ARSENIO

ἀββᾶς Ἀρσένιος

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1. Mentre viveva ancora nel palazzo, Abba Arsenio pregò Dio con queste parole: “Signore, guidami sulla via della salvezza”. E una voce gli disse: “Arsenio, fuggi dagli uomini e sarai salvato”.

2. Dopo essersi ritirato nella vita solitaria, fece di nuovo la stessa preghiera e udì una voce che gli diceva: “Arsenio, fuggi, taci, mantieni l’esichia, perché queste sono le sorgenti dell’assenza di peccato”.

3. Accadde che, mentre Abba Arsenio era seduto nella sua cella, fu assalito dai demoni. I suoi servi, al loro ritorno, stavano fuori dalla sua cella e lo sentirono pregare Dio con queste parole: “O Dio, non abbandonarmi! Non ho fatto nulla di buono al tuo cospetto, ma secondo la tua bontà, fammi iniziare”.

4. Si diceva di lui che, come nessuno a corte aveva indossato abiti più splendidi dei suoi quando vi abitava, così nessuno nella Chiesa indossava abiti così poveri.

5. Qualcuno disse al beato Arsenio: “Come mai noi, con tutta la nostra istruzione e la nostra vasta conoscenza, non arriviamo da nessuna parte, mentre questi contadini egiziani acquisiscono tante virtù?”. Abba Arsenio gli rispose: “Noi non otteniamo nulla dalla nostra istruzione secolare, ma questi contadini egiziani acquisiscono le virtù con il duro lavoro”.

6. Un giorno Abba Arsenio consultò un vecchio monaco egiziano sui propri pensieri. Qualcuno se ne accorse e gli disse: “Abba Arsenio, come mai tu, che hai una così buona istruzione latina e greca, chiedi a questo contadino informazioni sui tuoi pensieri? Egli rispose, Ho imparato il latino e il greco, ma non conosco nemmeno l’alfabeto di questo contadino”.

7. Il beato arcivescovo Teofilo, accompagnato da un magistrato, un giorno andò a cercare Abba Arsenio. Interrogò l’anziano, per sentire una parola da lui. Dopo un breve silenzio, l’anziano gli rispose: “Metterete in pratica ciò che vi dico?”. Gli promisero questo. Se sentirete che Arsenio è da qualche parte, non andateci”.

8. Un’altra volta l’arcivescovo, intenzionato a venire a trovarlo, mandò qualcuno a vedere se l’anziano lo avrebbe ricevuto. Arsenio gli disse: “Se vieni, ti riceverò; ma se ricevo te, dovrò ricevere tutti e quindi non potrò più vivere in questo luogo”. Sentendo questo, l’arcivescovo disse: “Se lo scaccio andando da lui, non ci andrò più”.

9. Un fratello interrogò Abba Arsenio per avere una parola da lui e l’anziano gli disse: “Sforzati con tutto te stesso affinché la tua attività interiore sia in accordo con Dio e vincerai così le passioni esteriori”.

10. Ha anche detto: “Se cerchiamo Dio, egli si mostrerà a noi, e se lo custodiamo, resterà vicino a noi”.

11. Qualcuno disse ad Abba Arsenio: “I miei pensieri mi disturbano, dicendo: Non puoi né digiunare né lavorare; almeno vai a visitare i malati, perché anche questa è carità”. Ma il vecchio, riconoscendo le suggestioni dei demoni, gli disse: “Vai, mangia, bevi, dormi, non lavorare, ma non uscire dalla tua cella”. Sapeva infatti che la costanza nella cella mantiene un monaco sulla retta via.

12. Abba Arsenio era solito dire che un monaco in viaggio all’estero non deve farsi coinvolgere in nulla; così rimarrà in pace.

13. Abba Marco disse ad Abba Arsenio: “Perché ci eviti?”. L’anziano gli rispose: “Dio sa che vi amo, ma non posso vivere con Dio e con gli uomini. Le migliaia e le diecimila schiere celesti hanno una sola volontà, mentre gli uomini ne hanno molte. Quindi non posso lasciare Dio per stare con gli uomini”.

14. Abba Daniele disse di Abba Arsenio che era solito passare tutta la notte senza dormire, e al mattino presto, quando la natura lo costringeva ad andare a dormire, diceva al sonno: “Vieni qui, servo malvagio”. Poi, seduto, strappava un po’ di sonno e si risvegliava subito.

15. Abba Arsenio diceva che un’ora di sonno è sufficiente per un monaco se è un buon combattente.

16. L’anziano raccontava che un giorno qualcuno aveva consegnato a Scete alcuni fichi secchi. Poiché erano di poco conto, nessuno ne portò ad Abba Arsenio per non offenderlo. Avendo capito questo, l’anziano non si presentò alla sinassi dicendo: “Mi avete scacciato non dandomi una parte della benedizione che Dio ha dato ai fratelli e che non ero degno di ricevere”. Tutti lo seppero e furono edificati dall’umiltà dell’anziano. Allora il sacerdote andò a prendergli i piccoli fichi secchi e glieli portò e poi lo condusse alla sinassi con gioia.

17. Abba Daniele diceva: “Ha vissuto con noi per molti anni e ogni anno gli portavamo solo un cesto di pane e quando andavamo a cercarlo l’anno successivo mangiavamo un po’ di quel pane”.

18. Dello stesso Abba Arsenio si diceva che cambiava l’acqua per le foglie di palma solo una volta all’anno; il resto del tempo la aggiungeva semplicemente. Un anziano lo implorava con queste parole: “Perché non cambi l’acqua di queste foglie di palma quando puzza? Gli rispose: “Al posto dei profumi e degli aromi che ho usato nel mondo, ora devo sopportare questo cattivo odore”.

19. Abba Daniele raccontava che quando Abba Arsenio sapeva che qualche varietà di frutta era matura, diceva: “Portatemene un po’”. Ne assaggiava pochissima, una sola volta, ringraziando Dio.

20. Una volta a Scete, Abba Arsenio era malato e non aveva neanche uno straccio di lino. Non avendo nulla con cui comprarlo, ne ricevette un po’ grazie alla carità di un altro e disse: “Ti rendo grazie, Signore, per avermi considerato degno di ricevere questa carità in tuo nome”

21. Si diceva di lui che la sua cella era a trentadue miglia di distanza e che non la lasciava volentieri: altri, infatti, facevano per lui le commissioni. Quando Scete fu distrutta se ne andò piangendo e disse: “Il mondo ha perso Roma e i monaci hanno perso Scete”.

22. Abba Marco chiese ad Abba Arsenio: “È bene non avere nulla di superfluo nella cella? Conosco un fratello che aveva delle piante e le ha tirate via”. Abba Arsenio rispose: “Indubbiamente è una cosa buona, ma deve essere fatto secondo le capacità dell’uomo. Perché se egli non ha la forza per questa pratica, presto ne pianterà altre”.

23. Abba Daniele, discepolo di Abba Arsenio, raccontò questo: “Un giorno mi trovai vicino ad Abba Alessandro ed egli era pieno di dolore. Si sdraiò e fissò l’aria a causa del suo dolore. Ora accadde che il beato Arsenio venne a parlare con lui e lo vide sdraiato. Durante la loro conversazione gli disse: “E chi era quell’uomo del mondo che ho visto qui?”. Abba Alessandro rispose: “Dove l’hai visto?” Egli rispose: “Mentre scendevo dalla montagna, ho gettato lo sguardo in questa direzione, verso la grotta e ho visto un uomo disteso supino che guardava in aria”. Così Abba Alessandro fece penitenza, dicendo: “Perdonami, sono stato io; sono stato sopraffatto dal dolore”. L’anziano gli disse: “Bene, allora sei stato tu? Bene; pensavo che fosse un laico ed è per questo che te l’ho chiesto”.

24. Un’altra volta Abba Arsenio disse ad Abba Alessandro: “Quando avrai tagliato le tue foglie di palma, vieni a mangiare con me, ma se vengono dei visitatori, mangia con loro”. Abba Alessandro lavorò lentamente e con attenzione. Quando arrivò il momento, non aveva ancora tagliato le foglie di palma e, volendo seguire le istruzioni del vecchio, aspettò di tagliarle. Quando Abba Arsenio vide che era in ritardo, mangiò, pensando che avesse avuto ospiti. Ma Abba Alessandro, quando finalmente ebbe finito, se ne andò. E il vecchio gli disse: “Hai avuto visite?” “No”, rispose. Allora perché non sei venuto?”. L’altro rispose: “Mi hai detto di venire quando avrei tagliato le foglie di palma; e seguendo le tue istruzioni, non sono venuto, perché non avevo finito”. L’anziano si meravigliò della sua esattezza e gli disse: “Interrompi subito il tuo digiuno per celebrare senza problemi la sinassi e bevi un po’ d’acqua, altrimenti il tuo corpo ne soffrirà presto”.

25. Un giorno Abba Arsenio giunse in un luogo in cui c’erano delle canne che ondeggiavano per il vento. Il vecchio disse ai fratelli: “Cos’è questo frastuono?”. Essi risposero: “Alcune canne”. Allora il vecchio disse loro Quando uno vive in preghiera silenziosa e sente il canto di un passerotto, il suo cuore non ha più la stessa pace. Quanto è peggio per voi se sentite il frastuono di quelle canne”.

26. Abba Daniele raccontò che alcuni fratelli, proponendo di andare nella Tebaide per trovare del lino, dissero: “Approfittiamo dell’occasione per vedere anche Abba Arsenio”. Così Abba Alessandro venne a dire all’anziano: “Alcuni fratelli venuti da Alessandria desiderano vederti”. Il vecchio rispose: “Chiedi loro perché sono venuti”. Avendo saputo che andavano nella Tebaide a cercare il lino, lo riferì all’anziano che rispose: “Non vedranno certo il volto di Arsenio perché non sono venuti per causa mia, ma per il loro lavoro”. Falli riposare e mandali via in pace e dì loro che l’anziano non può riceverli”.

27. Un fratello giunse alla cella di Abba Arsenio a Scete. Aspettando fuori dalla porta, vide l’anziano tutto come una fiamma (il fratello era degno di questo spettacolo). Quando bussò, il vecchio uscì e vide il fratello meravigliato. Gli disse: “Hai bussato a lungo? Hai visto qualcosa qui?”. L’altro rispose: “No”. Allora parlò con lui e lo mandò via.

28. Quando Abba Arsenio viveva a Canopo, una vergine di rango senatoriale, molto ricca e timorata di Dio, venne da Roma a trovarlo. Quando l’arcivescovo Teofilo la incontrò, gli chiese di persuadere l’anziano a riceverla. Così egli glielo chiese con queste parole: “Una certa persona di rango senatoriale è venuta da Roma e desidera vederti”. L’anziano rifiutò di riceverla. Ma quando l’arcivescovo lo disse alla giovane, lei ordinò di sellare la bestia da soma dicendo: “Confido in Dio che lo vedrò, perché non è un uomo quello che sono venuta a vedere (ce ne sono molti nella nostra città), ma un profeta”. Quando giunse alla cella dell’anziano, per una dispensa di Dio, egli era fuori dalla cella. Vedendolo, si gettò ai suoi piedi. Indignato, egli la sollevò e le disse, guardandola fisso: “Se vuol vedere il mio volto, eccolo qui, guardate”. Lei si coprì di vergogna e non guardò il suo volto. Allora il vecchio le disse: “Non ha sentito parlare del mio stile di vita? Dovrebbe essere rispettato. Come osa fare un viaggio del genere? Non si rende conto che è una donna e che non può andare dappertutto? O forse lo ha fatto perché tornando a Roma possa dire alle altre donne: Ho visto Arsenio? Allora il mare diventerà come una un’arteria stradale con le donne che vengono a vedermi”. Lei rispose: “Piaccia al Signore, non permetterà a nessuno di venire qui; ma preghi per me e si ricordi sempre di me”. Ma egli le rispose: “Io prego Dio di allontanare il vostro ricordo dal mio cuore”. Sconvolta all’udire queste parole, si ritirò. Quando tornò in città, nel suo dolore si ammalò di febbre e il beato arcivescovo Teofilo fu informato della sua malattia. Venne a trovarla e le chiese di dirgli qual era il problema. Lei gli disse: “Se solo non fossi andata lì! Poiché ho chiesto al vecchio di ricordarsi di me, mi ha detto: ‘Prego Dio di togliere il suo ricordo dal mio cuore’. Così ora sto morendo di dolore”. L’arcivescovo le disse: “Non si rende conto che lei è una donna e che è proprio attraverso le donne che il nemico guerreggia contro i santi? Questo è il motivo delle parole dell’anziano; ma per quanto riguarda la vostra anima, egli pregherà continuamente per lei”. A questo punto il suo spirito fu guarito e tornò a casa con gioia.

29. Abba Davide raccontò questa storia di Abba Arsenio. Un giorno arrivò un magistrato venne a portargli il testamento di un senatore, membro della sua famiglia, che gli aveva lasciato un’eredità molto grande. Arsenio lo prese e stava per distruggerlo. Ma il magistrato si gettò ai suoi piedi dicendo: “Vi prego, non distruggetelo o mi taglieranno la testa”. Abba Arsenio gli disse: “Ma io sono morto già molto tempo prima di questo senatore che è appena morto”, e gli restituì il testamento senza accettare nulla.

30. Di lui si diceva anche che il sabato sera, per prepararsi alla gloria della domenica, volgeva le spalle al sole e alzava le mani in preghiera verso il cielo, finché ancora una volta il sole non splendeva sul suo volto. Poi si sedeva.

31. Di Abba Arsenio e di Abba Teodoro di Pherme si diceva che, più di tutti gli altri, essi bistrattavano la stima degli altri uomini. Abba Arsenio non incontrava facilmente le persone, mentre Abba Teodoro era affilato come una spada quando incontrava qualcuno.

32. Nei giorni in cui Abba Arsenio viveva nel Basso Egitto, era continuamente disturbato e quindi ritenne opportuno lasciare la sua cella. Senza portare via nulla, si recò dai suoi discepoli a Pharan, Alessandro e Zoilo. Disse ad Alessandro: “Alzati e sali sulla barca”, cosa che egli fece. E disse a Zoilo: “Vieni con me fino al fiume e trovami una barca che mi porti ad Alessandria; poi imbarcati per raggiungere tuo fratello”. Zoilo fu turbato da queste parole, ma non disse nulla. Così si separarono. L’anziano scese nelle regioni di Alessandria dove si ammalò gravemente. I suoi discepoli si dissero l’un l’altro: “forse uno di noi ha infastidito il vecchio e per questo si è allontanato da noi?”. Ma non trovarono nulla di cui rimproverarsi né alcuna disobbedienza. Una volta guarito, l’anziano disse: “Tornerò dai miei padri”. Risalendo la corrente, giunse a Petra, dove si trovavano i suoi discepoli. Mentre era vicino al fiume, una ragazzina etiope si avvicinò e toccò il suo mantello di lana. Il vecchio la rimproverò e lei rispose: “Se sei un monaco, vai sulla montagna”. L’anziano, preso da pentimento a queste parole, diceva fra sé: «Arsenio, se sei monaco, vai sui monti». Mentre pensava a ciò, gli vennero incontro Alessandro e Zoilo che si gettarono ai suoi piedi e anche il vecchio cadde con loro e piansero insieme. Il vecchio disse loro: “Non avete sentito che ero malato?”. Risposero: “Sì”. “Allora”, continuò, “perché non siete venuti a trovarmi?”. Abba Alessandro disse: “Il tuo allontanamento da noi non è stato un bene per noi, e molti non ne sono rimasti soddisfatti, dicendo: Se non avessero contrariato, l’anziano non li avrebbe lasciati”. Abba Arsenio disse: “D’altra parte, ora diranno: La colomba, non trovando dove riposare, tornò da Noè nell’arca”. Così si confrontarono ed egli rimase con loro fino alla morte.

33. Abba Daniele disse: “Abba Arsenio ci ha detto quanto segue, come se si riferisse a qualcun altro, ma in realtà si riferiva a lui stesso. Un anziano era seduto nella sua cella e gli giunse una voce che gli disse: “Vieni e ti mostrerò le opere degli uomini”. Si alzò e la seguì. La voce lo condusse in un certo luogo e gli fece vedere un etiope che stava raccogliendo legna e la sistemava facendo una grande catasta. Poi si sforzò di trasportarla, ma invano. Ora, invece di prendere un po’ di legna alla volta, ne tagliò altra che aggiunse alla catasta. Fece così per molto tempo. Andando un po’ più avanti, al vecchio fu mostrato un uomo in piedi sulla riva di un lago che raccoglieva l’acqua e la versava in un recipiente rotto, in modo che l’acqua tornasse nel lago. Poi la voce disse al vecchio: “Vieni e ti mostrerò qualcos’altro”. Egli vide un tempio e due uomini a cavallo, uno di fronte all’altro, che portavano un pezzo di legno di traverso. Volevano entrare dalla porta, ma non potevano perché tenevano il loro pezzo di legno trasversalmente. Nessuno dei due si ritraeva davanti all’altro, in modo da portare il legno dritto e così rimasero fuori dalla porta. La voce disse all’anziano: “Questi uomini portano il giogo della giustizia con orgoglio e non si umiliano per correggersi e camminare nell’umile via di Cristo. Così essi rimangono fuori dal Regno di Dio. L’uomo che taglia la legna è colui che vive in molti peccati e, invece di pentirsi, aggiunge altre colpe ai propri peccati. Colui che attinge l’acqua è colui che compie buone azioni, ma mescolando quelle cattive con esse, rovina anche le buone opere. Perciò ognuno deve stare attento alle proprie azioni, per non faticare invano”.

34. Lo stesso Abba raccontò di alcuni Padri che un giorno vennero da Alessandria per vedere Abba Arsenio. Tra loro c’era l’anziano Timoteo, arcivescovo di Alessandria, detto il Povero. L’anziano, che era malato, rifiutò di vederli per paura che altri venissero a disturbarlo. In quei giorni viveva a Petra di Troe. Così tornarono indietro, infastiditi. Ora c’era un’invasione di barbari e l’anziano andò a vivere nel basso Egitto. Saputo questo, vennero a trovarlo di nuovo e li accolse con gioia. Il fratello che era con loro gli disse: “Abbà, non sai che siamo venuti a trovarti a Troe e non ci hai ricevuto?”. L’anziano gli rispose: “Voi avete mangiato pane e bevuto acqua, ma in verità, figlio mio, io non ho assaggiato né pane né acqua e non mi sono seduto finché non ho pensato che foste arrivati a casa, per punirmi perché vi siete stancati per colpa mia. Ma perdonatemi, fratelli miei”. Così se ne andarono consolati.

35. Lo stesso Abba disse: “Un giorno Abba Arsenio mi chiamò e mi disse: “Sii di conforto a tuo padre, in modo che quando andrà al Signore pregherà per te, affinché il Signore sia buono con te a tua volta”.

36. Di Abba Arsenio si racconta che una volta, quando era malato a Scete, il sacerdote venne a portarlo in chiesa e lo mise su un letto con un piccolo cuscino sotto la testa. Un anziano che veniva a trovarlo, vedendolo disteso su un letto con un piccolo cuscino sotto la testa, rimase scioccato e disse: “È davvero questo Abba Arsenio, quest’uomo disteso in questo modo?”. Allora il sacerdote lo prese in disparte e gli chiese: “Nel villaggio in cui vivevi, che mestiere facevi?” “Ero un pastore”, rispose. E come vivevi?” “Avevo una vita molto dura”. Allora il sacerdote disse: “E come vivi ora nella tua cella?”. L’altro rispose: “Più comodo”. Allora gli disse: “Vedi questo Abba Arsenio? Quando era nel mondo era come un padre per l’imperatore, circondato da migliaia di schiavi con cinture d’oro, tutti con collari d’oro e abiti di seta. Sotto di lui erano stese ricche coperte. Mentre tu eri nel mondo come pastore non godevi nemmeno delle comodità che hai ora, ma egli non gode più della vita delicata che conduceva nel mondo. Così tu ora sei confortato mentre egli è afflitto”. A queste parole l’anziano fu pieno di compunzione e si prostrò dicendo: “Padre, perdonami, perché ho peccato”. In verità la via seguita da quest’uomo è la via della verità, perché conduce all’umiltà, mentre la mia conduce al benessere”. Così l’anziano si ritirò, edificato.

37. Uno dei Padri andò a trovare Abba Arsenio. Quando bussò alla porta, l’anziano aprì, pensando che fosse il suo servo. Ma quando vide che era un’altra persona, cadde con la faccia a terra. L’altro gli disse: “Alzati, padre, perché possa salutarti”. Ma l’anziano rispose: “Non mi alzerò finché non te ne sarai andato” e, nonostante le molte suppliche, non si alzò finché l’altro non se ne fu andato.

38. Si racconta di un fratello che venne a trovare Abba Arsenio a Scete che, giunto in chiesa, chiese ai chierici se poteva incontrare Arsenio. Gli dissero: “Fratello, prendi un po’ di cibo e poi vai a trovarlo”. Non mangerò nulla”, disse, “prima di averlo incontrato”. Allora, poiché la cella di Arsenio era lontana, mandarono un fratello con lui. Dopo aver bussato alla porta, entrarono, salutarono l’anziano e si sedettero senza dire nulla. Poi il fratello della chiesa disse: “Vi lascio. Pregate per me”. Il fratello in visita, non sentendosi a proprio agio con l’anziano, disse: “Verrò con te” e se ne andarono insieme. Poi il visitatore chiese: “Portami da Abba Mosè, quello che era un ladro”. Quando arrivarono, l’Abba li accolse con gioia e poi li congedò con piacere. Il fratello che aveva portato l’altro disse al suo compagno: “Vedi, ti ho portato dallo straniero e dall’egiziano, quale dei due preferisci?” “Per quanto mi riguarda”, rispose, “preferisco l’egiziano”. Un padre, udito ciò, pregò Dio dicendo: “Signore, spiegami questa faccenda: per amore del tuo nome l’uno fugge dagli uomini e l’altro, per amore del tuo nome, li accoglie a braccia aperte”. Allora gli furono mostrate due grandi barche su un fiume ed egli vide Abba Arsenio e lo Spirito di Dio che navigavano in una, in perfetta pace; e nell’altra c’era Abba Moses con gli angeli di Dio, e tutti mangiavano dolci al miele.

39. Abba Daniele disse: “In punto di morte, Abba Arsenio ci inviò questo messaggio: “Non preoccupatevi di fare offerte per me, perché in verità ho fatto un’offerta per me stesso e la ritroverò”.

40. Quando Abba Arsenio fu in punto di morte, i suoi discepoli erano turbati. Egli disse loro: “Non è ancora giunta l’ora; quando verrà, ve lo dirò. Ma se mai darete le mie spoglie a qualcuno, saremo giudicati davanti al tremendo seggio del giudizio”. Gli dissero: “Che cosa faremo? Non sappiamo come seppellire qualcuno”. Il vecchio disse loro: “Non sapete come legare una corda ai miei piedi e trascinarmi sul monte?

L’anziano diceva spesso a sé stesso: “Arsenio, perché hai lasciato il mondo? Mi sono spesso pentito di aver parlato, ma mai di aver taciuto”. Quando la morte si avvicinava, i fratelli lo videro piangere e gli dissero: “In verità, padre, sei tu a piangere? Padre, hai anche tu paura?” “Certo”, rispose loro, la paura che ho di quest’ora mi accompagna da quando sono diventato monaco”. A questo punto si addormentò.

41. Di lui si disse che aveva un brutto incavo nel petto, che era stato scavato dalle lacrime che gli erano cadute dagli occhi per tutta la vita, mentre era seduto al suo lavoro manuale. Quando Abba Poemen seppe che era morto, disse piangendo: “Veramente sei benedetto, Abba Arsenio, perché hai pianto per te stesso in questo mondo! Chi non piange per sé stesso quaggiù, piangerà eternamente nell’aldilà; quindi è impossibile non piangere, sia volontariamente qui o quando si è costretti dalla sofferenza dei tormenti”.

42. Abba Daniele diceva di lui: “Non volle mai rispondere a una domanda sulle Scritture, anche se avrebbe potuto farlo se avesse voluto, così come non scrisse mai prontamente una lettera. Quando di tanto in tanto veniva in chiesa, si sedeva dietro un pilastro, in modo che nessuno lo vedesse in faccia e che lui stesso non notasse gli altri. Il suo aspetto era angelico, come quello di Giacobbe. Il suo corpo era aggraziato e snello; la sua lunga barba gli arrivava fino alla vita. A causa di molte lacrime, le sue ciglia erano cadute. Alto di statura, era curvo per la vecchiaia. Aveva novantacinque anni quando morì. Per quarant’anni fu impiegato nel palazzo di Teodosio il Grande di divina memoria, che era il padre dei divini Arcadio e Onorio; poi visse quarant’anni a Scete, dieci anni a Troe’ sopra Babilonia, di fronte a Memphis e tre anni a Canopo di Alessandria. Gli ultimi due anni tornò a Troe dove morì, terminando la sua corsa in pace e nel timore di Dio. Era un uomo buono, “pieno di Spirito Santo e di fede”. (At 11,24) Mi ha lasciato la sua tunica di cuoio, un cilicio di pelo bianco[1] e i suoi sandali di foglie di palma. Sebbene non ne sia degno, li indosso per ottenere la sua benedizione”.

43. Abba Daniele raccontava anche questo di Abba Arsenio: “Un giorno chiamò i miei Padri, Abba Alessandro e Abba Zoilo, e per umiliarsi disse loro: “Poiché i demoni mi attaccano e non so se riusciranno a derubarmi quando dormirò stanotte, condividete la mia sofferenza e vegliate affinché non mi addormenti durante la veglia”. A notte fonda si sedettero in silenzio, uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra. I miei Padri dissero: “Quanto a noi, ci siamo addormentati, poi ci siamo svegliati di nuovo, ma non ci siamo accorti che si era assopito”. Al mattino presto (Dio sa se lo fece apposta per farci credere che aveva dormito, o se davvero aveva ceduto al sonno) fece tre sospiri, poi si alzò subito, dicendo: “Ho dormito, vero?”. Noi rispondemmo che non lo sapevamo”.

44. Un giorno alcuni anziani vennero da Abba Arsenio e insistettero per vederlo. Egli li ricevette. Poi gli chiesero di dire loro una parola su coloro che vivono in solitudine senza vedere nessuno. L’anziano disse loro: “Finché una ragazza vive nella casa paterna, molti giovani desiderano sposarla, ma quando ha preso marito non è più gradita a tutti; disprezzata da alcuni, lodata da altri, non gode più della stima un tempo, quando viveva una vita nascosta. Così è per le cose dell’anima; nel momento in cui vengono mostrate a tutti, non sono più in grado di essere apprezzate da tutti”.


[1] Il cilicio anticamente era un tessuto di peli di capra o di cammello, in uso anche fra i soldati dell’esercito romano. Nel mondo greco-romano tali stoffe, utilizzate per tende, vele, sacchi, vesti grossolane, ecc., presero il nome di “cilici”, termine che proviene dal greco κιλίκιον (kilíkion), ovvero della regione della Cilicia, l’odierno Sud della Turchia, in quanto i Cilici ne ebbero quasi il monopolio (Plinio, VI, 143). A scopo ascetico questa stoffa veniva indossata a immediato contatto con la nuda pelle, come viene frequentemente attestato nella Bibbia, nella quale la traduzione abituale di cilicio è “sacco”, in quanto in ebraico cilicio si dice saq. (fonte Wikipedia e Treccani)




Laminina: la firma di Dio

“Sono un biologo sono diventato un cristiano studiando la biochimica”…

Ed EGLI è avanti in ogni cosa, e tutte le cose sussistono in LUI.
Poiché in lui si compiacque il Padre di far abitare tutta la pienezza e di riconciliare con sé tutte le cose per mezzo di lui, avendo fatto la pace mediante il sangue della croce d’esso; per mezzo di lui, dico, tanto le cose che sono sulla terra, quanto quelle che sono nei cieli. (Colossesi 1)
La laminina è una glicoproteina ed è la componente più abbondante di tutte le lamine basali, una rete di proteine presente nella maggior parte delle cellule e degli organi. Rappresenta una parte importante, biologicamente attiva, che durante gli stadi embrionali, insieme ad altre molecole, contribuisce all’adesione delle cellule in una struttura sferica. Durante lo sviluppo del sistema nervoso, inoltre, i neuroni migrano lungo i percorsi formati dalla matrice extracellulare che contiene proprio la laminina.
Questa glicoproteina, quindi, risulta fondamentale non solo per organizzare le cellule in tessuti, ma anche durante lo sviluppo, poichè indirizza la migrazione delle cellule. La sua importanza si attesta nella distrofia congenita da deficit di merosina, una malattia ereditaria dovuta ad un difetto di laminina che si verifica a livello dei muscoli e del sistema nervoso.
Osservando la proteina al microscopio, non può passare inosservata la particolare struttura tridimensionale che essa assume: quella di una croce. A tal proposito, un noto biochimico disse: “La nostra conoscenza della verità è più chiaramente rivelata sulla croce di Cristo, e ciò che tiene il nostro corpo umano insieme (la Laminina), è casuale che abbia la forma proprio di croce? Qualcuno potrebbe dire di sì, ma io penso che sia ancora un altro modo con cui Dio rivela la sua gloria a noi. Penso che Dio è colui che tiene insieme tutte le cose, i nostri corpi, il nostro mondo e le nostre vite. “. Il dr. Fazale Rana, anch’esso biochimico, osservando la forma a croce della laminina ha affermato: “Ci sono molti modi più sostanziali per utilizzare la biochimica: discutere della necessità di un Creatore…Sono diventato un cristiano quando studiavo la biochimica. La cellula nella sua complessità, l’eleganza, la raffinatezza e l’inadeguatezza degli scenari evolutivi sul conto dell’origine della vita, mi hanno spinto a concludere che la vita deve derivare da un Creatore.”
Spesso ammiriamo la complessità e la perfezione dei cicli biologici della natura e della vita presente in questo pianeta: questa non è altro che la “scrittura” di Dio. Il nostro pianeta rifletteva la Sua perfezione, finché l’uomo non ha causato il caos che attualmente ci circonda, ma possiamo ancora apprezzare ciò che ci è stato donato: Dio è perfetto ed ha voluto riflettere questa perfezione nel Suo creato, indice del Suo amore per noi, mentre l’abuso delle risorse che abbiamo a disposizione, riflette, purtroppo, soltanto l’amore che l’uomo ha per se stesso…

Fonte Facebook: Mario Scisci




San Giovanni Climaco: La scala della divina ascesa. Gradino 1

INTRODUZIONE

La scala della divina ascesa, o scala del Paradiso (dal gr. Κλίμαξ; Climax, Scala), è un importante trattato ascetico rivolto ai monaci scritto da Giovanni monaco e poi igumeno del mona­stero di S. Caterina sul Sinai, soprannominato proprio a causa di questa sua opera Climaco. La composizione risale al 600 d.C. circa e prese avvio su richiesta di Giovanni, Abate di Raito, un monastero situato sulle rive del Mar Rosso.

La Scala, un testo fondamentale della tradizione ascetica della Chiesa, è indirizzato ad anacoreti e cenobiti e tratta dei mezzi con cui si può raggiungere il più alto grado di perfezione spirituale. Suddivisa in trenta parti, o “gradini”, in memoria dei trent’anni della vita di Cristo prima della vita pubblica, modello divino per il fedele cristiano. Nella Scala si descrive l’itinerario dell’e­sperienza spirituale e ascetica che conduce alla deificazione. «Il presente libro – esorta san Giovanni Climaco – mostra il miglior cammino. Se lo imbocchiamo, troveremo in esso una guida sicura per chi lo segue, una scala molto stabile che conduce dalle cose terrestri alle realtà sante, e al sommo di essa vedremo affacciarsi Dio. E’ quella che io penso sia la scala di Giacobbe, ‘colui che ha superato’ le passioni, e che contemplò mentre riposava sul giaciglio dell’ascesi. Saliamo dunque con coraggio, mettendoci quel poco della nostra volonta, con fiducia in Colui che solo può permetterci di salire gradino dopo gradino.

PRIMO GRADINO

1. Quando si scrive ai servi di Dio è meglio cominciare da Dio stesso. Il nostro Dio e Re è davvero buono, sommamente buono e tutto buono. Delle creature intelligenti da Lui create e glorificate con l’onore del libero arbitrio, alcune Gli sono amiche, mentre altre sono veramente Sue fedeli servitrici, altre ancora sono serve inutili e altre sono completamente separate da Dio. Altre ancora, infine, sono da considerarsi Sue impotenti avversarie. 

Quando diciamo “amici di Dio”, santo e venerato padre, intendiamo, nella nostra pochezza, quegli esseri intelligenti e incorporei che sono intorno a Lui. Per “servi fedeli”, coloro che hanno compiuto e compiono la sua santissima volontà senza indugio né interruzione alcuna. Quanto ai “servi inutili”, parliamo di coloro che dopo aver ricevuto il battesimo non hanno mantenuto i giuramenti fatti davanti a Dio. Per coloro che sono estranei e “separati da Dio”, intendiamo gli eretici e i miscredenti. Da ultimo, per “avversari di Dio” intendiamo coloro che non solo non adempiono i comandamenti del Signore rigettandoli lontano da sé, ma che combattono con accanimento contro chi li mette in pratica.

Ogni tipologia di persona sopra descritta potrebbe avere una descrizione speciale ad essa dedicata. Ma per i semplici, come siamo noi, non sarebbe utile in questo frangente addentrarsi in valutazioni così lunghe. Venite dunque, in incrollabile obbedienza, a tendere le mani indegne a coloro che sono i veri servi di Dio, che piamente ci stringono con la loro fede e con le loro istruzioni. Componiamo questo scritto con una penna presa dalla loro sapienza e intingendola nell’inchiostro della loro cupa ma illuminante umiltà scriviamo sulla carta liscia e bianca dei loro cuori, oppure poggiando su tavole spirituali le parole divine, cominciamo a dire quanto segue.

Dio è la vita e la salvezza di tutte le creature. Egli è il respiro vitale di noi tutti, sia del credente che dell’incredulo, di coloro che sono giusti e ingiusti, dei pii e degli empi, dei lussuriosi e di coloro che sono liberi dalle passioni, del monaco e del laico, del saggio e dello stolto, del sano e del malato, dei giovani e degli anziani. Perché proprio come la luce risplende dal sole, e le stagioni si alternano per tutti allo stesso modo, ‘poiché non c’è distinzione tra le persone per Dio’. (Rm 1,18)

“L’empio” è una creatura mortale di natura razionale che di sua spontanea volontà ha voltato le spalle alla vita e pensa il suo Fattore, l’Essere eterno, come non esistente. “L’uomo iniquo” è colui che trasforma la legge di Dio secondo il proprio piacere e cerca di mescolare la fede in Dio con le eresie che operano in opposizione a Lui. Il “cristiano”, invece, è colui che cerca di imitare Cristo nel pensiero, nella parola e nelle opere, per quanto gli è possibile come essere umano, credendo rettamente e semplicemente nella Santissima Trinità. È un “amante di Dio” colui che gode di tutti i beni che sono secondo natura ed esenti da peccato e non trascura di compiere tutto il bene che è nelle sue capacità. “L’uomo continente” è colui che in mezzo a tentazioni, insidie ​​e tumulti, si sforza con tutte le sue forze di imitare i modi di chi è impassibile. Il “monaco” è colui che pur vivendo nel suo corpo terreno e passionale ha raggiunto il rango e lo stato degli angeli. Un monaco è colui che esercita una rigorosa violenza contro la sua natura e veglia incessantemente sui suoi sensi. Un monaco è colui che mantiene il suo corpo casto, la sua bocca immacolata e la sua mente illuminata. Un monaco è un’anima che piange e che mantiene il ricordo della morte incessantemente sia nella veglia che nel sonno.

Il ritiro dal mondo è disprezzo volontario e rinnegamento di ogni diletto naturale allo scopo di acquisire quello che è superiore alla natura. Tutti coloro che volontariamente si sono lasciati alle spalle tutte le cose di questo mondo, lo hanno fatto o per la ricompensa del Regno futuro, o per l’entità dei loro peccati, o per amore di Dio. Se non hanno lasciato il mondo per nessuno di questi motivi, il loro ritiro è irrazionale. Ma Dio che giudica la nostra lotta, aspetta di vedere quale sarà la fine della nostra gara.

Colui che ha lasciato il mondo per scrollarsi di dosso il peso dei propri peccati, dovrebbe essere come coloro che abitano fuori città tra le tombe. Non dovrebbe far cessare il flusso ardente e caldo delle sue lacrime e il muto dolore del suo cuore fino a quando non vede che, come accadde a Lazzaro, Gesù viene da lui per rotolare via la pietra dura che copre il suo cuore e scioglierlo dalle bende, vale a dire, la nostra mente, dai legami del peccato, e comandi ai suoi angeli servitori di liberalo dalle sue concupiscenze affinché possa avviarsi verso la benedetta apatia, senza la quale non avrà ottenuto nulla.

Chi di noi vorrebbe uscire dall’Egitto e allontanarsi dal Faraone, ha bisogno di un Mosè che sia mediatore con Dio e da Dio. Questi è colui che sta tra la prassi e la teoria, alzando le mani in preghiera a Dio per nostro conto, affinché guidati da lui anche noi possiamo attraversare il mare del peccato e sconfiggere l’Amalek delle nostre passioni. Questo è il motivo per cui, quanti volessero abbandonarsi a Dio, tradiscono sé stessi se pensano di non aver bisogno di una guida. Perché coloro che lasciarono l’Egitto ebbero Mosè come guida e quelli che lasciarono Sodoma ebbero un angelo. I primi (quelli che hanno lasciato l’Egitto) sono come quelli che vengono salvati dalle malattie della loro anima grazie alle cure dei dottori. Gli altri sono come coloro che desiderano allontanarsi dalla contaminazione del loro miserabile corpo. Per questo richiedono una guida, un angelo si potrebbe dire, o almeno una guida che è uguale a un angelo. Perché, a seconda della misura della gravità delle nostre ferite abbiamo bisogno di una guida che sia un medico convenientemente addestrato.

Coloro che desiderano salire con il proprio corpo al cielo, hanno bisogno prima di tutto di lottare e di farsi violenza costantemente, specialmente nella prima parte della loro rinuncia, finché la loro inclinazione al piacere e il loro cuore insensibile raggiungano l’amore di Dio e la purezza attraverso un manifesto dolore. Una fatica grande, grandissima, con un lutto interiore, specialmente per chi ha vissuto sconsideratamente, finché per semplicità, mancanza di collera e fatica forziamo la nostra mente, che è come un cane affamato che continua ad abbaiare standosene vicino al macello, ad amare la purezza e la vigilanza. Lascia che quelli di noi che sono deboli e lussuriosi abbiano il coraggio di presentare le proprie malattie e la propria natura debole a Cristo con fede indubitabile. Riceveremo sicuramente il Suo aiuto, anche se questo è al di là di ciò che meritiamo. Ma, tutto ciò, solo se siamo mossi da una profonda umiltà.

Tutti coloro che intraprendono il degno combattimento, che è insieme angusto e difficile, ma anche leggero, dovrebbero capire che devono saltare come nel fuoco, se si aspettano veramente che un altro fuoco, quello celeste, sia dentro di loro. Ma ciascuno esamini il proprio carattere, e ne consumi il pane con il condimento amaro, e ne beva la coppa con le lacrime, affinché la sua lotta non lo conduca al suo giudizio. Se è vero che non tutti coloro che sono stati battezzati vengono salvati, tacerò su ciò che ne consegue.

Coloro che intraprendono questa lotta devono rinunciare a tutto, disprezzare tutto e rimuovere tutto, in modo da poter gettare solide fondamenta. Una solida base è quella che sostiene l’edificio con tre colonne: l’innocenza, il digiuno e l’autocontrollo. Che tutti i bambini in Cristo inizino con queste virtù, prendendo esempio dalle virtù dell’età infantile. Perché non trovi in ​​un bambino nulla che sia astuto o ingannevole. Non hanno un appetito o uno stomaco incontrollabili. Non un corpo acceso dal fuoco libidinoso. Ma mentre crescono, quando iniziano a consumare più cibo, aumentano anche in loro le passioni animali.

Se all’inizio della gara rimaniamo fiaccamente nelle ultime posizioni possiamo avere in questo una prova della nostra sconfitta finale; una cosa molto detestabile e rischiosa. Al contrario, un buon inizio sarà importante per noi quando in seguito diventeremo pigri. Un’anima che all’inizio è forte, ma poi perde vigore, è spinta in avanti dal ricordo dello zelo precedente. In tal modo è possibile riprendere le ali.

Se l’anima inganna sé stessa e si allontana dallo zelo beato, ne cerchi in dettaglio la ragione. Prenda le armi con tutta la sua forza e il suo zelo contro questa ragione. Perché lo zelo di prima può essere riacquistato solo dalla stessa porta da cui è uscito.

Colui che lascia il mondo per paura è come l’incenso che brucia. Inizia con un profumo meraviglioso ma finisce con fumo acre. Colui che abbandona il mondo a causa del desiderio di una ricompensa è come una macina, che si muove sempre nel suo stato egoistico. Ma chi lascia il mondo per amore di Dio ha acquistato il fuoco fin dall’inizio, e come un fuoco alimentato con combustibile, diventa una fiamma sempre più grande.

Alcuni costruiscono con i mattoni sulle pietre. Altri ancora mettono colonne sulla nuda terra. Ma ci sono altri che dopo aver percorso una breve distanza, dopo aver scaldato i loro muscoli e le giunture, vanno ancora più veloci. Chi può capire, comprenda questa parabola.

Corriamo dunque la nostra corsa con zelo essendo stati convocati dal nostro Dio e nostro Re, poiché il tempo che abbiamo è breve, e per timore di trovarci senza frutto il giorno della nostra morte e patire la fame. Cerchiamo di essere graditi al Signore come le truppe piacciono al loro generale, dal momento che dobbiamo fornire un resoconto completo del nostro servizio alla fine della campagna. Temiamo il Signore con un timore non inferiore a quello che si prova verso le bestie brute. Perché ho visto uomini intenzionati a rubare, non temendo Dio, ma subito dopo aver udito l’abbaiare dei cani si sono voltati indietro. Ciò che il timore di Dio non ha prodotto, lo ha realizzato il timore degli animali. Cerchiamo di avere un amore per Dio che sia almeno pari al nostro rispetto per i nostri amici. Ho visto tante volte persone che scandalizzavano Dio e non ne erano state minimamente colpite, gli stessi che non trovano pace per aver contrariato un po’ delle persone amiche. Questi escogitano ogni strategia, usano ogni mezzo o trovata, ogni richiesta di riconciliazione, personalmente o per mezzo di intermediari o regali, per ritornare alla vecchia condizione di amicizia.

All’inizio della nostra rinuncia, è importante che con fatica e dolore realizziamo le nostre virtù. E quando abbiamo fatto qualche progresso in esse, smettiamo di sentirci addolorati, o proviamo solo un po’ di dolore. E quando la nostra mente mortale è abbandonata all’ardore, raggiungiamo le nostre virtù con tutta gioia e serietà, con amore e fuoco divino.

Sono coloro che fin dall’inizio perseguono le virtù e adempiono i comandamenti con letizia e entusiasmo che meritano ogni lode. Allo stesso modo sono degni di vera pietà coloro che pur faticando da tanto tempo nella vita ascetica, trovano ancora difficile osservare i comandamenti, se pure li osservano.

Non condanniamo o disprezziamo una rinuncia che si basa solo sulle circostanze. Ho osservato uomini che sono fuggiti in esilio imbattersi per caso in un re mentre era in viaggio, e poi unirsi alla sua banda, entrare nella sua corte e mangiare con lui. Ho osservato i semi cadere a terra con noncuranza e portare una moltitudine di frutti. Anche il contrario l’ho osservato. Ho visto qualcuno entrare in ospedale con un intento diverso, ma la cordialità e l’amorevolezza del medico lo hanno conquistato e, dopo essere stato curato con attenzione, è stato guarito dalla nebbia che gli offuscava la vista. Quindi per alcuni ciò che non era intenzionale si dimostrò più fermo e più forte di ciò che era intenzionale.

Nessuno dica che il peso o il numero dei suoi peccati lo rende indegno della professione monastica. Non si ritenga di poco valore a causa della sua ricerca del piacere, deprimendosi, portando come scusante i suoi stessi peccati. Perché proprio dove c’è molta putredine è necessaria molta cura per rimuovere la malattia. Chi sta bene non va in ospedale. (Mt 9,12; Lc 5,31)

Se un re del mondo dovesse convocarci e chiederci di servire davanti a lui, non tarderemmo ad aspettare altre convocazioni. Non troveremmo scuse, ma metteremmo da parte ogni cosa e andremmo seriamente da lui. Quindi, stiamo attenti, affinché se il Re dei re e il Signore dei signori e il Dio degli dei ci chiamasse al suo servizio divino, non dovremmo scusarci per pigrizia e codardia e poi scoprirci senza scuse nel Giudizio finale. Si può camminare con difficoltà, anche se legati dai vincoli degli impegni quotidiani e dalle catene di ferro delle preoccupazioni. E quelli che hanno catene di ferro ai piedi possono anche camminare, ma inciamperanno spesso e si faranno male. Un uomo che non è sposato ma è legato al mondo solo da rapporti d’affari è come uno che ha legate solo le mani, e se desiderasse iniziare la vita monastica non sarebbe bloccato da nulla. Invece, l’uomo che è sposato è come uno che è incatenato mani e piedi, così che, sebbene desideri correre, non può.

Alcune persone nel mondo che vivono con noncuranza mi hanno chiesto: “Abbiamo moglie e molte preoccupazioni sociali, come potremmo condurre una vita di solitudine?” Io ho risposto loro: “Fate il bene che potete; non parlate male di nessuno; non rubate; non mentite; non vantatevi; non odiate; andate in chiesa; abbite pietà dei poveri; non siate un ostacolo per nessuno; non avvicinatevi al letto di un altro ma siate soddisfatti di ciò che ricevete dalla vostre mogli. Se farete queste cose sarete vicini al Regno dei Cieli’.

Affrontiamo la lotta virtuosa con letizia e amore senza aver paura dei nemici, che sebbene invisibili, possono vedere direttamente nelle nostre anime. Se la vedono presa dalla paura, ci combattono ancora più ferocemente. Perché questi esseri perspicaci vedono che non siamo coraggiosi. Quindi armiamoci contro di loro con coraggio. Non c’è nessuno che vorrà ingaggiare un combattimento contro un guerriero determinato.

Intenzionalmente il Signore rende le nostre battaglie facili all’inizio in modo da non farci tornare rapidamente nel mondo proprio all’inizio della nostra lotta. Rallegratevi dunque sempre nel Signore, voi tutti suoi servi, avvertendo in questo un primo segno dell’amore del nostro Maestro per noi; segno che ci ha chiamati. Quando Dio osserva delle anime coraggiose, è risaputo che permette loro di sopportare i conflitti fin dall’inizio, in modo da incoronarle al più presto. Ma per chi è nel mondo il Signore nasconde la difficoltà della gara. Perché se coloro che sono nel mondo conoscessero la difficoltà, non rinuncerebbero mai al mondo.

Offri a Cristo la costanza e gli affanni della tua giovinezza; nella tua vecchiaia gioirai del tesoro del distacco. Ciò che si raccoglie da giovani nutre e conforta lo stato di chi è oramai stanco in vecchiaia. Nella nostra giovinezza lavoriamo diligentemente e corriamo con attenzione, poiché l’ora della nostra morte non è nota. Abbiamo nemici molto malvagi, pericolosi, astuti e malvagi, che hanno il fuoco nelle loro mani con il quale cercheranno di bruciare il tempio di Dio. Questi nemici sono forti; non dormono. Sono immateriali e invisibili. Che nessuno da giovane ascolti i nemici demoniaci, quando gli dicono: “Non c’è bisogno di esaurire la tua carne per non ammalarti e infiacchirti”. Raramente troverai qualcuno in questa generazione che voglia mortificare il proprio corpo, sebbene possa trattenersi da una varietà di piatti gustosi.

Coloro che sono disposti a servire Cristo, con l’aiuto dei padri spirituali e la loro conoscenza, si sforzeranno di trovare un luogo, un modo di vivere, una cella e pratiche adeguate. La vita comunitaria non è per tutti a causa dell’avidità. E i luoghi solitari non sono per tutti a causa dell’ira. Ogni persona deve riflettere su ciò che è meglio per i suoi bisogni.

L’intero stato monastico è costituito da tre tipi di dimora: il luogo solitario di un atleta spirituale; una vita di silenzio con uno o due altri; o la paziente sopportazione di una comunità. Non girare né a destra né a sinistra, ma segui la retta via del Re. Dei tre modi di vita sopra esposti, il secondo è buono per molti, poiché sta scritto: “Guai a colui che è solo quando cade nella disperazione o nell’accidia o nell’ozio o nell’apatia e non ha altri uomini che lo sollevino”. Come disse il Signore: “Poiché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”.

Chi è il monaco fedele e sagace? È colui che ha conservato immutato il suo zelo e al termine della sua vita non ha cessato ogni giorno di aggiungere fuoco a fuoco, ardore ad ardore, zelo a zelo, amore ad amore.

Questo è il primo gradino. Chi ci è salito non torni indietro.




IGNATIJ BRJANCANINOV: Lo spirito della preghiera per il principiante (II)

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Lo spirito della preghiera per il principiante (I)

Fate al Signore le vostre preghiere con un balbettio infantile, un semplice pensiero infantile – non con eloquenza, non con ragionamenti. “Se non vi convertirete” – come dal Paganesimo e dall’Islam, dalla vostra complessità e doppiezza – “e non sarete”, ci ha detto il Signore, “come bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 18,3)[1].

Un bambino esprime tutti i suoi desideri con il pianto: la vostra preghiera sia sempre accompagnata dal pianto. Non solo nelle parole della preghiera, ma anche nel silenzio della preghiera, lasciate che il vostro desiderio di pentimento e di riconciliazione con Dio, il vostro estremo bisogno della misericordia di Dio siano espressi nel pianto.

La dignità della preghiera consiste unicamente nella qualità, non nella quantità: la quantità è lodevole quando porta alla qualità. La qualità porta sempre alla quantità; la quantità porta alla qualità quando l’orante prega con attenzione[2]. La qualità della vera preghiera è quando la mente è attenta durante la preghiera e il cuore è solidale con la mente.

Richiudete la mente nelle parole pronunciate della preghiera e mantenetela attenta[3]. Tenete gli occhi sulla bocca, o chiusi[4]: in questo modo favorirete l’unione della mente con il cuore. Pronunciate le parole con estrema lentezza, e metterete più facilmente la mente nelle parole della preghiera: nessuna parola della vostra preghiera sarà pronunciata senza essere animata dall’attenzione.

La mente, quando entra nelle parole della preghiera, attira il cuore in comunione con sé. Questa comunione del cuore con la mente si esprime con la tenerezza, che è un sentimento pio che unisce il dolore a una tranquilla e dolce consolazione[5].

L’essenziale della preghiera è il digiuno[6]. Quando sentite aridità e durezza, non abbandonate la preghiera; per la vostra riluttanza e il vostro sforzo contro l’insensibilità del vostro cuore, la misericordia di Dio vi verrà incontro sotto forma di tenerezza. L’umiltà è un dono di Dio, inviato a coloro che sopportano e perseverano nella preghiera (Rm 12,12; Col 4,2), che cresce costantemente in loro, guidandoli alla perfezione spirituale.

La mente, stando in attenta preghiera davanti al Dio invisibile, deve essere anch’essa invisibile, come immagine della Divinità invisibile: cioè, la mente non deve presentare in sé, né fuori di sé, né davanti a sé alcuna apparenza, deve essere del tutto invisibile. Così, la mente deve essere del tutto estranea alla fantasticheria, per quanto pura e santa essa possa sembrare[7].

Quando pregate, non cercate l’estasi, non mettete in moto i nervi, non scaldate il sangue. Al contrario, mantenete il vostro cuore in una calma profonda, nella quale è condotto dal senso di pentimento: il fuoco materiale, il fuoco della natura dell’uomo decaduto, è rifiutato da Dio. Il tuo cuore deve essere purificato dal pianto di pentimento e dalla preghiera di pentimento; quando sarà purificato, allora Dio stesso farà scendere in esso il suo santissimo fuoco spirituale[8].

L’attenzione durante la preghiera porta i nervi e il sangue alla quiete, e incoraggia il cuore a sprofondare nel pentimento e a dimorare in esso. Il silenzio del cuore non è disturbato dal fuoco divino, se scende nella stanza superiore del cuore, quando i discepoli di Cristo (che rappresentano i pensieri e i sentimenti presi in prestito dal Vangelo) sono riuniti in esso. Questo fuoco non riscalda né brucia il cuore, al contrario, lo irriga e lo rinfresca, riconcilia l’uomo con tutti gli uomini e con tutte le circostanze della vita, attira il cuore in un amore indicibile verso Dio e verso il prossimo.

La distrazione macchia la preghiera. Chi prega distrattamente sente in sé un vuoto e un’aridità inconsci. Chi prega costantemente in modo distratto è privo di tutti i frutti spirituali che di solito nascono da una preghiera attenta, assimila a sé uno stato di aridità e di vuoto, da cui derivano freddezza nei confronti di Dio, sconforto, annebbiamento della mente, indebolimento della fede, e da cui deriva la morte in relazione alla vita eterna e spirituale. Tutti questi elementi, nel loro insieme, sono chiari segni che tale preghiera non è accettata da Dio.

La fantasticheria nella preghiera è ancora più dannosa della distrazione. La distrazione rende la preghiera infruttuosa ma la fantasticheria è causa di falsi frutti: l’autoinganno (ndr. prelest) e, come dicono i santi Padri, la passione diabolica. Le immagini del mondo visibile e le immagini del mondo invisibile composte dalla fantasticheria, impresse e rallentate nella mente, la rendono come materiale, la trasferiscono dalla regione divina dello Spirito e della Verità alla regione della sostanza e della falsità. In questa regione il cuore comincia a simpatizzare con la mente non con un senso spirituale di pentimento e umiltà, ma con un senso della carne, un senso del sangue e dei nervi, un senso intempestivo e disordinato del piacere, tanto che è peculiare dei peccatori, un senso di amore sbagliato e falso immaginario per Dio. L’amore delittuoso e abominevole appare poco sofisticato nelle esperienze spirituali del santo, ma in realtà è solo un sentimento confuso di un cuore non purificato dalle passioni, che gode della vanità e della voluttà, messo in moto dai sogni ad occhi aperti. Tale stato è uno stato di autoillusione (ndr. prelest).

Se una persona ristagna in questa autoillusione, le immagini che gli appaiono ricevono straordinaria vivacità e attrattiva. Quando compaiono, il cuore comincia a scaldarsi e a godere illegalmente, o, secondo la definizione della Sacra Scrittura, a commettere adulterio (Sal 72,27). La mente riconosce un tale stato come pieno di grazia, divino: quindi il passaggio all’evidente delusione del demoniaco è vicino; il momento in cui una persona perde l’autocrazia, diventa un giocattolo e uno zimbello dello spirito malvagio. Dalla preghiera sognante che porta una persona a questo stato, Dio si allontana con rabbia. E il verdetto della Scrittura si avvera su coloro che pregano con una tale preghiera: “La sua preghiera si trasformi in peccato” (Sal 109,7).

Rifiutate i pensieri apparentemente buoni e le idee apparentemente brillanti che vi vengono incontro mentre pregate, distraendovi dalla preghiera[9]. Essi escono dal regno della mente falsa, seduti come cavalieri a cavallo, sulla vanità. I loro volti cupi sono chiusi, affinché la mente dell’orante non riconosca in loro i suoi nemici. Ma proprio perché sono ostili alla preghiera, distraggono la mente, la portano in cattività e in pesante schiavitù, espongono e devastano l’anima, ecco perché si riconoscono come nemici del regno del pacificatore. La mente spirituale, la mente di Dio, promuove la preghiera, concentra l’uomo in sé stesso, lo immerge nell’attenzione e nella tenerezza, impartisce alla mente un silenzio riverente, il timore e lo stupore che nascono dal senso della presenza e della maestà di Dio. Questa sensazione può, a tempo debito, diventare molto intensa e rendere la preghiera per l’orante un temibile tribunale di Dio[10].

La preghiera attenta, aliena da distrazioni e fantasticherie, è la visione del Dio invisibile che attira a sé la vista della mente e il desiderio del cuore. Allora la mente vede senza vedere e si accontenta di un non vedere che supera ogni visione. La ragione di questo beato non vedere è l’infinita sottigliezza e incomprensibilità dell’Oggetto verso cui la visione è diretta. Il Sole invisibile della giustizia – Dio emette anche raggi invisibili, ma percepibili dal senso palpabile dell’anima: essi riempiono il cuore di meravigliosa calma, fede, coraggio, mitezza, misericordia, amore per il prossimo e per Dio. Grazie a queste azioni, visibili nell’intimo del cuore, l’uomo riconosce senza dubbio che la sua preghiera è accettata da Dio, inizia a credere con una fede viva e a confidare fermamente nell’Amante e nell’Amato. Ecco l’inizio del risveglio dell’anima per Dio e per un’eternità benedetta[11].

Il frutto della vera preghiera è una santa pace dell’anima, unita a una gioia tranquilla e silenziosa, priva di fantasticherie, di presunzione e di impulsi e movimenti accesi, un amore per gli altri che non distingue il bene dal male, il degno dall’indegno, ma intercede per tutti davanti a Dio, come per sé, come per i propri membri. Da questo amore per gli altri risplenderà il più puro amore per Dio. Questi frutti sono un dono di Dio. Sono attratti dall’anima grazie alla sua attenzione e umiltà, mantenuti dalla sua fedeltà a Dio.

L’anima rimane fedele a Dio quando elimina ogni parola, azione e pensiero peccaminoso e quando si pente immediatamente dei debiti in cui si è lasciata trascinare dalla sua debolezza.

Il fatto che desideriamo ottenere il dono della preghiera, lo dimostriamo sedendoci pazientemente oranti alla porta della preghiera. Per la pazienza e la perseveranza riceviamo il dono della preghiera. “Il Signore”, dice la Scrittura, “dà grazia a chi prega” (1 Sam 2,9) con pazienza e sforzo.

Per i nuovi credenti, le preghiere brevi e frequenti sono migliori di quelle lunghe, separate l’una dall’altra da uno spazio di tempo considerevole[12].

La preghiera è il più alto esercizio per la mente.

La preghiera è la testa, la fonte, la madre di tutte le virtù[13].

Siate saggi nella vostra preghiera. Non chiedete in essa nulla di deperibile e di vano, ricordando il comandamento del Salvatore: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose”, cioè tutte le necessità della vita temporale, “vi saranno date in aggiunta”[14]. (Mt 6,33)

Quando intendete fare qualcosa, o volete fare qualcosa, anche nelle difficoltà della vita, rivolgete il vostro pensiero a Dio nella preghiera: chiedete ciò che ritenete necessario e utile; ma lasciate alla volontà di Dio nella fede e nella fiducia nell’onnipotenza, nella saggezza e nella bontà della volontà di Dio di fare o non fare ciò che chiedete. Questo eccellente modo di pregare ci è stato dato da Colui che ha pregato nel giardino del Getsemani, “affinché passasse il calice da Lui stabilito” ma “non la mia volontà”, concluse la sua preghiera al Padre: “ma sia fatta la tua” (Lc 22,42).

Offrite a Dio un’umile preghiera per le virtù e le opere pie che state compiendo, purificatele e perfezionatele con la preghiera e il pentimento. Dite di loro nella vostra preghiera ciò che il giusto Giobbe disse nella sua preghiera quotidiana a proposito dei suoi figli: “Ogni volta che i miei figli hanno peccato e nei loro pensieri hanno pensato al male contro Dio” (Gb 1,5). Il male è infido: si mescola invisibilmente con la virtù, contaminandola, avvelenandola.

Gettate via tutto per ereditare la preghiera e, sollevati da terra sulla croce dell’abnegazione, date il vostro spirito, la vostra anima e il vostro corpo a Dio e da Lui ricevete la santa preghiera, che, secondo l’insegnamento dell’Apostolo e della Chiesa universale, è l’azione dello Spirito Santo nell’uomo, quando lo Spirito lo inabita[15] (Rm 8,26). “Chiunque abbia raggiunto (l’orazione incessante) ha raggiunto il limite delle virtù ed è stato reso dimora dello Spirito Santo”, diceva Sant’Isacco.

Conclusione

Chi trascura l’esercizio di un’attenta preghiera fatta nel pentimento è estraneo al progresso spirituale e ai frutti spirituali, è nel buio di molteplici autoinganni. L’umiltà è l’unico altare su cui gli esseri umani possono offrire a Dio offerte di preghiera, l’unico altare da cui le offerte di preghiera sono accettate da Dio[16]; la preghiera è la madre di tutte le vere virtù divine. Nessun progresso spirituale è possibile, nessun avanzamento spirituale è possibile per chi ha rifiutato l’umiltà, per chi non si è preoccupato di entrare in una santa unione con la preghiera. L’esercizio della preghiera è il testamento dell’Apostolo: “pregate senza sosta”, ci dice l’Apostolo (1 Ts 5,17). L’esercizio della preghiera è un comandamento del Signore stesso, un comandamento unito a una promessa: “Chiedete”, ci invita il Signore, ci comanda, “e vi sarà dato; cercate e troverete; premete e vi sarà aperto” (Matteo 7,7). Il Signore ci ha comandato: “cercate, e troverete; bussate, e vi sarà aperto” (Matteo 7,7). A quel punto si trasformerà in un incessante sacrificio di lode. Questa lode sarà continuamente offerta e proclamata senza sosta dagli eletti di Dio a partire dall’incessante esperienza di beatitudine nell’eternità, che viene seminata qui sulla terra e nel tempo, dai semi di pentimento seminati attraverso una preghiera attenta e diligente.

Amen.


[1] La scala del Paradiso, Gradino 28, p. 326

[2] San Melezio, che salì sulla montagna della Galizia. Poema sulla preghiera; Lestvitsa, Discorso 28, cap. 21.

[3] La Scala del Paradiso, Gradino 28, p. 327

[4] Consigli del santo ieromonaco Seraphim di Sarov. Che sia utile pregare con gli occhi chiusi è menzionato anche in 11 delle sue istruzioni sulla preghiera. Edizione del 1841. Mosca.

[5] San Marco l’Asceta. Su coloro che pensano di essere giustificati dalle opere

[6] San Gregorio del Sinai. Come l’esicasta deve starsene seduto in preghiera e non alzarsene presto

[7] Santi Callisto e Ignazio. Sul silenzio e la preghiera

[8] La scala del Paradiso. Gradino 28

[9] La scala del Paradiso. Gradino 28

[10] Ibidem

[11] La già citata poesia di San Melezio. Discorso sull’opera nascosta di Teolipto, Metropolita di Filadelfia.

[12] San Demetrio di Rostov, L’uomo interiore

[13] San Macario il Grande, la Scala del Paradiso, Gradino 28 e anche gli altri Padri insegnano di conseguenza.

[14] Sant’Isacco il Siro, Logos, 5.

[15] Sant’Isacco il Siro, Logos, 21.

[16] Detto di San Pimen il Grande. Gerontikon collezione alfabetica.




IGNATIJ BRJANCANINOV: Lo spirito della preghiera per il principiante (I)

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Lo spirito della preghiera per il principiante (II)

originale in russo: Opere complete

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Introduzione

Ecco un insegnamento sulla qualità della preghiera inerente al cammino del principiante verso il Signore nel pentimento. I passaggi principali sono esposti separatamente, in modo che possano essere letti con maggiore attenzione e conservati nella memoria con maggiore comodità. La lettura di questi insegnamenti, che nutrono la mente di verità e il cuore di umiltà, può dare all’anima il giusto orientamento nel suo cammino di preghiera e servire come attività preparatoria ad esso.

La preghiera è l’offerta delle nostre suppliche a Dio. La base della preghiera è che l’uomo è una creatura decaduta. Egli cerca di ricevere la beatitudine che aveva, ma che ha perso, e quindi prega.

La dimora della preghiera è nella grande misericordia di Dio verso il genere umano. Il Figlio di Dio per la nostra salvezza si è offerto al Padre come sacrificio propiziatorio, riconciliatore: su questa base, volendo impegnarsi nella preghiera, rifiutate il dubbio e la doppiezza (Gc 1,6-8). Non dire a te stesso: “Sono un peccatore, Dio mi ascolterà?”. Se sei un peccatore, sei colui al quale si applicano le parole confortanti del Salvatore: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori al ravvedimento” (Mt 9,13).

Gli atti propedeutici alla preghiera sono: ventre insoddisfatto, tagliare le preoccupazioni con la spada della fede, perdono dalla sincerità del cuore di tutti i torti, ringraziamento a Dio per tutti i problemi della vita, rimozione della distrazione e della fantasticheria, timore riverente, che è così tipico per una creatura, quando gli sarà permesso di parlare con il suo Creatore; dalla bontà indicibile del Creatore verso la creazione.

Le prime parole del Salvatore all’umanità decaduta furono: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 4,17). Finché non entrerete in quel regno, bussate alle sue porte con il pentimento e la preghiera. La vera preghiera è la voce del vero pentimento. Quando la preghiera non è mossa dal pentimento, non raggiunge il suo scopo, Dio non si compiace di essa. Egli non umilia “uno spirito abbattuto, un cuore contrito e umile” (Salmo 50,19).

Il Salvatore del mondo chiama beati i poveri in spirito, cioè coloro che hanno la più umile concezione di sé, che si considerano esseri decaduti, che sono qui sulla terra, in esilio, fuori dalla loro vera patria, che è il cielo. «Beati i poveri in spirito», coloro che pregano con profonda coscienza della loro povertà, «perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). “Beati coloro che piangono” nelle loro preghiere per il sentimento della loro povertà, “poiché saranno consolati” (Mt 5,4) dalla consolazione piena di grazia dello Spirito Santo, che consiste nella pace di Cristo e nell’amore in Cristo per tutti i prossimi. Allora nessuno dei vicini, e il peggior nemico, è escluso dall’abbraccio dell’amore di chi prega, allora chi prega si riconcilia con tutte le circostanze più dolorose della vita terrena.

Il Signore, insegnandoci a pregare, paragona l’anima orante a una vedova maltrattata da un rivale, che siede incessantemente in giudizio con imparzialità e terzietà (Lc 18,1-8). Non allontanatevi da questa similitudine per la disposizione della vostra anima nella preghiera. La vostra preghiera sia, per così dire, una costante denuncia contro il peccato che vi sta violentando. Scavate in profondità in voi stessi, apritevi con una preghiera attenta; vedrete che siete sicuramente vedovi nel vostro rapporto con Cristo a causa del peccato che vive in voi, che vi è ostile, che produce in voi lotte interne e tormenti, che vi rende estranei a Dio.

“Tutto il giorno”, dice Davide di sé stesso, tutto il giorno della sua vita terrena, “lamentando il cammino”, lo trascorreva in beato dolore per i suoi peccati e le sue mancanze: “poiché la mia anima era piena di rimproveri e non c’è guarigione nella mia carne” (Salmo 37,7-8). La carne è lo stato morale dell’uomo. Tutti i passi degli uomini su questo cammino sono pieni di inciampi; il loro stato morale non può essere guarito con i propri mezzi e sforzi. La nostra guarigione richiede la grazia di Dio, che guarisce solo chi si riconosce malato. Il vero riconoscimento di noi stessi come malati è dimostrato da un pentimento profondo e continuo.

“Servite il Signore con timore e gioite in Lui con tremore” (Salmo 2,11), dice il profeta, e un altro profeta dice in nome di Dio: «Ecco su chi io poserò lo sguardo: su colui che è umile, che ha lo spirito afflitto e trema alla mia parola” (Is 66,2). Il Signore “guarda la preghiera degli umili e non disprezza la loro supplica” (Salmo 101,18). Egli è “datore di vita”, cioè di salvezza, “a chi ha il cuore oppresso” (Is 57,15).

Anche se uno si trova all’apice delle virtù, se non prega come un peccatore, la sua preghiera è respinta da Dio[1].

“Il giorno in cui non piango per me stesso”, diceva un certo benedetto praticante della vera preghiera, “mi considero

nell’illusione”[2].

“Anche se passiamo attraverso molte imprese esaltanti”, diceva San Giovanni il Climaco, “sono false e infruttuose se attraverso di esse non ci rimane un sentimento doloroso di contrizione”[3].

Il dolore per il pensiero dei peccati è un dono onorevole di Dio, chi lo custodisce nel cuore con riverenza penetra nel santuario. Sostituisce tutte le imprese corporee, in caso di mancanza di forza per compierle[4]. Al contrario, è necessario un corpo forte per lavorare alla preghiera; senza di esso il cuore non si spezzerà, la preghiera sarà impotente e falsa[5].

Il senso di pentimento tiene l’orante al riparo da tutte le insidie del demonio: il demonio fugge dagli asceti che sprigionano da sé il profumo dell’umiltà che nasce nel cuore di colui che si pente[6].


[1] Sant’Isacco il Siro, Logos 55. (in francese Oeuvres spirituelles, Paris 1981)

[2] Queste parole furono pronunciate dallo ieromonaco Atanasio, monaco silenzioso nella torre del monastero di Svensky, nella diocesi di Oryol, a un certo viandante che lo visitò nel 1829.

[3] Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso. Discorso 7, cap. 64, pubblicato dall’Accademia teologica di Mosca nel 1851.

[4] Sant’Isacco il Siro, Logos 89.

[5] Ibidem. Logos 11

[6] San Gregorio del Sinai: “Quando il diavolo vede qualcuno che vive nel pianto, non vi rimane, ha paura dell’umiltà che deriva dal pianto”. Filocalia, vol. 3, p. 606-607, Gribaudi




Abate Trifone: Cremazione

Cremazione contro la pratica ortodossa della sepoltura

La prima volta che ho partecipato a un funerale dove era avvenuta la cremazione del corpo del defunto è stata a Portland, Oregon, molti anni fa. Un amico sacerdote episcopale era morto e aveva chiesto che il suo corpo fosse cremato. Entrare in chiesa e vedere una scatola seduta davanti all’altare è stato uno shock per me. La cremazione è sempre stata qualcosa che solo i non credenti hanno praticato, mentre i cristiani hanno sempre visto la cremazione come qualcosa di radici pagane.

Ricordo chiaramente di essermi sentito defraudato di quell’ultimo saluto, incapace di vedere il mio amico per un’ultima volta.

Nell’antichità i pagani bruciavano sempre i corpi dei loro morti, o li lasciavano mangiare dagli uccelli, mentre gli ebrei e i cristiani mettevano i loro morti nelle tombe, o nella terra, in attesa della resurrezione corporea. Per i cristiani la convinzione che il corpo sia il tempio dello Spirito Santo e quindi sacro, ha reso inaccettabile l’incendio del corpo. I corpi dei nostri morti sono sempre stati trattati con grande rispetto. Fin dai primi tempi i corpi dei martiri e dei santi venivano sepolti nelle catacombe, le loro tombe usate come altari per la celebrazione dell’offerta eucaristica, le catacombe erano spesso l’unico luogo sicuro per i credenti da adorare senza minaccia di arresto.

Uno dei miei primi ricordi è stato andare in un lotto di famiglia a Spokane, WA. con mia nonna materna. Depose dei fiori sulle tombe dei suoi cari, familiari morti da tempo prima ancora che io nascessi. Anche se molti erano andati via da questa vita da qualche generazione, per mia nonna erano ancora vivi. Si sedeva su una lapide, fiori in mano, e mi parlava delle sue sorelle, dei suoi genitori e degli altri membri della famiglia. I suoi ricordi condivisi sono stati resi ancora più reali vedendo i nomi di questi cari scolpiti nella pietra.

Il rito della visita delle tombe era comune a quei tempi, con le famiglie che mantengono vivi i ricordi, mostrando il loro amore e il loro rispetto per i parenti morti, prendendosi cura delle tombe, e lasciando fiori. Era persino abbastanza comune, specialmente nell’Europa occidentale, che amici e famiglie facessero picnic nei cimiteri.

C’è anche il ruolo che i cimiteri possono avere nella nostra vita spirituale, perché sono chiari ricordi della nostra mortalità. Ho già scelto il lotto dove i miei resti saranno collocati nei terreni del nostro monastero. Vedere dove alla fine si potrà riposare è un buon modo per ricordare la propria morte eventuale, ricordando a noi stessi la propria mortalità, e usare saggiamente i giorni che ci rimangono.

La Chiesa ortodossa proibisce che i resti cremati di chiunque siano portati nel tempio per servizi, o per qualsiasi altra ragione, e i servizi funebri sui resti cremati sono severamente vietati. La pratica è vista come una negazione della resurrezione corporea, non perché Dio non possa risuscitare i morti dalle ceneri, ma perché la pratica non riflette l’insegnamento della Chiesa secondo cui il corpo di un credente ospitava lo Spirito Santo. È anche ignorare il fatto che i credenti ricevono, nel corso della loro vita, il Corpo e il Sangue di Cristo, e quindi il corpo è reso santo in preparazione a quel giorno in cui saremo uniti sia nel corpo che nell’anima, per vivere in eterno con Dio.

I miei genitori si sono convertiti all’Ortodossia a metà degli anni settanta e sono sepolti nel cortile della chiesa accanto alla chiesa di San Giovanni Battista a Post Falls, Idaho. Averli in un cimitero ortodosso, fianco a fianco, significa molto per me, e visito le loro tombe ogni volta che mi trovo nel nord dell’Idaho per visitare mio fratello. Avere un luogo da visitare continua quella connessione e mi permette di mostrare il mio amore per loro mettendo fiori sulle loro tombe, mentre offro preghiere per le loro anime. Mi rattrista che così tante persone si siano private di questi momenti, avendo sparso le ceneri del proprio caro sui campi da golf o sulle spiagge. La perdita dei cimiteri familiari ha contribuito, ne sono convinto, al crollo delle famiglie allargate che un tempo erano così importanti per la coesione dei valori familiari.

A chi dice che la cremazione è più ecologicamente sana, faccio notare che le particelle disperse nell’atmosfera non fanno affatto bene all’ambiente. Un nuovo modo di sepoltura, noto come sepoltura verde, sta guadagnando popolarità in tutto il paese ed è molto più ecologicamente sano della cremazione. Le sepolture verdi richiedono una semplice bara di pino senza metallo, chiodi o colla, utilizzando solo incastri di legno e materiali naturali. Il corpo non è imbalsamato (secondo la tradizione ortodossa), quindi nulla va nella terra che non sia naturale. Questo è uno dei modi più economici di interramento ed è in linea con i canoni della Chiesa Ortodossa. Questo è il modo in cui il mio corpo sarà riposato.

Con amore in Cristo,

Abate Trifone

Foto: La sepoltura della mia amata madre Dolores, (Elisabetta in ortodossia).