1 Μακάριος ἀνήρ, ὃς οὐκ ἐπορεύθη ἐν βουλῇ ἀσεβῶν καὶ ἐν ὁδῷ ἁμαρτωλῶν οὐκ ἔστη καὶ ἐπὶ καθέδραν λοιμῶν οὐκ ἐκάθισεν, 2 ἀλλ᾽ ἢ ἐν τῷ νόμῳ κυρίου τὸ θέλημα αὐτοῦ, καὶ ἐν τῷ νόμῳ αὐτοῦ μελετήσει ἡμέρας καὶ νυκτός. 3 καὶ ἔσται ὡς τὸ ξύλον τὸ πεφυτευμένον παρὰ τὰς διεξόδους τῶν ὑδάτων, ὃ τὸν καρπὸν αὐτοῦ δώσει ἐν καιρῷ αὐτοῦ καὶ τὸ φύλλον αὐτοῦ οὐκ ἀπορρυήσεται· καὶ πάντα, ὅσα ἂν ποιῇ, κατευοδωθήσεται. 4 οὐχ οὕτως οἱ ἀσεβεῖς, οὐχ οὕτως, ἀλλ᾽ ἢ ὡς ὁ χνοῦς, ὃν ἐκριπτεῖ ὁ ἄνεμος ἀπὸ προσώπου τῆς γῆς. 5 διὰ τοῦτο οὐκ ἀναστήσονται1 ἀσεβεῖς ἐν κρίσει οὐδὲ ἁμαρτωλοὶ ἐν βουλῇ δικαίων· 6 ὅτι γινώσκει κύριος ὁδὸν δικαίων, καὶ ὁδὸς ἀσεβῶν ἀπολεῖται. | 1 Beato l’uomo che non partecipa all’assemblea degli empi, e non permane nella via dei peccatori e non siede sulla cattedra pestilenziale, 2 ma la sua volontà è nella legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte. 3 Sarà come albero piantato presso corsi d’acqua, che al tempo giusto dona il suo frutto e le sue foglie non cadranno e tutto quello che fa prospererà. 4 Non così gli empi, non così, ma come pula che è spazzata dal vento dalla faccia della terra; 5 perciò non (ri)sorgeranno gli empi nel giudizio né i peccatori nell’assemblea dei giusti, 6 poiché il Signore conosce il cammino dei giusti, mentre la via degli empi perirà. |
NOTE:
1 Questo termine ἀναστήσονται – da ἀνίστημι – è usato nei vangeli e dai primi cristiani per descrivere la risurrezione di Gesù. Il versetto 4 ed il versetto 5 potrebbero essere stati letti come profezia del giudizio, ovvero, che gli empi sono rimossi dalla faccia della terra. Nel versetto 1.4b la LXX dice degli empi, ἀλλ᾽ ἢ ὡς ὁ χνοῦς, ὃν ἐκριπτεῖ ὁ ἄνεμος ἀπὸ προσώπου τῆς γῆς. La LXX aggiunge una frase che non troviamo nel Testo Masoretico – TM -, “…dalla faccia della terra (ἀπὸ προσώπου τῆς γῆς).” Quindi gli empi sono come la pula spazzata via dal vento (come dice anche il TM) dalla faccia della terra (che va oltre il TM). Ricordiamo che gli apostoli e le prime comunità cristiane leggevano e citavano la traduzione greca della Bibbia detta dei Settanta. Il testo della LXX è ancora quello di riferimento delle chiese ortodosse mentre il protestantesimo ed il cattolicesimo considerarono più fedele all’originale il testo Masoretico adottato dalle comunità ebraiche.
“L’espressione non risorgeranno gli empi nel giudizio, vuol dire che gli empi risorgeranno per andare incontro piuttosto che al loro giudizio alla loro condanna, in quanto non avendo Dio bisogno di istruire un lungo processo, gli empi avranno la pena che si meritano al momento stesso della risurrezione”. Cirillo di Gerusalemme, Le catechesi 18, 14
TESTI PATRISTICI
Basilio di Cesarea, Omelie sui Salmi, l, 5-6
“Quello che le fondamenta rappresentano per una casa, la catena per una nave, e il cuore per un corpo vivente, questo breve proemio rappresenta per l’intero edificio dei Salmi. Infatti il salmista aveva l’intenzione di esortare a sopportare le angosce, grondanti di sudore e di fatica. Con questo proemio ha mostrato a coloro che lottano per la pietà il fine beato, affinché nella speranza dei beni futuri noi sopportiamo i dolori della vita senza paura”.
“È distintamente e primieramente beato ciò che è veramente buono, e questo è Dio. Così anche: Paolo, quando vuole menzionare Cristo, dice: Nel nome del Van gelo del Dio beato, il Salvatore nostro Gesù Cristo (cf. 1 Tm 11 e Tt 2, 13). È allora veramente beato ciò che è bene di per sé, verso cui tutti si rivolge, a cui tutto tende, di una natura immutabile; colui che ha una dignità sovrana, una vita impassibile, un’esistenza senza dolore, in cui non esiste alterazione, cui non si addice alcun mutamento, una fonte sgorgante, una carità eccelsa, un tesoro inesauribile. Purtroppo uomini ignoranti, legati al fattore esteriore delle cose, non conoscendo la natura del vero bene, spesso stimano tanto cose di nessun valore, con riferimento per esempio alla ricchezza, alla salute, alla vita esteriore. Nessuno di questi però è un vero beato per propria natura; non solo perché è in grado di mutarsi facilmente nel suo opposto, ma perché soprattutto non può rendere buono chi lo possiede. Chi infatti può essere reso giusto dalla ricchezza? Chi saggio dalla salute? Accade piuttosto il contrario: ciascuno di questi beni può divenire, nelle mani di chi ne fa un cattivò uso, uno strumento di peccato. Beato allora colui che possiede dei beni veramente degni di stima, che gode di beni che non possono essergli portati via”.
Gregorio di Nissa, Sui titoli dei Salmi 1, 1
La felicità è il fine della vita virtuosa. Infatti tutto ciò che si compie con sollecitudine ha un preciso rapporto con un oggetto determinato; e come l’arte medica mira alla salute e il fine dell’agricoltura è di procacciare i mezzi di sussistenza, così anche l’acquisizione della virtù mira allo scopo per cui chi vive coerentemente ad essa sia felice. Questa è la somma e il fine di tutto ciò che si concepisce secondo il bene. La natura divina potrebbe essere detta a buon diritto incarnare in senso vero e proprio quello che è insito e pensato in questo elevato concetto. In questo modo il grande Paolo definisce Dio, ponendo la beatitudine al primo posto fra tutti gli attributi teologici, esprimendosi con queste parole in una delle sue lettere: Il beato e solo potente, il re dei re e signore dei signori: che unico possiede l’immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessun uomo vide né può vedere, a cui vanno eterno onore e potenza (1 Tm 6, 15-16). Tutti questi alti concetti riguardo al divino; almeno secondo il mio ragionamento, sono per così dire la definizione della felicità. Infatti, se ad uno fosse chiesta la natura della beatitudine, non darebbe risposta empia se, seguendo la voce di Paolo, dicesse che può essere definita felicità in senso proprio e primario quella natura che è al di sopra del tutto, mentre la felicità propria dell’uomo è quella che in certa misura si genera e si definisce per partecipazione a ciò che è realmente essere, che è appunto la natura del partecipato. L’assimilazione a Dio è così la definizione della felicità umana.
Clemente Alessandrino, Gli stromati, 2, 15,68
Il consiglio dei malvagi indicherebbe i teatri e i tribunali, o meglio, l’ossequio alle potenze rovinose del male e l’associazione alle loro opere.
Agostino di Ippona, Esposizioni sui Salmi 1,1
Beato l’uomo che non va secondo il consiglio degli empi: queste parole vanno riferite a Nostro Signore Gesù Cristo, cioè all’Uomo del Signore. Beato l’uomo che non va secondo il consiglio degli empi, come l’uomo terrestre il quale acconsentì alla donna ingannata dal serpente, trasgredendo in tal modo ai precetti divini. E nella via dei peccatori non si ferma: poiché se Cristo è realmente passato per la via dei peccatori, nascendo come i peccatoti, non vi si è fermato dato che non lo hanno trattenuto le lusinghe del mondo. È sulla cattedra di pestilenza non si siede: ossia non ha ambito per superbia un regno terreno. Giustamente la superbia è definita cattedra di pestilenza, in quanto non vi è quasi nessuno alieno dalla passione del potere e che non aspiri a una gloria umana: e la pestilenza non è dal canto suo che una malattia largamente diffusa e che coinvolge tutti, o quasi tutti. Tuttavia, in senso più pertinente, si può intendere con cattedra della pestilenza anche una dottrina perniciosa, il cui insegnamento si diffonde come un tumore maligno. È poi degna di considerazione la successione delle parole: va; si ferma, si siede. L’uomo se ne è andato quando si è allontanato da Dio; si è fermato quando si è compiaciuto nel peccato; si è seduto quando, appesantito dalla sua superbia, non ha più saputo tornare indietro, se non fosse stato liberato da colui che noti è andato secondo il consiglio degli empi, non si è fermato sulla via dei peccatori, non si è seduto sulla cattedra della pestilenza.
Cesario di Arles, Sermoni 75, 3
Quando cantiamo Benedetto colui che medita sulla legge del Signore giorno e notte, rifiutiamo ogni altra occupazione inutile, i giochi, le conversazioni oziose ed empie, come il veleno del diavolo. Frequentemente leggiamo e rileggiamo le divine lezioni, oppure, se non possiamo leggere da soli, spesso e attentamente ascoltiamo gli altri leggerle.
Giovanni Damasceno, La fede ortodossa 4, 17
L’anima irrigata dalla divina scrittura s’impingua e dà un frutto maturo, cioè la retta fede, ed è ornata da foglie sempreverdi, e cioè le azioni gradite a Dio: infatti dalle Sante Scritture siamo ammaestrati all’azione virtuosa e alla pura contemplazione.
Girolamo, Omelie sui Salmi 1, 3
Quest’ albero produce due cose: frutti e foglie. Il frutto è il significato che si nasconde nelle Scritture; le foglie le parole pure e semplici. Il frutto è nel significato, le foglie nelle parole. Chiunque perciò legga le Sacre Scritture, leggendo al modo dei Giudei, si ferma alle foglie; se invece scava nel suo significato profondo, ne raccoglie i frutti.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulle statue 8, 4
Come la pula è esposta ai soffi del vento e facilmente può essere raccolta e spazzata via, così è anche il peccatore trascinato dalla tentazione. Infatti, se un peccatore è in guerra con se stesso, quale speranza di salvezza egli possiede, visto che la sua stessa coscienza diviene il nemico più pericoloso?
Agostino, Esposizioni sui Salmi 1, 6
Perché conosce il Signore la via dei giusti. Così come si dice che la medicina conosce la salute, ma non le malattie, e tuttavia anche le malattie si conoscono per mezzo dell’arte medica, allo stesso modo si può dire che il Signore conosce la via dei giusti e non quella degli empi. Non che il Signore ignori cosa alcuna anche se dice ai peccatori: Non vi conosco (Mt 7, 23); e vengono poi le parole ma la via degli empi va in-malora, ed è come se si dicesse: il Signore non conosce la via degli empi; ma più efficacemente viene affermato che essere ignorati dal Signore è perire, ed essere conosciuti da Dio è permanere, poiché alla conoscenza di Dio attiene l’essere, così come all’ignoranza il non essere. Dice infatti il ·Signore: Io sono Colui che è e Colui che è mi ha mandato (Es 3, 14).
Cirillo di Gerusalemme, Le catechesi 18, 14
“L’espressione non risorgeranno gli empi nel giudizio, vuol dire che gli empi risorgeranno per andare incontro piuttosto che al loro giudizio alla loro condanna, in quanto non avendo Dio bisogno di istruire un lungo processo, gli empi avranno la pena che si meritano al momento stesso della risurrezione”.