Quella del Natale è l’altra lunga quaresima cui la Santa Madre Chiesa invita i suoi figli. Un periodo di preparazione, di distacco dalle cose del mondo, di conversione per l’accoglienza del Teantropo. Mai come oggi, nella nostra società secolarizzata, dove interessa solo il godimento individuale e l’appagamento egocentrico, è necessario fare esperienza della nostra finitezza per comprendere che c’è altro oltre noi stessi e dentro di noi. Da sempre la spiritualità ortodossa si basa sull’entrare in sé stessi, placare i tumulti della mente per purificare il nous e pacificare il cuore. La preghiera ed il digiuno sono certamente i mezzi, mai i fini, per diradare la nebbia e raffinare la mente per permettere l’ingresso della luce divina. Come in un lago increspato dal vento, come in una pozzanghera fangosa non è possibile vedere in trasparenza il fondo, così non è possibile ‘incontrare’ il nostro Dio unitrino se non spazzando via i nostri pensieri di vanagloria e le nostre pulsioni mondane. Preparandoci alla nascita storica del Signore nostro Gesù Cristo in un ameno rifugio in Betlemme, ci prepariamo ad accoglierlo nei nostri cuori purificati. Di seguito il lettore troverà uno scritto del Santo Paisio Velichkovsky che descrive il corretto modo di digiunare in questo tempo quaresimalesecondo i Santi Padri.
di San Paisio Velichkovsky(1722-1794)
“Chiamo digiuno il mangiare un po’ una volta al giorno. Alzarsi da tavola quando si è ancora affamati, prendere il cibo, il pane, il sale e l’acqua da bere, che le sorgenti stesse producono. Ecco il modo regale di ricevere il cibo; in effetti molti sono stati salvati per questo cammino, così ci hanno detto i Santi Padri. Astenersi dal cibo per un giorno, o due giorni, tre, quattro, cinque o una settimana, un uomo non può farlo sempre. Ma siccome ogni giorno si mangia pane e si beve, si può sempre fare così; solo che, dopo aver mangiato, si deve avere un po’ di fame affinché il corpo sia sottomesso allo spirito per capace di fatiche e sensibile ai movimenti mentali, e così che le passioni corporee siano vinte. Il digiuno completo non può mortificare le passioni corporee così come il cibo povero le mortifica. Alcuni digiunano per un po’ e poi si dedicano a cibi deliziosi, perché molti cominciano a digiunare oltre le loro forze e anche altri che fanno lavori pesanti e poi si indeboliscono per la mancanza di misura e l’irregolarità di questo lavoro e quindi cercano cibi gustosi e riposo per il rafforzamento del corpo. Agire così significa costruire e poi ancora distruggere, poiché il corpo per la magrezza dovuta al digiuno brama i dolci e cerca consolazione e i cibi dolci accendono le passioni. Ma se qualcuno si stabilisce una misura precisa di quanto cibo mangiare in un giorno, ne trarrà un grande profitto. Tuttavia, per quanto riguarda la quantità del cibo, bisogna stabilire come regola che sia tanto quanto è necessario per rafforzarsi. Una persona del genere può compiere ogni tipo di lavoro spirituale. Ma se qualcuno digiuna oltre questo limite, in un altro momento si consegnerà al riposo. Il lavoro ascetico secondo misura non ha prezzo. Infatti anche alcuni dei grandi Padri prendevano il cibo con misura e ogni cosa usavano a suo tempo, avendo in tutto misura: fatiche ascetiche, bisogni corporali, possedimenti in cella: tutto secondo una regola determinata e moderata. Pertanto i Santi Padri non comandano di cominciare a digiunare al di sopra delle proprie possibilità e di indebolirsi. Prendi come regola il mangiare tutti i giorni; quindi ci si può astenere in modo più deciso, ma se si digiuna più di così, come si potrà poi astenersi dal mangiare a sazietà e dal mangiare troppo? In nessun modo si potrà farlo. Un inizio così smisurato deriva o dalla vanagloria o da mancanza di comprensione, mentre la continenza è una delle virtù, che aiuta a sottomettere la carne. La fame e la sete sono date all’uomo per la purificazione del corpo, dalla preservazione dai pensieri impuri e dalle passioni lussuriose. Mangiare poco ogni giorno è un mezzo per raggiungere la perfezione, come hanno detto alcuni, e chi mangia ogni giorno ad un’ora determinata non si abbassa in alcun modo moralmente né subisce alcun danno all’anima. San Teodoro Studita loda queste persone nella sua istruzione del venerdì della prima settimana del Grande Digiuno, dove a conferma delle sue parole cita i santi Padri teofori e il Signore stesso. Così dobbiamo agire anche noi.
Il Signore sopportò un lungo digiuno, come fecero Mosè ed Elia, ma solo una volta. E alcuni altri talvolta, supplicando qualcosa al Creatore, si imponevano un certo tempo di digiuno, ma secondo le leggi naturali e l’insegnamento della Divina Scrittura. Dall’attività dei Santi, dalla vita del nostro Salvatore, e dalle regole di coloro che hanno vissuto nel buon ordine, risulta evidente che è splendido e proficuo essere sempre pronti e trovarsi nel lavoro ascetico, nel lavoro e nella resistenza; non indebolirsi però con digiuni smodati e non portare il corpo in uno stato di inattività. Se la carne è infiammata per la giovinezza, bisogna astenersi molto; ma se uno è infermo, bisogna prenderne molto o poco a secondo dalla sua condizione. Guarda e giudica in base alla tua infermità quanto puoi fare. Per ognuno c’è una misura e il maestro interiore è la coscienza; non tutti possono avere la stessa regola e la stessa fatica ascetica, perché alcuni sono forti e altri sono deboli. Alcuni sono come il ferro, altri come il rame, altri ancora come la cera. E così, trovando correttamente la propria misura, prendete il cibo una volta al giorno, esclusi il sabato, la domenica e le grandi feste del Signore. Un digiuno moderato e sensato è il fondamento e il capo di tutte le virtù. Si dovrebbe combattere il male come si combatte un leone e un serpente feroce, nell’infermità del corpo e nella povertà spirituale. Chi desidera che la sua mente sia salda contro i pensieri contaminanti dovrebbe affinare il suo corpo attraverso il digiuno.
Non è possibile, senza il digiuno, servire come sacerdote. Come è indispensabile respirare, lo è anche digiunare. Il digiuno, una volta entrato nell’anima, uccide nel profondo il peccato che vi risiede.
Dalla Piccola Filocalia Russa, vol. IV: San Paisius Velichkovsky, St. Herman Press, Platina,1994, p. 74-75.
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Monaco Charalambos del Monte Athos
Monaco Charalambos Kapsaliotis (1914 -1998)
Lo abbiamo incontrato a Karyes. Sempre curvo, povero, a fabbricare corde per rosari; per questo lo chiamavano Anziano Charalambos “il fabbricante di komboskini“. Sempre di buon umore, con un sorrisetto nascosto e dicendo costantementela preghiera di Gesù.
Nacque a Vourla, in Asia Minore nel 1914. Arrivò al Monte Athos nel 1937. Tornò nel mondo, dove prese parte alla guerra contro gli invasori tedeschi. In una battaglia sopravvisse miracolosamente. Ecco come lo racconta: “Una volta ci trovammo su una collina dove i tedeschi spararono. Quelli che erano lì sulla collina furono tutti uccisi tranne gli ultimi sei. Le persone cadevano e stavo cercando di determinare se avevo le braccia, il petto o mi mancava qualcosa. La terra mi ha coperto e così non mi hanno sparato, perché avevo la santa croce addosso e ho creduto. I soldati che se ne sono accorti mi hanno afferrato i vestiti. Solo loro si salvarono. Tutti gli altri furono uccisi sulla collina.” Nel mondo continuò a vivere come un monaco.
Nel 1943 venne definitivamente al Monte Athos. Divenne monaco in una capanna dell’eremo di Agios Panteleimon Koutloumousios e fu chiamato Charalambos da Basilios. Non lasciò il Monte Athos finché non si addormentò. Era un monaco carino. Ha vissuto principalmente a Karyes e Kapsala. “Continuava a dire la preghiera in un sussurro. “Quando diciamo la preghiera, disse, non siamo soli. Abbiamo sempre con noi Cristo, la Vergine Maria e tutti i santi, purché diciam la preghiera.” D’inverno, diceva, “il Signore mi scalda”. Viveva in una capanna improvvisata. Disse: “Se non credessi in Cristo, potrei rintanarmi qui?”
Fu spesso disturbato e combattuto dai demoni, ma combatté anche contro di loro, come dice il santo Giovanni Climaco: “Nel nome di Gesù tormentava i nemici!”. Vide anche angeli luminosi e il suo cuore era pieno di gioia indicibile. Aveva un amore speciale per la Panagia. Con particolare gioia continuava a recitare i suoi canoni. La sua pietà era grande. Adorava Cristo e lo invocava costantemente. Diceva: “Bisogna accontentarsi di Cristo, poi vengono lacrime dolci e così si desidera con gioia e speranza, ma ancora una volta non si deve confidare in se stessi ma nella misericordia di Cristo”. Parlare con lui portava pace e gioia. Non diceva mai cose inutili e banali.
La Vergine Maria e i Santi, invocati con fervore, più volte lo salvarono da diversi pericoli. Alle persone che venivano dal mondo e che gli chiedevano una parola benefica, gli bastava dire: “Allontanatevi dal male e fate il bene”. Era altruista, indulgente, paziente e gentile.
Un monaco che lo conobbe da vicino dice di lui: “Era un po’ rustico, sciatto e distaccato. Spesso veniva trovato mezzo disteso a terra mentre intrecciava un rosario. Quando gli parlavi, rispondeva bruscamente e poi, con la sua voce lunga e pesante, diceva “Signore Gesù Cristo”, senza smettere di intrecciare un rosario e guardando in basso. Quando si rese conto che ormai le malattie si era accumulate, chiese protezione al monastero di Stavronikita. Nel 1995 si recò al monastero con tutti i suoi averi, che consistevano in tre lastre di cera purissima e un sacco di filo per i komboskini. Per tutto il tempo trascorso nel monastero fu quasi costretto a letto. I padri che lo servivano potevano solo sentire buone parole dalla sua bocca. Con la sua voce pesante e strascicata continuava a ripetere la preghiera di Gesù. Raccontato i sui bei sogni, le visioni e le apparizioni di demoni e angeli. Non era affatto esigente. Benediceva coloro che lo servivano con un caloroso ringraziamento per la loro cura nei suoi confronti. Da anni portava una grande croce. Soffriva molto di una grossa ernia ed era quindi costretto a letto. Ecco perché quando lo si incontrava era sempre disteso a terra.
Si addormentò nel Signore il 18/2/1998 nel sonno beato dei giusti, lasciando un esempio di semplicità e determinazione. Fu sepolto nel cimitero del monastero di Stavronikita.
Fonte: Monaco Mousseos Agioreitou, Mega Gerontiko, vol. 3, Mygdonia ed. p. 1461-1467.
“Pregate per tutti, tranne che per i nemici di Dio, cioè gli eretici. Per loro è bene dire: Se vuoi. Signore, illuminali”.
“A coloro che non credono, non dico parole spirituali profonde, per evitare che soffrano molto. “Chi ascolta e non fa, soffrirà molto”.
Il vecchio Charalambos viveva in modo semplice, ascetico, con la preghiera e il canto in bocca. Era pacifico e dava ottimi consigli, pratici e spirituali. Mentre faceva tutto questo, le sue mani non smettevano mai di sferruzzare i grani del rosario. Aveva imparato a sferruzzare anche di notte, senza luce.
Quando soggiornava a San Charalambos a Karyes, l’acqua gocciolava sul suo letto quando pioveva. Mise delle tavole sotto il soffitto e sopra il montante del letto e un nylon in modo che l’acqua scorresse accanto ad esso.
Diceva: “Il monaco dovrebbe camminare a quattro zampe a causa del digiuno”.
Un giovane andò a comprare un komboskini dal vecchio Charalambos. Egli gli chiese: “Lo vuoi per tua sorella?”. In effetti lo voleva per sua sorella. Aggiunse: “Nella nappa metterò del filo rosso, che è il colore della verginità, perché diventerà suora”. E in effetti dopo qualche anno si fece suora.
Dio dice: “Distruggerò tutti gli operatori di iniquità”. Ma i santi cadono (si inginocchiano) e dicono: ‘Anche noi siamo peccatori, perdonaci. Nostro Signore!’ Così Dio ferma la sua ira”.
“Pronunciare la preghiera allontana la tentazione. Allora Satana è indebolito. La preghiera lo distrugge. Il nemico ci combatte quando Dio lo permette. E finché vivremo, finché le nostre anime non partiranno, anche noi lo combatteremo. Poi, quando lo avremo sconfitto e non avremo fatto la sua volontà, Dio ci porterà alla sua destra nel suo regno”.
Grande aiuto abbiamo: “Signore Gesù Cristo, abbi misericordia di me”. La preghiera è tutto: salvezza dell’anima e salute del corpo, illuminazione e ringraziamento. Bisogna dire la preghiera”.
“Dio vuole l’umiltà. Non importa quante virtù abbiamo e se ci chiedono consigli sulla vita spirituale, dobbiamo dire che siamo servi malvagi. Se dici: “Sono bravo nella vita spirituale”, hai dimenticato tutto. È orgoglio.
“Per la salvezza delle nostre anime dobbiamo compiere la legge di Dio, andare alla nostra Chiesa, perdonare al nostro prossimo per quello che ci ha fatto. Quindi, tutto sta nelle buone opere e nella fede. Non disperiamo. Oh, la disperazione è il diavolo”.
“Nel nome di Gesù, le falangi di demoni sono schiacciate. Nel nome di Gesù, alla seconda venuta, ogni carne sarà spezzata. E alcuni ingannatori dicono: “Che cosa adoriamo nel nome?”. L’apostolo Paolo intende dire che adoriamo Cristo, non il nome. Cristo non è separato dal suo nome, è lo stesso. Nel Suo nome gli Apostoli hanno compiuto miracoli”.
“Un giorno stavo facendo delle piccole cose qui, sono caduto e mi sono fatto male a una gamba. Era giorno, mi ero appena alzato e vedo qualcuno che mi sorride. “Cosa ci fai qui?”, dico, ma lui non parla. “Chi sei?”, gli chiedo di nuovo, e proprio mentre stavo per alzare la mano per toccarlo, è scomparso. “Cane stercorario”, dico al diavolo, “sei stato tu a buttarmi a terra?”. “L’ho visto come una bestia, come un ragno, con gli occhi, non con i sogni, e ho pregato Dio di rendermi saldo nella fede”.
“Lasciamo il teologico, diciamo il pratico. Una volta ho visto in una veglia a Kutlumusi il Santo del giorno vestito con i paramenti diaconali per tre volte uscire dal santuario e sparire. Dopo la comunione, ho aspettato di vedere il diacono fare l’abluzione, ma non l’ho visto. Ho chiesto e mi è stato detto che non c’era nessun diacono”.
ARCIVESCOVO JOHN MAXIMOVITCH: Il declino del Patriarcato di Costantinopoli
dell’Arcivescovo JOHN MAXIMOVITCH
Introduzione del traduttore
La carriera e le affermazioni anti-Ortodosse del defunto Patriarca Atenagora di triste memoria sono state così eclatanti che forse hanno contribuito a oscurare il fatto che l’apostasia di quest’uomo è stata solo il culmine di un lungo e profondo processo di allontanamento dalla Fede ortodossa di un’intera Chiesa ortodossa locale. La promessa del nuovo Patriarca Demetrios di “seguire le orme del nostro grande Predecessore … nel perseguire l’unità cristiana” e di istituire “dialoghi” con l’Islam e con altre religioni non cristiane, riconoscendo “il benedetto e santo Papa di Roma Paolo VI, primo tra i pari all’interno della Chiesa universale”. (Discorso di Intronizzazione) – non fa che confermare questa constatazione e rivela gli abissi in cui la Chiesa di Costantinopoli è caduta ai nostri giorni.
Va notato che il titolo di “Ecumenico” fu conferito al Patriarca di Costantinopoli in seguito al trasferimento della sede dell’Impero Romano in questa città nel IV secolo; il Patriarca divenne quindi il Vescovo della città che era il centro dell’ecumene o del mondo civilizzato. Purtroppo, nel XX secolo la gloriosa sede di Costantinopoli, avendo perso da tempo la sua gloria terrena, ha cercato a buon mercato di riacquistare prestigio imboccando due nuovi percorsi “ecumenici”: ha aderito al “movimento ecumenico”, che si basa su un universalismo anticristiano; e, a imitazione dell’apostata Roma, si è sforzata di assoggettare le altre Chiese ortodosse alla sua e di fare del suo Patriarca una sorta di Papa dell’Ortodossia.
L’articolo che segue, che fa parte di una relazione sulle Chiese Autocefale, fatto dall’Arcivescovo Giovanni al Secondo Sobor di Tutta la Diaspora della Chiesa russa all’Estero, tenutasi in Jugoslavia nel 1938, dà lo sfondo storico dell’attuale stato del Patriarcato di Costantinopoli. Potrebbe sembrare benissimo come fosse stato scritto oggi, dopo quasi 35 anni, a parte alcuni piccoli punti che sono cambiati da allora, per non parlare degli atti e delle dichiarazioni “ecumeniche” più spettacolari del Patriarcato negli ultimi anni, che sono serviti a trasformarlo dal “pietoso spettacolo” qui descritto in uno dei principali centri mondiali dell’anti-Ortodossia.
“Il primato tra le Chiese ortodosse spetta alla Chiesa della Nuova Roma, Costantinopoli, che fa capo a un Patriarca che ha il titolo di ecumenico, e per questo è essa stessa chiamata Patriarcato ecumenico, che territorialmente raggiunse il culmine del suo sviluppo alla fine del XVIII secolo.
A quel tempo vi era inclusa tutta l’Asia Minore, tutta la penisola balcanica (eccetto il Montenegro), insieme alle isole adiacenti, poiché le altre Chiese indipendenti della penisola balcanica erano state abolite ed erano entrate a far parte del Patriarcato ecumenico.
Il Patriarca ecumenico aveva ricevuto dal sultano turco, ancor prima della presa di Costantinopoli da parte dei turchi, il titolo di Millet Bash, cioè capo del popolo, ed era considerato il capo di tutta la popolazione ortodossa dell’Impero turco . Ciò, tuttavia, non ha impedito al governo turco di rimuovere i patriarchi per qualsiasi motivo e di indire nuove elezioni, riscuotendo allo stesso tempo una grossa tassa dal neoeletto patriarca.
Apparentemente quest’ultima circostanza ebbe una grande importanza nel cambiamento dei patriarchi da parte dei turchi, e quindi avvenne spesso che essi ammettessero nuovamente sul trono patriarcale un patriarca che avevano rimosso, dopo la morte di uno o più dei suoi successori. Così, molti patriarchi occuparono più volte la loro sede, e ogni ascesa fu accompagnata dalla riscossione di una tassa speciale da parte dei turchi.
Per recuperare la somma pagata al momento della sua ascesa al trono patriarcale, un patriarca faceva una colletta presso i metropoliti a lui subordinati, e questi, a loro volta, raccoglievano presso il clero a loro subordinato. Questo modo di provvedere alle finanze ha lasciato un’impronta nell’intero ordine della vita del Patriarcato.
Nel Patriarcato era altrettanto evidente la “Grande Idea” greca, cioè il tentativo di restaurare Bisanzio, dapprima in senso culturale, ma poi anche politico. Per questo motivo in tutti gli incarichi importanti furono assegnate persone fedeli a questa idea, e per la maggior parte greci della parte di Costantinopoli chiamata Fanar, dove si trovava anche il Patriarcato. Quasi sempre le sedi episcopali erano occupate da greci, anche se nella penisola balcanica la popolazione era prevalentemente slava.
All’inizio del XIX secolo iniziò un movimento di liberazione tra i popoli balcanici, che lottavano per liberarsi dall’autorità dei turchi. Sorsero gli stati di Serbia, Grecia, Romania e Bulgaria, dapprima semi-indipendenti e poi completamente indipendenti dalla Turchia.
Parallelamente si procedette anche alla formazione di nuove Chiese locali separate dal Patriarcato ecumenico. Anche se controvoglia, sotto l’influenza delle circostanze, i Patriarchi ecumenici permisero l’autonomia delle Chiese nei principati vassalli, e più tardi riconobbero la piena indipendenza delle Chiese in Serbia, Grecia e Romania.
Solo la questione bulgara era complicata da un lato a causa dell’impazienza dei bulgari, che non avevano ancora raggiunto l’indipendenza politica, e dall’altro grazie all’inflessibilità dei greci. L’ostinata dichiarazione di autocefalia bulgara sulla fondazione del firmano del Sultano non fu riconosciuta dal Patriarcato, e in un certo numero di diocesi fu istituita una gerarchia parallela.
I confini delle Chiese appena formate coincidevano con i confini dei nuovi Stati, che crescevano continuamente a spese della Turchia, acquisendo allo stesso tempo nuove diocesi dal Patriarcato. Tuttavia, nel 1912, quando iniziò la guerra dei Balcani, il Patriarcato ecumenico contava circa 70 metropoli e diversi vescovadi.
La guerra del 1912-13 strappò alla Turchia una parte significativa della penisola balcanica con grandi centri spirituali come Salonicco e Athos. La Grande Guerra del 1914-18 privò per un certo periodo la Turchia dell’intera Tracia e della costa dell’Asia Minore con la città di Smirne, che furono successivamente perse dalla Grecia nel 1922 dopo la fallita marcia dei Greci su Costantinopoli.
Qui il Patriarca ecumenico non poteva così facilmente sottrarre alla sua autorità le diocesi strappate alla Turchia, come era stato fatto in precedenza. Si parlava già di alcuni luoghi che fin dall’antichità erano stati sotto l’autorità spirituale di Costantinopoli. Ciò nonostante, il Patriarca ecumenico nel 1922 riconobbe l’annessione alla Chiesa serba di tutte le zone entro i confini della Jugoslavia; acconsentì all’inclusione nella Chiesa di Grecia di alcune diocesi dello Stato greco, conservando però la sua giurisdizione sull’Athos; e nel 1937 riconobbe anche l’autocefalia della piccola Chiesa albanese, che in origine non aveva riconosciuto.
I confini del Patriarcato ecumenico e il numero delle sue diocesi erano notevolmente diminuiti. Nello stesso tempo il Patriarcato ecumenico perse di fatto anche l’Asia Minore, pur restando nella sua giurisdizione. In conformità con il trattato di pace tra Grecia e Turchia del 1923, si verificò uno scambio di popolazione tra queste potenze, tanto che tutta la popolazione greca dell’Asia Minore dovette trasferirsi in Grecia.
Le città antiche, che un tempo avevano un grande significato nelle questioni ecclesiastiche e gloriose nella loro storia ecclesiastica, rimasero senza un solo abitante della fede ortodossa. Allo stesso tempo, il Patriarca ecumenico ha perso il suo significato politico in Turchia, poiché Kemal Pasha lo ha privato del titolo di capo del popolo.
Attualmente, sotto i confini della Turchia, sotto il Patriarcato Ecumenico, oltre all’Athos con le località circostanti della Grecia, ci sono cinque diocesi. Il Patriarca è estremamente ostacolato nell’esercizio dei suoi indiscutibili diritti nel governo della Chiesa entro i confini della Turchia, dove è considerato un normale suddito-funzionario turco, essendo inoltre sotto la supervisione del governo.
Il governo turco, che interferisce in tutti gli aspetti della vita dei suoi cittadini, solo come privilegio speciale gli ha permesso, come anche il patriarca armeno, di portare i capelli lunghi e l’abito clericale, vietandolo al resto del clero. Il Patriarca non ha diritto di libera uscita dalla Turchia, e ultimamente il governo persegue con sempre maggiore insistenza il suo trasferimento nella nuova capitale Ankara (l’antica Ancyra), dove ormai non ci sono cristiani ortodossi, ma dove l’amministrazione con tutti i rami della vita governativa è concentrata.
Un tale abbassamento esteriore del gerarca della città di San Costantino, che un tempo era la capitale dell’ecumene , non ha fatto vacillare la riverenza nei suoi confronti tra i cristiani ortodossi, che venerano la sede dei SS. Crisostomo e Gregorio il Teologo.
Dall’alto di questa Sede il successore dei SS. Giovanni e Gregorio potrebbero guidare spiritualmente l’intero mondo ortodosso, se solo possedessero la loro fermezza nella difesa della rettitudine e della verità e l’ampiezza di vedute del recente Patriarca Gioacchino III.
Tuttavia al declino generale del Patriarcato ecumenico si è aggiunto l’indirizzo della sua attività dopo la Grande Guerra. Il Patriarcato ecumenico ha voluto compensare la perdita delle diocesi che hanno abbandonato la sua giurisdizione, così come la perdita del suo significato politico all’interno dei confini della Turchia, sottomettendo a sé aree dove finora non esisteva alcuna gerarchia ortodossa, e allo stesso modo le Chiese di quegli Stati dove il governo non è ortodosso.
Così, il 5 aprile 1922, il Patriarca Melezio designò un Esarca dell’Europa Centrale e Occidentale con il titolo di Metropolita di Thyateira con residenza a Londra; il 4 marzo 1923 lo stesso Patriarca consacrò l’archimandrita ceco Sabbatius arcivescovo di Praga e di tutta la Cecoslovacchia; il 15 aprile 1924 fu fondata una Metropolia dell’Ungheria e di tutta l’Europa Centrale con sede a Budapest, anche se lì esisteva già un vescovo serbo. In America fu istituito un arcivescovado sotto il trono ecumenico, poi nel 1924 fu fondata una diocesi in Australia con sede a Sydney. Nel 1938 l’India fu subordinata all’arcivescovo d’Australia.
Allo stesso tempo si è proceduto all’assoggettamento di singole parti della Chiesa ortodossa russa, staccate dalla Russia. Così, il 9 giugno 1923, il Patriarca ecumenico accettò nella sua giurisdizione la diocesi di Finlandia come Chiesa finlandese autonoma; il 23 agosto 1923 la Chiesa estone fu assoggettata allo stesso modo, il 13 novembre 1924 il patriarca Gregorio VII riconobbe l’autocefalia della Chiesa polacca sotto la supervisione del Patriarcato ecumenico, cioè l’autonomia.
Nel marzo del 1936 il Patriarca ecumenico accettò la Lettonia nella sua giurisdizione. Non limitandosi ad accogliere nella sua giurisdizione le Chiese delle regioni lontane dai confini della Russia, il patriarca Fozio accettò nella sua giurisdizione il metropolita Eulogio dell’Europa occidentale insieme alle parrocchie a lui subordinate, e il 28 febbraio 1937 un L’Arcivescovo della giurisdizione del Patriarca Ecumenico in America ha consacrato Vescovo Theodore-Bogdan Shpilko per la Chiesa Ucraina nel Nord America.
Così il Patriarca ecumenico è divenuto effettivamente «ecumenico» [universale] nell’ampiezza del territorio che teoricamente gli è soggetto. Quasi tutto il globo terrestre, ad eccezione dei piccoli territori dei tre Patriarcati e del territorio della Russia sovietica, secondo l’idea dei dirigenti del Patriarcato, rientra nella composizione del Patriarcato ecumenico.
Aumentando senza limiti il loro desiderio di sottomettere a sé parti della Russia, i Patriarchi di Costantinopoli hanno cominciato addirittura a dichiarare l’incanonicità dell’annessione di Kiev al Patriarcato di Mosca e a dichiarare che la metropolia di Kiev della Russia meridionale, già esistente, dovrebbe essere soggetta a il Trono di Costantinopoli.
Un simile punto di vista non solo è chiaramente espresso nel Tomos del 13 novembre 1924 in relazione alla separazione della Chiesa polacca, ma è anche ampiamente promosso dai Patriarchi. Così, il vicario del metropolita Eulogius a Parigi, che fu consacrato con il permesso del patriarca ecumenico, ha assunto il titolo di Chersoneso; cioè il Chersoneso, che ora si trova nel territorio della Russia, è soggetto al Patriarca Ecumenico. Il prossimo passo logico per il Patriarcato ecumenico sarebbe quello di dichiarare l’intera Russia sotto la giurisdizione di Costantinopoli.
Tuttavia, l’effettiva potenza spirituale e persino gli effettivi confini dell’autorità non corrispondono di gran lunga a una simile autoesaltazione di Costantinopoli. Per non parlare del fatto che quasi ovunque l’autorità del Patriarca è del tutto illusoria e consiste per lo più nella conferma di vescovi eletti in varie sedi o nell’invio di essi da Costantinopoli, molte terre che Costantinopoli considera a sé soggette non hanno alcun gregge sotto la sua giurisdizione.
Anche l’autorità morale dei Patriarchi di Costantinopoli è caduta molto in basso data la loro estrema instabilità in materia ecclesiastica. Pertanto, il Patriarca Melezio IV organizzò un “Congresso pan-ortodosso”, con rappresentanti di varie chiese, che decretò l’introduzione del Nuovo Calendario.
Questo decreto, riconosciuto solo da una parte della Chiesa, introdusse uno spaventoso scisma tra i cristiani ortodossi. Il patriarca Gregorio VII riconobbe il decreto del concilio della Chiesa viva riguardante la deposizione del patriarca Tikhon, che poco prima il Sinodo di Costantinopoli aveva dichiarato “confessore”, e poi entrò in comunione con i “rinnovazionisti” in Russia, che continua fino ad oggi.
Insomma, il Patriarcato ecumenico, abbracciando in teoria quasi tutto l’universo ed estendendo di fatto la sua autorità solo su alcune diocesi, ed avendo in altri luoghi solo un controllo più superficiale e ricevendo per questo determinate entrate, perseguitato dal governo interno e non sostenuto da qualsiasi autorità governativa all’estero: aver perso il suo significato di pilastro della verità ed essere diventato esso stesso motivo di divisione, e allo stesso tempo posseduto da un esorbitante amore per il potere – rappresenta uno spettacolo pietoso che ricorda i periodi peggiori della storia storia della sede di Costantinopoli.
* San Giovanni Maximovich di Shanghai e San Francisco (Arcivescovo ortodosso-russo – 1896/1966) – Da Orthodox Word , vol. 8, n. 4 (45), luglio-agosto 1972, pp. 166-168, 174-175.