P. Seraphim Rose: I Santi Padri della Spiritualità Ortodossa (III)

P. Seraphim Rose: I Santi Padri della Spiritualità Ortodossa (III)

P. Seraphim Rose di Platina

tratto da: The Orthodox Word, vol. 11, n. 6 (novembre-dicembre 1975), 228-239.

Parte III. Come non leggere i Santi Padri

È stato detto abbastanza per indicare la serietà e la sobrietà con cui bisogna accostarsi allo studio dei Santi Padri. Ma proprio l’abitudine alla spensieratezza dell’uomo del Novecento, a non prendere sul serio nemmeno gli argomenti più solenni, a “giocare con le idee” – come fanno oggi gli studiosi nelle università – rende necessario guardare più da vicino alcuni errori comuni che sono stati commessi dai cristiani ortodossi nominali nel loro studio o insegnamento dei Santi Padri. Sarà necessario qui citare nomi e pubblicazioni per conoscere con precisione le trappole in cui molti sono già caduti. Questo esame ci permetterà di vedere più chiaramente come non avvicinarci ai Santi Padri.

LA PRIMA TRAPPOLA: il dilettantismo

L’abisso, in cui solitamente cadono i più spensierati tra coloro che sono interessati alla teologia o alla spiritualità ortodossa, è più evidente negli incontri “ecumenici” di vario tipo, conferenze, “ritiri” e simili. Tali incontri sono una specialità della English Fellowship of St. Alban and St. Sergius, come riportato nel loro giornale, Sobornost. Qui possiamo leggere, ad esempio, in un discorso sui Padri del deserto di un presunto sacerdote ortodosso: “I Padri del deserto possono svolgere un ruolo estremamente importante per noi. Possono essere per tutti noi un meraviglioso luogo di incontro ecumenico.” [nota: Archimandrita Demetrius Trakatellis, “St. Neilus on Prayer,” Sobornost, 1966, Winter-Spring, page 84.] Può l’oratore essere così ingenuo da non sapere che il Padre che desidera studiare, come tutti i Santi Padri, rimarrebbe inorridito nell’apprendere che le sue parole vengono usate per insegnare l’arte della preghiera agli eterodossi? È una delle regole di cortesia in tali incontri “ecumenici” che gli eterodossi non siano informati che il primo prerequisito per studiare i Padri è avere la stessa fede dei Padri dell’Ortodossia. Senza questo prerequisito ogni istruzione nella preghiera e nella dottrina spirituale è solo un inganno, un mezzo per intrappolare ulteriormente l’ascoltatore eterodosso nei propri errori. Questo non è giusto nei confronti di chi ascolta, non è serio da parte di chi parla, è esattamente come non intraprendere affatto lo studio o l’insegnamento dei Santi Padri.

Nello stesso periodico si legge di un “pellegrinaggio in Gran Bretagna” nel quale un gruppo di protestanti ha assistito alle funzioni di varie sette e poi ad una liturgia ortodossa, nella quale “il Padre ha tenuto un discorso molto chiaro e illuminante sul tema dell’Eucaristia” (Sobornost,Estate, 1969, pag. 680). Indubbiamente il Padre ha citato i Santi Padri nel suo discorso, ma non ha portato comprensione ai suoi ascoltatori; li ha solo confusi ancora di più permettendo loro di pensare ora che l’Ortodossia sia solo un’altra delle sette che stavano visitando, e che la dottrina ortodossa dell’Eucaristia può aiutarli a comprendere meglio i loro servizi luterani o anglicani. In un resoconto di un “ritiro ecumenico” nello stesso numero (p. 684), troviamo un risultato della predicazione della “teologia ortodossa” in tali condizioni. Dopo aver assistito a una liturgia ortodossa, i partecipanti al ritiro hanno partecipato a un “servizio di comunione battista”, che è stato “una boccata d’aria fresca”. “Particolarmente rinfrescante è stato il piccolo sermone sul tema della gioia della risurrezione. Quelli di noi che conoscono la Chiesa ortodossa hanno trovato la stessa verità espressa lì e siamo stati felici di trovarla anche in un servizio battista”. Gli ortodossi che incoraggiano questo dilettantismo insensibile hanno senza dubbio dimenticato l’ingiunzione scritturale: Non gettate le vostre perle davanti ai porci“.

Ultimamente la stessa Fellowship ha ampliato il suo dilettantismo, seguendo l’ultima moda intellettuale, per includere conferenze sul Sufismo e altre tradizioni religiose non cristiane, che probabilmente arricchiscono la “spiritualità” degli ascoltatori proprio come l’Ortodossia ha fatto per loro fino ad ora.

Lo stesso atteggiamento spirituale corrotto può essere visto, a un livello più sofisticato, nelle “dichiarazioni concordate” che di tanto in tanto escono dalle “consultazioni di teologi”, siano esse ortodosso-cattoliche, ortodosso-anglicane o simili. Queste “dichiarazioni concordate” su argomenti come “l’Eucaristia” o “la natura della Chiesa” sono, ancora una volta, un esercizio di cortesia “ecumenica” che non accenna nemmeno agli eterodossi (supponenso che i “teologi ortodossi” presenti lo sappiano) che, qualunque sia la definizione di tale realtà “concordata”, gli eterodossi, non avendo l’esperienza di vivere nella Chiesa di Cristo, non ne conoscono la realtà. Tali “teologi” non esitano nemmeno a cercare un “accordo” sulla spiritualità stessa laddove, se mai, l’impossibilità di un accordo dovrebbe essere evidente. Coloro che possono credere, come dichiara il “Messaggio” ufficiale del “Simposio ortodosso-cistercense” (Oxford, 1973), che i monaci cattolici, ortodossi e anglicani abbiano una “profonda unità tra di loro, in quanto membri di comunità monastiche provenienti da diverse tradizioni ecclesiali”, sicuramente pensano secondo la saggezza corrotta di questo mondo e le sue mode “ecumeniche”, e non in accordo con la tradizione monastico-spirituale ortodossa, che è rigorosa nella sua insistenza sulla purezza della fede. Lo scopo e il tono mondano di questi “dialoghi” è reso abbastanza chiaro in una relazione sullo stesso Simposio, che indica che questo “dialogo” sta per essere ampliato per includere il monachesimo non cristiano, cosa che permetterà “al nostro comune monachesimo cristiano… di identificarsi in qualche modo reale con il monachesimo del buddismo e dell’induismo” [Diakonia, 1974, n. 4, pag. 380-392]. Per quanto i partecipanti a questo Simposio si immaginino sofisticati, il loro dilettantismo non è affatto superiore a quello dei laici protestanti che si lasciano impressionare tanto dal servizio di comunione battista quanto dalla liturgia ortodossa.

Ancora, si può leggere, in un periodico “ortodosso”, un resoconto di un “Istituto Ecumenico di Spiritualità” (cattolico-protestante-ortodosso) tenutosi al Seminario di San Vladimir a New York nel 1969, dove un discorso fu tenuto dal “professore ortodosso Nicholas Arseniev, di larghe vedute, sulla spiritualità cristiana in Oriente e in Occidente. Un sacerdote ortodosso riporta così il suo intervento: “Una delle affermazioni più sorprendenti del professore è stata che esiste già un’unità cristiana nei santi di tutte le tradizioni cristiane. Sarebbe interessante cercare di elaborare le implicazioni di ciò per una trattazione della divisioni dottrinali e istituzionali che pure esistono chiaramente.”[nota: P. Thomas Hopko, in San Vladimir’s Theological Quarterly , 1969, n. 4, pag. 225, 231]. Le deviazioni dottrinali degli ecumenisti “ortodossi” sono già abbastanza gravi, ma quando si tratta di spiritualità non sembrano esserci limiti di sorta a ciò che si può dire o credere – un’indicazione di quanto remote e vaghe siano diventate la tradizione e l’esperienza della genuina spiritualità ortodossa per i “teologi ortodossi” di oggi. Uno studio vero e serio di “spiritualità comparata” potrebbe sì essere fatto, ma non produrrà mai una “affermazione concordata”. Per fare solo un esempio: il primo esempio di “spiritualità occidentale” citato dal dottor Arseniev e da quasi tutti gli altri è Francesco d’Assisi, che secondo lo standard della spiritualità ortodossa è un classico esempio di monaco che si è smarrito spiritualmente ed è caduto in inganno (prelest ) ed era venerato come santo solo perché l’Occidente era già caduto nell’apostasia e aveva perso lo standard ortodosso di vita spirituale. Nel nostro studio della tradizione spirituale ortodossa in questo libro* sarà necessario sottolineare (per contrasto) proprio dove Francesco e più tardi i “santi” occidentali si smarrirono; per ora è sufficiente indicare che l’atteggiamento che produce tali “istituti ecumenici” e “dichiarazioni concordate” è in fondo lo stesso atteggiamento di dilettantismo frivolo che abbiamo già esaminato più sopra a un livello più popolare.

La causa principale di questo atteggiamento spiritualmente patologico probabilmente non è tanto l’atteggiamento intellettuale sbagliato del relativismo teologico che prevale negli ambienti “ecumenici”, quanto piuttosto qualcosa di più profondo, qualcosa che coinvolge l’intera personalità e il modo di vivere della maggior parte dei “cristiani” oggi. Se ne può intravedere un assaggio nel commento di uno studente ortodosso dell’”Istituto Ecumenico”, sponsorizzato dal Consiglio Mondiale delle Chiese a Bossey, in Svizzera. Parlando del valore “dell’incontro personale con tanti approcci diversi che non avevamo sperimentato prima”, rileva che “le migliori discussioni” (che riguardavano il tema dell’”Evangelizzazione”) “non sono avvenute durante le sessioni plenarie, ma piuttosto quando si è seduti accanto al caminetto a bere un bicchiere di vino. [Trimestrale teologico di San Vladimir , 1969, n. 3, pag. 164] Questa osservazione quasi casuale rivela molto di più della “spensieratezza” della vita contemporanea; indica un intero atteggiamento moderno nei confronti della Chiesa e della sua teologia e pratica. Ma questo ci porta alla seconda insidia fondamentale che dobbiamo evitare nello studio dei Santi Padri.

LA SECONDA TRAPPOLA: “La teologia con la sigaretta”

Non solo gli incontri “ecumenici” possono essere leggeri e frivoli; si può notare esattamente lo stesso tono nei convegni e nei “ritiri” “ortodossi”, e nelle riunioni dei “teologi ortodossi”. I Santi Padri non sono sempre direttamente coinvolti o discussi in tali incontri, ma la consapevolezza dello spirito di tali incontri ci preparerà a comprendere il background che i cristiani ortodossi apparentemente seri portano con sé quando iniziano a studiare spiritualità e teologia.

Una delle più grandi organizzazioni “ortodosse” negli Stati Uniti soni i “Clubs Federati Russo-Ortodossi” (FROC), composti principalmente da membri dell’ex Metropolia russo-americana, che tiene un congresso annuale le cui attività sono abbastanza tipiche dell’”Ortodossia” in America. Il numero di ottobre 1973 del Russian Catholic Journal è dedicato alla Convenzione del 1973, in cui il vescovo Dimitry di Hartford ha detto ai delegati: “Quello che vedo qui, e lo dico in tutta sincerità, è che il FROC è potenzialmente la più grande forza spirituale in tutta l’ortodossia americana” (p. 18). È vero che al Congresso partecipa un certo numero di ecclesiastici, di solito compreso il metropolita Ireney, che ci sono servizi religiosi giornalieri e che c’è sempre un seminario su un argomento religioso. Significativamente, durante il seminario di quest’anno (intitolato, nello spirito degli “ortodossi americani”, “Cosa? Ancora Digiuno?”), “sono sorte domande sull’osservanza del sabato sera come periodo di preparazione alla domenica. I conflitti sorgono perché gli stili di vita americani hanno reso il sabato sera la ‘notte sociale’ della settimana.” Un prete presente ha dato una risposta ortodossa a questa domanda: «Il sabato sera si raccomanda la partecipazione ai Vespri, la confessione e la serata tranquilla» (p. 28). Ma per gli organizzatori della Convention non c’era ovviamente alcun “conflitto” di sorta: prevedevano (come in ogni Convention) un ballo del sabato sera in pieno “stile di vita americano”, e le altre sere divertimenti simili, incluso un “Teenage Frolic” con un “gruppo Rock and Roll”, un finto casinò “con un ambiente che ricorda Las Vegas” e alcune istruzioni per uomini nell’”arte ‘culturale’ della danza del ventre” (p. 24). Le immagini che accompagnano gli articoli mostrano alcune di queste frivolezze, il che in effetti ci assicura che gli americani “ortodossi” non sono affatto indietro rispetto ai loro connazionali nella ricerca di divertimenti spudoratamente insensati, intervallati da fotografie solenni della Divina Liturgia. Questa miscela di sacro e frivolo è oggi considerata “normale” nell’”Ortodossia americana”; questa organizzazione è (ripetiamo le parole del vescovo) “potenzialmente la più grande forza spirituale di tutta l’ortodossia americana”. Ma quale preparazione spirituale può portare una persona alla Divina Liturgia dopo aver trascorso la sera precedente celebrando lo spirito di questo mondo e aver dedicato molte ore durante il fine settimana a divertimenti del tutto frivoli? Un osservatore sobrio può solo rispondere: tale persona porta con sé lo spirito mondano, la mondanità è l’aria stessa che respira; e quindi per lui l’Ortodossia stessa rientra nello “stile di vita” americano “casual”. Se una persona del genere cominciasse a leggere i Santi Padri, che parlano di un modo di vivere completamente diverso, o li troverebbe del tutto irrilevanti per il suo modo di vivere, oppure sarebbe costretto a distorcere il loro insegnamento per renderlo applicabile al suo modo di vivere.

Consideriamo ora un incontro “ortodosso” più serio, dove vengono effettivamente menzionati i Santi Padri: le “Conferenze” annuali della “Orthodox Campus Commission”. Il numero dell’autunno 1975 della rivista Concern presenta alcune fotografie della Conferenza del 1975, il cui scopo era del tutto “spirituale”: lo stesso spirito “informale”, con giovani donne in pantaloncini corti (che fa vergognare anche la Convenzione FROC!), e il prete che pronuncia un “discorso principale” con la mano in tasca… e in una tale atmosfera i cristiani ortodossi discutono argomenti come “Lo Spirito Santo nella Chiesa ortodossa”. Lo stesso numero di Concern ci offre uno spaccato di ciò che accade nelle menti di queste persone apparentemente “casual”. Una nuova rubrica sulla “liberazione delle donne” (con un titolo così volutamente volgare che non è necessario ripeterlo qui) è curata da una giovane e intelligente convertita: “Quando mi sono convertita all’Ortodossia, ho sentito di essere consapevole della maggior parte dei problemi che si incontravano nella Chiesa. Sapevo dello scandaloso etnicismo che divide la Chiesa, delle liti e delle fazioni che affliggono le parrocchie, dell’ignoranza religiosa…”. L’articolista procede poi a sostenere la “riforma” del tradizionale periodo di quaranta giorni per “riammettere in chiesa” una donna dopo il parto, così come altri atteggiamenti del “vecchio mondo” che questa “illuminata” americana moderna trova “ingiusti”. Forse non ha mai incontrato un autentico ecclesiastico o laico ortodosso che potesse spiegarle il significato o trasmetterle il tono dell’autentico stile di vita ortodosso; forse, se lo incontrasse, non vorrebbe nemmeno capirlo, né comprendere che il peggiore dei “problemi” di un convertito oggi non risiede affatto nell’ambiente ortodosso, facilmente criticabile, ma piuttosto nella mente e nell’atteggiamento dei convertiti stessi. Lo stile di vita che si riflette in Concern non è lo stile di vita ortodosso e il suo stesso tono rende quasi impossibile qualsiasi approccio allo stile di vita ortodosso. Questi periodici e conferenze riflettono la maggioranza dei giovani di oggi, viziati, egocentrici e frivoli, che quando si avvicinano alla religione si aspettano di trovare “spiritualità con comodità”, qualcosa di immediatamente ragionevole per le loro menti immature che sono state stupefatte dalla loro “educazione moderna”. I giovani – e molti ecclesiastici anziani di oggi, essendo stati essi stessi esposti all’atmosfera mondana in cui i giovani crescono – a volte si abbassano a lusingare le facili critiche dei giovani nei confronti dei loro anziani e dei loro “ghetti” ortodossi e nel migliore dei casi tengono impotenti lezioni accademiche su argomenti molto al di sopra delle loro possibilità. A cosa serve parlare a questi giovani di “Deificazione” o “Della via dei santi” (Concern, autunno 1974) – concetti che, certo, sono intellettualmente comprensibili per gli studenti universitari di oggi, ma per i quali sono emotivamente e spiritualmente totalmente impreparati, non conoscendo l’ABC di ciò che significa lottare nella vita ortodossa e separarsi dal proprio background mondano e dalla propria educazione? Senza questa preparazione e formazione all’ABC della vita spirituale e senza la consapevolezza della differenza tra la mondanità e lo stile di vita ortodosso, queste lezioni non possono avere alcun risultato spirituale fruttuoso.

Considerando questo contesto da cui stanno emergendo i giovani cristiani ortodossi di oggi in America (e in tutto il mondo libero), non ci si sorprende di scoprire la generale mancanza di serietà nella maggior parte delle opere – conferenze, articoli, libri – sulla teologia e la spiritualità ortodossa di oggi; e il messaggio anche dei migliori docenti e scrittori del “mainstream” delle giurisdizioni ortodosse di oggi sembra stranamente impotente, senza forza spirituale. Anche a livello più popolare, la vita della parrocchia ortodossa ordinaria dà oggi un’impressione di inerzia spirituale molto simile a quella dei “teologi ortodossi” di oggi. Perché?

L’impotenza dell’Ortodossia così ampiamente espressa e vissuta oggi è senza dubbio essa stessa un prodotto della povertà, della mancanza di serietà della vita contemporanea. L’Ortodossia oggi, con i suoi sacerdoti, teologi e fedeli, è diventata mondana. I giovani che provengono da case confortevoli e accettano o cercano (i “nativi ortodossi” e i “convertiti” si assomigliano in questo senso) una religione che non sia lontana dalla vita soddisfatta che hanno conosciuto; i professori e i docenti il ​​cui ambiente è il mondo accademico dove, notoriamente, nulla è accettato come definitivamente serio, come una questione di vita o di morte; l’atmosfera accademica di mondanità compiaciuta in cui hanno luogo quasi tutti i “ritiri”, le “conferenze” e gli “istituti” – tutti questi fattori si uniscono per produrre un’atmosfera artificiale, da serra, in cui, qualunque cosa venga detta riguardo a esaltate verità o esperienze ortodosse, per il contesto stesso in cui viene detta e in virtù dell’orientamento mondano di chi parla e di chi ascolta, non può colpire le profondità dell’anima e produrre l’impegno profondo che un tempo era normale per i cristiani ortodossi. In contrasto con questa atmosfera da serra, l’educazione ortodossa naturale, la trasmissione naturale dell’Ortodossia stessa, avviene in quello che era accettato come l’ambiente ortodosso naturale: il monastero, dove non solo i novizi ma anche i pii laici vengono istruiti tanto dall’atmosfera di un luogo sacro quanto dalla conversazione con un anziano particolarmente venerato, o la normale parrocchia, se il suo sacerdote è di mentalità “all’antica”, infuocato dall’Ortodossia e talmente desideroso della salvezza del suo gregge da non scusare i loro peccati e le loro abitudini mondane, ma da esortarli sempre a una vita spirituale più elevata; anche la scuola teologica, se di vecchio tipo e non modellata sulle università secolari dell’Occidente, dove c’è la possibilità di entrare in contatto vivo con veri studiosi ortodossi che vivono realmente la loro fede e pensano secondo la “vecchia scuola” di fede e pietà. Ma tutto questo – quello che un tempo era considerato il normale ambiente ortodosso – oggi è disdegnato dai cristiani ortodossi che sono in armonia con l’ambiente artificiale del mondo moderno, e non fa più parte nemmeno dell’esperienza della nuova generazione. Nell’emigrazione russa, i “teologi” della nuova scuola, desiderosi di essere in armonia con la moda intellettuale, di citare l’ultima dottrina cattolica o protestante, di adottare tutto il tono “casual” della vita contemporanea e soprattutto del mondo accademico, sono stati giustamente chiamati “teologi con la sigaretta”. Con altrettanta giustificazione si potrebbero chiamare “teologi davanti a un bicchiere di vino”, o sostenitori della “teologia a stomaco pieno” o della “spiritualità con comodità”. Il loro messaggio non ha forza, perché essi stessi sono completamente di questo mondo e si rivolgono a persone mondane in un’atmosfera mondana: da tutto ciò non derivano imprese ortodosse, ma solo chiacchiere e frasi vuote e pompose.

Un riflesso accurato di questo spirito, a livello popolare, può essere visto in un breve articolo scritto da un importante laico dell’arcidiocesi greca in America e pubblicato nel giornale ufficiale di questa giurisdizione. Evidentemente influenzato dal “revival patristico” che ha colpito l’arcidiocesi greca e il suo seminario alcuni anni fa, questo laico scrive: “La frase ‘stare fermi’ è oggi molto necessaria. È in realtà una parte importante della nostra tradizione ortodossa, ma il mondo veloce in cui viviamo sembra escluderla dai nostri programmi”. Per trovare questo silenzio, egli raccomanda di “cominciare, anche nelle nostre case… A tavola, prima di mangiare, invece di una preghiera recitata, perché non un minuto di preghiera silenziosa e poi recitare insieme il “Padre nostro”? Potremmo sperimentarlo anche nelle nostre parrocchie durante le funzioni. Non c’è bisogno di aggiungere o togliere nulla. Alla fine della funzione basta rinunciare a qualsiasi preghiera udibile, canto o movimento, e stare in silenzio, ognuno di noi pregando per la presenza di Dio nella propria vita. Il silenzio e la disciplina corporea fanno parte della nostra tradizione ortodossa. Nei secoli passati era chiamato, nella Chiesa orientale, “movimento esicasta”… Stare fermi. È un inizio verso il rinnovamento interiore di cui tutti abbiamo bisogno e che dovremmo cercare”. (The Orthodox Observer, 17 settembre 1975, p. 7).

L’autore, ovviamente, ha buone intenzioni, ma, come le stesse chiese ortodosse di oggi, è bloccato nella trappola del pensiero mondano che gli rende impossibile vedere le cose nel normale modo ortodosso. Inutile dire che se si intende leggere i Santi Padri e sottoporsi ad un “risveglio patristico” solo per inserire di tanto in tanto nella propria agenda un momento di silenzio puramente esteriore (che ovviamente viene riempito interiormente con il tono mondano di tutta la vita al di fuori di quel momento!) e inflazionandolo con il nome esaltato di esicasmo – allora è meglio non leggere affatto i Santi Padri, perché questa lettura ci porterà semplicemente a diventare ipocriti e impostori, non più capaci delle organizzazioni giovanili ortodosse di separare il sacro e il frivolo. Per avvicinarsi ai Santi Padri bisogna sforzarsi di uscire da questa atmosfera mondana, dopo averla riconosciuta per quello che è. Una persona che si trova a suo agio nell’atmosfera degli odierni “ritiri…, conferenze” e “istituti” ortodossi non può sentirsi a suo agio nel mondo della genuina spiritualità ortodossa, che ha un “tono” totalmente diverso da quello attuale in queste tipiche espressioni della mondanità “religiosa”. Dobbiamo affrontare una verità dolorosa ma necessaria: una persona che legge seriamente i Santi Padri e che lotta secondo le sue forze (anche se a un livello molto primitivo) per condurre una vita spirituale ortodossa, deve essere al di fuori dei tempi, deve essere estranea all’atmosfera dei movimenti e delle discussioni “religiose” contemporanee, deve sforzarsi consapevolmente di condurre una vita molto diversa da quella riflessa in quasi tutti i libri e i periodici “ortodossi” di oggi. Tutto questo, a dire il vero, è più facile a dirsi che a farsi; ma ci sono alcuni aiuti di carattere generale che possono aiutarci in questa lotta. Su questi torneremo dopo aver esaminato brevemente un’altra insidia da evitare nello studio dei Santi Padri.

LA TERZA TRAPPOLA: “Zelo non secondo conoscenza” (Romani 10,2)

Data l’impotenza e l’insipienza dell’”ortodossia” mondana di oggi, non sorprende che alcuni, anche in mezzo alle organizzazioni “ortodosse” mondane, intravedano il fuoco della vera ortodossia contenuto nei servizi divini e negli scritti patristici e, tenendolo come standard contro coloro che si accontentano di una religione mondana, diventino zelatori della vera vita e della vera fede ortodossa. Di per sé, questo è lodevole; ma nella pratica reale non è così facile sfuggire alle reti della mondanità, e troppo spesso questi zelatori non solo mostrano molti segni della mondanità che desiderano sfuggire, ma sono anche condotti fuori dal regno della tradizione ortodossa in qualcosa di più simile a un settarismo febbrile.

L’esempio più eclatante di questo “zelo non conforme alla conoscenza” si trova nell’attuale movimento “carismatico”. Non è necessario descrivere qui questo movimento. [Una descrizione dettagliata può essere letta in Orthodoxy and the Religion of the Future, St. Herman of Alaska Brotherhood, 1975.] Ogni numero della rivista “carismatica ortodossa”, The Logos, rende sempre più chiaro che i cristiani ortodossi che sono stati attratti da questo movimento non hanno un solido background nell’esperienza del cristianesimo patristico e le loro apologie sono quasi interamente protestanti nel linguaggio e nel tono. The Logos, a dire il vero, cita scritti di San Simeone il Nuovo Teologo e di San Serafino di Sarov sul tema del cristianesimo patristico. Serafino di Sarov sull’acquisizione dello Spirito Santo; ma il contrasto tra questi veri insegnamenti ortodossi sullo Spirito Santo e le esperienze protestanti descritte nella stessa rivista è così evidente che si tratta di due realtà completamente diverse: una, lo Spirito Santo, che viene solo a coloro che lottano nella vera vita ortodossa, ma non (in questi ultimi tempi) in modo spettacolare; e un’altra, lo “spirito religioso ecumenista dei tempi”, che si impossessa proprio di coloro che rinunciano (o non hanno mai conosciuto) lo stile di vita ortodosso “esclusivo” e si “aprono” a una nuova rivelazione accessibile a tutti, indipendentemente dalla setta. Chi studia attentamente i Santi Padri e applica il loro insegnamento alla propria vita sarà in grado di individuare in questo movimento i segni rivelatori dell’inganno spirituale (prelest), e riconoscerà anche le pratiche e i toni poco ortodossi che lo caratterizzano.

Esiste anche una forma abbastanza poco spettacolare di “zelo non secondo conoscenza” che può essere più che un pericolo per il cristiano ortodosso ordinario e serio, perché può portarlo fuori strada nella sua vita spirituale personale senza essere rivelato da nessuno dei segni più evidenti dell’inganno spirituale. Questo è un pericolo soprattutto per i nuovi convertiti, per i novizi nei monasteri e, in una parola, per tutti coloro il cui fanatismo è giovane, in gran parte non testato dall’esperienza e non temperato dalla prudenza.

Questo tipo di zelo è il prodotto dell’unione di due atteggiamenti fondamentali. In primo luogo, c’è l’alto idealismo che è ispirato soprattutto da resoconti di chi ha dimorato nel deserto, delle severe imprese ascetiche, degli stati spirituali elevati. Questo idealismo in sé è buono ed è caratteristico di ogni vero fanatismo per la vita spirituale; ma per essere fruttuosa deve essere temperata dall’esperienza concreta delle difficoltà della lotta spirituale e dall’umiltà che nasce da questa lotta, se è genuina. Senza questo temperamento si perderà il contatto con la realtà della vita spirituale e sarà reso infruttuoso seguendo – per citare ancora le parole del vescovo Ignazio – «un sogno impossibile di una vita perfetta raffigurata in modo vivido e seducente nella sua immaginazione». Per rendere fruttuoso questo idealismo bisogna scoprire come seguire il consiglio del vescovo Ignazio (L’Arena, cap. 10).

In secondo luogo, a questo idealismo ingannevole si aggiunge, soprattutto nella nostra epoca razionalistica, un atteggiamento estremamente critico nei confronti di tutto ciò che non è all’altezza dello standard incredibilmente elevato del novizio. Questa è la causa principale della disillusione che spesso colpisce i convertiti e i novizi dopo che il loro primo entusiasmo per l’Ortodossia o la vita monastica si è affievolito. Questa disillusione è un segno sicuro che il loro approccio alla vita spirituale e alla lettura dei Santi Padri è stato unilaterale, con un’enfasi eccessiva sulla conoscenza astratta che gonfia, e una mancanza di enfasi o totale inconsapevolezza del dolore del cuore che deve accompagnare la lotta spirituale. È il caso del novizio che scopre che la regola del digiuno nel monastero da lui scelto non è all’altezza di quella che ha letto tra i Padri del deserto, o che il Tipico dei servizi divini non è seguito alla lettera, o che il suo padre spirituale ha difetti umani come chiunque altro e non è effettivamente un “anziano portatore di Dio”; ma questo stesso novizio è il primo che crollerebbe in breve tempo sotto una regola di digiuno o con un Tipico inadatto ai nostri giorni spiritualmente deboli, e che trova impossibile offrire al suo padre spirituale la fiducia senza la quale non può essere affatto spiritualmente guidato. Le persone che vivono nel mondo possono trovare esatti parallelismi con questa situazione monastica nei nuovi convertiti nelle parrocchie ortodosse di oggi.

L’insegnamento patristico sul dolore del cuore è uno degli insegnamenti più importanti dei nostri giorni in cui la “conoscenza mentale” è eccessivamente enfatizzata a scapito del corretto sviluppo della vita emotiva e spirituale. Di questo si parlerà negli appositi capitoli di questa Patrologia. La mancanza di questa esperienza essenziale è ciò che soprattutto è responsabile del dilettantismo, della banalità, della mancanza di serietà nello studio ordinario dei Santi Padri oggi; senza di essa non è possibile applicare alla propria vita gli insegnamenti dei Santi Padri. Si può raggiungere il livello più alto di comprensione con la mente dell’insegnamento dei Santi Padri, si possono avere “a portata di mano” citazioni dei Santi Padri su ogni argomento immaginabile, come quelli descritti nei libri patristici, possono anche conoscere perfettamente tutte le insidie ​​in cui è possibile cadere nella vita spirituale – e tuttavia, senza pena di cuore, si può essere un fico sterile, un noioso “esperto di tutto” che è sempre “corretto”, ovvero un esperto in tutte le esperienze “carismatiche” attuali, che non conosce e non può trasmettere il vero spirito dei Santi Padri.

Tutto quanto sopra detto non è affatto un catalogo completo dei modi per non leggere o avvicinarsi ai Santi Padri. Si tratta solo di una serie di accenni sui molti modi in cui è possibile avvicinarsi erroneamente ai Santi Padri, e quindi non trarre alcun beneficio o addirittura subire qualche danno dalla loro lettura. È un tentativo di avvertire il cristiano ortodosso che lo studio dei Santi Padri è una questione seria che non dovrebbe essere presa alla leggera, secondo nessuna delle mode intellettuali dei nostri tempi. Ma questo avvertimento non dovrebbe spaventare il cristiano ortodosso serio. La lettura dei Santi Padri è, infatti, cosa indispensabile per chi tiene alla propria salvezza e desidera realizzarla con timore e tremore; ma bisogna arrivare a questa lettura in modo pratico per sfruttarla al massimo.

Nota finale:

Sembra che questi articoli volessero rappresentare l’inizio di un libro intitolato I Santi Padri della spiritualità ortodossa. Sfortunatamente, questa serie di articoli si è conclusa con questa terza puntata.

English version

The Holy Fathers of Orthodox Spirituality

Part III. How Not to Read the Holy Fathers

ENOUGH HAS BEEN SAID to indicate the seriousness and sobriety with which one must approach the study of the Holy Fathers. But the very habit of light-mindedness in 20th-century man, of not taking seriously even the most solemn subjects, of “playing with ideas”—which is what scholars at universities now do—makes it necessary for us to look more closely at some common mistakes which have been made by nominal Orthodox Christians in their study or teaching of the Holy Fathers. It will be necessary here to cite names and publications in order to know precisely the pitfalls into which many have already fallen. This examination will enable us to see more clearly how not to approach the Holy Fathers.

THE FIRST PITFALL: DILETTANTISM

This, the pit into which the most light-minded of those interested in Orthodox theology or spirituality usually fall, is most apparent in “ecumenical” gatherings of many kinds conferences, “retreats,” and the like. Such gatherings are a specialty of the English Fellowship of St. Alban and St. Sergius, as reflected in its journal, Sobornost. Here we may read, for example, in an address on the Desert Fathers by a supposedly Orthodox clergyman, “The Fathers of the Desert can play an extremely important role for us. They can be for all of us a wonderful place of ecumenical meeting.” [1] Can the speaker be so naive as not to know that the Father he wishes to study, like all the Holy Fathers, would be horrified to learn that his words were being used to teach the art of prayer to the heterodox? It is one of the rules of politeness at such “ecumenical” gatherings that the heterodox are not informed that the first prerequisite for studying the Fathers is to have the same faith as the Fathers of Orthodoxy. Without this prerequisite all instruction in prayer and spiritual doctrine is only a deception, a means for further entangling the heterodox listener in his own errors. This is not fair to the listener; it it is not serious on the part of the speaker; it is exactly how not to undertake the study or the teaching of the Holy Fathers.

In the same periodical one may read of a “pilgrimage to Britain” wherein a group of Protestants attended services of various sects and then an Orthodox Liturgy, at which “the Father made a very clear and illuminating address on the topic of the Eucharist (Sobornost,Summer, 1969, p. 680). Undoubtedly the Father quoted the Holy Fathers in his address—but he did not bring understanding to his listeners; he only confused them the more by allowing them now to think that Orthodoxy is just another of the sects they were visiting, and that the Orthodox doctrine of the Eucharist can help them the better to understand their Lutheran or Anglican services. In an account of an “Ecumenical Retreat” in the same issue (p. 684), we find a result of the preaching of “Orthodox theology” under such conditions. After attending an Orthodox Liturgy, the retreatants attended a “Baptist Communion service,” which was “a breath of fresh air.” “Particularly refreshing was the little sermon on the note of Resurrection joy. Those of us who know the Orthodox Church have found the same truth expressed there and we were happy to find it in a Baptist service also.” The Orthodox encouragers of such insensitive dilettantism have doubtless forgotten the Scriptural injunction: Cast not your pearls before swine.

Of late the same Fellowship has broadened its dilettantism, following the latest intellectual fashion, to include lectures on Sufism and other non-Christian religious traditions, which probably enrich the “spirituality” of the listeners in much the way Orthodoxy has been doing it for them up to now.

The same corrupt spiritual attitude may be seen on a more sophisticated level in the “agreed statements” that issue now and again from “consultations of theologians,” whether Orthodox-Roman Catholic, Orthodox-Anglican, or the like. These “agreed statements,” on such subjects as “the Eucharist” or “the nature of the Church” are, again, an exercise in “ecumenical” politeness which does not even hint to the heterodox (if the “Orthodox theologians” present even know it) that, whatever definition of such realities might be “agreed upon,” the heterodox, being without the experience of living in the Church of Christ, lack the reality thereof. Such “theologians” do not hesitate even to seek some “agreement” on spirituality itself where, if anywhere, the impossibility of any agreement should be glaringly evident. Those who can believe, as the official “Message” of the “Orthodox-Cistercian Symposium” (Oxford, 1973) declares, that Roman Catholic, Orthodox and Anglican monastics have a “deep unity between us, as members of monastic communities coming from different Church traditions,” surely are thinking according to the corrupt wisdom of this world and its “ecumenical” fashions, and not in accordance with the Orthodox monastic-spiritual tradition, which is strict in its insistence on purity of faith. The worldly purpose and tone of such “dialogues” is made quite clear in a report on the same Symposium, which indicates that this “dialogue” is now going to be broadened to include non-Christian monasticism, something which will enable “our common Christian monasticism… to identify in some real way with the monasticism of Buddhism and Hinduism.”[2] However sophisticated the participants in this Symposium may imagine themselves to be, their dilettantism is by no means superior to that of the Protestant laymen who are awed just as much by the Baptist communion service as by the Orthodox Liturgy.

Again, one may read, in an “Orthodox” periodical, an account of an “Ecumenical Institute on Spirituality” (Catholic-Protestant-Orthodox) held at St. Vladimir’s Seminary in New York in 1969, where a talk was given by the “broad-minded” Orthodox professor Nicholas Arseniev on Christian spirituality East and West. An Orthodox priest thus reports his talk: “One of the professor’s most striking assertions was that there already exists a Christian unity in the saints of all Christian traditions. It would be interesting to try to work out the implications of this for a treatment of the doctrinal and institutional divisions which also clearly exist.”[3] The doctrinal deviations of “Orthodox” ecumenists are bad enough, but when it comes to spirituality there seem to be no bounds whatever to what may be said or believed—an indication of how remote and vague the tradition and experience of genuine Orthodox spirituality have become to the “Orthodox theologians” of today. A true and serious study of “comparative spirituality” could indeed be made, but it will never produce an “agreed statement.” To take only one example: the prime example of “Western spirituality” cited by Dr. Arseniev and nearly everyone else is Francis of Assisi, who according to the standard of Orthodox spirituality is a classic example of a monk who went spiritually astray and fell into deception (prelest) and was revered as a saint only because the West had already fallen into apostasy and lost the Orthodox standard of spiritual life. In our study of the Orthodox spiritual tradition in this book* it will be necessary to point out (by way of contrast) precisely where Francis and later Western “saints” went astray; for the present, it is enough to indicate that the attitude which produces such “ecumenical institutes” and “agreed statements” is basically the same attitude of frivolous dilettantism which we have already examined on a more popular level above.

The main cause of this spiritually pathological attitude is probably not so much the wrong intellectual attitude of theological relativism which prevails in “ecumenical” circles, as it is something deeper, something involved in the whole personality and way of life of most “Christians” today. One may see a glimpse of this in the comment of one Orthodox student at the “Ecumenical Institute,” sponsored by the World Council of Churches at Bossey, Switzerland. Speaking of the value of “the personal encounter with so many different approaches which we had not previously experienced,” he notes that “the best discussions” (which were on the subject of “Evangelism”) “took place not during the plenary sessions, but rather when sitting by the fireplace drinking a glass of wine.”[4] This almost off-hand remark reveals more than the “casualness” of contemporary life; it indicates a whole modern attitude toward the. Church and her theology and practice. But this brings us to the second basic pitfall we must avoid in our study of the Holy Fathers.

THE SECOND PITFALL: “THEOLOGY WITH A CIGARETTE”

It is not only “ecumenical” gatherings which can be light-minded and frivolous; one may note precisely the same tone at “Orthodox” conventions and “retreats,” and at gatherings of “Orthodox theologians.” The Holy Fathers are not always directly involved or discussed in such gatherings, but an awareness of the spirit of such gatherings will prepare us to understand the background which seemingly serious Orthodox Christians bring with them when they begin to study spirituality and theology.

One of the largest “Orthodox” organizations in the United States is the “Federated Russian Orthodox Clubs,” consisting chiefly of members of the former Russian-American Metropolia, which has a yearly convention whose activities are quite typical of “Orthodoxy” in America. The October, 1973, issue of The Russian Orthodox Journal is devoted to the Convention of 1973, atwhich Bishop Dimitry of Hartford told the delegates: “What I see here, and I mean this extremely sincerely, is that the FROC is potentially the greatest spiritual force in all of American Orthodoxy” (p. 18). It is true that a number of clergymen attend the Convention, usually including Metropolitan Ireney, that there are daily religious services, and that there is always a seminar on a religious subject. Significantly, during this year’s seminar (entitled, in the “American Orthodox” spirit, “What? Lent Again?”), “questions arose about observing Saturday evening as a preparation period for Sunday. Conflicts arise because American life styles have made Saturday night the ‘social night’ of the week.” One priest who was present gave an Orthodox answer to this, question: “On Saturday evening he advocates attendance at Vespers, confession, and a quiet evening” (p. 28). But for the Convention planners there was quite obviously no “conflict” whatever: they provided (as at every Convention) a Saturday-night dance fully in the “American life-style,” and on other nights similar amusements, including a “Teenage Frolic” with a “Rock and Roll band,” an imitation gambling casino “with an environment reminiscent of Las Vegas,” and some instruction for men in “the ‘cultural’ art of belly dancing” (p. 24). The pictures accompanying the articles show some of these frivolities, which indeed assure us that “Orthodox” Americans are by no means behind their fellow countrymen in their pursuit of shamelessly inane entertainments—interspersed with solemn photographs of the Divine Liturgy. This mixture of the sacred and the frivolous is considered “normal” in “American Orthodoxy” today; this organization is (let us repeat the bishop’s words) “potentially the greatest spiritual force in all of American Orthodoxy.” But what spiritual preparation can a person bring to the Divine Liturgy when he has spent the previous evening celebrating the spirit of this world, and has spent many hours during the weekend at totally frivolous entertainments? A sober observer can only reply: Such a person brings the worldly spirit with him, worldliness is the very air he breathes; and therefore for him Orthodoxy itself enters into the “casual” American “life-style.” If such a person were to begin reading the Holy Fathers, which speak of a totally different way of life, he would either find them totally irrelevant to his own way of life, or else would be required to distort their teaching in order to make it applicable to his way of life.

Let us look now at a more serious “Orthodox” gathering, where the Holy Fathers are indeed mentioned: the yearly “Conferences” of the “Orthodox Campus Commission.” The Fall, 1975,issue of Concern magazine gives a number of photographs of the 1975 Conference, whose aim was entirely “spiritual”: the same “casual” spirit, with young ladies in shorts (which puts even the FROC Convention to shame!), and the priest delivering a “main address” with his hand in his pocket… and in such an atmosphere Orthodox Christians discuss such subjects as “The Holy Spirit in the Orthodox Church.” The same issue of Concern gives us an insight into what goes on in the minds of such outwardly “casual” people. A new “women’s liberation” column (with a title so deliberately vulgar that we need not repeat it here) is edited by a smart young convert: “When I converted to Orthodoxy, I felt that I was aware of most of the problems that I would meet in the Church. I knew of the scandalous ethnicism that divides the Church, of the quarrels and factions that plague parishes, and of the religious ignorance…” This columnist then proceeds to advocate the “reform” of the traditional forty-day period for “churching” a woman after childbirth, as well as other “old-world” attitudes which this “enlightened” modern American finds “unfair.” Perhaps she has never met a genuine Orthodox clergyman or layman who could explain to her the meaning or convey to her the tone of the authentic Orthodox way of life; perhaps if she did encounter such a one, she might not even wish to understand him, nor to comprehend that the worst of a convert’s “problems” today are not in the easily-criticized Orthodox environment at all, but rather in the mind and attitude of the converts themselves. The way of life reflected in Concern isnot the Orthodox way of life, and its very tone makes any approach to the Orthodox way of life almost impossible. Such periodicals and conferences reflect the majority of pampered, self-centered, frivolous young people of today who, when they come to religion, expect to find “spirituality with comfort,” something which is instantly reasonable to their immature minds which have been stupefied by their “modern education.” The young—and many older clergymen of today, themselves having been exposed to the worldly atmosphere in which young people are growing up—sometimes stoop to flattering the young people’s easy criticism of their elders and their Orthodox “ghettos,” and at best give powerless academic lectures on subjects far over their heads. Of what benefit is it to speak to such young people on “Deification” or “The Way of the Saints” (Concern, Fall, 1974)—concepts which, to be sure, are intellectually comprehensible to college students today, but for which they are emotionally and spiritually totally unprepared, not knowing the ABCs of what it means to struggle in the Orthodox life and separate oneself from one’s own worldly background and upbringing? Without such preparation and training in the ABC’s of spiritual life, and an awareness of the difference between worldliness and the Orthodox way of life, such lectures can have no fruitful spiritual result.

Seeing this background from which today’s young Orthodox Christians are emerging in America (and throughout the free world), one is not surprised to discover the general lack of seriousness in most works—lectures, articles, books—on Orthodox theology and spirituality today; and the message of even the best lecturers and writers in the “mainstream” of the Orthodox jurisdictions today seems strangely powerless, without spiritual force. On a more popular level also, the life of the ordinary Orthodox parish today gives an impression of spiritual inertia quite similar to that of today’s “Orthodox theologians.” Why is this?

The powerlessness of Orthodoxy as it is so widely expressed and lived today is doubtless itself a product of the poverty, the lack of seriousness, of contemporary life. Orthodoxy today, with its priests and theologians and faithful, has become worldly. The young people who come from comfortable homes and either accept or seek (the “native Orthodox” and “converts” being alike in this regard) a religion that is not remote from the self-satisfied life they have known; the professors and lecturers whose milieu is the academic world where, notoriously, nothing is accepted as ultimately serious, a matter of life or death; the very academic atmosphere of self-satisfied worldliness in which almost all ”retreats” and “conferences” and “institutes” take place—all of these factors join together to produce an artificial, hothouse atmosphere in which, no matter what might be said concerning exalted Orthodox truths or experiences, by the very context in which it is said and by virtue of the worldly orientation of both speaker and listener, it cannot strike to the depths of the soul and produce the profound commitment which used to be normal to Orthodox Christians. By contrast to this hothouse atmosphere, the natural Orthodox education, the natural transmission of Orthodoxy itself, occurs in what used to be accepted as the natural Orthodox environment: the monastery, where not only novices but also pious laymen come to be instructed as much by the atmosphere of a holy place as by the conversation of a particularly revered elder, the normal parish, if its priest is of the “old-fashioned” mentality, on fire with Orthodoxy and so desirous for the salvation of his flock that he will not excuse their sins and worldly habits but is always urging them to a higher spiritual life; even the theological school, if it is of the old type and not modelled on the secular universities of the West, where there is opportunity to make living contact with true Orthodox scholars who actually live their faith and think according to the “old school” of faith and piety. But all of this—what used to be regarded as the normal Orthodox environment—is now disdained by Orthodox Christians who are in harmony with the artificial environment of the modern world, and is no longer even part of the experience of the new generation. In the Russian emigration, the “theologians” of the new school, who are eager to be in harmony with intellectual fashion, to quote the latest Roman Catholic or Protestant scholarship, to adopt the whole “casual” tone of contemporary life and especially of the academic world—have been aptly called “theologians with a cigarette.” With equal justification one might call them “theologians over a wine glass,” or advocates of “theology on a full stomach” or “spirituality with comfort.” Their message has no power, because they themselves are entirely of this world and address worldly people in a worldly atmosphere—from all this it is not Orthodox exploits that come, but only idle talk and empty, pompous phrases.

An accurate reflection of this spirit on a popular level may be seen in a brief article written by a prominent layman of the Greek Archdiocese in America and published in the official newspaper of this jurisdiction. Obviously influenced by the ”patristic revival” which hit the Greek Archdiocese and its seminary some years ago, this layman writes: “The phrase ‘to be still’ is a much needed one today. It is actually an important part of our Orthodox tradition, but the fast world in which we live seems to crowd it out of our schedule.” To find this silence he advocates “making a beginning, even in our homes… At the table before eating, instead of a rote prayer why not a minute of silent prayer, and then jointly reciting the ‘Our Father’? We could also experiment with this in our parishes during the services. Nothing need be added or detracted. At the end of the service merely forego any audible prayer, chanting, singing or movement, and just stand in silence, each of us praying for God’s presence in our lives. Silence and body discipline are very much part of our Orthodox tradition. In centuries past it was called in the Eastern Church, the ‘hesychast movement’… To be still. That is a beginning toward the inner renewal we all need, and should be seeking.” (The Orthodox Observer, Sept. 17, 1975, p. 7.)

The author obviously means well, but like the Orthodox churches themselves today he is caught in a trap of worldly thinking which makes it impossible for him to see things in the normal Orthodox way. Needless to say, if one is going to read the Holy Fathers and undergo a “Patristic revival” only in order to fit into one’s schedule now and then a moment of purely outward silence (which is obviously filled inwardly with the worldly tone of one’s whole life outside of that moment!) and to inflate it with the exalted name of hesychasm—then it is better not to read the Holy Fathers at all, for this reading will simply lead us to become hypocrites and fakers, no more able than the Orthodox youth organizations to separate the sacred and the frivolous. In order to approach the Holy Fathers one must be striving to get out of this worldly atmosphere, after recognizing it for what it is. A person who is at home in the atmosphere of today’s Orthodox “retreats …, conferences,” and “institutes” cannot he at home in the world of genuine Orthodox spirituality, which has a totally different “tone” from that which is present in these typical expressions of “religious” worldliness. We must face squarely a painful but necessary truth: a person who is seriously reading the Holy Fathers and who is struggling according to his strength (even if on a very primitive level) to lead an Orthodox spiritual life—must be out of step with the times, must be a stranger to the atmosphere of contemporary “religious” movements and discussions, must be consciously striving to lead a life quite different from that reflected in almost all “Orthodox” books and periodicals today. All this, to be sure, is easier said than done; but there are some helps of a general nature which can aid us in this struggle. To these we shall return after a brief examination of yet one more pitfall to avoid in our study of the Holy Fathers.

THE THIRD PITFALL:

“ZEAL NOT ACCORDING TO KNOWLEDGE”(Rom. 10:2)

Given the powerlessness and insipidity of worldly “Orthodoxy” today, it is not surprising that some, even in the midst of worldly “Orthodox” organizations, should catch a glimpse of the fire of true Orthodoxy which is contained in the Divine services and in the Patristic writings, and, holding it as a standard against those who are satisfied with a worldly religion, should become zealots of true Orthodox life and faith. In itself, this is praiseworthy; but in actual practice it is not so easy to escape the nets of worldliness, and all too often such zealots not only show many signs of the worldliness they desire to escape, but also are led outside the realm of Orthodox tradition altogether into something more like a feverish sectarianism.

The most striking example of such “zeal not according to knowledge” is to be seen in the present-day “charismatic” movement. There is no need here to describe this movement.[5] Each issue of the “Orthodox charismatic” magazine, The Logos, makes it ever clearer that those among Orthodox Christians who have been drawn into this movement have no solid background in the experience of Patristic Christianity, and their apologies are almost entirely Protestant in language and tone. The Logos, to be sure, has quoted writings of St. Simeon the New Theologian and St. Seraphim of Sarov on the acquisition of the Holy Spirit; but the contrast between these true Orthodox teachings on the Holy Spirit and the Protestant experiences described in the same magazine is so glaring that it is obvious that there are two entirely different realities involved: one, the Holy Spirit, Who comes only to those struggling in the true Orthodox life, but not (in these latter times) in any spectacular way; and quite another, the ecumenist religious “spirit of the times,” which takes possession precisely of those who give up (or never knew) the “exclusive” Orthodox way of life and “open” themselves to a new revelation accessible to all no matter of what sect. One who is carefully studying the Holy Fathers and applying their teaching to his own life will be able to detect in such a movement the tell-tale signs of spiritual deception (prelest), and also will recognize the quite un-Orthodox practices and tone which characterize it.

There is also a quite unspectacular form of “zeal not according to knowledge” which can be more of a danger to the ordinary serious Orthodox Christian, because it can lead him astray in his personal spiritual life without being revealed by any of the more obvious signs of spiritual deception. This is a danger especially for new converts, for novices in monasteries—and, in a word, for everyone whose zealotry is young, largely untested by experience, and untempered by prudence.

This kind of zeal is the product of the joining together of two basic attitudes. First, there is the high idealism which is inspired especially by accounts of desert-dwelling, severe ascetic exploits, exalted spiritual states. This idealism in itself is good, and it is characteristic of all true zealotry for spiritual life; but in order to be fruitful it must be tempered by actual experience of the difficulties of spiritual struggle, and by the humility born of this struggle if it is genuine. Without this tempering it will lose contact with the reality of spiritual life and be made fruitless by following—to cite again the words of Bishop Ignatius—”an impossible dream of a perfect life pictured vividly and alluringly in his imagination.” To make this idealism fruitful one must find out how to follow the counsel of Bishop Ignatius: “Do not trust your thoughts, opinions, dreams, impulses or inclinations, even though they offer you or put before you in an attractive guise the most holy monastic life” (The Arena, ch. 10).

Second, there is joined to this deceptive idealism, especially in our rationalistic age, an extremely critical attitude applied to whatever does not measure up to the novice’s impossibly high standard. This is the chief cause of the disillusionment which often strikes converts and novices after their first burst of enthusiasm for Orthodoxy or monastic life has faded away. This disillusionment is a sure sign that their approach to spiritual life and to the reading of the Holy Fathers has been one-sided, with an over-emphasis on abstract knowledge that puffs one up, and a lack of emphasis or total unawareness of the pain of heart which must accompany spiritual struggle. This is the case with the novice who discovers that the rule of fasting in the monastery he has chosen does not measure up to that which he has read about among the desert Fathers, or that the Typicon of Divine services is not followed to the letter, or that his spiritual father has human failings like anyone else and is not actually a “God-bearing Elder”; but this same novice is the very first one who would collapse in a short while under a rule of fasting or a Typicon unsuited to our spiritually feeble days, and who finds it impossible to offer the trust to his spiritual-father without which he cannot be spiritually guided at all. People living in the world can find exact parallels to this monastic situation in new converts in Orthodox parishes today.

The Patristic teaching on pain of heart isone of the most important teachings for our days when “head-knowledge” is so much over-emphasized at the expense of the proper development of emotional and spiritual life. This will be discussed in the appropriate chapters of this Patrology. The lack of this essential experience is what above all is responsible for the dilettantism, the triviality, the want of seriousness in the ordinary study of the Holy Fathers today; without it, one cannot apply the teachings of the Holy Fathers to one’s own life. One may attain to the very highest level of understanding with the mind the teaching of the Holy Fathers, may have “at one’s fingertips” quotes from the Holy Fathers on every conceivable subject, may have “spiritual experiences” which seem to be those described in the Patristic books, may even know perfectly all the pitfalls into which it is possible to fall in spiritual life—and still, without pain of heart, one can be a barren fig tree, a boring “know-it-all” who is always “correct,” or an adept in all the present-day “charismatic” experiences, who does not know and cannot convey the true spirit of the Holy Fathers.

All that has been said above is by no means a complete catalogue of the ways not to read or approach the Holy Fathers. It is only a series of hints as to the many ways in which it is possible to approach the Holy Fathers wrongly, and therefore derive no benefit or even be harmed from reading them. It is an attempt to warn the Orthodox Christian that the study of the Holy Fathers is a serious matter which should not be undertaken lightly, according to any of the intellectual fashions of our times. But this warning should not frighten away the serious Orthodox Christian. The reading of the Holy Fathers is, indeed, an indispensable thing for one who values his salvation and wishes to work it out with fear and trembling; but one must come to this reading in a practical way so as to make maximum use of it.

Endnotes

1. Archimandrite Demetrius Trakatellis, “St. Neilus on Prayer,” Sobornost, 1966, Winter-Spring, page 84.

2. Diakonia, 1974, no. 4, pages 380, 392.

3. Fr. Thomas Hopko, in St. Vladimir’s Theological Quarterly, 1969, no. 4, p. 225, 231.

4. St. Vladimir’s Theological Quarterly, 1969, no. 3, p. 164.

5.  A detailed description may be read in Orthodoxy and the Religion of the Future, St. Herman of Alaska Brotherhood, 1975.

From The Orthodox Word, Vol. 11, No. 6 (Nov.-Dec., 1975), 228-239.  It appears to have been the start of a book entitled The Holy Fathers of Orthodox Spirituality.  Unfortunately, this series ended with this third installment.

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