San Giovanni Damasceno: L’incarnazione del Verbo
di San Giovanni Damasceno
Pertanto l’uomo soggiacque all’invidia del diavolo: infatti il demonio invidioso e odiatore del bene, caduto in basso a causa della sua ribellione, non sopportava che noi ottenessimo i beni di sopra, e perciò egli il mentitore adescò il misero con la speranza della divinità; e avendolo innalzato all’altezza della sua sollevazione, lo menò giù verso l’abisso di caduta simile al suo.
Dunque in questo modo l’uomo era stato abbindolato dall’assalto dell’iniziatore del male e non aveva custodito il comando del Creatore, si era denudato della grazia, si era spogliato della confidenza in Dio, si era rivestito della scabrosità di una vita miserevole (questo indicano infatti le foglie di fico), si era cinto della condizione di morte, ossia della mortalità e della grossezza della carne (infatti questo indica il vestimento delle pelli morte), era stato bandito dal paradiso secondo il giusto giudizio di Dio, era stato condannato alla morte ed era stato assoggettato alla corruzione. Ma il Compassionevole, che gli aveva dato l’essere e gli aveva donato il ben-essere, non lo trascurò e anzi in un primo tempo lo ammaestrò e lo chiamò alla conversione in molti modi: con il gemito e il tremore, con il diluvio dell’acqua e la quasi totale rovina di tutta la stirpe, con la confusione e la divisione delle lingue, con la tutela degli angeli e con l’incendio delle città, con teofanie attraverso figure, con guerre, con vittorie, con sconfitte, con segni e con portenti, con varie potenze, con la legge, con i profeti. E attraverso queste cose lo scopo era la rimozione del peccato – che si era diffuso in molti modi, aveva asservito l’uomo e aveva ammassato sulla vita ogni specie di malvagità – e il ritorno dell’uomo al ben-essere.
D’altra parte, poiché a causa del peccato la morte era entrata nel mondo rovinando la vita umana come un animale selvaggio e feroce, di conseguenza era necessario che colui che si accingeva a riscattarla fosse senza peccato e non soggetto alla morte a causa di esso.
Ma anche era necessario che la natura fosse rinforzata e rinnovata e che con l’esempio concreto fosse indicata e insegnata la strada della vita, che allontana dalla corruzione e conduce alla vita eterna: e perciò infine fu mostrato il grande mare dell’amore per l’uomo. Infatti lo stesso Creatore e Signore assume su di sé la lotta per la creatura da lui plasmata e diventa maestro con i fatti; e poiché il nemico inganna l’uomo con la speranza della divinità, ora viene ingannato con il dispiegamento della carne e contemporaneamente è mostrata la bontà, la sapienza, la giustizia e la potenza di Dio. È mostrata la bontà, perché egli non trascurò la debolezza della sua propria creatura, ma ebbe compassione di essa che era caduta e le stese la mano. È mostrata la giustizia, perché – dopo che l’uomo era stato sconfitto – egli non fece che un altro vincesse il tiranno, e non strappò l’uomo alla morte con la violenza, ma egli, il Buono e il Giusto, rese di nuovo vincitore colui che la morte aveva prima asservito attraverso il peccato, e salvò – cosa impossibile – il simile con il simile. Ed è mostrata la sapienza, poiché trovò la più conveniente soluzione dell’impossibilità: infatti con il beneplacito di Dio Padre il Figlio unigenito Verbo di Dio e Dio, che è nel seno di Dio Padre, consustanziale al Padre e al Santo Spirito, precedente al tempo, senza principio, che era in principio ed era presso Dio Padre ed era Dio, pur sussistendo nella forma di Dio abbassò i cieli e discese: e cioè, abbassando senza abbassamento la sua inabbassabile altezza, discende presso i suoi servi con una discesa indicibile e incomprensibile (infatti la sua discesa mostra proprio questo) e, pur essendo Dio perfetto, diventa uomo perfetto e compie la cosa più nuova di tutte le cose nuove, l’unica cosa nuova sotto il sole, attraverso cui si manifesta l’infinita potenza di Dio. Infatti che cosa può essere più grande del fatto che Dio diventa uomo? Senza mutamento il Verbo si fece carne dallo Spirito Santo e dalla santa semprevergine Maria Madre di Dio: e diventa mediatore fra Dio e gli uomini, non per volontà, o per desiderio o per congiunzione di un uomo, e neanche per una generazione compiuta col piacere, essendo stato concepito nel seno immacolato della Vergine per opera dello Spirito Santo e secondo la prima nascita di Adamo. E si fa obbediente al Padre per sanare la nostra disobbedienza con l’aggiunta di ciò che è simile a noi e proviene da noi, essendo diventato per noi modello dell’obbedienza senza cui non è possibile ottenere la salvezza. Infatti l’angelo del Signore fu mandato alla santa Vergine, discendente dalla tribù di Davide: «È noto infatti che il Signore nostro è germogliato da Giuda», «e di questa tribù nessuno si accostò all’altare», come dice il divino Apostolo (e intorno a ciò diremo poi più accuratamente). E portando a lei l’annunzio disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». Ella fu turbata dal discorso, e l’angelo disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio, e genererai un figlio e lo chiamerai Gesù. Infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Perciò anche il nome «Gesù» significa «salvatore». E poiché ella dubitava: «Come ciò mi avverrà? Poiché non conosco uomo», l’angelo di nuovo le disse: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su di te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà da te sarà santo e chiamato Figlio di Dio». Ed ella a lui: «Ecco la serva del Signore: avvenga a me secondo la tua parola».
Quindi, dopo il consenso della santa Vergine lo Spirito Santo venne su di lei secondo la parola del Signore che l’angelo aveva proferito, purificandola, fornendole una facoltà ricevitrice della divinità del Verbo e, insieme, anche generatrice. E allora la Sapienza e la Potenza in sé sussistente di Dio Altissimo, il Figlio di Dio consustanziale al Padre, stese la sua ombra su di lei, a guisa di seme divino, e dal sangue casto e purissimo di lei si costituì una carne animata da un’anima razionale e intelligente, primizia della nostra massa: non mediante un seme ma per creazione per mezzo del Santo Spirito, e non completandosi la forma per aggiunte poco alla volta ma essendosi compiuta in una sola volta. Lo stesso Verbo di Dio fece da ipostasi alla carne: infatti il Verbo di Dio non si unì a una carne precedentemente sussistente per se stessa ma, avendo preso dimora nel seno della santa Vergine senza esserne circoscritto, fece sussistere nella sua propria ipostasi dal sangue casto della semprevergine una carne animata da un’anima razionale e intelligente, e assunse la primizia della nostra massa, egli stesso il Verbo diventando ipostasi per la carne. Cosicché questa contemporaneamente fu carne e contemporaneamente carne di Dio Verbo, contemporaneamente carne animata, razionale e intelligente e contemporaneamente carne animata, razionale e intelligente di Dio Verbo.
Perciò noi non diciamo un uomo diventato Dio, ma un Dio diventato uomo. Infatti Colui che per natura era Dio completo, il medesimo diventò uomo completo, non essendosi mutato nella sua natura né avendo realizzato illusoriamente il suo piano, ma essendosi unito secondo l’ipostasi alla carne che egli aveva assunto dalla santa Vergine – animata di ragione e di intelligenza e avente in lui il suo essere: senza confusione, senza cambiamento e senza divisione, senza mutare la natura della sua divinità nella sostanza della carne oppure la sostanza della sua carne nella natura della sua divinità, e anche senza costituire una sola natura composta insieme dalla sua natura divina e dalla natura umana che egli aveva assunto.
Delle due nature
In realtà, le nature si unirono l’una con l’altra senza mutamento e senza alterazione, senza che la natura divina si allontanasse dalla sua propria semplicità e senza che la natura umana si mutasse in quella della divinità o indietreggiasse alla non-esistenza, e senza che dalle due nascesse una sola natura composta. Infatti la natura composta non può risultare consustanziale né all’una né all’altra fra quelle da cui essa è stata costituita, perché da cose diverse ne sorge un’altra diversa: come, ad es., il corpo – che è composto dai quattro elementi – non può essere detto consustanziale al fuoco né è chiamato fuoco, e neanche è detto aria, o acqua, o terra, e non è consustanziale ad alcuna di queste. E quindi se, conformemente agli eretici, dopo l’unione il Cristo fosse risultato di una sola natura composta, di conseguenza si sarebbe mutato da natura semplice in natura composta, e non sarebbe più consustanziale al Padre – che è di natura semplice – e neanche a sua madre (giacché questa non è composta da divinità e umanità): inoltre non sarebbe nella divinità e neanche nell’umanità, e non sarebbe chiamato né Dio né uomo ma soltanto Cristo: e la parola «Cristo» non sarebbe nome della persona ma dell’unica natura conforme alla loro opinione. Invece noi insegniamo che il Cristo non è di una sola natura composta e non è derivante da cose diverse che diventano un’altra cosa – come dall’anima e dal corpo l’uomo, oppure come il corpo dai quattro elementi –, ma è derivante da cose diverse le medesime: infatti proclamiamo che, composto dalla divinità
dall’umanità, egli il medesimo è ed è detto Dio perfetto e uomo perfetto, da due e in due nature. Diciamo il nome «Cristo» come proprio dell’ipostasi, ma non lo diciamo unilateralmente bensì come significante delle due nature. Infatti egli stesso unse se stesso: come Dio, ungendo il corpo con la sua divinità, ma essendo unto in quanto uomo: infatti egli è questo e quello. E l’unzione dell’umanità fu la divinità. Infatti se il Cristo fosse consustanziale al Padre essendo di una sola natura composta, allora anche il Padre sarebbe composto, e consustanziale alla carne: il che è assurdo e colmo di ogni bestemmia. D’altra parte, come una sola natura sarebbe capace di accogliere opposte differenze essenziali? Come è possibile che una stessa natura sia nel medesimo tempo creata e increata, mortale e immortale, circoscritta e incircoscritta? Inoltre se – affermando Cristo di una sola natura – la dicono semplice, allora o lo riconoscono soltanto Dio, e introducono la sua in-umanizzazione come un’illusione, oppure lo riconoscono semplice uomo, conformemente a Nestorio. E dove starebbe «ciò che è perfetto in divinità» e «ciò che è perfetto in umanità»? E se dicono che dopo l’unione il Cristo è di una sola natura composta, in quale momento diranno che egli è di due nature? Infatti è chiaro a chiunque che prima dell’unione Cristo sarebbe stato di una sola natura. In effetti questo è ciò che produce l’errore agli eretici, e cioè il dire che la natura e l’ipostasi sono la medesima cosa. Poiché noi diciamo che una è la natura degli uomini, bisogna sapere che noi non lo diciamo pensando alla definizione dell’anima e del corpo: infatti sarebbe impossibile dire che l’anima e il corpo, confrontati fra loro, sono di un’unica natura. Ma poiché le ipostasi degli uomini – che sono moltissime – ricevono tutte la medesima definizione della natura (infatti esse sono composte tutte di anima e di corpo, e tutte partecipano della natura dell’anima e posseggono la sostanza del corpo), diciamo una sola natura per la comune specie delle moltissime e differenti ipostasi, mentre è chiaro che a sua volta ogni ipostasi porta con sé due nature e si compie in due nature, cioè quella dell’anima e quella del corpo. Invece, in riguardo a nostro Signore Gesù Cristo non è possibile pensare a una specie comune. Infatti non ci fu, né c’è, né mai ci sarà un altro Cristo di divinità e di umanità, egli che è il medesimo, Dio perfetto e uomo perfetto in divinità e in umanità. E quindi non è possibile dire una sola natura in riguardo al Signore nostro Gesù Cristo. Perciò diciamo che l’unione è avvenuta da due nature perfette, quella divina e quella umana: non per impastamento, o per confusione, o per mescolanza, come dissero Dioscoro scacciato da Dio, Eutiche, Severo e la loro empia compagnia; e neanche facciale, oppure relativa, o per dignità, o per identità di volontà, o per uguaglianza di onore, o per omonimia, o secondo il beneplacito, come dissero Nestorio odioso a Dio, Teodoro di Mopsuestia e la loro diabolica adunanza; ma invece per composizione e cioè secondo l’ipostasi, senza mutamenti, senza confusione, senza divisione e senza separazione. E confessiamo una sola ipostasi dell’incarnato Figlio di Dio in due nature che sono perfette, dicendo la medesima ipostasi della sua divinità e della sua umanità e proclamando che le due nature sono conservate in lui dopo l’unione: non ponendole ciascuna per sé e a parte, ma unite fra loro in una sola ipostasi composta. Infatti diciamo essenziale l’unione, e cioè vera e non per apparenza; e inoltre «essenziale» non come se le due nature compissero una sola natura composta, ma perché esse sono unite veramente tra di loro nell’unica ipostasi composta del Figlio di Dio. E anche definiamo che
la loro differenza essenziale è conservata integra: infatti ciò che era stato creato rimase creato e l’increato rimase increato, il mortale rimase mortale e l’immortale rimase immortale, il circoscritto rimase circoscritto e l’incircoscritto rimase incircoscritto, il visibile rimase visibile e l’invisibile rimase invisibile: «l’uno risplende con i miracoli, l’altro soccombe alle violenze». Il Verbo si appropria le cose umane (infatti è suo tutto ciò che è della sua santa carne) e partecipa alla carne ciò che è suo proprio, secondo il principio dello scambio – attraverso la compenetrazione delle parti fra di loro e attraverso l’unione secondo l’ipostasi – e proprio perché era uno e il medesimo Colui che «operava» le cose divine e le cose umane «in ciascuna forma secondo la comunanza reciproca». Perciò anche il Signore della gloria è detto essere stato crocifisso, benché la sua natura non soffrisse, e il Figlio dell’uomo è confessato essere nel cielo prima della passione, come disse proprio il Signore. Infatti era uno e il medesimo il Signore della gloria e colui che per natura e realmente nacque «Figlio dell’uomo», e cioè uomo: e noi riconosciamo i miracoli e le sofferenze, anche se secondo un operava miracoli e secondo l’altro egli il medesimo sottostava alle sofferenze. Infatti sappiamo che, come una sola è la sua ipostasi, d’altra parte è anche conservata integra la differenza essenziale delle nature. E come si conserverebbe integra la differenza, se non si conservassero integre le cose che hanno la differenza fra loro? Infatti la differenza è
differenza di cose che differiscono. E quindi seguendo il principio essenziale per il quale le nature del Cristo differiscono fra loro – e cioè il principio relativo alla sostanza – noi diciamo che egli partecipa con gli estremi: secondo la divinità, con il Padre e con lo Spirito; secondo l’umanità con la madre e con tutti gli uomini: giacché il medesimo è consustanziale secondo la divinità con il Padre e con lo Spirito, e secondo l’umanità con la madre e con tutti gli uomini. Ma d’altra parte, seguendo il principio per il quale le sue nature si uniscono noi diciamo che egli differisce sia dal Padre e dallo Spirito, sia dalla madre e dagli altri uomini: infatti le sue nature si uniscono per l’ipostasi, avendo esse un’unica ipostasi composta, secondo la quale egli differisce sia dal Padre e dallo Spirito sia dalla madre e da noi.
San Giovanni Damasceno, la Fede Ortodossa, Libro III, cap. I-II-III