2 APRILE

Dal Prologo di Ohrid opera di Nikolaj Velimirovic

02 Aprile secondo il vecchio calendario della Chiesa

  1. IL VENERABILE TITO, L’OPERATORE DI MIRACOLI

Fin dalla giovinezza, Tito amò Cristo Signore e detestò le vanità del mondo. Per questo si ritirò dal mondo, entrò in un monastero e ricevette il Grande Abito Angelico [Il Grande Schema – Il Volto Angelico]. Non provando alcun rimorso, si dedicò al cupo e stretto sentiero del monachesimo. Attraverso una grande pazienza, raggiunse due virtù fondamentali: l’umiltà e l’obbedienza. In queste virtù superò “non solo i fratelli, ma anche tutti gli uomini”. Fin dalla giovinezza conservò la purezza dell’anima e del corpo. Al tempo dell’eresia iconoclasta si dimostrò un pilastro incrollabile della Chiesa di Dio. Per la sua grande umiltà e purezza, Dio gli concesse il dono di compiere miracoli, sia in vita che dopo la sua morte. Quando fu tradotto al Signore, lasciò un innumerevole numero di discepoli. Morì serenamente nel IX secolo.

  1. I SANTI MARTIRI ANFIANO ED EDESIO

Questi due giovani erano fratelli di sangue della città di Patara, di genitori illustri ma pagani. Mentre studiavano le scienze secolari nella città di Beirut, furono illuminati dallo Spirito di Dio e, riconoscendo la falsità del paganesimo, scoprirono la verità del cristianesimo. Tornati in patria, non potendo più vivere con i loro genitori e parenti pagani, si rifugiarono segretamente a Cesarea, in Palestina, presso il presbitero Panfilo, noto per la sua santità e la sua cultura spirituale. Con Panfilo studiarono la Legge di Dio giorno e notte e praticarono l’ascetismo cristiano. Di Panfilo si dice che aveva vent’anni secondo la carne, ma che, per comprensione e generosità, ne aveva cento. Quando iniziò una persecuzione durante il regno di Massimiano, molti cristiani fuggirono dalla città e si nascosero. Altri, volentieri e con gioia, si diedero nelle mani dei persecutori per soffrire per il Nome di Colui che per primo aveva sofferto per loro. Anfiano era tra questi ultimi. Senza paura, entrò in un tempio pagano dove il principe Urbano stava offrendo sacrifici agli idoli, afferrò il principe per la mano che reggeva il sacrificio e gli gridò di astenersi dal servire e fare offerte sacrificali agli idoli morti e di riconoscere il vero Dio. Alcuni dei pagani, udite queste parole e visto il grande coraggio di Anfiano, si pentirono e abbracciarono la fede di Cristo. Il principe infuriato sottopose Anfiano a tortura. Tra le altre torture, avvolsero le gambe di Anfiano con del cotone e gli diedero fuoco. Quando rimase vivo, gettarono il suo corpo in mare con una pietra al collo. Il mare si agitò e scagliò il suo corpo martirizzato verso la città. Invece, in un primo momento, Edesio fu mandato in una miniera di carbone in Palestina e poi fu portato in Egitto. Ad Alessandria, Edesio fu riempito di santo zelo contro un certo principe Gerocle che, nella piazza del mercato, radunava monache, fanciulle e donne virtuose cristiane e le consegnava ai più vergognosi pervertiti per deriderle. Edesio, pieno di santo zelo, colpì il vergognoso principe. Per questo fu torturato e annegato in mare, così come suo fratello Anfiano. Come due agnelli innocenti, furono sacrificati per Cristo intorno all’anno 306 d.C. e furono tradotti nelle gloriose dimore del Signore.

Inno di lode
SANTI ANFIANO ED EDESIO

Come sacrificio, due fratelli si sono offerti a Dio,
disprezzando il mondo in decomposizione, un cadavere morto,
Anfiano ed Edesio, fratelli di sangue,
nelle sofferenze, fratelli meravigliosi, graditi a Cristo.
Chi ha fede in Dio, non apprezza il mondo,
Per un’anima morta, il mondo può sostituire Dio.
Chi ha amore per Cristo, della morte non ha paura,
Tra gli immortali e anche prima della morte, è già annoverato.
Chiunque consideri la morte come una fine tetra, una fine ingloriosa,
deve considerarsi schiavo della disperazione.
La morte; i martiri la consideravano il velo del cielo,
Un esempio che hanno dato; che non è necessario temere la morte.
Non temere, o uomo, che non ci sia il cielo.
ma temere il terribile giudizio che il cielo prepara.
Per un peccatore sarebbe più facile se il cielo non esistesse,
Per questo il peccatore si interroga con rabbia:
Ma il cielo, dov’è?
O peccatore, il cielo non è lì, dove sei tu,
Insieme, tu e il cielo non sarete mai.

Riflessione
“È meglio essere un sempliciotto e avvicinarsi a Dio con amore che essere un saputello e, allo stesso tempo, essere un nemico di Dio”. Queste sono le parole del sacerdote-martire San Ireneo di Lione. La verità di queste parole è stata confermata in tutti i tempi ed è confermata anche nel nostro tempo. A questo va aggiunta una cosa: gli amanti di Dio non sono dei sempliciotti, perché conoscono Dio abbastanza bene da poterlo amare. Di tutte le conoscenze umane, questa conoscenza è più importante e più grande. A questo si deve aggiungere che i nemici di Dio non possono essere più sapienti, anche se si considerano tali, perché la loro conoscenza è inevitabilmente caotica, perché non ha una fonte e non ha un ordine. Perché la fonte e l’ordine di ogni conoscenza è Dio. Alcuni santi, come Paolo il Semplice, non sapevano né leggere né scrivere, eppure con la forza del loro spirito e del loro amore divino superavano il mondo intero. Chi si avvicina a Dio con amore, non è capace di commettere reati. La conoscenza senza amore verso Dio è motivata dallo spirito di criminalità e di guerra. Sant’Eutimio il Grande insegnava: “Abbiate amore, perché come il sale è per il cibo, l’amore è per ogni virtù”. Ogni virtù è insapore e fredda se non è condita e riscaldata dall’amore divino.

Contemplazione
Contemplare il Signore Gesù nell’Ade:

  1. Come il suo piano di salvezza sia onnicomprensivo, abbracciando tutte le generazioni e tutte le epoche, dall’inizio alla fine;
  2. Come sia venuto sulla terra in carne e ossa, non solo per coloro che vivevano allora sulla terra, ma anche per coloro che vivranno e per coloro che sono vissuti;
  3. Come Egli, mentre il Suo corpo senza vita giaceva nel sepolcro, discese nell’Ade con la Sua anima e annunciò la salvezza e la redenzione ai prigionieri.

Omelia
Sul Dio vivente e sui suoi figli viventi

“Dunque, sia che viviamo sia che moriamo, siamo del Signore” (Romani 14,8).

Di chi siamo mentre viviamo? Siamo del Signore. Di chi siamo dopo la morte? Siamo del Signore. Di chi sono i giusti? Sono del Signore. Di chi sono i peccatori? Sono del Signore. Il Signore abbraccia tutti, sia i vivi che i morti, quelli del passato, quelli del presente e quelli del futuro. Nessuno è così onnicomprensivo come il Signore Gesù. Chi, tra i cosiddetti filantropi dell’umanità, insegnanti, leader o illuminatori, ha mai tentato di fare del bene ai morti? Si può rispondere con decisione: mai e nessuno! Questo solo pensiero sarebbe ridicolo anche agli occhi del mondo: fare qualcosa di buono per i morti? Questo diverte tutti coloro che pensano che la morte sia più potente di Dio e che ciò che la morte inghiotte sia distrutto per sempre. Preoccuparsi dei morti, fare del bene ai morti ha cessato di essere divertente dopo la rivelazione del Signore Gesù, che ha rivelato di essere Dio, il Dio dei vivi; che ha rivelato nelle sue opere, scendendo nell’Ade per redimere e salvare le anime dei giusti dal tempo di Adamo fino alla sua morte sulla croce.

Onnipotente è il nostro Signore, Onnipotente che, con il Suo pensiero perspicace, riflette su tutti e vede tutti i nati di donna, quelli che sono sopra le tombe e quelli che sono nelle tombe. Lo stesso vale per il Suo amore, perché abbraccia tutte le anime dei giusti, indipendentemente dal tempo e dal luogo che le nascondono. Infine, anche con le sue fatiche, perché lavora per tutti loro, per redimerli, per salvarli, per condurli nel regno e per glorificarli davanti al suo Padre celeste, allo Spirito vivificante e alle miriadi di angeli santi.

A Te sia gloria e grazie sempre. Amen.

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