Primo Concilio di Costantinopoli (381)

Dal 1 maggio al luglio 381.
Convocato dall’imperatore Teodosio I.
Tema: Simbolo Niceno-Costantinopolitano. Divinità del Santo Spirito

Il secondo Concilio Ecumenico, fu organizzato a Costantinopoli da Teodosio I il Grande tra il maggio e il luglio del 381. L’imperatore non annunciò neppure a papa Damaso l’organizzazione del Concilio e quindi vide la partecipazione di solo 150 vescovi provenienti dall’Oriente.

150 vescovi parteciparono, dall’inizio di maggio al 9 luglio, nella capitale dell’impero, su appello dell’imperatore Teodosio il Grande, per riportare l’ordine e la pace nella Chiesa. Il disturbo era causato da un insegnamento che negava la divinità, l’uguaglianza e la divinità del Santo Spirito rispetto al Padre e al Figlio. Attraverso gli sforzi di questi Santi Padri, la Chiesa consolidò la vittoria dell’Ortodossia, ottenuta già nel 325, al Primo Concilio Ecumenico di Nicea. I Padri sinodali completarono definitivamente il Credo con gli ultimi 5 articoli.

Era trascorso più di mezzo secolo da quando il Santo Imperatore Costantino il Grande aveva convocato il Concilio di Nicea per stabilire il vero insegnamento della fede. Le controversie teologiche, tuttavia, continuarono. Una serie di sinodi locali dovettero rispondere alle sfide del tempo e alle voci che riprendevano le cosiddette “dispute trinitarie”. Sia questo concilio che il primo condannarono gli insegnamenti sbagliati piuttosto che le persone.

Tra i vescovi partecipanti c’era quello di Tomis, di nome Terenzio. La presidenza del Sinodo è stata assunta, dopo la morte del vescovo Melezio di Antiochia, alla fine di maggio, da san Gregorio di Nazianzo, Vescovo di Costantinopoli. Dopo il ritiro di san Gregorio Nazianzeno – avvenuto probabilmente il 30 giugno – la presidenza del sinodo toccò a Nettario, nuovo vescovo di Costantinopoli.

I lavori del sinodo si conclusero il 9 luglio 381, riconosciuto come Secondo Sinodo Ecumenico per le importanti decisioni dogmatiche formulate e unanimemente riconosciute da tutta la Chiesa. Infatti, anche se i Vescovi occidentali non avevano partecipato al Concilio, questo è sempre stato riconosciuto e accettato come ecumenico dalla Chiesa di Roma.

IL SIMBOLO DEI CENTOCINQUANTA PADRI

Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e di quelle invisibili: e in un solo signore Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio, generato dal Padre prima di tutti i secoli. Luce da luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato, della stessa sostanza del Padre, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose. Per noi uomini e per la nostra salvezza egli discese dal cielo, prese carne dallo Spirito Santo e da Maria vergine, e divenne uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, fu sepolto e risuscitò il terzo giorno secondo le Scritture, salì al cielo, si sedette alla destra del Padre: verrà nuovamente nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. Crediamo anche nello Spirito Santo, che è signore e dà vita, che procede dal Padre; che col Padre e col Figlio deve essere adorato e glorificato, ed ha parlato per mezzo dei Profeti. Crediamo la Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica. Crediamo un solo battesimo per la remissione dei peccati e aspettiamo la resurrezione dei morti, e la vita del secolo futuro. Amen.

LETTERA DEI VESCOVI RADUNATI A COSTANTINOPOLI
A PAPA DAMASO E AI VESCOVI OCCIDENTALI (382)

Ai signori illustrissimi e reverendissirni fratelli e colleghi Damaso, Ambrogio, Brittone, Valeriano, Acolio, Anemio, Basilio, e agli altri santi vescovi raccolti nella grande Roma, il santo sinodo dei vescovi che professano la vera fede, riuniti nella grande Costantinopoli, salute nel Signore.

E’ forse superfluo informare la Reverenza vostra, quasi che possa esserne all’oscuro, e narrare le innumerevoli sofferenze inflitteci dalla prepotenza ariana. Non crediamo, infatti, che la santità vostra giudichi così poco importante quanto ci riguarda, da esserne ancora all’oscuro, metterebbe anzi conto che se ne piangesse insieme. D’altra parte, le tempeste che si sono abbattute su di noi sono state tali, che non hanno certo potuto rimanervi nascoste; il tempo delle persecuzioni è recente, ne è ancora vivo il ricordo non solo in coloro che hanno sofferto, ma anche in chi per l’amore che li legava ad essi ha fatto proprie le loro sofferenze. Infatti solo ieri, per così dire, e l’altro ieri, alcuni sciolti dai vincoli dell’esilio, sono tornati alle loro chiese in mezzo a mille tribolazioni; di altri, morti in esilio, sono tornati solo i resti: alcuni, anche dopo il ritorno dall’esilio, fatti segno all’odio acre degli eretici, dovettero sopportare più amarezze nella propria terra che in terra straniera, raggiunti, come il beato Stefano, dalle loro pietre (1); altri lacerati da vari supplizi, portano ancora le stigmate di Cristo (2) e le ferite nel proprio corpo. Le perdite di ricchezze, le multe delle città, le confische dei beni dei singoli, gli intrighi, le prepotenze, le carceri, chi potrebbe contarle? Davvero che tutte le tribolazioni si sono moltiplicate contro di noi oltre ogni dire, forse perché scontassimo la pena dei nostri peccati, o forse perché Dio, clemente, voleva provarci con tante sofferenze.

Di ciò siano rese grazie a Dio, il quale volle istruire i suoi servi attraverso prove così grandi (3), e secondo la sua grande misericordia ci ha condotto nuovamente al refrigerio (4). Certo sarebbe stato necessario per noi una lunga pace, e molto tempo, e molto lavoro per il miglioramento delle chiese, perché, cioè, finalmente potessimo ricondurre all’originario splendore della pietà il corpo della chiesa, oppresso come da lunga malattia, ricreandolo a poco a poco con ogni sorta di cure. In questo modo riteniamo di esserci liberati dalla violenza delle persecuzioni, e di aver ripristinato le chiese così a lungo dominate dagli eretici; dei lupi, tuttavia, ci danno molta molestia: scacciati dai loro recinti, rapiscono le pecore negli stessi pascoli boscosi, e tentano di tenere riunioni, e di suscitare sommosse popolari, senza nulla risparmiare pur di arrecare danno alle chiese. Come dicevamo, sarebbe stato necessario che potessimo occuparci di questi problemi per un tempo più lungo.

In ogni modo, poiché, mostrando la vostra fraterna carità verso di noi, con lettere dell’imperatore, da Dio amato, avete invitato anche noi come veri membri al sinodo che per volontà di Dio avete convocato a Roma perché, essendo stati noi sottoposti allora da soli alle tribolazioni, ora in questa pia concordia degli Imperatori voi non regnaste senza di noi, ma anche noi, secondo la parola dell’apostolo, potessimo regnare insieme con voi (5), sarebbe stato nostro desiderio, se possibile, lasciare tutti insieme le nostre chiese, e venire incontro ai vostri desideri e alla (comune) utilità. Chi ci darà, infatti, le ali come quelle di una colomba per volare e posarci presso di voi (6)? Ma poiché questo avrebbe spogliato le nostre chiese, appena cominciato il rinnovamento, e la cosa sarebbe stata per moltissimi impossibile, ci eravamo radunati insieme a Costantinopoli, secondo l’invito delle lettere, mandate l’anno scorso dalla vostra carità, dopo il sinodo di Aquileia, all’imperatore Teodosio, caro a Dio. Eravamo preparati per questo solo viaggio fino a Costantinopoli, ed avevamo il consenso dei vescovi rimasti nelle diocesi solo per questo sinodo. Di un più lungo viaggio né prevedevamo la necessità, né avevamo avuto alcun indizio prima di venire a Costantinopoli. Inoltre l’imminenza della data fissata non lascia il tempo di prepararsi per una assenza più lunga, né di avvertire i vescovi della nostra stessa comunione rimasti nelle diocesi, e di chiedere il loro benestare. Poiché, dunque, questi ed altri simili motivi impedivano la partenza della maggior parte di noi, abbiamo preso l’unico partito che restava per il miglioramento delle cose e per corrispondere alla carità che ci avete dimostrato: e abbiamo pregato insistentemente i venerabilissimi e onorabilissimi fratelli e colleghi nostri, i vescovi Ciriaco, Eusebio e Prisciano di affrontare la fatica di venir fino a voi; e così, per mezzo loro, vi abbiamo fatto conoscere i nostri propositi di pace e di unità, e vi abbiamo manifestato il nostro zelo per la retta fede. Noi, infatti, abbiamo sopportato da parte degli eretici le persecuzioni, le tribolazioni, le minacce degli imperatori, le crudeltà dei magistrati e ogni altra prova, per la fede evangelica confermata dai trecentodiciotto Padri di Nicea di Bitinia. Questa fede, infatti, dev’essere approvata da voi, da noi e da quanti non distorcono il senso della vera fede essendo essa antichissima e conforme al battesimo; essa ci insegna a credere nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, cioè in una sola divinità, potenza, sostanza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, in una uguale dignità, e in un potere coeterno, in tre perfettissime ipostasi, cioè in tre perfette persone, ossia tali, che non abbia luogo in esse né la follia di Sabellio con la confusione delle persone, con la soppressione delle proprietà personali, né prevalga la bestemmia degli Eunomiani, degli Ariani, dei Pneumatomachi, per cui, divisa la sostanza, o la natura, o la divinità, si aggiunga all’increata, consostanziale e coeterna Trinità una natura posteriore, creata, o di diversa sostanza. Riteniamo anche, intatta, la dottrina dell’incarnazione del Signore; non accettiamo, cioè l’assunzione di una carne senz’anima, senza intelligenza, imperfetta, ben sapendo che il verbo di Dio, perfetto prima dei secoli, è divenuto perfetto uomo negli ultimi tempi per la nostra salvezza.

Queste sono, in sintesi, le principali verità della fede, che senza ambagi predichiamo. Esse vi procureranno anche una maggior soddisfazione, se vi degnerete di leggere il tomo composto dal sinodo di Antiochia, e quello pubblicato dal concilio ecumenico, a Costantinopoli, lo scorso anno. In essi abbiamo esposto la nostra fede assai ampiamente, ed abbiamo sottoscritto i nostri anatemi contro le recenti novità delle eresie.

Quanto all’amministrazione delle singole chiese ha forza di legge l’antica norma, come sapete, e la disposizione dei santi padri di Nicea: che, cioè, in ciascuna provincia, e, se essi vorranno anche i vescovi confinanti con loro, si facciano le ordinazioni come richiede l’utilità delle chiese. Sappiate che, conforme a queste disposizioni, vengono amministrate le nostre chiese, e sono stati nominati i sacerdoti delle chiese più insigni. Della chiesa novella, per cosi dire, di Costantinopoli, che da poco, per misericordia di Dio, abbiamo strappato alle bestemmie degli eretici, come dalla bocca di un leone (7), abbiamo ordinato vescovo il reverendissimo e amabilissimo in Dio Nettario. Ciò è stato fatto al cospetto del concilio universale, col consenso di tutti, sotto gli occhi dell’imperatore Teodosio, carissimo a Dio, di tutto il clero, e con l’approvazione di tutta la città. Dell’antica e veramente apostolica chiesa di Antiochia di Siria, nella quale per prima fu usato il venerando nome di cristiani, i vescovi della provincia e della diocesi dell’oriente, radunatisi, consacrarono vescovo, canonicamente, il reverendissimo e da Dio amatissimo Flaviano, con l’approvazione di tutta la chiesa, che, unanime onorava quest’uomo. L’ordinazione è stata riconosciuta conforme alla legge ecclesiastica anche dalle autorità del concilio. Vi informiamo, inoltre, che il reverendissimo e carissimo a Dio Cirillo è vescovo della madre di tutte le chiese, la chiesa di Gerusalemme. A suo tempo egli è stato consacrato, conforme alle norme ecclesiastiche, dai vescovi della provincia, e spesso, in diverse circostanze, ha lottato strenuamente contro gli Ariani.

Poiché, dunque, queste cose sono state compiute da noi legalmente e canonicamente, preghiamo la reverenza vostra di volersi rallegrare con noi, uniti scambievolmente dal vincolo dell’amore che viene dallo Spirito e dal timore di Dio che vince ogni umana passione, e antepone l’edificazione delle chiese all’amicizia ed alla benevolenza verso i singoli. In tal modo, in pieno accordo nelle verità della fede, e fortificata in noi la carità cristiana, cesseremo di ripetere l’espressione già biasimata dagli apostoli: Io sono di Paolo, io sono di Apollo; e io sono di Cefa (8), ma saremo tutti di Cristo, che non può esser diviso in noi; e, se Dio ce ne farà degni, conserveremo indiviso il corpo della chiesa e compariremo tranquilli dinanzi al tribunale di Dio (9).

CANONI

I. Che le decisioni di Nicea restino immutate; della scomunica degli eretici.

La professione di fede dei trecentodiciotto santi Padri, raccolti a Nicea di Bitinia non deve essere abrogata, ma deve rimanere salda; si deve anatematizzare ogni eresia, specialmente quella degli Eunomiani o Anomei, degli Ariani o Eudossiani, dei Serniariani e Pneumatomachi, dei Sabelliani, dei Marcelliani, dei Fotiniani e degli Apollinaristi.

II. Del buon ordinamento delle diocesi, e dei privilegi dovuti alle grandi città dell’Egitto, di Antiochia, di Costantinopoli; e del non dover un vescovo metter piede nella chiesa di un altro.

I vescovi preposti ad una diocesi non si occupino delle chiese che sono fuori dei confini loro assegnati né le gettino nel disordine; ma, conforme ai canoni, il vescovo di Alessandria amministri solo ciò che riguarda l’Egitto, i vescovi dell’Oriente, solo l’oriente, salvi i privilegi della chiesa di Antiochia, contenuti nei canoni di Nicea; i vescovi della diocesi dell’Asia, amministrino solo l’Asia, quelli del Ponto, solo il Ponto, e quelli della Tracia, la Tracia.

A meno che vengano chiamati, i vescovi non si rechino oltre i confini della propria diocesi, per qualche ordinazione e per qualche altro atto del loro ministero. Secondo le norme relative all’amministrazione delle diocesi, è chiaro che questioni riguardanti una provincia dovrà regolarle il sinodo della stessa provincia, secondo le direttive di Nicea. Quanto poi alle chiese di Dio fondate nelle regioni dei barbari, sarà bene che vengano governate secondo le consuetudini introdotte ai tempi dei nostri padri.

III. Che dopo il vescovo di Roma, sia secondo quello di Costantinopoli.

Il vescovo di Costantinopoli avrà il primato d’onore dopo il vescovo di Roma, perché tale città è la nuova Roma.

IV. Della illecita ordinazione di Massimo.

Quanto a Massimo il Cinico e ai disordini avvenuti a Costantinopoli per causa sua intorno a lui, questo grande sinodo giudica che Massimo non è mai stato né è vescovo, e non lo sono quelli che egli ha ordinato in qualsiasi grado del clero: tutto quello, infatti, che è stato compiuto a suo riguardo o da lui è da considerarsi nullo.

V. Il tomo degli Occidentali è bene accetto.

Per quanto riguarda il tomo (=documento) degli Occidentali, anche noi riconosciamo quelli di Antiochia che professano la medesima divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

VI. Chi può essere ammesso ad accusare un vescovo o un chierico.

Poiché molti volendo turbare e sconvolgere l’ordine ecclesiastico, da veri nemici e sicofanti, inventano accuse contro i vescovi ortodossi incaricati del governo della Chiesa, nient’altro cercando che di contaminare la buona fama dei sacerdoti e di eccitare tumulti tra i popoli che vivono in pace, è sembrato bene al santo concilio dei vescovi radunati a Costantinopoli di non ammettere gli accusatori senza previo esame, né di permettere a chiunque di poter formulare accuse contro gli amministratori delle diocesi, né, d’altra parte, di respingere tutti. Se, quindi, uno ha dei motivi privati, personali, contro il vescovo, perché sia stato defraudato, o perché abbia dovuto sopportare da parte sua qualche altra ingiustizia, in questo genere di accuse non si guardi né alla persona dell’accusatore, né alla sua religione. E’ necessario, infatti, assolutamente, che la coscienza del vescovo si conservi libera dalla colpa e che quegli che afferma di essere trattato ingiustamente, quali che possano essere i suoi sentimenti religiosi, ottenga giustizia. Se, però, l’accusa che si fa al vescovo ha attinenza con la religione in sé e per sé, allora bisogna tener conto della persona degli accusatori. In questo caso, primo, non si permetta agli eretici di formulare accuse contro i vescovi ortodossi in cose riguardanti la chiesa (per eretici intendiamo sia quelli che già da tempo sono stati pubblicamente banditi dalla Chiesa, sia quelli che poi noi stessi abbiamo condannato; sia quelli che mostrano di professare una fede autentica, ma in realtà sono separati e si riuniscono contro i vescovi legittimi). Inoltre, quelli che sono stati condannati, scacciati o scomunicati per vari motivi dalla Chiesa, sia chierici che laici, non possono accusare un vescovo, prima di essersi lavati della loro colpa. Analogamente non possono accusare un vescovo o altri chierici, coloro che siano sotto una precedente accusa, se prima non abbiano dimostrato di essere innocenti delle colpe loro imputate. Se, però, vi è chi senza essere eretico, né scomunicato, né condannato o accusato di alcun delitto, ha delle accuse in cose di chiesa contro il vescovo, questo santo sinodo comanda che questi presenti la sua accusa ai vescovi della provincia e dimostri davanti a loro la fondatezza delle accuse. Se poi i vescovi della provincia non sono in grado di correggere le mancanze di cui viene accusato il vescovo, allora gli accusatori possono adire anche il più vasto sinodo dei vescovi di quella diocesi (cioè il sinodo patriarcale), che saranno convocati proprio per questo. Non può però, essere ammesso a provare l’accusa, chi non abbia prima accettato per iscritto di subire una pena uguale a quella che toccherebbe al vescovo se nell’esame della causa si constatasse che le accuse contro il vescovo erano calunnie. Se qualcuno, disprezzando ciò che è stato decretato, osasse importunare l’imperatore, o disturbare i tribunali civili, o il concilio ecumenico, con disprezzo di tutti i vescovi della diocesi, la sua accusa non deve essere ammessa, perché egli ha disprezzato i canoni, ed ha tentato di sconvolgere l’ordine ecclesiastico.

VII. Come bisogna accogliere coloro che si avvicinano all’ortodossia.

Coloro che dall’eresia passano alla retta fede nel novero dei salvati, devono essere ammessi come segue: gli Ariani, i Macedoniani, i Sabaziani, i Novaziani, quelli che si definiscono i Puri (Catari), i Sinistri, i Quattuordecimani o Tetraditi e gli Apollinaristi, con l’abiura scritta di ogni eresia, che non s’accorda con la santa chiesa di Dio, cattolica e apostolica. Essi siano segnati, ossia unti, col sacro crisma, sulla fronte, sugli occhi, sulle narici, sulla bocca, sulle orecchie e segnandoli, diciamo: Segno del dono dello Spirito Santo. Gli Eunomiani, battezzati con una sola immersione, i Montanisti, qui detti Frigi, i Sabelliani, che insegnano l’identità del Padre col Figlio e fanno altre cose gravi, e tutti gli altri eretici (qui ve ne sono molti, specie quelli che vengono dalle parti dei Galati); tutti quelli, dunque, che dall’eresia vogliono passare alla ortodossia, li riceviamo come dei gentili. E il primo giorno li facciamo cristiani, il secondo, catecumeni; poi il terzo, li esorcizziamo, soffiando per tre volte ad essi sul volto e nelle orecchie. E così li istruiamo, e facciamo che passino il loro tempo nella chiesa, e che ascoltino le Scritture; e allora li battezziamo.


Note

(1) Cfr. At 7, 53
(2) Cfr. Gal 6, 17
(3) Cfr. Sal 50, 3
(4) Cfr. Sal 66, 12
(5) Cfr. 1 Cor 4, 8
(6) Cfr. Sal 55, 7
(7) Cfr Sal 21, 22
(8) 1 Cor 1, 12
(9) Cfr. Rm 14, 10