni, subito si smarrisce; mentre se la presunzione lo seduce, viene abbandonato dalla grazia.

Per questo motivo, anche se i padri spesso riducevano la loro pratica della disciplina corporale a causa dell’età o della mancanza di forza fisica, non allentarono mai affatto la loro pratica delle virtù morali. Perché al posto dell’ascetismo corporeo avevano la debolezza corporea, che è in grado di costringere la carne . Ma non possiamo mantenere l’anima senza peccato affinché l’ intelletto possa essere illuminato se non pratichiamo le virtù dell’anima. Il contadino cambia frequentemente i suoi strumenti e può anche ridurne il numero, ma non lascia mai il terreno non lavorato, non seminato o non piantato, né lascia mai il frutto senza protezione se desidera raccoglierlo.

Se però un ladro o un brigante cerca di entrare non per la porta giusta, ma “salendo da un’altra parte”, come dice il Signore (Gv 10,1), allora le pecore, cioè, secondo san Massimo, i pensieri divini, non gli prestano attenzione. Infatti il ​​ladro entra solo per ingannare con il sentito dire e uccidere le Scritture trasformandole in allegoria, poiché non è in grado di interpretarle spiritualmente. Così, attraverso la sua presunzione e la sua pseudo-conoscenza, distrugge sia se stesso che i pensieri divini contenuti nelle Scritture. Ma il pastore, come un buon soldato di Cristo, sente compassione per questi pensieri; e osservando i comandamenti divini entra per la porta stretta (cfr Mt 7,13), la porta dell’umiltà e dell’impassibilità . Prima di ricevere la grazia divina, si dedica allo studio e all’apprendimento di ogni cosa ascoltando gli altri; e ogni volta che il lupo si avvicina sotto le spoglie di una pecora (cfr Mt 7,15), lo scaccia per mezzo dell’autocritica, dicendo: «Non so chi sei: lo sa Dio». E se un pensiero si avvicina sfacciatamente e chiede di essere accolto, dicendogli: «Se non vigili sui pensieri e non distingui tra le cose, sei ignorante e privo di fede », allora risponde: «Se mi chiami stolto, accetto il titolo; perché come san Giovanni Crisostomo so che chiunque è stolto in questo mondo diventa sapiente, come dice san Paolo» (cfr 1 Cor 3,18).

Il Signore stesso ha detto che i figli di questo mondo sono più astuti nel trattare con i loro simili rispetto ai figli del regno dei cieli (cfr. Luca 16:8). E aveva ragione: perché i figli di questo mondo desiderano ardentemente fare del bene e arricchirsi, essere intelligenti e ottenere lodi, acquisire potere e così via; e anche se è probabile che falliscano nelle loro aspirazioni e il loro sforzo si riveli vano, esercitano comunque più della forza umana per ottenere queste cose. Ma i figli del regno aspirano a cose completamente diverse e per questo motivo spesso ricevono in questo mondo un assaggio delle benedizioni riservate. Come i figli di questo mondo si sforzano, ma lo fanno affinché per grazia il loro intelletto possa essere liberato e possa così diventare indimenticabilmente consapevole di Dio. In questo modo arriva a conoscere i pensieri divini di cui le Sacre Scritture e coloro che hanno esperienza nella conoscenza spirituale rendono testimonianza; oppure nella sua perplessità si rende conto che nonostante la sua grande conoscenza ne è ancora ignorante. Allora capisce che i suoi pensieri precedenti erano prove volte a mettere alla prova il suo libero arbitrio.

Così chi è umile si allontanerà dai propri pensieri e propositi, non avendo fede in essi; anzi, avrà paura e cercherà consiglio con molte lacrime, rifugiandosi nell’umiltà e nell’autocritica, e considerando la conoscenza spirituale e i doni della grazia come grandi passività. Ma l’uomo arrogante insisterà prontamente sui propri pensieri, ignorando l’avvertimento di san Giovanni Klimakos che non dovremmo cercare prematuramente cose che hanno il loro tempo stabilito. Ignora anche il consiglio di sant’Isacco che non dovremmo entrare in modo sconsiderato, ma dovremmo ringraziare in silenzio. Né ascolta san Giovanni Crisostomo quando dice: “Non so”, avendo imparato a dirlo da san Paolo (cfr 2 Cor. 12:2-3); o san Giovanni Damasceno quando dice di Adamo che si imbarcò prematuramente nella contemplazione delle realtà sensibili. Poiché lo stomaco dei neonati è troppo tenero per il cibo solido e ha bisogno di latte, come dice san Paolo (cfr. 1 Cor. 3:2; Eb. 5:12-14). Ecco perché non dovremmo tentare di imbarcarci nella contemplazione quando non è ancora tempo di contemplazione . Acquisiamo prima in noi stessi le madri delle virtù, e poi la conoscenza spirituale verrà spontaneamente attraverso la grazia di Cristo: al quale sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

XIII: Conoscenza degli Ordini Angelici

La conoscenza diventa spirituale dopo che siamo saldamente stabiliti nella contemplazione delle realtà sensibili. Tuttavia lo gnostico non può con il suo potere vedere un angelo; perché come può l’uomo, che non può vedere nemmeno la sua anima, vedere qualcosa che è immateriale e noto solo al suo Creatore? Per il bene comune, tuttavia, gli angeli per la provvidenza di Dio sono spesso apparsi ai nostri padri in forma visibile. Ma una cosa del genere non accade a noi, perché è la nostra presunzione che ci fa desiderare che accada, e non pensiamo al bene comune o soffriamo per adempiere la volontà di Dio. Quindi se volessimo vedere una cosa di questo tipo, in realtà stiamo chiedendo di vedere un demone. Infatti, San Paolo parla di Satana stesso che viene “trasformato in un angelo di luce” (2 Cor. 11:14). Piuttosto, è quando non pensiamo affatto a tali cose, e forse non crediamo nemmeno che accadano, che in effetti accadono, se ricevute per il bene comune. Possiamo valutare il nostro atteggiamento chiedendoci se abbiamo qualche desiderio di sperimentare una cosa del genere, anche in sogno, o se gli daremmo grande importanza se dovesse accadere, o se ci comporteremmo come se non sapessimo nulla dello stato in cui ci troviamo. Perché il vero angelo ha il potere da Dio di rassicurare anche l’ intelletto che lo ripudia e di renderlo ricettivo. I demoni non possono fare questo; ma quando vedono un intelletto disposto a riceverli, solo allora con il consenso di Dio gli appaiono. Se l’ intelletto non è così disposto, tuttavia, i demoni se ne vanno, scacciati dall’angelo custode datoci nel santo battesimo, poiché l’ intelletto non ha ceduto il suo libero arbitrio al nemico.

Tanto per queste questioni. Ora dirò qualcosa sulla contemplazione degli ordini angelici. Secondo san Dionigi l’Areopagita e come troviamo confermato nella Sacra Scrittura (cfr Is 6,2; Ez 1,5; Rm 8,38; Ef 1,21; Col 1,16; I Ts 4,16), ci sono nove di tali ordini. Questi nove ordini sono stati denominati secondo la loro natura e attività. Sono chiamati “incorporei” perché sono immateriali, “spirituali” perché sono intelletti e “schiere” perché sono gli spiriti ministranti del Re di tutti (cfr Lc 2,13; Eb 1,14). Hanno anche altri nomi e titoli, sia specifici che generali; perciò sono chiamati ‘poteri’ (cfr. Ef. 1:21; 1 Pt. 3:22) e ‘angeli’, cioè ‘messaggeri’ (cfr. Mt. 1:20). ‘Poteri’ è il nome di un singolo ordine, ma si applica anche a tutti i nove ordini per quanto riguarda le loro attività, perché tutti sono stati autorizzati a compiere la volontà di Dio. Ancora, un ordine particolare – quello che è più vicino a noi e il nono dal trono inaccessibile di Dio – è chiamato l’ordine degli ‘angeli’; tuttavia per quanto riguarda le loro attività tutti sono chiamati ‘angeli’, o ‘messaggeri’, perché tutti annunciano le ordinanze divine agli uomini.

Il libro di Giobbe parla più volte di ‘un altro messaggero’ (cfr Gb 1,14-19); ma non si trattava di un angelo santo, poiché, come sottolinea san Giovanni Crisostomo, in ogni caso fu l’unico dei servi di Giobbe a sfuggire, e poi venne a dare la notizia a Giobbe. Le Sacre Scritture chiamano addirittura il Signore ‘angelo’ in diversi luoghi, come quando si dice che Abramo ‘ospitò angeli’ (Eb 13,2; cfr Gen 18,1-2). In effetti, il Signore stesso era ‘senza carne’, come dice san Giovanni Damasceno in un inno alla Madre di Dio: ‘Nella tenda Abramo vide il mistero che è in te, Madre di Dio; perché ricevette il tuo Figlio senza carne. Il Signore era anche insieme ai tre santi bambini nella fornace ardente (cfr Dn 3,25); e per la sua attività è anche chiamato ‘angelo’ o ‘messaggero’ dal profeta Isaia, che usa l’espressione ‘l’angelo del grande consiglio’ (Isaia 9:6. LXX). Come ha detto il Signore stesso, ‘vi annuncerò le cose che ho udito dal Padre mio’ (cfr. Giovanni 8:26). A Lui sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

XIV: Impassibilità

Il distacco è una cosa strana e paradossale: una volta che qualcuno ha consolidato la sua vittoria sulle passioni, è in grado di renderlo un imitatore di Dio, per quanto ciò sia possibile all’uomo. Infatti, sebbene la persona che ha raggiunto lo stato di distacco continui a soffrire attacchi da parte di demoni e uomini viziosi, egli sperimenta questo come se stesse accadendo a qualcun altro, come è stato il caso dei santi apostoli e martiri. Quando è lodato non è pieno di autoesaltazione, né quando è insultato è afflitto. Poiché considera che ciò che è piacevole gli viene per grazia di Dio e come un atto di concessione divina di cui è indegno, mentre ciò che è spiacevole viene come una prova: il primo ci è dato per grazia per incoraggiarci in questo mondo, mentre il secondo ci è dato per aumentare la nostra umiltà e la nostra speranza nel mondo futuro. Una persona del genere è impassibile, e tuttavia a causa del suo potere di discriminazione è acutamente consapevole di ciò che dà dolore.

Il distacco non è una singola virtù, ma è un nome per tutte le virtù. Un uomo non è semplicemente un arto, perché sono le molte membra del corpo che costituiscono un uomo; e non solo le membra, ma le membra insieme all’anima. Similmente, il distacco è l’unione di molte virtù, mentre il posto dell’anima è preso dallo Spirito Santo. Perché tutte le attività descritte come “spirituali” sono senza anima senza lo Spirito Santo, ed è in virtù della presenza dello Spirito Santo che a un “padre spirituale” viene dato questo titolo. Tuttavia, se l’anima non rifiuta le passioni, lo Spirito Santo non verrà da lei; né, d’altra parte, a meno che lo Spirito Santo non sia presente, si può propriamente parlare della virtù onnicomprensiva del distacco . E se qualcuno dovesse diventare distaccato senza lo Spirito Santo, sarebbe realmente, non distaccato, ma in uno stato di insensibilità. Per questo motivo anche i pagani Greci, che non comprendono pienamente queste cose, ci consigliano di non diventare impassibili come se non avessero anima, o impassibili come se non avessero mente . Quando dicono “impassibili come se non avessero anima”, parlano in termini della loro conoscenza, perché mancano della conoscenza conferita dallo Spirito Santo. Ma quando chiamano l’uomo impassibile privo di mente, siamo d’accordo con loro. Non che l’abbiamo imparato da loro, perché loro non avevano né vera conoscenza né vera esperienza; l’abbiamo imparato perché noi stessi abbiamo sperimentato la tirannia delle passioni e quindi siamo arrivati ​​a capire perché ne soffriamo.

Ancora, ciò che scriviamo sull’acquisizione delle virtù lo abbiamo imparato dai padri che furono resi capaci dalla grazia di raggiungere lo stato di distacco . Perché dicono che a causa della sua amicizia con le passioni la persona altamente appassionata diventa come un prigioniero e come uno che è insensato. A volte a causa del suo desiderio di qualcosa si precipita in avanti senza pensarci come una cosa senza mente; altre volte. quando la rabbia sostiene il desiderio , digrigna i denti come una bestia selvaggia contro i suoi simili. L’uomo che ha raggiunto il distacco diventa impassibile per il suo amore perfetto per Dio. A volte medita su Dio, a volte sullo spettacolo di alcune delle meravigliose opere di Dio o su un passaggio delle divine Scritture, come spiega San Nilo. Anche se si trova nella piazza del mercato tra folle di persone, il suo intelletto agisce come se fosse solo. Questo stato si ottiene osservando i divini comandamenti di Cristo: al quale sia gloria e potenza nei secoli. Amen.

XV: Amore

Parlare d’amore è osare parlare di Dio; perché, secondo san Giovanni il Teologo, “Dio è amore; e chi dimora nell’amore dimora in Dio” (1 Giovanni 4:16). E la cosa sorprendente è che questa principale di tutte le virtù è una virtù naturale. Così, nella Legge, le viene dato il primo posto: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore , con tutta la tua anima e con tutte le tue forze” (Deut. 6:5). Quando ho sentito le parole “con tutta la tua anima” sono rimasto sbalordito e non ho più avuto bisogno di sentire il resto. Perché “con tutta la tua anima” significa con i poteri intelligenti , incensivi e desideranti dell’anima, perché è di questi tre poteri che l’anima è composta. Così l’ intelletto dovrebbe pensare in ogni momento alle questioni divine, mentre il desiderio dovrebbe desiderare costantemente e interamente, come dice la Legge, solo Dio e mai nient’altro; e il potere incensante dovrebbe opporsi attivamente solo a ciò che ostacola questo desiderio, e a nient’altro. Di conseguenza, san Giovanni aveva ragione nel dire che Dio è amore. Se Dio vede che, come ha comandato, queste tre potenze dell’anima aspirano a Lui solo, allora, poiché è buono, necessariamente non solo amerà quell’anima, ma attraverso l’ispirazione dello Spirito abiterà e si muoverà in essa (cfr. 2 Cor. 6:16; Lev. 26:12); e il corpo, sebbene riluttante e poco disposto – perché privo di intelligenza – finirà per sottomettersi all’intelligenza, mentre la carne non si solleverà più in protesta contro lo Spirito, come dice san Paolo (cfr. Gal. 5:17). Proprio come il sole e la luna, al comando di Dio, viaggiano attraverso i cieli per illuminare il mondo, anche se sono senza anima, così il corpo, al comando dell’anima, compirà opere di luce. Come il sole viaggia ogni giorno da est a ovest, creando così un giorno, mentre quando scompare arriva la notte, così ogni virtù che un uomo pratica illumina l’anima, e quando scompare la passione e l’oscurità arrivano finché non acquisisce di nuovo quella virtù, e la luce in questo modo ritorna a lui. Come il sole sorge nel più lontano est e sposta lentamente i suoi raggi fino a raggiungere l’altro estremo, formando così il tempo, così un uomo cresce lentamente dal momento in cui inizia a praticare le virtù fino a quando non raggiunge lo stato di distacco . E proprio come la luna cresce e cala ogni mese, così rispetto a ogni particolare virtù un uomo cresce e cala ogni giorno, finché questa virtù non si stabilisce in lui. A volte, in accordo con la volontà di Dio, è afflitto, a volte gioisce e ringrazia Dio, indegno com’è di acquisire le virtù; e a volte è illuminato, a volte pieno di oscurità, finché il suo corso non è terminato.

Tutto questo gli accade per provvidenza di Dio: alcune cose sono inviate per impedirgli di esaltarsi, e altre per impedirgli di disperarsi. Proprio come in questa età presente il sole crea i solstizi e la luna cresce e cala, mentre nell’età a venire ci sarà sempre luce per i giusti e oscurità per coloro che, come me, ahimè, sono peccatori, così, prima del raggiungimento dell’amore perfetto e della visione in Dio, l’anima nel mondo presente ha i suoi solstizi, e l’ intelletto sperimenta l’oscurità così come la virtù e la conoscenza spirituale; e questo continua finché, attraverso l’acquisizione di quell’amore perfetto a cui è diretto tutto il nostro sforzo, siamo trovati degni di compiere le opere che appartengono al mondo futuro. Perché è per amore che colui che è in stato di obbedienza obbedisce a ciò che è comandato; ed è per amore che colui che è ricco e libero si libera dei suoi beni e diventa un servo, cedendo sia ciò che ha che se stesso a chiunque desideri possederli. Chi digiuna lo fa anche per amore, affinché altri possano mangiare ciò che altrimenti avrebbe mangiato. In breve, ogni opera fatta correttamente è fatta per amore di Dio o del prossimo. Le cose di cui abbiamo parlato, e altre simili, sono fatte per amore del prossimo, mentre le veglie, la salmodia e simili sono fatte per amore di Dio. A Lui sia gloria, onore e dominio attraverso tutte le età. Amen.

XVI: Conoscenza di Dio

Tutte le cose che Dio ha creato hanno un’origine e, se Lui lo desidera, una fine, poiché sono state portate all’esistenza dalla non-esistenza. Dio, tuttavia, non ha né origine né fine. Lo stesso vale per le Sue virtù, poiché Egli non è mai stato senza di esse: Egli è sempre al di là della bontà, giusto, onnisciente, onnipotente, invincibile, spassionato, incircoscritto, infinito, imperscrutabile, incomprensibile, senza fine, eterno, increato, invariabile, immutabile, vero, incomposto, invisibile, intoccabile, inafferrabile, perfetto, al di là dell’essere, inesprimibile, inspiegabile, pieno di misericordia, pieno di compassione e simpatia, onnipotente, onniveggente. Ma, come ha detto san Dionigi l’Areopagita, il fatto che Dio possieda queste virtù non significa che Egli sia costretto a esercitare ciascuna di esse, come lo sono gli uomini santi: Egli agisce virtuosamente perché lo sceglie e usa le virtù come strumenti con completa libertà e potere su di esse.

È da Dio che, insieme al loro essere, gli angeli e gli uomini santi hanno ricevuto per grazia le virtù, ed è attraverso l’emulazione di Lui che diventano giusti, buoni e saggi. Poiché sono creature, hanno bisogno dell’assistenza e dell’ispirazione di Dio, perché senza di ciò non possono possedere né virtù né saggezza. Tutte le creature sono suscettibili di cambiamento, e poiché sono composte da vari elementi sono chiamate composite. Ma Dio è incorporeo, semplice, senza origine, un solo Dio, adorato e glorificato da tutta la creazione nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Colui che diventa come Dio ha solo una volontà e non molte volontà composite. Il suo intelletto è semplice e – per quanto ciò sia possibile – è sempre concentrato su ciò che è informe; ma per divina provvidenza discende con riluttanza dal regno dell’informe alla contemplazione di qualche versetto della Scrittura o aspetto della creazione: Tuttavia, per non essere condannato, una tale persona provvede al proprio corpo, non perché nel suo amore per esso desideri mantenerlo in vita, ma per non renderlo del tutto inutile e per questo motivo incorrere nella condanna.

Poiché come l’ intelletto non respinge le passioni che lo circondano, ma le usa secondo la loro natura, così l’anima non respinge il corpo, ma lo usa per ogni buona opera. E come l’ intelletto , controllando gli impulsi insensati delle passioni, dirige ciascuna di esse secondo la volontà divina, così l’uomo, controllando le membra del suo corpo, le rende soggette a una sola volontà e non a molte. Poiché egli non consente ai quattro elementi costitutivi del corpo, o alle sue molte membra, di fare ciò che desiderano, né consente alle tre facoltà dell’anima di agire, o di spingere il corpo ad agire, sconsideratamente e licenziosamente; ma, guidato dalla saggezza spirituale, rende la volontà delle tre facoltà una e indivisibile. Quattro principi costituiscono questa saggezza: giudizio morale, autocontrollo, coraggio e giustizia. San Gregorio il Teologo ha scritto su questi in modo eccellente sotto l’ispirazione di Gesù Cristo nostro Signore: al quale sia gloria e dominio nei secoli. Amen.

XVII: Giudizio morale

Sebbene sia facile per chiunque lo desideri imparare da San Gregorio le quattro virtù principali sopra menzionate, tuttavia parlerò brevemente di ciascuna di esse qui. Ogni altra virtù ha bisogno di esse, e ogni impresa ha bisogno della prima – il giudizio morale – perché senza di esso nulla può essere portato a una conclusione di successo. Come si può realizzare qualcosa senza il giudizio morale? Esso nasce dall’intelligenza e costituisce la via di mezzo tra l’astuzia – cioè l’eccessiva astuzia – e la mancanza di pensiero. L’astuzia trascina il giudizio morale verso l’astuzia e l’inganno, e danneggia l’anima del suo possessore e quante più persone possibile; la mancanza di pensiero rende ottusi e triviali, e non consente all’intelletto di concentrarsi su questioni divine o su qualcosa di utile per la propria anima o per il prossimo. La prima è come un’alta montagna, la seconda come un burrone.

L’uomo di giudizio morale, quindi, è colui che viaggia lungo la pianura che si trova tra questi due. Ma colui che si allontana da questo sentiero o cade nel burrone o tenta di salire in alto e, non trovando una via d’uscita, precipita suo malgrado a capofitto nel burrone; né è in grado di uscirne, perché rifiuta di rinunciare alle cime delle montagne e attraverso il pentimento di tornare sul sentiero del giudizio morale. Ma la persona che è caduta nel burrone invoca con umiltà Colui che può ricondurlo sulla strada regale della virtù. L’uomo di giudizio morale, tuttavia, non sale arrogantemente verso l’alto cercando di danneggiare gli altri, né scende stoltamente solo per essere danneggiato da qualcun altro. Scegliendo la via di mezzo, vi si attiene con l’aiuto di Cristo nostro Signore, al quale sia gloria e dominio nei secoli. Amen.

XVIII: Autocontrollo

L’autocontrollo è un senso sicuro e infallibile di discrezione. Non consente al suo possessore di cadere nella licenziosità o nell’ostinazione, ma conserva in modo sicuro le benedizioni raccolte attraverso il giudizio morale, mentre rifiuta tutto ciò che è cattivo. Allo stesso tempo unisce a sé l’intelligenza e attraverso sé conduce l’intelligenza verso Dio. Come un buon pastore, piega le pecore – i pensieri divini – e astenendosi da ciò che è dannoso, uccide la licenziosità come se fosse un cane rabbioso. Espelle la stupidità come se fosse un lupo feroce e le impedisce di divorare le pecore una per una; ma tiene costantemente d’occhio tale stupidità e la rivela all’intelligenza, in modo che non possa nascondersi nell’oscurità senza luna e infiltrarsi tra i nostri pensieri.

L’autocontrollo nasce dal potere desiderante dell’anima. Senza di esso, se dovesse accadere qualcosa di buono, non potrebbe essere preservato; perché senza autocontrollo i tre poteri dell’anima sono portati o verso l’alto, verso la licenziosità, o verso il basso, verso la stupidità. E non intendo solo la licenziosità implicita nella gola e nell’impudicizia, ma quella implicita in ogni passione e pensiero non deliberatamente nutriti in un modo che sia in accordo con la volontà di Dio. Perché l’autocontrollo disciplina tutte le cose e frena gli impulsi insensati dell’anima e del corpo, dirigendoli verso Dio: a cui sia gloria nei secoli. Amen.

XIX: Coraggio

Il coraggio non consiste nello sconfiggere e opprimere il prossimo; perché questa è prepotenza, che oltrepassa i limiti del coraggio. Né consiste nel fuggire atterriti dalle prove che derivano dalla pratica delle virtù; perché questa è codardia e non è all’altezza del coraggio. Il coraggio stesso consiste nel persistere in ogni buona opera e nel vincere le passioni dell’anima e del corpo. Perché la nostra lotta non è contro la carne e il sangue, cioè contro gli uomini, come era il caso degli antichi ebrei, dove conquistare altre nazioni era fare l’opera di Dio; è contro i principati e le potenze, cioè contro i demoni invisibili (cfr Ef 6,12). Chi è vittorioso vince spiritualmente; altrimenti è vinto dalle passioni. La guerra descritta nell’Antico Testamento prefigura la nostra guerra spirituale.

Queste due passioni di prepotenza e codardia, sebbene sembrino opposte, sono entrambe causate dalla debolezza. La prepotenza tira verso l’alto ed è esteriormente qualcosa di sorprendente e spaventoso, come un orso impotente, mentre la codardia fugge come un cane inseguito. Nessuno che soffra di una di queste due passioni ripone la sua fiducia nel Signore, e quindi non può resistere in battaglia, sia che sia prepotente o codardo. Ma l’uomo giusto è coraggioso come un leone (cfr. Prov. 28:1) in Cristo Gesù nostro Signore, al quale siano gloria e dominio nei secoli dei secoli. Amen.

XX: Giustizia

San Dionigi l’Areopagita dice che Dio è lodato attraverso la giustizia. Questo è vero; perché senza giustizia tutte le cose sono ingiuste e non possono durare. La giustizia è talvolta chiamata discriminazione : stabilisce il giusto mezzo in ogni impresa, così che non ci saranno fallimenti dovuti a troppa frugalità, o eccessi dovuti all’avidità. Perché anche se troppa frugalità e avidità sembrano essere opposti, l’uno sotto e l’altro sopra la giustizia, tuttavia entrambi ci spingono in qualche modo verso l’ingiustizia. Che una linea sia convessa o concava, devia comunque da ciò che è dritto; e da qualunque parte penda la bilancia, quel lato ha la meglio sull’altro lato. Ma chi sa attenersi alla giustizia non si lascia trascinare dall’incoscienza, dalla licenziosità, dalla codardia o dall’avidità, come il serpente che cammina sul ventre mangiando polvere (cfr Gen 3,14), schiavo delle passioni sfacciate: né cade vittima dell’astuzia e della prepotenza, della stupidità e dell’eccessiva frugalità, dell’eccessiva astuzia e furbizia. Piuttosto, egli «giudica con moderazione» (Rm 12,3) e sopporta con paziente umiltà, riconoscendo pienamente che tutto ciò che possiede lo ha ricevuto per grazia, come dice san Paolo (cfr 1 Cor 4,7). Infatti, fa un’ingiustizia a se stesso e al prossimo – o, meglio, a Dio – quando attribuisce a sé stesso le proprie opere. Se pensa che qualsiasi cosa buona che possiede gli sia dovuta a se stesso, allora ciò che pensa di avere gli sarà tolto, per usare le parole del nostro Signore (cfr. Mt 13,12): al quale sia la gloria e il dominio nei secoli dei secoli. Amen.

XXI: Pace

Quando il Signore disse agli apostoli: “Vi do la mia pace”, aggiunse: “non come la dà il mondo” (Gv 14,27). Non diede, cioè, la pace in modo semplice e convenzionale, come fanno le persone quando si salutano con le parole “Pace a voi”, o come fece la donna Sunamita quando disse “La pace sia con voi” (cfr. 2 Re 4,23. LXX). Né Cristo intendeva la pace che Eliseo aveva in mente quando disse a Ghehazi di dire alla Sunamita: “C’è pace con te?” (cfr. 2 Re 4,26. LXX) – in altre parole, c’è pace con tuo marito, c’è pace con tuo figlio? No, la pace di Cristo è la pace che trascende ogni intelletto (cfr. Fil 4,7), e che Dio dà a coloro che lo amano con tutta la loro anima, a causa dei pericoli e delle battaglie che hanno attraversato. . Nello stesso spirito il Signore disse anche: “In me avete pace”, e aggiunse: “Nel mondo sperimenterete afflizione; ma abbiate coraggio, perché io ho vinto il mondo” (Giovanni 16:33). Con questo intendeva dire che, sebbene una persona possa sperimentare molte afflizioni e pericoli per mano di demoni e di altri uomini, questi saranno come nulla se possiede la pace del Signore. Di nuovo disse: “Siate in pace gli uni con gli altri” (Marco 9:50). Il Signore disse loro tutte queste cose in anticipo perché avrebbero combattuto e sofferto per amor Suo.

Allo stesso modo ognuno di noi fedeli è attaccato e fuorviato dalle passioni; ma se è in pace con Dio e con il prossimo, le vince tutte. Queste passioni sono il “mondo” che san Giovanni il Teologo ci ha detto di odiare (cfr 1 Gv 2,15), intendendo che dobbiamo odiare, non le creature di Dio, ma i desideri mondani. L’anima è in pace con Dio quando è in pace con se stessa ed è diventata totalmente deifomi. È anche in pace con Dio quando è in pace con tutti gli uomini, anche se soffre cose terribili da parte loro. A causa della sua pazienza non è turbata, ma sopporta ogni cosa (cfr 1 Cor 13,7), desidera il bene di tutti, ama tutti, sia per amore di Dio che per amore della loro stessa natura. Si addolora per i non credenti perché stanno distruggendo se stessi, come nostro Signore e gli apostoli si addolorarono per loro. Prega per i fedeli e lavora per loro, e in questo modo i suoi pensieri sono pieni di pace e vive in uno stato di contemplazione noetica e di pura preghiera a Dio. A Lui sia gloria in tutti i secoli. Amen.

XXII: Gioia

«Rallegratevi nel Signore», diceva san Paolo (Fil 3,1). E aveva ragione a dire: «nel Signore». Perché se la nostra gioia non è nel Signore, non solo non ci rallegriamo, ma con ogni probabilità non ci rallegriamo mai. Giobbe, descrivendo la vita degli uomini, la trovò piena di ogni genere di afflizione (cfr Gb 7,1-21), e così anche san Basilio Magno. San Gregorio di Nissa diceva che gli uccelli e gli altri animali gioiscono a causa della loro mancanza di consapevolezza, mentre l’uomo, essendo dotato di intelligenza, non è mai felice a causa del suo dolore; perché, dice, non siamo stati trovati degni nemmeno di avere conoscenza dei beni che abbiamo perso. Per questo motivo la natura ci insegna piuttosto a soffrire, poiché la vita è piena di dolore e di fatica, come uno stato di esilio dominato dal peccato . Ma se una persona è costantemente consapevole di Dio, gioirà: come dice il salmista, “Mi sono ricordato di Dio e mi sono rallegrato” (Sal 77:3. LXX). Perché quando l’ intelletto è rallegrato dal ricordo di Dio, allora dimentica le afflizioni di questo mondo, ripone la sua speranza in Lui e non è più turbato o ansioso. La libertà dall’ansia lo fa gioire e ringraziare; e la grata offerta di ringraziamento aumenta i doni di grazia che ha ricevuto. E man mano che le benedizioni aumentano, aumenta anche la gratitudine, e così fa la preghiera pura offerta con lacrime di gioia.

Lentamente l’uomo emerge dalle lacrime dell’angoscia e dalle passioni, ed entra pienamente nello stato di gioia spirituale; Attraverso le cose che gli procurano piacere, è reso umile e grato; attraverso prove e tentazioni la sua speranza nel mondo a venire è consolidata; in entrambi gioisce, e naturalmente e spontaneamente ama Dio e tutti gli uomini come suoi benefattori. Non trova nulla nell’intera creazione che possa danneggiarlo. Illuminato dalla conoscenza di Dio, gioisce nel Signore a causa di tutte le cose che ha creato, meravigliandosi della cura che mostra per le sue creature. La persona che ha raggiunto la conoscenza spirituale non solo si meraviglia delle cose visibili, ma è anche sbalordita dalla sua percezione di molte cose essenziali invisibili a coloro che non hanno esperienza di questa conoscenza.

Così egli guarda con meraviglia non solo la luce del giorno, ma anche la notte. Perché la notte è una benedizione per tutti: a coloro che praticano le virtù che appartengono al corpo, offre quiete e svago; incoraggia il ricordo della morte e dell’inferno in coloro che sono in lutto; coloro che sono impegnati nella pratica delle virtù morali, spinge a studiare ed esaminare più da vicino le benedizioni che hanno ricevuto e lo stato morale della loro anima. Nelle parole del salmista, “Mentre giaci a letto, pentiti di ciò che dici nel tuo cuore ” (Sal 4:4. LXX), cioè, pentiti nella quiete della notte, ricordando le cadute avvenute nella confusione del giorno e disciplinandoti in inni e cantici spirituali (cfr Col 3:16) – in altre parole, insegnandoti a persistere nella preghiera e nella salmodia attraverso un’attenta meditazione su ciò che leggi. Infatti la pratica delle virtù morali si attua meditando su ciò che è accaduto durante il giorno, così che nel silenzio della notte possiamo prendere coscienza dei peccati commessi e possiamo addolorarci per essi.

Quando in questo modo, per grazia di Dio, facciamo qualche progresso e scopriamo che in verità e non solo nella fantasia abbiamo realizzato nell’azione o nel pensiero la virtù morale sonora dell’anima o del corpo secondo il comandamento di Cristo, allora rendiamo grazie con timore e umiltà; e ci sforziamo di preservare quella virtù morale per mezzo della preghiera e di molte lacrime offerte a Dio, disciplinandoci a ricordarla per non perderla di nuovo a causa della dimenticanza. Perché ci vuole molto tempo per rendere efficace una virtù morale in noi stessi, mentre ciò che è stato ottenuto con tanto tempo e sforzo può essere perso in un solo istante.

Tutto questo vale per coloro che praticano le virtù. Per quanto riguarda la vita contemplativa, la notte ci fornisce molti temi per la contemplazione , come ha detto San Basilio il Grande. Innanzitutto, ci ricorda quotidianamente la creazione del mondo, poiché tutta la creazione diventa invisibile a causa dell’oscurità, come era prima di venire all’esistenza. Questo a sua volta ci spinge a riflettere su come il cielo fosse vuoto allora e senza stelle, come accade ora quando diventano invisibili a causa delle nuvole. Quando entriamo nella nostra cella e vediamo solo l’oscurità, ci viene ricordata l’oscurità che era sopra l’abisso (cfr Gen. 1:2); e quando improvvisamente il cielo diventa di nuovo sereno e ci troviamo fuori dalla nostra cella, siamo colpiti dalla meraviglia del mondo di sopra e offriamo lode a Dio, proprio come si dice che gli angeli nel Libro di Giobbe abbiano lodato Dio quando hanno visto le stelle (di Giobbe 38:7). Noi vediamo con l’ occhio della mente la terra come era in origine, invisibile e senza forma (cfr. Gen. I:2), e gli uomini tenuti fermi dal sonno come se non esistessero. Ci sentiamo soli nel mondo come Adamo e, uniti agli angeli, nella conoscenza autunnale lodiamo il Fattore e Creatore dell’universo.

Nel tuono e nel lampo vediamo il giorno del giudizio; nel canto dei galli udiamo la tromba che suonerà in quel giorno (cfr. 1 Tess. 4:16); nel sorgere della stella del mattino e nella luce dell’alba percepiamo l’apparizione della preziosa e vivificante Croce (cfr. Mt. 24:30); nel sorgere degli uomini dal sonno vediamo un segno della risurrezione dei morti, e nel sorgere del sole un pegno del secondo avvento di Cristo. Alcuni, come i santi rapiti nelle nubi nell’ultimo giorno (cfr. 1 Tess. 4:17), li vediamo andare ad accoglierlo con il canto, mentre altri, come coloro che saranno allora giudicati, sono indifferenti e rimangono addormentati. Alcuni li vediamo gioire durante il giorno nell’offerta della lode, nella contemplazione e nella preghiera, e nelle altre virtù, vivendo nella luce della conoscenza spirituale, come faranno i giusti alla seconda venuta; mentre altri li vediamo persistere nelle passioni e nell’oscurità dell’ignoranza, come faranno i peccatori in quel giorno.

In breve, l’uomo di conoscenza spirituale scopre che tutto contribuisce alla salvezza della sua anima e alla gloria di Dio: in effetti, è stato a causa di questa gloria che tutte le cose sono state portate all’esistenza dal Signore e Dio della conoscenza, come lo chiama Anna, la madre del profeta Samuele (cfr. 1 Sam. 2:3). “Perciò non si vanti il ​​saggio per la sua sapienza”, ella disse, “né il forte per la sua forza, né il ricco per la sua ricchezza; ma chi si vanta si vanti per la sua intelligenza e per la sua conoscenza del Signore” (1 Sam. 2:10. LXX). Vale a dire, si vanti perché conosce il Signore con piena intelligenza dalle sue opere, e perché lo imita, per quanto è possibile, attraverso l’osservanza dei suoi comandamenti divini. Perché è attraverso di essi che conosce Dio e può “operare giudizio e giustizia in mezzo alla terra” (1 Sam. 2:10. LXX), come fa Dio. Anna pronunciò queste parole profeticamente riguardo alla crocifissione e alla resurrezione del Signore. Anche l’aspirazione dello gnostico è di soffrire con il Signore attraverso l’acquisizione delle virtù e di essere glorificato con Lui attraverso l’impassibilità e la conoscenza spirituale, e di vantarsi a causa Sua, in quanto, indegno com’è, è stato reso capace dalla grazia di essere un servitore di un tale padrone e un imitatore della Sua umiltà. Allora “la lode verrà da Dio” (cfr. I Cor. 4:5). Ma quando accadrà? Quando Egli dice a quelli alla Sua destra: “Venite, benedetti, ereditate il regno” (Mt. 25:34). Che tutti noi possiamo essere trovati degni di ereditare quel regno attraverso la Sua grazia e il Suo amore: a Lui sia gloria e dominio attraverso i secoli. Amen.

XXIII: Sacra Scrittura

«Cantate salmi con intelligenza», dice il salmista (Sal 47,7); e il Signore dice: «Scrutate le Scritture» (Gv 5,39). Chi presta loro attenzione è illuminato, mentre chi non presta attenzione è pieno di tenebre. Infatti, se una persona non presta attenzione a ciò che è detto nella Scrittura divina, raccoglierà solo poco frutto, anche se canta o legge frequentemente. «Dedicati al silenzio e conosci», è scritto (Sal 46,10), perché tale devozione concentra l’ intelletto : anche se è attento solo per un breve periodo, nondimeno conosce «in pan», come dice San Paolo (1 Cor 13,12). Ciò è particolarmente vero per la persona che ha fatto qualche progresso nella pratica delle virtù morali, perché questo insegna all’intelletto molte cose relative alla sua associazione con le passioni. non dovrebbe perdere la fede e pensare che ci sia una contraddizione. Perché un testo o un oggetto possono significare molte cose. Prendiamo ad esempio l’abbigliamento: una persona può dire che riscalda, un’altra che adorna e un’altra che protegge; eppure tutti e tre hanno ragione, poiché l’abbigliamento è utile allo stesso modo per il calore, per l’ornamento e per la protezione. Tutti e tre hanno compreso lo scopo assegnato da Dio all’abbigliamento; e la Sacra Scrittura e la natura stessa delle cose lo confermano. Ma se qualcuno la cui intenzione è quella di rubare e rubacchiare dovesse dire che l’abbigliamento esiste per essere rubato, sarebbe un bugiardo assoluto, perché né le Scritture né la natura delle cose suggeriscono che esista per questo scopo; e persino le leggi puniscono coloro che lo rubano.

Lo stesso vale per ogni cosa, visibile o invisibile, e per ogni parola delle divine Scritture. Infatti i santi non conoscono l’intero proposito di Dio riguardo a ogni oggetto o testo scritturale, né d’altra parte scrivono una volta per tutte tutto ciò che sanno. Questo perché in primo luogo Dio è al di là della comprensione e la sua sapienza non è limitata in modo tale che un angelo o un uomo possano afferrarla nella sua interezza. Come dice san Giovanni Crisostomo riguardo a un certo punto dell’esegesi spirituale, noi diciamo su di esso quanto si dovrebbe dire al momento, ma Dio, oltre a ciò che diciamo, conosce anche altri significati insondabili. E, in secondo luogo, a causa dell’incapacità e della debolezza degli uomini, non è bene che anche i santi stessi dicano tutto ciò che sanno; perché potrebbero parlare troppo a lungo, rendendosi così offensivi o inintelligibili a causa della confusione nella mente del loro lettore . Come osserva san Gregorio il Teologo, ciò che si dice deve essere commisurato alla capacità di coloro ai quali ci si rivolge.

Per questa ragione lo stesso santo può dire una cosa su una certa questione oggi, e un’altra domani; e tuttavia non c’è contraddizione, a condizione che l’ascoltatore abbia conoscenza ed esperienza della questione in discussione. Ancora, un santo può dire una cosa e un altro dire qualcosa di diverso sullo stesso passaggio delle Sacre Scritture, poiché la grazia divina spesso fornisce interpretazioni diverse adatte alla persona o al momento particolare in questione. L’unica cosa richiesta è che tutto ciò che è detto o fatto debba essere detto o fatto in conformità con l’intenzione di Dio, e che debba essere attestato dalle parole della Scrittura. Perché se qualcuno predica qualcosa di contrario all’intenzione di Dio o contrario alla natura delle cose, allora anche se è un angelo le parole di san Paolo, “Sia maledetto” (Gal. 1:8), si applicheranno a lui. Questo è ciò che affermano san Dionigi l’Areopagita, sant’Antonio e san Massimo il Confessore. Per questa ragione san Giovanni Crisostomo dice: “Non furono i Greci, ma le Sacre Scritture a trasmetterci queste cose. Non c’è contraddizione quando la Scrittura dice di una certa persona sia che non vide Babilonia come prigioniera sia, altrove, che lo portarono a Babilonia con gli altri. Perché chi legge attentamente troverà detto di questo stesso uomo in un’altra parte della Scrittura che lo accecarono e in condizioni pietose lo portarono via come prigioniero (cfr 2 Re 25:7; Ger 52:11): Così andò a Babilonia, come dice uno scrittore, ma non la vide, come dice l’altro.

Ancora, alcuni dicono nella loro mancanza di esperienza che l’Epistola agli Ebrei non è stata scritta da San Paolo, o che San Dionigi l’Areopagita non ha scritto uno dei trattati a lui attribuiti. Ma se un uomo presterà attenzione a queste stesse opere, scoprirà la verità. Se la questione riguarda la natura, i santi ne traggono la conoscenza dall’intuizione spirituale, cioè dalla conoscenza spirituale della natura e dalla contemplazione degli esseri creati che si ottiene attraverso la purezza dell’intelletto ; e così espongono lo scopo di Dio in queste cose con completa accuratezza. Esaminando le Scritture, come dice San Giovanni Crisostomo, come cercatori d’oro che cercano le vene più fini. In questo modo assicurano che “non vada perduta la più piccola lettera o il più insignificante accento”, come disse il Signore (Mt 5,18).

Tale è la situazione per quanto riguarda le cose che appartengono alla natura. Quando la questione in questione è qualcosa che sta al di là della natura, sia essa sensibile o intelligibile, o anche una frase scritta, i santi ne sono a conoscenza attraverso il dono della profezia e attraverso la rivelazione, a condizione che tale conoscenza sia data loro dallo Spirito Santo. Ma se questa conoscenza non è data loro, e se per il loro bene la questione rimane al di là della loro comprensione, non si vergognano di dire la verità e di confessare la loro debolezza umana, dicendo con san Paolo: “Non lo so; lo sa Dio” (2 Cor. 12:2). Come disse Salomone: “Ci sono tre cose che ignoro e una quarta che non so” (Prov. 30:18. LXX). Ancora, san Giovanni Crisostomo dice: “Non lo so; e se gli eretici mi chiamano infedele, mi chiamino anche strumento”

In breve, i santi possedevano sia la conoscenza spirituale che quella secolare, ma preferivano la prima; usavano, tuttavia, la loro educazione mondana saggiamente e per uno scopo limitato, guidati dalla regola di san Paolo di non vantarsi oltre ogni limite (cfr 2 Cor 10,13), come fecero quegli egiziani che, secondo gli scritti clementini, deridevano la dizione prosaica dell’apostolo Barnaba, non rendendosi conto che la sua predicazione conteneva parole di vita (cfr Gv 6,68). Molti di noi sono colpevoli di fare lo stesso: quando sentiamo qualcuno parlare con uno strano accento, ridiamo, anche se forse è un uomo saggio nella sua lingua e sta parlando di misteri che incutono timore. Ciò accade a causa della nostra inesperienza. Ma gli stessi padri spesso scrivevano deliberatamente in modo molto semplice, a seconda delle circostanze particolari e delle persone per cui scrivevano. San Gregorio di Nissa lo nota quando loda sant’Efrem: sebbene fosse saggio, dice Gregorio, scriveva semplicemente. Gregorio si meravigliò anche del modo in cui Efrem, profondamente versato nella dottrina teologica, confutò con grande dottrina le maledette insinuazioni di un eretico infantile, e di come quest’ultimo, a causa del suo orgoglio, non riuscì a sopportare la vergogna e morì.

L’umiltà santa è qualcosa che trascende la natura, e un non credente non può ottenerla, ma pensa che sia contraria alla natura. San Dionigi l’Areopagita ne parla quando scrive a San Timoteo di tali uomini: dice che agli antichi la risurrezione dei morti appariva contraria alla natura, mentre a lui e a San Timoteo – e agli occhi della verità stessa – non è contraria alla natura, ma trascende la natura. Questo almeno è come appare a noi; agli occhi di Dio, tuttavia, non trascende la natura, ma è del tutto naturale; perché il comandamento di Dio è la Sua natura. I padri avevano un amore speciale per l’umiltà nell’azione e nella siccità, come il compilatore del Gerontikon, sebbene fosse un vescovo e in esilio per amore di Cristo; perché dice riguardo alla veste stracciata di una vergine che l’ha presa per ricevere una benedizione. E i santi padri San Doroteo e San Cassiano, sebbene saggi, scrissero semplicemente. Dico questo perché nessuno pensi che alcuni padri abbiano scritto in modo colto per orgoglio, mentre altri hanno scritto in uno stile semplice a causa della loro mancanza di intelligenza. Entrambi hanno scritto allo stesso modo attraverso lo stesso potere dell’intelletto , conferito dall’unico Spirito Santo, e il loro scopo era di essere di servizio a tutti. Se avessero scritto tutti in modo semplice, nessuna persona colta ne avrebbe mai tratto beneficio, perché avrebbe considerato ciò che era scritto come senza valore a causa del suo stile pedestre; né d’altra parte una persona più semplice ne avrebbe mai tratto beneficio se tutti avessero scritto in uno stile colto, poiché non avrebbe compreso il significato di ciò che era stato detto.

Chiunque abbia esperienza nell’interpretazione spirituale della Scrittura sa che il brano più semplice ha un significato pari a quello del brano più astruso, e che entrambi sono diretti alla salvezza dell’uomo. Chi non ha tale esperienza, tuttavia, è spesso perso, non essendo consapevole che l’apprendimento secolare è di grande aiuto quando agisce come veicolo per la saggezza superiore dello Spirito. Poiché la saggezza dello Spirito conferisce pensieri ispirati, mentre l’apprendimento secolare fornisce il potere di espressione, purché sia ​​accompagnato dal giudizio morale e dall’umiltà che ci insegna a temere sia la spensieratezza che l’astuzia e a “giudicare con autocontrollo”, come dice San Paolo (Rom. 12:3).

Proprio come il termine “amen”, che san Luca traduce con “veramente” (cfr. Luca 9:27), è una parola stabile e decisiva che approva ciò che la precede, così il giudizio morale è una forma stabile e decisiva di intellezione che ci consente di aderire alla verità. La parola “amen” afferma la permanenza della nuova grazia conferita da Cristo; quindi non si trova affatto nell’Antico Testamento, poiché l’Antico Testamento non è che una prefigurazione. Nel Nuovo Testamento, tuttavia, è usata ovunque perché questo testamento durerà per sempre e attraverso tutte le epoche.

XXIV: La consapevolezza cosciente nel cuore

Quante lacrime vorrei versare ogni volta che riesco a intravedere anche solo in parte me stesso! Se non pecco , mi esalto con orgoglio; mentre se pecco e sono in grado di rendermene conto, nel mio sgomento perdo il cuore e comincio a disperare. Se mi rifugio nella speranza, di nuovo divento arrogante. Se piango, nutro la mia presunzione; se non piango, le passioni mi visitano di nuovo. La mia vita è morte, eppure la morte sembra ancora peggiore a causa della mia paura della punizione. La mia preghiera si rivela una fonte di tentazione per me, e la mia disattenzione una causa di disastro. “Chi accresce la conoscenza aumenta il dolore “, dice Salomone (Eccles. 1:18). Sono perplesso, fuori di me, e non so cosa fare. E se lo sapessi, e poi non lo facessi, la mia conoscenza contribuirebbe alla mia condanna. Ahimè, cosa dovrei scegliere? Nella mia ignoranza tutte le cose sembrano contraddittorie e non riesco a conciliarle. Non trovo la virtù e la saggezza nascoste nelle mie prove, poiché non sopporto queste prove con pazienza. Fuggo la quiete a causa dei miei pensieri malvagi, e così mi ritrovo assediato dalle passioni che mi tentano attraverso i sensi. Voglio digiunare e vegliare, ma sono impedito dalla presunzione e dalla lassità. Mangio e mi abbuffo in modo lauto, e pecco senza saperlo. Mi ritiro da tutto e fuggo per paura del peccato , ma l’apatia è di nuovo la mia rovina.

Eppure mi rendo conto che molti, perché avevano una fede ferma , hanno ricevuto corone di vittoria dopo aver attraversato battaglie e prove come queste. Fu a causa della loro fede che fu loro concesso il timore di Dio; e attraverso questo timore furono resi capaci di praticare le altre virtù. Se avessi avuto la loro fede , avrei trovato questo timore attraverso il quale, secondo il profeta, avrei ricevuto vera pietà e conoscenza spirituale; e da questa conoscenza sarebbero venuti forza, consiglio, comprensione e la sapienza dello Spirito Santo (cfr Isaia 1 1:2). Questi sono i doni conferiti a coloro che, liberi da ansia, aspettano Dio e si dedicano alle Sacre Scritture con la pazienza che rende possibile vedere tutte le cose, sia dall’alto che dal basso, con una mente equanime .

Il tempo e l’esperienza chiariscono quando una particolare passione è stata trasformata in virtù. Quando, d’altra parte, una virtù vira verso la passione , il tempo e l’esperienza ci permettono di distinguerle attraverso la paziente sopportazione. Perché se tale sopportazione non nasce nell’anima dalla fede , l’anima non può possedere alcuna virtù. “Conquisterete il possesso delle vostre anime attraverso la vostra paziente sopportazione”, ha detto il Signore (Luca 21:19), che solo ha plasmato i cuori degli uomini, come dice il salmista (cfr. Sal. 33:15). Da ciò è chiaro che il cuore , cioè l’ intelletto , entra in possesso di se stesso attraverso la paziente sopportazione di ciò che gli accade. Perché se crediamo che qualcun altro stia invisibilmente guidando la nostra vita, come possiamo mai obbedire ai nostri pensieri quando dicono “Voglio questo” o “Non lo voglio”, “Questo è bene” o “Questo è male”? Se avessimo una guida visibile, gli chiederemmo di tutto, ascolteremmo la risposta e metteremmo in pratica ciò che è stato detto. Ma anche quando non abbiamo una guida visibile, abbiamo Cristo, come osserva il vescovo di Evchaita. Dovremmo quindi rivolgergli delle domande attraverso la preghiera dal cuore , nella fede sperando che la sua risposta si manifesti nei nostri pensieri e nelle nostre azioni. Altrimenti Satana, non essendo in grado di influenzare le nostre azioni, potrebbe risponderci nei nostri pensieri, fingendo di essere la guida e in questo modo trascinandoci alla perdizione perché manchiamo di pazienza.

Sono coloro che mancano di tale resistenza che nella loro ignoranza si affrettano impetuosamente ad afferrare ciò che non hanno ancora ricevuto, non rendendosi conto che un giorno agli occhi del Signore è come mille anni, e mille anni come un solo giorno (cfr Sal 90,4). Ma chi sopportando pazientemente ha acquisito esperienza delle macchinazioni del diavolo, combatterà e si sforzerà con pazienza per raggiungere la meta, come dice san Paolo (cfr 1 Cor 9,26; Fil 3,12). Potrà dire: “Non ignoriamo le insidie ​​di Satana” (2 Cor 2,11), cioè gli stratagemmi invisibili del diavolo, sconosciuti alla maggior parte degli uomini. Infatti san Paolo dice: “Satana stesso si trasforma in un angelo di luce” (2 Cor 11,14); e non c’è nulla di sorprendente in questo, poiché i pensieri che egli fa apparire nel nostro cuore sembrano pensieri giusti a coloro che non hanno esperienza.

Per questo motivo è bene dire “non lo so”, così da non non credere a ciò che viene detto da un angelo né da dare credito a ciò che avviene attraverso l’inganno del nemico. Accettando così pazientemente qualsiasi cosa accada, possiamo evitare entrambe le insidie. Possiamo aspettare molti anni finché la risposta non ci viene data, non richiesta e non percepita, sotto forma di qualche azione concreta, come qualcuno ha detto riferendosi alla contemplazione degli esseri creati. In questo modo raggiungiamo il rifugio della conoscenza spirituale attiva. Quando vediamo questa conoscenza persistere in noi per molti anni, allora capiremo che siamo stati veramente ascoltati e abbiamo ricevuto invisibilmente la risposta.

Qualcuno prega, ad esempio, per la vittoria su coloro che combattono contro di lui. Non sente nulla e non vede alcun segno ingannevole; o anche se sente o vede qualcosa, sia nel sonno che da sveglio, non gli dà assolutamente credito. Ma dopo un certo periodo di tempo osserva che la battaglia viene vinta dalla grazia di Dio e che certi pensieri stanno attirando il suo intelletto verso l’umiltà e la conoscenza della propria debolezza. Tuttavia non ripone ancora la sua fiducia in questo, temendo che possa essere un inganno, ma aspetta per molti anni. Fu un tale atteggiamento, secondo san Giovanni Giovanni Crisostomo, che Cristo volle indurre negli apostoli: ecco perché li avvertì delle tribolazioni imminenti, aggiungendo: “Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato” (Mt 10,22), in modo che non diventassero negligenti o troppo sicuri di sé, ma lottassero per paura. Infatti, l’uomo non trae alcun beneficio dalle altre virtù, anche se abita in cielo, se è in preda alla presunzione che ha portato alla caduta del diavolo, di Adamo e di molti altri.

Perciò non dovremmo mai abbandonare la paura finché non abbiamo raggiunto il rifugio dell’amore perfetto e non siamo più nel mondo o nel corpo. Anche la persona che ha raggiunto quel rifugio non abbandonerà tale paura di sua spontanea volontà. Piuttosto, in virtù della sua grande fede il suo intelletto è liberato da ogni ansia sulla vita e la morte del corpo, e raggiunge il puro timore che è ispirato dall’amore. Sant’Atanasio il Grande si riferiva a questo timore quando disse ai perfetti di non temere Dio come un tiranno, ma di temerlo a causa del suo amore; cioè, dovrebbero temerlo non semplicemente perché peccano , ma perché sono amati senza che loro stessi mostrino amore, ricevendo così le sue benedizioni indegnamente. È attraverso il timore di fronte a tali benedizioni che Dio conduce l’anima verso l’amore, così che attraverso la sua gratitudine verso di Lui possa diventare degna delle cose buone che le sono state e le saranno concesse. Quindi per mezzo del puro timore ispirato dall’amore l’anima raggiunge l’umiltà che trascende la natura.

Perché non importa quante benedizioni una persona nello stato di pura paura riceva, o quante cose spaventose soffra, non pensa mai per un momento che sia dovuto alla sua forza e comprensione che è in grado di sopportare o prosperare nell’anima e nel corpo. Al contrario, nella sua umiltà ha ricevuto la discriminazione per mezzo della quale si rende conto di essere una creatura di Dio, e che da solo non può fare nulla di buono e non può nemmeno preservare ciò che gli è stato dato per grazia; e che non può né rimuovere la tentazione né sopportarla attraverso il suo coraggio e giudizio. Per mezzo della discriminazione raggiunge così un certo grado di conoscenza spirituale e inizia a vedere tutte le cose con l’occhio dell’intelletto . Ma, ignorando i principi interiori di queste cose, desidera ardentemente il Maestro; tuttavia non riesce a trovarlo, perché è invisibile. Allo stesso tempo non è disposto ad accettare nessun altro perché la sua discriminazione gli dice – sebbene non ci siano chiare prove di ciò – che chiunque altro potrebbe essere un impostore; perciò si ritrova senza parole e, di conseguenza, considera tutto ciò che ha fatto e tutto ciò che gli è stato insegnato come nulla.

Perché vede quanti uomini, a cominciare da Adamo, sono caduti nonostante i loro sforzi e la loro conoscenza; e si rende conto anche che, sebbene ascolti, tuttavia non capisce ciò che è detto nelle Sacre Scritture. Questa conoscenza – la conoscenza che in realtà non sa come dovrebbe sapere – lo porta alle lacrime. È davvero sorprendente che, se un uomo pensa di sapere, non sa ancora nulla (cfr I Cor. 8:2); e che ciò che pensa di avere gli sarà tolto, come dice il Signore (cfr Mt 13:12) – cioè, gli sarà tolto perché pensa di averlo mentre non lo ha. Così l’uomo che riconosce di essere stupido e insensato, ignorante e debole, piange e si lamenta perché pensava di aver ricevuto ciò che ora si rende conto di non avere.

L’umiltà nasce da molte virtù e a sua volta dà vita a cose ancora più perfette. Lo stesso vale per la conoscenza spirituale, il ringraziamento, la preghiera e l’amore, poiché queste virtù sono sempre capaci di aumentare. Ad esempio, una persona diventa umile e si addolora perché è un peccatore. Di conseguenza, inizia a praticare l’autocontrollo e la paziente sopportazione di fronte alle afflizioni cercate e non cercate. Ciò che viene dai demoni lo sopporta attraverso la disciplina ascetica e ciò che viene dagli uomini lo sopporta come prova della sua fede . In questo modo diventa chiaro se ripone la sua fiducia in Dio, o nell’uomo, o nella sua forza e nel suo giudizio. E quando la sua dignità è stata provata dalla sua paziente sopportazione e dal suo affidare tutte le cose a Dio, riceve quella grande fede a cui Cristo si riferì quando disse: “Quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?” (Luca 18:8). Attraverso tale fede ottiene la vittoria sui suoi nemici; e quando ha raggiunto questo obiettivo, allora, attraverso il potere di Dio e attraverso la saggezza che gli è stata concessa, diventa consapevole della propria debolezza e ignoranza.

Come risultato di ciò egli comincia a rendere grazie con un’anima umile, e trema di paura di ricadere nella disobbedienza. A causa di questo puro timore – timore che non è dovuto al fatto che ha peccato – e a causa della gratitudine, della paziente sopportazione e dell’umiltà che gli sono state concesse come risultato della sua conoscenza, egli comincia ad avere speranza che per grazia di Dio otterrà misericordia. Alla luce della sua esperienza delle benedizioni che ha ricevuto, egli vigila e teme di non essere trovato indegno di tali doni da Dio. Quindi riceve maggiore umiltà e preghiera più intensa dal cuore ; e più queste aumentano, insieme alla gratitudine, maggiore è la conoscenza che riceve. Così egli avanza dalla conoscenza alla paura, e dalla paura alla gratitudine, e così ottiene la conoscenza che trascende tutte queste. Di conseguenza, giunge ad amare veramente il suo Benefattore e desidera ardentemente servirlo con gioia, in debito com’è con Dio per la conoscenza che gli è stata concessa.

Subito riceve un ulteriore aumento di conoscenza, e contempla non solo le benedizioni che gli sono state concesse personalmente, ma anche quelle che sono universali. Non essendo in grado di ringraziare adeguatamente per queste, si addolora; e poi, di nuovo meravigliandosi della grazia di Dio, è consolato. A volte piange dolorosamente; a volte, a causa del suo amore, le sue lacrime sono rese più dolci del miele dalla gioia spirituale che deriva dall’ineffabile umiltà. Quando in verità desidera ardentemente che la volontà di Dio sia fatta in ogni cosa e aborrisce ogni onore e conforto; quando si considera inferiore a tutti gli altri uomini e non pensa nemmeno di essere qualcuno, ma si ritiene in debito con Dio e con tutti gli uomini tanto quanto con Dio, allora considererà le prove e le afflizioni come grandi benedizioni, e il godimento e il conforto come estremamente dannosi. Per le prove e le afflizioni desidera con tutta la sua anima, da qualunque parte provengano; Egli teme il piacere e il conforto, anche se potrebbero essere inviati da Dio per metterlo alla prova.

Mentre egli sta sperimentando le lacrime di cui abbiamo parlato, il suo intelletto inizia a raggiungere la purezza e a tornare al suo stato primitivo, cioè allo stato di conoscenza spirituale naturale che ha perso attraverso la sua amicizia con le passioni. Da alcuni questo è chiamato giudizio morale, poiché l’ intelletto ‘vede allora le cose come sono per natura; da altri è chiamato intuizione spirituale, poiché chi la possiede conosce almeno qualcosa dei misteri nascosti – cioè, del proposito di Dio – nelle Sacre Scritture e in ogni cosa creata. Tale conoscenza naturale scaturisce dalla discriminazione e ci consente di percepire i principi interiori delle cose sensibili e intelligibili. Per questo motivo è conosciuta come la contemplazione degli esseri creati, cioè, della creazione di Dio. È naturale e deriva dalla purezza dell’intelletto . Ma se per il bene comune una persona riceve il dono della profezia, ha raggiunto qualcosa che trascende la natura; perché solo Dio conosce in anticipo tutte le cose, così come lo scopo per cui ha creato ogni cosa e ha ispirato ogni parola della Sacra Scrittura; ed è per grazia che Egli concede tale conoscenza ai santi.

Così, la contemplazione della creazione sensibile e intelligibile, a volte chiamata giudizio morale, è anche una forma di intuizione spirituale e di conoscenza spirituale naturale – ‘naturale’ poiché preesiste nella natura. Ma quando le passioni oscurano l’ intelletto , esso è perduto; e a meno che Dio non rimuova le passioni attraverso la nostra pratica delle virtù, l’ intelletto rimane accecato. Il dono della profezia, tuttavia, è di un ordine diverso, poiché trascende la natura ed è concesso solo dalla grazia. Tuttavia, anche la conoscenza spirituale naturale non può essere raggiunta senza Dio, sebbene sia naturale; poiché i pagani Greci percepivano molte cose ma, come ha detto San Basilio il Grande, non erano in grado di discernere lo scopo di Dio negli esseri creati, o persino Dio stesso, poiché mancavano dell’umiltà e della fede di Abramo.

Si dice che una persona ha fede quando, sulla base di ciò che può vedere, crede in ciò che non può vedere. Ma credere in ciò che possiamo vedere delle opere di Dio non è la stessa cosa che credere in Colui che ci insegna e ci proclama la verità. Quindi le prove inviate per mettere alla prova la nostra fede sono visibili, mentre l’assistenza di Dio ci giunge invisibilmente. In questo modo, la persona che nella fede sopporta pazientemente queste prove scoprirà, una volta che sono passate, di aver acquisito conoscenza spirituale, attraverso la quale conosce cose che prima gli erano sconosciute, e che le benedizioni gli sono state concesse. Di conseguenza, ottiene umiltà insieme all’amore sia verso Dio, come suo benefattore, sia verso i suoi simili per la guarigione operata da Dio attraverso di loro. Egli considera questo come qualcosa di “naturale”, e tuttavia come un debito, che lo riempie del desiderio di osservare i comandamenti di Dio. Egli odia le passioni come sue nemiche e si cura poco del corpo, considerandolo un ostacolo al raggiungimento dell’impassibilità e della conoscenza di Dio, cioè della sapienza nascosta (1 Cor 2,7).

Questa sapienza è giustamente chiamata “nascosta”. Se qualcuno cerca successo e piacere, conforto e gloria in questo mondo, allora ama la sapienza di questo mondo. Ma se qualcuno lotta per ciò che è contrario a queste cose – se soffre, pratica l’autocontrollo e sopporta ogni genere di afflizione e disonore per amore del regno dei cieli – allora ama la sapienza di Dio. La prima desidera ardentemente ottenere benefici materiali, apprendimento secolare e potere secolare, e spesso soffre per questo motivo; ma la seconda condivide le sofferenze di Cristo. Così la prima ripone tutte le sue speranze nelle cose di questo mondo, desiderando possederle anche se sono transitorie e difficili da ottenere; mentre la seconda è nascosta “agli occhi degli stolti”, come dice la Sacra Scrittura (Sap. 3:2), ma è chiaramente rivelata nel mondo a venire, quando tutto ciò che è nascosto sarà svelato. Inoltre, secondo san Giovanni Crisostomo la conoscenza di ciò che è nascosto, cioè la contemplazione delle divine Scritture e degli esseri creati, è data come incoraggiamento a coloro che soffrono in questo mondo. Poiché dalla fede nasce la paura, e dalla paura nasce il dolore interiore. Questo a sua volta produce l’umiltà, che dà origine alla discriminazione . La discriminazione , infine, dà origine all’intuizione spirituale e, per grazia di Dio, al dono della profezia.

Lo gnostico non deve in alcun modo basarsi sui propri pensieri, ma deve sempre cercare di confermarli alla luce della Scrittura divina o della natura delle cose stesse. Senza tale conferma, non può esserci vera conoscenza spirituale, ma solo malvagità e illusione , come dice San Basilio il Grande quando parla delle stelle. La Scrittura divina nomina solo poche stelle, mentre i pagani Greci nella loro illusione danno nomi a molte. Perché l’intenzione della Scrittura divina è di parlare di cose che possono salvare l’anima e di rivelarci i misteri che contiene in sé, così come i principi interiori degli esseri creati, cioè lo scopo per cui ogni cosa è stata creata. In questo modo mira a illuminare il nostro intelletto con l’amore di Dio e a consentirgli di percepire la Sua grandezza e la Sua inesprimibile saggezza e provvidenza, come sono rivelate nella Sua cura per la Sua creazione. Tale conoscenza ci rende timorosi di infrangere i Suoi comandamenti e consapevoli della nostra debolezza e ignoranza. Questo a sua volta ci rende umili e ci insegna ad amare Dio e a non disprezzare i Suoi comandamenti, come fanno coloro che non hanno una conoscenza effettiva di Lui. Inoltre, Dio ci trattiene alcuni dei misteri, affinché possiamo desiderarli e non essere rapidamente saziati, come fu Adamo, che il nemico colse di sorpresa e condusse nelle sue vie basse.

Questa, quindi, è la posizione di coloro che hanno acquisito le virtù. Coloro che mancano di conoscenza, d’altra parte. Dio allarma con prove e tentazioni in modo che si astengano dal peccato : allo stesso tempo Egli: li incoraggia elargendo loro benedizioni corporali in modo da preservarli dalla disperazione. Dio nella sua sconfinata bontà fa questo in ogni momento in modo che Egli possa salvare tutti gli uomini e liberarli dalle insidie ​​del diavolo, sia conferendo loro o altrimenti trattenendo da loro i suoi favori e la sua conoscenza. Secondo la gratitudine di ciascuno Egli elargisce i suoi doni e pensieri divini. Similmente, in accordo con la propensione di ogni lettore e con ciò che è a suo vantaggio, Dio nasconde il significato della Sacra Scrittura o permette che sia conosciuto. L’obiettivo degli insegnanti di saggezza secolare era diverso, perché ciascuno era ansioso di sconfiggere l’altro e di apparire più saggio; quindi non scoprirono Cristo, né lo fanno coloro che li emulano, nonostante tutti i loro sforzi. Perché, come dice san Giovanni Klimakos, Dio si rivela non in risposta ai nostri sforzi, ma in risposta all’umiltà e alla semplicità che vengono attraverso la fede , cioè attraverso la contemplazione delle Scritture e degli esseri creati. Per questo motivo il Signore disse: “Come potete avere fede , quando ricevete onore gli uni dagli altri, e non cercate l’onore che viene dall’unico Dio?” (Gv 5,44). Questa è quella grande fede che ci rende possibile mettere tutte le nostre preoccupazioni nelle mani di Dio. L’apostolo la chiama il fondamento (cfr. Eb 6,1), san Giovanni Klimakos, la madre della quiete , e sant’Isacco, la fede della contemplazione e la porta dei misteri. Chi possiede questa fede è completamente libero da preoccupazioni e ansie, come lo erano tutti i santi.

I santi, come gli uomini giusti di un tempo, avevano persino nomi adatti a loro. Il nome di Pietro, che deriva dalla parola greca per “roccia”, indica la sua fermezza; il nome di Paolo, che deriva dalla parola greca per “riposo”, si riferisce al “riposo” che trovò in Cristo; Giacomo è chiamato “il ciarlatano”, perché fece inciampare il diavolo; e Stefano – dalla parola greca per “corona” – è chiamato così per la corona immortale che vinse; Atanasio significa “immortale” in greco; Basilio significa “regno”; Gregorio significa “vigilanza”, perché era vigile nella saggezza e nella teologia ; Giovanni Crisostomo, che significa “bocca d’oro” in greco, è così chiamato per il suo stile ricco e la grazia ammirevole nel parlare; e Isacco significa perdono.

In breve, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, i nomi dati sono appropriati. Così Adamo fu chiamato dai quattro punti cardinali; perché le quattro lettere del suo nome sono le lettere iniziali delle parole greche per Est, Ovest, Nord e Sud. L’uomo, nella lingua siriaca, era indicato dalla parola per ‘fuoco’, a causa della somiglianza della sua natura a quella del fuoco. Perché l’intera umanità discende da un uomo, proprio come da una singola lampada si possono accendere quante più altre si vogliono senza che la prima subisca alcuna perdita. Ma, dopo la confusione delle lingue (cfr. Gen. 11:1-9), in una lingua il nome ‘uomo’ è derivato dalla dimenticanza che l’uomo ha incorso in un’altra dalle sue altre caratteristiche. La lingua greca deriva la sua parola per ‘uomo’ dal fatto che guarda verso l’alto; tuttavia la sua principale qualità naturale è la sua intelligenza: è per questo motivo che è chiamato un essere intelligente , poiché è l’unico ad avere questa qualità. Per quanto riguarda le altre qualità da cui è chiamato, ci sono molti altri esseri creati con cui le condivide.

Perciò dovremmo abbandonare tutte le altre cose e, come esseri intelligenti , aderire all’intelligenza, offrendo con l’intelligenza un culto intelligibile all’Intelligenza divina. Allora saremo trovati degni di ricevere da Lui in questa epoca presente , in cambio di parole umane, le parole divine dello Spirito Santo. Poiché è detto di Dio che Egli “dà la preghiera a chi prega” (1 Sam. 2:9. LXX); e in effetti a chi prega veramente la preghiera del corpo Dio dà la preghiera dell’intelletto ; e a chi coltiva diligentemente la preghiera dell’intelletto , Dio dà la preghiera senza immagini e senza forma che proviene dal puro timore di Lui. Di nuovo, a chi pratica questa preghiera in modo efficace. Dio concede la contemplazione degli esseri creati. Una volta raggiunto questo traguardo, una volta che l’ intelletto si è liberato da tutte le cose e, non accontentandosi di sentire parlare di Dio di seconda mano, si dedica a Lui nell’azione e nel pensiero , Dio permette che venga rapito, conferendogli il dono della vera teologia e le benedizioni dell’era futura .

Così la conoscenza spirituale è buona se riempie di vergogna il suo possessore e lo conduce involontariamente verso l’umiltà, facendogli pensare di possedere tale conoscenza indegnamente; anzi, secondo san Giovanni Klimakos, nella sua umiltà la rifiuta persino come dannosa, per quanto possa essere un dono di Dio. Eppure quanto disastrosa se lo colpisce come colpì quel monaco che fu fatto a pezzi dai rebbi a tre denti dei demoni! Era così grandemente rispettato e amato che tutti piansero la sua morte e la considerarono una grande perdita. Eppure fu vittima di un orgoglio nascosto; e la persona che ci ha parlato di lui udì dall’alto le parole: “Non concedetegli riposo, perché non mi ha dato riposo nemmeno per un momento”. Ahimè, qualcuno che tutti chiamavano santo e attraverso le cui preghiere molti speravano di essere salvati da una moltitudine di prove e tentazioni, giunse a una tale fine perché aveva una così alta opinione di sé. Ed è ovvio che la ragione era il suo orgoglio. Perché se si fosse trattato di un altro peccato , non sarebbe stato in grado di coinvolgere tutti o di commetterlo continuamente. È vero che, se si fosse trattato di eresia, avrebbe continuamente fatto adirare Dio con la sua blasfemia volontaria; ma l’eresia non rimane nascosta per sempre. Attraverso la provvidenza di Dio viene rivelata, così che chi la detiene possa ritrattare, purché lo voglia; se non lo è, allora viene rivelata per salvaguardare le altre persone.

Così è solo l’arroganza compiaciuta di sé che può sfuggire all’attenzione di tutti. Sfugge quasi all’attenzione anche della sua vittima, a meno che non le venga permesso di cadere in tentazioni che mettono alla prova la sua anima e gli permettono di riconoscere la propria debolezza e ignoranza. Così nemmeno per un solo momento lo Spirito Santo ebbe riposo nell’anima sventurata di quel monaco, poiché era sempre preoccupato dal pensiero della propria eccellenza e gioiva di questo pensiero come se fosse un’impresa elevata. Per questo motivo era pieno di tenebre, come lo sono i demoni. Inoltre, per nascondere la sua colpa, nutriva questa sola passione invece di tutte le altre. E questo era sufficiente per i demoni poiché, come dice san Giovanni Klimakos, questa sola passione è capace di prendere il posto degli altri vizi.

Non sto qui registrando qualcosa che ho scoperto con la mia comprensione e discriminazione , ma scrivo ciò che ho imparato dal santo che era il mio padre spirituale. Mi ha anche raccontato di un’occasione in cui Sant’Antonio il Grande ordinò a San Paolo il Semplice di scacciare il demone da una certa ragazza. San Paolo non si prostrò subito e obbedì, ma fece delle obiezioni, chiedendo a Sant’Antonio perché non avesse scacciato lui stesso il demone. Fu solo dopo che Sant’Antonio gli disse che era occupato in altro che San Paolo alla fine obbedì. A causa della procrastinazione di Paolo, disse il mio padre spirituale, il demone non obbedì subito, ma uscì dalla ragazza solo dopo che Paolo ebbe lottato a lungo. Che le cose stiano effettivamente così può essere creduto non solo sulla base della testimonianza del santo anziano, ma anche dalla lavanda dei piedi dei discepoli nella Bibbia (cfr Gv 13,6-8), così come dal racconto della discussione di Mosè con il Signore (cfr Es 4,10), e dalla storia del profeta che chiese a qualcuno di colpirlo (cfr 1 Re 20,35-42). Poiché quest’ultima storia non è suscettibile di un’interpretazione spirituale che non sia stata data altrove, la racconterò qui. Un certo re governava il suo regno in modo così tirannico che Dio, nel Suo amore per l’umanità, non poteva sopportare questa tirannia e comandò al suo profeta di andare a rimproverare quel re. Il profeta, tuttavia, conosceva la crudeltà del re e non voleva semplicemente andare da lui, per paura che, vedendolo da lontano e intuendo il motivo per cui era venuto, il re lo avrebbe scacciato e gli avrebbe impedito di svolgere il suo compito; o per timore che, se gli fosse stata data udienza e avesse cominciato dicendo: “Il mio Dio mi ha mandato qui a causa della tua crudeltà”, il re non avrebbe prestato attenzione a ciò che veniva detto. Invece escogitò un piano per cui sarebbe stato colpito da qualcuno e poi sarebbe andato, coperto di sangue, come se stesse sporgendo denuncia; in questo modo avrebbe ingannato il re e lo avrebbe costretto ad ascoltare ciò che aveva da dire.

Mentre il profeta andava avanti, incontrò un uomo ai bordi della strada che aveva un’ascia e gli disse: “Così dice il Signore, prendi la tua ascia e colpiscimi la testa”. Ma l’altro, essendo un uomo devoto, disse: “Certamente no; sono un uomo di Dio e non metterò mano all’unto del Signore”. Allora il profeta disse: “Così dice il Signore: poiché non hai obbedito alla voce del Signore, lascia che un leone venga dal deserto e ti divori”. Questo non fu fatto per rabbia – Dio non voglia! Accadde per il bene di tutti. Questo uomo giusto non meritava di morire in modo ordinario come gli altri uomini, ma di essere divorato da una bestia selvaggia secondo la parola di Dio e quindi di ricevere una corona di gloria a causa della sua morte amara. Il Gerontikori riporta una storia simile. Quattro sacerdoti fecero un patto e pregarono che, quando si fossero addormentati in Cristo, il loro servo sarebbe stato mangiato da un leone a causa della sua impudicizia. Ma il Signore non li ascoltò e preferì ascoltare l’esicasta che pregava per il servo affinché il leone non lo toccasse.

Per tornare al profeta. Egli trovò poi un altro uomo, che era obbediente, e gli disse: “Così dice il Signore: alza la tua ascia e colpiscimi la testa”. Quest’uomo, quando udì le parole: “Così dice il Signore”, senza esitazione colpì la testa del profeta con la sua ascia, e il profeta gli disse, con parole simili a quelle usate da Mosè quando parlò ai figli di Levi: “La benedizione del Signore sia su di te, perché hai ascoltato la voce del Signore” (cfr Esodo 32:29). Così il primo uomo, nella sua grande devozione, rispettò il profeta e non gli obbedì, come Pietro alla lavanda dei piedi (cfr Giovanni 13:8); mentre l’altro obbedì senza pensarci ulteriormente , come i figli di Levi erano obbedienti a Mosè quando uccisero i loro fratelli (cfr Esodo 32:26-29).

A giudicare dalle apparenze esteriori, chi obbedisce alla volontà di Dio fa la cosa migliore, perché obbedisce al comando soprannaturale del Signore della natura, che considera più saggio e più giusto della conoscenza naturale; mentre chi disobbedisce fa una cosa minore, in quanto considera la propria opinione su ciò che è giusto più giusta della parola di Dio. Ma se guardiamo più in profondità, le cose risultano essere diverse. Ciò che conta è il motivo dietro l’obbedienza o la disobbedienza; e quindi colui il cui motivo è fare la volontà di Dio ha scelto la via migliore. Nel caso presente, a tutte le apparenze Dio sembra essere adirato con l’uomo che è disobbediente e benedire l’uomo che è obbediente. Ma in realtà non è così, come è stato già detto: dal punto di vista della contemplazione naturale entrambi erano ugualmente buoni, poiché il motivo di entrambi era fare la volontà di Dio.

Allora il profeta andò dal re e standogli davanti disse: «Fammi giustizia, re! Perché mentre venivo, qualcuno mi ha incontrato sulla strada e mi ha colpito la testa». E il re, vedendo la ferita e il sangue, si adirò come al solito, ma non con il profeta; e, pensando di condannare qualcun altro, e non se stesso, denunciò con estrema severità l’uomo che aveva ferito il profeta. Allora il profeta, avendo ottenuto ciò che voleva, disse: «Hai parlato bene, re, perché così dice il Signore: Sicuramente strapperò questo regno dalle tue mani e dalla tua discendenza, perché sei tu che hai fatto queste cose». Così il profeta pronunciò il suo messaggio come desiderava, costringendo abilmente il re a prestare attenzione a ciò che diceva. Quindi se ne andò, lodando Dio.

Tali, quindi, erano le anime dei profeti. Amavano Dio e, a causa della loro conoscenza di Dio, erano ansiosi di soffrire per amore della Sua volontà. Ciò è naturale; perché chi ha familiarità con un certo percorso o una certa abilità lo persegue prontamente e facilmente, spiegando con sicurezza agli altri la direzione del percorso o i segreti e i punti più sottili del mestiere; e spesso lo fa anche se è giovane di anni e privo di formazione formale, mentre coloro a cui sta spiegando le cose possono essere avanzati negli anni e saggi in altre questioni. Perché i profeti, gli apostoli e i martiri non hanno acquisito la loro conoscenza di Dio e la loro saggezza di seconda mano, come noi abbiamo acquisito la nostra. Al contrario, hanno versato il loro sangue e hanno ricevuto lo Spirito, esemplificando le parole dei padri: “Versa il tuo sangue e ricevi lo Spirito”. Così i padri subirono il martirio, non in senso esteriore, ma nella loro coscienza: invece di subire la morte fisica si mostrarono disposti a morire, e in questo modo il loro intelletto si dimostrò vittorioso su tutti i desideri terreni e regna in Cristo Gesù nostro Signore. A Lui sia gloria e dominio, onore e adorazione, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen.

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