Nicola Velimirovich: L’EUROPA PUZZA DI MORTE!

L’EUROPA PUZZA DI MORTE!

Il globalismo è la maledizione dei nostri tempi.

La cultura non cura né fa diminuire la cattiveria e l’egoismo degli uomini, anzi spesso li fa aumentare.

In Occidente domina il disordine; e la causa del disordine in Occidente è che si sono voltate le spalle a Dio e ci si è rivolti verso Satana.

Sempre la stessa ragione: rinnegare Dio e schierarsi dalla parte di Satana! Dio ci mette seriamente in guardia come un padre, mentre Satana proietta immagini false, attirando a sé gli stolti e i vanitosi. Con dolci medicamenti pesca e attrae a sé i lussuriosi e i miopi.

In Occidente tutto è diventato un problema e tutto è stato messo in discussione: Dio, l’anima, la morale, il matrimonio, la famiglia, la società, lo stato, questo mondo e anche l’ altro mondo! Ogni cosa è diventata problema su problema… la scienza occidentale è il pettine d’acciaio nelle mani dell’anticristo, un pettine che raschia vecchie ferite e ne apre di nuove. E, veramente, il principe dell’inferno, con il contributo della pseudo-scienza, ha partorito in Occidente una confusione mai avvenuta prima nella storia dell’umanità. Con il disordine c’è sviluppo, cultura, progresso! Il disordine è vita!

L’Occidente ha smesso di produrre santi e sapienti. E questo risale ai tempi in cui i papi hanno smesso di essere santi e sapienti e sono diventati politici e diplomatici.

L’uomo occidentale non pensa mai alla morte, non ha tempo per pensare alla morte.

Pensa soltanto alla sottomissione e allo sfruttamento: della terra e dell’aria, del fuoco e dell’ acqua, delle piante e degli animali, dei popoli e degli Stati vicini. Lo slogan della sua scienza e della sua cultura è: sottomettere e sfruttare. Il globalismo è la rovina dei nostri tempi! Che beneficio avrà l’Europa, l’America e gli altri continenti nel correre e conquistare il mondo, l’universo, la luna, Marte, e le stelle?

Che gioverà all’uomo se guadagna il mondo intero e farà del male alla propria anima, se perde la propria anima? A chi, o uomini, volete prendere e conquistare la luna e le stelle? Dal Signore, da Colui che le ha seminate come fiori nell’universo infinito?

Quanto è meschino l’uomo europeo quando muove guerra al cielo, come se fosse il suo nemico!

(S. Nicola Velimirovich, 1881-1956, dal libro: insegnamenti spirituali sull’uomo e su Dio, 2017)




P. Justin Popovitch: Cristo è nato!

Cristo è nato!

dell’archimandrita Justin Popovitch  (1894 – 1979)

In verità Dio è nato sulla terra come uomo. Perché? “Perché noi vivessimo per mezzo suo” (1 Giov. 4, 9). Infatti senza l’Uomo-Dio Gesù Cristo la vita dell’uomo è un assurdo degno del suicidio. Giacché la morte è il suo cuore ed essa, non c’è dubbio, è il più grande e più spaventoso assurdo tra i tanti che ci sono nella vita dell’uomo. Dare un senso alla morte significa dare un senso alla vita in tutta la sua profondità, altezza, infinità. Ma ciò è fatto solo da Dio, il quale ama tutti gli uomini e per l’infinito amore si fa uomo e rimane per l’eternità nel mondo umano come Uomo-Dio. La vita umana assume il suo eterno significato solo come vita in Dio. Altrimenti essa è il più offensivo assurdo ed il dono più pazzesco che si possa concepire. Questa vita, o uomo, solo come vita in Dio, assume il suo unico significato ragionevole e logico. Ed il tuo pensiero, fratello mio, assume il suo significato divino ed immortale solo in quanto pensiero di Dio. E così i tuoi sentimenti, solo in quanto rivolti a Dio, hanno un significato divino, immortale. Altrimenti i tuoi sentimenti sono il tuo più grande tormento, che continuamente ti crocifigge sulla più assurda croce, dietro la quale non c’è alcuna risurrezione. E la coscienza? Anch’essa in quanto solo coscienza di Dio ha il suo significato divino ed eterno. Altrimenti essa pure è un assurdo ferocemente pericoloso. E la mia morte, la tua morte, in genere quella di tutti gli uomini, non è il più crudele tormento per l’essere umano in tutto l’universo? Certamente, lo è per ogni uomo. Ma anch’essa solo in quanto morte in Dio, come morte umano-divina, assume il Suo eterno significato grazie alla Risurrezione dell’Uomo-Dio Gesù Cristo, poiché solo grazie a Lui, si realizza la vittoria sulla morte e quest’ultima assume un significato nel mondo umano. Così tutto ciò che è umano, tutto l’uomo solo come Uomo-Dio, frutto della Grazia, nel Corpo dell’Uomo-Dio, che ci divinizza ed è fonte di tutta la vita, cioè nella Chiesa, assume il suo significato eterno, umano-divino.

Con l’Incarnazione, Dio, nel modo più manifesto è entrato nel centro della vita umana, è entrato nel cuore, nel centro di tutto. Respinto a causa del volontario peccato dell’uomo dal mondo, dal corpo, dall’anima dell’uomo, Dio, incarnandosi, ritorna nel mondo, nel corpo, nell’anima, diventa completamente uomo e, come tale, opera a favore dell’uomo, si stabilisce nel mondo e come creatura provvede alla creatura, la santifica, la salva, la trasfigura, la rende umano-divina. L’incarnazione di Dio è il più grande rivolgimento nella vita della terra e di tutto l’universo, poiché per causa sua si è compiuto il miracolo dei miracoli. Se fino a quel momento la creazione del mondo dal nulla era stato il più grande miracolo, non c’è dubbio che l’Incarnazione di Dio l’ha superata per il suo carattere miracoloso. Mentre nella creazione le parole divine si sono trasformate nella realtà, nell’Incarnazione lo stesso Dio si è rivestito di un corpo, di una materia. Perciò l’Incarnazione è l’avvenimento decisivo nella storia di tutto l’universo, per ogni persona, per ogni essere, per ogni creatura. Vivi anche tu nell’Incarnazione, nell’Uomo-Dio e guarirai da tutti i generi di morte, da tutti i peccati, da tutte le passioni, da tutte le opere del demonio. Diventi la tua vita una vita in Dio. In ciò consiste tutto il tuo mistero umano-divino, fratello mio! Dio scende in un corpo che diventa il corpo di Dio. Ma egli diventa anche il tuo corpo, appena tu diventi membro della Chiesa, cioè del Corpo umano-divino del Cristo. E come si vive nella Chiesa del Cristo? Si vive nei Sacramenti, nelle virtù. Perciò è prescritto il digiuno prima di Natale. Il digiuno è come una virtù di primo ordine, e va sempre accompagnato dalla preghiera. Queste due fondamentali virtù conducono l’uomo al Cristo e con sapienza divina gli insegnano come vivere per mezzo suo ed in lui. E che fare del corpo datoci da Dio? Purificarlo, liberarlo da ogni impurità, dalle passioni, da ogni male, dal demonio. Purificarlo da ogni peccato, perché in ogni peccato si nasconde il demonio, poiché in esso opera il demonio nonostante tu abbia la libera volontà. Nel grande peccato c’è un grande demonio, nel piccolo uno piccolo. Ma a te, a me e ad ogni uomo sono concessi tutti i mezzi per vincere tutti i demoni, tutte le passioni, tutti i peccati, e la morte che è in noi e nel mondo. In primo luogo, quindi, la preghiera ed il digiuno, poiché la Verità, cioè il Cristo, ha detto: “Questo genere si caccia solo con la preghiera ed il digiuno” (Matteo 17, 21): il genere di tutti i peccati, di tutte le passioni, di tutti i demoni. Il Natale è davanti a te, davanti a me, davanti a noi tutti, fratelli e sorelle. Dio nasce come uomo, “perché noi si viva per mezzo suo”, affinché in tal modo egli riempia di sé la nostra anima ed il nostro corpo. Raggiungeremo questo obiettivo nel modo più sicuro con il digiuno e con la preghiera. Essi ci purificano, perché in noi si stabilisce gioiosamente il Bambino divino e riempia di sé la nostra natura. Giacché a questo fine, fratello mio, furono creati il tuo corpo e la tua anima. A ciò ci sono stati dati come guide l’umile preghiera e l’umile digiuno assieme alle altre virtù evangeliche. Che esse volino attorno a noi e davanti a noi annunciando a tutti gli uomini ed a tutto l’universo la salutare e lieta notizia: “Cristo è nato”.




Giuseppe di Vatopaidi (1921-2009): Sull’Incarnazione

Il recupero delle reliquie dell’anziano Iosif Vatopaidino

L’Anziano Iosif è nato a Drousia, nella regione di Paphos, a Cipro, il 1° luglio 1921. Seguendo una chiamata di Dio, è entrato nel Santo Monastero di Stavrovounio nel 1936, con la benedizione dei genitori. Qui fu fatto novizio e gli fu dato il nome di Sofronios. Rimase in monastero per 10 anni prima di trasferirsi sul Monte Santo, dopo una breve visita in Terra Santa. Lo ha fatto con l’incoraggiamento e la benedizione dell’anziano Kyprianos, il padre spirituale di Stavrovounio. All’inizio del 1947 si trova allo Skite di Sant’Anna, mentre nell’estate dello stesso anno conosce San Giuseppe l’Esicasta, il quale, dopo aver ricevuto l’inspirazione divina, accoglie il giovane nella sua confraternita. Il sabato di Lazzaro, 1948, nella casa dell’Venerabile Precursore a Piccola Sant’Anna, fu tonsurato monaco dal grande abito e gli fu dato il nome di Iosif. Nel 1951, la confraternita si trasferì nelle celle esicaste vicino alla torre Nuovo Skite. San Iosif l’Esicasta riposò nel Signore nel giorno della Dormizione della Madre di Dio, 1959. Il defunto Anziano Iosif ha soddisfatto il desiderio più profondo della sua anima durante il empo vissuto con il grande San Giuseppe, poiché ha imparato la vita da un vero esicasta, che era un asceta portatore di Dio. Dopo la morte del suo Anziano, il giovane Iosif continuò a vivere secondo i principi e l’esempio del primo e, con il passare del tempo, molti altri monaci vennero a vivere con lui. Nel 1989, a seguito di una delibera del Patriarcato Ecumenico, la sua comunità ha assunto l’amministrazione del Santo e Grande Monastero di Vatopaidi. Si é addormentato nel 2009

Sull’incarnazione

dell’anziano Giuseppe di Vatopaidi (1921-2009)

Monte Athos, Grecia

Oggi, iniziamo con la più grande festa, non potremo mai esprimerla [a parole]… Abbiamo supplicato il nostro Cristo di permetterci di prostrarci al suolo dove è nato; per prostarci davanti alla miseria che lo copriva. Abbracciare con riverenza la sua Santissima Madre che Lo teneva nel suo abbraccio. Tutto questo, miei cari, per quale scopo?

Proprio qui sta la cosa straordinaria. Se un uomo riesce a realizzarla, allora diventerà la più grande causa del suo progresso spirituale e del suo risveglio dal torpore dell’insensibilità.

È Lui che oggi si manifesta come un bambino esposto al freddo del mondo; Lui, per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte. Ha creato l’universo, il visibile e l’invisibile, il materiale e l’immateriale e tutto ha fatto in modo imperativo per mezzo della sua onnipotenza, essendo il Signore di tutto. Ma l’uomo, Egli lo fece con le Sue mani. Voleva fare una copia del prototipo. Mentre tutto, come ho detto, è stato costruito in maniera imperativa, per comando, anche gli angeli. Vedi che crea l’uomo con le sue stesse mani, ne è orgoglioso, gli dimostra di averlo fatto a “sua immagine e somiglianza” e quindi creato ricettivo di tutte le qualità divine. Ma ha dato un ordine? Non c’era bisogno di un ordine, e voglio che tu stia attento a questo. Certamente, Dio ha dato un ordine ad Adamo di custodire l’obbedienza e la sottomissione all’autorità, al suo Capo, a suo Padre e di non mangiare del frutto proibito che genera morte e decomposizione. Non erano ordini impartiti in maniera imperativa come quelli che usa un superiore per rivolgersi ai suoi subordinati. Sii attento a ciò perché sono il fondamento sia della nostra catastrofe ma anche del nostro ritorno, qualora volessimo cercarlo. Tutto ha una causa, e come tale ogni cosa è stata prodotta da una causa prima e non possono reggersi o sopravvivere se non sono in rapporto continuo con la causa prima. Ad esempio, pensa ai rami che crescono da un bellissimo albero. Se tagliamo questi rami e poi li mettiamo in acqua e aggiungiamo anche del fertilizzante, non possono sopravvivere. Una volta che hanno abbandonato il tronco è impossibile per loro sopravvivere. Pertanto, l’obbedienza e la sottomissione di tutti gli esseri che sono stati creati dalla bontà divina dovrebbero esistere in una forma pratica per possedere il potere dell’essere e dell’esistenza. Altrimenti è impossibile… e attenzione è importante tutto ciò.

Il Diavolo che fu la prima causa del nostro perderci, poiché apostatò da Dio per diventare un dio a sé stante, fu subito distrutto del tutto senza speranza di ritorno. Poi, per odio, inganna l’uomo nella sua inesperienza. L’uomo fu ingannato e ascoltò ciò che gli disse il diavolo. Subito, è stato escluso dalla sua Causa. Di conseguenza, l’uomo cade, perde la sua personalità ed è esiliato nella terra del decadimento, della morte, della perdita e di tutti gli altri mali che ci circondano. Tutto questo è il risultato della disobbedienza.

La causa pratica era l’egoismo poiché era stato ingannato dal diavolo che gli disse che poteva diventare dio senza Dio. La seconda causa era l’egocentrismo, una sensualità tale che lo portò a mangiare di ciò che gli piaceva. Tutto questo egoismo ed egocentrismo sono le cause della distruzione, la radice della caduta dell'[intero] universo.

Il nostro misericordiosissimo Dio e Padre, dopo la nostra apostasia, avrebbe potuto prendere una manciata di terra e soffiare di nuovo in essa per fare un altro uomo. Ma questo non avrebbe manifestato il suo affetto e la sua capacità paterna. Lui non lo fa!

Decide invece di venire Lui stesso, di far ritornare in Sé stesso ciò che ha creato con le sue stesse mani, e dargli ciò che gli aveva promesso fin dall’inizio.

Questa è la ragione dell’Incarnazione del Verbo divino. Dio stesso doveva venire, il Creatore, per ristabilire l’equilibrio. Non in modo imperativo, ma paterno. Come vedi, per raggiungere questo obiettivo, ha dovuto comunicare ontologicamente con l’ipostasi umana.

Tuttavia, non poteva comunicare con l’ipostasi umana poiché ci trovavamo nella legge del decadimento e della morte. Per questo decide e prepara in anticipo la sua figlia Santissima, la sua stessa Madre. Fin da piccola, l’ha portata nel Santo dei Santi e lì gli angeli si sono presi cura di lei.

E Lei non solo non ha mai commesso, ma non ha mai considerato una cosa malvagia. Dentro l’immensità della sua purezza, questa figlia Santissima divenne la ragione per cui Dio accettò di entrare in Lei, per ricevere dalla sua purezza l’uomo nuovo e non quello decaduto.

E Lui venne e prese dalla sua Madre Santissima, dalle sue viscere interiori, dalla limpidezza della sua purezza; prese dall’Onorevole e Santissimo sangue, all’inizio della sua ipostasi, si incarnò e cominciò a plasmare la sua forma di uomo. Ma attenzione al candore di questa figlia e a quanto la società le deve. Questa figlia, piena di Grazia.

Per cooperare fino in fondo, il Dio Onnipotente, quando ha deciso di fare questo, si è degnato di chiedere alla figlia se lo desiderasse… il Dio onnipotente, Colui che si è preso cura di lei dentro il Santo dei Santi e l’ha custodita lì solo per questo Motivo. Eppure, non interviene senza chiederle il permesso, affinché possa dimostrare anche la correttezza del ritorno e la sapienza di Dio.

Allora l’angelo le disse: “Ora diventerai Madre e partorirai il Figlio di Dio”. E lei chiese: “Come è possibile visto che sono Vergine?”

L’angelo le rispose: “Verrà un Angelo del Signore e porterà in te la Grazia dello Spirito Santo e ciò che accadrà sarà causato da Dio stesso, che si incarnerà”.

E poi la bambina disse: “Accetto. Avvenga così; sia fatta la sua volontà!”. Sii attento alla precisione! E così Dio riceve la natura umana. “Riceve la natura” nel senso della purezza che è alla base dell’ethos che è il centro della personalità umana e di tutti gli esseri razionali. Custodisce sua Madre, una Vergine, così come l’ha ricevuta, rimane puro e vergine e non ha minimamente comunicato con il decadimento e la caduta per poter diventare il rinnovatore e il “rigeneratore”. Ebbe comunione con la legge del decadimento? Come avrebbe potuto creare l’incorruttibilità?

Per la nostra salvezza, ha sofferto questa prova inimmaginabile che è impossibile descrivere, non nel mondo presente, ma anche nell’infinità della totalità. La Kenosis del Dio-Verbo, l’Incarnazione del Dio-Verbo.

Dio, come crediamo, è la Santissima Trinità. Egli è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Ha tre ipostasi ma una natura. Un’ipostasi di questi Tre doveva assumersi questo compito e nessun altro era appropriato per questo se non il Figlio. Colui che era chiamato Figlio, il Figlio del Padre, doveva diventare il Figlio dell’Uomo affinché l’ipostasi rimanesse la stessa. Essere un Figlio di Dio e un Figlio dell’Uomo, cioè un uomo.

Guarda questa purezza, questa ragazza con tanto candore stende le mani per ricevere dalla destra del Dio e Padre, il Dio-Verbo. Quello che non è conforme alla natura. Impone le mani alla ragazza, lo prende e lo mette nel suo seno perché possa ricevere la natura umana. Non dimentichiamo queste cose, fratelli miei! Perché per la nostra rigenerazione e salvezza, sono accadute!

Ma poiché la causa della catastrofe era l’egoismo e l’egocentrismo dell’uomo, il Dio-Verbo deve assumere il suo ruolo, affrontare la catastrofe, battere e sradicare il logocentrismo e l’egoismo. E questa è la ragione delle sue Santissime passioni.

Condiscende alla crocifissione, al dolore, alla sofferenza per sradicare la radice del piacere che l’uomo nella sua disobbedienza ha creato. Assume la veste degli umili… come posso esprimerlo a parole…

Quando tutta la creazione – ciò che non si può descrivere – è Lui che la governa e la comanda, è costretto a farsi umile nel cuore e non solo nell’apparenza per sradicare l’egoismo umano, per ristabilire l’equilibrio… mistero dei misteri.

Questa è la nostra radice, fratelli miei. Per questo, ora, noi cristiani che siamo stati attratti da Lui nella sua conoscenza, non abbiamo il diritto di esprimere un altro giudizio. Dice: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga…”. Ma per quelli che avevano una disposizione superiore a seguirlo genuinamente, quelli che avevano la forza di negare la loro partecipazione alla società in modo da potersi liberare dalle cause. Sono la parte dei monaci, per questo i monaci non li elegge in qualche modo nella somma della natura umana ma dice “Nessuno viene a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato”.

Coloro che avevano la forza, la volontà di negare la società in quanto non necessaria, ma di amare Dio in quanto sono obbligati perché questo è il primo e principale comandamento. Amare Dio con tutta la loro anima, tutto il loro cuore e la loro mente come Lui ci ha amati e ha sacrificato suo Figlio per la nostra salvezza. Le anime elette che hanno avuto il potere di negare la società non perché la società sia in sé colpevole, ma piuttosto perché, dopo la caduta, dopo il decadimento, la società pervertita, non si regge bene. Quindi chi vuole diventare puro di cuore come Dio vuole che sia e come Dio lo ha creato, deve evitare le cause.

Con la nostra caduta e la perdita della “sua immagine e somiglianza”, ci siamo pervertiti, e ora l’uomo è vittima dell’influenza. Paolo lo descrive “[…], ma io sono carnale, venduto sotto il peccato”. Dice che vedo il bene e lo preferisco, ma non posso farlo. Il male che cerco di evitare mi preme. Descrive il modo in cui funziona la perversione.

Dopo che l’uomo è diventato vittima dell’influenza, la porta si è aperta e così il demone pernicioso la usa come base della caduta, per poter combattere l’uomo. Coloro che sono stati attratti da Cristo e hanno lasciato la società, l’hanno sentito solo nella loro ipostasi biologica. Un uomo ha bisogno di tre cose: un piatto di cibo, vestiti e una casa in cui vivere. Questa è la sana conquista universale che riporterà l’uomo all’equilibrio. Nella società, invece, questo principio non è possibile applicarlo, perché all’interno della società, dove nascono le persone, bisogna prendersi cura di più bisogni. Questi bisogni e preoccupazioni aprono la porta al diavolo perché possa provocare scandali e ostacolare la salvezza. Costoro, che furono chiamati da Dio, tutto rifiutarono perché capirono che tutto ciò non era necessario. Partirono lontano, rifiutarono persino la loro personalità e ad essi resta un solo scopo… di orientare il cuore e la mente verso l’amore divino e verso l’osservanza accurata dei suoi comandamenti poiché li ha inclusi nella parte dei Santi affinché diventino eredi delle promesse divine. “Ma a quanti lo hanno accolto, a loro ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome”. Quindi, coloro che custodiranno la volontà divina – nella sua pienezza – hanno diritto a questa promessa.

I monaci, però, perché hanno una maggiore facilità grazie al fatto che hanno negato tutto e non ci sono ragioni perché il diavolo li inciti, sono organizzati, hanno poco cibo, un vestito da indossare, una stanza per dormire e non hanno altre preoccupazioni. Si preoccupano solo quando hanno un surplus di amore e solidarietà. Per questo comunicano con coloro che vogliono beneficiare spiritualmente ed essere salvati. Custodiscono la Verità del Vangelo fino all’ultimo dettaglio; insegnano la via pratica del pentimento e del ritorno e conservano e contengono la continuità della chiesa e la rivelazione fino a quel giorno. E la cosa più vicina è la morte. Tutti marciano verso la morte, volenti o nolenti. La morte non ha tempo. È vicina sin dall’infanzia e arriva quando vuole. Ma non c’è morte per l’uomo. Chi è “a sua immagine e somiglianza” non può morire. Il corpo morirà, lo lasceremo qui per un po’ di tempo e poi lo riprenderemo e ci presenteremo al Tribunale, il Grande Giudizio, in modo che Colui che non solo ci ha creati, ma ci ha anche comprato con il proprio sangue, ha pagato per la nostra tolleranza del peccato con il Suo stesso sangue, ci chiederà: “Hai fatto qualcosa per Me? Hai apprezzato l’amore che ti ho mostrato?”. Il processo si svolgerà lì. Lì saremo chiamati a dimostrare che lo abbiamo amato con gli atti o, anche se non siamo riusciti così, siamo comunque riusciti a cancellare i nostri peccati attraverso il pentimento, così di nuovo ci accetta.

Guarda che amore senza confini! Noi l’abbiamo tradito, l’abbiamo rinnegato, l’abbiamo rattristato e sempre siamo rimasti ai margini dell’ignoranza e dell’ingratitudine; Egli ancora non cambia la sua natura paterna. Lui va più in basso e ci dà il pentimento come se dicesse: “Va bene, se non hai onorato ciò che hai promesso durante il tuo Battesimo, chiedi almeno perdono dei tuoi errori e io ti perdonerò”. Questo si chiama pentimento. Naturalmente, il pentimento è molto più di quello che ho brevemente detto.

Tuttavia, il pentimento è un dovere assoluto, tanto più necessario e applicabile a voi, nostri fratelli che vivete nel mondo e non potete evitare le cause [del peccato]. Soprattutto, oggi, nel nostro secolo, assistiamo a una tale perversione e decadimento legati alla personalità umana che non sono mai esistiti prima nella storia umana. I motivi sono tanti. Per questo, ti prego, nel tuo amore, custodisci con tutte le tue forze il pentimento e rendi grazie a Dio che ci ha rattristato affinché nel Giorno della Giustizia possiamo dire “anche se non abbiamo mantenuto ciò che ci hai chiesto, almeno, abbiamo chiesto perdono attraverso il nostro pentimento in modo che tu possa perdonarci”.

Ora mi rivolgo a noi, monaci. Noi monaci abbiamo come scopo e punto di partenza della nostra esistenza il pensiero e la contemplazione della nostra origine. Nessun atto può aver luogo prima di essere pianificato. Uno vuole avviare un’impresa; pianifica in anticipo. Ha in mente il luogo, i mezzi, le entrate attese e in base a tutto questo, parte. Lo stesso vale per la scala spirituale. Siamo stati chiamati qui, siamo stati attratti dall’amore divino, ma Dio non ci ha tolto la nostra libertà. Siamo liberi di sottometterci, se lo desideriamo, per fare come Lui ci ha chiesto e Lui ci restituirà anche più di quello che chiediamo o pensiamo. Per questo, ora siamo seduti qui, iniziamo dall’obbedienza e dalla sottomissione. Iniziamo con il sacrificio di noi stessi, attenuando la nostra volontà e opinione. Chiediamo alla conoscenza divina di avvicinarsi a noi e illuminare la nostra mente.

Oltre a questo, abbiamo al nostro fianco i milioni di Santi, che hanno copiato con precisione matematica il nostro Padre, il nostro Salvatore e sono riusciti a santificarsi. Chi può dire oggi che il cristianesimo è irraggiungibile? Quando milioni di eroi che si sono sacrificati, che hanno subito il martirio, sono riusciti a respingere la perversione, il delitto, la menzogna, la disonestà, l’ingiustizia. ‘E preferì l’amore e la prudenza e raggiunse la santificazione’. Fratelli miei, questa è la realtà. Abbiamo persone simili anche ai nostri giorni. Non solo in passato, anche ai giorni nostri. Abbiamo tra noi tali persone che sono portatrici della promessa divina, che comunicano con Dio, partecipi delle promesse divine, partecipi della conoscenza di Dio e attendono la morte con desiderio. Facciamo in modo che i legami si ritirino e torneremo nella nostra patria dove il nostro Signore ha preparato la nostra casa. Dice: ‘vado a prepararti un posto e di nuovo tornerò a prenderti perché dove sono io tu possa essere con me’. Tutto ciò travolge l’ideologia monastica ed i monaci negano la vanità del mondo perché non è necessaria, hanno solo bisogno dell’ipostasi biologica.

Ve lo chiedo, specialmente ai più grandi, che vivono ancora nel mondo. Cosa hai guadagnato fino ad ora nel caos della confusione del mondo? Quando la promessa divina testimonia che andremo in Paradiso per incontrare i Santi e gli angeli ci accoglieranno. Colui che vive nel mondo è riuscito a sperimentarlo? Per questo i monaci hanno negato la società perché lì si trovano le cause [del peccato]. Lontani da queste cause, qui, in questo luogo, si dedicano con tutto il cuore all’amore di Cristo e del prossimo e si fanno partecipi delle promesse divine.

Questo avviene oggi, non solo nel passato. Per favore perdonami perché la mia salute non mi permette molte cose ma per l’impulso della legge dell’amore, volevo ricordarti alcune lezioni necessarie. Perché, fratelli miei, domani c’è la morte. La morte ha un calendario. Inizia dall’infanzia e va avanti. Per i piccoli ed i grandi, i primi e gli ultimi, arriverà la morte. Dopo la morte, però, l’uomo non muore come abbiamo detto. Abbandoneremo il corpo per un po’. Ma nella risurrezione lo riavremo intatto e vivo e insieme alla nostra anima marceremo verso la Corte. Abbiamo dimostrato amore e fede a Colui che è stato sgozzato, che è stato crocifisso per comprarci con il suo sangue e ci ha mostrato – in modo concreto – la via del ritorno?

Questo è il nostro dovere, fratelli. Per questo, vi prego, nel Suo amore, che tutti noi con nuove decisioni ci troviamo pronti con vero pentimento a convincere la misericordia del nostro Dio che chiediamo perdono per i nostri errori e abbiamo preso la decisione da questo momento in poi di negare la perversione e salvaguardare l’equilibrio della dignità. 

Amen!




San Leone Magno: OMELIA XCVI – L’eresia eutichiana.

OMELIA XCVI

L’eresia eutichiana.

1. Come è compito dei medici veramente valenti prevenire, o miei cari, con rimedi opportuni le alterazioni proprie dell’infermità umana, ed indicare il modo con cui evitare quanto è dannoso alla salute, così rientra nei doveri pastorali impedire che la perversità delle eresie nuoccia al gregge del Signore, e dimostrare altresì come ci si debba guardare dalla malvagità dei lupi e dei ladroni. Di fatto mai l’empietà degli eretici è riuscita a nascondersi: i nostri santi Padri l’hanno sempre scoperta e giustamente condannata.

Così non è sfuggito al nostro zelo, che dedichiamo alla vostra carità, il fatto che certi Egiziani, per lo più mercanti venuti a Roma, vanno sostenendo delle idee già empiamente diffuse dagli eretici ad Alessandria. Essi dicono che in Cristo c’era soltanto la natura divina, mentre l’umana carne, presa dalla beata Vergine Maria, non avrebbe avuto alcuna reale consistenza: dottrina questa veramente empia, perché presenta Cristo come falso uomo e, in quanto Dio, lo fa passibile1. Riguardo poi allo spirito e alle finalità, che animano la loro audacia, non ci possono esser dubbi per noi: dopo essersi personalmente allontanati dalla verità evangelica, per seguire le menzogne del demonio, essi intendono attirare anche gli altri e farli compagni della loro perdizione.

È per questo che noi con sollecitudine insieme paterna e fraterna vi avvertiamo di non seguire, escludiamo qualsiasi forma di adesione, questi avversari della fede cattolica, nemici della Chiesa, negatori dell’incarnazione del Signore, oppositori del Simbolo stabilito dai santi Apostoli, perché appunto dice l’Apostolo: «Allontana da te, dopo un primo e un secondo ammonimento, l’uomo che provoca scissioni, ben sapendo che chi è tale è un perverso e un peccatore che si condanna da sé stesso». (Tito, 3,10-11)

2. Effettivamente si rovina per la sua stessa ostinazione e si stacca con un atto pazzesco da Cristo, chi aderisce a quella dottrina empia, dalla quale pur sa che in passato molti altri sono stati rovinati, e ritiene cosa perfettamente ortodossa quel che pur gli risulta essere stato formalmente condannato dai santi Padri sia nelle perfide teorie di Fotino, sia nelle folli asserzioni di Mani, sia nei dogmi insensati di Apollinare2: coloro cioè che negano il mistero dell’incarnazione del Signore, non fanno che accettare con grave danno della loro anima un errore sacrilego, come se fosse qualcosa di nuovo e non ancora condannato. Ma che altro ci insegna la lettura di tutto il Vangelo, se non che proprio per questo mistero della divina misericordia è avvenuta, in quelli che credono, la salvezza del genere umano? Il Figlio unigenito di Dio — essa ci insegna — eguale in tutto al Padre, ha assunto la nostra natura, e rimanendo quel che era, si è degnato di essere quel che non era, cioè vero uomo pur essendo vero Dio; egli ha unito a se stesso, senza contrarre macchia alcuna di peccato, la nostra natura nella sua integrità e perfezione, e quindi con un vero corpo ed una vera anima; concepito per opera dello Spirito Santo nel seno della santa Vergine, sua madre, non ha rifiutato di venir alla luce attraverso il suo parto e di passare per i primi gradi propri dell’infanzia. Così il Verbo di Dio Padre proclamava con la potenza della sua divinità ed insieme con la debolezza della sua carne che c’era realmente in lui la natura umana: con il suo corpo era in grado di porre azioni corporee, con la sua divinità era in grado di operare prodigi spirituali.

Difatti è proprio dell’uomo aver fame, aver sete e dormire; è proprio dell’uomo temere, piangere, rattristarsi; è proprio dell’uomo infine esser crocifisso, morire ed esser seppellito. Ma è proprio di Dio camminare sopra le onde, cambiare l’acqua in vino, risuscitare i morti, far tremare il mondo al momento della propria morte ed elevarsi al di sopra di tutti i cieli con la propria carne, ritornata alla vita. Quelli dunque che credono a tutto questo, non possono aver dubbi su ciò che rispettivamente va ascritto all’umanità o attribuito alla divinità, in quanto nell’uno e l’altro principio uno solo è il Cristo, che come non ha perduto la sua potenza divina, così nascendo ha assunto la vera realtà di un uomo perfetto.

3. Queste persone di cui stiamo parlando, o miei cari, dovete dunque — come si evita un veleno mortale — evitarle, detestarle, sfuggirle, astenendovi anche, se dopo le vostre riprensioni rifiutano di correggersi, dal parlare con loro, perché sta scritto: «La loro parola rode come la cancrena» (2 Tim., 2, 17). Non si può infatti accordare rapporto alcuno di comunione a coloro, che una giusta sentenza ha messo fuori dall’unità della Chiesa: essi non per nostro odio, ma per i loro crimini l’hanno perduta!

Quanto a voi, che siete prediletti da Dio ed oggetto di un riconoscimento apostolico che vale una testimonianza, voi a cui l’apostolo san Paolo, il dottore delle genti, dice: «Perché la vostra fede è proclamata in tutto quanto il mondo» (Rom 1,8), dovete sempre mantenere inalterato quel giudizio, che sapete aver avuto di voi un predicatore tanto autorevole. Nessuno di voi diventi indegno di questa lode, sicché, come in tanti secoli grazie all’ispirazione superiore dello Spirito Santo nessuna eresia vi ha mai contaminato, neppure il contagio dell’empietà di Eutiche possa ora macchiarvi.

Nutriamo fiducia che la protezione di Dio custodirà il vostro cuore e la vostra fede: come finora gli avete fedelmente obbedito, così, perseverando nell’osservanza della fede cattolica, per sempre gli piacerete, per il Cristo nostro Signore.

Amen.

1. L’eresia, a cui si allude, è il monofisismo, che affermava l’esistenza di una sola natura nel Cristo. È dunque la dottrina stessa di Eutiche, di cui tratta l’Omilia.

2. L’idea generale di questo passo è che nel monofisismo di Eutiche riappaiono in parte gli elementi di eresie precedenti, in particolare la perfidia di Fotino, la dementia di Mani, la insania di Apollinare.




P. Seraphim Rose: Lettera ad un cercatore spirituale

Cercatore spirituale

[OW 187-188, p. 117; scritto “verso la fine della sua vita”, forse una lettera scritta a mano a p. Damasceno]

… accadde così che René Guénon è stato l’influenza principale nella formazione della mia prospettiva intellettuale (a prescindere dalla questione del cristianesimo ortodosso). Ho letto e studiato con entusiasmo tutti i suoi libri che sono riuscito a procurarmi; attraverso la sua influenza ho studiato l’antica lingua cinese e ho deciso di fare per la tradizione cinese quello che aveva fatto lui per l’indù; ho anche potuto incontrare e studiare con un autentico rappresentante della tradizione cinese e ho capito benissimo così cosa si intende per differenza tra insegnanti autentici e semplici “professori” che insegnano nelle università.
René Guénon mi ha insegnato a cercare e ad amare la Verità sopra ogni altra cosa e ad essere insoddisfatto di qualsiasi altra cosa; questo è ciò che alla fine mi ha portato alla Chiesa ortodossa. Forse una parola della mia esperienza ti sarà d’aiuto.

Per anni nei miei studi mi sono accontentato di essere “al di sopra di tutte le tradizioni” ma in qualche modo fedele ad esse; ho solo approfondito la tradizione cinese perché nessuno l’aveva presentata in Occidente da un punto di vista pienamente tradizionale. Quando ho visitato una chiesa ortodossa, è stato solo per vedere un’altra “tradizione”, sapendo che Guénon (e uno dei suoi discepoli) aveva descritto l’Ortodossia come la più autentica delle tradizioni cristiane.

Tuttavia, quando sono entrato per la prima volta in una chiesa ortodossa (una chiesa russa a San Francisco), mi è successo qualcosa che non avevo sperimentato in nessun tempio buddista o orientale: qualcosa nel mio cuore diceva che questa è “casa”, che tutta la mia ricerca era finita. Non sapevo davvero cosa significasse, perché il servizio era piuttosto strano per me e in una lingua straniera. Ho iniziato a frequentare le funzioni ortodosse più frequentemente, imparando gradualmente la sua lingua e i suoi costumi, ma conservando ancora tutte le mie idee guenoniane di base su tutte le autentiche tradizioni spirituali.

Con la mia esposizione all’Ortodossia e agli ortodossi, tuttavia, una nuova idea ha cominciato a entrare nella mia consapevolezza: che la verità non era solo un’idea astratta, cercata e conosciuta dalla mente, ma era qualcosa di personale – anche una Persona – cercata e amata dal cuore. Ed è così che ho incontrato Cristo. Ora sono grato che il mio approccio all’Ortodossia abbia richiesto diversi anni e non abbia avuto nulla di eccitazione emotiva al riguardo – questa è stata di nuovo l’influenza di Guénon e mi ha aiutato ad approfondire l’Ortodossia senza gli alti e bassi che alcuni convertiti incontrano quando non sono troppo pronti per qualcosa di così profondo come l’Ortodossia. Il mio ingresso nella Chiesa ortodossa è avvenuto proprio nel momento in cui ho lasciato il mondo accademico e rinunciato al tentativo di comunicare la tradizione cinese al mondo occidentale. Anche il mio insegnante di cinese ha lasciato San Francisco poco prima – il mio unico vero contatto con la tradizione cinese – e alla maniera di Guénon è scomparso del tutto, senza lasciare indirizzo. Lo ricordo con affetto, ma dopo essere diventato ortodosso ho visto quanto fosse limitato il suo insegnamento: l’insegnamento spirituale cinese, ha detto, sarebbe scomparso del tutto dal mondo se il comunismo fosse durato altri dieci o vent’anni in Cina. Questa tradizione era così fragile – ma il cristianesimo ortodosso che avevo scoperto sarebbe sopravvissuto a tutto e sarebbe durato fino alla fine del mondo – perché non era semplicemente tramandato di generazione in generazione, come lo sono tutte le tradizioni; ma è stato nello stesso tempo donato da Dio all’uomo. 

Ripenso con affetto a René Guénon come il mio primo vero istruttore nella Verità e prego solo che tu prenda ciò che è buono da lui e non lasci che i suoi limiti ti incatenino. Anche psicologicamente; la “saggezza orientale” non è per noi che siamo carne e ossa dell’Occidente. Il cristianesimo ortodosso è chiaramente la tradizione che ci è stata data e può essere chiaramente vista nell’Europa occidentale dei primi dieci secoli, prima dell’allontanamento di Roma dall’Ortodossia. Ma accade anche che l’Ortodossia non sia semplicemente una “tradizione” come le altre, una “trasmissione” di saggezza spirituale dal passato: è la verità di Dio qui e ora: ci dà un contatto immediato con Dio come nessun’altra tradizione può fare. Ci sono molte verità nelle altre tradizioni, sia quelle tramandate da un passato in cui gli uomini erano più vicini a Dio, sia quelle scoperte fatte da uomini dotati nei meandri della mente, ma la piena Verità è solo nel Cristianesimo, la rivelazione di Dio di Sé all’umanità. Prenderò solo un esempio: ci sono insegnamenti sull’inganno spirituale in altre tradizioni, ma nessuno così raffinato come quelli insegnati dai Santi Padri ortodossi, e, cosa più importante, questi inganni del maligno e della nostra natura decaduta sono così onnipresenti e così completi che nessuno potrebbe sfuggirli a meno che il Dio amorevole rivelato dal cristianesimo non fosse vicino a liberarci da loro. Allo stesso modo, la tradizione indù insegna molte cose vere sulla fine del Kali Yuga ma chi si limita a conoscere queste verità nella mente non sarà in grado di resistere alle tentazioni di quei tempi e molti che riconoscono l’Anticristo (Chalmakubi) quando verrà lo adoreranno nondimeno; solo il potere di Cristo dato al cuore avrà forza per resistergli.

Prego per te che Dio apra il tuo cuore e che tu stesso faccia quello che puoi per incontrarLo. Troverai lì la felicità che non hai mai sognato essere possibile prima; il tuo cuore si unirà alla tua testa nel riconoscere il vero Dio e nessuna vera verità che tu abbia mai conosciuto andrà perduta. Che Dio lo conceda!

Sentiti libero di scrivere qualunque cosa ti venga in mente o nel cuore.

Con affetto,

p. Seraphim




IL MONACO ORTODOSSO

“Il monaco sa di non essere “produttivo”. Ha imparato dalla nostra tradizione che esiste un’inattività che si trova al di sopra di ogni attività. Il monaco non fa assolutamente “nulla”, misurato con criteri mondani. E con questo “nulla” risuscita nuovi mondi”

IL MONACO ORTODOSSO *

Un Padre del deserto era solito affermare: «Non sono monaco, ma ho visto veri monaci». (…) Sulla base di quanto ho visto, cercherò di spiegare brevemente cos’è un monaco ortodosso e quale profonda relazione ci leghi tutti alla vita liturgica dei monasteri e alle esperienze personali dei santi asceti. Il Signore non è venuto nel mondo per migliorare semplicemente le condizioni della vita presente, non è venuto per proporre un qualche sistema economico o politico, né per insegnarci un qualche metodo che ci consenta di ottenere un equilibrio psicosomatico. E’ venuto per vincere la morte e portare la vita eterna. «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 316) (…)

Ciò che ha l’uomo e ha valore non sono tanto le sue capacità fisiche e intellettuali ma il fatto che egli può diventar partecipe della risurrezione di Cristo, che può morire e viver fin da oggi la vita eterna: «Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,25) (…)

La vita del monaco è una perdita e un ritrovamento. Monaco ortodosso non è semplicemente il «mistico». Non è colui che con una determinata dieta o tecnica è giunto ad un alto livello di autodominio e a prodezze di tipo. ascetico. Queste cose, da sole, sono conquiste dell’eone presente, insignificanti e incapaci di vincere – per il monaco e per i suoi fratelli – la morte. Vero monaco ortodosso è il risorto.

Egli non ha quale missione di fare qualcosa con i suoi ragionamenti o di organizzare qualcosa con le sue capacità ma di testimoniare con la sua vita che la morte è stata vinta. E ciò si verifica quando egli stesso si seppellisce come il seme nella terra. Per questo – secondo quanto viene citato nel libro dei detti dei Padri del deserto – quando un giovane monaco riferisce allo iéronda: «Noto che il mio intelletto si trova continuamente in Dio» l’anziano gli dice: «Non è grande impresa il fatto che il tuo intelletto si trovi in Dio; ciò che invece ha importanza è considerare te stesso al di sotto di tutta la creazione» …

Nell’università del deserto – così i Padri hanno chiamato il monachesimo – gli asceti non “imparano” ma “patiscono” e cose divine. Non affaticano la loro mente o il loro corpo, ma sacrificano interamente se stessi. «Se non avessi demolito tutto, non avrei potuto costruire me stesso». Vero monaco è chi è risorto dai morti, chi è un’icona del Cristo risorto (…)

In un modo particolare egli si occupa di tutto e di nulla. E “separato da tutto e unito a tutto”. Il concetto di specializzazione gli è estraneo per natura. Non è specializzato in qualcosa, né qualcos’altro lo lascia indifferente. Gli interessa tutto…

Un monaco scriveva «Non è mio lavoro costruire e tinteggiare case. Nemmeno leggere e scrivere. Qual’è la mia missione? Se possibile, morire in Dio. Allora vivo e mi muovo a opera di un’altra Potenza. Posso in tal modo, liberamente fare tutto (zappare, organizzare, leggere, scrivere) senza legarmi a nulla. Posso passare attraverso tutto – debbo passare – perseguendo sempre con tranquillità ciò che è uno ed unico. Devo lasciare tutto, tutte le divagazioni’ mi attraversino, liberamente, in attesa di quell’uno che dà valore a ogni cosa.

Quando costruisci per costruire edifichi il tuo sepolcro. Quando scrivi per scrivere, tessi il tuo lenzuolo funebre. Quando vivi e respiri cercando la misericordia di Dio, allora attorno a te si intesse una veste di incorruttibilità e dentro di te freme la dolcezza di una consolazione celeste. Costruire o scrivere risulta assai secondario». Il monaco non ha quale scopo di vita di pervenire a un’autoconcentrazione o a un progresso individuali, ma di servire – il mistero della salvezza con il fatto di vivere non per se stesso – ma per Colui che è morto e risorto per noi. E per tutti i Suoi fratelli. Tale meta viene attinta perché il monaco vive non come vuole lui, ma come detta la Chiesa….

L’intera nostra vita ruota attorno a Dio. Il nostro tempo, la nostra occupazione è Lui. La nostra resistenza fisica e il nostro primo pensiero sono rivolti a Lui. L’ufficiatura, la meditazione, la preghiera, costituiscono il senso della lotta ed il polo attorno a cui ci muoviamo….

Ogni consolazione e grazia viene data all’Ortodossia e al suo monachesimo attraverso la morte. Consolazione è il superamento della morte, in ogni forma di vita.

Possiamo renderci conto di questo anche nelle grandi ufficiature monastiche, nei digiuni, in tutti i mezzi di ascesi. E’ dura l’Ortodossia? E’ severa? Supera la resistenza dell’uomo? Dall’esterno appare così. Così è in parte anche nella essenza («Monaco è violenza della natura», afferma San Giovanni Climaco). Solo che non è mai priva di speranza, quanto dura possa sembrare. Non è mai soffocante e innaturale, per quanto buia possa presentarsi.

Perché, alla fine dalla molta fatica, dall’ascesi, dalla veglia – realtà che superano, spesso, la resistenza umana – spunta un germoglio nuovo, incorruttibile, immarcescibile che un frutto centuplicato E allora proclami beate le fatiche e le sofferenze…

I veri monaci giungono alla fine ad accogliere con riconoscenza e di buon grado la tribolazione e la sofferenza, o il disprezzo e l’umiliazione da parte degli uomini perché così vengono affrancati dalle consolazioni ingannevoli di questo mondo e diventano partecipi, fin da oggi, della gloria eterna del Signore….

Non appartengono a quanti si sono convertiti ma a quanti si convertono. L’invito “convertitevi” del Signore non viene inteso con “convertitevi una volta”, nè significa “convertirsi ogni tanto (forse inizia così); significa invece che la tua vita diviene conversione. Che esiste dentro di te un perpetuo atteggiamento di conversione e contrizione. Che nessuno parla, pensa, qualcosa fuori del clima e dell’ethos della contrizione. Che quest’ultima impregna l’esistenza di ognuno. Celebrare ogni momento il mistero della conversione della contrizione, del venire rialzati dall’altra Potenza. Sentire ogni momento che, caduto, sei risollevato da Lui. Sentire che tu sei caduta e Lui risurrezione. Sei non-essere e Lui è l’essere. E per la sua misericordia sconfinata ti ha portato all’essere; caduto, ti ha fatto risorgere e ti fa risorgere incessantemente… Vivono senza posa la “morte vivificante”, la “radiosa tristezza”….

L’uomo può trovare se stesso nelle sue vere dimensioni solo se perduto per Dio e per l’altro (il fratello). «Chi perderà troverà». Solo così si ricostruisce dentro di lui la magnificenza teantropica e sconfinata dell’uomo. Solo così possiamo sentire colte le fondamenta su cui l’uomo si regge non vengano mai scosse. Le fondamenta sono la morte, l’estinzione La realtà antropologica entro cui vive continuamente l’uomo nuovo è la grazia che abbraccia ogni cosa…

Con tutta la loro vita di ascesi e ritiro, essi non si sono allontanati dall’uomo: vi hanno fatto invece ritorno. Hanno abbracciato tutti gli uomini e i loro dolori. Sono diventati veri uomini. Il progresso monastico non dipende da quanto il monaco ha digiunato tribolato, ma da quanto, con l’intera sua ascesi, e divenuto partecipe della grazia del Paraclito (cioè lo Spirito Santo), ha trovato lui stesso riposo e si è fatto riposo per l’uomo suo fratello.

I monaci di una fraternità pensavano di superare in virtù gli altri monaci perché facevano più digiuni e le loro ufficiature erano più lunghe. Su tale argomento un vecchio iéronda (cioè una figura venerabile del monachesimo ortodosso) si espresse così: «Non ditemi quanto digiunano o quanto durata loro ufficiatura. Un’altra è la cosa che mi interessa. Può uno di loro – anche il più perfetto – capire l’uomo stanco di oggi, dare un conforto all’afflitto? Può liberare chi è stretto nelle macchinazioni del diavolo? Se fa questo, se è in grado di dar riposo al fratello, di fargli amare la vita, di farlo gioire ed essere grato a Dio, sarà tutto ciò a dimostrare i progressi spirituali compiuti da un tale monaco» …

(Il monaco ortodosso) ha un’altra concezione della vita, del mondo, delle distanze. Non ha esistenza nel mondo, e nel contempo lo ricapitola, organizza, riunifica («Con le tue preghiere hai sostenuto l’ecumene»).

È uscito dalla mischia. Se cerchi di colpirlo, i tuoi dardi non lo trovano. E’ inesistente per essi. Se lo cerchi, dovunque tu sia, lo hai accanto a te. Vive solo per te…

Non organizza in modo umano. Aiuta ciascuno a trovare se stesso. Aiuta ciascuno ad amare la propria vita, guidandolo fino al cuore della luce che non conosce tramonto…

Ti accorgi che solo ti aiuta con discrezione. Non si intromette brutalmente. Non si impone magicamente. Ti rivela il funzionamento secondo natura del tuo essere. Ti lascia libero. E sei prigioniero della verità, della libertà, dell’unica realtà così com’è …

Davanti a lui hai la percezione di trovarti nel giorno ultimo….Ti trovi innanzi a una teofania, a una vera antropofania. La tua vita assume un’altra dimensione, escatologica. E di un tepore e di una speranza umani si riempiono le realtà escatologiche…

• padre Basilio di Iviron (+ Igumeno aghiorita) in “AA. VV., Voci dal Monte Athos” (Servitum Interlogos – 1993)




L’AMORE, IL MATRIMONIO E LA SESSUALITÀ

di Padre Giovanni Chryssavgis

nato in Australia nel 1958. Ha studiato teologia all’Università di Atene, musica bizantina al Conservatorio greco di musica e ha ottenuto una borsa di studio presso il Seminario teologico “St. Vladimir” (NY), completando poi la sua formazione con un dottorato in studi patristici all’Università di Oxford. La sua ricerca si è specializzata sul pensiero ascetico e la pratica della chiesa primitiva.

I. Amore – Divino e umano

“L’amore, il matrimonio e la sessualità riguardano tutti, perché l’amore è una vocazione per tutti. Come cristiani, crediamo che l’intera creazione sia stata fatta attraverso l’amore. La fonte e la fine di tutte le cose è l’amore, perché la fonte e la fine di tutte le cose è Dio, e “Dio è amore” (1 Giovanni 4: 8, 16).
Anche il male dipende dall’amore. Secondo l’ottimismo di alcuni Padri della Chiesa, nessuno commette un atto malvagio a meno che non creda che ne risulterà qualcosa che ama. Pertanto, l’amore è di origine divina e di natura sacra.
Da una prospettiva umana, non esiste un modo singolare di comprendere il concetto di amore. Trasmette una moltitudine di significati e stati d’animo: dal “fare l’amore”, che può implicare un atto fisico senza amore, all’impegno profondo di una coppia di anziani; dai motivi egoistici, al dono disinteressato; dalla dolcezza di un bambino che tiene per mano i suoi genitori, all’intimità di due amici che si tengono per mano.
Gli esseri umani sono fatti per amarsi e guardarsi l’un l’altro. L’esperienza dell’amore è il cielo e la vita; l’assenza d’amore è l’inferno e la morte. San Macario d’Egitto credeva che l’inferno assomigliasse all’essere legati, schiena contro schiena con un’altra persona, incapace per tutta l’eternità di affrontarla. L’amore spezza le catene della solitudine; abbatte i muri dell’egoismo. L’amore è una forza profonda, un’energia spirituale. Non siamo mai più potenti di quando attraverso l’amore siamo vulnerabili. L’amore scaccia la paura; è più forte della morte.
Apprezzando questa intensità dell’amore, i Padri della Chiesa osano paragonarla all’eros o alla passione. Dionisio l’Areopagita descrive Dio come un “amante maniacale” che protegge con zelo la Sua creazione. L’amore è così potente che una genuina espressione d’amore rivela un’apertura che trasfigura il mondo intero. Guardare negli occhi di un’altra persona con amore è vedere l’anima del mondo intero, è vedere l’immagine stessa di Dio.
Questo tipo di amore è un dono di Dio. Tuttavia, allo stesso tempo, richiede coltivazione e duro lavoro. L’amore richiede tempo e abilità, responsabilità e rispetto. è un atto di estendere me stesso per nutrire un altro, tutto il tempo. La sera della vita, saremo giudicati solo sull’amore. Questo amore è più che semplici sentimenti. È decisione e impegno. Se vuoi amare, devi crearlo e non aspettare che il tuo coniuge te lo offra. Nell’amore e nel matrimonio, Dio ci offre una meravigliosa opportunità di rinascere, di maturare. “Questo è davvero un grande mistero” (Ef 5:32).
La vita è il grande mistero: da vivere, e vivere in abbondanza. E se lavoriamo sull’amore, se coltiviamo l’amore, se abbassiamo la guardia della sfiducia, se facciamo fatica a relazionarci, allora gradualmente noteremo che tutto il mondo cambia e che tutto il mondo è bello. In realtà, certo, saremo noi che saremo cambiati; siamo noi che vediamo le stesse cose con occhi diversi”.

II. Fisicità e spiritualità

Gli autori cristiani fin dai primi tempi si sono sentiti a disagio con l’amore fisico o sessuale. In qualche modo, l’amore fisico è considerato una forma degradata di amore. Alcuni autori affermano che il celibato è superiore all’amore nel matrimonio; altri propongono che l’unico scopo dell’amore fisico sia la procreazione. La fisicità o la sessualità sono state contaminate, considerate impure. Sono visti come contaminanti e vergognosi; le persone sono piene di paura e senso di colpa. La sessualità è vista come un’espressione che ci collega alle forme di vita inferiori, identificate con desideri lussuriosi e istinti animali.
La figura e la teologia di sant’Agostino ha stabilito il modello per il pensiero occidentale su questo argomento fino ad oggi. Di conseguenza, le persone soffrono di una schizofrenia insita in questo aspetto più intimo e personale della vita. Per Agostino la sessualità è il risultato della nostra caduta, Eva è il risultato della defezione di Adamo da Dio; la donna non è creata a immagine di Dio, ma come strumento dell’uomo.
Eppure san Paolo ha chiarito che, divenendo una sola carne (1Cor 6,16), l’uomo e la donna simboleggiano l’unione tra Cristo e la Chiesa. In ogni caso, Cristo non ha mai identificato il peccato con il corpo, ma con ciò che si commette nel cuore (Mt 15,18-19). Per i cristiani “la carne è il cardine della salvezza” (Tertulliano). Quanto è sfortunato, allora, che il cristianesimo – come religione del corpo e della carne, come religione dell’incarnazione – abbia lasciato una cicatrice permanente sul corpo umano.
Non si tratta di fare i conti con il corpo o con la sessualità. Si tratta piuttosto di riconoscerle come legate in modo cruciale agli aspetti più profondi della natura umana. La sessualità non è casuale; piuttosto, è essenziale per la nostra realtà. L’amore sessuale e fisico appartiene al mistero del nostro essere. Questo non vuol dire che la sessualità e la spiritualità siano la stessa cosa. Tuttavia, c’è un’intima corrispondenza tra i due. La negazione dell’uno si riflette nel degrado dell’altro. Senza sessualità non c’è bellezza; senza bellezza non c’è anima; e senza anima non c’è Dio. “Maschio e femmina [Dio] ci creò” (Gen. 1:26). Così ci viene detto subito dopo la creazione di Adamo ed Eva a immagine e somiglianza di Dio. Per i Padri orientali, senza Eva, Adamo era incompleto. “La donna è fatta in piena comunione con l’uomo: condividendo ogni piacere, ogni gioia, ogni bene, ogni dolore, ogni dolore” (San Basilio Magno), “partecipando della stessa grazia divina” (Clemente di Alessandria) Scrivendo esattamente nello stesso periodo come Agostino di Ippona, San Giovanni Crisostomo afferma che “l’amore sessuale non è umano; è di origine divina”.

III. Icona o idolo

“Ora è difficile per una persona prendere coscienza della sessualità (del proprio corpo) senza prendere coscienza della sessualità (dei corpi) di altre persone. E così nell’amore fisico, nell’unione del matrimonio, l’uomo e la donna si offrono l’un l’altro all’immagine di Dio nell’altro. Questo non è dissimile dall’incontro che si verifica nel caso di un’icona. C’è un’arte coinvolta nell’iconografia. Allo stesso modo, c’è un’arte coinvolta nell’amore. L’amore non è semplicemente un atto; è arte. Lo scopo dell’arte dell’amore – come anche dell’iconografia – è trasfigurarsi l’un l’altro, vedersi come la manifestazione dell’Amato divino. Se c’è un posto per le icone nella Chiesa, allora c’è anche un posto per il matrimonio e l’amore sessuale.
Il corpo e l’amore sessuale somigliano a un’icona che apre alla bellezza divina e all’amore divino: “Beato l’uomo che ha ottenuto tale amore e desiderio per Dio come un innamorato folle ha per la sua amata generando fuoco su fuoco, eros su eros, passione per passione, desiderio per desiderio” (San Giovanni Climaco).
Vedere un’altra persona come un’icona è vedere il mondo attraverso gli occhi di Dio. È abolire la distanza tra questo mondo e l’altro; è parlare su questa terra e in quest’epoca il linguaggio del cielo e dell’età che verrà, è rivelare la dimensione sacramentale dell’amore.
L’icona ci insegna un altro mezzo di comunicazione, oltre la parola scritta e parlata. Ci viene insegnato a non guardare le icone, ma a guardarle attraverso. Allo stesso modo, siamo chiamati a penetrare la superficie della persona che amiamo e a rivelarne la sacra profondità interiore.
In effetti, la questione della procreazione si riferisce direttamente a questa nozione di icona. A meno che l’amore coniugale non apra la coppia al di là di se stessa, a meno che la relazione dei due nel matrimonio non rifletta la comunione della Trinità, a meno che l’amore della coppia li estenda in un modo o nell’altro, allora l’amore coniugale si riduce da icona sacra a icona semplice idolo.
La coppia di innamorati è sempre chiamata ad andare oltre il riflesso reciproco; uno specchio non è un’icona, ma un riflesso di se stessi. La coppia è chiamata a diventare icona della Chiesa, una “chiesa in miniatura”. Per San Giovanni Crisostomo, “il matrimonio è un’icona mistica della Chiesa”. Le dimensioni della Chiesa rivelano le dimensioni della coppia di sposi. Come “noi crediamo in una chiesa una, santa, cattolica e apostolica”, così la coppia dovrebbe riflettere la stessa unità, santità, apertura e apostolicità. Questo è importante perché la Chiesa rifiuta di idealizzare o romanticizzare la vita matrimoniale e la famiglia. Pertanto, la coppia deve generare “prole”; il loro amore deve “dare frutto”. Il paradosso è che la coppia deve avere figli, anche se non possono avere figli.

IV. Monachesimo e matrimonio

Alcuni Padri della Chiesa hanno interpretato le lettere di San Paolo, come se implicassero che il monachesimo è superiore al matrimonio (1 Cor 7, 8-9). Tuttavia, «se la verginità è onorata, non ne consegue che il matrimonio sia disonorato» (Gregorio il Teologo). San Macario d’Egitto esclama: “In verità, non c’è né vergine né sposato, né monaco né secolare; ma Dio dà il suo Santo Spirito a tutti, secondo le intenzioni di ciascuno”.
La versione siriaca dello stesso testo recita così: “In verità, la verginità di per sé non è nulla, né il matrimonio, né la vita monacale, né la vita nel mondo…”
La purezza interiore è sempre possibile, indipendentemente dalle circostanze esteriori.
In una relazione d’amore l’altro diventa il centro di attrazione. L’obiettivo è sempre il movimento fuori e oltre se stessi. La prospettiva è sempre il regno dei cieli. I monaci hanno tradizionalmente compreso questa verità nella stessa misura delle coppie sposate. Così gli scrittori ascetici ci insegnano che l’amore non è mai soddisfatto; è solo soddisfatto. L’amore non è un atto di soddisfazione, ma di donazione totale. L’amore sessuale è per la gloria di Dio, non per la gratificazione egoistica dell’uomo.
L’amore genuino alla fine non può essere raggiunto senza la castità. Nella “Scala del Paradiso”, San Giovanni Climaco pone la purezza (passo 29) immediatamente prima dell’amore (passo 30). Il monachesimo, quindi, non è l’astensione dall’amore sessuale. È un’altra manifestazione di questo amore. Il monachesimo non può mai essere un’estinzione o una diminuzione della più vitale risposta umana alla vita.
C’è un elemento di ascesi nel matrimonio, una raffinatezza nell’amore; così come nel monachesimo c’è una dimensione dell’amore, una passione per Dio. Nella tradizione monastica le passioni sono trattate diversamente; sono sopraffatti da passioni più grandi. Una singola, vivida esperienza di amore appassionato ci farà avanzare molto più avanti nella vita spirituale della più ardua lotta ascetica. Una sola fiamma di puro amore è sufficiente per accendere un fuoco cosmico e trasformare il mondo intero.
L’amore non è né un problema fisico né materiale. Non è principalmente una preoccupazione sessuale. È una preoccupazione spirituale. Non va temuto come un tabù, ma accolto come un mistero sacro; non dovrebbe mai essere nascosto come un segreto, ma rivelato come un sacramento.
Il monachesimo, come il matrimonio, è un sacramento d’amore. Il monachesimo, come il matrimonio, è un sacramento del regno. La vera dimensione di entrambi è escatologica. Così l’amore è più grande della preghiera stessa; anzi, è preghiera. Perché l’amore è ciò che definisce la natura umana. Sia i monaci che le coppie sposate devono continuamente lottare per essere ciò che sono chiamati ad essere: rapiti dalla fiamma viva dell’amore divino. Come abbiamo già osservato, l’amore è un dono dall’alto e anche qualcosa per cui tendere; è un punto di partenza, oltre che un punto di arrivo. L’alfa e l’omega della vita sono la prima e l’ultima lettera della parola greca “amo” (agapè). Questo è vero per un monaco o una monaca, come lo è per un marito e una moglie”.

V. Il sacramento del matrimonio

Ogni sacramento è una trascendenza della divisione e dell’alienazione. Nel caso del matrimonio, ogni persona deve prendere coscienza della presenza divina nell’altra. Sia il marito che la moglie devono squarciare il sipario della distanza e della falsità. Quando ciò accade, l’unione coniugale è più forte della morte, non può essere «separata da nessuno». In questa relazione, il maschio non è mai esclusivamente il polo attivo, e la femmina non è mai esclusivamente il polo passivo. La base di ogni relazione sacramentale è che l’uomo e la donna sono complementari: c’è una reciprocità di dare e ricevere, un incontro di reciprocità. Nessuno dei due deve considerare l’altro come un mezzo verso un fine, non importa quanto elevato o spirituale.
Ciò significa che i partner non dovrebbero cercare l’appagamento o la dipendenza l’uno dall’altro. Non posso ritenere mia moglie responsabile del mio vuoto. In ogni momento, ho bisogno di scoprire in Dio il compimento del mio vuoto: è Dio che mi fa sapere che sono amato; è Dio che mi autorizza ad amare un altro. Anche qui incontriamo il “monasticismo” del rapporto coniugale. Il matrimonio non è una soluzione magica ai problemi della vita. Come potrebbe un matrimonio resistere a tali aspettative? C’è da meravigliarsi che i matrimoni falliscano, quando oggi ci viene insegnato che il nostro partner è la nostra “altra metà”, quando siamo meno che persone complete nel sacramento? L’amore personale implica piena dignità e identità, nessuna diminuzione dell’altro; non c’è né falsa idealizzazione né deturpazione dell’altro. La completezza e l’integrità sono indispensabili per un matrimonio sano. E la completezza presuppone l’onestà, non la gentilezza. L’amore è un atto di fede così come un atto di fedeltà. È sempre una tentazione quella di mentire, di ingannare, di essere men che sinceri.
Ciò significa che se deve esserci intimità nell’amore, allora deve esistere la possibilità di conflitto. Nei matrimoni in cui non c’è conflitto, di solito c’è, oppure potrebbe non esserci onestà. Nella società, e anche in Chiesa, ci viene insegnato ad essere gentili. È come imparare a essere disonesti. E così sorridiamo quando siamo tristi o arrabbiati; diciamo cose che non intendiamo. Eppure tutto ciò di cui non si parla apertamente rimane irrisolto e diventa dannoso per la vita dei nostri figli. Dobbiamo essere onesti sui nostri fallimenti, aperti sul nostro vuoto. Sono una parte inestimabile delle nostre relazioni. Questo è il motivo per cui il matrimonio riguarda tanto la separazione quanto l’unione; riguarda tanto il distacco quanto l’attaccamento.

VI. Sessualità e sacramentalità

Per diventare un’unione sacramentale completa, l’ amore tra l’uomo e la donna deve abbracciare tutti gli aspetti della loro vita, ogni livello e capacità del loro essere. Ciò include gli aspetti fisici, spirituali, emotivi e intellettuali della natura umana. Se ciò non accade, la relazione rimane non consumata e incompiuta, è sia non sacra che non sacramentale; diventa sia paralizzante che frustrante.
Questo ci offre un’idea di come pochi matrimoni, anche quelli benedetti dalla Chiesa, siano in realtà sacramentali. Indica anche il nesso tra il matrimonio e la deificazione, verso cui tutti siamo chiamati. Questa sarebbe la mia definizione di “sessualità”: vero completamento e consumazione a tutti i livelli – un risultato raro come la stessa theosis, sebbene altrettanto nobile anche un compito e una vocazione.
Se un partner si sviluppa (a qualsiasi livello) oltre o fuori ritmo con l’altro, questo livello non consumato o non soddisfatto (non accoppiato), questa parte non completata o non realizzata tenderà sempre verso e cercherà di esprimersi in qualche altra forma; non sarà in grado di funzionare correttamente e pienamente all’interno del matrimonio.
Se l’integrità e la totalità sono condizioni critiche per una relazione sacramentale, lo sono infine anche la continuità e l’impegno. La capacità di trasformarsi reciprocamente richiede dedizione e pazienza, fino a quando le estremità appuntite delle rocce indurite nella relazione non vengono appianate, fino a quando non viene costruito un campo magnetico a ogni livello. Poi livello alter livello si dispiega, interagisce e sprigiona le sue potenzialità, che non sono altro che divine. In questo contesto, la fedeltà nella relazione è un riflesso della natura amorevole e paziente di Dio.
In ultima analisi, né il marito né la moglie si appropriano di ciò che l’altro offre. Al contrario, ciascuno la restituisce – insieme a se stesso – alla fonte di ogni vita, a Dio, che ciascuno di noi viene a vedere, incontrare e amare dall’altro, così come avviene nella Divina Liturgia. L’uomo e la donna diventano il pane e il vino dell’Eucaristia. Allora l’amore sacramentale diventa benedizione, conferita dal Creatore a due creature che hanno compiuto lo stesso corso della loro vita attraverso qualunque ostacolo e gioia abbia portato loro. Così entreranno finalmente, trasfigurati, nel Regno di Dio, al quale è dovuto ogni grazie.




SAN GREGORIO DI NANZIANZO: ORAZIONE 38 – SULLA TEOFANIA O NATIVITA’ DI CRISTO

SAN GREGORIO DI NANZIANZO (329 – 390)

ORAZIONE 38SULLA TEOFANIA O NATIVITA’ DI CRISTO

L’orazione 38 è stata pronunciata dal ‘Teologo’ a Costantinopoli per il Natale del 379 o 380

I. CRISTO È NATO, glorificatelo. Cristo scende dal cielo, andategli incontro. Cristo è sulla terra: siate esaltati.  “La terra intera canti al Signore” (Sal 95,1); e che io possa unire entrambi I concetti in una sola parola: “Si rallegrino i cieli e si rallegri la terra” (Sal 95,11), per Colui che è del cielo e poi è divenuto della terra (1 Cor 15,47). Cristo nella carne, rallegratevi con tremore e con gioia; con tremore per i vostri peccati, con gioia per la vostra speranza. Cristo nasce da una Vergine: Oh voi donne, onorate la verginità affinché possiate essere Madri di Cristo! Chi non adorerà Colui che è fin dal principio? Chi non glorificherà Colui che è l’Ultimo?

II. Di nuovo l’oscurità è passata; di nuovo la luce è fatta; di nuovo l’Egitto è punito con le tenebre; ancora una volta Israele è illuminato da una colonna. Le genti che sedevano nell’oscurità dell’ignoranza, ora vedono la grande luce della piena conoscenza. Le cose vecchie sono passate, ecco tutte le cose sono diventate nuove. La lettera viene meno, lo Spirito avanza. Le ombre fuggono via, la Verità viene su di loro. Melchisedec si è formato: chi era senza Madre nasce senza Padre (senza madre del suo stato precedente, senza Padre nel suo secondo stato). Le leggi della natura sono sconvolte; il mondo di sopra deve essere riempito. Cristo lo comanda, non mettiamoci contro di Lui. Battete le mani tutti voi, perché per noi è nato un bambino e ci è stato dato un figlio, il governo è sulle sue spalle (poiché con la croce è innalzato), ed è chiamato l’Angelo del Grande Consiglio del Padre. Lascia che Giovanni gridi, preparate la via del Signore: anch’io griderò la potenza di questo giorno. Colui che non è carnale si è incarnato, il Logos assume consistenza, Colui che è invisibile diventa visibile, Colui che è intoccabile viene toccato, Colui che è senza tempo ha un principio; il Figlio di Dio diventa il Figlio dell’Uomo, “Gesù Cristo lo stesso ieri, oggi e in eterno” (Eb 13,8).  Si offendano gli ebrei, ci deridano i greci; lasciate che gli eretici parlino fino a che gli fà male la lingua. Allora crederanno, quando lo vedranno salire al cielo; e se non allora, ancora quando lo vedranno uscire dal cielo e sedere come giudice.

III. Parleremo di questi in una futura occasione; per il momento la Festa è quella della Teofania o il Giorno della Nascita, poiché si chiama nei due modi, essendo stati dati due titoli a un medesimo evento. Perché Dio si è manifestato all’uomo con la nascita. Da una parte è, ed è eternamente e proviene da Colui che è sempre, al di sopra di ogni causa e di ogni parola, perché non c’era parola prima della Parola (ndt. Logos); e d’altra parte anche per il nostro bene entrò nel Divenire, nacque, affinché Colui che ci dà l’essere ci dia anche il nostro Benessere, o piuttosto ci ristabilisca con la Sua Incarnazione, quando per la malvagità eravamo caduti dallo stato di bontà. Il nome Teofania le viene dato in riferimento alla manifestazione, e quello di Natività in riferimento alla Sua nascita.

IV. Questa è la nostro attuale festa; è questo che celebriamo oggi, la venuta di Dio all’uomo, affinché noi potessimo andare verso Dio, o meglio (poiché questa è l’espressione più appropriata) per poter tornare a Dio; che deponendo l’uomo vecchio, potremmo indossare il nuovo; e che come siamo morti in Adamo, così potessimo vivere in Cristo, nascendo con Cristo: crocifissi con lui e sepolti con lui e risorgendo anche con lui. Per questo devo patire la bella conversione, perché come il dolore venne dalla beatidutide, così la beatitudine doveva ritornare dal dolore. Perché dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata; e se l’aver assaggiato dell’albero ci condannava, quanto più ci giustifica la passione di Cristo? Celebriamo dunque la festa, non alla maniera di una festa pagana, ma secondo un ordine divino; non secondo la via del mondo, ma in modo sopra-mondano; non come nostri, ma come appartenenti a Colui che è nostro, o piuttosto come del nostro maestro; non come malattia, ma come guarigione; non come creazione ma come nuova creazione.

V. E come sarà? Non adorniamo i nostri portici, né organizziamo balli, né decoriamo le strade; non deliziamo l’occhio, né incantiamo l’orecchio con la musica, né inebriamo le narici con il profumo, né prostituiamo il gusto, né assecondiamo il tatto: quelle strade che sono così inclini al male e ingressi per il peccato. Non siamo effeminati in abiti morbidi e fluenti, la cui bellezza consiste nella sua inutilità, né con lo scintillio delle gemme o lo splendore dell’oro o gli inganni del colore, smentendo la bellezza della natura, e inventati per far dispetto all’immagine di Dio. Non nella rivolta e nell’ubriachezza, alle quali si mescolano, lo so bene, cameratismo e sregolatezza, poiché le lezioni che danno i cattivi maestri sono cattive; o piuttosto i raccolti di semi senza valore sono senza valore. Non allestiamo alti letti di foglie, facendo tabernacoli per il ventre di ciò che appartiene alla dissolutezza. Non valutiamo il bouquet dei vini, le prelibatezze dei cuochi, la grande spesa degli unguenti. Che il mare e la terra non ci portino in dono il loro prezioso sterco, perché è così che ho imparato a stimare il lusso; e non sforziamoci di superarci l’un l’altro nell’intemperanza (poiché per me ogni superfluo è intemperanza, e tutto ciò che è al di là dell’assoluto bisogno), e questo mentre altri sono affamati e bisognosi, che sono fatti della stessa argilla e allo stesso modo.

VI. Lasciamo tutto questo ai Greci e ai fasti e alle feste dei Greci, che chiamano con il nome di dèi esseri che si rallegrano del fetore dei sacrifici e che costantemente adorano con il loro ventre; iniziatori malvagi e iniziati di demoni malvagi. Ma noi, l’oggetto della cui adorazione è il Verbo, se dobbiamo in qualche modo ricercare il lusso, cerchiamolo nella parola, nella legge divina, e nelle storie: soprattutto cerchiamo quali sono l’origine di questa festa. Che il nostro lusso possa essere simile e consono a Colui che ci ha radunati. Oppure desiderate (poiché oggi offro io il banchetto) che imandisca per voi, miei buoni ospiti, la storia di queste cose il più abbondantemente e nobilmente che posso, affinché possiate sapere come uno straniero può nutrire i nativi della terra e un contadino la gente della città, quelli che vivono nel lusso uno che non conosce il lusso, quelli che sono splendidi per ricchezze colui che è povero e senza dimora. Inizieremo da questo punto: e lasciate che io chieda a voi che vi dilettate in tali questioni di purificare la vostra mente, le vostre orecchie e i vostri pensieri, poiché il nostro discorso verte su Dio ed è divino. In tal modo quando partirete avrete goduto di delizie che in realtà non svaniscono. E questo stesso discorso sarà insieme molto pieno e molto conciso, affinché non siate dispiaciuti per le sue carenze, né lo troviate spiacevole per troppa sazietà.

VII. Dio è sempre stato, ed è sempre, e sempre sarà. O meglio, Dio è sempre. Perché Era e Sarà sono frammenti del nostro tempo, di natura mutevole; ma Egli è l’Essere Eterno. E questo è il nome che Egli dà a sé stesso quando dà l’oracolo a Mosè sul monte. Poiché in sé stesso riassume e contiene tutto l’essere, non avendo né inizio nel passato né fine nel futuro; come un grande mare dell’Essere, illimitato e sconfinato, che trascende ogni concezione del tempo e della natura, che può essere soltanto adombrato dalla mente, e molto debolmente e scarsamente… non certamente la sua essenza, ma in base a ciò che è a Lui relativo, dal momento che da una cosa si ricava un’immagine di Dio, da un’altra un’altra, e combinate in una sorta di presentazione della verità, che ci sfugge prima che l’abbiamo afferrata, e prende il volo prima che l’abbiamo concepita, lampeggiando nella nostra mente, anche quando è purificata, come il lampo che non ferma il suo corso impressionando la nostra vista. Questo avviene, a mio parere, affinché Egli ci attiri a sé con quando comprendiamo di Lui (poiché ciò che è del tutto incomprensibile è al di fuori dei limiti della speranza, e non all’interno della bussola dello sforzo), e con quella parte di esso che non possiamo comprendere per muovere la nostra meraviglia, e come oggetto di meraviglia per diventare ancora di più oggetto di desiderio; e desiderarlo serve a purificarci e purificandoci ci rendiamo simili a Dio. Quando siamo diventati così simili a lui, Dio può, per usare un’espressione audace, conversare con noi come dei, essendo unito a noi: il mio discorso osa affermare una cosa davvero audace! Dio si unisce agli dei e si fa conoscere, e forse tanto quanto Egli già conosce coloro che sono conosciuti da Lui. La Natura Divina, quindi, è sconfinata e difficile da comprendere; tutto ciò che possiamo comprendere di Lui è la Sua illimitatezza; anche se qualcuno può concepire che, proprio per la sua natura semplice, sia o del tutto incomprensibile o perfettamente comprensibile. Cerchiamo infatti di indagare ulteriormente su ciò che è implicito nell’espressione “è di natura semplice”. Perché è certo che questa semplicità non è essa stessa la sua natura, così come la composizione non è di per sé l’essenza degli esseri composti.

VIII. E, in quanto all’Infinito, si può considerare da due punti di vista, inizio e fine (poiché ciò che è al di là di questi e non limitato da essi è l’infinito), quando la mente guarda in alto in profondità, non avendo dove stare e si appoggia ai fenomeni per formarsi un’idea di Dio, chiama l’Infinito e l’Inavvicinabile che vi trova col nome di ‘senza inizio’. E quando guarda nelle profondità sottostanti, e al futuro, Lo chiama Immortale e Imperituro. E quando trae una conclusione dal tutto lo chiama Eterno. Perché l’eternità non è né tempo né parte del tempo; perché non può essere misurata. Ma quello che è per noi il tempo, misurato dal corso del sole, l’Eternità è per l’Eterno, vale a dire, una sorta di movimento simile al tempo, un intervallo coestensivo con la loro esistenza. Questo, tuttavia, è tutto ciò che devo ora dire di Dio; poiché il presente non è un tempo adatto, poiché il mio argomento attuale non è la dottrina di Dio, ma quella dell’Incarnazione. Ma quando dico Dio, intendo Padre, Figlio e Spirito Santo. Perché la divinità non si diffonde oltre questi, in modo da includere una folla di dei; né ancora è delimitato da una bussola più piccola di queste, in modo da condannarci per una concezione povera della Divinità; o giudaizzare per salvare la Monarchia, o cadere nel paganesimo a causa della moltitudine dei nostri dèi. Perché il male da entrambe le parti è lo stesso, anche se si trova in direzioni opposte. Questo quindi è il Santo dei Santi, che è nascosto anche ai Serafini ed è glorificato con il “Santo” ripetuto tre volte, che si congiunge in un’unica potestà e divinità, come uno dei nostri predecessori ha sottolineato in modo molto bello e alto. 

IX. Ma siccome questo movimento di autocontemplazione da solo non poteva soddisfare la Bontà, ma il Bene doveva effondersi ed uscire fuori di sé per moltiplicare gli oggetti della sua beneficenza, perché in ciò consiste il culmine della Bontà, concepì prima le Potenze Celesti e Angeliche. E questa concezione fu un’opera compiuta dalla Sua Parola e perfezionata dal Suo Spirito. E così nacquero gli splendori secondari, come ministri del primo splendore; se dobbiamo concepirli come Spiriti intelligenti, o come Fuoco di tipo immateriale e incorruttibile, o come qualche altra natura che si avvicini a questi il più vicino possibile. Vorrei dire che erano incapaci di muoversi in direzione del male, e suscettibili solo del movimento del bene, in quanto contemplano Dio e sono illuminati dai primi raggi di Dio, perché gli esseri terreni hanno solo un’illuminazione secondaria; ma debbo trattenermi prima di dirlo, e concepirli e parlarne non come immobili, bensì solo come difficili da muovere verso il male per il fatto che  Lucifero, il quale fu detto così per il suo splendore, divenne Tenebra a causa della sua superbia; e le schiere apostate che gli sono soggette, creatori del male per la loro rivolta, lo stesso male che a noi procurano.

X. Così, dunque, e per questi motivi, ha dato l’essere al mondo intellegibile, per quanto posso ragionare su queste cose e stimare grandi cose nella mia povera lingua. Poi, quando la sua prima creazione era in buon ordine, concepisce un secondo mondo, materiale e visibile; e questo è un sistema e composto di terra e cielo, e tutto ciò che è in mezzo a loro – una creazione davvero mirabile, quando guardiamo la bella forma di ogni parte, ma ancora più degna di ammirazione quando consideriamo l’armonia e l’unisono del tutto, e come ogni parte si incastra con ogni altra, in giusto ordine, e tutto con il tutto, tendendo al perfetto completamento del mondo come unità. Questo per mostrare che poteva chiamare all’esistenza non solo una natura simile a se stesso, ma anche una natura del tutto estranea a se stesso. Perché simili alla divinità sono quelle nature che sono intellettuali e solo possono essere comprese dalla mente; ma tutto ciò di cui i sensi possono prendere conoscenza gli sono del tutto estranei; e di questi i più lontani sono tutte le cose che sono del tutto privi di anima e di potere di movimento. Ma forse qualcuno di quelli troppo festosi e impetuosi dirà: Che c’entra tutto questo con noi? Sprona il tuo cavallo alla meta. Parlaci della festa e dei motivi per cui oggi siamo qui. Sì, questo è ciò che sto per fare, sebbene abbia cominciato da un punto un po’ lontano, spinto dalla violenza che su di me esercitano il discorso e il desiderio. 

XI. Mente, dunque, e realtà sensibile, così distinti l’uno dall’altro, erano rimasti entro i propri confini e portavano in sé la magnificenza del Verbo-Creatore, silenziosi lodatori ed esaltanti araldi della sua potente opera. Non c’era ancora alcuna mescolanza di entrambi, né alcuna mescolanza di questi opposti, segni di una maggiore saggezza e generosità nella creazione delle nature; né ancora tutta la ricchezza della Bontà era stata resa nota. Ora il Verbo-Creatore, deciso a esibire questo e a produrre un unico essere vivente da entrambi – le creazioni visibili e quelle invisibili, voglio dire – foggia l’Uomo; e prendendo un corpo dalla materia già esistente, e ponendo in essa un Soffio preso da Sé (quello che la Scrittura chiama ‘anima intelligente’ e ‘immagine di Dio’). L’uomo fu creato come una specie di secondo mondo. Lo ha posto, grande nella piccolezza, sulla terra; un nuovo angelo, un adoratore formato da una natura mista, pienamente iniziato alla creazione visibile, ma solo parzialmente a quella intellettuale; Re di tutto sulla terra, ma soggetto al Re di sopra; terrestre e celeste; temporale eppure immortale; visibile eppure intellettuale; a metà strada tra la grandezza e l’umiltà; in una persona che unisce spirito e carne; spirito, a motivo del favore che gli è stato concesso; carne, a causa dell’altezza alla quale era stato elevato; l’uno che potesse continuare a vivere e lodare il suo benefattore, l’altro che potesse soffrire e con la sofferenza essere ricordato e corretto se fosse diventato orgoglioso della sua grandezza. Una creatura vivente addestrata qui, e poi trasferita altrove; e, per completare il mistero cristiano, sarebbe stato divinizzato attraverso il suo tendere a Dio. Il misurato splendore della verità di cui godo su questa terra mi spinge, infatti, a vedere e a sentire lo splendore di Dio, splendore che è degno di Colui che ci ha messi insieme e poi ci dissolverà per ricostruirci insieme una seconda volta in una condizione più elevata.

XII. Dio pose quest’uomo in Paradiso, qualunque fosse allora il Paradiso, avendolo onorato del dono del libero arbitrio, affinché il bene gli appartenesse come risultato della sua scelta, non meno che a Colui che aveva impiantato i semi, per coltivare le piante immortali, con le quali si intendono forse le Concezioni Divine, sia le più semplici che le più perfette. Nudo nella sua semplicità e vita priva di qualunque artificio e senza alcuna copertura o schermo; poiché era giusto che fosse tale colui che era dal principio. Inoltre gli ha dato una legge che è la materia su cui agire il suo libero arbitrio. Questa legge era un comandamento riguardo a quali piante poteva prendere e quali non poteva toccare. Quest’ultimo era l’Albero della Conoscenza; non, però, perché era cattivo fin dall’inizio quando fu piantato; né era proibito perché Dio ce l’avesse invidiato – non lasciare che i nemici di Dio agitino la lingua in quella direzione, o imitino il Serpente – ma sarebbe stato bello se fosse stato consumato al momento opportuno, poiché l’albero era, secondo la mia teoria, Contemplazione, che è sicura solo per coloro I quali sono più perfetti interiormente; ma, al contrario, non va bene a coloro che sono ancora un po’ semplici e avidi nel loro abito; così come il cibo solido non è buono per coloro che sono ancora teneri e hanno bisogno di latte. Ma quando per la malizia del diavolo e per il capriccio della donna, a cui soccombeva perché più debole, e che faceva pesare sull’uomo, perché era più incline a persuadere, ahimè quanto sono debole! (poiché mia è la debolezza del mio progenitore), dimenticò il comandamento che gli era stato dato; cedette al frutto funesto; e per il suo peccato fu bandito, subito dall’Albero della Vita, e dal Paradiso, e da Dio. Indossava allora i cappotti di pelli … cioè, forse, questa nostra carne più grossolana, sia mortale che contraddittoria. Questa fu la prima cosa che apprese: la propria vergogna; e si nascose da Dio. Eppure anche qui ci guadagna, vale a dire con la morte ebbe un termine per il suo peccato, affinché il male non fosse immortale. Così il suo castigo si mutò in misericordia; poiché è per misericordia, ne sono convinto, che Dio infligge la punizione. 

XIII. Ed essendo stato prima castigato con molti mezzi (poiché molti erano i suoi peccati, la cui radice del male scaturì per diverse cause e in diverse circostanze), con la parola, con la legge, con i profeti, con i benefici, con le minacce, con le piaghe, con le acque , da incendi, da guerre, da vittorie, da sconfitte, da segni in cielo e segni nell’aria e in terra e nel mare, da mutamenti imprevisti di uomini, di città, di nazioni (il cui oggetto era la distruzione della malvagità), aveva finalmente bisogno di un rimedio più forte, perché le sue malattie peggioravano; stragi reciproche, adulteri, spergiuri, delitti contro natura e quel primo e ultimo di tutti i mali, l’idolatria e il trasferimento del culto dal Creatore alle Creature. Come questi richiedevano un aiuto maggiore, così ne ottennero uno maggiore. E questo era che la Parola di Dio Stesso – che è prima di tutti i mondi, l’Invisibile, l’Incomprensibile, l’Incorporeo, il Principio che proviene dal Principio, la Luce dalla Luce, la Sorgente della Vita e dell’Immortalità, l’Immagine della Bellezza Archetipica, il Sigillo inamovibile, l’Immagine immutabile, la Definizione e la Parola del Padre. Egli stesso venne verso la sua immagine, e prese su di sé la carne per amore della nostra carne e si mescolò con un’anima intelligente per amore della mia anima, purificandola di pari passo; e in tutti i punti fuorché nel peccato fu fatto uomo. Concepito dalla Vergine, la quale prima nel corpo e nell’anima fu purificata dallo Spirito Santo (poiché era necessario sia che si onorasse il parto, sia che la verginità ricevesse un onore più alto). Si presentò allora come Dio attraverso la carne che aveva assunto, una Persona in due Nature, Carne e Spirito, in cui quest’ultimo divinizzò il primo.  Oh nuova commistione! Oh strana congiunzione! “Colui che è” (Es 3,14) nasce, l’Increato è creato, ciò che è imcopresibile è compreso, per intervento di un’anima intellettiva, mediatrice tra la Divinità e la corporeità della carne. E colui che dà la ricchezza si fa povero, poiché assume la povertà della mia carne, affinché io possa assumere la ricchezza della sua divinità. Colui che è pieno si svuota, poiché si svuota della sua gloria per un breve periodo, affinché io possa partecipare alla sua pienezza. Qual è la ricchezza della Sua Bontà? Cos’è questo mistero che mi circonda? Ho avuto una parte nell’immagine; non l’ho tenuto; Egli partecipa della mia carne per salvare l’immagine e rendere immortale la carne. Egli si mette in comunione una seconda volta con l’uomo, in maniera più meravigliosa della prima, in quanto la prima volta mi fece partecipe della sua natura migliore, mentre ora egli stesso partecipa all’elemento peggiore. Questa è più divina della precedente azione, questa è più alta agli occhi di tutti gli uomini di intelletto.

XIV. Che cosa hanno da dire quei cavillatori, quegli amari ragionatori della natura divina, quei detrattori di tutto ciò che è lodevole, quegli oscuratori di luce, incolti rispetto alla sapienza, per i quali Cristo è morto invano, quelle creature ingrate, plasmate dal Malvagio? Trasformi questo vantaggio in un rimprovero a Dio? Lo riterrai di poco conto perché si è umiliato per te? Perché il Buon Pastore, Colui che dà la vita per le sue pecore, è venuto a cercare quella che si era smarrita sui monti e sui colli, sui quali allora stavi sacrificando e ha trovato il vagabondo; e trovatolo, lo prese sulle sue spalle, sulle quali prese anche il legno della croce; e dopo averlo preso, lo riportò alla vita superiore; e dopo averlo riportato indietro, lo annoverò tra quelli che non si erano mai allontanati. Perché ha acceso una candela – la Sua stessa carne – e ha spazzato la casa, purificando il mondo dal peccato; e cercava il pezzo di denaro, l’Immagine Reale che era coperta dalle passioni. E chiama a raccolta i suoi amici Angeli al ritrovamento della moneta, e li rende partecipi della sua gioia, chi aveva fatto partecipi anche del segreto dell’Incarnazione? Perché alla candela del Precursore segue la luce che eccede in splendore; e alla Voce succede la Parola; e all’amico dello Sposo, lo Sposo; a colui che preparò per il Signore un popolo particolare, purificandolo con l’acqua in preparazione allo Spirito? Rimproveri a Dio tutto questo? Lo ritieni per questo diminuito, perché si cinge con un asciugatoio e lava i piedi ai suoi discepoli e mostra che l’umiliazione è la strada migliore per l’esaltazione? Perché per l’anima che era piegata a terra si umilia, per rialzare con sé l’anima che vacillava sotto il peso del peccato? Perché non gli imputi anche come delitto il fatto che mangi con i pubblicani e alle mense dei pubblicani, e che faccia discepoli dei pubblicani, affinché anch’egli possa guadagnare qualcosa… e che cosa? … la salvezza dei peccatori. Se è così, dobbiamo biasimare il medico per essersi chinato sulle sofferenze e aver sopportato cattivi odori per dare la salute ai malati; o uno che, come comanda la Legge, si è chinato in un fosso per salvare una bestia che vi era caduta. 

XV. Egli fu inviato, ma come uomo, perché era di duplice natura; poiché era stanco, aveva fame, aveva sete, era in agonia e piangeva, secondo la natura di un essere corporeo. E se si usa anche l’espressione di Lui come Dio, il significato è che il beneplacito del Padre è da considerarsi una Missione, poiché a questa Egli rimanda tutto ciò che lo riguarda; sia per onorare il Principio Eterno, sia per non essere considerato un Dio antagonista. E mentre sta scritto sia che fu tradito, sia anche che consegnò se stesso e che fu risuscitato dal Padre e assunto in cielo; e d’altra parte, che si alzò e salì; la prima affermazione di ciascuna coppia si riferisce al beneplacito del Padre, la seconda al proprio Potere. Ti è dunque permesso soffermarti su tutto ciò che lo umilia, tralasciando tutto ciò che lo esalta, e contare dalla tua parte il fatto che ha sofferto, ma lasciare fuori dal conto il fatto che è stato per sua volontà?  Vedi ciò che anche adesso la Parola deve soffrire. Da una parte è onorato come Dio, ma è confuso con il Padre, da un’altra è disonorato come semplice carne e separato dalla divinità. Con chi di loro si adirerà maggiormente, o meglio, a chi perdonerà, quelli che lo confondono ingiustamente o quelli che lo dividono? Perché il primo avrebbe dovuto distinguerlo e il secondo unirlo; l’uno nel numero, l’altro nella divinità. Inciampi nella sua carne? Così fecero gli ebrei. Oppure lo chiami samaritano e… non dirò il resto. Non credi nella Sua Divinità? Questo non lo hanno fatto nemmeno i demoni; Oh tu che sei meno credente dei demoni e più stolto degli ebrei! Costoro percepirono che il nome di Figlio implica uguaglianza di rango; costoro sapevano che colui che li scacciava era Dio, perché ne erano convinti per esperienza. Ma non ammetterai né l’uguaglianza né la Divinità. Sarebbe stato meglio per te essere stato ebreo o indemoniato (se posso dire un’assurdità), piuttosto che, incirconciso e in buona salute, essere così malvagio ed empio nel tuo atteggiamento mentale.

XVI. Vedrai poco dopo Gesù sottomettersi a farsi purificare nel fiume Giordano per la mia Purificazione, anzi santificare le acque con la sua Purificazione (perché non aveva bisogno di purificazione Colui che toglie il peccato del mondo) e i cieli spaccati e la testimonianza resagli dallo Spirito che è della stessa sua natura; lo vedrai tentato e vittorioso e servito dagli angeli, e guarire ogni malattia e ogni infermità, e dare la vita ai morti (Oh, potesse dare la vita a te che sei morto a causa della tua eresia), e scacciare i demoni, a volte lui stesso, a volte dai suoi discepoli; e nutrire vaste moltitudini con pochi pani; e camminare a piedi asciutti sui mari; ed essendo tradito e crocifisso, e crocifiggendo con Sé il mio peccato; offerto come Agnello e offerto come Sacerdote; come un uomo sepolto nella tomba e come Dio risorto; e poi ascendere, e tornare di nuovo nella Sua propria gloria. Quanta moltitudine di grandi feste ci sono in ciascuno dei misteri del Cristo; tutto ciò ha un compimento, cioè la mia perfezione e il ritorno alla prima condizione di Adamo.

XVII. Ora, allora, ti prego di accettare il suo concepimento e di saltare davanti a lui; se non come Giovanni nel grembo materno, almeno come Davide, a causa del riposo dell’Arca. Riverisci l’iscrizione per la quale sei stato scritto in cielo, e adora la Nascita con la quale sei stato sciolto dalle catene della tua nascita, e onora la piccola Betlemme, che ti ha ricondotto in paradiso; e adora la mangiatoia attraverso la quale tu, essendo privo di senno, fosti nutrito dal Verbo. Riconoscilo, come ti ordina Isaia, come il bue il suo proprietario e come l’asino la greppia del tuo padrone; se tu sei uno di quelli che sono cibo puro e lecito, e che ruminano la parola e sono degni di sacrificio. Oppure, se sei uno di quelli che sono ancora impuri, immangiabili e inadatti al sacrificio appartengono alla parte dei pagani. Corri con la Stella e porta i tuoi doni con i Magi, oro, incenso e mirra, come a un Re e a Dio e a Colui che è morto per te. Con i pastori glorificatelo; con Angeli che si uniscono in coro; con gli Arcangeli cantiamo inni. Che questa Festa sia comune alle potenze in cielo e alle potenze sulla terra. Perché sono persuaso che le schiere celesti si uniscono alla nostra esultanza e celebrano oggi con noi un’alta festa … perché amano gli uomini e amano Dio proprio come quelli che Davide introduce dopo la Passione salendo con Cristo e venendogli incontro, e intimandosi l’un l’altro di alzare le porte.

XVIII. Vorrei che odiassi una cosa sola connessa con la nascita di Cristo… l’uccisione dei bambini da parte di Erode. O, meglio, dovete venerare anche questo, il Sacrificio dei coetanei di Cristo, immolati prima dell’offerta della Nuova Vittima. Se fugge in Egitto, fuggi con lui volentieri. È una cosa grandiosa condividere l’esilio con il Cristo perseguitato. Se Egli rimane a lungo in Egitto, chiamalo fuori dall’Egitto con un’adorazione riverente a Lui. Percorri senza colpa ogni tappa e facoltà della vita di Cristo. Sii purificato; sii circonciso; strappa il velo che ti ha coperto fin dalla tua nascita. Dopo questo insegnate nel Tempio e scacciate i venditori sacrileghi. Sottomettiti per essere lapidato se necessario, perché so bene che sarai nascosto da coloro che scagliano le pietre; scamperai anche in mezzo a loro, come Dio. Se sarai condotto da Erode, nemmeno devi rispondere altro. Rispetterà il tuo silenzio più dei lunghi discorsi della maggior parte delle persone. Se sarai flagellato, richiedi anche I supplizi che tralasciano. Assaggia il fiele tu che hai gustato dell’albero; bevi aceto; cerca gli sputi; accetta i colpi e gli schiaffi, sii coronato di spine, cioè dalle asperità di una condotta secondo la volontà divina; indossa la veste di porpora, prendi in mano la canna e ricevi un’adorazione beffarda da coloro che deridono la verità; infine, sii crocifisso con lui e condividi con gioia la sua morte e la sua sepoltura, affinché tu possa risorgere con Lui, essere glorificato con Lui e regnare con Lui. Guarda e fatti guardare dal Grande Dio, che nella Trinità è adorato e glorificato, quello che anche ora noi preghiamo che ci illumini, pet quanto possibile a coloro che sono stretti nelle catene della carne, in Gesù Cristo nostro Signore; a Lui la gloria nei secoli. 

Amen.




San Leone Magno: Quarto discorso tenuto nel Natale del Signore

QUARTO DISCORSO TENUTO NEL NATALE DEL SIGNORE

1. – Dilettissimi, in diversi modi e in molte misure la divina bontà ha sempre provveduto al genere umano e ha generosamente elargito in tutti i secoli precedenti i doni della sua provvidenza. Però in questi ultimi tempi ha superato la larghezza della consueta benignità, quando in Cristo è discesa ai peccatori la misericordia, ai traviati la verità, ai morti la vita. Infatti il Verbo, coeterno e uguale al Padre nell’unità della divinità, assunse la nostra umile natura; e così egli che è Dio, nato da Dio, in quanto uomo prese origine dall’uomo. Il fatto era già stato promesso nella creazione del mondo e anche preannunciato in molte figure e oracoli. Però quelle figure e quei misteri, nascosti nella penombra, avrebbero salvato una piccola porzione dell’umanità, se Cristo non avesse adempiuto le occulte e ripetute promesse! Ora invece, quando l’opera redentiva è stata adempiuta, giova a innumerevoli fedeli, mentre a pochi credenti giovò quando ancora doveva compiersi.

Noi siamo portati alla fede non più con segni e immagini, ma, confermati dal racconto evangelico, adoriamo quel che crediamo adempiuto. In proposito si aggiungono a nostro ammaestramento le testimonianze dei profeti, affinché sia esclusa la possibilità di ritenere dubbio ciò di cui conosciamo attraverso la predizione in tante profezie.

Dunque è vero quel che il Signore ha detto ad Abramo: “Tutte le genti della terra saranno benedette nella tua discendenza”. E David con spirito profetico canta la promessa di Dio: “Il Signore giurò a David la promessa da cui non si ritrae: un rampollo della tua stirpe io porrò sul trono”. E il Signore dice per bocca di Isaia: “Ecco la Vergine che concepisce e dà alla luce un figlio e gli darà il nome di Emmanuele, che significa: Dio con noi”; e ancora: “Un virgulto sorgerà dal tronco di Jesse e un pollone verrà su dalle sue radici”.

In questo virgulto certamente è stata preannunciata la santa vergine Maria, che, discendente della stirpe di David e di Jesse, è stata fecondata dallo Spirito Santo e ha partorito il fiore novello dell’umana carne nell’esercizio di una reale funzione di madre, benché il parto sia stato verginale.

2. – Dunque, i giusti esultino nel Signore, i cuori dei fedeli prorompano nella lode a Dio e i figli degli uomini esaltino i suoi prodigi. Soprattutto da questa opera di Dio la nostra pochezza conosce quanto sia stimata dal suo Creatore.

Egli già ha donato molto all’umanità fin dall’origine, perché ci ha fatti a sua immagine, ma molto più generoso si è mostrato nella nostra restaurazione, quando egli stesso, il Signore, si è adeguato alla condizione di servo. Proviene certamente dalla stessa identica misericordia tutto quanto il Creatore ha elargito alla creatura: però è meno meraviglioso che l’uomo sia elevato a qualità divine del fatto che Dio si abbassi alla condizione umana. Se Dio, onnipotente, non si fosse degnato di tanto, nessun modello di santità, nessuna ricchezza di sapienza ci avrebbe potuto liberare dalla schiavitù del diavolo e dall’abisso della morte eterna. La condanna, che si propaga con il peccato da uno agli altri uomini, sarebbe rimasta; e la natura colpita da mortale ferita, non avrebbe trovato nessun rimedio, perché non avrebbe potuto mutare con le proprie forze la sua condizione.

Ora, il primo uomo prese la sostanza carnale dalla terra e fu animato da spirito razionale per insufflazione del Creatore, perché vivendo a immagine e somiglianza del suo autore, conservasse la bellezza della bontà e santità di Dio nella irradiante imitazione (del suo essere), come in un nitido specchio.

Se egli avesse con l’osservanza della legge costantemente perfezionato tale luminosissima dignità della propria natura, la stessa anima incontaminata avrebbe condotto la condizione terrestre del corpo alla gloria celeste. Ma perché credette temerariamente e infelicemente a colui che per invidia tendeva inganni, e accondiscese ai suggerimenti di superbia e preferì usurpare con l’occupazione, anziché meritare l’aumento di dignità, tenuto in serbo per lui, non soltanto il primo uomo ma tutta la sua posterità dovette ascoltare: “Tu sei polvere e in polvere ritornerai”. Dunque “qual è l’Adamo terrestre, tali sono anche i corpi terrestri”: nessuno di essi fu immortale, perché nessuno è diventato celeste.

3. – L’onnipotente Figlio di Dio che tutto riempie e tutto contiene, totalmente uguale al Padre, coeterno nell’unica e medesima essenza ricevuta da lui e regna con lui coeterno, ha assunto la natura umana. Così il Creatore e il Signore di tutto si è degnato essere uno dei mortali per spezzare le catene del peccato e della morte. A tal fine si scelse una madre, che egli stesso aveva fatto, la quale, conservando intatta l’integrità verginale, non dovesse fare altro che apprestare la sostanza corporea, in maniera che, rimanendo illesa dal contagio del seme umano fecondante, purezza e verità risiedessero nel nuovo uomo.

Dunque in Cristo, generato dal seno della Vergine, la natura nostra, per il fatto che mirabile è stata la sua nascita, non è indifferente. Egli è vero Dio e anche vero uomo; e in ambedue le nature non accoglie nulla di fittizio. “Il Verbo si è fatto carne” per elevazione della carne, non per difetto della divinità, la quale in tal modo ha diretto la sua potenza e bontà elevando ciò che è nostro con l’assumerlo e non ha perduto ciò che è suo nel comunicarlo. Secondo la profezia di David, in questa natività di Cristo “la fedeltà è fiorita dalla terra e la giustizia si è affacciata dal cielo”. In questa nascita si è adempiuto anche il cantico di Isaia: “Si apra la terra e produca la salvezza e faccia spuntare la giustizia”.

Difatti, la terra della umana carne, maledetta già in chi per primo peccò, in questo solo parto della santa Vergine germogliò un rampollo benedetto, estraneo alla corruzione della propria stirpe.

Ognuno si appropria la spirituale origine di Cristo nella rigenerazione; l’acqua del battesimo è per ogni uomo che viene rigenerato quasi un seno verginale, perché lo stesso Spirito Santo, che adombrò la Vergine, riempie la fonte. Il peccato che lì fu tolto dal santo concepimento, qui è cancellato dalla mistica lavanda.

4. – Dilettissimi, da questo mistero è molto lontano lo stravagante errore dei manichei, che non hanno alcuna parte alla rigenerazione di Cristo, perché negano che egli sia nato da Maria Vergine con nascita corporea. Essi non ritengono vera la sua natività e neppure ammettono la realtà della sua passione: così, non confessandolo veramente sepolto, negano che egli sia realmente risuscitato. Incamminatisi per la via scoscesa di una dottrina esecrabile, ove non sono che tenebre e precipizi, andando di gorgo in gorgo, scivolano nell’abisso della morte. Non possono trovare luogo saldo a cui aggrapparsi, costoro che, oltre alle malvagità, degne solo dell’approvazione diabolica, nel giorno più solenne della loro religione si rallegrano – l’abbiamo saputo dalla loro ultima confessione – della sporcizia dell’animo e del corpo, incuranti della integrità della fede e del pudore. In questo modo si riconoscono empi nella dottrina e osceni nei riti.

5. – Le altre eresie, dilettissimi, pur tutte meritevoli di condanna nelle loro differenze, hanno però qualche parte di vero. Ario, asserendo che il Figlio di Dio è inferiore al Padre e creatura, e credendo che lo Spirito Santo sia stato creato dal Figlio insieme alle altre creature, per la sua empietà andò in perdizione. Tuttavia, egli che non scorse l’eterna e immutabile divinità se non riducendo la Trinità all’unità della natura del Padre, non negò Dio. Macedonio, estraneo pure lui alla luce della verità, non ammise la divinità dello Spirito Santo; però confessò una e identica potenza nel Padre e nel Figlio. Sabellio, impigliato in un groviglio di errori, giudicò che l’unità di sostanza fosse senza alcuna distinzione nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo; perciò quello che doveva attribuire all’uguaglianza di natura, l’attribuì alla unicità di persona. Incapace di comprendere la vera Trinità, credette che sotto triplice nome fosse una e identica la persona. Fotino, ingannato dalla cecità della mente, confessò che Cristo era vero uomo della nostra stessa natura; però non credette che egli fosse Dio, nato da Dio prima dei secoli. Apollinare, privo di solida fede, in tal modo credette che il Figlio di Dio avesse assunto la vera natura della carne umana, ma asseriva che in quel corpo non vi era l’anima, perché era sostituita dalla divinità. Se continuiamo a elencare tutti gli errori che la fede cattolica ha condannati, in ciascuno si trova or questa or quella verità che può essere separata dalle tesi condannate. Invece nella dottrina scellerata dei manichei nulla si trova che possa essere giudicato accettabile.

6. – Ma voi, dilettissimi, ai quali nessun titolo posso rivolgere con più proprietà se non usando le parole di san Pietro apostolo “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione sacra, popolo tratto in salvo”, edificati sopra Cristo che è pietra incrollabile, innestati nel Signore, nostro Salvatore, attraverso la reale assunzione della nostra carne: perseverate saldi nella fede, che avete professato davanti a molti testimoni, nella quale, rinati mediante l’acqua e lo Spirito Santo, avete ricevuto il crisma della salvezza e il segno della vita eterna.

Se ora alcuno ci predicasse una verità diversa da quella che avete appreso, sia scomunicato. Non vogliate anteporre alla luminosa verità favole sacrileghe; e giudicate senza esitazione, diabolico e causa di morte, quanto leggete o ascoltate di contrario al simbolo cattolico e apostolico. Non vi traggano in inganno i simulati digiuni, che non giovano a purificare le anime ma a perderle. Coloro che li praticano assumono atteggiamenti di pietà e di castità per circondare con questo ingannevole velo le oscenità delle loro azioni, mentre dall’intimo di un cuore perverso scagliano strali per colpire i semplici, come dice il profeta: “per trafiggere al buio gli uomini retti”.

Grande protezione è la fede integra, la fede vera, in cui nulla può essere aggiunto e nulla tolto: se, infatti, non è una, non è fede. L’Apostolo in proposito dice: “Non c’è che un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Non esiste che un solo Dio e Padre di tutti, il quale è al di sopra di tutti, opera in tutti ed è in tutti”.

Attaccatevi a questa unità, dilettissimi, con incrollabile animo; e in essa “cercate la santità”. In essa soltanto è possibile obbedire ai comandi del Signore, perché “senza la fede è impossibile piacere a Dio”; senza di essa nulla è casto, nulla è santo, nulla è vivo; “il giusto, infatti, vive di fede”. Chi ha perduto la fede per inganno del diavolo, pur vivente, è già morto, perché, come per la fede si ha la santità, così per la fede vera si acquista la vita eterna. Dice infatti il Signore, nostro Salvatore: “La vita eterna è questa, che conoscano te, solo vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo”. Egli vi faccia progredire e perseverare fino alla meta, il quale vive e regna col Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli.

Amen.




San Leone Magno: Terzo discorso tenuto nel Natale del Signore

Raffaello Sanzio (1483-1520) – Incontro di Leone Magno con Attila (1513-14) – Stanza di Eliodoro – Stanze di Raffaello – Musei Vaticani

TERZO DISCORSO TENUTO NEL NATALE DEL SIGNORE

1. – Dilettissimi, sono a voi certamente note le verità riguardanti il mistero della presente solennità per averle frequentemente ascoltate. Però, come la luce visibile provoca piacere agli occhi sani, così ai cuori integri dona gaudio eterno la nascita del Salvatore, della quale non dobbiamo tacere benché non sia possibile farne una degna illustrazione. Infatti, siamo persuasi che il passo biblico: “Chi potrà narrare la sua generazione?” si riferisce non soltanto al mistero secondo cui il Figlio di Dio è coeterno al Padre, ma anche a questa nascita con la quale il “Verbo si è fatto carne”. Perciò il Figlio di Dio, in quanto Dio, ha dal Padre e con il Padre uguale e identica natura; è Creatore e Signore dell’universo; in ogni luogo è tutto presente e tuttavia supera ogni cosa. Egli nel corso dei tempi, che per sua disposizione trascorrono, ha eletto questo giorno per nascere dalla beata vergine Maria lasciandola incontaminata e così portare la salvezza al mondo. La verginità di Maria non fu violata nel parto, come non era stata offesa nel concepimento. “E tutto questo avvenne affinché si adempisse quello che era stato annunciato dal Signore per mezzo del profeta che disse: ‘Ecco la Vergine concepirà e darà alla luce un figlio e lo chiameranno con il nome di Emmanuele che vuol dire Dio con noi’”.

La santa Vergine con tale straordinario parto diede alla luce una persona che aveva veramente la natura umana e la natura divina. Ambedue le sostanze ritennero ciascuna le sue proprietà, ma non in modo che vi sia in esse distinzione di persone; d’altra parte la creatura è stata assunta nell’unità del suo Creatore, non nel senso che costui sia l’ospite e l’altra l’abitazione, ma in modo che una natura sia strettamente unita con l’altra. E benché quella assunta resti distinta da quella che assume, tuttavia ambedue convergono in un’unità perfetta, tanto che uno e identico è il Figlio, che in quanto vero uomo si professa inferiore al Padre e in quanto vero Dio si rivela uguale al Padre.

2. – La cecità della eresia ariana, dilettissimi, non poté scorgere questa unità, per la quale il Creatore si congiunge alla sua creatura. Per questo, non credendo che l’Unigenito di Dio è della stessa gloria e della stessa sostanza del Padre, asserì che la divinità del Figlio fosse inferiore. Le prove, poi, di questa asserzione le trasse dagli aspetti della sua condizione di schiavo.

Invece l’unico Figlio di Dio per mostrare che in lui la natura umana non costituisce una persona distinta, né appartiene ad un’altra persona, essendo in perfetta unione con essa, afferma: “Il Padre è più grande di me”; come pure, ad essa unito, dice: “Io e il Padre siamo una cosa sola”.

Egli, secondo la natura di servo, assunta nell’ultima serie dei secoli per la nostra restaurazione, è inferiore al Padre; invece secondo la natura di Dio, in cui era ab aeterno, è uguale al Padre. Nella bassezza umana è stato fatto da una donna ed è nato sotto la legge; nella divina maestà rimase come Verbo di Dio “per il quale furono fatte tutte le cose”. Perciò colui che nella natura di Dio ha creato l’uomo, abbassandosi alla natura di servo, si è fatto uomo: ma dell’una e dell’altra natura si dice che è Dio per la potenza della persona assumente e allo stesso modo si afferma che è uomo per la bassezza della natura assunta. Ambedue le nature conservano, ciascuna, senza diminuzione, le proprietà. Come la natura di Dio non cambia la natura di servo, così neppure questa diminuisce la natura divina. Dunque il mistero del Verbo onnipotente in quanto è unito alla natura debole, permette di dire, a causa della natura che è propria dell’uomo, che il Figlio è inferiore al Padre. Ma la divinità che è una nella Trinità ed è propria del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, esclude qualunque congettura di ineguaglianza. Così l’eternità non ha niente di temporaneo; la natura nulla ha di disuguale. Così una è la volontà, uguale la potestà. Dunque, non sono tre dei, ma è un Dio solo; è, quindi, c’è un’unità reale che non soffre separazione, perché non vi può essere differenza di sorta.

Dunque il vero Dio è nato nella natura integra e perfetta del vero uomo: tutto nella sua natura, tutto nella nostra: diciamo nostra la natura creata da Dio all’inizio e che egli ha assunto per restaurarla. Perché ciò che il menzognero v’introdusse e che l’uomo, ingannato, accolse, non ebbe nel Salvatore alcuna traccia. Egli si è, bensì, sottomesso e ha preso parte alle umane debolezze, ma non per questo è stato partecipe dei nostri delitti. Assunse la natura di servo senza la macchia del peccato: sublimò la natura umana e non abbassò quella divina. Lo svuotamento con cui egli, l’invisibile, si rese visibile, fu un atto di misericordiosa condiscendenza, non un esaurimento della sua potestà.

3. – È disceso a noi per chiamarci dalle catene della colpa originale e dagli errori mondani all’eterna beatitudine. Era impossibile per noi ascendere fino a lui, perché, nonostante che molti uomini ricercassero la verità con amore, eravamo ingannati dall’astuzia dei demoni con diverse e incerte congetture. L’umana ignoranza era tratta in differenti e opposte sentenze da una scienza falsa.

Per togliere questo scherno, per il quale le menti erano schiave del diavolo che le insolentiva, non bastava la dottrina della legge; come pure i soli oracoli dei profeti non potevano restaurare la nostra natura. Alle istituzioni morali era necessario aggiungere la verità della redenzione: bisognava che l’origine umana, corrotta fin dall’inizio, esordisse nuovamente nella rigenerazione. Per la riconciliazione doveva essere offerta un’ostia che avesse la nostra natura e fosse estranea alla propagazione del peccato. Tutto questo, poi, doveva avvenire in modo che la volontà di Dio, il quale si è compiaciuto di distruggere il peccato del mondo nella nascita e nella passione di Gesù Cristo, fosse riferita alle generazioni di tutti i secoli; e doveva accadere, inoltre, in modo che i misteri, anziché procurarci turbamento per il loro variare secondo i tempi, ci dessero maggior convinzione per il fatto che la fede, di cui viviamo, non fu diversa in nessuna età.

4. – Dunque, cessino dalle accuse quei mormoratori sacrileghi che parlano contro la divina economia e si lamentano per un preteso ritardo della nascita del Signore. Costoro pensano che non sia stata disposta anche per i tempi precedenti l’opera che è stata compiuta nell’ultima età del mondo. Tutto al contrario, l’incarnazione del Verbo, quando ancora doveva avvenire, produsse la stessa salvezza che elargisce ora quando si è già realizzata. Perciò il mistero della salvezza umana non è mancato in nessuna epoca.

Gli apostoli hanno predicato quello che i profeti hanno profetato: non è stato compiuto troppo tardi quello che sempre è stato creduto. Ma la sapienza e la benignità divina, procrastinando l’opera della salvezza, ci ha resi più capaci della sua vocazione. Lo scopo di questo indugio era di allontanare, ora che è tempo del Vangelo, qualunque dubbio dal mistero preannunciato lungo tanti secoli con tanti prodigi, con tanti oracoli e con tante sacre istituzioni. In tal modo la natività del Salvatore, che doveva superare le proporzioni di tutti i precedenti prodigi e la capacità di ogni umana intelligenza, avrebbe suscitato in noi una fede tanto più stabile quanto più antica e sicura era la predicazione che l’aveva preceduta.

Perciò errano coloro i quali pensano che Dio ha cambiato il piano circa le cose umane, o che troppo tardi ha provveduto a dare misericordia agli uomini. Invece egli fin dalla creazione del mondo istituì il principio di salvezza, uno e identico per tutti. Infatti la grazia di Dio, con cui sono stati sempre giustificati i santi, dalla nascita del Salvatore ha ricevuto solo un incremento, non il suo inizio. In realtà il mistero di così grande misericordia che già ha riempito il mondo, è stato efficacissimo anche nelle sue figure; perciò ne hanno ricevuto eguale grazia e quelli che l’hanno creduto quando era stato appena promesso, e quelli che l’hanno accolto ora che è stato compiuto.

5.- Per questo, dilettissimi, è nostro dovere di celebrare la natività del Signore non con svogliatezza o in allegria mondana, ma con professione di pietà, perché abbondanti ricchezze della divina benignità sono state profuse in noi. Infatti, per la nostra vocazione all’eternità, non solo ci sono utili le istituzioni precedenti dell’antica Alleanza, ma la stessa Verità che è apparsa con un corpo visibile. Però la celebrazione della festa sarà fatta con diligenza e come si conviene, se ciascuno si fissa bene in mente di quale corpo è membro e a quale capo è congiunto, e fa in modo di non essere inadatto alla stretta compagine del sacro edificio.

Dilettissimi, considerate, e, illuminati dallo Spirito santo, con sapienza riflettete, chi sia colui che ci ha uniti a sé e chi abbiamo accolto in noi stessi. Infatti, allo stesso modo che egli nascendo si è fatto carne nostra, così noi nella rigenerazione siamo diventati suo corpo. Perciò noi siamo il tempio di Cristo e il tempio dello Spirito Santo. Per questo l’apostolo raccomanda: “Glorificate e portate Dio nel vostro corpo”. Egli presentandoci il modello della sua umiltà e della sua mitezza, ci ha iniziati a questa virtù con la redenzione, dandocene egli stesso l’assicurazione: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi, e io vi darò completo riposo. Prendete su di voi il mio giogo, e imparate da me perché sono dolce e umile di cuore, e troverete pace per le anime vostre”.

Abbracciamo, dunque, il giogo, non pesante né molesto, della verità che ci guida, e rendiamoci simili alla umiltà di colui alla cui gloria vogliamo essere conformi.

Gesù Cristo, nostro Signore, ci aiuti e ci guidi al possesso delle sue promesse, perché Egli, nella sua grande misericordia, ha il potere di distruggere i nostri peccati e di rendere perfetti in noi i suoi doni; il quale vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.