IGNATIJ BRJANCANINOV: Lo spirito della preghiera per il principiante (I)

IGNATIJ BRJANCANINOV: Lo spirito della preghiera per il principiante (I)

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originale in russo: Opere complete

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Introduzione

Ecco un insegnamento sulla qualità della preghiera inerente al cammino del principiante verso il Signore nel pentimento. I passaggi principali sono esposti separatamente, in modo che possano essere letti con maggiore attenzione e conservati nella memoria con maggiore comodità. La lettura di questi insegnamenti, che nutrono la mente di verità e il cuore di umiltà, può dare all’anima il giusto orientamento nel suo cammino di preghiera e servire come attività preparatoria ad esso.

La preghiera è l’offerta delle nostre suppliche a Dio. La base della preghiera è che l’uomo è una creatura decaduta. Egli cerca di ricevere la beatitudine che aveva, ma che ha perso, e quindi prega.

La dimora della preghiera è nella grande misericordia di Dio verso il genere umano. Il Figlio di Dio per la nostra salvezza si è offerto al Padre come sacrificio propiziatorio, riconciliatore: su questa base, volendo impegnarsi nella preghiera, rifiutate il dubbio e la doppiezza (Gc 1,6-8). Non dire a te stesso: “Sono un peccatore, Dio mi ascolterà?”. Se sei un peccatore, sei colui al quale si applicano le parole confortanti del Salvatore: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori al ravvedimento” (Mt 9,13).

Gli atti propedeutici alla preghiera sono: ventre insoddisfatto, tagliare le preoccupazioni con la spada della fede, perdono dalla sincerità del cuore di tutti i torti, ringraziamento a Dio per tutti i problemi della vita, rimozione della distrazione e della fantasticheria, timore riverente, che è così tipico per una creatura, quando gli sarà permesso di parlare con il suo Creatore; dalla bontà indicibile del Creatore verso la creazione.

Le prime parole del Salvatore all’umanità decaduta furono: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 4,17). Finché non entrerete in quel regno, bussate alle sue porte con il pentimento e la preghiera. La vera preghiera è la voce del vero pentimento. Quando la preghiera non è mossa dal pentimento, non raggiunge il suo scopo, Dio non si compiace di essa. Egli non umilia “uno spirito abbattuto, un cuore contrito e umile” (Salmo 50,19).

Il Salvatore del mondo chiama beati i poveri in spirito, cioè coloro che hanno la più umile concezione di sé, che si considerano esseri decaduti, che sono qui sulla terra, in esilio, fuori dalla loro vera patria, che è il cielo. «Beati i poveri in spirito», coloro che pregano con profonda coscienza della loro povertà, «perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). “Beati coloro che piangono” nelle loro preghiere per il sentimento della loro povertà, “poiché saranno consolati” (Mt 5,4) dalla consolazione piena di grazia dello Spirito Santo, che consiste nella pace di Cristo e nell’amore in Cristo per tutti i prossimi. Allora nessuno dei vicini, e il peggior nemico, è escluso dall’abbraccio dell’amore di chi prega, allora chi prega si riconcilia con tutte le circostanze più dolorose della vita terrena.

Il Signore, insegnandoci a pregare, paragona l’anima orante a una vedova maltrattata da un rivale, che siede incessantemente in giudizio con imparzialità e terzietà (Lc 18,1-8). Non allontanatevi da questa similitudine per la disposizione della vostra anima nella preghiera. La vostra preghiera sia, per così dire, una costante denuncia contro il peccato che vi sta violentando. Scavate in profondità in voi stessi, apritevi con una preghiera attenta; vedrete che siete sicuramente vedovi nel vostro rapporto con Cristo a causa del peccato che vive in voi, che vi è ostile, che produce in voi lotte interne e tormenti, che vi rende estranei a Dio.

“Tutto il giorno”, dice Davide di sé stesso, tutto il giorno della sua vita terrena, “lamentando il cammino”, lo trascorreva in beato dolore per i suoi peccati e le sue mancanze: “poiché la mia anima era piena di rimproveri e non c’è guarigione nella mia carne” (Salmo 37,7-8). La carne è lo stato morale dell’uomo. Tutti i passi degli uomini su questo cammino sono pieni di inciampi; il loro stato morale non può essere guarito con i propri mezzi e sforzi. La nostra guarigione richiede la grazia di Dio, che guarisce solo chi si riconosce malato. Il vero riconoscimento di noi stessi come malati è dimostrato da un pentimento profondo e continuo.

“Servite il Signore con timore e gioite in Lui con tremore” (Salmo 2,11), dice il profeta, e un altro profeta dice in nome di Dio: «Ecco su chi io poserò lo sguardo: su colui che è umile, che ha lo spirito afflitto e trema alla mia parola” (Is 66,2). Il Signore “guarda la preghiera degli umili e non disprezza la loro supplica” (Salmo 101,18). Egli è “datore di vita”, cioè di salvezza, “a chi ha il cuore oppresso” (Is 57,15).

Anche se uno si trova all’apice delle virtù, se non prega come un peccatore, la sua preghiera è respinta da Dio[1].

“Il giorno in cui non piango per me stesso”, diceva un certo benedetto praticante della vera preghiera, “mi considero

nell’illusione”[2].

“Anche se passiamo attraverso molte imprese esaltanti”, diceva San Giovanni il Climaco, “sono false e infruttuose se attraverso di esse non ci rimane un sentimento doloroso di contrizione”[3].

Il dolore per il pensiero dei peccati è un dono onorevole di Dio, chi lo custodisce nel cuore con riverenza penetra nel santuario. Sostituisce tutte le imprese corporee, in caso di mancanza di forza per compierle[4]. Al contrario, è necessario un corpo forte per lavorare alla preghiera; senza di esso il cuore non si spezzerà, la preghiera sarà impotente e falsa[5].

Il senso di pentimento tiene l’orante al riparo da tutte le insidie del demonio: il demonio fugge dagli asceti che sprigionano da sé il profumo dell’umiltà che nasce nel cuore di colui che si pente[6].


[1] Sant’Isacco il Siro, Logos 55. (in francese Oeuvres spirituelles, Paris 1981)

[2] Queste parole furono pronunciate dallo ieromonaco Atanasio, monaco silenzioso nella torre del monastero di Svensky, nella diocesi di Oryol, a un certo viandante che lo visitò nel 1829.

[3] Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso. Discorso 7, cap. 64, pubblicato dall’Accademia teologica di Mosca nel 1851.

[4] Sant’Isacco il Siro, Logos 89.

[5] Ibidem. Logos 11

[6] San Gregorio del Sinai: “Quando il diavolo vede qualcuno che vive nel pianto, non vi rimane, ha paura dell’umiltà che deriva dal pianto”. Filocalia, vol. 3, p. 606-607, Gribaudi

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