Convocato dall’imperatore Costantino nel 325 a Nicea. A questo Concilio Ecumenico parteciparono 318 padri. Erano invitati tutti i vescovi della cristianità, mentre l’Imperatore si è fatto carico delle spese, ma dall’Europa occidentale vennero soltanto 4 o 5 vescovi; lo stesso vescovo di Roma non partecipò personalmente, ma mandò 2 sacerdoti a rappresentarlo. La maggioranza venne dalle città Elleniche o ellenizzate. Fra questi si distinguevano il vecchio Alessandro, Vescovo di Alessandria, accompagnato dal suo giovane consigliere Atanasio. Costantino partecipò nelle discussioni, come dice Eusebio: “parlando greco perché non era estraneo a questa lingua”. I Vescovi si incontrarono nella metà di giugno del 325, ma la riunione ufficiale si tenne il 5 o 6 di luglio. L’incontro durò 20 giorni e risolse la questione del rapporto fra il Padre ed il Figlio usando il termine “omoousios” (consustanziale)
Sant’Atanasio il Grande, Il Concilio di Nicea
“Anche i giudei infatti, [come gli ariani ndr] confutati dalla verità e incapaci di guardarla in faccia, dicevano pretestuosamente: “Che segno fai, perché vediamo e crediamo in te? Che opera fai?” Eppure già erano stati fatti molti segni, al punto che essi stessi dicevano: Che cosa facciamo, poiché quest’uomo fa molti segni? In effetti, c’erano morti che risuscitavano, storpi che camminavano, ciechi che vedevano, lebbrosi che venivano purificati; inoltre, una volta l’acqua venne cambiata in vino e da cinque pani vennero sfamati cinquemila uomini. Tutti erano meravigliati e adoravano il Signore, riconoscendo che in lui si erano adempiute le profezie e che egli stesso era Dio, Figlio di Dio. Soltanto i farisei, anche se i segni apparivano più splendenti del sole, di nuovo mormoravano da ignoranti e dicevano: “Perché tu, che sei uomo, ti fai Dio?”. Insensati e veramente ciechi nella mente! Avrebbero invece dovuto dire: “Perché tu, che sei Dio, ti sei fatto uomo?”. Le opere infatti mostravano che egli era Dio, ed essi avrebbero dovuto adorare la bontà del Padre e ammirare la disposizione da lui attuata a causa nostra. […]
Come gente empia, che ama contestare e cerca di opporsi a Dio, quelli [gli ariani ndr] proferivano parole piene di empietà. I Vescovi invece, che si erano radunati in numero più o meno di trecento, con atteggiamento mite e benevolo chiedevano loro di dare ragione di quanto dicevano e [di fornire] dimostrazioni conformi alla retta fede. Ma poiché anche solo ad aprir bocca si condannavano e disputavano tra di loro, vedendo l’estremo imbarazzo della loro eresia, rimasero senza parola e con il loro silenzio confermavano la vergogna insita nella loro cattiva dottrina. I Vescovi allora, annullando le parole escogitate da quelli, esposero contro di essi la sana fede della Chiesa. Tutti, anche quelli della cerchia di Eusebio, sottoscrissero quelle parole, di cui ora questi si lamentano. Mi riferisco a “dalla sostanza” (ek tes ousias) e “consostanziale” (homoousios), con cui si esprime che il Figlio di Dio non è creatura od opera, né è una delle realtà divenute, ma che il Logos è generato dalla sostanza del Padre”.
Lettera del Vescovo di Alessandria, Alessandro, a tutti i Vescovi della Chiesa Cattolica
GLI ATTI CONCILIARI
Gli atti stessi del Concilio di Nicea dovrebbero naturalmente servire come base per il resoconto dei suoi negoziati e delle sue deliberazioni. Purtroppo di questi documenti ne rimangono solo tre parti: il Credo, i venti canoni e il decreto sinodale.
Le lettere di invito inviate dall’imperatore Costantino il Grande ai Vescovi, per esortarli a recarsi a Nicea, purtroppo non esistono più e dobbiamo accontentarci di ciò che dice Eusebio a questo proposito: “L’imperatore chiese, con lettere molto rispettose, ai vescovi di tutte le regioni di recarsi prontamente a Nicea”. Rufino dice che l’imperatore “invitò anche Ario”. Non si sa se gli inviti fossero estesi a vescovi stranieri (non appartenenti all’Impero romano). Eusebio dice che l’imperatore convocò un “Concilio Ecumenico” (org. σύνοδον οἰχουμενιχην).
Eusebio dice che al Concilio di Nicea c’erano più di duecentocinquanta Vescovi e aggiunge che la massa di Sacerdoti, Diaconi e Accoliti che li accompagnavano era quasi innumerevole. Alcuni documenti arabi successivi parlano di più di duemila Vescovi, ma è probabile che tra i Vescovi fossero sono stati confusi alcuni membri del clero inferiore che forse raggiungevano questa cifra. Sant’Atanasio, che fu testimone oculare e membro del concilio, più volte parla di circa trecento vescovi; nella sua lettera ad Afros dice formalmente trecentodiciotto.
Alcuni dettagli forniti da Rufino, non riguardanti questioni dogmatiche, si riferiscono personalmente a due Vescovi di rilievo che erano presenti al concilio. Il primo era Pafnuzio d’Egitto, che, dice, aveva perso l’occhio destro e gli erano stato mutilato il ginocchio sinistro durante la persecuzione dell’imperatore Massimino. Compì numerosi miracoli, scacciato gli spiriti maligni, guarito i malati con le sue preghiere, restituito la vista ai ciechi e il movimento ai paralitici. L’imperatore Costantino lo stimava così tanto che lo invitava spesso nel suo palazzo e baciava devotamente l’orbita dell’occhio perduto per Gesù Cristo. Il secondo era Spiridione, di Cipro, che da pastore divenne Vescovo, continuò a curare le greggi e divenne famoso per i suoi miracoli e le sue profezie. Una notte, quando dei ladri si introdussero nel suo ovile, vennero trattenuti da legami invisibili e solo al mattino seguente il vecchio pastore vide questi ladri miracolosamente imprigionati. Li liberò con le sue preghiere e diede loro in dono un ariete. Sebbene non istruito, sorprese tutti disputando nel Sinodo di Nicea con un assai noto filosofo ariano. Pressoché privo della sapienza umana, ma pieno del timore di Dio che è principio della vera sapienza, egli riuscì a spiegare la Tuttasanta Trinità con un semplice paragone umano: prese un mattone (o, secondo alcuni, una tegola) è spiegò che, come il mattone è un’unica essenza – pur essendo composto di acqua, terra e fuoco – allo stesso modo Dio è unico, pur nella distinzione delle Persone. Mentre egli diceva questo, la parte superiore del mattone prese fuoco, mentre dalla parte inferiore cominciò a gocciolare dell’acqua, finché il mattone non si consumò completamente, lasciando in mano al santo solo un po’ di terra rossa. A seguito di questo segno, il filosofo ariano si convertì all’Ortodossia.
“La convocazione, decisa autonomamente da Costantino senza concorsi esterni — tanto meno del vescovo di Roma, Silvestro —, lasciava trasparire quanto imperatore intendesse rifarsi alle norme procedurali che regolavano il senato romano. In relazione a ciò i vescovi potevano servirsi delle poste imperiali per l’organizzazione e le spese del loro viaggio, per molti altrimenti impossibile. Le sedute si sarebbero tenute nel palazzo imperiale di Nicea, e non — come usò più tardi — in una chiesa; quando il Concilio iniziò — probabilmente il 19 giugno mentre altre tradizioni dicono il 20 di maggio— invece della statua della Vittoria, fu intronizzata la Bibbia e, come al senato, l’Imperatore — pur essendo presente in tutta la sua magnificenza — non presiedette né ebbe diritto di voto”. (fonte: Decisioni dei Concili Ecumenici, UTET)
PROFESSIONE DI FEDE DEI 318 PADRI
Πιστεύοµεν εἰς ἕνα Θεὸν, Πατέρα παντοκράτορα, πάντων ὁρατῶν τε και ἀοράτων ποιητήν.
καὶ εἰς ἕνα Kύριον Ἰησοῦν Χριστόν, τὸν Υἱὸν τοῦ Θεοῦ, γεννηθέντα ἐκ τοῦ Πατρὸς µονογενῆ, τουτέστιν ἐκ τῆς οὐσίας τοῦ Πατρός. φῶς ἐκ φωτός, Θεὸν ἀληθινὸν ἐκ Θεοῦ ἀληθινοῦ, γεννηθέντα οὐ ποιηθέντα, ὁµοούσιον τῷ Πατρί, δι’ οὗ τὰ πάντα ἐγένετο. τὸν δι’ ἡµᾶς τοὺς ἀνθρώπους καὶ διὰ τὴν ἡµετέραν σωτηρίαν κατελθόντα καὶ σαρκωθέντα, ἐνανθρωπήσαντα. παθόντα καὶ ἀναστάντα τῇ τρίτῃ ἡµέρᾳ, ἀνελθόντα εἰς τοὺς οὐρανούς, ἐρχόµενον κρῖναι ζῶντας καὶ νεκρούς.
Καὶ εἰς τὸ Ἅγιον Πνεῦµα.
Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili ed invisibili.
Ed in un solo Signore, Gesù Cristo, Figlio di Dio, generato dal Padre, unigenito, cioè dalla sostanza del Padre. Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, consustanziale al Padre,per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose. Per noi uomini e per la nostra salvezza egli discese e si incarnò, facendosi uomo. Patì e risorse il terzo giorno, salì al cielo e verrà a giudicare i vivi ed i morti.
E nel Santo Spirito
CANONI
I. Di quelli che si mutilano o permettono questo da parte di altri su se stessi.
Se qualcuno, malato, ha subito dai medici un’operazione chirurgica o è stato castrato dai barbari, può far parte ancora del clero. Ma se qualcuno, pur essendo sano, si è castrato da sé, costui, appartenendo al clero, sia sospeso e in seguito nessuno che si trovi in tali condizioni sia promosso allo stato ecclesiastico. E’ evidente, che quello che è stato detto riguarda coloro che deliberatamente compiono una cosa simile e osano mutilare se stessi ma se qualcuno, fosse stato castrato dai barbari o dai propri padroni, ma fosse degno sotto ogni aspetto, i canoni lo ammettono nel clero.
II. A coloro che dopo il battesimo sono subito ammessi nel clero.
Poiché molte cose per necessità o sotto la pressione di qualcuno, sono state fatte contro le disposizioni ecclesiastiche, sicché degli uomini, venuti da poco alla fede dal paganesimo e istruiti in breve tempo, sono stati subito ammessi al battesimo e insieme sono stati promossi all’episcopato o al sacerdozio, è sembrato bene che in futuro non si verifichi nulla di simile: è necessario del tempo, infatti, a chi viene catechizzato ed una prova più lunga dopo il battesimo. E’ chiara infatti, la parola dell’apostolo: «non sia un neofita, perché non gli accada di montare in superbia e di cadere nella stessa condanna e nel laccio del diavolo» (1).
Se poi col passar del tempo si venisse a scoprire qualche peccato carnale commesso da costui e fosse accusato da due o tre testimoni, questi cesserà di far parte del clero. Chi poi osasse agire contro queste disposizioni e si ergesse contro questo grande Sinodo, costui metterebbe in pericolo la sua stessa dignità sacerdotale.
III. Delle donne che vivono nascostamente con i chierici.
Questo grande Sinodo proibisce assolutamente ai Vescovi, ai Sacerdoti, ai Diaconi e in genere a qualsiasi membro del clero di tenere delle donne di nascosto, a meno che non tratti della propria madre, di una sorella, di una zia o di persone che siano al di sopra di ogni sospetto.
IV. Da quanti debba essere consacrato un Vescovo.
Si abbia la massima cura che un Vescovo sia istituito da tutti i Vescovi della provincia. Ma se ciò fosse difficile o per sopravvenute e urgenti necessità o per la distanza, almeno tre, radunandosi nello stesso luogo – e non senza aver avuto prima per iscritto il consenso degli assenti – celebrino la consacrazione. La conferma di quanto è stato compiuto è riservata in ciascuna provincia al Metropolita.
V. Degli scomunicati: che non siano accolti da altri; e dell’obbligo di tenere i sinodi due volte all’anno.
Quanto agli scomunicati, sia ecclesiastici che laici, la sentenza dei Vescovi di ciascuna provincia abbia forza di legge e sia rispettata la norma secondo la quale chi è stato cacciato da alcuni non sia accolto da altri. E’ necessario tuttavia assicurarsi che questi non siano stati allontanati dalla comunità solo per grettezza d’animo o per rivalità del Vescovo o per altro sentimento di odio.
Perché poi questo punto abbia la dovuta considerazione, è sembrato bene che in ogni provincia, due volte all’anno si tengano dei sinodi, affinché tutti i Vescovi della stessa provincia riuniti al medesimo scopo discutano questi problemi e così sia chiaro a tutti i Vescovi che quelli che hanno mancato in modo evidente contro il proprio Vescovo sono stati opportunamente scomunicati, fino a che l’assemblea dei Vescovi non ritenga di mostrare verso costoro una più umana comprensione. I sinodi siano celebrati uno prima della Quaresima perché, superato ogni dissenso, possa esser offerto a Dio un dono purissimo; l’altro in autunno.
VI. Della precedenza di alcune sedi, dell’impossibilità di essere ordinato Vescovo senza il consenso del Metropolita.
In Egitto, nella Libia e nella Pentapoli siano mantenute le antiche consuetudini per cui il Vescovo di Alessandria abbia autorità su tutte queste province; anche al Vescovo di Roma infatti è riconosciuta una simile autorità. Ugualmente ad Antiochia e nelle altre province siano conservati alle Chiese gli antichi privilegi. Inoltre sia chiaro che, se qualcuno è fatto Vescovo senza il consenso del Metropolita, questo grande Sinodo stabilisce che costui non debba esser Vescovo. Qualora poi due o tre, per questioni loro personali, dissentano dal voto ben meditato e conforme alle norme ecclesiastiche degli altri, prevalga l’opinione della maggioranza.
VII. Del vescovo di Gerusalemme.
Poiché è invalsa la consuetudine e l’antica tradizione che il Vescovo di Gerusalemme riceva particolare onore, abbia quanto questo onore comporta, salva sempre la dignità propria della Metropoli.
VIII. Dei cosiddetti càtari.
Quanto a quelli che si definiscono càtari, cioè puri, qualora si accostino alla Chiesa cattolica e apostolica, questo santo e grande Sinodo stabilisce che, ricevuta l’imposizione delle mani, rimangano senz’altro nel clero. E’ necessario però, prima di ogni altra cosa, che essi dichiarino apertamente, per iscritto, di accettare e seguire gli insegnamenti della Chiesa Cattolica, che cioè essi comunicheranno con chi si è sposato per la seconda volta e con chi è venuto meno durante la persecuzione, per i quali sono stabiliti il tempo e le circostanze della penitenza, così da seguire in ogni cosa le decisioni della Chiesa cattolica e apostolica. Quando, sia nei villaggi che nelle città, non si trovino che ecclesiastici di questo gruppo essi rimangano nello stesso stato. Se però qualcuno di essi si avvicina alla Chiesa cattolica dove già vi è un Vescovo o un Presbitero, è chiaro che il Vescovo della Chiesa avrà dignità di Vescovo e colui che presso i càtari è chiamato Vescovo, avrà dignità di Presbitero, a meno che piaccia al Vescovo che quegli possa dividere con lui la stessa dignità. Se poi questa soluzione non fosse per lui soddisfacente, gli procurerà un posto o di Corepiscopo o di Presbitero, perché appaia che egli fa parte veramente del clero e che non vi sono due Vescovi nella stessa città.
IX. Di quelli che senza il debito esame sono Promossi al sacerdozio.
Se alcuni sono stati promossi Presbiteri senza il debito esame, o, se esaminati, hanno confessato dei falli, ma, contro le disposizioni dei canoni, hanno ricevuto l’imposizione delle mani, la legge ecclesiastica non li riconosce; la Chiesa cattolica infatti vuole uomini irreprensibili.
X. Di coloro che hanno rinnegato la propria fede durante la Persecuzione e poi sono stati ammessi fra il clero.
Se alcuni di quelli che hanno rinnegato la fede cristiana sono stati eletti Presbiteri o per ignoranza o per simulazione di quelli che li hanno scelti, questo non porta pregiudizio alla disciplina ecclesiastica: una volta scoperti, infatti, costoro saranno deposti.
XI. Di quelli che hanno rinnegato la Propria fede e sono finiti tra i laici.
Quanto a quelli che, senza necessità, senza confisca dei beni, senza pericolo o qualche cosa di simile – ciò che avvenne sotto la tirannide di Licinio – hanno tradito la loro fede, questo santo Sinodo dispone che, per quanto essi siano indegni di qualsiasi benevolenza, si usi tuttavia comprensione per essi. Quelli dunque tra i fedeli che fanno davvero penitenza, trascorrano tre anni tra gli audientes, sei anni tra i substrati (2), e per due anni preghino col popolo salvo che all’offertorio.
XII. Di coloro che, dopo aver lasciato il mondo, vi sono poi ritornati.
Quelli che chiamati dalla grazia, dopo un primo entusiasmo hanno deposto il cingolo militare, ma poi sono tornati, come i cani, sui loro passi (3), al punto da versare denaro e da ricercare con benefici la vita militare, facciano penitenza per dieci anni, dopo aver passato tre anni fra gli audientes (4). Ma, per questi penitenti, bisognerà guardare la loro volontà ed il modo di far penitenza. Quelli, infatti, che col timore, con le lacrime, con la pazienza, con le buone opere dimostrano con i fatti e non simulano la loro conversione, costoro, compiuto il tempo prescritto da passare fra gli audientes (5), potranno essere ammessi ragionevolmente a partecipare alle preghiere; dopo ciò, il vescovo potrà prendere nei loro riguardi qualche decisione anche più mite. Ma quelli che si comportano con indifferenza, e credono che per la loro espiazione sia sufficiente questa penitenza, devono senz’altro scontare tutto il tempo stabilito.
XIII. Di quelli che in punto di morte chiedono la comunione.
Con quelli che sono in fin di vita si osservi ancora l’antica norma per cui in caso di morte nessuno sia privato dell’ultimo, indispensabile viatico. Se poi avvenisse che quegli che era stato dichiarato spacciato – ed era stato ammesso alla comunione e fatto partecipe dell’offerta – guarisca, sia ammesso tra coloro che partecipano alla sola preghiera (fino a che sia trascorso il tempo stabilito da questo grande Sinodo Ecumenico). In genere, poi, il Vescovo, dopo inchiesta, ammetterà chiunque si trovi in punto di morte e chieda di partecipare all’eucarestia.
XIV. Dei catecumeni lapsi.
Questo santo e grande Sinodo stabilisce che i catecumeni lapsi per tre anni siano ammessi solo tra gli audientes (6), e che dopo questo tempo possano prender parte alla preghiera, con gli altri catecumeni.
XV. Del clero che si sposta di città in città.
Per i molti tumulti ed agitazioni che avvengono, è sembrato bene che sia assolutamente stroncata la consuetudine, che in qualche parte ha preso piede, contro le norme ecclesiastiche, in modo che né Vescovi né Presbiteri, né Diaconi si trasferiscano da una città all’altra. Che se qualcuno, dopo questa disposizione del santo e grande Sinodo, facesse qualche cosa di simile e seguisse l’antico costume, questo suo trasferimento sarà senz’altro considerato nullo ed egli dovrà ritornare alla Chiesa per cui fu eletto Vescovo o Presbitero o Diacono
XVI. Di coloro che non dimorano nelle chiese nelle quali furono eletti.
Quanti temerariamente, senza santo timore di Dio, né alcun rispetto per i sacri canoni si allontanano dalla propria Chiesa, siano essi Sacerdoti o Diaconi, o in qualsiasi modo ecclesiastici, non devono in nessun modo essere accolti in un’altra Chiesa; bisogna, invece, metterli nell’assoluta necessità di far ritorno alla propria comunità, altrimenti siano esclusi dalla comunione. Che se poi uno tentasse di nascosto portar via e ordinare nella sua Chiesa un uomo contro la volontà del Vescovo da cui si è allontanato, tale ordinazione sia considerata nulla.
XVII. Dei chierici che esercitano l’usura.
Poiché molti che sono soggetti ad una regola religiosa, trascinati da avarizia e da volgare desiderio di guadagno e dimenticata la divina Scrittura che dice: «Non ha dato il suo denaro ad interesse» (7), prestando, esigono un interesse, il santo e grande Sinodo ha creduto giusto che se qualcuno, dopo la presente disposizione darà ad usura o farà questo mestiere d’usuraio in qualsiasi altra maniera, o esigerà una volta e mezza tanto, o si darà, in breve, a qualche altro guadagno scandaloso, sarà radiato dal clero e considerato estraneo alla regola.
XVIII. Che i diaconi non debbano dare l’eucarestia ai presbiteri e che non devono prender posto avanti a questi.
Questo grande e santo Sinodo è venuto a conoscenza che in alcuni luoghi e città i Diaconi danno la comunione ai Presbiteri: cosa che né i sacri canoni, né la consuetudine permettono: che, cioè, quelli che non hanno il potere di consacrare diano il corpo di Cristo a coloro che possono offrirlo. Esso è venuto a conoscenza anche di questo: che alcuni Diaconi ricevono l’eucarestia perfino prima dei Vescovi. Tutto ciò sia tolto di mezzo e i diaconi rimangano nei propri limiti, considerando che essi sono ministri dei Vescovi ed inferiori ai Presbiteri. Ricevano, quindi, come esige l’ordine, l’eucarestia dopo i sacerdoti e per mano del Vescovo o del Sacerdote. Non è neppure lecito ai diaconi sedere in mezzo ai Presbiteri; ciò è, infatti, sia contro i sacri canoni, sia contro l’ordine. Se poi qualcuno non intende obbedire, neppure dopo queste prescrizioni, sia sospeso dal diaconato.
XIX. Di quelli che dall’errore di Paolo di Samosata si avvicinano alla Chiesa cattolica e delle diaconesse.
Quanto ai seguaci di Paolo, che intendono passare alla Chiesa cattolica, bisogna osservare l’antica prescrizione che essi siano senz’altro ribattezzati. Se qualcuno di essi, in passato, era appartenuto al clero, purché, del tutto irreprensibile, una volta ribattezzato potrà essere ordinato da Vescovo della Chiesa cattolica. Ma se l’esame dovesse far concludere che si tratta di inetti, è bene deporli. Questo modo d’agire sarà usato anche con le diaconesse e, in genere, con quanti appartengono al clero. Quanto alle diaconesse in particolare, ricordiamo, che esse, non avendo ricevuto alcuna imposizione delle mani, devono essere computate senz’altro fra le persone laiche.
XX. Che non si debba, nei giorni di domenica e di Pentecoste, pregare in ginocchio.
Poiché vi sono alcuni che di domenica e nei giorni della Pentecoste si inginocchiano, per una completa uniformità, è sembrato bene a questo santo Sinodo che le preghiere a Dio si facciano in piedi.
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Note
(1) I Tm 3, 6-7
(2) Audientes e substrati indicano gli appartamenti a due fasi dei catecumenato, che dovevano essere adempiute da chi, convertito al cristianesimo, aspirava al battesimo
(3) Cfr. Pr 26, 11.
(4) V. nota 2.
(5) V. nota 2.
(6) V. nota 2.
(7) Sal 14, 5