OMELIA XCVI
L’eresia eutichiana.
1. Come è compito dei medici veramente valenti prevenire, o miei cari, con rimedi opportuni le alterazioni proprie dell’infermità umana, ed indicare il modo con cui evitare quanto è dannoso alla salute, così rientra nei doveri pastorali impedire che la perversità delle eresie nuoccia al gregge del Signore, e dimostrare altresì come ci si debba guardare dalla malvagità dei lupi e dei ladroni. Di fatto mai l’empietà degli eretici è riuscita a nascondersi: i nostri santi Padri l’hanno sempre scoperta e giustamente condannata.
Così non è sfuggito al nostro zelo, che dedichiamo alla vostra carità, il fatto che certi Egiziani, per lo più mercanti venuti a Roma, vanno sostenendo delle idee già empiamente diffuse dagli eretici ad Alessandria. Essi dicono che in Cristo c’era soltanto la natura divina, mentre l’umana carne, presa dalla beata Vergine Maria, non avrebbe avuto alcuna reale consistenza: dottrina questa veramente empia, perché presenta Cristo come falso uomo e, in quanto Dio, lo fa passibile1. Riguardo poi allo spirito e alle finalità, che animano la loro audacia, non ci possono esser dubbi per noi: dopo essersi personalmente allontanati dalla verità evangelica, per seguire le menzogne del demonio, essi intendono attirare anche gli altri e farli compagni della loro perdizione.
È per questo che noi con sollecitudine insieme paterna e fraterna vi avvertiamo di non seguire, escludiamo qualsiasi forma di adesione, questi avversari della fede cattolica, nemici della Chiesa, negatori dell’incarnazione del Signore, oppositori del Simbolo stabilito dai santi Apostoli, perché appunto dice l’Apostolo: «Allontana da te, dopo un primo e un secondo ammonimento, l’uomo che provoca scissioni, ben sapendo che chi è tale è un perverso e un peccatore che si condanna da sé stesso». (Tito, 3,10-11)
2. Effettivamente si rovina per la sua stessa ostinazione e si stacca con un atto pazzesco da Cristo, chi aderisce a quella dottrina empia, dalla quale pur sa che in passato molti altri sono stati rovinati, e ritiene cosa perfettamente ortodossa quel che pur gli risulta essere stato formalmente condannato dai santi Padri sia nelle perfide teorie di Fotino, sia nelle folli asserzioni di Mani, sia nei dogmi insensati di Apollinare2: coloro cioè che negano il mistero dell’incarnazione del Signore, non fanno che accettare con grave danno della loro anima un errore sacrilego, come se fosse qualcosa di nuovo e non ancora condannato. Ma che altro ci insegna la lettura di tutto il Vangelo, se non che proprio per questo mistero della divina misericordia è avvenuta, in quelli che credono, la salvezza del genere umano? Il Figlio unigenito di Dio — essa ci insegna — eguale in tutto al Padre, ha assunto la nostra natura, e rimanendo quel che era, si è degnato di essere quel che non era, cioè vero uomo pur essendo vero Dio; egli ha unito a se stesso, senza contrarre macchia alcuna di peccato, la nostra natura nella sua integrità e perfezione, e quindi con un vero corpo ed una vera anima; concepito per opera dello Spirito Santo nel seno della santa Vergine, sua madre, non ha rifiutato di venir alla luce attraverso il suo parto e di passare per i primi gradi propri dell’infanzia. Così il Verbo di Dio Padre proclamava con la potenza della sua divinità ed insieme con la debolezza della sua carne che c’era realmente in lui la natura umana: con il suo corpo era in grado di porre azioni corporee, con la sua divinità era in grado di operare prodigi spirituali.
Difatti è proprio dell’uomo aver fame, aver sete e dormire; è proprio dell’uomo temere, piangere, rattristarsi; è proprio dell’uomo infine esser crocifisso, morire ed esser seppellito. Ma è proprio di Dio camminare sopra le onde, cambiare l’acqua in vino, risuscitare i morti, far tremare il mondo al momento della propria morte ed elevarsi al di sopra di tutti i cieli con la propria carne, ritornata alla vita. Quelli dunque che credono a tutto questo, non possono aver dubbi su ciò che rispettivamente va ascritto all’umanità o attribuito alla divinità, in quanto nell’uno e l’altro principio uno solo è il Cristo, che come non ha perduto la sua potenza divina, così nascendo ha assunto la vera realtà di un uomo perfetto.
3. Queste persone di cui stiamo parlando, o miei cari, dovete dunque — come si evita un veleno mortale — evitarle, detestarle, sfuggirle, astenendovi anche, se dopo le vostre riprensioni rifiutano di correggersi, dal parlare con loro, perché sta scritto: «La loro parola rode come la cancrena» (2 Tim., 2, 17). Non si può infatti accordare rapporto alcuno di comunione a coloro, che una giusta sentenza ha messo fuori dall’unità della Chiesa: essi non per nostro odio, ma per i loro crimini l’hanno perduta!
Quanto a voi, che siete prediletti da Dio ed oggetto di un riconoscimento apostolico che vale una testimonianza, voi a cui l’apostolo san Paolo, il dottore delle genti, dice: «Perché la vostra fede è proclamata in tutto quanto il mondo» (Rom 1,8), dovete sempre mantenere inalterato quel giudizio, che sapete aver avuto di voi un predicatore tanto autorevole. Nessuno di voi diventi indegno di questa lode, sicché, come in tanti secoli grazie all’ispirazione superiore dello Spirito Santo nessuna eresia vi ha mai contaminato, neppure il contagio dell’empietà di Eutiche possa ora macchiarvi.
Nutriamo fiducia che la protezione di Dio custodirà il vostro cuore e la vostra fede: come finora gli avete fedelmente obbedito, così, perseverando nell’osservanza della fede cattolica, per sempre gli piacerete, per il Cristo nostro Signore.
Amen.
1. L’eresia, a cui si allude, è il monofisismo, che affermava l’esistenza di una sola natura nel Cristo. È dunque la dottrina stessa di Eutiche, di cui tratta l’Omilia.
2. L’idea generale di questo passo è che nel monofisismo di Eutiche riappaiono in parte gli elementi di eresie precedenti, in particolare la perfidia di Fotino, la dementia di Mani, la insania di Apollinare.