La Dormizione (“Uspenie”, “Koimesis”) della nostra Santissima Signora Madre di Dio e Sempre Vergine Maria

Festa il 15 (28) agosto

      Dopo l’Ascensione del Signore, la Madre di Dio rimase nelle cure dell’Apostolo Giovanni il Teologo, mentre durante i suoi viaggi visse nella casa dei suoi genitori, vicino al Monte Eleon (il Monte degli Ulivi, o Monte Oliveto). Fu una fonte di consolazione ed edificazione sia per gli Apostoli che per tutti i credenti. Conversando con loro, raccontò loro di eventi miracolosi: l’Annunciazione (Blagoveschenie), la Concezione (Zachatie) senza seme e senza contaminazione di Cristo nato da Lei, della Sua prima infanzia e di tutta la Sua vita terrena. E proprio come gli Apostoli, aiutò a piantare e rafforzare la Chiesa cristiana con la Sua presenza, il Suo discorso e le Sue preghiere. La riverenza degli Apostoli per la Santissima Vergine era straordinaria. Dopo aver ricevuto il Santo Spirito nel giorno straordinario della Pentecoste, gli Apostoli rimasero sostanzialmente a Gerusalemme per circa 10 anni, occupandosi della salvezza degli ebrei e desiderando inoltre vedere la Madre di Dio e ascoltare il Suo santo discorso. Molti dei nuovi illuminati nella fede vennero persino da terre lontane a Gerusalemme, per vedere e ascoltare la Purissima Madre di Dio.
      Durante il periodo della persecuzione, iniziata dal re Erode contro la giovane Chiesa di Cristo (Atti 12,1-3), la Santissima Vergine insieme all’Apostolo Giovanni il Teologo si ritirò nell’anno 43 a Efeso. La predicazione del Vangelo lì era toccata in sorte all’Apostolo Giovanni il Teologo. La Madre di Dio era allo stesso modo a Cipro con San Lazzaro (il Quattro Giorni-Sepolto), dove era vescovo. Era anche sul Sacro Monte Athos, di cui, come dice Santo Stefano Svyatogorets (cioè Santo Stefano del “Sacro Monte”), la Madre di Dio parlò profeticamente: “Questo posto mi sarà assegnato, datomi da Mio Figlio e dal Mio Dio. Sarò la Patrona di questo posto e l’Intercessore presso Dio per esso”.
      Il rispetto degli antichi Cristiani per la Madre di Dio era così grande, che conservarono ciò che potevano della Sua vita, ciò di cui potevano prendere nota riguardo ai Suoi detti e alle Sue azioni, e ci tramandarono persino i riguardi del Suo aspetto esteriore.
      Seguendo la tradizione – basata sulle parole dei sacerdoti martiri Dionigi l’Areopagita (+ 3 ottobre 96), Ignazio il Teoforo (+ 20 dicembre 107) – Sant’Ambrogio di Milano (Comm. 7 dicembre) ebbe modo di scrivere nella sua opera “Sulle vergini” riguardo alla Madre di Dio:

“Era la Vergine non solo di corpo, ma anche di anima, umile di cuore, circospetta nel parlare, saggia nella mente, non eccessivamente dedita al parlare, amante della lettura e del lavoro e prudente nel parlare. La sua regola di vita era: non offendere nessuno, avere buone intenzioni per tutti, rispettare gli anziani, non essere invidiosa degli altri, evitare di vantarsi, essere sana di mente e amare la virtù. Quando mai lanciò un insulto in faccia ai suoi genitori, quando fu in discordia con i suoi parenti? Quando mai si gonfiò arrogantemente davanti a una persona modesta, o rise dei deboli, o evitò gli indigenti?

Con Lei non c’era possibilità di abbagli, di parole sconvenienti, né di condotta impropria: era modesta nei movimenti del corpo, il suo passo era tranquillo e la sua voce schietta; – tale che il suo volto corporeo era un’espressione dell’anima e una personificazione della purezza. Tutti i suoi giorni era preoccupata del digiuno: dormiva solo quando necessario, e anche allora, quando il suo corpo era a riposo, era ancora vigile nello spirito, ripetendo nei suoi sogni ciò che aveva letto, o l’attuazione ponderata delle intenzioni proposte, o quelle pianificate ancora di nuovo. Era fuori casa solo per raggiungere la Chiesa, e solo in compagnia dei parenti. Altrimenti, appariva solo raramente fuori casa in compagnia di altri, ed era la sua migliore sorvegliante; altri potevano proteggerla solo nel corpo, ma Lei stessa custodiva il suo carattere”.

      Secondo la tradizione, quella del compilatore della Storia della Chiesa Nicephoros Kallistos (XIV secolo), la Madre di Dio “era di statura media, o come altri suggeriscono, leggermente più della media; i suoi capelli erano dorati; i suoi occhi erano luminosi con pupille come olive lucide; le sue sopracciglia erano forti e moderatamente scure, il suo naso pronunciato e la sua bocca vibrante che esprimeva un dolce discorso; il suo viso non era né rotondo né angoloso, ma un po’ oblungo; il palmo delle sue mani e le dita erano allungate… Nella conversazione con gli altri conservava il decoro, senza diventare sciocca né agitata, e in effetti non si arrabbiava mai; senza artifici e diretta, non era eccessivamente preoccupata di se stessa, e lungi dal coccolarsi, era decisamente piena di umiltà. Riguardo agli abiti che indossava, era soddisfatta di avere colori naturali, il che è ancora oggi evidenziato dal suo sacro copricapo. Basti dire che una grazia speciale accompagnava tutte le sue azioni”. (Nicephoros Kallistos prese in prestito la sua descrizione dalla “Lettera a Teofilo sulle icone” di Sant’Epifanio di Cipro (+12 maggio 403).
      Le circostanze dell’Addormentarsi o Dormizione della Madre di Dio erano note nella Chiesa Ortodossa fin dai tempi apostolici. Già nel I secolo, il sacerdote martire Dionigi l’Areopagita scrisse della Sua “Dormizione”. Nel II secolo, il racconto dell’Assunzione corporea della Santissima Vergine Maria al Cielo si trova nelle opere di Melitone, vescovo di Sardi. Nel IV secolo, Sant’Epifanio di Cipro fa riferimento alla tradizione dell'”Addormentarsi” della Madre di Dio. Nel V secolo, Sant’Epifanio di Cipro, Patriarca di Gerusalemme, disse alla santa imperatrice bizantina Pulcheria: “Sebbene nella Sacra Scrittura non vi sia alcun resoconto sulle circostanze della Sua fine, sappiamo diversamente dalla tradizione più antica e credibile”. Questa tradizione in dettaglio era raccolta ed esposta nella storia della Chiesa di Niceforo Callisto durante il XIV secolo.

   Al tempo della sua benedetta “Dormizione”, la Santissima Vergine Maria era di nuovo a Gerusalemme. La sua fama di Madre di Dio si era già diffusa in tutta la terra e aveva suscitato contro di Lei molti invidiosi e dispettosi, che volevano attentare alla sua vita; ma Dio la preservò dai nemici.

   Giorno e notte trascorreva in preghiera. La Santissima Madre di Dio andava spesso al Santo Sepolcro del Signore e qui offriva incenso e piegava le ginocchia. Più di una volta i nemici del Salvatore cercarono di impedirle di visitare il suo luogo santo implorando il sommo sacerdote una guardia per la sorveglianza della Tomba del Signore. Ma la Santa Vergine Maria, invisibile a chiunque, continuò a pregare di fronte a loro. In una di queste visite al Golgota, l’Arcangelo Gabriele le apparve davanti e annunciò il suo imminente trasferimento da questa vita alla vita Celeste di beatitudine eterna. In pegno di ciò, l’Arcangelo le affidò un ramo di palma. Con queste notizie Celesti la Madre di Dio tornò a Betlemme con le tre ragazze che la assistevano (Sepphora, Evigea e Zoila). Quindi, convocò il Giusto Giuseppe di Arimatea e altri discepoli del Signore e raccontò loro del suo imminente Riposo (Uspenie). La Santissima Vergine pregò anche che il Signore facesse venire da Lei l’Apostolo Giovanni. E il Santo Spirito lo trasportò da Efeso, ponendolo proprio accanto a quel luogo, dove giaceva la Madre di Dio. Dopo la preghiera, la Santissima Vergine offrì incenso e Giovanni udì una voce dal Cielo che chiudeva la sua preghiera con la parola “Amen”. La Madre di Dio notò che questa voce accompagnava il rapido arrivo degli Apostoli e dei Discepoli e delle sante Potenze incorporee. I Discepoli, il cui numero allora era impossibile da contare, si radunarono insieme, – dice San Giovanni Damasceno, – come nuvole e aquile, per ascoltare la Madre di Dio. Nel vedersi l’un l’altro, i Discepoli si rallegrarono, ma nella loro confusione si chiedevano l’un l’altro perché il Signore li avesse riuniti insieme in un unico luogo. San Giovanni il Teologo, salutandoli con lacrime di gioia, disse che per la Madre di Dio era iniziato il tempo del riposo del Signore. Entrati dalla Madre di Dio, la videro augustamente distesa sul lettuccio e piena di felicità spirituale. I discepoli la salutarono, e poi raccontarono di essere stati miracolosamente trasportati dai loro luoghi di predicazione. La Santissima Vergine Maria glorificò Dio, in quanto aveva ascoltato la sua preghiera e adempiuto il desiderio del suo cuore, e cominciò a parlare della sua fine imminente. Durante il tempo di questa conversazione anche l’apostolo Paolo apparve in modo miracoloso insieme ai suoi discepoli: Dionigi l’Areopagita, il meraviglioso Ieroteo e Timoteo e altri tra i Settanta Discepoli. Il Santo Spirito li aveva radunati tutti insieme, in modo che potessero essere degni della benedizione della Purissima Vergine Maria e tanto più opportunamente per provvedere alla sepoltura della Madre del Signore. Ognuno di loro Ella lo chiamò per nome, li benedisse e li esaltò nella loro fede e nelle loro difficoltà nella predicazione del Vangelo di Cristo, e a ciascuno augurò la beatitudine eterna e pregò con loro per la pace e il benessere del mondo intero.

      Seguì la terza ora, quando doveva verificarsi l’Uspenie-Riposo della Madre di Dio. Una moltitudine di candele ardeva. I santi Discepoli con canti circondavano il letto della malattia felicemente adornato e su di esso giaceva la Purissima Vergine e Madre di Dio. Pregava in previsione della sua dipartita e dell’arrivo del suo desiderato Figlio e Signore. Improvvisamente la Luce inesprimibile della Gloria Divina brillò, di fronte alla quale le candele ardenti impallidivano al confronto. Tutti coloro che videro si spaventarono. Seduto in cima, come immerso nei raggi della Luce indescrivibile, c’era Cristo, il Re della Gloria stesso disceso, circondato da schiere di Angeli e Arcangeli e altre Potenze Celesti, insieme alle anime degli antenati e dei profeti, che in precedenza avevano predetto della Santissima Vergine Maria. Vedendo il Figlio, la Madre di Dio esclamò: “L’anima mia magnifica il mio Signore, e il mio spirito esulta in Dio, mio ​​Salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua ancella” – e, alzandosi dal letto per incontrare il Signore, si inchinò a Lui. E il Signore le ordinò di entrare nelle dimore della Vita Eterna. Senza alcuna sofferenza fisica, come in un sonno felice, la Santissima Vergine Maria abbandonò la sua anima nelle mani del suo Figlio e Dio.

      Poi iniziò un gioioso canto angelico. Accompagnando l’anima pura della promessa sposa di Dio e con riverente timore per la Regina del Cielo, gli Angeli esclamarono: “Salve, o Piena di Grazia, il Signore è con Te, benedetta sei Tu fra le donne! Perché ecco, è la Regina, la Fanciulla di Dio che viene, solleva le porte e con l’Eterno-Esistente sollevate la Madre della Luce; perché da Lei è giunta la salvezza a tutta la razza umana. Su di Lei è impossibile guardare e a Lei è impossibile rendere il dovuto onore” (verso dello Stikherion su “Signore, ho gridato”). Le porte celesti furono sollevate e incontrando l’anima della Santissima Madre di Dio, i Cherubini e i Serafini con gioia La glorificarono. Il volto aggraziato della Madre di Dio era raggiante della gloria della verginità divina e dal Suo corpo trasudava fragranza.

      Miracolosa fu la vita della Vergine Purissima, e meraviglioso fu il Suo Riposo, come canta la Santa Chiesa: “In Te, o Regina, il Dio di tutti ha compiuto un miracolo, che trascende le leggi della natura. Proprio come nel parto Egli ha preservato la Tua verginità, così anche nella tomba Egli ha preservato il Tuo corpo dalla decomposizione” (Canone 1, Ode 6, Tropario 1). Dando un bacio al corpo purissimo con riverenza e timore, i Discepoli a loro volta ne furono benedetti e colmati di grazia e gioia spirituale. Attraverso la grande glorificazione della Santissima Madre di Dio, l’onnipotente potere di Dio guarì i malati, che con fede e amore toccarono il sacro giaciglio. Piangendo la loro separazione sulla terra dalla Madre di Dio, gli Apostoli si accinsero a seppellire il Suo corpo purissimo. I santi Apostoli Pietro, Paolo, Giacomo e altri dei 12 Apostoli portarono la bara funebre sulle loro spalle e su di essa giaceva il corpo della sempre Vergine Maria. San Giovanni il Teologo andava in testa con lo splendente ramo di palma del Paradiso e gli altri santi e una moltitudine di fedeli accompagnavano la bara funebre con candele e turiboli, cantando canti sacri. Questa solenne processione andava dal quartiere di Sion attraverso tutta Gerusalemme fino al Giardino del Getsemani.

      Con l’inizio della processione, all’improvviso apparve sul corpo purissimo della Madre di Dio e su tutti coloro che la accompagnavano una vasta e splendente nuvola circolare, come una corona, e al coro degli Apostoli si unì il coro degli Angeli. Si udì il canto delle Potenze Celesti, che glorificavano la Madre di Dio, che riecheggiava quello delle voci mondane. Questo cerchio di cantori e di splendore Celesti si muoveva nell’aria e accompagnava la processione fino al luogo stesso della sepoltura. Gli abitanti increduli di Gerusalemme, sorpresi dalla straordinaria grandiosa processione funebre e irritati dagli onori accordati alla Madre di Gesù, denunciarono ciò ai sommi sacerdoti e agli scribi. Ardenti di invidia e di vendetta verso tutto ciò che ricordava loro Cristo, mandarono i loro servi a interrompere la processione e a dare alle fiamme il corpo della Madre di Dio. Una folla inferocita e soldati si mossero contro i cristiani, ma la corona eterea, che accompagnava la processione nell’aria, si abbassò a terra e come un muro la recintò. Gli inseguitori udirono i passi e il canto, ma non riuscirono a vedere nessuno di coloro che accompagnavano la processione. E in effetti molti di loro furono colpiti dalla cecità. Il sacerdote ebreo Aftonia, per dispetto e odio verso la Madre di Gesù di Nazareth, voleva rovesciare la bara funebre, su cui giaceva il corpo della Santissima Vergine Maria, ma un Angelo di Dio gli tagliò invisibilmente le mani, che avevano toccato la bara. Vedendo tale prodigio, Aftonia si pentì e con fede confessò la maestà della Madre di Dio. Ricevette la guarigione e si unì alla folla che accompagnava il corpo della Madre di Dio, e divenne uno zelante seguace di Cristo. Quando la processione raggiunse il Giardino del Getsemani, allora tra il pianto e il lamento iniziò l’ultimo bacio al corpo completamente puro. Solo verso sera gli Apostoli riuscirono a metterlo nella tomba e a sigillare l’ingresso della grotta con una grande pietra. Per tre giorni non lasciarono il luogo di sepoltura, durante questo periodo pregarono e salmodiarono incessantemente. Per la saggia provvidenza di Dio, l’Apostolo Tommaso era destinato a non essere presente alla sepoltura della Madre di Dio. Arrivato tardi il terzo giorno al Getsemani, si sdraiò nella grotta sepolcrale e con lacrime amare espresse ad alta voce il suo desiderio, che gli fosse concessa un’ultima benedizione della Madre di Dio e che potesse avere un ultimo addio con Lei. Gli Apostoli, per sincera pietà nei suoi confronti, decisero di aprire la tomba e di concedergli il conforto di venerare i resti santi della Sempre Vergine Maria. Ma dopo aver aperto la tomba, vi trovarono solo i teli della tomba e furono così convinti dell’ascesa corporea o assunzione della Santissima Vergine Maria al Cielo.

      La sera dello stesso giorno, quando gli Apostoli si erano riuniti in una casa per rifocillarsi con il cibo, la Madre di Dio stessa apparve loro e disse: “Rallegratevi! Io sono con voi – per tutta la lunghezza dei giorni”. Ciò rallegrò così tanto gli Apostoli e tutti coloro che erano con loro, che presero una porzione del pane, messa da parte durante il pasto in memoria del Salvatore (“la porzione del Signore”), ed esclamarono anche: “Santissima Madre di Dio, aiutaci”. (Questo segna l’inizio del rito di offerta di una “Panagia” (“Tutta Santa”) – l’usanza di offrire durante i pasti una porzione di pane in onore della Madre di Dio, che anche al giorno d’oggi viene fatta nei monasteri).
      La fascia della Madre di Dio e il suo abito sacro, – conservati con riverenza e distribuiti sulla faccia della terra a pezzi – sia in passato che nel presente hanno operato miracoli. Le sue numerose icone ovunque escono con effusioni di segni e guarigioni, e il suo corpo santo – assunto in cielo, testimonia del nostro futuro modo di vivere in esso. Il suo corpo non fu lasciato alle casuali vicissitudini del mondo transitorio, ma fu ancor più incomparabilmente esaltato dalla sua gloriosa ascesa al cielo.

      La festa della Dormizione della Santissima Madre di Dio è celebrata con speciale solennità nel Getsemani, nel luogo della sua sepoltura. In nessun altro luogo c’è un tale dolore del cuore per la separazione dalla Madre di Dio e in nessun altro luogo un tale sollevamento, persuaso della sua intercessione per il mondo.

      La città santa di Gerusalemme è separata dal Monte degli Ulivi dalla valle di Cedron su Giosafat. Ai piedi del Monte degli Ulivi è situato il Giardino del Getsemani, dove gli ulivi danno frutto ancora oggi.

      Il santo Antenato di Dio Gioacchino si fece seppellire all’età di 80 anni, alcuni anni dopo l’Ingresso (“Vvedenie vo Khram”) della Santissima Vergine Maria nel Tempio di Gerusalemme (Comm. 21 novembre). Sant’Anna, rimasta vedova, si trasferì da Nazareth a Gerusalemme e visse vicino al Tempio. A Gerusalemme acquistò due proprietà: la prima alle porte del Getsemani e la seconda nella valle di Giosafat. Nel secondo luogo costruì una cripta per il riposo dei membri della sua famiglia e dove anche lei stessa fu sepolta con Gioacchino. E fu lì nel Giardino del Getsemani che il Salvatore spesso pregava con i suoi discepoli.

      Il corpo purissimo della Madre di Dio fu sepolto nel cimitero di famiglia. Con la sua sepoltura i cristiani onorarono anche con riverenza il sepolcro della Madre di Dio e costruirono in questo luogo una Chiesa. All’interno della Chiesa era conservato il prezioso lenzuolo funebre che avvolgeva il suo corpo purissimo e profumato.
      Il santo Patriarca di Gerusalemme Giovenale (420-458) attestò davanti all’imperatore Marciano (450-457) l’autenticità della tradizione sull’assunzione miracolosa della Madre di Dio al cielo, e inviò anche all’imperatrice, Santa Pulcheria (+ 453, Comm. 10 settembre), i teli funebri della Madre di Dio, che aveva preso dalla sua tomba. Santa Pulcheria poi pose questi teli funebri all’interno della Chiesa di Blakhernae.
      Si sono conservate testimonianze che alla fine del VII secolo una Chiesa sopraelevata era situata in cima alla Chiesa sotterranea della Dormizione della Santissima Madre di Dio e che dal suo alto campanile si poteva vedere la cupola della Chiesa della Resurrezione del Signore. Tracce di questa Chiesa non si vedono più. E nel IX secolo vicino alla Chiesa sotterranea del Getsemani fu costruito un monastero, in cui più di 30 monaci praticavano l’ascesi.

      Una grande distruzione colpì la Chiesa nell’anno 1009 dal saccheggiatore dei luoghi santi, Hakim. Cambiamenti radicali, le cui tracce rimangono al giorno d’oggi, si verificarono anche sotto i crociati nell’anno 1130. Durante i secoli XI-XII scomparve da Gerusalemme il pezzo di pietra scavata, su cui il Salvatore aveva pregato la notte del Suo tradimento. Questo pezzo di pietra del VI secolo era stato situato all’interno della basilica del Getsemani.
      Ma nonostante la distruzione e i cambiamenti, la pianta cruciforme originale della Chiesa è stata preservata. All’ingresso della Chiesa lungo i lati dei cancelli di ferro si trovano quattro colonne di marmo. Per entrare nella chiesa, è necessario scendere una scalinata di 48 gradini. Al 23° gradino sul lato destro c’è una cappella in onore dei santi Antenati di Dio Gioacchino e Anna insieme alle loro tombe, e sul lato sinistro opposto – la cappella del Giusto Giuseppe, il Promesso Sposo, con la sua tomba. La cappella sul lato destro appartiene alla Chiesa Ortodossa, e quella sul lato sinistro – alla Chiesa Armeno-Gregoriana (dal 1814).

      




“La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione”: THE ORTHODOX WORD – 1965 – Vol. 1, No. 1, p. 21

THE ORTHODOX WORD

1965 – Vol. 1, No. 1

Gennaio – Febbraio

Pubblicato con la benedizione di sua eminenza John Maximovich, Arcivescovo dell’America Occidentale e San Francisco, Chiesa Ortodossa Russa Fuori dalla Russia.

Editori: Eugine Rose, M.A, & Gleg Podmoshensky, B. Th.

Pagina 21-31

Illustrazione della prima pagina del n.1 della rivista, Nuova Cattedrale Ortodossa Russa in San Francisco (non completata).

“La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione”

                             “D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata” (Luca 1,48)

                                                                                                                                      

Nessun aspetto della pratica ortodossa è maggiormente radicato e più saldamente stabilito come quello della venerazione delle icone. Una delle feste più importanti dell’anno liturgico, quella del Trionfo dell’Ortodossia che si celebra la prima domenica del Grande Digiuno di Quaresima, fu istituita a seguito della restaurazione delle immagini dopo il periodo iconoclasta. È doveroso ricordare, a questo proposito, come l’opera più degna di nota del Settimo Concilio Ecumenico fu quella di giustificare, teologicamente, la venerazione delle icone. Ciononostante, ancora oggi continuano ad esistere molte idee sbagliate sulla venerazione delle icone. In particolar modo, esse si riscontrano tra i non ortodossi e, in ragione di ciò, è doveroso spendere alcune parole su questo tema, prima di dedicare la nostra attenzione all’icona della Santissima Madre di Dio.

L’accusa più grave, ma anche la più comune, scagliata contro la venerazione ortodossa delle icone, è che questa pratica possa essere etichettata come “idolatria” (analogamente alla venerazione delle reliquie dei Santi, con la quale è intimamente legata) e che, come tale, possa essere una perversione spirituale, portando il cristianesimo ad una deriva materialista.

Una tale visione non è nient’altro che il risultato di una idea sbagliata del cristianesimo, in quanto affonda le sue radici in un’incapacità di comprendere a fondo la Rivelazione Cristiana.

Il fondamento della venerazione delle icone va ricercato nell’Incarnazione del Figlio di Dio, che è la fonte stessa della fede cristiana.

Il kontákion che cantiamo la Domenica del Trionfo dell’Ortodossia indica proprio questo:

L’incircoscrivibile Verbo del Padre, incarnandosi da te, Theotokos, è stato circoscritto, e, riportata all’antica forma l’immagine deturpata, l’ha fusa con la Divina Bellezza…”

Proprio perché Dio ha preso la forma umana, riportando così questa forma alla sua originaria somiglianza con Sé, che noi veneriamo le immagini di Nostro Signore, della Sua Santissima Madre, dei Santi, nei quali l’Immagine Divina è stata restaurata.

La venerazione delle icone è una diretta conseguenza dell’Incarnazione, così ci istruisce sul significato della Incarnazione stessa.

La salvezza è arrivata nel mondo; Dio ci ha fornito i mezzi conformi al nostro umile stato per poter tornare a Lui.

La sapienza della Chiesa è stata evidente nella sua insistenza sulla disciplina del corpo e dell’anima; la nostra religione non è una di quelle fatte di idee e di astrazioni, ma di pratica e di lavoro duro.

Il corpo, che a causa della sua debolezza molte volte può sviarci dalle nostre intenzioni nobili e migliori, deve essere anch’esso corretto e istruito al fine di piacere a Dio e non a sé stesso.

Questa è una delle motivazioni dei nostri digiuni, delle nostre prostrazioni, del nostro segno della croce e della venerazione delle icone e delle reliquie.

Questi sono alcuni principi che stanno a fondamento della venerazione delle icone, e la pratica ortodossa è in perfetto accordo con essi. Nessun ortodosso credente si è mai reso colpevole di idolatria, o di confondere una tavola di legno per Dio; neppure c’è mai stata confusione sul significato della venerazione per la Theotokos e per i Santi.

Come dice San Giovanni Damasceno: “Noi adoriamo ciò che è rappresentato e non la materia; allo stesso modo non veneriamo la materia con la quale sono costruiti i Vangeli o la Croce, ma ciò che essi rappresentano”.

Riguardo alla Theotokos, lo stesso Santo continua: “l’onore che Le tributiamo è legato a Colui che da Lei si è incarnato”; e riguardo ai Santi: “l’onore dato al migliore dei propri compagni di servizio è una prova di amore nei confronti del Signore comune[1]

Ogni icona ortodossa che è stata correttamente benedetta diviene un mezzo di grazia; oltre a questo viene riservato un posto particolare a quelle icone che sono diventate note a causa di loro miracoli.

La maggior parte delle icone miracolose sono della Madre di Dio e, per questo, vi è una ragione particolare. Poiché Lei è il “vaso” scelto per l’Incarnazione del Signore, occupa, comprensibilmente, un posto importante nel culto cristiano.

Come indica il kontákion della Domenica dell’Ortodossia, è grazie alla nascita della TuttaPura che il Dio senza forma ha potuto assumere una forma atta ad essere rappresentata. Questi elementi teologici sono confermati nell’esperienza ortodossa, in quanto è stata la Theotokos ad aver aiutato e protetto il popolo ortodosso, mostrando la sua misericordia in momenti critici per individui e intere comunità cristiane. In particolare, attraverso miracoli operati in connessione con le sue sante immagini.

I miracoli che ci accingiamo a descrivere in questo e nei seguenti numeri di “Orthodox Word” possono risultare francamente incredibili a molti non ortodossi e, senza ombra di dubbio, saremo criticati nel nostro accettarli in modo semplice.

C’è, però, una ragione per la nostra semplicità.

Noi, indegni come siamo e vivendo in questo modo nella meno cristiana di tutte le epoche, abbiamo visto molti miracoli; pertanto, avendo assistito con i nostri occhi, non abbiamo motivo di mettere in dubbio ciò che viene raccontato dai Santi Padri, i quali sono vissuti prima di noi.

Durante i nostri giorni alcune icone sono diventate, per miracolo, più luminose, come nuove, oppure hanno versato alcune lacrime e, in loro presenza, si sono verificate guarigioni.

Senza dubbio nessuno che abbia visto lacrime scendere lungo le guance della Theotokos, in una delle icone piangenti dei nostri giorni, e abbia conosciuto il sincero pentimento al quale tutto ciò porta, può sinceramente dubitare che i miracoli accadano e che abbiano uno speciale significato per noi.

Il continuo verificarsi di questi miracoli, tra di noi, è un segno tangibile della presenza del Santo Spirito nella Chiesa Ortodossa.

Lo scetticismo e la critica aperta che contraddistinguono l’atteggiamento di molti non ortodossi nei confronti dei miracoli, i quali si concludono nel tentativo di spiegarli, è dovuto, molto probabilmente, alla mancanza di esperienza.

Questo poiché, al di fuori della Chiesa Ortodossa, i miracoli sono diventati così rari e inusuali da sembrare strani e fenomenali. Per i cristiani ortodossi i miracoli sono divenuti, se non comuni, quantomeno qualcosa di familiare e comprensibile; essi sono una parte importante della normale vita spirituale del credente devoto.

L’abbondanza della Grazia divina che si è manifestata attraverso l’intercessione della Santissima Theotokos ha dato origine ad una molteplicità di icone-tipo, ognuna della quali rappresenta un esempio o un aspetto del Suo aiuto e della Sua protezione all’umanità peccatrice.

Questi tipi di icone traggono il nome dal luogo della loro rivelazione o dai miracoli (come, ad esempio, le icone di Vladimir e di Kazan), o da frasi, di norma tratte da un Inno Akathistos[2] o da altri servizi in onore della Theotokos, le quali descrivono la funzione o il significato di una particolare icona (l’icona che verrà descritta in seguito sarà “La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione”). Le varie icone sono distinte da dettagli come la posizione del Bambino, l’inclinazione della testa, la direzione dello sguardo della Madre e del Bambino, i gesti delle mani. Per di più, oltre a questi tipi-base, vi sono copie che differiscono dall’originale solo per dettagli minuti; queste copie divengono, sovente, conosciute come miracolose a pieno titolo.

Considerando tutto ciò complessivamente, possiamo affermare che lo studio delle icone della Theotokos diventa una scienza in sé. Una scienza, se si può dire, della Grazia di Dio.

Il nostro scopo sarà quello di dare, in questi brevi articoli, un’introduzione a questa scienza, ponendo enfasi sulla storia e sul significato pratico di ciascuna icona.    

L’origine dell’icona della Theotokos conosciuta con questo nome è incerta.

Non è possibile sapere se essa, così come molte altre icone russe, derivi da un prototipo bizantino; in ogni caso era già conosciuta nella Russia di Kiev.

Quella che, almeno apparentemente, era l’icona più antica di questo tipo si trovava nei pressi del Monastero della Grotte a Kiev (Kyevo Pečers’ka Lavra), precisamente nella Chiesa dell’ospedale che fu fondata nel 1106 da San Nikola Svyatosha (il Santo), pronipote di Yaroslav il Saggio. È probabile che la suddetta icona sia stata posta lì dallo stesso santo.

Secondo una antica tradizione, questa icona fu protagonista di guarigioni miracolose in tempi antichi. Si narra che un guardiano, per un certo periodo di tempo, vide una signora entrare più volte in un ospedale durante le ore notturne. Lo stesso guardiano notò che, dopo ogni visita della signora, alcuni pazienti venivano guariti. Rimasto sorpreso da questi fatti, il guardiano domandò ai pazienti chi fosse la signora in questione; questi risposero che la signora era una persona a loro sconosciuta e che, chiestole il nome, ella avrebbe risposto loro: “Io sono la gioia di coloro che sono nell’afflizione”.

Così una notte il guardiano seguì la signora in una delle sue visite, presso la cella di un monaco morente. Giunto presso la cella, il guardiano notò che sul muro, sopra il letto del monaco malato, vi era l’icona della Theotokos e così capì la vera identità della signora. Questo monaco fu poi guarito come gli altri malati.

Altre icone miracolose “La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione” esistevano prima del XVIII secolo e questo nome divenne come un polo di attrazione per tutti coloro che soffrivano di ogni genere di malattia o di afflizione.

Successivamente all’anno 1522, una delle più antiche icone di questo tipo si trovava nella città di Vologda e occupava un posto importante in ogni processione della comunità cristiana ortodossa del posto.

Un’altra icona a Tsarkoe Selo era nota per recare guarigione ai malati mentali; una ulteriore si trovava a Pskov per la guarigione di coloro che avevano patologie oculari; una a Tver per aiuti miracolosi portati durante una epidemia di colera; una a Tobolsk per la protezione dei pescatori e dei mercanti. A Perm vi si trovava un monastero dedicato all’icona.

La principale festa dell’icona, che si celebra il 24 ottobre, fu istituita nel 1648 in occasione di una guarigione miracolosa approntata da una icona di Mosca. Una sorella del Patriarca di Mosca Ioakim, di nome Evfimia, ebbe una ferita piuttosto profonda al costato. Nonostante fosse in attesa della morte, rimase salda nella speranza di un aiuto da Dio e, grazie alle sue preghiere ferventi alla Theotokos, sentì una voce dirle:

Evfimia, perché non ti rivolgi, nel tuo stato di sofferenza, a Colei che guarisce tutto?”

Ma dove posso trovare un guaritore di questo tipo?

La mia immagine si trova nella Chiesa della Trasfigurazione di Mio Figlio, essa è chiamataLa gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione” …chiama un sacerdote di questa Chiesa con l’immagine e dopo che avrà celebrato un Moleben[3] con la benedizione dell’acqua, tu troverai la salute. E successivamente non dimenticare la Mia misericordia nei tuoi confronti, confessala per la gloria del Mio nome”.

Tutto questo venne fatto come da indicazione della voce che Evfimia udì, e lei venne effettivamente guarita il 24 ottobre, data in cui questa icona ha iniziato ad essere commemorata da allora.

Recentemente, la notorietà dell’icona “La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione” è dovuta ai miracoli compiuti da un’altra icona situata vicino San Pietroburgo, in una cappella non distante ad una fabbrica di vetro. Il 23 luglio 1888, durante un temporale, un fulmine cadde sulla cappella, bruciando tutto ciò che conteneva. Molte icone andarono perdute, ad eccezione dell’icona “La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione”. A causa del disastro l’icona scivolò a terra e il volto della Theotokos, che era diventato scuro a causa del fumo e della fuliggine, divenne improvvisamente pieno di luce. Vicino all’icona vi era una cassetta per le elemosine la quale, rompendosi, fece cadere dodici piccole monete. Queste si attaccarono in qualche modo al volto dell’icona della Madre di Dio e nelle copie successive di questa icona sono sempre raffigurate. La notizia della miracolosa preservazione dell’icona e del suo rinnovamento si diffuse in tutta la capitale tanto che, fin dalle prime luci dell’alba del giorno successivo, la cappella bruciata fu circondata da molte persone stupefatte dalla manifesta misericordia Divina.

Al mezzogiorno fu poi celebrato un Moleben dinanzi all’icona e, mentre la notizia si diffondeva in tutta la Russia, un numero sempre crescente di visitatori si recò a pregare sul luogo, dove si verificarono numerose guarigioni. L’imperatore Alessandro III, dopo aver venerato l’icona miracolosa, donò una parte di terreno per poter erigere una Chiesa in pietra ad essa dedicata. Questa Chiesa fu consacrata nel 1898. L’icona è commemorata dalla Chiesa nella data del suo rinnovamento, il 23 luglio.

I vari tipi dell’icona “la gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione” hanno in comune alcune caratteristiche di base. La Theotokos è sempre raffigurata interamente, alcune volte con il Bambino tra le braccia, altre volte senza. Sotto la Sua figura si trovano persone afflitte da vari dolori e malattie che domandano il Suo aiuto. Oltre a queste caratteristiche comuni, i vari tipi prevedono una varietà nella rappresentazione dei dettagli che non si trova in altre icone della Theotokos.

Questo si può spiegare, in parte, a causa della complessità dell’icona stessa; ma, come vedremo tra poco, tutto ciò è dovuto principalmente alle diverse interpretazioni di un identico soggetto.

La stupenda icona raffigurata nella pagina seguente si trova nella Cattedrale di San Francisco, la quale è dedicata proprio a “La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione”. Questa icona è eseguita in uno stile perfettamente tradizionale e fa ampio uso del linguaggio simbolico dell’iconografia esprimendo, così, il pieno significato dell’icona con una grande economia di mezzi.

La Theotokos è qui rappresentata, come anche nell’icona di San Pietroburgo, senza il Bambino e con le braccia aperte come nella celebre icona della Protezione (Pokrov). Nella mano destra, la Theotokos, tiene uno scettro che rappresenta la sovranità; questo oggetto è rappresentato solo in poche altre icone, in particolare in quella della “Theotokos Regnante”[4].

Altre icone de “La gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione” non presentano lo scettro, ma esprimono lo stesso significato tramite l’uso di una corona posta sopra la testa della Madre di Dio. Il significato è chiaro: Ella è la Regina del cielo, intronizzata nella gloria. Il cielo è qui rappresentato non da nuvole naturalistiche come si possono trovare in alcuni versioni moderne, bensì dallo sfondo dorato e da un’altra caratteristica, probabilmente la più sorprendente: i fiori.

Questi non sono fiori terreni, sono i fiori di un mondo diverso, di una creazione totalmente nuova: sono i fiori del Paradiso. Anche in un dettaglio come questo, l’iconografia sacra innalza la nostra mente al di sopra delle cose di questo mondo e ci regala un’anticipazione della realtà del Regno dei Cieli.

La Theotokos, sebbene in Paradiso, continua ad essere vicina agli uomini: il simbolismo dell’iconografia permette di esprimere questi due eventi in modo simultaneo. Anziché essere lontana dal mondo, sopra le nuvole, Lei si trova in mezzo ad esso, immediatamente accessibile a coloro che La cercano.

Viene così manifestato che la Porta del Paradiso è vicina e in alcuni momenti – come nel caso dei miracoli operati per l’intercessione della Theotokos – gli uomini sono davvero toccati dalla grazia Divina e intravedono, anche solo per un momento, il Paradiso stesso. Da entrambe le parti le persone sofferenti fanno appello alla misericordia della Theotokos.

I testi scritti con caratteri slavi sugli stendardi sono le richieste di diversi gruppi di afflitti affinché Lei sia il loro sostegno per la vecchiaia, il vestito e il calore per quanti sono nudi, la guarigione di quanti sono nella malattia, la gioia dei tristi, l’intercessione degli offesi, il nutrimento di quanti hanno fame, la compagna dei viaggiatori.

A queste, come ad altre richieste, la Theotokos risponde inviando angeli per donare conforto e guarigione. Lei stessa, con la mano sinistra, accorda il nutrimento celeste in risposta alla petizione: “sfamaci con il pane della Tua misericordia”.

Nella parte alta dell’icona possiamo vedere il sole, a sinistra, e la luna, a destra. Questo motivo appare alcune volte nelle icone della Crocifissione, ma raramente in quelle della Theotokos. Qui sta a simboleggiare, probabilmente, l’universalità della Sua sovranità e il potere della Sua intercessione.

Nella parte centrale, sempre in alto, si trova il Salvatore che ha il ruolo di Pantocratore, Sovrano di tutto: Colui al Quale la Theotokos deve la Sua sovranità.

L’origine e la storia di questa icona sono, purtroppo, quasi del tutto avvolte nel mistero. Molto probabilmente rimase in Unione Sovietica fin dopo la Seconda Guerra Mondiale, da qui, in qualche modo, fu trasferita a Parigi. Qui, durante una mostra, fu acquistata da un americano, finendo per trovare la strada per San Francisco. In un negozio di antiquariato fu acquistata da alcuni membri della parrocchia e donata alla chiesa cattedrale. Dai segni presenti sull’icona è possibile capire che essa è stata racchiusa per molto tempo in una riza di metallo, come molte altre icone di valore. Fu poi spogliata della riza quando ancora era in Unione Sovietica.

Essa è ovviamente piuttosto antica; fatto affermato da esperti che hanno potuto esaminarla a San Francisco. Una stima ragionevole della sua data la collocherebbe probabilmente nel XVI o XVII secolo. Da quanto detto, oltreché dalla finezza dell’icona stessa, si può supporre che essa fosse una delle immagini più note nella Russia prerivoluzionaria. Purtroppo, non siamo in grado di fare affermazioni ulteriori.

La cattedrale di San Francisco, dedicata a questa icona, può essere considerata un esempio vivente del suo significato. Fondata nel 1927 da un gruppo di fedeli appartenenti alla Chiesa Ortodossa Russa fuori dalla Russia, i quali desideravano di rimanere nel Sinodo canonico e rifiutavano lo scisma della Metropolia americana, essa iniziò la sua esistenza nel dolore e nelle difficoltà in quanto unica parrocchia fedele in America.

Da quel momento in poi ha vissuto intensamente ogni sofferenza del popolo russo in esilio, così come altre macchinazioni escogitate dal diavolo per la divisione dei fedeli.

Attraverso tutte le sue prove è rimasta fedele alla Chiesa Ortodossa Russa canonica all’estero. Dio ha ricompensato questa fedeltà con una moltitudine di gioie spirituali, tra le quali anche la costruzione della nuova e magnifica cattedrale, rappresentata su questo numero di “The Orthodox Word”, la quale è diventata la più grande parrocchia della Chiesa Ortodossa Russa fuori dalla Russia. Questa si erge come testimonianza della continuità ininterrotta della fede ortodossa piantata, per la prima volta nel Nuovo Mondo, da Padre Herman dell’Alaska.

L’esperienza di questa parrocchia si ripete nella vita di ogni cristiano ortodosso che comprende, attraverso la propria esistenza, le parole del nostro Salvatore: “Voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia” (Giovanni 16,20).

Questa vita ci è stata data come prova, e nella prova c’è senza dubbio dolore e tribolazione, ma lo scopo della vita umana è la gioia che attende coloro che superano questa prova.

Questa gioia la possiamo sperimentare già in questa vita tramite le tribolazioni, se queste sono affrontate con fede cristiana e con l’ausilio della grazia Divina donataci nei sacramenti e per l’intercessione della Theotokos e dei Santi. Questo è, per noi, un’anticipazione della gioia senza fine che ci attende nella vita dopo la morte.

Il Signore della vita fu crocifisso e sepolto, ma risuscitò dalla morte e aprì a tutti le porte della vita eterna. “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!” (Giovanni 16,33).

Nella Resurrezione del nostro Salvatore si trova la garanzia della nostra eterna gioia; e nell’intercessione della Sua Santissima Madre abbiamo il mezzo più sicuro per avvicinarci, al di fuori dei sacramenti stessi, a questa gioia imperitura.

Lei è un ricorso sempre pronto durante le nostre prove, una misericordiosa donatrice di benedizioni e di gioia anche quando la speranza sembra terminata. Possa il tropario della Sua icona essere la nostra preghiera:

Gioia di tutti coloro che sono nell’afflizione affrettati, ti preghiamo, e salva i Tuoi servi”.

Eugene Rose


[1] Sulla Fede Ortodossa, IV, 6.

[2] Nota di redazione Teandrico non presente nell’articolo originale:  «Akathistos» si chiama per antonomasia quell’inno liturgico della Chiesa bizantina del secolo V dedicato alla Theotokos, che divenne poi modello di molte altre composizioni liturgiche antiche e recenti. «Aka­thistos» non è il titolo originario, ma una nota rubrivcale: «non seduti», perché tradizionalmente si canta «stando in piedi», manifestando così una particolare importanza e devozione come accade quando ascolta il Vangelo o si recita il Padre nostro.

[3] Nota di redazione Teandrico non presente nell’articolo originale:  Un moleben (slavo ecclesiastico, in greco paraklisis), è un servizio di preghiera di supplica in onore di nostro Signore Gesù Cristo, della Theotokos o di un Santo o di un Martire. È un servizio di tradizione slava ma che si richiama al servizio della Paraklisis. Un moleben è solitamente celebrato da un sacerdote ordinato, ma anche un laico può fare un moleben, sebbene in un’altra forma.

[4] Per un resoconto in inglese di questa icona, vedi Orthodox Life (publ. da Holy Trinity Monastery, Jordanville, New York), 1963, n. 4.