MOSE’ L’ETIOPE
MOSE’ L’ETIOPE – Padre del deserto
La Storia Lausiaca
19, 1. Un uomo chiamato Mosè, di origine etiopica e di pelle nera, faceva da domestico a un funzionario. A causa di una grave tendenza al male e di molte ruberie il suo padrone lo scacciò: si diceva addirittura che si spingesse sino ad uccidere. Devo necessariamente esporre le opere della sua malvagità, per manifestare la santità della sua conversione. Si raccontava dunque che era a capo di una banda di ladroni; fra le sue imprese banditesche spicca questo episodio: serbava rancore verso un pastore che con i suoi cani l’aveva ostacolato in una azione. 2. Deciso ad ucciderlo, si mette a percorrere la zona in cui egli teneva lo stabbio delle pecore. Gli fu detto che si trovava al di là del Nilo; il fiume era in piena e si estendeva per quasi un miglio, ma Mosè, serrata fra i denti la daga e avvolta al capo la tunica, nuotando riuscì in tal modo a raggiungere l’altra riva. Or dunque, mentre costui attraversava a nuoto il fiume, il pastore trovò modo di sfuggirgli, seppellendosi nella sabbia. Uccise allora i quattro migliori arieti, li legò con una fune e riattraversò a nuoto. 3. Giunto in un piccolo cortile li scuoiò, e mangiate le carni migliori vendette le pelli in cambio di vino, e dopo avere bevuto un saite (come a dire ben diciotto sestieri italici) se ne andò lontano cinquanta miglia, là dove aveva la sua banda.
Questo grande peccatore tardivamente fu toccato dal pentimento in seguito a un qualche rovescio; si consacrò alla vita dell’eremo e così intensamente si accostò alla pratica della penitenza da indurre a riconoscere apertamente il Cristo persino colui che condivideva la sua colpa, quel demone che era stato complice dei suoi misfatti sin dalla giovinezza!. Per esempio, si racconta che dei ladri fecero irruzione una volta nella sua cella mentre era seduto, ignorando chi fosse. Erano quattro; 4. ed egli li legò tutti assieme e caricatili sulle spalle come un sacco di paglia li portò alla chiesa dei suoi confratelli dicendo: «Poiché non mi è consentito fare del male a nessuno, che cosa volete che si faccia di costoro?». Allora essi si confessarono colpevoli e, avendo saputo che si trattava di quel Mosè tanto famoso un tempo fra i ladroni, glorificarono Dio e rinunziarono anch’essi al mondo imitando il suo cambiamento. Questo fu il loro pensiero: «Se costui, così forte e valente nelle imprese ladresche, ha potuto sentire il timore di Dio, perché noi rimandiamo la salvezza?».
5. Questo Mosè fu assalito dai demoni che lo spingevano alla sua [antica] consuetudine di sfrenata lussuria; com’egli raccontava, fu tentato fino al punto da venir quasi sviato dal suo proposito. Perciò raggiunse il grande Isidoro, l’abitatore della Scete, e gli raccontò la guerra che conduceva. Isidoro gli disse: «Non addolorarti: è la tua iniziazione, e per questo ti hanno assalito con più violenza cercando di sfruttare la tua antica abitudine. 6. Come il cane di una macelleria non se ne allontana a causa dell’abitudine, ma se il negozio viene chiuso, e nessuno gli dà nulla, non si avvicina più, così sarà per te: se saprai resistere, il demonio scoraggiato dovrà allontanarsi da te». Dunque egli ritornò indietro e da quel momento si dedicò più intensamente all’ascesi, astenendosi specialmente dai cibi: non mangiava nulla, tranne pane secco nella misura di dodici once, e ciò mentre realizzava una grande quantità di lavoro e portava a compimento cinquanta preghiere. Ebbene, pur avendo macerato il suo miserabile corpo, continuava a bruciare, e a essere perseguitato da cattivi sogni. 7. Consultò allora un altro santo e gli chiese: «Che cosa devo fare? I sogni della mia anima mi ottenebrano la mente, seguendo il suo abituale istinto di lussuria». E quegli rispose: «Tu non hai liberato la tua mente dal fantasticare su questi temi: ecco perché sei assoggettato a questo tormento. [Rifugiati nella veglia, prega rimanendo digiuno e presto ne sarai liberato]». Udita anche questa esortazione si ritirò, e nella sua cella si ripromise di non dormire per tutta la notte e di non piegare il ginocchio. 8. Rimasto sei anni nella cella, tutte le notti stava in piedi in mezzo alla cella e pregava, senza chiudere gli occhi; ma non riuscì ad averla vinta. Allora s’impose un’altra disciplina: usciva di notte e se ne andava nelle celle dei vecchi e degli asceti più progrediti, e prendendo di nascosto le loro brocche le riempiva d’acqua. Infatti, essi hanno l’acqua lontana, chi due miglia, chi cinque migliaia, chi mezzo miglio. 9. Or dunque una notte il demonio lo spiò e, perduta la pazienza, lo colpì alle reni con un bastone mentre si chinava sul pozzo, e lo lasciò come morto, inacapace di avvertire che cosa avesse subito e da parte di chi. Il giorno seguente, un tale venuto ad attingere acqua lo trovò a giacere lì, e ne diede notizia a Isidoro, il presbitero della Scete. Questi lo prese e lo portò nella chiesa; per un anno stette male, e a stento il suo corpo e la sua anima ripresero forza. 10. Il grande Isidoro gli disse dunque: «Cessa di contendere con i demoni, Mosè, e non insultarli; c’è un limite anche per il coraggio che si esprime nell’ascesi».
Ed egli rispose: «Non potrò cessare finché non cesseranno le visioni prodotte dai demoni». E l’altro disse: «In nome di Gesù Cristo, i tuoi sogni sono cessati; prendi dunque con fiducia la comunione: sei stato oppresso in questo modo per il tuo bene, perché non ti vantassi di aver vinto una passione.» 11. Se ne ritornò quindi nella cella. Interrogato di nuovo da Isidoro dopo circa due mesi, disse di non avere più provato nessuna tentazione. Egli fu giudicato degno di ricevere il carisma contro i demoni, al punto che temeva il demonio meno di quanto noi temiamo le mosche. Questa fu la vita di Mosè l’Etiope: anch’egli annoverato fra i padri, come uno dei grandi. Morì dunque a settantacinque anni nella Scete, dopo essere divenuto presbitero; lasciò anche settanta discepoli.
Apoftegmata
ἀποφθέγματα τῶν ἁγίων γερόντων
1. Un giorno il padre Mosè fu fortemente tentato di fornicazione e, poiché non riusciva più a resistere in cella, andò a manifestarlo al padre Isidoro, e l’anziano [ 36 ] gli consigliò di ritornare nella sua cella. Ma egli non accettò e diceva: «Non ci riesco, padre». Questi allora lo prese con sé, lo condusse sul tetto e gli disse: «Guarda verso occidente». Guardò, e vide una moltitudine innumerevole di demoni, che si agitavano e rumoreggiavano in assetto di guerra. «Guarda anche a oriente – gli disse poi il padre Isidoro –, questi sono gli inviati di Dio in aiuto dei santi. A occidente ci sono coloro che ci fanno guerra; ma quelli che sono con noi sono più numerosi» [ 37 ]. Così il padre Mosè, ringraziando Dio, prese coraggio, e ritornò nella sua cella (281bc; PJ XVIII, 12).
2. Un giorno peccò un fratello a Scete; e i padri, radunatisi, mandarono a chiamare il padre Mosè. Ma, poiché egli non voleva venire, il presbitero gli mandò a dire: «Vieni, la gente ti aspetta!». Egli allora si mosse e venne, portando sulle spalle una cesta forata piena di sabbia. Gli andarono incontro dei fratelli e gli chiesero: «Padre, cos’è mai questo?». Disse loro l’anziano: «Sono i miei peccati che scorrono via dietro di me senza che io li veda. E oggi sono venuto qui, per giudicare i peccati degli altri». A queste parole non dissero nulla al fratello, e gli perdonarono (281d-284a; PJ IX, 4).
3. Una volta in cui si teneva un raduno a Scete, i padri disprezzarono il padre Mosè, per metterlo alla prova. Dissero: «Perché anche questo etiope s’intromette in mezzo a noi?». A queste parole egli rimase in silenzio. Dopo che se ne furono andati, qualcuno gli chiese: «Padre, non ti sei turbato?». «Sì – dice loro – mi sono turbato, ma non ho detto nulla [ 38 ]» (PJ XVI, 7).
4. Del padre Mosè, raccontavano che, quando divenne chierico e gli imposero l’efod [ 39 ], l’arcivescovo gli disse: «Ecco, padre Mosè, sei diventato tutto bianco». Ed egli: «L’esterno forse, signor papa, ma l’interno?». Per metterlo alla prova, l’arcivescovo disse ai chierici: «Quando il padre Mosè entra nel santuario, cacciatelo e quindi seguitelo per udire ciò che dice». L’anziano entrò nel santuario, ed essi lo insultarono e lo cacciarono dicendo: «Va’ fuori, etiope!». Egli uscì dicendo a se stesso: «Ben ti sta, o moro dalla pelle color di terra! Dato che non sei un uomo, perché vuoi andare in mezzo agli uomini?» (284ab; PJ XV, 29).
5. Un giorno fu dato ordine ai monaci di Scete di digiunare per quella settimana. E accadde che dall’Egitto [ 40 ] venissero dei fratelli in visita al padre Mosè, ed egli fece per loro un po’ di brodo. Vedendo il fumo, i vicini dissero ai chierici: «Ecco, il padre Mosè ha infranto il precetto e si è fatto un brodo». Essi dissero: «Ne parleremo con lui quando verrà». Quando giunse il sabato, i chierici, vedendo il nobile atteggiamento del padre Mosè, gli dissero di fronte a tutti: «Padre Mosè, hai infranto il precetto degli uomini, ma hai custodito quello di Dio» (284bc; PJ XIII, 4).
6. Un fratello si recò a Scete dal padre Mosè per chiedergli una parola. L’anziano gli disse: «Va’, rimani nella tua cella, e la tua cella ti insegnerà ogni cosa» [ 41 ] (PJ II, 9).
7. Il padre Mosè disse: «Un uomo che fugge agli uomini assomiglia a una vite matura; ma quello che rimane in mezzo agli uomini è come uva acerba» (284c-285a).
8. Il magistrato sentì parlare del padre Mosè e andò a Scete per vederlo; ma alcuni avvisarono l’anziano, ed egli fuggì verso la palude. Quelli lo incontrarono per strada e gli chiesero: «Dicci, anziano: dov’è la cella del padre Mosè?». Egli chiese loro: «Cosa volete da lui? È uno stolto!». Quando giunse alla chiesa, il magistrato disse ai chierici: «Poiché ho sentito parlare molto del padre Mosè, sono venuto per vederlo [ 42 ]; ma abbiamo incontrato ora un anziano in cammino verso l’Egitto, e gli abbiamo chiesto: – Dov’è la cella del padre Mosè?, e ci ha detto: – Che volete da lui? È uno stolto! [ 43 ]». A queste parole i chierici si rattristarono e chiesero: «Com’era l’anziano che ha parlato in tal modo contro quel santo?». Risposero: «Era un anziano vestito con vecchi indumenti, alto e scuro di pelle». Ed essi: «Ma questi è il padre Mosè! Vi ha risposto così perché non voleva incontrarsi con voi!». Il magistrato se ne andò molto edificato (285ab; PJ VIII, 10).
9. A Scete il padre Mosè soleva dire: «Se custodiamo i precetti dei nostri padri, vi garantisco davanti a Dio che i barbari non verranno qui; ma se non li custodiamo, questo luogo sarà devastato» [ 44 ] (PJ XVIII, 13).
10. Il padre Mosè disse un giorno ai fratelli, che erano seduti attorno a lui: «Ecco, oggi verranno i barbari a Scete. Alzatevi e fuggite!». Gli dicono: «Ma tu non fuggi, padre?». Dice loro: «Aspetto da tanti anni questo giorno perché si adempia la parola di Cristo Signore che ha detto: Tutti quelli che prenderanno la spada, periranno di spada [ 45 ]». Essi dissero: «Nemmeno noi fuggiremo, ma moriremo con te!». Ed egli: «Questo non mi riguarda; consideri ognuno da sé come comportarsi». Erano sette fratelli; e disse loro: «Ecco, i barbari sono vicini alla porta». Entrarono e li uccisero. Uno di essi fuggì spaventato dietro a un mucchio di corde, e vide sette corone scendere a incoronarli (285bc; PJ XVIII, 14).
11. Un fratello interrogò il padre Mosè: «Vedo davanti a me ciò che devo compiere, ma non ci riesco». Gli disse: «Se non diventi morto come coloro che sono sepolti [ 46 ], non puoi venirne a capo».
12. Il padre Poemen raccontò di un fratello che chiese al padre Mosè in che modo si diviene morti al prossimo. L’anziano gli disse: «Se l’uomo non si pone nel cuore di essere già da tre giorni [ 47 ] nella tomba, non giunge a questo stato» (285d; PJ X, 63).
13. A Scete dicevano che un giorno il padre Mosè, andando a Petra, si stancò molto lungo la strada. E disse fra sé: «Come potrò qui raccogliere l’acqua per me?». E venne a lui una voce che disse [ 48 ]: «Entra e non preoccuparti». Entrò allora e incontrò alcuni padri. Ma aveva soltanto una piccola brocca d’acqua. Preparò un po’ di lenticchie e così la consumò tutta. L’anziano, angustiato, entrava e usciva [ 49 ] da quella cella pregando Dio. Ed ecco che una nube, carica di pioggia, venne su Petra e riempì tutti i suoi otri. Chiedono quindi all’anziano: «Perché entravi e uscivi?». Ed egli dice loro: «Ho intentato causa a Dio con queste parole: – Ecco, tu mi hai portato qui e io non ho acqua da dar da bere ai tuoi servi. Per questo entravo e uscivo, pregando Dio finché egli ce l’ha mandata» (285d-288a).
Sette capitoli che il padre Mosè inviò al padre Poemen [ 50 ]
Colui che li metterà in pratica sfuggirà a ogni castigo e vivrà nella pace, sia che viva nel deserto sia in mezzo a dei fratelli.
1 (14). Bisogna che l’uomo sia morto al suo prossimo, per non giudicarlo in nulla (288b).
2 (15). Prima di uscire dal corpo, l’uomo deve rendersi morto a ogni azione malvagia, così da non fare male a nessuno.
3 (16). Se l’uomo non conserva nel cuore il pensiero di essere peccatore, Dio non lo esaudisce. Disse il fratello: «Che cosa significa avere nel cuore il pensiero di essere peccatore?». Dice l’anziano: «Significa che chi porta il peso dei propri peccati non guarda quelli del prossimo».
4 (17). Se l’azione non concorda con la preghiera, l’uomo si affatica invano [ 51 ]. Disse il fratello: «Che cosa significa l’accordo dell’azione con la preghiera?». Dice l’anziano: «Significa non commettere più quei peccati per i quali preghiamo [ 52 ]. Infatti, quando l’uomo ha rinunciato alle proprie volontà, Dio si riconcilia con lui e accoglie la sua preghiera». (18) E il fratello chiese: «Che cosa aiuta l’uomo in ogni sua fatica?». Gli dice l’anziano: «È Dio che aiuta; sta scritto infatti: Dio è nostro rifugio e nostra forza, aiuto nelle tribolazioni che sopravvengono con violenza [ 53 ]» (288bc).
5 (18). Disse il fratello: «A cosa servono i digiuni e le veglie dell’uomo?». Dice a lui l’anziano: «Servono a umiliare l’anima. Sta scritto infatti: Guarda la mia umiliazione e la mia fatica, e perdona tutte le mie colpe [ 54 ]. Se l’anima produce questi frutti, per essi il Signore si impietosisce su di lei».
6 (18). «Che cosa bisogna fare – chiese il fratello – al sopraggiungere di ogni tentazione e di ogni pensiero suggerito dal nemico?». Gli dice l’anziano: «Bisogna piangere di fronte alla bontà di Dio perché ci aiuti; e troveremo presto la quiete, se la nostra invocazione sarà compiuta con conoscenza [ 55 ]. Sta scritto infatti: Il Signore è il mio aiuto e non temerò quel che può farmi l’uomo [ 56 ]».
7 (18). Il fratello chiese: «Se un uomo colpisce il suo servo per una colpa da lui commessa, cosa deve dire il servo?». L’anziano rispose: «Se è un servo buono, dirà: – Abbi pietà, ho peccato». «Non dirà nient’altro?». Dice l’anziano: «No. Dal momento in cui prende su di sé il rimprovero e dice: – Ho peccato, il suo padrone ha subito pietà di lui. Conclusione di tutto questo è: non giudicare il prossimo. Infatti, quando la mano del Signore uccise ogni primogenito in terra d’Egitto, non rimase casa in cui non vi fosse un morto» [ 57 ]. Dice a lui il fratello: «Che cosa significa questo?». «Significa – dice l’anziano – che, se prestiamo attenzione a guardare i nostri peccati, non vediamo quelli del prossimo. Sarebbe follia se un uomo che ha in casa il proprio morto, lo lasciasse, per andare a piangere quello del prossimo. Morire al prossimo significa che tu porti i tuoi peccati e non ti preoccupi di nessuno, se questo è buono, o quest’altro cattivo. Non fare del male a nessuno, e non pensare contro alcuno nulla di male nel tuo cuore. Non disprezzare chi commette il male, non accondiscendere a chi fa del male al suo prossimo [ 58 ] e non gioire con chi fa del male al suo prossimo. Non dire male di nessuno; di’ invece: – Il Signore conosce ogni uomo [ 59 ]. Non essere complice di chi fa maldicenza, non rallegrarti di ciò che egli dice, ma non odiare chi parla male del prossimo [ 60 ]. Questo è non giudicare. Non avere ostilità verso nessuno, non conservare inimicizia nel tuo cuore e non odiare chi nutre inimicizia contro il suo prossimo. La pace è questo. In tutto ciò consolati con il pensiero: la fatica dura breve tempo e il riposo per sempre, grazie al Verbo di Dio. Amen» (288c-289c).