Cirillo di Alessandria: TERZA LETTERA A NESTORIO

TERZA LETTERA A NESTORIO

San Cirillo, Patriarca di Alessandria (370–444)

Cirillo e il sinodo convocato ad Alessandria d’Egitto al Religiosissimo e Piissimo collega nel ministero, Nestorio, salute nel Signore.

1. Poiché il nostro Salvatore chiaramente dice: Chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di me; e chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me, che cosa possiamo fare noi, che siamo richiesti dalla tua Pietà di amarti più di Cristo, Salvatore di noi tutti? Chi ci potrà difendere nel giorno del giudizio? Quale scusa troveremo all’essere stati per così lungo tempo in silenzio, di fronte alle bestemmie da te pronunciate su di lui? Se tu danneggiassi soltanto te stesso pensando e insegnando dottrine siffatte, minore sarebbe la preoccupazione. Ma tu hai scandalizzato tutta la Chiesa e hai posto il lievito di una nuova e bizzarra eresia in ogni gente, non solo tra quelli che stanno lì, a Costantinopoli, ma anche in ogni altro luogo (infatti i testi delle tue omelie circolano ampiamente). Quale discorso potrà allora giustificare il nostro silenzio? Come si può non essere memori di quel che Cristo dice: Non pensate che sia venuto a portare la pace sulla terra, ma la spada. Son venuto a dividere l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre? Quando la fede è offesa, vada pure alla malora la riverenza verso i parenti, come qualcosa di stantio e pericoloso; passi in secondo piano anche la norma che ci obbliga all’affetto verso i figli e i fratelli, e sia preferibile per le persone pie la morte alla vita, affinché trovino una migliore risurrezione, come sta scritto. 2. Ecco, dunque, noi, insieme al santo sinodo riunito nella grande Roma, sotto la presidenza del Santissimo e Reverendissimo fratello e collega nel ministero, il vescovo Celestino, con questa terza lettera ti avvisiamo e ti intimiamo di allontanarti da dottrine tanto stolte e perverse, come sono  quelle che tu pensi e insegni, e di accettare la retta fede, data fin dall’inizio alle chiese attraverso i santi Apostoli ed Evangelisti, i quali sono stati testimoni oculari e ministri della parola. E se la tua Pietà non si atterrà alla data stabilita nella lettera del sopra menzionato Santissimo e Reverendissimo fratello e nostro collega nel ministero, il vescovo di Roma, Celestino, sappi che non avrai alcuna parte con noi né luogo o parola tra i sacerdoti di Dio e i vescovi. Non è infatti possibile vedere tutto intorno le chiese turbate, le comunità scandalizzate, la retta fede rifiutata, il gregge disperso a causa tua, che eri stato dato a sua salvaguardia, se mai avessi seguito, insieme a noi, la retta dottrina, procedendo sulle orme della pietà dei santi Padri. Noi tutti siamo in comunione con tutti, laici e chierici, che sono stati scomunicati o deposti dalla tua Pietà, a cagione della fede. Non è giusto che siano condannati da te quanti seppero mantenere la retta dottrina, perché giustamente ti si sono opposti! Di questo tu hai fatto menzione nella lettera scritta al Santissimo e nostro collega nell’episcopato Celestino, vescovo della grande Roma. Non sarà sufficiente alla tua Pietà confessare insieme a noi semplicemente il Simbolo della fede, che un tempo è stato esposto nello Spirito santo dal santo e grande concilio, riunito a suo tempo a Nicea. Anche se confessi le parole con la voce, non lo interpreti e non lo intendi rettamente, bensì in modo distorto. Confessa piuttosto per iscritto e sotto giuramento che anatematizzi le tue scellerate ed empie dottrine, e che al loro posto penserai e insegnerai le stesse dottrine di noi tutti, i vescovi d’Occidente e d’Oriente, maestri e capi delle comunità. Sappi che il santo sinodo di Roma e noi tutti conveniamo con le lettere inviate alla tua Pietà dalla chiesa di Alessandria, in quanto le stimiamo ortodosse e prive di errori. Abbiamo inoltre aggiunto a questa nostra lettera ciò che è necessario tu pensi e insegni e ciò da cui devi dissociarti. La fede della Chiesa cattolica e apostolica, in cui tutti i vescovi ortodossi d’Occidente e d’Oriente convengono è questa:

3. Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili. E in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, generato Unigenito dal Padre, cioè dalla sostanza del Padre; Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato non fatto, consostanziale al Padre; attraverso il quale tutto è stato fatto, in cielo e sulla terra. Per noi uomini e per la nostra salvezza egli è disceso, si è incarnato ed è divenuto uomo, ha patito ed è risuscitato nel terzo giorno; è asceso al cielo; verrà a giudicare i vivi e i morti; e crediamo nello Spirito santo. Coloro che dicono: «Vi fu un tempo in cui egli non esisteva»; o «Prima di essere generato non esisteva»; o «Egli è stato generato dal nulla o da altra ipostasi o sostanza»; oppure «Il Figlio di Dio è mutabile e alterabile», tutti costoro anatematizza la Chiesa cattolica e apostolica.

Noi seguiamo esattamente la confessione espressa dai santi Padri, perché in essi parlava lo Spirito santo, e procediamo secondo l’intenzione del loro pensiero, come per una strada regia; in forza di ciò affermiamo che l’Unigenito Verbo di Dio, quello che è nato dalla stessa sostanza del Padre, il Dio vero da Dio vero, la Luce da Luce, colui attraverso il quale tutto fu fatto, in cielo e sulla terra, colui che è disceso per la nostra salvezza e che si è sottomesso all’umiliazione, proprio lui, affermiamo, si è incarnato e si è fatto uomo; cioè, avendo preso una carne dalla santa Vergine e avendola resa sua propria fin dall’utero, si sottomise alla nostra nascita e venne fuori uomo da una donna. Non perse ciò che era, ma anche assumendo la carne e il sangue, anche così, rimase ciò che era, cioè Dio per natura e verità. Non affermiamo che la carne sia passata nella natura divina né che l’ineffabile natura del Dio Verbo sia passata nella natura della carne: egli è immutabile e, poiché resta sempre il medesimo, come dicono le Scritture, è interamente inalterabile. Una volta divenuto visibile, pur essendo neonato, in fasce e sul seno della Vergine che l’aveva partorito, in quanto Dio riempiva ogni creatura e regnava insieme al Genitore. Infatti la divinità è priva di misura e grandezza, e non ammette limiti.

4. Poiché confessiamo che il Verbo è unito alla carne secondo l’ipostasi, adoriamo un solo Figlio e Signore, Gesù Cristo. Non separiamo in parti e non dividiamo l’uomo e il Dio, come se si fossero uniti insieme l’un l’altro per unità di dignità e autorità (dire questo è puro non senso e nient’altro). Neppure applichiamo propriamente il nome «Cristo» al Verbo da Dio e similmente chiamiamo «Cristo» il nato da donna; ma riconosciamo che Cristo è uno solo, il Verbo da Dio Padre con la sua propria carne. Sebbene infatti egli dia lo Spirito ai giusti senza misura (Gv 3, 34), come dice il beato evangelista Giovanni, egli è stato unto con noi in maniera umana. Non affermiamo però che il Verbo da Dio abbia abitato nel figlio generato dalla santa Vergine, come in un uomo comune, affinché non si pensi che Cristo sia un uomo «teoforo». Sebbene il Verbo abitò tra noi (Gv 1,14), affermiamo anche che in Cristo risiede, in modo corporeo, tutta la pienezza della divinità (Col 2,9). Riconosciamo dunque che si è fatto carne e non dividiamo l’inabitazione, come se la maniera in cui la realizzò in sé stesso fosse stata eguale al tipo di inabitazione che diciamo ci sia nei santi. Ma, essendo uno per natura e non essendo mutato in carne, realizzò questa inabitazione come – si potrebbe dire – l’anima dell’uomo entra in relazione con il proprio corpo.

5. Perciò Cristo, Figlio e Signore, è uno solo. Non è un uomo che sia in rapporto con Dio per semplice congiunzione, mentre l’unità consisterebbe nella dignità e nella sovranità. L’eguaglianza di onore non unisce le nature; infatti Pietro e Giovanni, eguali ambedue per onore, in quanto Apostoli e santi discepoli, non sono affatto uno, ma due. Non riteniamo che il modo della congiunzione avvenga per avvicinamento (non sarebbe infatti sufficiente per un’unione naturale), né per un’unione accidentale, come avviene per noi, i quali, secondo le Scritture, siamo in connessione con il Signore e con lui siamo un solo spirito. Anzi noi rifiutiamo il termine «congiunzione», in quanto inadatto a significare l’unione. E neppure chiamiamo il Verbo da Dio Padre, Dio e Padrone di Cristo, per non tagliare manifestamente in due l’unico Cristo, Figlio e Signore, e così essere imputabili di bestemmia, avendolo reso Dio e Padrone di sé stesso. Il Verbo di Dio, come già abbiamo ribadito, essendo unito alla carne secondo l’ipostasi, è Dio dell’universo e comanda su tutto: non è servo o padrone di sé stesso. Pensare e affermare ciò è sciocco e blasfemo. Infatti egli chiama il Padre suo «Dio», sebbene per natura sia Dio e generato dalla sua stessa sostanza. Non ignoriamo, però, che, pur restando Dio, è divenuto uomo; e che per la legge inerente alla natura umana è sottoposto a Dio. In che modo allora sarebbe divenuto Dio e Padrone di sé stesso? Affermiamo che, come uomo e per quel che riguarda il modo dell’abbassamento, egli è sottoposto a

Dio come noi. Alla stessa maniera è divenuto sotto la legge, sebbene, in quanto Dio, egli stesso sia il promulgatore della legge e il legislatore.

6. Noi rifiutiamo di affermare su Cristo: «Venero colui che è rivestito, a motivo di colui che lo riveste; adoro colui che è visibile, a motivo di colui che è invisibile». È poi cosa terribile aggiungere: «Colui che è

assunto è chiamato Dio insieme con chi assume». Chi dice così divide in due Cristo e propriamente pone in modo separato un uomo e similmente un Dio. Vanifica chiaramente l’unione, secondo la quale l’uno non è adorato insieme con l’altro, ed è chiamato insieme a lui «Dio»; ma affermiamo che uno solo è Cristo Gesù, Figlio Unigenito, onorato con un’unica adorazione, insieme alla sua propria carne. Confessiamo inoltre che egli, il Figlio generato da Dio Padre e Dio Unigenito, sebbene per sua propria natura fosse impassibile, patì con la carne (1 Pt 4,1) per noi, secondo le Scritture, ed era nel corpo crocifisso, sostenendo le sofferenze della sua propria carne, sebbene fosse impassibile. Per grazia di Dio, gustò la morte per tutti (Eb 2,9),

offrendole il proprio corpo, sebbene per natura egli esista come Vita e sia la Risurrezione (Gv 11,25). Con indicibile potere, al fine di soffrire la morte con la sua propria carne, divenne il primogenito dei morti (Col 1,18)e la primizia dei dormienti (1 Cor 15,20), e indicò alla natura umana la strada per il ritorno all’incorruttibilità. Per grazia di Dio, come or ora abbiamo detto, gustò la morte per tutti e, ritornando alla vita dopo tre giorni, spogliò l’Ade. Perciò si può dire che la risurrezione dei morti avvenne attraverso un uomo, ma intendiamo che l’uomo è il Verbo nato da Dio e che per mezzo suo ha sciolto il potere della morte. Egli verrà a tempo opportuno come un unico Figlio e Signore, nella gloria del Padre a giudicare il mondo nella giustizia (At 17,31), secondo la Scrittura.

7. Necessariamente dobbiamo aggiungere anche questo. Noi proclamiamo la morte secondo la carne dell’Unigenito Figlio di Dio, Gesù Cristo, e confessiamo la sua risurrezione dai morti e l’ascesa al cielo, quando nelle chiese celebriamo l’incruento sacrificio e così ci appressiamo alle mistiche benedizioni e siamo santificati, divenendo partecipi della santa carne e del prezioso sangue di Cristo, Salvatore di noi tutti. Non riceviamo una carne comune (non sia mai!) né quella di un uomo santificato e unito al Verbo secondo l’unione della dignità oppure del possesso di una divina inabitazione, ma la carne veramente vivificante e interamente propria del Verbo. In quanto Dio egli è per natura Vita, perché è divenuto uno con la sua propria carne, rendendola vivificante. Cosicché ci ha potuto dire: Amen vi dico, se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue (Gv 6,53). Dobbiamo allora considerare che essa non è quella di un uomo come noi (come può per la sua stessa natura la carne di un uomo essere vivificante?), ma quella veramente fatta propria da colui che per noi è divenuto e si è fatto Figlio dell’uomo.

8. In forza delle espressioni del nostro Salvatore, presenti nei vangeli, noi non lo dividiamo in due ipostasi, né in due prosopa.[1] L’unico e solo Cristo non è infatti duplice; e anche se è pensato di due diversi elementi, è convenuto in una inseparabile unità. Sebbene sia considerato anche un uomo, dotato di anima e corpo, non è duplice, ma uno da due. Allora, pensando rettamente, dobbiamo riferire a uno solo le caratteristiche sia umane sia divine.

Quando, parlando come Dio, dice di sé stesso: Chi ha visto me, ha visto il Padre (Gv 14,9), e Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10,30), comprendiamo la sua divina e ineffabile natura, secondo la quale è una cosa sola con suo Padre, per l’identica sostanza, dato che possiede l’immagine e lo splendore della sua gloria (Eb 1,3).

Quando, non disprezzando i limiti dell’umana natura, disse ai Giudei: Ora cercate di uccidere me, un uomo, io che vi ho detto la verità (Gv 8,40), egualmente riconosciamo che il Dio Verbo è in eguaglianza e

somiglianza del Padre, anche nei limiti della sua natura umana. Se bisogna credere che, essendo Dio per natura, è divenuto carne, cioè un uomo dotato di anima razionale, che scusa può avere chi si vergogna delle parole che egli ha espresse in modo appropriato alla natura umana? Se egli avesse respinto le caratteristiche proprie di un uomo, chi lo avrebbe potuto costringere a divenire uomo come noi? Poiché si è posto per noi in una volontaria umiliazione, con

quale scusa possiamo rifiutare le caratteristiche proprie dell’umiliazione? Perciò tutte le espressioni presenti nei Vangeli devono essere applicate all’unica persona, all’unica ipostasi incarnata del Verbo. Secondo le Scritture uno solo è il Signore Gesù

Cristo.

9. Inoltre, sebbene è chiamato Apostolo e sommo Sacerdote della nostra confessione (Eb 3,1), in quanto offre a Dio e Padre la confessione di fede rivolta da noi a lui e, attraverso lui, a Dio e Padre, oltre che allo Spirito santo, tuttavia affermiamo che egli è per natura il Figlio Unigenito da Dio. Non ascriviamo allora a un uomo diverso da lui il titolo e la realtà del sacerdozio: divenne il mediatore tra Dio e gli uomini (1 Tm 2,5), il conciliatore (At 7,26), quando offrì sé stesso in odore di soavità a Dio e Padre. Per questo dice: Non hai voluto sacrificio e offerta, ma mi hai preparato un corpo. Non hai gradito olocausti e vittime per il peccato. Allora dissi: ecco, vengo. Su di me è scritto nel rotolo del libro di fare, Dio, la tua volontà (Eb 10,5ss). Per noi e non per sé stesso ha offerto in odore di soavità il proprio corpo. Di quale offerta o sacrificio avrebbe avuto bisogno per sé stesso, colui che esisteva, come Dio, al di là di ogni peccato? Se tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio (Rm 3,23), è perché siamo divenuti soggetti alla caduta e la natura dell’uomo è stata infettata dal peccato; egli però non è in questa condizione e per questo siamo vinti dalla sua gloria. Come si può dubitare che il vero Agnello si è immolato per noi a causa nostra? Affermare allora che egli si è immolato per sé stesso e per noi, significherebbe non potere assolutamente evitare l’accusa di empietà. In nessun modo egli ha errato ne ha commesso peccato. Di quale offerta allora avrebbe potuto avere bisogno, dato che non esisteva peccato, a motivo del quale giustamente compiere l’offerta?

10. Quando dice dello Spirito: Egli mi glorificherà (Gv 16,14), noi, pensando rettamente, non diciamo che l’unico Cristo e Figlio, siccome avrebbe avuto bisogno della gloria di un altro, ha acquisito la gloria dallo Spirito santo. Il suo Spirito non è migliore né superiore a lui. Ma poiché, per dimostrare la sua divinità, ha fatto uso del suo proprio Spirito per compiere i miracoli, si afferma che è stato glorificato da lui. Sarebbe come se uno dicesse nei riguardi della propria forza o di una sua conoscenza: «essa mi glorifica». Sebbene lo Spirito sia in una sua propria ipostasi ed è considerato per sé (è Spirito e non Figlio), non è però altro da lui. È chiamato Spirito di verità (Gv 16,13) e Cristo è la Verità (Gv 14,6); inoltre procede da Cristo, come anche da Dio e Padre. Perciò lo Spirito compì miracoli per mano dei santi Apostoli e glorificò il nostro Signore Gesù Cristo dopo la sua ascensione al cielo. È oggetto di fede che Cristo è Dio per natura e che opera attraverso il suo Spirito. Per questo diceva: Egli riceverà dal mio e ve lo farà conoscere (Gv 16,14).  Non stiamo affermando affatto che lo Spirito è sapienza e potenza per partecipazione: egli è assolutamente perfetto e colmo di ogni bene. Poiché egli è Spirito della Potenza e della Sapienza del Padre – cioè del Figlio –, egli è in tutto e per tutto Potenza e Sapienza.

11. Poiché poi la santa Vergine ha partorito carnalmente Dio unito alla carne secondo l’ipostasi, per questo affermiamo che essa è Madre di Dio; non perché la natura del Verbo avrebbe preso inizio dalla carne – egli infatti era all’inizio e il Verbo era Dio e il Verbo era presso Dio (Gv 1,1)ed è il fattore di ogni cosa, coeterno al Padre e artefice di tutto – ma, come abbiamo detto, perché, unita a sé secondo l’ipostasi la natura umana, tollerò una nascita carnale dal seno di lei. Questo non perché aveva bisogno per sua propria natura di una nascita temporale e alla fine dei tempi, ma per benedire l’inizio della nostra esistenza. Dal momento che una donna lo ha partorito, unito alla carne fece cessare la maledizione, che incombeva su tutto il genere umano e che portava alla morte i nostri corpi mondani. Grazie a lui sarebbe stato reso vano il partorirai i figli nel dolore (Gn 3,16), e si sarebbe manifestata vera la parola del profeta: La morte è divenuta forte e Dio asciugherà le lacrime da ogni volto (Is 25,8). Per questo motivo diciamo che egli, per l’economia ha benedetto le nozze e, chiamato, si recò a Cana di Galilea insieme ai santi Apostoli.

12. Così abbiamo appreso a pensare dai santi Apostoli ed Evangelisti, da tutta la Scrittura ispirata da Dio e dalla vera confessione dei beati Padri. Bisogna che la tua Pietà sottoscriva tutto questo e dia il tuo assenso senza inganno.

Quel che la tua Pietà deve necessariamente anatematizzare è stato posto qui di seguito a questa nostra lettera.

– Se uno non confessa che l’Emmanuele è veramente Dio e per questo motivo la santa Vergine è Madre di Dio (essa ha infatti generato secondo la carne il Verbo da Dio divenuto carne), sia anatema.

– Se uno non confessa che il Verbo da Dio Padre è unito alla carne secondo l’ipostasi e che uno solo è Cristo con la sua propria carne, cioè che lo stesso è insieme Dio e uomo, sia anatema.

– Se uno divide dopo l’unione le ipostasi dell’unico Cristo, unendole soltanto per congiunzione secondo dignità, sovranità e potenza, e non per un legame secondo unione naturale, sia anatema.

– Se uno divide in due prosopa o ipostasi le espressioni che negli scritti evangelici e apostolici sono dette dai santi su Cristo o da lui sono riferite a sé stesso, e le applica alcune all’uomo, considerato

indipendentemente dal Verbo da Dio, e altre, come degne di Dio, al solo Verbo da Dio, sia anatema.

– Se uno osa dire che Cristo era un uomo teoforo e non piuttosto che è veramente Dio, in quanto Figlio unico e per natura, poiché il Verbo si è fatto carne e ha partecipato in modo simile a noi del sangue e della carne, sia anatema.

– Se uno dice che il Verbo da Dio Padre è Dio o Signore di Cristo e non confessa piuttosto che il medesimo è insieme Dio e uomo, poiché il Verbo, secondo le Scritture, si è fatto carne, sia anatema.

– Se uno dice che Gesù, come uomo, sia stato attivato dal Dio Verbo e che la gloria dell’Unigenito lo ha circondato, come se fosse un altro, esistente oltre a lui, sia anatema.

– Se uno osa dire che l’uomo assunto deve essere adorato insieme al Verbo, insieme glorificato e insieme chiamato Dio, come se fosse uno insieme con l’altro (il «con» impone sempre di pensare a qualcosa di aggiunto) e non onora piuttosto con una sola adorazione l’Emmanuele e a lui attribuisce un’unica glorificazione, in quanto il Verbo si è fatto carne, sia anatema.

– Se uno afferma che l’unico Signore Gesù Cristo è stato glorificato dallo Spirito, come se, attraverso lui, si fosse servito di una potenza estranea e abbia ricevuto da lui il potere di operare contro gli spiriti immondi e di realizzare i miracoli a favore degli uomini, e non afferma piuttosto che lo Spirito, per mezzo del quale ha operato i miracoli, è propriamente suo, sia anatema.

– La divina Scrittura dice che Cristo è divenuto sommo Sacerdote e Apostolo della nostra confessione e ha offerto sé stesso per noi a Dio e Padre in odore di soavità. Quindi se uno afferma che non lui, il Verbo da Dio, è divenuto sommo Sacerdote e nostro Apostolo, perché si è fatto carne e uomo come noi, ma come se fosse un altro diverso da questo, propriamente un uomo nato da donna; oppure se uno dice che egli ha presentato l’offerta anche per sé stesso e non piuttosto soltanto per noi – non necessitava di offerta, infatti, colui che non conosceva peccato –, sia anatema.

– Se uno non confessa che la carne del Signore è vivificante e che è propria dello stesso Verbo da Dio Padre, ma come se fosse di un altro diverso da questo, unito a lui per dignità o per avere soltanto ricevuto la divina inabitazione, e non confessa piuttosto – come abbiamo detto – che la carne è vivificante, perché è divenuta propria del Verbo, che ha la forza di vivificare ogni cosa, sia anatema.

– Se uno non confessa che il Verbo di Dio ha patito con la carne, è stato crocifisso con la carne, ha gustato la morte con la carne ed è divenuto primogenito dai morti, perché, in quanto Dio, è Vita e Vivificante, sia anatema.

FORMULA DI UNIONE (433)[2]

Confessiamo dunque il Signore nostro Gesù Cristo, il Figlio di Dio, l’Unigenito, Dio perfetto e uomo perfetto per anima razionale e corpo; egli è nato dal Padre prima dei tempi secondo la divinità; negli ultimi giorni però egli stesso, per noi e per la nostra salvezza, è nato dalla Vergine Maria, secondo l’umanità; egli ancora è consostanziale (2) al Padre secondo la divinità e consostanziale a noi secondo l’umanità: si è infatti realizzata l’unione delle nature. Confessiamo allora un solo Cristo, un solo Figlio e un solo Signore.

Secondo questo concetto di non confusa unione, confessiamo la santa Vergine «Madre di Dio», perché il Dio Verbo si è incarnato e si è fatto uomo e per questo concepimento ha unito a sé il Tempio preso da lei. Circa le espressioni che gli Evangelisti e gli Apostoli riferiscono al Signore, sappiamo che quegli uomini, che parlavano di Dio, alcune le hanno considerate in comune, riferendole all’unico

prosopon, altre invece le hanno divise, riferendole alle due nature. Ci hanno perciò trasmesso quelle degne di Dio secondo la divinità di Cristo, e quelle umili, secondo la sua umanità.


[1] Il passo mostra in tutta evidenza come Cirillo assimili hypostasis a prosopon. Invece Nestorio e i vescovi antiocheni si erano formati alla cristologia di Teodoro di Mopsuestia, per il quale «la parola (hypostasis) non è sinonimo di prosopon» (cf. Galtier, L’«unio secundum hypostasim»…, cit., p. 381 e nota 6).

[2] Questa formula di fede, stipulata nel 433, fu il frutto di una non semplice mediazione, guidata da Acacio di Berea e da Paolo di Emesa. Mediazione tra le tradizioni antiochena e alessandrina, tra Giovanni di Antiochia e Cirillo di Alessandria. Come ogni mediazione il testo lasciò non pienamente soddisfatte tutte le parti e quindi la diatriba suscitata da Nestorio covò a lungo sotto la cenere.