NICODIMO AGHIORITA: Proemio alla Filocalia

NICODIMO AGHIORITA: Proemio alla Filocalia

 

Prooemio al presente libro

Iddio, la Natura beata, perfezione al di là del perfetto, principio creatore di ciò che è buono e bello, buono al di là del buono e bello al di là del bello, Iddio, avendo dall’eternità prestabilito di deificare l’uomo, secondo la propria idea tearchica, ha sin dal principio, in precedenza, fissato in se stesso a suo riguardo questo scopo e lo ha realizzato nel tempo, conforme al suo beneplacito.

Egli, preso il corpo dalla materia, e infuso in esso l’anima prendendola da se stesso, la pose come una specie di mondo, grande per molteplicità di potenze e per dignità, in quello piccolo. E costituì l’uomo sorvegliante della creazione sensibile e iniziato a quella intelligibile, secondo quel grande nella teologia, Gregorio. E che altro è l’uomo, in verità, se non una statua, un’icona fatta da Dio, ripiena di tutte le grazie? E se così, anche presentandogli la legge di quel precetto – come una specie di prova del libero arbitrio – sapeva che alla fine avrebbe dovuto cedere ad essa, ma, come dice il Siracide: Lo lasciò in mano al suo consiglio, affinché scegliesse come credeva ciò che gli veniva presentato. Quale premio della lotta per il comandamento che egli avesse custodito, stabilì ricevesse la grazia della deificazione – già insita nella sostanza del suo essere – facendolo divenire Dio, raggiante per i secoli nella luce pura da contaminazione.

Ma, oh malvagia e perversa astuzia dell’invidia! Non sopportò colui che fin dal principio è l’autore del male, che queste cose fossero messe in opera. Per l’invidia concepita nei confronti del Fattore e della sua fattura – come dice il santo Massimo – del Fattore perché non divenisse manifesta secondo la sua operazione la gloriosissima potenza della bontà deificante l’uomo, della fattura perché non fosse rivelato che essa è partecipe di questa gloria soprannaturale della deificazione – con inganno l’ingannatore, sedotto l’uomo infelice, lo indusse con cosiddetti buoni consigli a trasgredire il precetto deificante. E dopo averlo allontanato, ahimè, dalla divina gloria, il ribelle pensava tra sé di essere un qualche vincitore dell’Olimpo, come se avesse così potuto impedire l’adempimento dell’eterno consiglio di Dio. Ma poiché, come hanno rivelato i divini oracoli, il consiglio di Dio a proposito della deificazione della natura umana rimane in eterno, e i pensieri del suo cuore di generazione in generazione, senza alcun dubbio quelle parole della Provvidenza e del Giudizio che mirano a tale scopo sono immutabilmente confermate sia per il secolo presente sia per quello futuro, secondo quanto ci espone il santo Massimo.

Alla fine dei giorni, per le viscere della misericordia, si è compiaciuto il Verbo sommamente tearchico del Padre, di rendere vani i pensieri dei principi delle tenebre, di realizzare e mettere in opera l’antico e verace consiglio che egli aveva prestabilito.

Pertanto, fattosi uomo con il compiacimento del Padre e la sinergia dello Spirito santo, assunse la nostra natura umana, la deificò: e dopo averci fatto dono dei suoi comandamenti salvifici e deificanti e aver seminato nei nostri cuori mediante il battesimo la perfetta grazia del suo Spirito santo – quale seme divino – ha dato a noi, secondo il divino evangelista, il potere – vivendo secondo i suoi vivificanti comandamenti, conforme alle diverse età spirituali e custodendo in noi stessi senza spegnerla la grazia, mediante la loro attuazione – di ottenere il frutto finale e di divenire per mezzo di questa grazia figli di Dio ed essere deificati, pervenendo all’uomo perfetto, alla misura dell’età della pienezza del Cristo. Questo infatti era, in breve, tutto il fine e il compimento dell’intera economia della Parola a nostro riguardo.

Ma, ahimè! è davvero bene gemere amaramente, come dice il divino Crisostomo! Infatti, di una tale grazia abbiamo fruito e di così nobili natali siamo stati fatti degni, che la nostra anima, purificata dal battesimo, per lo Spirito, più del sole risplendeva! Ma ricevuto un tale splendore deiforme da piccoli, poi in parte per ignoranza, per lo più accecati dalle tenebre delle cure di questa vita, a tal punto abbiamo coperto con le passioni questa grazia da rischiare di spegnere del tutto in noi lo Spirito di Dio e subire quasi la stessa sorte di quelli che avevano risposto a Paolo di non aver neppur saputo che ci fosse uno Spirito santo, e al punto di divenire come prima, secondo quanto dice il Profeta, quando la grazia non regnava su di noi.

Oh, la nostra infermità! Quale distruzione ha prodotto il male e il nostro eccessivo attaccamento alle realtà sensibili! Ma quello che stupisce è che anche se sentiamo da altri che questa grazia e operante, calunniamo per invidia e nemmeno crediamo che esista una operazione della grazia nel secolo presente. Che dire dunque? Lo Spirito dà la sapienza ai Padri sapienti in Dio e insieme alla perfetta sobrietà, alla vigilanza in tutto, alla custodia dell’intelletto, rivela anche il modo di trovare poi la grazia, in quanto cosa realmente mirabile e di altissima scienza. E questo consiste nel pregare ininterrottamente il Signore nostro Gesù Cristo Figlio di Dio, non semplicemente con l’intelletto, intendo, e con le labbra soltanto (perché questo è evidente in generale a tutti quelli che scelgono di vivere piamente ed è facile per chiunque): ma, dopo aver rivolto tutto intero l’intelletto verso l’uomo interiore – cosa mirabile – così all’interno, nella profondità stessa del cuore, invocare il santissimo nome del Signore e ricercare la sua misericordia, facendo attenzione solo e soltanto alle nude parole della preghiera, senza accogliere insomma null’altro né di interiore né di esteriore, per custodire il pensiero perfettamente libero da immagini e colori.

I punti di partenza di questa attività e, come direbbe qualcuno, la materia, li abbiamo avuti dallo stesso insegnamento del Signore che ora dice: Il regno di Dio è dentro di voi, ora: Ipocrita, purifica prima l’interno della coppa e del piatto e allora sarà puro anche l’esterno, cose queste che non sono da intendersi secondo i sensi, ma riferite al nostro uomo interiore. E anche l’Apostolo così scrive agli Efesini: Per questo piego le ginocchia davanti al Padre del Signore nostro Gesù Cristo… affinché dia a voi… di essere rafforzati con potenza mediante il suo Spirito nell’uomo interiore, perché il Cristo abiti mediante lo Spirito nei vostri cuori.

Che potrebbe esservi di più chiaro di questa testimonianza? E altrove dice: Cantando e salmeggiando nel vostro cuore al Signore. Senti? Dice: «nel cuore». Ma questo non è forse sostenuto anche dal Corifeo degli apostoli, quando dice: Finché non splenda il giorno e la stella del mattino non spunti nei vostri cuori?

Questo lo Spirito santo ce lo insegna come cosa necessaria per ogni fedele anche in innumerevoli altre pagine del Nuovo Testamento, come possono osservare quelli che su di esso si curvano con grande attenzione.

Da una tale attività – spirituale e sapiente – unita alla pratica, a tutti accessibile, dei comandamenti e delle altre virtù morali, mediante il calore che proviene al cuore dalla invocazione del Nome santissimo e la sua operazione spirituale, le passioni vengono divorate: il nostro Dio – infatti – è un fuoco divorante la perversità. L’intelletto e il cuore a poco a poco si purificano e si unificano in se stessi. E una volta che essi si sono purificati e unificati in se stessi, ne viene che i comandamenti salvifici vengono attuati con più facilità, i frutti dello Spirito spuntano nell’anima e tutta la somma dei beni viene copiosamente elargita. Infine, per «dirlo in breve, ci è in tal modo reso possibile ritornare in poco tempo a quella perfetta grazia dello Spirito che è stata donata sin dal principio nel battesimo, grazia che è in noi, confusa tra le passioni come favilla tra la cenere: ma una volta che essa viene in tal modo resa luminosamente splendente, ci è dato di vedere e di essere intelligibilmente illuminati, di essere conseguentemente perfezionati e successivamente deificati.

I Padri, nella maggior parte, fanno menzione di questa operazione della grazia solo sporadicamente nei loro scritti, come rivolgessero il loro discorso a chi già sa. Alcuni, prevedendo probabilmente in anticipo l’ignoranza, e insieme la negligenza della nostra generazione nei confronti di tale salutare esercizio, non hanno esitato a trasmettere a noi loro figli, come una eredità paterna, anche il modo pratico di questo esercizio, spiegandolo in forma particolareggiata mediante qualche metodo naturale. Alcuni con molti nomi lo magnificano e, chiamandolo principio di ogni altra attività gradita a Dio, somma dei beni, schiettissimo contrassegno di penitenza, pratica intelligibile che costituisce l’accesso alla vera contemplazione, spingono tutti al profitto che viene da quest’opera.

Ma qui comincio a gemere, e il dolore mi toglie la parola. Infatti questi libri che trattano la scienza di questa attività realmente atta a purificare, a illuminare e a perfezionare, come dice l’Areopagita, e non solo, ma anche molti altri che, trattando della vigilanza e della sobrietà, fanno udire a molti i temi della sobrietà, tutti insieme questi mezzi necessari, questi strumenti che tendono allo stesso proposito e all’unico scopo della deificazione dell’uomo – ecco che tutti questi libri, per l’antichità, la rarità e, lasciami dire, per non essere mai stati dati alle stampe, sono pressoché scomparsi; e se mai alcuni sono rimasti, essendo rosi dalle tarme e tutti rovinati, è quasi la stessa cosa che se non esistessero.

Aggiungerò che la maggior parte dei nostri vive in uno stato di negligenza e si agita per molte cose, cioè per le virtù del corpo o le virtù pratiche o, per parlare con maggior verità, per quelli che sono solo gli strumenti delle virtù, in cui essi consumano tutta la vita, ma dell’unica cosa necessaria, cioè della custodia dell’intelletto e della preghiera pura sono – non so come – accidiosi e altamente insipienti. C’è pericolo che questa breve e dolcissima attività venga meno del tutto e che in seguito a questo si oscuri e si spenga la grazia, e con essa venga pure a fallire la nostra unione con Dio e la sua operazione deificante. E questo era ciò che costituiva, come si è detto, sin dal principio, precedentemente a tutto, la volontà di Dio, nel suo beneplacito! Alla quale guardano, come a perfettissimo fine, sia la creazione che ci pone nell’essere, sia l’economia del Verbo di Dio a nostro riguardo, che ci pone nel ben-essere, nell’eterno ben-essere e, semplicemente, tutto quello che nell’Antico e nel Nuovo Testamento è stato divinamente compiuto.

Un tempo molti, anche di quelli che vivono nel mondo e gli stessi re e quelli che vivono nei palazzi reali e che sono ogni giorno tirati da miriadi di sollecitudini e cure di questa vita, avevano una sola ed unica opera: pregare continuamente nel cuore, come ne troviamo molti nelle storie! E ora invece, per negligenza e ignoranza, non solo presso quelli che vivono nel mondo, ma anche presso gli stessi monaci e quelli che fanno vita esicasta, ciò è rarissimo e – quale perdita, ahimè! – anche del tutto introvabile.

Mancando questo, per quanto ciascuno lotti secondo le sue possibilità e sopporti fatiche per la virtù, tuttavia non coglie alcun frutto. Perché senza l’incessante ricordo del Signore e senza quella purezza dell’intelletto e del cuore da ogni male che da esso nasce, è impossibile dar frutto. È detto infatti: Senza di me non potete far nulla, e ancora: Chi rimane in me, questi porta molto frutto.

Di qui deduco con certezza che non c’è altra causa per la quale tanto manchiamo di uomini chiari per santità in vita e dopo morte, e che sono così pochi quelli che si salvano in questo tempo, se non questa: che abbiamo trascurato quest’opera che conduce alla deificazione. Disse uno [dei santi Padri]: «Se l’intelletto non viene deificato, non è possibile per l’uomo non soltanto santificarsi, ma neppure salvarsi». E questo è terribile anche solo da udirsi, perché è la stessa cosa salvarsi ed essere deificati secondo le dichiarazioni di quelli che sono sapienti in Dio.

Inoltre, per di più, noi siamo privi di quei libri che guidano a questo. E senza questi, è impossibile giungere allo scopo.

Ma ecco: l’eccellente, buono e realmente amante di Cristo, Signor Giovanni Mavrogordatos, che non la cede a nessuno dei primi in fatto di liberalità, di amore per i poveri, di ospitalità e di tutto il coro delle virtù, eccolo sempre infiammato da zelo divinamente ispirato per il comune vantaggio! Proprio lui, ispirato dalla grazia di Cristo che vuole che tutti gli uomini siano salvati e deificati, muta il lamento in gioia, sciogliendo la difficoltà. Infatti ha messo a disposizione del bene comune questo strumento di deificazione e con tutta l’anima e – per così dire – con mani e piedi concorre e in ogni modo collabora per questa parte, a quello che è – come si è detto – l’eterno consiglio di Dio. Oh, quale gloria, quali grandezze! Ecco infatti che quei testi che nei tempi passati mai erano stati pubblicati, ecco che questi che giacevano in luoghi nascosti, nel buio, in qualche angolo, senza gloria, divorati dalle tarme, buttati e sparsi qua e là, ecco quei testi che ci guidano con scienza alla purezza del cuore, alla sobrietà dell’intelletto, al ravvivarsi della grazia che è in noi, aggiungi anche, alla deificazione, eccoli da lui raccolti in uno e dati alla grande e chiara luce dell’arte tipografica (bisognava, infatti, bisognava, che ciò che ci espone quanto riguarda la divina illuminazione, fosse fatto degno anche della luce della stampa!). E con questo egli libera quelli che sanno dalle fatiche del trascrivere e contemporaneamente risveglia anche in quelli che non sanno la brama di acquistare e direi anche di mettere in pratica.

Pertanto, o carissimo lettore, grazie all’ottimo Signor Giovanni, puoi d’ora in poi avere senza fatica e senza difficoltà il presente libro spirituale. Libro che è tesoro della sobrietà, guardia dell’intelletto, mistica scuola della preghiera spirituale. Libro che è un eletto modello di condotta pratica, guida sicura alla contemplazione, giardino dei Padri, catena d’oro delle virtù. Libro che è ripetizione frequente [del Nome] di Gesù, tromba che richiama la grazia e, per farla breve, proprio lo strumento stesso della deificazione, possesso mille volte più desiderabile di qualsiasi altro, da molti anni pensato e cercato ma non trovato. Per questo a te spetta il debito ineludibile – e dovuto per ogni motivo di giustizia! – di pregare Iddio con suppliche incessanti per il benefattore e i collaboratori, perché anch’essi pervengano alla stessa misura nella deificazione e, per essersi a questo scopo affaticati, per primi ne godano anche i frutti.

Ma, dopo le parole di questo discorso, qualcuno potrebbe forse interrompere affermando che non è lecito pubblicare certe cose che sono in questo libro alle orecchie di molti, in quanto cose inusitate: e ne potrebbe derivare un qualche pericolo.

A chi dicesse questo, rispondiamo dunque con poche parole. Neppure noi, caro amico, siamo venuti conformandoci ai nostri pensieri personali riguardo a questa impresa, ma piuttosto ci siamo serviti di esempi. Da un lato, del comando dato in modo generale a tutti i fedeli da parte della Scrittura, di pregare incessantemente e di aver sempre il Signore davanti agli occhi: ed è empio dire che i comandi dello Spirito siano soggetti a qualche proibizione o impossibilità, come dice il grande Basilio. Ci siamo basati sulla tradizione scritta dei Padri. Gregorio il Teologo consigliava a tutti quelli che dipendevano da lui, in generale, di rendere il ricordo di Dio più frequente del respiro. Il divino Crisostomo presenta tre discorsi interi sulla preghiera incessante e spirituale, e in innumerevoli punti degli altri suoi discorsi esorta tutti in generale a pregare continuamente. E quel mirabile Gregorio Sinaita, attraversando diverse città, insegnava la stessa attività salvifica. Ma infatti Dio stesso, mandando miracolosamente un angelo dall’alto, ratificò la medesima verità, chiudendo la bocca al monaco che contraddiceva, come si vede alla fine del presente libro.

Ma di che parole ho bisogno su questo argomento quando anche gli uomini che vivono nel mondo, che vivono nei palazzi reali, avendo – come si è detto – quale opera ininterrotta questo esercizio, a fatti confermano il discorso e bastano a chiudere la bocca ai contraddittori?

E se poi accade che taluni abbiano deviato, che c’è da stupirsi? Per presunzione, per lo più, costoro hanno subito questo, secondo Gregorio Sinaita. Io poi ritengo che il più delle volte la causa principale di simili deviazioni stia nel non aver seguito in tutto, con esattezza, l’insegnamento dei Padri intorno a questa attività. Essa è infatti santa e per suo mezzo dobbiamo essere liberati da ogni inganno: poiché anche il comandamento di Dio secondo la legge, quel comandamento che conduce alla vita, si è trovato – come dice Paolo – causa di morte per qualcuno! Eppure ciò non è avvenuto a motivo del comandamento. E come, infatti, se esso era santo, giusto e vero? È invece accaduto ciò a motivo della perversità di coloro che erano venduti sotto il peccato. E che, dunque? Bisogna accusare il divino precetto a motivo del peccato di alcuni? E per la deviazione di alcuni disprezzare quella attività salutare? In nessun modo, né per l’uno né per l’altra. Bisogna piuttosto por mano all’opera confidando in colui che ha detto: Io sono la via e la verità, con tutta umiltà e in una disposizione di afflizione spirituale. Se infatti uno si è liberato da ogni presunzione e ricerca di piacere agli uomini, anche se tutta la malvagia falange dei demoni irrompesse contro di lui, non arriverà neppure ad avvicinarsi, secondo l’insegnamento dei Padri.

Stando così le cose e poiché – come si è detto – il libro da ogni parte propone in tutte le maniere ciò che è perfetto, la cosa più opportuna resta ormai quella di prendere tra le mani quell’invito al banchetto della Sapienza, per chiamare tutti, con alto proclama, al convito di questo libro spirituale: quanti nelle cose di Dio non sono nemici del banchetto né, come quelli di cui si parla nei vangeli, prendono a pretesto campi, buoi, mogli! Venite, dunque, venite: mangiate il pane della sapienza che è in esso, questo pane sapienziale, e bevete il vino che spiritualmente allieta il cuore, vino che fa uscire da tutto ciò che è sensibile e insieme intelligibile, mediante la deificazione estatica. Inebriatevi di una ebbrezza veramente sobria! Venite, tutti quanti siete partecipi della vocazione ortodossa, monaci e laici insieme, voi che siete zelanti perché avete trovato il regno di Dio che è dentro di voi e il tesoro nascosto nel campo del cuore, che è il dolce Cristo Gesù! Venite, affinché una volta liberato il vostro intelletto dalla prigionia nelle cose di quaggiù e dal suo vagare, e purificato il cuore dalle passioni mediante l’incessante, tremenda invocazione del Signore nostro Gesù Cristo, siate unificati in voi stessi e, mediante questa unificazione interiore, a Dio, secondo l’invocazione che il Signore ha fatto al Padre dicendo: Affinché siano uno, come noi siamo uno. E così, uniti a lui e del tutto trasformati perché posseduti e tratti fuori di voi dall’amore divino, siate con ogni sovrabbondanza deificati, nel senso spirituale e con indubbia certezza e perveniate al primitivo scopo di Dio, glorificando il Padre, il Figlio e lo Spirito santo, una e tearchica Divinità.

A lui si addice ogni gloria, onore e adorazione per i secoli dei secoli. Amen.

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