Il Mercurion (MepKoùpiov) raccontato da Wilma Fittipaldi
FONTE: https://orsomarsoblues.it/2016/11/mercurion-mepkoupiov-raccontato-wilma-fittipaldi/
L’origine del toponimo Mercurion ha fatto molto discutere e potrebbe essere riferita a Mercurio (da mercari, commerciare, e da merx, mercé), dio dei commerci e protettore dei mercanti. Non a caso a Cirella, l’antica Cerillae, nella zona costiera non lontana dalle grotte paleolitiche, sorgeva un tempio dedicato a Mercurio, i cui resti sono stati distrutti negli anni Sessanta del XX secolo. Il termine potrebbe riferirsi anche a San Mercurio (vedi Appendice 2) di Cappadocia, precisamente di Cesarea (patria anche di San Basilio). I primi a diffondere il culto del santo furono i monaci bizantini.
II dibattutto termine Mercurion potrebbe derivare dal nome con cui è designato il fiume Lao nel suo corso superiore: nasce dal monte Pollino, alle falde della Serra Vocolio (Viggianello, in provincia di Potenza) come Mercure; dopo pochi chilometri entra in territorio calabrese presso Laino (Cosenza), riceve le acque dei fiumi Battendiero e Jannello, accoglie anche quelle del Fiumara e del S. Giovanni, con cui si immette come Lao in Calabria. Nei pressi del comune calabrese di Orsomarso accoglie le acque dell’Argentino, suo principale tributario, e dopo le spettacolari gole allargando decisamente il proprio alveo e diramandosi in svariati bràcci secondari sfocia nel mar Tirreno presso Scalea (Cosenza). La connessione topografica tra questi luoghi citati ci giunge nell’XI secolo dal trattato di cartografia araba di Abù Abdallah Moammad-ash-Sharif al-ldrisi as Siqill (1059-1164), II Nuzhat al mushtaq fi ikhiraq alafaq (La delizia per chi brama percorrere le regioni), meglio conosciuto come Kitab Rugiar (Libro di Ruggero) che riferisce quanto segue: «II wadi Laniah (il fiume Laino, il Lao) ha le sorgenti avanti a m.rkurì (Mercurio), di là scende alla regione che è di fronte a.d. sqaliah (Scalea) al mare».
A parere di alcuni studiosi il fiume avrebbe tratto l’idronomo Mercure da Castello, il Kàstron Merkourìon, identificabile in un antico borgo fortificato medievale; di cui restano solo avanzi di muri che sostenevano terrazzamenti, oggi appena visibili sulla strada dove sorge la chiesa di Santa Maria di Mércurì. La citazione del Kàstron si ritrova anche in due aneddoti relativi alla vita intensa di San Saba: 1) il santo era nel monastero di San Michele fondato da lui e dalla famiglia sull’altura della Serra Bonangelo, insieme a quello di Santo Stefano, ad Oriente del ‘castello di Mercurio’, quando scacciò le locuste che infestavano il territorio del Mercurion; 2} «nel ritorno da Laino a quel di Lagonegro» avrebbe guarito «un figliuolo ch’avea il capo attratto, ed un figlioulo del Castello di Mercurio…”.
Secondo lo storico Gaetani, il ‘castello’, menzionato anche nelle Bolle di Urbano II del 1089, di Pasquale III, di Eugenio III e di Alessandro III, è da identificare con la cìvitas Mercuria che l’autore del bios di San Leon-Luca di Corleone cita come collocata presso Orsomarso: sarebbe ad ovest di Castrovillari e presso la località di ‘San Giovanni di Mercurio’.
Gli eventi della provincia monastica del Mercurion sono in rapporto inscindibile con l’antico fiume Lao (Laos, Λαός), presso la cui foce sorgeva l’omonima città distrutta. Fu la prima provincia ad ospitare i monaci in fuga dall’Oriente dove era scoppiata la controversia sulle immagini, presto estesa all’Occidente: dall’Vlll secolo fu inferto un duro colpo alle relazioni tra Roma e Bisanzio, il cui imperatore Leone III Isaurico (717-741) ordinò la confisca dell’intero patrimonio della Chiesa romana in tutti i territori bizantini ed in particolare in quelli del Meridione, decretando poi il passaggio di tutte le diocesi dell’Illirico e di Sicilia dalla giurisdizione romana al patriarcato ecumenico di Costantinopoli.
Ai flussi migratori causati dalla lotta alle immagini, fece seguito l’ondata monastica del X ed XI secolo proveniente dalla Sicilia caduta sotto il dominio arabo, ondata che fece del Mercurion un centro intensissimo di vita ascetica, al pari di quello greco del monte Athos e di Meteora. Molte fonti agiografiche lo paragonano persino all’Olympios, la Sacra Montagna della Bitinia, nonché alla Tebaide. A giusta causa la Calabria fu definita ‘Nuova Tebaide’ dal Barrio e dall’Ughelli, per l’analogia con l’antica regione egizia (con capitale Tebe), dove ebbe origine e fiorì il monachesimo. Fu allora che in questa regione giunsero i nomi più noti dell’agiografia italo-greca come Cristoforo (proveniente da Collesano, insieme ai figli Saba e Macario, e alla moglie Cali, tutti dediti alla vita religiosa), San Vitale di Castronovo, San Leoluca di Corleone, San Luca di Demenna, ai quali si aggiunsero i grandi asceti locali come San Fantino, San Zaccaria, San Luca d’Armento ed altri ancora.
Su tutti spicca la personalità di San Nilo di Rossano, considerato la figura più rappresentativa della regione calabra, cui fanno corona numerosi discepoli come Bartolomeo, Giorgio e Stefano da Rossano. Le vite di questi santi basiliani relativamente al X secolo ci presentano una regione tutta bizantina. Qui si svilupparono i vari tipi di vita monastica nelle grotte per l’eremitaggio, nelle laure e nei cenobi (la cui realizzazione richiese anni di lavoro). L’asceta Saba di Collesano ne fondò diversi, nei pressi di Santa Domenica Talao, di Papasidero e di Scalea, mantenendo rapporti con altri monasteri indipendenti, come ad esempio quelle dei Marcani presso Papasidero. I meriti degli asceti calabro-lucani furono molteplici nella trasmissione della cultura greco-bizantina. In tutti i monasteri del Mercurion e del Latinianon si raccolse un notevole patrimonio di manoscritti greci, che purtroppo vennero dispersi, a volte bruciati. Dal bios di San Nilo si apprende che il santo spesso mandava frati a Rossano per rifornirsi di ‘membrane’ (cartapecora per farne pergamene).
Nei monasteri del Mercurion gli studi furono fiorenti. Qui era professata la Regola di San Teodoro lo Studita, pubblicata dal cardinale Angelo Mai (1854): stabiliva che, nei giorni in cui non si lavorava, un segnale del bibliotecario intimava a tutti i monaci di raccogliersi nella biblioteca e prendere un libro da leggere fino al vespro.
Simbolo della regione monastica del Mercurion può considerarsi la chiesa di Santa Maria di Mercuri, che sorge non molto distante da Orsomarso tra la fitta vegetazione. La sua scenografica presenza è resa ancora più affascinante per la posizione a strapiombo sulla sinistra del Lao, con muri perimetrali impostati direttamente sulla rupe. La sua sobria linearità sintetizza le tipologie consolidate dalla tradizione bizantina: la navata termina con un’abside semicircolare ad est, dove sorge il sole, metafora della luce divina. Sul lato sinistro di Santa Maria di Mercuri (XI secolo) è presente una dicitura che attesta l’appartenenza di questa chiesa alla diocesi di Temesa (l’antica città citata da Omero, Odissea Libro I, vv. 180 ss.), poi Tempsa. Tra la fitta vegetazione che circonda la chiesa affiorano modesti resti del castello di Mercurio, appena visibili tra la fitta vegetazione sulla sinistra del Lao. Dall’alto della rupe si domina una vasta vallata, il letto del fiume Lao e la confluenza del suo affluente, l’Argentino.
Quanto asserito relativamente al Castello ed alla civitas trova conferma nelle pergamene e nei documenti pontifici che attestano anche la concessione e la conferma di monasteri mercuriensi alla Badia di Cava.
Studiando la storia del territorio descritto ci si imbatte in ipotesi, non accolte, secondo le quali la regione monastica mercuriense sarebbe sorta nella Calabria meridionale, tra Palmi e Seminara (V. Saletta, A. Agresta, fra’ Giovanni da Fiore, N. Leone ed i Bollantisti) o tra Metauria e Tauriana, facendo riferimento ad una costruzione in loco sacra al dio Mercurio o a San Mercurio di Cesarea (tra le contrade di Sidaro e Prato).
L’antico Mercurion corrisponde invece ai comuni attuali del bacino del fiume Mercure e della media e bassa valle del fiume Lao. Ancora oggi le comunità di questo territorio trasmettono una propria spiritualità per la tradizioni di cui sono depositarie, per la vita permeata di fede trasmessa dagli asceti che le hanno abitate.
Fonte: “LA PRESENZA BIZANTINA NELLA LUCANIA E NEL MERIDIONE D’ITALIA”, di W. Fittipaldi, Zaccara Editore